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Storia, teatro, metafora: il ritratto di Catilina

Catilina, tu devi! Tu devi; così m'ordina una voce del


profondo dell'anima, – ed io voglio seguirla. Possiedo
forza, e coraggio per qualcosa di meglio, di più alto che
non sia questa mia vita.
H. Ibsen, Catilina, Atto I, scena I

Manavit non solum per Italiam, verum etiam transcendit Alpes et obscure serpens
multas iam provincias occupavit (Catil. 4, 5): è quanto afferma lo stesso Cicerone a proposito
del moto di rivolta di Catilina. Secondo l’Arpinate, che comunque potrebbe avere buone
ragioni per ingigantire il fenomeno, si ha a che fare con un’esperienza devastante, che ha
finito per coinvolgere non solo Roma, ma tutta l’Italia e l’intero Occidente1. Viene dipinta una
situazione molto pericolosa, fatta di trame oscure e di minacce patenti. Se è vero che c’è stato
perfino chi è arrivato a negare l’esistenza effettiva di una congiura o a ridimensionarne
decisamente la portata2, inquadrando la rivoluzione catilinaria all’interno di un più accettabile
piano politico di cambiamento, non si può però in ogni caso non riconoscere il valore storico-
culturale della coniuratio: al di là della valutazione storica dell’evento, di certo è possibile
affermare che esso, anche grazie all’attenzione storico-letteraria che coagula da subito attorno
a sé, si pone nell’‘immaginario’ di antichi e moderni come un momento straordinario della
vita di Roma. Il moto catilinario diventa icona di un processo di trasformazione, violento e
delicato al contempo, che traghetterà la res publica verso il principato e verso un quadro
culturale differente. Come felicemente è stato affermato, «è difficile diventare Cesare, se
prima non si è stati Catilina; ma chi resta Catilina e non va oltre, quasi sempre è un Cesare
mancato»3.
Catilina interpreta il disagio economico e sociale che era stato già posto in primo piano
dai Gracchi il secolo prima4: a seguirlo ci sono le classi sociali più basse, ma anche
aristocratici caduti in disgrazia. Alla base c’è un vero e proprio programma5: non si tratta di
un moto insurrezionale disordinato. Infatti i tentativi infelici di ottenere il consolato, negli
anni immediatamente precedenti la congiura, sono la conferma tanto di un’ambizione politica
‘regolare’ quanto di un piano di riforme ben definito: la promessa di un editto per la
remissione dei debiti rappresenta con certezza una delle idee più audaci di Catilina, che non a
caso attirò su di sé immediatamente l’ostilità dell’oligarchia senatoria.
Oltre alle Catilinarie, che costituiscono la testimonianza più scottante della vicenda,
Cicerone si trova ancora a parlare di Catilina nella pro Murena, nella pro Silla e nella pro
Caelio. In quest’ultima orazione, l’Arpinate, impegnato a difendere Celio da incriminazioni
gravissime, si imbatte anche nell’accusa spinosa secondo la quale il giovane avrebbe aderito

                                                            
1
All’ampiezza della rivoluzione catilinaria dedica delle considerazioni L. HAVAS, La place de l’Orient et de
l’Occident dans les projects du mouvement de Catilina, in B.B. PIOTROVSKIJ ET AL. (éds), Problèmes d’histoire
et de culture antique II, Jerevan 1979, pp. 493-498.
2
Una prospettiva, questa, valutata ma non accettata comunque da G. BOISSIER, La conjuration de Catilina, Paris
1905, che ricompone con rigore i fondamenti storici della vicenda.
3
Si tratta di una felice definizione di P. ZULLINO, Catilina. L’inventore del colpo di stato, Milano 1985, che
opera una ricostruzione avvincente dei fatti relativi alla congiura.
4
L. STORONI MAZZOLANI, Sallustio. La congiura di Catilina, Milano 1994, p. 45.
5
Coma ha chiarito A. LA PENNA, Sallustio e la “rivoluzione” romana, Milano 1968, p. 146 «il discorso di
Catilina è press’a poco il disocrso di un capo dei populares e rientra nel programma dell’opposizione
democratica», rappresentata nel B. Iug. dai discorsi di Memmio e Macro.

 
alla congrega dei catilinari. È per questo motivo, che, ad un certo punto, Cicerone si trova
costretto, per sostenere la propria tesi, a delineare un ritratto del cospiratore: è, questo, un
passaggio celebre e sorprendentemente affascinante, che di certo è stato tenuto ben presente
da Sallustio per l’imbastitura del ritratto di Catilina che egli opera nella Coniuratio Catilinae6.
Quando Cicerone difende Celio sono già passati alcuni anni, siamo in qualche modo lontani
dal clima rovente che si percepisce ancora, ad esempio, nella pro Murena. Ecco il ritratto del
cospiratore in Cael. 13-14:

Habuit enim ille, sicuti meminisse vos arbitror, permulta maximarum non expressa
signa sed adumbrata virtutum. Utebatur hominibus improbis multis; et quidem optimis se
viris deditum esse simulabat. Erant apud illum inlecebrae libidinum multae; erant etiam
industriae quidam stimuli ac laboris. Flagrabant vitia libidinis apud illum; vigebant
etiam studia rei militaris. Neque ego umquam fuisse tale monstrum in terris ullum puto,
tam ex contrariis diversisque et inter se pugnantibus naturae studiis cupiditatibusque
conflatum. Quis clarioribus viris quodam tempore iucundior, quis turpioribus
coniunctior? quis civis meliorum partium aliquando, quis taetrior hostis huic civitati?
Quis in voluptatibus inquinatior, quis in laboribus patientior? quis in rapacitate avarior,
quis in largitione effusior? Illa vero, iudices, in illo homine admirabilia fuerunt,
comprehendere multos amicitia, tueri obsequio, cum omnibus communicare quod
habebat, servire temporibus suorum omnium pecunia, gratia, labore corporis, scelere
etiam, si opus esset, et audacia, versare suam naturam et regere ad tempus atque huc et
illuc torquere ac flectere, cum tristibus severe, cum remissis iucunde, cum senibus
graviter, cum iuventute comiter, cum facinerosis audaciter, cum libidinosis luxuriose
vivere. Hac ille tam varia multiplicique natura cum omnis omnibus ex terris homines
improbos audacisque conlegerat, tum etiam multos fortis viros et bonos specie quadam
virtutis adsimulatae tenebat. Neque umquam ex illo delendi huius imperi tam
consceleratus impetus exstitisset, nisi tot vitiorum tanta immanitas quibusdam facilitatis
et patientiae radicibus niteretur. Qua re ista condicio, iudices, respuatur, nec Catilinae
familiaritatis crimen haereat. Est enim commune cum multis et cum quibusdam etiam
bonis. Me ipsum, me, inquam, quondam paene ille decepit, cum et civis mihi bonus et
optimi cuiusque cupidus et firmus amicus ac fidelis videretur.

