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LETTERATURA LATINA

DALL’Età DEI GRACCHI ALL’Età DI CESARE

CONTESTO STORICO E CULTURALE


Negli ultimi decenni del II secolo a. C le strutture politiche, sociali ed economiche della res pubblica iniziano
a manifestare i primi segni di crisi. Le conquiste del II- III secolo avevano rafforzato l’aristocrazia terriera a
danno della piccola e media proprietà e di fronte alle rivendicazioni delle plebe rurale, la classe dirigente si
suddivide in due fazioni:
 Gli Optimates di orientamento conservatore;
 I Populares promotori di riforme a vantaggio dei ceti meno abbienti, in questa categoria si
riconoscevano anche gli equites che richiedevano maggiore peso politico e i socii italici che
premevano per ottenere la cittadinanza romana.
Un tentativo per risolvere la questione fu promosso dai fratelli Tiberio e Gaio Sempronio Gracco attraverso
una riforma che prevedeva la confisca di parte dell’agro pubblico, occupato abusivamente dai grandi
proprietari terrieri, per ridistribuirlo ai nullatenenti. L’opposizione degli optimates determinò l’insuccesso
del progetto, entrambi furono uccisi in quanto visti come dei nemici e la loro riforma non fu mai attuata.
Dopo la riforma dei Gracchi la crisi agraria si aggravò fino a compromettere il sistema di reclutamento
militare, basato sul censo. In occasione della guerra giugurtina, Gaio Mario (esponente dei populares) attuò
una riforma dell’esercito che prevedeva l’arruolamento di volontari nullatenenti. Questa riforma spinse un
gran numero di contadini poveri e proletari ad arruolarsi per ottenere, oltre al compenso militare, anche
l’assegnazione di terre che diventò l compenso abituale attribuito ai veterani, cioè ai soldati giunti al
termine del proprio servizio. La formazione però di eserciti professionali fedeli al proprio generale invece
della patria diventò ben presto un pericoloso incentivo per tentativi di conquista illegale del potere a Roma.
Nel 90 a. C i socii italici non avendo ottenuto risposta riguardo la cittadinanza, si ribellarono contro Roma
dando il via ad una guerra sociale. Questa rivolta, in cui vi fu la resa di molti insorti, portò all’approvazione
della legge che concedeva la cittadinanza agli alleati rimasti fedeli o agli insorti che avessero deposto già le
armi o si fossero arresi in breve tempo.
All’inizio del I secolo a. C lo scontro tra il potere degli optimates e i populares si accentua e dopo un lungo
predominio dei populares di Gaio Mario, gli optimates riuscirono a prendere il potere attraverso un colpo di
Stato militare guidato da Lucio Cornelio Silla. Egli instaurò la dittatura (81- 79 a. C) e riformò lo Stato in
senso aristocratico, riducendo di conseguenza l’influenza politica della plebe e degli equites. Silla una volta
completate le riforme si ritirò a vita privata nel 79 a. C e l’anno successivo morì.
In questi anni e in quelli successivi Roma si trovò a fronteggiare due grandi rivolte:
1) La rivolta secessionista che Sertorio, un generale di Gaio Mario, aveva organizzato nella penisola
iberica unendo i cittadini romani e gruppi della popolazione locale (80- 72 a. C);
2) La rivolta degli schiavi dell’Italia meridionale capeggiata da Spartaco (73-71 a. C).
In queste operazioni militare assume un ruolo di rilievo Gneo Pompeo, che nel 70 a. C insieme a Marco
Licinio Crasso fece votare alcune proposte di legge che abolivano le riforme della costituzione approvate da
Silla e fu malvisto dai populares e dagli equites. Di fronte all’ostilità del Senato, che vedeva nel suo potere
una minaccia per le istituzioni, Pompeo strinse un’alleanza politica privata con due popularess, Crasso e
Gaio Giulio Cesare (il primo triumvirato, 60 a. C).
Cesare divenne consolo nel 59 a. C con l’appoggio di Pompeo e Crasso e attuò così il programma del
triumvirato, che comprendeva interventi a favore degli equites e dei veterani di guerra di Pompeo, ottenne
anche il proconsolato delle Gallie. Cesare conquistò la Gallia Transalpina e aspirava a farsi eleggere console
nel 48 a. C, questo però avrebbe comportato le ostilità da parte degli optimates ma anche di Pompeo che,
visti i successi ottenuti, si riavvicinò all’aristocrazia senatoria. Cesare si rifiutò di cedere alle volontà del
Senato e varcò il Rubicone con il proprio esercitò nel 49 a.C e marciò su Roma, nel frattempo Pompeo si
rifugiava in Oriente insieme a molti aristocratici. L’anno successivo, sconfitte le truppe di Pompeo, Cesare
venne nominato dittatore. La carica fu rinnovata nel 46 a.C e nel 44 a. C gli fu conferita a vita, quindi nel suo
potere dovevano sommarsi il potere militare, garantito dalla fedeltà incondizionata degli eserciti, e il potere
civile. Nonostante comunque Cesare cercò la via della mediazione con i propri avversari ovvero l’oligarchia
senatoria, quest’ultimi organizzarono una congiura contro di egli e la quale terminò con l’uccisione di
