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Gli approcci strutturalisti

La nascita della geografia culturale e quello casa tradizionalmente negli anni 20 dello scorso secolo, con la
pubblicazione di alcuni saggi di Carl sauer e la Fondazione della scuola di Berkeley.

Dalla nascita della geografia umana, della seconda metà del diciannovesimo secolo, fino agli anni 20 del
900, la geografia culturale è stata esercitata in maniera implicita, in quella umana, per questo la storia della
geografia culturale tieni traccia strettamente con quella della geografia umana.

Che origini epistemologiche della geografia umana sono fatte risalire a von Humboldt e Ritter, anche in
geografia culturale questi due studiosi sono considerati i precursori di due modi profondamente diversi di
concepire studiare la cultura.

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento e fino a tutti gli anni 50 del 900, invece, essa si snoda attraverso
Ehi tre ambienti scientifici principali: quello tedesco, quello francese e quello statunitense.

Precursori

Se Alexander von humboldt e carl ritter sono considerati a giusto titolo i padri della geografia umana e
perché a questi due studiosi si devono le prime organizzazioni sistematiche delle conoscenze maturate fino
ad allora sulle relazioni tra esseri umani e ambienti naturali.

Entrambi risentirono del clima culturale europeo della prima metà dell’Ottocento a cavallo tra il
razionalismo illuminista e l'idealismo romantico, tuttavia, la loro opera è tradizionalmente ricondotta a due
matrici scientifiche e filosofiche profondamente diverse dal punto

Alexander von humboldt (1769-1859) Incarna l’impostazione razionalista, empirica, analitica, fondata su
dati, carte, sull'osservazione diretta e il lavoro sul campo, dimostra di prediligere lo studio dei fenomeni
naturali con l'ausilio di strumentazioni aggiungendo importanti scoperte in ambito naturalistico, tanto che
in seguito fu considerato il fondatore della geografia fisica. Le sue descrizioni associavano natura e cultura,
denotando un vivo interesse per le questioni sociali, tuttavia, per il suo approccio analitico fu considerato il
precursore della geografia sistematica, cioè che esamina un argomento alla volta. L’intero suo operato era
volto a ricercare le leggi generali che governano la terra, secondo un procedimento deduttivo.

Carl Ritter (1779-1859) Riflette invece il prototipo dell’impostazione idealista e storico umanistica, fondata
sulla sensibilità soggettiva, spesso permeata di riferimenti religiosi. Twitter sembra quasi ricercare un nuovo
linguaggio che costituisca un modo di avvicinarsi al divino, che si regge su una scelta di valori soggettivi e
non scientifica, perché prima di essere scienziati sia uomini che vivono nella società. Per ritter, le descrizioni
razionaliste analitiche, basate su ragionamenti caso effetto non possono essere sufficienti per descrivere la
terra nella sua complessità spunto la sua è una geografia che punta a ricostruire la storia e l'evoluzione
degli spazi terrestri utilizzando un metodo induttivo che muove dai luoghi anziché dai singoli fenomeni,
considera l’insieme delle forme, degli aspetti, che connotano regioni e paesaggi. Per questo, ritter fu
considerato precursore della geografia regionale. Gli eventi storici della seconda metà dell’Ottocento
favorire non proprio l’affermazione dell’ottica razionalista.

il determinismo ambientale

La seconda metà dell’Ottocento vide l’affermazione delle scienze sociali: l’antropologia, la geografia, la
sociologia, la psicologia, che mutano il proprio modello generale dalle scienze naturali, ovvero dal metodo
scientifico, ispirato alla teoria di Darwin sull’evoluzione delle specie.

Le scienze sociali studiano soprattutto l’uomo, che si organismo vivente, ma anche in grado di rispondere in
modo diverso alle sollecitazioni ambientali, gli scienziati sociali non potevano, tuttavia, discostarsi troppo
dalla teoria di Darwin, che si dimostrava perfettamente funzionale e gli obiettivi politici espansionistici e
colonialisti che gli Stati stavano allora perseguendo, la conoscenza era infatti sottoposta a censure più o
meno esplicite.