«Perché c’erano in Catilina tratti cospicui delle più nobili virtù, sia pure non espliciti ma
appena adombrati. Se la faceva con parecchi furfanti, è vero; ma fingeva d’essere devoto
ai galantuomini. Apparivano in lui molti incentivi al vizio; ma pure stimoli all’operosità e
alla fatica. Ardeva in lui il fuoco di passioni perverse; ma forte era anche il suo trasporto
per la vita militare. A mio parere, non c’è mai stato al mondo un simile portento, una tale
fusione di tendenze e appetiti naturali così contrari, opposti, tra loro divergenti. Chi per
un certo periodo fu più gradito ai cittadini eminenti, e più legato ai più abietti? Chi mai fu
allora cittadino più attaccato al partito dell’ordine, e più ributtante nemico del nostro
stato? Chi più avvoltolato nei piaceri, e più tetragono alle fatiche? Chi più avido nella
rapina, e più prodigo nel donare? Davvero, giudici: quello che c’era di più paradossale in
quell’uomo era la sua capacità di stringere numerose amicizie, di conservarle con
rispettosa devozione, di mettere a disposizione di tutti quanto possedeva, di porsi al
servizio degli amici in difficoltà col suo denaro, la sua influenza, l’impegno fisico e,
all’occorrenza, perfino col delitto e la ribellione; era la sua capacità di adattare e
controllare la propria natura secondo le circostanze, volgendola e piegandola in ogni
direzione, di vivere severamente con le persone austere e allegramente con quelle
gioviali, seriamente coi vecchi e con la gioventù festevolemente, coi facinorosi
                                                            
6
Sui rapporti tra il ritratto di Catilina all’interno della pro Caelio e quello della monografia sallustiana esiste una
mole imponente di studi; fa il punto della questione, di recente, E. NARDUCCI, Cicerone e i suoi interpreti. Studi
sull’Opera e la Fortuna, Pisa 2004, pp. 79-85.

 
demagogicamente, dissolutamente coi depravati. E così, grazie a tale natura tanto varia e
complessa, aveva sì radunato tutti i furfanti e gli avventurieri d’ogni parte del mondo, ma
teneva anche legate a sé un gran numero di persone coraggiose e oneste per via d’una
parvenza di virtù che egli riusciva a simulare. Del resto, mai sarebbe scaturito da lui
l’impulso così criminoso di annientare questo nostro stato, se l’enormità stessa di tanti
vizi non si fosse sostenuta, per così dire, su radici tanto duttili e resistenti. Per tali ragioni,
giudici, si respinga questa tesi; non gli si addossi l’intimità con Catilina: è un’accusa che
si può estendere a molti, e perfino a certi galantuomini. Io stesso, sì, proprio io, lo
confesso, ci fu un tempo che per poco non mi feci ingannare da lui, perché in lui vedevo
un cittadino leale e sollecito dello stato, e poi un amico fidato e fedele» (trad. Cavarzere).

Il profilo che si traccia di Catilina è di grande effetto ed è sostenuto con maestria dagli
artifici retorici, tramite i quali si insiste sulla paradossalità del personaggio. In illo homine
admirabilia fuerunt: un’affermazione programmatica che sintetizza la precedente
presentazione (“non c’è mai stato al mondo un simile portento, una tale fusione di tendenze e
appetiti naturali così contrari, opposti, tra loro divergenti”) e apre la strada al lungo elenco
delle ‘qualità’ che hanno contraddistinto l’uomo della coniuratio. È interessante notare come
il testo non venga costruito su dei chiasmi, che pure sembrerebbero in prima battuta i più
adeguati a rendere icasticamente gli appetiti contrastanti di Catilina7. Nel passaggio
ciceroniano domina invece la simmetria, che traduce la rappresentazione in un’architettura
sintattica molto equilibrata: proprio questo ordine della forma, però, viene scardinato dal
disordine della sostanza. La regolarità stilistica del cartello di presentazione è inversamente
proporzionale all’irregolarità morale degli elementi che lo compongono. Si sarebbe tentati di
vedere in questo doppia prospettiva un sottile e ‘allusivo’ gioco tra apparenza e realtà:
Catilina si presenta con un’immagine suadente, capace quasi di trarre in inganno lo stesso
Cicerone, ma in realtà la sua virtù non è altro che la maschera del vizio nascosto.
Torneremo ancora sul brano ciceroniano. Passiamo adesso all’altro ritratto celebre di
Catilina, quello contenuto nella Coniuratio Catilinae di Sallustio, che, come ho già accennato,
ha verosimilmente come ipotesto proprio il passo della pro Caelio, oltre naturalmente le
Catilinarie. Il profilo biografico del cospiratore si apre con un incipit veloce, capace di offrire
uno spaccato immediato del personaggio (Catilina 5):

L. Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo
pravoque. Huic ab adulescentia bella intestina caedes rapinae discordia civilis grata fuere,
ibique iuventutem suam exercuit. Corpus patiens inediae algoris vigiliae, supra quam
cuiquam credibile est. Animus audax subdolus varius, cuius rei lubet simulator ac
dissimulator, alieni adpetens, sui profusus, ardens in cupiditatibus; satis eloquentiae,
sapientiae parum. Vastus animus inmoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat. Hunc
post dominationem L. Sullae lubido maxuma invaserat rei publicae capiundae; neque id
quibus modis adsequeretur, dum sibi regnum pararet, quicquam pensi habebat. Agitabatur
magis magisque in dies animus ferox inopia rei familiaris et conscientia scelerum, quae
utraque iis artibus auxerat, quas supra memoravi. Incitabant praeterea corrupti civitatis
mores, quos pessuma ac divorsa inter se mala, luxuria atque avaritia, vexabant. Res ipsa
hortari videtur, quoniam de moribus civitatis tempus admonuit, supra repetere ac paucis
instituta maiorum domi militiaeque, quo modo rem publicam habuerint quantamque
reliquerint, ut paulatim inmutata ex pulcherruma <atque optuma> pessuma ac
flagitiosissuma facta sit, disserere.