Cesare nel 44 a. C.
Nella prima età repubblicana la coesione della classe al potere e il controllo da essa esercitato sulla vita
culturale avevano fatto sì che la letteratura rispecchiasse una visione piuttosto unitaria, incentrata sul
rispetto dei principi e dei valori su cui poggiava la potenza romana, ovvero la dedizione del singolo alla
Stato, la subordinazione della sfera individuale a quella pubblica, l’adesione a modelli di comportamento
fissati dalla tradizione e condizionati dalla collocazione sociale dell’individuo.
Nel II secolo a. C il contatto con la cultura greca aveva innescato una riflessione critica sul mos maiorum e
l’età che va dai Gracchi a quella di Cesare determinò una profonda crisi dei valori tradizionali in quanto non
erano più proponibili quei valori di fronte alla violenza e alla corruzione che si erano diffuse.
Si affermano quindi atteggiamenti di rifiuto dell’impegno politico e molti poeti appartenenti all’età di
Cesare difendono il disimpegno dalla sfera pubblica (otium) come scelta di vita, primo tra tutti Catullo.
Visti i continui conflitti interni la classe dirigente romana non era più in grado di porsi alla guida delle
trasformazioni culturali in atto e né di proporre un’interpretazione univoca della realtà, infatti i generi
tradizionali come la storiografia e l’oratoria diventano occasione, da parte degli autori, per schierarsi su
posizioni politiche.
La crisi dei valori tradizionali ha come principale risvolto l’affermazione dell’individualismo inteso
principalmente come moltiplicazione dei punti di vista etici, politici e culturali e sia come valorizzazione
della dimensione privata rispetto a quella pubblica. Questo fenomeno condizionò in modo profondo
l’evoluzione dei generi letterari e l’atteggiamento dei Romani nei confronti della filosofia.
GENERI LETTERARI
Nel periodo compreso tra i Gracchi e l’età di Cesare si assiste a uno sviluppo notevole della produzione
letteraria sia per l’influsso dei modelli greci sia per l’emergere di nuove influenze culturali ed espressive.
Tra la fine del II secolo a. C e l’inizio del I secolo a. C le forme teatrali tradizionali, tragedia e commedia, si
avviano verso il declino, mentre in ambito poetico l’individualismo favorisce la diffusione della lirica,
incentrata principalmente su temi intimi e soggettivi e destinata alla fruizione privata. Sul versante della
prosa continuano a essere praticate l’oratoria e la storiografia, anche se ci sia rimasto ben poco di questa
produzione. I romani inoltre cominciano a coltivare ed approfondire materie tecniche tipo la grammatica, la
retorica, la filologia e il diritto con la conseguenza dell’aumento di opere di carattere manualistico (unico
documento superstite di questo genere è il Rhetorica ad Herennium composto di quattro libri).
Nell’età di Cesare i generi dell’oratoria e della storiografia raggiungo la massima fioritura. L’oratoria è
rappresentata da Cicerone considerato dai proprio contemporanei l’oratore più valente che Roma abbia
mai avuto. La storiografia invece ha come prestigioso esponente lo stesso Giulio Cesare che svolse un
lavoro di vero e proprio storico, ma abbiamo anche Sallustio che cerca di capire e d’interpretare i grandi
rivolgimenti di cui è stato testimone.
A questi due si aggiungo altri generi, rappresentati anche in maniera dominante dallo stesso Cicerone come
la prosa filosofica e il dialogo di tipo platonico- aristotelico, adottato per trattare argomenti filosofici, politici
e retorici. Anche la pubblicazione postuma delle sue lettere dà un forte impulso all’epistolografia latina,
facendone un vero e proprio genere letterario. In questo periodo nasce anche la biografia di cui Cronelio
Nepote rappresenta il primo esponente a noi noto. Rimangono invece solo tracce esigue della trattatistica
anche se ampiamente coltivata.
La poesia dell’età di Cesare si distingue dalla prosa per un maggior distacco dalla tradizione e per una presa
di distanza dalla vita pubblica e dalle vicende storico- politiche. Gli unici politici, a differenza di quelli del
passato, tendono a svolgere questa attività nell’ambito privato, considerandola un passatempo e uno
svago. I poeti veri e propri invece si orientano su temi e forme diverse rispetto a quelli tradizionali cioè
meno impegnati ideologicamente e maggiormente consoni a un gusto artistico più raffinato e sofisticato.
Di questo tipo di poesia sono giunti a noi solo delle opere frammentarie appartenenti a Lucrezio e Catullo, i
quali riflettono perfettamente la crisi spirituale a loro contemporanea assumendo atteggiamenti
anticonformisti liberi dai condizionamenti del potere politico.
Lucrezio resta più legato al passato, inserendosi nella tradizione dell’epos, ma scrive un poema epico-
didascalico d’argomento filosofico che si pone in netto ed esplicito contrasto con la visione tradizionale.