La nascita dell’antropologia culturale ricondotta generalmente al 1871, quando Edward B. Tylor, per la
prima volta definire la cultura in senso sociale e non più individuale, la cultura include la conoscenza, le
credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume qualsiasi altra capacità acquisita all’uomo in quanto membro
di una società, c'ho decreto il superamento dell'idea di cultura illuministica intesa come insieme di
conoscenze acquisibili individualmente piega Tylor concepì la cultura in chiave evoluzionistica, cioè secondo
uno sviluppo lineare, nel tempo, ed universale, che riguarda tutte le culture, che lo portò a distinguere tra
culture primitive e culture moderne. La valutazione etnocentrica delle culture, con le potenze europee al
vertice dell’evoluzione, ben rifletteva le politiche occidentali dell’epoca, volte alla conquista di terra e
popoli.

Con Friedrick Ratzel (1844-1904) la geografia assunse legittimazione scientifica, stabilendo un nesso di
casualità tra l’ambiente naturale, come causa, e le attività umane, come effetto. Grazie a questa
impostazione la geografia passò dalla descrizione dei fenomeni osservati alla loro spiegazione. Ratzel spiego
alla distribuzione dei fenomeni umani sulla superficie terrestre in chiave deterministica, cioè riconducendo
le azioni umane alla caratteristiche dell'ambiente naturale, come clima e geomorfologia, il paradigma che
ne derivò fu definito determinismo ambientale. Ratzel dimostro grande interesse per la cultura, ma la
osservo nell'ottica evoluzionistica e positivistica tipica del suo tempo, cioè secondo un ordine logico che
procede dal semplice al complesso, proprio come gli organismi vegetali animali nel loro percorso
direttamente all'ambiente, egli distinse così due principali tipologie di gruppi umani: Naturvölker, popoli
primitivi dominati dell’ambiente naturale, e Kulturvölker, popoli evoluti in grado di gestire l’ambiente, Per
Ratzel tale distinzione era esito dell’evoluzione dell’umanità verso stati progressivamente migliori, che gli
Stati europei avevano già acquisito.

L’adesione alle logiche razionaliste tipiche del suo tempo porto Ratzel a occuparsi degli aspetti materiali
della cultura, con particolare attenzione agli strumenti utilizzati per forgiare il passato, tanto da essere
considerato il precursore del concetto di genere di vita successivamente sviluppato da Vidal de la Blache.

Per i geografi deterministi, le culture erano il prodotto delle condizioni ambientali in cui si sviluppavano, in
tal senso, la geografia determinista mostrava i suoi forti legami con i dispositivi ismo della metà
dell’Ottocento, il fatto è che parli studi offrivano non solo una descrizione delle culture sulla base delle
differenze ambientali, ma anche un giudizio di valore su di esse, centrato sul livello di affrancamento dai
vincoli ambientali. Si trattava cioè di un’interpretazione scientifica costruita sulla scala di riferimento dei
paesi europei, quindi etnocentrica, e in termini evoluzionisti. Il determinismo ambientale si dimostrava così
funzionale alle politiche di colonizzazione che trovarono ulteriore legittimazione nel concetto di lebensraum
elaborato da Ratzel, in analogia con il concetto di organismo vivente, che per svilupparsi ha bisogno di
crescere.

Sulla base di tali premesse epistemologiche, altri studiosi in ambito germanico, si occuparono di questioni
culturali focalizzando l'attenzione sugli strumenti della tecnica utilizzati per plasmare i paesaggi agrari
oppure utilizzando l'etnia come chiave di lettura per spiegare l'assetto urbanistico dei centri abitati,
Meitzen evidenzia le differenze tra insediamenti tedeschi e slavi, riconducendole alle diversità culturale tra i
due popoli, quelli germanici addensati attorno a un centro principale è a sviluppo centrifugo, quelli slavi i
vostri lungo le arterie stradali, ognuna con il proprio orto sul retro.

Sempre in ambito germanico ti arrivò a definire la geografia come scienza del paesaggio, con il paesaggio
inteso come esito dell'interazione tra gruppi umani e ambiente naturale, ma sempre in un'ottica
evoluzionistica, secondo la quale il paesaggio naturale diventa paesaggio culturale, assumendo
connotazioni diverse a seconda del livello di sviluppo tecnologico delle singole culture.
Ad Ernst Kapp si deve l'introduzione del termine Kulturgeographie, e l'avvio degli studi geografici sulla
cultura, ma senza costruire un epistemologia specifica, perciò rimanendo nell'ambito della geografia
umana, i gruppi umani secondo Kapp sono condizionati dall’ambiente naturale in cui risiedono, cosicché la
struttura sociale gerarchica cinese, ad esempio, trova spiegazione nelle condizioni geomorfologiche che fin
dall’antichità hanno ostacolato le relazioni con altri popoli, mentre gli europei hanno sviluppato mentalità
aperte a causa della presenza dei mari.