                                                            
7
Il chiasmo, invece, verrà adoperato da Sallustio proprio per questa sua vocazione naturale all’incrocio/scontro
tra due coppie semantiche.0

 
«Lucio Catilina, di nobile stirpe, fu d’ingegno vivace e di corpo vigoroso, ma d’animo
perverso e depravato. Sin da giovane era portato ai disordini, alle violenze, alle rapine, alla
discordia civile, in tali esercizi trascorse i suoi giovani anni. Aveva un fisico incredibilmente
resistente ai digiuni, al freddo, alle veglie, uno spirito intrepido, subdolo, incostante, abile a
simulare e a dissimulare. Avido dell’altrui, prodigo del suo; ardente nelle passioni, non privo
di eloquenza, ma di poco giudizio; un animo sfrenato, sempre teso a cose smisurate,
incredibili, estreme. Finito il dispotismo di Silla, fu preso dalla smania di impadronirsi del
potere; pur di raggiungerlo, non aveva scrupoli; quell’animo impavido era turbato ogni
giorno di più dalla penuria di denaro e da cattiva coscienza, rese più gravi dalle male
abitudini cui ho accennato. Lo spingeva inoltre su quella china la corruzione della città, nella
quale imperavano due vizi diversi ma parimenti funesti, lusso e cupidigia. E poiché son
venuto a parlare dei costumi di Roma, si direbbe che l’argomento stesso m’induca a riandare
indietro ed esporre in breve le istituzioni civiche e militari degli avi nostri, in che modo
abbiano governato la repubblica, quanto grande ce l’abbiano trasmessa e come poco a poco
sia diventata, da splendida e insigne che era, corrotta e turbolenta» (trad. Mazzolani).

Opportunamente La Penna ha coniato la fortunata definizione di ‘ritratto paradossale’,


riferita tanto a Catilina quanto agli altri ritratti contenuti nelle due monografie8. Partendo dalla
famosa rappresentazione offerta da Tacito di Petronio, in cui all’uomo dedito ai vizi ed ai
piaceri si aggiunge una serie di qualità positive legate, all’occorrenza, alla capacità di agire,
La Penna va indietro identificando una linea che tocca anche Mecenate e che ha capofila
proprio Silla, di cui si elencano i piaceri e la luxuria da una parte ma anche il fine intuito
politico. Si chiarisce, inoltre, come di ritratto paradossale si possa parlare solo a partire da una
trasformazione della società che rende possibile il convergere in una sola persona di due
atteggiamenti differenti. È, questa, la tecnica sallustiana per descrivere personalità combattute
da grandi passioni, nelle quali a gravi vizi si affiancano e si contrappongono virtù eccezionali.
Tralasciamo per la nostra analisi la lunga querelle sulla tendenziosità sallustiana: è ormai
chiaro, d’altra parte, che appare riduttivo parlare sia di ‘reticenze’ e ‘falsità’ a proposito di
quanto viene detto su Cicerone, sia di parzialità per le parole usate a vantaggio di Cesare. Si
tratta di un problema di ampia portata che ha già ricevuto comunque risposte adeguate da
parte degli studiosi9. D’altro canto, oltre a questioni generali sul valore dell’intera monografia,
non pochi sarebbero gli stimoli d’indagine che il par. 5 della Coniuratio consentirebbe di
approfondire: non ultima l’immagine di Catilina come anti-Sallustio, che sembra prospettata
volutamente nel testo, «dato che Sallustio, pur muovendosi (come il lettore sa) nello stesso
ambito democratico ed essendo dotato (come s’immagina) di ottime qualità naturali, non si è
lasciato trascinare dalla corruzione dilagante fino allo scelus»10.
Uno sguardo anche immediato, del resto, lascia scorgere delle evidenti analogie con il
quadro ciceroniano11. Di Catilina si traccia un profilo ‘esagerato’12, dove trova posto una
straordinaria energia fisica e morale. C’è innanzitutto un’attenzione forte al corpo di Catilina
e alla sua capacità di sopportare ogni fatica e ogni privazione. Cicerone nella Pro Caelio
afferma con una interrogativa retorica: quis in laboribus patientior? E ancora in Catil. 2, 9
                                                            
8
A. LA PENNA, Il ritratto ‘paradossale’ da Silla a Petronio, in «RIFC» 104, 1976, pp. 270-293, poi in ID.,
Aspetti del pensiero storico latino, Torino 1978.
9
Una brillante sintesi della querelle e delle diverse posizioni si trova in LA PENNA, Sallustio e la
“rivoluzione”… cit., pp. 68 ss.
10
I. MARIOTTI, Gaio Sallustio Crispo. Coniuratio Catilinae, Bologna 2007, p. 208. Al ricco commento del
Mariotti ricorro più volte nel corso della presente analisi.
11
Analogie tra il testo sallustiano e alcuni passaggi ciceroniani sono anche rubricate nel sintetico commento di
V. PALADINI, Sallustius rerum romano rum florentissimus auctor, Napoli 1968, p. 510 ss.
12
C. MARCHESI, Voci di antichi, Roma 1946, p. 45 afferma a tal proposito: «il ritratto sallustiano di Catilina
supera ogni limite, non solo di narratore ma di accusatore».