Catullo invece indaga quel ripiegamento sull’individuo che portò all’affermazione della poesia soggettiva.
Egli era inserito in un preciso ambiente culturale cioè il movimento “neoterico”, che si stacca
deliberatamente dalla tradizione letteraria romana per ispirarsi a modelli ellenistici. In questo movimento la
poesia è percepita come lusus cioè gioco raffinato ed elegante riservato a pochi intenditori ed è anche
chiaro che questo ebbe notevoli implicazioni ideologiche ovvero significa rivendicare all’otium letterario un
valore autonomo, trasferendo così la poesia nella sfera privata e individuale e rifiutando nettamente la
funzione civile e politica della letteratura.
LA FILOSOFIA
Nella prima metà del I secolo a. C il disagio culturale e spirituale favorisce il diffondersi delle dottrine
filosofiche greche. Nonostante comunque l’avversione dell’aristocrazia conservatrice, la quale vedeva nella
filosofia un potenziale per fomentare scelte etico- politico contrarie alla tradizione romana, gli studi
filosofici erano divenuti parte integrante della formazione culturale dei giovani appartenenti ai ceti colti di
orientamento filellenico.
Nelle dottrine filosofiche greche i Romani cercavano risposte ai loro dubbi e ai loro problemi esistenziali, a
esse chiedevano strumenti razionali d’interpretazione della realtà e orientamenti di vita coerenti con una
visione globale del mondo e dell’uomo. Le varie dottrine filosofiche:
 Neopitagorismo  Era una filosofia misticheggiante con carattere esoterico (segreto, riservato agli
iniziati) e prometteva ai propri adepti, grazie alla purificazione ottenuta con pratiche di tipo
ascetico, la salvezza e la felicità in un’altra vita che attendeva l’anima dopo la morte. A questo tipo
si associano anche i vari culti misterici legati a divinità orientali.
 Epicureismo  Negli ambienti colti ebbe maggior successo la filosofia epicurea. Essa proponeva
una concezione rigorosamente materialistica e razionalistica, negava ogni intervento divino nelle
vicende umane e consigliava l’astenersi delle cariche pubbliche e una vita ritirata, dedita allo studio
e alla fruizione dei piaceri fisici e intellettuali. Un influsso particolarmente rilevante esercitarono a
Roma due filosofi epicuri, Sirone e Filodemo, intorno ai quali si formarono delle vere e proprie
scuole e circoli culturali. Il successo che incontrò l’epicureismo a Roma è spiegato da Cicerone con
la semplicità della dottrina e con la facile attrattiva esercitata dall’ideale di piacere, indicato da
Epicuro come lo scopo della vita umana. L’adesione a questa scuola è indizio dell’allontanamento
dal mondo politico, dalla stanchezza e dalla delusione che portavano a rinchiudersi nel privato, alla
ricerca di una serenità tutta individuale ed egoistica. L’epicureismo, nel I secolo a. C trovò come
proprio cantore Lucrezio, l’unico che in quest’età si dedicò a una poesia ideologicamente
impegnata non un impegno politico, ma un l’impegno di aiutare gli uomini a liberarsi dalle paure e
dalle angosce che si scatenano dal perseguimento di falsi scopi e assecondano aspirazioni errate
come ad esempio l’ambizione politica.
 Stoicismo  Esercitò anche un notevole influsso, a Roma, la dottrina dello Stoicismo che in Grecia
era contrapposta a Epicuro. Lo stoicismo per quanto complesso e articolato a causa dello sviluppo
che aveva avuto nel passaggio dall’antico al medio storicismo, offriva un’interpretazione della
realtà, fisica e umana, molto compatta, coerente e razionalistica. Esso poneva al centro dei suoi
interessi l’uomo e la sua aspirazione alla felicità, che faceva consistere nella virtù e non nel piacere
come Epicuro. La visione stoica non era espressamente individualistica e utilitaristica ma affrontava
e risolveva i problemi dell’uomo alla luce dei suoi doveri verso la società, esortando a un fermo
impegno morale e anche politico, per il bene della comunità e in nome dell’amore che, per natura,
lega tra loro tutti gli uomini.
Lo stoicismo come l’epicureismo si preoccupava di mettere al riparo l’uomo dai pericoli e dagli affanni della
vita, prescrivendo al saggio quella apatia che corrispondeva sostanzialmente all’ideale epicureo della
“atarassia” (assenza di turbamenti) cioè una condizione di imperturbabile serenità e di assoluto distacco da
ogni motivo di apprensione e inquietudine. Lo stoicismo, nella sua svalutazione della vita, arrivava a
consigliare il suicidio come rimedio e liberazione da un’esistenza ritenuta non più degna d’essere vissuta. Lo
stoicismo, ad esempio, si diffuse maggiormente nell’ambiente conservatore in quanto non mancavano
convergente tra l’etica stoica e il mos maiorum: l’austerità, la sobrietà, la temperanza, la semplicità di vita,
il distacco dai piaceri, l’imperturbabilità di fronte alle avversità e il disprezzo dei dolori fisici e della morte.