Possibilismo e regionalismo

Agli inizi del 900, Paul Vidal de la blache, seguendo un approccio storico geografico ispirato a Carl ritter e
contrario gli assunti positivisti, rovescio il determinismo ambientale, sostenendo che l’ambiente influenza
ma non determina le attività umane, la natura offre delle possibilità, e l'uomo sfrutta in base al proprio
genere di vita, in seguito tale modello fu definito possibilismo geografico.

I cardini attorno a cui si sviluppò il pensiero possibilista furono:

-Genere di vita: una combinazione di natura, cultura e livello tecnologico;

-Regione: porzione di superficie terrestre connotata da un genere di vita;

-Paesaggio: espressione visibile della regione.

La cultura, per i geografi possibilisti, e ciò che genera diversità territoriale, che trasforma l’ambiente, quindi
l'attenzione era centrata sugli strumenti, i possibilisti abbandonano il pregiudizio della superiorità o
inferiorità delle culture, semplicemente le culture erano diverse Ehi. L’obiettivo della ricerca geografica era
quello di rilevare i generi di vita che delineavano le diverse regioni, ne derivò una geografia umana
descrittiva, che cercava di catalogare le manifestazioni materiali delle culture, così da stabilire analogie e
differenze tra le diverse regioni.

Se il determinismo si prestava a sostenere gli interessi degli Stati nazionali, fornendo un giustificativo alle
politiche di colonizzazione, il possibilismo si dimostrava funzionale agli obiettivi della borghesia dell'epoca,
che per ampliare commerci attività imprenditoriali aveva bisogno di maggiore libertà d'azione e maggiore
conoscenza delle peculiarità regionali e locali o che avrebbe potuto operare, anche la geografia di Vidal de
la blache coadiuvava gli interessi statali, sostenendo l'idea di una nazione che era in grado di restare un
interno santella notevole differenza ambientale e culturale tra le sue regioni.

Diversi geografi possibilisti, tra cui lo stesso Vidal de la blache, mostrarlo interesse per le opere letterarie, la
svolta della geografia soggettiva era tuttavia ancora lontana, infatti la letteratura serviva soprattutto ad
aggiungere informazione la descrizione dei luoghi e regioni.

In Italia, il possibilismo geografico fu accolto con entusiasmo, ma gli aspetti culturali erano trattati al pari
degli altri elementi, ambientali, economici o sociali, senza dar vita a un’epistemologia specifica, ovvero una
geografia culturale.

Negli Stati Uniti, fino a tutti gli anni 50, si rilevò interesse per la regione intesa come spazio omogeneo e per
l'individuazione delle regioni e delle diversità regionali, promotore di questo indirizzo fu Richard
Hartshorne, secondo cui la geografia è scienza della differenziazione spaziale ed è connotata non tanto dal
oggetto, quanto dal suo metodo, che consiste nel rilevare, descrivere e confrontare le specificità regionali.

In Inghilterra, fu Patrick geddes, urbanista e sociologo, a farsi portavoce del regionalismo possibilista, in una
versione sottesa da un più evidente impegno sociale e politico, poiché volta restituire potere alle comunità
locali, messe da parte dalle politiche colonialiste dell’impero britannico.
Tanto il possibilismo geografico quanto il determinismo ambientale studieranno le culture, dunque, ma non
ne fecero perno di indagine, queste riflessioni maturarono nell’ambito della geografia umana, senza darlo
con la nascita di una geografia culturale, e di risultato era preminentemente descrittivo.

Scuola di Berkeley

Negli Stati Uniti la geografia umana nacque come disciplina istituzionalizzata sul finire del diciannovesimo
secolo, sulla base della forte influenza esercitata dagli scritti di Alexander von humboldt. La geografia
statunitense dei primi del 900 vedeva protagonisti gli allievi di Ratzel, tra cui Ellen Churchill Semple, William
Morris Davis ed Ellsworth Huntington, che iniziarono a diffondere gli assunti del determinismo ambientale
portando gli estremi il nesso di causalità tra ambiente uomo, fino a ritenere che l’uomo è un prodotto della
superficie terrestre.

Il determinismo statunitense era facilmente attaccabile dal punto di vista scientifico ed inattuale dal punto
di vista politico, conclusa la fase colonialista, infatti, agli Stati Uniti, così come ai paesi europei, non
interessava più un motivo scientifico, peraltro rivelatosi fragile, che giustificasse la politica di dominio
territoriale nei confronti di paesi ricchi di risorse e politicamente deboli. Era importante piuttosto sostenere
gli interessi della crescente borghesia industriale e commerciale.