 
sostiene che Catilina era “avvezzo a sopportare il freddo, la fame, la sete e la privazione del
sonno (adsuefactus frigore et fame et siti et vigiliis perferendis). Non si può non notare
l’analogia con l’espressione sallustiana: corpus patiens inediae, algoris, vigiliae. Questa
attenzione alla forza fisica di Catilina è, d’altra parte, sottolineata più volte dall’Arpinate nelle
Catilinarie (in Catil. 1, 26 si parla di patientia famis, frigoris, inopiae omnium rerum e in 3,
16 si dice che egli frigus sitim famem ferre poterat). È davvero interessante osservare come
Cicerone insista abbondantemente sul ritratto fisico di Catilina, in modo quasi ossessivo: il
trikolon abituale “freddo/fame/sete” viene sfruttato secondo un impiego per così dire
‘formulare’, come metafora concreta della capacità di sopportare duri sacrifici. La grandezza
fisica di Catilina si staglia nitida in mezzo alle tante accuse che l’Arpinate gli rivolge: da un
lato si vuole tratteggiare la statura eccezionale del nemico, che è quella di un grande
capitano13 (perché tanto grande è il nemico tanto più grande è l’onore per averlo sconfitto);
dall’altro, Cicerone intende altresì sottolineare una perfetta corrispondenza tra la forza
esteriore del personaggio/Catilina e la potenza/(il pericolo) devastante che egli rappresentò sul
serio per la res publica.
Se Sallustio afferma che Catilina era subdolus, varius, capace di simulare e dissimulare
(varius evidentemente in questo caso sta proprio per versutus, “polutropos”), nella pro Caelio
si afferma che Catilina era in grado di versare suam naturam, di governarla a seconda delle
circostanze: il cospiratore – Cicerone aggiunge – aveva una natura varia et multiplex e con la
sua virtus adsimulata (par. 14) era stato in grado di raccogliere perfino gente onesta (al punto
che anche lo stesso Cicerone fu quasi tentato di seguirlo). In entrambi i casi ricorre l’aggettivo
varius, che bene inquadra la poikilia di Catilina, la sua attitudine ad aderire alla circostanza e
di sapere usare parole diverse con persone diverse. Cicerone insiste molto su questa capacità
dissimulatoria: l’immagine che ne viene fuori è quasi epica14 e riconduce alla memoria il
personaggio di Ulisse, che fin dall’Odusia di Livio Andronico è definito versutus, multiplex.
Anche l’aggettivo varius rinvia con immediatezza alle mille astuzie di Odisseo. Mi pare che
in queste definizioni si debba comunque intravedere una sottolineatura specifica dell’abilità
oratoria di Catilina e della sua parola mimetica, in grado di persuadere e di creare consenso: la
simulatio, del resto, rientra proprio nella sfera della retorica e dei suoi rischi15. Nel verbum di
Catilina, oltre che nelle sue armi, si cela un novello cavallo troiano, in grado di minacciare sul
serio la rovina della città. Catilina è un Ulisse, dotato di un talento eccezionale, con il quale
riesce ad adattare e controllare la propria natura e ancora ad huc et illuc torquere ac flectere:
l’elenco ciceroniano dell’etopea catilinaria è piuttosto dettagliato ed è concepito secondo uno
schema che richiama ben presto alla memoria le classificazioni tecniche della macchina
retorica. D’altro canto i discorsi che Sallustio attribuisce a Catilina (Catilina 20 e 58)
costituiscono una specie di cartina al tornasole dell’eloquentia del suo personaggio, la cui
performance oratoria si presenta di alto profilo16. Catilina, infatti, sa cum tristibus severe, cum
remissis iucunde, cum senibus graviter, cum iuventute comiter, cum facinerosis audaciter,
cum libidinosis luxuriose vivere: un pannello completo che non tralascia nessuna sfumatura.
Ogni singola espressione sembra rinviare ad un personaggio teatrale in miniatura, una sorta di
ossatura semplice di un disegno variegato che trova una sintesi e una ragione nel personaggio
storico di Catilina. Un figura multiplex, insomma, un versutus, abile a simulare e a
dissimulare.
                                                            
13
In questi termini si esprime E. MALCOVATI, Sallustio. De Catilinae coniuratione, Torino 1971, p. 19 n. 3.
14
Sul carattere epico della storiografia sallustiana, con particolare riferimento comunque al Bellum Iugurthinum
e alle Historiae, vd. LA PENNA, Sallustio e la “rivoluzione”… cit., p. 361 ss.
15
Lo ha ben dimostrato E. NARDUCCI, Cicerone e l’eloquenza romana. Retorica e progetto culturale, Roma-Bari
1997. 
16
Vd. MARIOTTI, Gaio Sallustio Crispo… cit., p. 216.