POESIA E PROSA TRA IL II E IL I SECOLO A. C


Il clima politico compreso tra l’età dei Gracchi e la dittatura di Silla è caratterizzato da profondo incertezza e
questo si riversa anche sulla letteratura. Questa è un fase di trapasso in cui le forme teatrali che avevano
avuto una grandissima fioritura nell’età delle conquiste si avviano al declino, cominciano invece a emergere
nuovi generi letterari come la poesia lirica espressione di una dimensione soggettiva e privata dell’autore.
Nell’ambito della prosa vengono praticati l’oratoria, la trattatistica e la storiografia che raggiungeranno il
loro pieno sviluppo solo nell’Età di Cesare.
TRAGEDIA  In questo periodo si assiste al declino della genere della tragedia. Dopo Accio ma non
emersero nuovi autori che potessero stari alla pari con Ennio, Pacuvio o Accio le cui opere continuarono a
essere rappresentate almeno fino all’età augustea. In mancanza di testi nuovi si cercò di tenere in vita il
genere tragico, nel corso del I secolo a. C, puntando principalmente su esecuzioni antologiche, sul
virtuosismo interpretativo degli attori e sulla spettacolarità degli allestimenti. Questo però non bastò a
schiacciare la concorrenza di altre forme di spettacoli molto più gradite dal pubblico, come le gare ippiche e
i combattimenti dei gladiatori. La tragedia quindi finì per essere coltivata da pochi e si trasformò in una
forma di intrattenimento privato o in un esercizio puramente letterale.
COMMEDIA  Dopo Terenzio anche la commedia finì per cadere nell’oblio, il motivo era da ricercare forse
nell’essere un genere d’importazione legato principalmente a modelli greci che oramai era stati
ampiamente sfruttati dai commediografi romani. Uno dei tentativi di rinnovamento del genere comico fu la
Togata, una commedia d’abito e d’ambiente romano che differisce dalla Palliata solo per l’ambientazione
infatti si continuarono a riprodurre trame,situazioni e schemi della commedia nuova greca. Il genere invece
soppiantò la commedia fu il mimo,che dominò incontrastato nel I secolo a. C. Si trattava di una sorta di
moderno “varietà” che alternava canzoni, balletti, numeri d’attrazione e scene comiche. I testi venivano
scritti solo parzialmente e veniva lasciato un grande spazio all’improvvisazione degli attori, i quali
recitavano senza maschere. Novità assoluta di queste genere è che le parti femminili non venivano
rappresentate da degli uomini ma da delle donne che socialmente e moralmente venivano disprezzate, ma
spesso idolatrate come delle vere “dive”. Non stupisce quindi il grande successo delle rappresentazioni più
volgari, nei quali era consuetudine lo spogliarello finale delle attrice a richiesta del pubblico.
ATELLANA LETTERARIA  Tra la fine del II secolo e i primi decenni del I secolo a. C si affermò un nuovo
genere del teatro comico ovvero l’atellana letteraria che ebbe come rappresentati Pomponio e Novio.
Questi poeti mantennero in questo genere sia le maschere tradizionali e il carattere buffonesche ma
sostituirono ai semplici canovacci, i quali lasciavano largo spazio all’improvvisazione degli interpreti, dei veri
e propri copioni.