Agli inizi del ventesimo secolo, la geografia statunitense più influente era praticata nell’università del
Midwest, ove si privilegiavano strumenti e metodi quantitativi nel tentativo di sostituire l'approccio
descrittivo di matrice determinista con quello analitico, facendo della regione l'ambito di studio privilegiato.
L’espressione geografia culturale era già diffusa in ambito statunitense, all'epoca i simboli riferiti agli
artefatti umani erano riuniti sotto il termine cultura, distinguendoli da quelli riferiti alla natura. Nel volgere
di alcuni anni, però, l’aggettivo culturale fu utilizzato per delineare un ambito di studi specifico e
rivoluzionario, che fu proposto nella cosiddetta scuola di Berkeley, in California, e che in breve tempo
acquisì notevole rilievo scientifico e politico, grazie all’opera di Carl Ortwin Sauer, considerato il fondatore
della geografia culturale.

Carl Ortwin Sauer nacque nel Missouri da una famiglia di immigrati tedeschi, voleva distaccarsi dal
determinismo ambientale che connotava gli ambienti scientifici del Midwest, così come dai primi segnali di
una geografia quantitativa che avrebbe preso forma di lì a qualche anno. La sua era una geografia che
mutuava dalla geografia tedesca l’interesse per la dimensione ambientale, e dalla geografia francese quello
per il paesaggio e la regione, ma attribuendo un ruolo centrale alla cultura, per questo stabilì legami
soprattutto con l'antropologia, da cui acquisì il metodo di ricerca etnografico, sul campo, mostrando forti
perplessità nei confronti dei metodi quantitativi.

Sauer centro l’attenzione sul paesaggio anziché sulla regione possibilista e rovescio la relazione cultura
ambiente: dei culture influenzano fortemente l’ambiente in cui vivono, cioè il paesaggio naturale, che viene
trasformato in paesaggio culturale.

L’approccio di sauer era storico ma diverso dal possibilismo, sia per la forte tensione attribuita alla natura,
sia perché la cultura fu posta al centro della sua analisi, sia in riferimento agli strumenti utilizzati per
trasformare la natura in paesaggio culturale, sia riguardo agli esiti di tale trasformazione. Sauer fornì una
tua definizione di paesaggio culturale, secondo la quale il paesaggio culturale sarebbe un passaggio
naturale forgiato da un gruppo culturale, dove la cultura è l’agente, gli elementi naturali sono il mezzo ed il
paesaggio culturale il risultato.

Per Sauer il paesaggio è l’oggetto di studio della geografia, e la geografia deve occuparsi di studiare come
l'uomo modifica gli ambienti naturali e crea paesaggi, a tale scopo quando a Berkeley la scuola del
paesaggio, che si occupo di studiare la forma e la storia culturale dei paesaggi, con attenzione alle pratiche
agricole dei primi coloni. Delle società industrializzate Sauer e i suoi allievi presero in considerazione solo
due aspetti: come esse distruggono l’ambiente in cui si sono sviluppate e di come si circondino di piante ad
animali non autoctoni, anticipando di almeno trent’anni le preoccupazioni dei movimenti ambientalisti.

La gestione dell’ambiente diventò per Sauer ed i suoi allievi un parametro di valutazione delle culture,
un’occasione per avanzare una forte critica alla civiltà moderna e perché avvolgere l’evoluzionismo
culturale, sono infatti le culture più avanzate ad essere più distruttive dell'ambiente e quindi meno evolute,
sauer condusse studi sulle origini dell'agricoltura, e la preoccupazione per le questioni ambientali lo portò a
ritenere che la crescente desertificazione riscontrabile sin da allora tutta la mondiale ad attribuire alle
pratiche agricole di pascolo, e non ad un cambiamento del clima.

Sauer non fornì una definizione del termine cultura, poiché riteneva che non dovessero essere geografia di
occuparsene, ma abbraccio l’idea di cultura come entità super organica, che contrariamente all'idea
dell'origine biologica fino ad allora dominante, considerava la cultura come forza superiore ed esterna alla
realtà, un’entità impossibile da descrivere e comprendere.

Sauer aveva contrastato fortemente il determinismo ambientale, ma di fatto, abbracciando l’idea super
organica di cultura, non fece altro che stabilire un nesso di casualità tra la cultura e l’ambiente naturale,
dando vita a una sorta di determinismo culturale, la cultura fu infatti definita come shaping force che
risiede nella cultura stessa insondabile ed inconoscibile.