 
Nel ritratto epico dell’‘eroe/congiurato’ c’è però una differenza rilevante tra Sallustio e
Cicerone, una differenza che in generale segna nel suo insieme il confronto tra i due ritratti
celebri. Mentre Cicerone concede molto spazio alle parole, c’è una copia verborum, Sallustio
mira, come è noto, alla sintesi: è, questa, la cosiddetta brevitas sallustiana. La concisività di
Sallustio risulta comunque molto più eloquente della raffigurazione ciceroniana. In Sallustio
ogni aggettivo, ogni elemento è infatti selezionato con consapevolezza ‘artistica’ ed è giocato
nel testo in modo calcolato. Si veda per esempio la presenza di un preziosismo come algor,
usato al posto del più consueto frigus ma anche in alternativa al più comune algus: si tratta di
un imprestito tragico, che è appunto sapientemente usato allo scopo di realizzare una sorta di
impennata artistica del ritratto. Nel medaglione di Catilina, d’altra parte, sono state
sottolineate le tracce della storiografia tragica17. Non meno interessante è, in tal senso, l’uso di
iuventus come astratto (non ‘giovani’ ma ‘gioventù’)18, che risponde in maniera adeguata al
dilectus verborum tipico dell’elaborazione stilistica sallustiana19. C’è una ‘condensazione
espressiva’ che si propone di aprire negli occhi del lettore uno spazio figurativo più ampio di
quello tratteggiato. Sallustio mira, al di là di ogni valutazione possibile, a fare un ritratto alto
di Catilina e per questo ne elogia innanzitutto la virtus. Proprio dalla virtus (adsimulata, però)
prende le mosse anche Cicerone nel pannello della pro Caelio: al centro, dunque, c’è l’uomo,
con le sue contraddizioni, con la sua fluttuazione tra legame e rottura con il modello
antropologico di vir. Virtus, difatti, va anche intesa, secondo il suo senso originario, come ciò
che è in grado di rendere un uomo degno di essere definito vir, in altre parole come «l’energia
realizzatrice dell’uomo: l’oscillazione semantica, l’ambiguità, che riproduceva quella del
greco areté e, come quella, era carica di molta storia culturale, aiutava a celare il ‘paradosso’,
ma non poteva eliminarlo»20. Eguale variabilità di senso si nasconde inoltre nell’aggettivo
vastus, con il quale Sallustio definisce l’animus di Catilina: vastus, ovvero ingens, riproduce
tanto l’idea della grandezza quanto quella della desolazione, della devastazione, del
saccheggio. Un modo condensato di mostrare quanto esagerati, smodati e soprattutto sbagliati
fossero gli appetiti del congiurato.
Alla luce di queste considerazioni si può affermare che la valutazione di Catilina non
scaturisca dall’analisi delle sue qualità, o meglio non solo dall’analisi delle sua qualità ma
soprattutto dai fini: una malvagità teleologica, nel senso che si tratta di energie buone
negativamente orientate. È su queste antinomie che poggia l’affresco psicologico e culturale
di Catilina: «una concentrazione potente di attributi, che si illuminano e si offuscano a
vicenda, in una compattezza sintattica asindetica, fatta di corrispondenze chiastiche e
antitetiche, in un susseguirsi concitato e nervoso di pennellate incisive, che mirano a svelare il
duplice volto dell’eroe della congiura: l’esterno e l’interno»21.
Lo schema paradossale di Sallustio si affermerà, infatti, come paradigma della ritrattistica
storiografica al punto che Tacito ad esso farà ricorso più volte per molti dei suoi profili
biografici22.
Dalla descrizione delle doti personali di Catilina si passa infine al riferimento a luxuria e
avaritia, due mali opposti che stanno minando alla base la società: quella sulla ricchezza è
una polemica di lungo corso, che aveva trovato una voce privilegiata già nel vecchio Catone,
                                                            
17
LA PENNA, Sallustio e la “rivoluzione”… cit., p. 348 ss.
18
Di solito infatti ci si aspetterebbe adulescentia; si può obiettare che si tratti di variatio, perché un momento
prima era già stato usato il termine adulescentia, ma la stessa accortezza lessicale lascia il segno sull’attenzione
stilistica che Sallustio rivolge al passo.
19
Di dilectus verborum parla MARIOTTI, Gaio Sallustio Crispo… cit., p. 213.
20
Cfr. LA PENNA, Il ritratto paradossale… cit., p. 286.
21
Così B. RIPOSATI, L’arte del ritratto in Sallustio, «RCCM» 10, 1968, pp. 176-177.
22
Ne ha fatto un breve ma significativo excursus LA PENNA, Il ritratto paradossale… cit., pp. 286-288.

 
così come ricaviamo da alcuni discorsi riportati da Livio e in generale dalle dure critiche
rivolte al lusso femminile, echeggiate pure nelle trame plautine. Di luxuria una
rappresentazione speciale è ospitata nel prologo plautino del Trinummus, dove proprio
compare la prosopopea di Luxuria accompagnata dalla figlia Inopia. Plauto, qui e altrove,
registra i primi segni di un cambiamento sociale, ovvero di quella che risulterà poi una vera e
propria rivoluzione sociale ed economica. Quando Sallustio scrive quei mali non sono più da
scongiurare, perché sono già radicati nella società. La riflessione sul buon uso della ricchezza
ha un senso diverso, in quanto riflette sui rimedi e non più sulle scelte.

Il ritratto di Catilina, dunque, così come concepito dalla penna ciceroniana e da quella
sallustiana, svela i contorni di un uomo, che rimane fortemente ancorato alla sua realtà storica
ma che si avvia ad essere metafora di se stesso. Nella descrizione che Cicerone fa del
congiurato nella pro Caelio questa metamorfosi è già in atto: le pennellate dell’Arpinate sono
su un piano altro rispetto alla stessa credibilità storica e appaiono piuttosto come ‘aggettivi’
ad alto tasso di letterarietà. Ovviamente non c’è nessun tradimento della materia documentata
(che del resto era ancora ricordo vivo, fatto di carne e sangue), ma essa si presta agevolmente
(o forse sarebbe più corretto dire ‘è concepita ad arte per’) ad essere trasfigurata. Non è
casuale, d’altronde, che di Catilina si possa appunto evidenziare la paradigmaticità, sia essa in
positivo o in negativo: quando una persona si trasforma in personaggio, allora la res si spoglia
della contingenza e diventa strumento di lettura della storia medesima e della cultura in
generale. È in questo modo che la storia, con il suo carico patetico, può diventare teatro,
proprio secondo quegli schemi retorico-tragici auspicati da Cicerone nell’Epistola a
Lucceio23. La materia catilinaria, del resto, si presterà perfettamente alla penna tragica, come
testimonia la letteratura drammatica e, in particolar modo, il Catilina di Ibsen, che per la
rappresentazione della ‘passione’ sceglie ancora lo sguardo femminile24.
Nell’affresco sallustiano ciò appare incredibilmente vero: ‘incredibilmente’ proprio
perché all’interno di un’opera storica sono le stesse ragioni della storia ad andare al di là
dell’occasione concreta e a stimolare un’osservazione in controluce. Il ritratto di Catilina, fin
dall’incipit, supera i confini della storiografia e diventando narrazione: oltre il riferimento alla
dominatio Sullae, che comunque nel testo – come in un certo immaginario – costituisce più un
riferimento logico che cronologico (alla base infatti non c’è soltanto l’intenzione di effettuare
una puntualizzazione cronologica quanto soprattutto quella di indicare uno spazio politico
aperto determinato dalla fine dell’era sillana), la rappresentazione del cospiratore si colloca
infatti all’interno di coordinate indefinite, dove l’uomo è ‘pre-testo’ e lo spazio e il tempo
sono un ‘extra-testo’ discreto.
Alla luce di queste premesse, non è azzardato dunque effettuare una lettura del ritratto
secondo chiavi ermeneutiche differenti da quelle immediatamente richieste dallo stesso passo.
Fruttuosa, ad esempio, appare la possibilità di rileggere il brano sallustiano a partire da una
prospettiva di tipo pedagogico.