LUTAZIO CàTULO E I PRENEOTERICI


Tra la fine del II secolo e l’inizio del I secolo a. C fanno comparsa nella letteratura latina, per la prima volta, i
generi della poesia lirica intesa come una poesia soggettiva, in cui il poeta parla in prima persona per dare
espressione a stati d’animo e sentimenti individuali. Anche in questo caso i poeti latini s’ispirano a modelli
greci e precisamente alla produzione epigrammatica di età ellenistica.
La figura di maggior spicco è quella di Quinto Lutazio Càtulo, uomo molto ricco e amante delle lettere che
coltivò una poesia raffinata e leggera, di cui si conservano due epigrammi.
Nel primo epigramma il poeta rappresenta se stesso innamorato di un giovane di nome Teotìmo,
probabilmente uno schiavo o un liberto greco: il tema dell’amore,la personificazione del cuore che ama e la
richiesta d’aiuto a Venere, rimanda all’epigramma ellenistico, e ad un costume tipicamente greco ovvero la
pederestia (costume disapprovato dai Romani).
Il secondo epigramma esalta la bellezza di un altro giovanotto Roscio e l’omaggio a questo giovane è
espresso in termini che trovano riscontro nella poesia erotica greca (tema della bellezza divina).
Càtulo è il primo uomo politico che a Roma scrive poesie leggere e sentimentali e si accosta alle lettere per
puro piacere intellettuale ed estetico, senza nessun implicazione di tipo civile.
I Preneoterici  Càtulo insieme ad altri poeti, tipo Porcio Licino o Levio di cui si sa praticamente nulla, sono
detti “preneoterici” in quanto appaiono come i precursori del movimento del néoteroi (dal latino poetae
novi cioè “poeti nuovi”) che si sarebbe affermato pochi anni dopo.