Questo fu il principale tallone d’achille della scuola di Berkeley, che sul finire degli anni 50 subì un rapido
declino, peraltro, l’idea super organica della cultura era già stata soggetta a durissimo attacco in ambito
antropologico e dichiarata superata agli inizi degli anni 40 del 900, essa fu portata avanti solamente dai
geografi culturali statunitensi senza alcuno spirito critico e cominciò ad essere messa in discussione a
partire dalla metà degli anni 70, grazie ad alcuni geografi che ne presero le distanze.

Ma le critiche alla scuola di Berkeley si basavano su altri motivi: si trattava di una geografia soprattutto
descrittiva ed era puramente conoscitiva, le regioni apparivano come frutto di partizioni terrestri che erano
utili per descrivere la terra, ma non per applicazioni pratiche , limitandosi a descrivere limitandosi a
descrivere la morfologia di aree e paesaggi culturali, La scuola non arrivava a comprendere il vero motivo
della differenziazione delle regioni a fornire spiegazioni sul perché i fatti e fenomeni accadevano in uno
specifico dove. In altre parole, la geografia culturale della scuola di Berkeley fu considerata non scientifica.

Entro in crisi, quindi, l’intera geografia culturale, che restò senza legittimazione sociale e scientifica, per
almeno un decennio la scuola di Berkeley fu sostituita per rilievo e credibilità scientifica dalla geografia
regionale di Richard Hartshorne, praticata soprattutto nel Midwest degli Stati Uniti, mentre gli studi di
geografia culturale furono proseguiti da altre discipline.

Nodi problematici

Più in generale potuto posto a critica l’intero modulo nazionalista di studiare alla cultura, nell'ottica
tradizionale razionalista i confini della geografia umana e geografia culturale si assottigliano, cosicché per
geografia culturale si intende sia il lavoro alla Scala nazionale, continentale o globale, volto ad individuare
localizzazione, distribuzione e diffusione di caratteri culturali, sia l’indagine riferite a specifici contesti, aree
e regioni culturali, che attiene maggiormente la geografia culturale.

Passauer e alla scuola di Berkeley furono attribuiti quattro campi di studio facenti capo in parte alla
geografia umana ed in parte della geografia culturale:

1- Distribuzione e diffusione degli elementi che connotano una cultura;


2- Individuazione delle aree e regioni culturali attraverso lo studio della configurazione dei paesaggi;
3- Le modalità di utilizzazione delle componenti naturali da parte delle diverse culture ed il diverso
grado di alterazione ambientale arrecato agli spazi naturali dalle singole culture;
4- Lo studio delle connotazioni culturali all’interno di ciascuna area o regione culturale individuata.

Se il terzo ed il quarto campo di studi si configuravano più attinenti alla geografia culturale di allora, il primo
ed il secondo campo rientravano tradizionalmente nell'ambito della geografia umana, la scuola aveva
realizzato una sorta di miscuglio della geografia umana e geografia culturale, piuttosto comprensibile visto
che negli Stati Uniti era in forza l’abitudine di considerare umano e culturale come sinonimi.

In Europa, la geografia si orienta maggiormente a centrare l'attenzione sul territorio, nella sua accezione
complessiva, inteso cioè come commissione di aspetti naturali, storici, economici e culturali, pertanto la
geografia culturale della scuola mostrava il suo primo punto debole, per rintracciare le caratteristiche
uniche di ripetibili che forgiava nei paesaggi culturali bisognava rivolgersi alle culture native o a quelle rurali
tradizionali virgola non coinvolte nei processi di urbanizzazione.

I due conflitti mondiali nella prima metà del 900 congelarono quest’anno autorità della scuola di Berkeley
virgola che celebra le radici storiche di un’America che in quel momento aveva bisogno di coalizzarsi
intorno ai propri riferimenti tradizionali visto il ruolo leader della politica internazionale che andava
assumendo.

Il richiamo alle tradizioni fornisce lo spunto per individuare un altro nodo problematico dell'approccio
razionalista il trattamento dell'heritage, del patrimonio, l’approccio razionalista tende a considerare la
cultura in termini spazialmente omogenei, dando per scontato che un determinato territorio sia connotato
da omogeneità culturale e coesione sociale senza tenere conto dell’esistenza e culturali che ormai
connotano ogni territorio, spesso conflittuali, questo approccio è stato messo in dubbio anche perché
considera la cultura in termini non problematici.

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