                                                            
23
Vd. in merito G. PETRONE, Passioni e ‘tragedia’ della storia. Cicerone e l’epistola a Luccio, «Pan» 21, 2003,
pp. 131-142. Alla storiografia tragica dedica dense pagine A. FOUCHER, Nature et formes de l'«histoire tragique»
à Rome, «Latomus» 59, 2000, pp. 773-801.
24
L’elenco potrebbe essere naturalmente molto più ricco, da Crébillon a Voltaire, non trascurando la traduzione
accattivante di Alfieri. Il carattere paradigmatico della vicenda di Catilina è stato inoltre ben evidenziato dalla
raccolta di studi di Y.-M. BERCÉ-E. FASANO GUARINI (éds), Complots et conjurations dans l’Europe moderne,
Roma 1996, all’interno dei quali si è provato a rileggere la congiura dell’uomo romano per commentare in modo
stimolante i complotti francesi.

 
Già nell’incipit Sallustio, affermando che Catilina fu di “gran vigore intellettuale e fisico”
(magna vi animi et corporis) ma di indole malvagia, sottolinea senza fraintendimenti la
necessità di una formazione che educhi la mente e il corpo, così come voleva il modello
classico della kalokagathia. L’idea di un’armonia tra forze fisiche e forze morali sta alla base,
come è noto, del punto di vista ‘organico’ del modello pedagogico antico25: nell’ideale della
Paideia trova una collocazione singolare questa unità equilibrata delle parti, che confina
naturalmente con il concetto stesso di identità. Si tratta, in altri termini, di un’impostazione
metafisica, dalla quale deriva ogni idea sull’educazione e alla luce della quale va letto il
pensiero filosofico greco-romano. Come nella dimensione grafica (kalokagathia) ‘bontà’ e
‘bellezza’ vengono ricondotte, verbalmente (e quindi metafisicamente), ad unum, in quanto il
bello, ovvero la cura del sé esterno, non può essere scissa dal bene, ossia la cura del sé
interno. Se l’educazione fisica rappresenta un punto indiscutibile di forza per una valutazione
di Catilina, all’attenzione per il corpo, però, non corrisponde una parallela e sollecita capacità
di fruire dell’onestà, dell’armonia, dell’eleganza e, dunque, della bellezza. Il congiurato è
magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque: ha un ingenium in disaccordo con
le sue qualità da imperator. Nel testo c’è un’antimonia calcolata tra l’aspetto fisico e l’aspetto
morale, che è imperniata su una contrapposizione sbilanciata, poiché si istituisce una sorta di
asimmetria stilistica tra due sostantivi (et animi et corporis) e due aggettivi (malo pravoque):
se ne ricava una reazione ‘chimica’ esplosiva che amplifica la portata di questa presentazione,
la cui armonia non è neppure garantita dal piano espressivo.
La descrizione sallustiana continua inoltre con l’elenco di tutto ciò che era
particolarmente gradito a Catilina fin dall’adolescenza: bella intestina, caedes, rapinae,
discordia civilis; siamo in presenza di un campo semantico (guerra, discordia) che indirizza
ancora verso una rottura dell’ordine e dell’unità. Il cospiratore fin dall’inizio appare privo di
quell’equilibrio interiore necessaria per formare l’uomo.
L’importanza dell’esercizio fisico e quindi della cura del corpo (che, come abbiamo
osservato, riceve pari attenzione anche nelle parole ciceroniane) viene nuovamente
sottolineata da Sallustio subito dopo (corpus patiens inediae, algoris, vigiliae) ed anzi essa è
annoverata tra i mirabilia: rimane, questa, una indiscussa dote positiva di Catilina ma l’effetto
altisonante, quasi epico, dell’affermazione acuisce il contrasto con il vuoto morale del
personaggio.
Alla rottura dell’identità-unità concorre ancora l’aggettivo varius (5, 4), con il quale in
ultima istanza si mette in risalto l’assenza di un animo ‘unus’ e si evidenzia di converso
l’incostanza intellettuale. Espressioni come “alieni adpetens, sui profusus” (“bramoso
dell’altrui, prodigo del suo”) mostrano inoltre un’estrema lontananza dal rigorismo etico che
dovrebbe animare l’uomo di stato, capace di praticare l’onestà e il distacco dai beni materiali.
Chi ambisce a governare dovrebbe possedere infatti giustizia e conoscenza: Platone nella
Repubblica non a caso arriva a ipotizzare il governo esclusivo dei filosofi debbono governare,
perché essi conoscono la verità e hanno quelle doti di ‘saggezza’ che consentono loro di stare
a capo di una comunità.
Ad un elemento cardine del processo di formazione del giovane romano rinvia un’altra
affermazione di Sallustio su Catilina: satis eloquentiae, sapientiae parum. Si ha a che fare con
una questione delicata, che è ben sintetizzata da Cicerone in inv. 1, 1, allorquando nota che la
saggezza senza l’eloquenza giova poco, ma che d’altra parte l’eloquenza senza la saggezza
nuoce troppo e mai giova26. La ‘retorica’ (eloquentia), quale valorizzazione della parola,
                                                            