ORATORIA  Dei numerosi oratori che appaiono sulla scena politica dalla morte di Catone all’attività di
Cicerone non abbiamo alcuna orazione completa, solo varie da notizie da terze fonti e scarsi frammenti.
Tra gli autori dei frammenti spiccano alcuni figure politiche di rilievo come Gaio Gracco, Tiberio, Cornelio
Scipione Emiliano e Lucio Licino Crasso. Da questi frammenti si possono ricavare gli indizi di una progressiva
evoluzione e un affinamento delle tecniche oratorie, sotto l’influsso della retorica greca.
RETORICA  Il crescente interesse per questa disciplina è dimostrato dalla comparsa in ambiente romano
dei primi manuali di retorica. Il più antico documenti di questo genere è Rhetorica ad Herennium, che è un
trattato di retorica suddiviso in quattro libri ed Herennium è il personaggio a cui è dedicato. Questo trattato
fu falsamente attribuito a Cicerone e ancora ad oggi non si conosce l’autore effettivo. I diversi accenni
presenti nell’opera ad avvenimenti contemporanei e la dedica a una personaggio della famiglia plebea degli
Erenni, indicano una simpatia per l’autore alla fazione popolare. Questa tendenza associata
all’impostazione dell’opere, che si propone di mettere a disposizione dei Romani un’ars cioè un manuale
scolastico che illustri la dottrina greca scritta però in latino, fanno pensare che l’autore sia collegato ai
rhetores Latini, che nel I secolo a. C presero iniziativa di aprire a Roma scuole di retorica in cui non era
richiesta agli allievi la conoscenza del greco. Queste ebbe notevoli implicazioni politiche in quanto rendeva
accessibile ai giovani delle famiglie meno abbienti l’apprendimento delle tecniche dell’eloquenza, che fino
ad allora erano state monopolio dei ceti superiori.
L’opera inizia con la distinzione dei tre generi di eloquenza che l’oratore deve saper trattare.
1) Genere dimostrativo in riferimento ai discorsi di elogio e di biasimo;
2) Genere deliberativo che comprende i discorsi pronunciati dinanzi a un’assemblea politica;
3) Genere Giudiziario che è legato all’attività dell’oratore come avvocato nell’ambito dei processi;
Successivamente segue la presentazione dei cinque ambiti in cui l’aspirante autore deve acquisire
competenza e capacità:
1) Inventio  Cercare argomenti che rendono la causa convincente;
2) Disposizio  L’ordine degli argomenti del discorso;
3) Elocuzio  Lo stile del discorso;
4) Memoria  Necessaria per ricordare ciò che si deve esporre;
5) Pronuntiatio  Il modo per esporre il discorso.
Tutto il quarto libro è dedicato all’Elocutio, ed è il più interessante dal punto di vista letterario perché
contiene un’ampia trattazione che riguarda lo stile oratorio (la più antica trattazione che conosciamo
riguardante l’argomento in lingua latina). Lo stile oratorio può essere di tre tipi (l’autore utilizza il termine
figura per indicare il tipo di stile):
1) Figura Gravitas che sarebbe lo stile alto;
2) Figura Mediocris che sarebbe lo stile medio;
3) Figura Attenuata che sarebbe lo stile umile.
Dopo il quarto libro vengono definite 64 figure di parola e di pensiero.

LA STORIOGRAFIA  Il panorama della storiografia latina nel periodo che va tra le Origines di Catone e
Sallustio si presenta molto ricco e diversificato come è dimostrato dai pochi frammenti superstiti.
Alcuni scrittori continuarono a scrivere Annales secondo lo schema più antico, che narrava tutta la storia di
Roma dando maggior spazio al passato leggendario e al periodo contemporaneo, mentre gli avvenimenti
intermedi erano trattati in modo sommario.
Altri invece decisero di tralasciare tutta la storia remota per concentrarsi solamente sui fatti più vicini, in
questo nasce la storiografia monografica che prende in considerazione un periodo storico unitario e breve,
recente e non necessariamente contemporaneo.

CELIO ANTIPATRO
Celio Antipatro fu il primo scrittore che abbandonò lo schema classico degli annali per organizzare il suo
racconto intorno a uno schema unitario. Nell’età dei Gracchi compose un’opera suddivisa in sette libri sulla
seconda guerra punica, di cui rimangono solo una sessantina di frammenti tra l’altro molto brevi.

SEMPRONIO ASELLIONE
Sempronio Asellione compose un’opera non solo monografica ma anche contemporanea trattando delle
imprese alle quali egli stesso partecipò, tra cui la guerra contro Numanzia.

LUCIO CORNELIO SISENNA


Lucio Cornelio Sisenna fu un aristocratico seguace di Silla. Le sue Historiae suddivisa in almeno 23 libri,
dopo una breve sezione dedicata alla storia più antica,che parte dalla distruzione di Troia, trattavano della
guerra sociale e della guerra civile tra Mario e Silla. Egli inoltre tradusse dal greco o rielaborò, con il titolo
Milesiae, una raccolta di novelle erotiche composte verso il 100 a. C da Aristide di Mileto.

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