25
W. JAEGER, Paideia. La formazione dell'uomo greco, Firenze 1936, pp. 97-98.
26
Il riferimento a questo passaggio ciceroniano si trova in MALCOVATI, Sallustio… cit., p. 20 ad loc. ed è
opportunamente rubricato in tutti i commenti del passo sallustiano.

 
assume un ruolo di primo piano ed è, come abbiamo già sottolineato, una qualità riconosciuta
a Catilina: essa però non è accompagnata dalla sapientia, l’altra dote basilare del modello
pedagogico romano, senza la quale non ha nemmeno senso l’arte del dire, perché sguarnita
del necessario bagaglio valoriale. L’educazione retorica a Roma del resto era parte integrante
del progetto pedagogico di un individuo, e soprattutto dell’uomo politico, del vir bonus
dicendi peritus. Si tratta di un modello educativo che attraversa tutta la storia culturale
romana, da Catone a Quintiliano. Il punto focale di questo paradigma risiede nel “sapere”,
nella “saggezza”, o meglio in una cultura che scaturisca direttamente dalle humanae litterae.
Si comprende allora come formare l’Umanità dell’uomo diventi l’imperativo basilare
dell’ideale pedagogico classico, tutto teso a trasmettere quei valori che l’uomo ha elaborato in
rapporto al mondo e alla società. L’humanitas è questa scoperta dell’uomo e la conseguente
volontà di modellare l’uomo secondo la sua vera forma, che è poi quella della collettività: per
appropriarsi di questa cultura ‘umana’, mezzo necessario diviene allora proprio l’arte della
parola27. Catilina è dotato di eloquentia, anzi, come precisano tanto Cicerone quanto Sallustio,
è in grado di declinare con maestria questa sua abilità a seconda delle circostanze; gli manca
però la sapientia, senza la quale la sua capacità oratoria assume inevitabilmente contorni
pericolosi e diventa, al pari delle armi, una minaccia per la res publica.
Che la figura di Catilina sia presentata sempre più come un anti-modello di Paideia
appare chiaro anche dalle parole successive del passo (vastus animus inmoderata,
incredibilia, nimis alta semper cupiebat), tramite le quali vengono rimarcati i desideri
eccessivi del cospiratore (dall’animo “insaziabile”, vastus), desideri, per dirla con Platone,
oltre ‘giustizia’, in quanto la in-scientia di Catilina non può corrispondere al ruolo di
governante-saggio. È fondamentale comunque osservare come alla rappresentazione negativa
del personaggio di Catilina si accompagni un’altrettanta non lusinghiera descrizione della
civitas in cui maturano i presupposti della congiura. Sallustio sottolinea come i civitatis mores
siano stati corrupti dall’avidità e dal lusso e ci prospetta quindi una vera e propria crisi della
cultura e di conseguenza dell’humanitas. Sono dunque messi in discussione proprio quei
valori e quei significati umani e sociali, sui quali si imperniava il modello pedagogico di
Roma. Date tali premesse, non stupisce dunque che Catilina, diversamente dal ‘filosofo’
pensato da Platone, non abbia come fine il conseguimento della virtù (che è la conoscenza del
bene), bensì “uno sfrenato desiderio di impadronirsi del potere” (lubido maxuma rei publicae
capiundae).
Sallustio conferma che la repubblica, a causa della corruzione, da pulcherrima28 et
optima si è trasformata in pessima et flagitiosissima. Esiste, per così dire, una macro-
kalokagathia (l’insieme dei valori e dei significati su cui si regge una data società) all’interno
della quale si situa la micro-kalokagathia (i valori che il singolo uomo elabora in rapporto al
proprio mondo e alla propria società): solo quando si ha una civitas “humana” è possibile
avere un uomo “humanus”. In questo scivolamento dall’individuo alla civitas si coglie il
senso delle contraddizioni di Sallustio. Benché Catilina sembra possedere innegabili qualità e
una propensione quasi carismatica ad essere primus, egli però non sfugge alla crisi culturale
del suo tempo: è corrotto anche perché è corrotta la società. C’è uno iato tra le qualità del
singolo ed il panorama sociale, poiché la degenerazione pubblica fa sì che le virtù del singolo
si convertano in vizi.
Non si può certo affermare che il pannello ‘negativo’ di Catilina venga in qualche modo
ridimensionato dall’esame delle colpe della civitas, ma sicuramente esso riceve un senso
                                                            
27
Cfr JAEGER, Paideia… cit., p. 12 ss.
28
Pulcher va chiaramente inteso anche in senso morale, così come del resto avviene normalmente per il greco
kalòs.

 
nuovo da questo sguardo allargato. Come chiarisce bene Syme, «il ritratto morale di
Catilina… introduce un lungo excursus sulla storia del popolo romano, fin dai suoi inizi.
Prosegue poi col tracciare un panorama della pubblica corruzione… L’autore riprende, quindi,
il discorso su Catilina»29. Si compie quindi un movimento circolare, con il quale si arriva a
dimostrare che, quando non funziona il sistema, allora fallisce anche la formazione del
singolo.
Emerge in questi termini, pertanto, il profilo pedagogico del passo. È interessante peraltro
che il ritratto sallustiano prenda le mosse proprio dall’adulescentia di Catilina, ovvero da quel
periodo, biologico e culturale, nel quale si compie il delicato passaggio alla maturità: il
tirocinio dell’adolescenza a Roma rappresenta un momento di primo piano per la formazione
dell’individuo, quale uomo assennato e politicamente integrato30. In Sallustio, anzi, l’unico
riferimento ‘cronologico’ a Catilina è proprio quello dedicato alla sua adulescentia (…ab
adulescentia…)31, dopodiché egli diventa personaggio senza tempo. Osserva opportunamente
Olivieri Sangiacomo che i tratti del congiurato sono delineati «in una fissità quasi fuori del
tempo»32.

Mentre in Sallustio il quadro biografico di Catilina si chiude con il riferimento ai mores


della civitas, ovvero si allarga verso coordinate più ampie volte ad indagare le ragioni non di
una crisi personale ma di una crisi di sistema, nella pro Caelio di Cicerone la prospettiva è
differente. L’Arpinate sembra concentrato ad indagare le ragioni particolari di una devianza:
l’analisi della capacità di affascinare da parte di Catilina sembra collocarsi come peculiarità
dell’individuo. In realtà anche il ritratto ciceroniano di Catilina rientra in un quadro più
esteso, fino a sfiorare le osservazioni macro-scopiche, sulle quali si concentra più
compiutamente la pagina sallustiana. La pro Caelio infatti pone in primo piano proprio le
ragioni di una flessibilità del sistema pedagogico romano. Cicerone, sebbene guidato nelle sue
opinioni dalle ragioni della difesa, mostra un punto di vista interessante, esplorando una
prospettiva nuova con cui guardare ai difficili processi di formazione dei giovani. Questo
rovello critico è esplicitato in più punti dell’orazione ed è reso lampante da una lunga sezione
‘scenica’, dove l’Arpinate simula i diversi modi con cui un padre può guardare le
intemperanze del figlio33. Non è un caso che vengono riattivati, sotto forma di citazione,
proprio gli Adelphoe di Terenzio (al par. 38), che forse per primi nella cultura romana
avevano affrontato scopertamente i nodi complicati dell’educazione.
Ovviamente Sallustio e il Cicerone della Pro Caelio non guardano esattamente con gli
stessi occhi al problema. Il primo appare più orientato a mettere in primo piano le ragioni e la
necessità di rigorismo pedagogico, mentre l’Arpinate mira a rilevare i rischi di un’eccessiva
intransigenza pedagogica, un’intransigenza che non sia capace di modellarsi con le nuove
generazioni e che non tenga conto delle necessarie specificità delle varie tappe biologiche.
                                                            
29
R. SYME, Sallustio, Brescia 1968, p. 83.
30
Affronto questo argomento, a partire dagli stimoli del teatro comico, in M.M. BIANCO, Il tirocinium
adulescentiae, in T. BAIER (Hrsg.), Generationenkonflikte auf der Bühne. Perspektiven im antiken und
mittelalterlichen Drama, Tübingen 2007, pp. 113-126.
31
Sempre all’adulescentia di Catilina si fa riferimento in Sall. Cat. 15, 1; 31, 7.
32
L. OLIVIERI Sangiacomo, Sallustio, Firenze 1954, p. 92. Anche MARIOTTI, Gaio Sallustio Crispo… cit., p. 212
sottolinea come prevalga «dopo il cenno all’età giovanile, un’immagine ‘statica’ dell’uomo, visto come fuori del
tempo nelle due componenti essenziali della persona».
33
Sulle tinte comiche della pro Caelio cfr. K.A. GEFFCKEN, Comedy in the «Pro Caelio», with an Appendix on
the «In Clodium et Curionem», Leiden 1973. Analizzo alcuni termini della questione in BIANCO, Il tirocinium…
cit.

10 

 
Ma quel che conta è che entrambi, tanto Sallustio quanto Cicerone, parlando di Catilina
finiscano in qualche maniera per mostrare un interesse nei confronti di un’analisi/revisione
del modello antropologico di riferimento. Sia Sallustio sia, più volte, Cicerone (anche nelle
Catilinarie e nella Pro Murena) sottolineano come, al di là degli strati sociali inferiori,
soprattutto i giovani siano stati affascinati da Catilina. Nel congiurato si sostanzia un nuovo
modo con cui guardare alla civitas e situarsi al suo interno, un modo lontano per certi versi
dagli schemi aristocratici.
Quando si parla di Catilina, dunque, si finisce per parlare di formazione culturale; e
quando si tratta di formazione allora al centro degli interessi ci sono i giovani, c’è
l’adulescentia. Catilina, quindi, può essere inquadrato anche come una metafora efficace della
gioventù romana del suo tempo? Catilina è la metafora di un disagio sociale e culturale che
attraversa la repubblica romana morente e che trova nei giovani (nelle loro adesioni alle
nuove idee, talora rivoluzionarie, e negli slanci eroici con cui molti di loro vissero quegli
ideali) l’espressione più autentica, ma fors’anche più dolorosa e inadeguata? Questi
interrogativi sono soltanto delle rischiose provocazioni, ma consentono al lettore moderno di
potere rileggere la storia, di piegarla e farne una metafora. In maniera più cauta possiamo
invece dire che con Catilina la gioventù romana ha un’ulteriore opportunità per rivendicare a
se stessa un ruolo da protagonista nelle vicende storiche. Ne viene conferma, del resto, dalla
paura straordinaria della classe senatoria, che si adoperò con tutte le forze per impedire
l’accesso regolare e irregolare di Catilina al potere e che, come chiarisce Cicerone in catil. 2,
temeva proprio i pueri lepidi ac delicati che avevano abbracciato la cospirazione catilinaria.
Elencando quanti avevano abbracciato la causa catilinaria, Cicerone (catil. 2, 22) chiarisce
che fra questi si distinguono anche quos pexo capillo, nitidos, aut imberbis aut bene barbatos
videtis, manicatis et talaribus tunicis, velis amictos, non toga; quorum omnis industria vitae
et vigilandi labor in antelucanis cenis expromitur. In his gregibus omnes aleatores, omnes
adulteri, omnes inpuri inpudicique versantur34.
Al seguito di Catilina c’è dunque tutta la jeunesse dorée di Roma35 – diremmo noi – o,
come ancora una volta precisa Cicerone con sottile cattiveria, i giovani alla moda, un gruppo
piuttosto ‘intimo’ di Catilina, una congrega di “adulteri, scostumati e depravati”.

                                                            
34
Anche nel discorso che Sallustio fa pronunciare a Catone si sottolinea la presenza di adulescentes nella schiera
catilinaria. Catone con forte sarcasmo, rivolgendosi ai senatori, afferma (56, 26): misereamini, censo. Deliquere
homines adulescentuli per ambitionem; atque etiam armatos dimittatis.
35
Una bella definizione di NARDUCCI, Cicerone e i suoi interpreti… cit., p. 81.
11 

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