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Geografia
Università degli Studi di Roma La Sapienza
39 pag.
1.1 Precursori
Alexander von Humboldt e Carl Ritter sono considerati i padri della geografia umana, due studiosi ai quali si devono
le prime organizzazioni sistematiche delle conoscenze maturate fino ad allora sulla relazione tra esseri umani e ambienti
naturali. Entrambi risentono del clima culturale europeo della prima metà del 1800, a cavallo tra il razionalismo illuminista
e l’idealismo romantico.
Alexader von Humboldt (1769 – 1859) incarna l’impostazione razionalista, empirica, analitica, fondata su dati, strumenti,
carte, sull’osservazione diretta e il lavoro sul campo. Nella sua opera, Kosmos, Humboldt dimostra di prediligere lo studio
dei fenomeni naturali con l’ausilio di strumentazioni e tecnologie dell’epoca, giungendo a importanti scoperte in ambito
naturalistico, tanto è vero che venne considerato il fondatore della geografia fisica. In realtà, le sue descrizioni
associavano natura e cultura, forme del territorio e clima con usi del suolo e costumi sociali. Tuttavia, per il suo approccio
analitico e riduzionistico, volto cioè a scomporre ogni fenomeno studiato in singoli aspetti da esaminare dettagliatamente,
fu considerato il precursore della geografia sistematica che esamina un argomento alla volta (clima, geomorfologia,
demografia, economia). La geografia per von Humboldt equivaleva a descrivere, comparare, classificare; l’intero suo
operato era volto a ricercare le leggi generali che governano la Terra, secondo un procedimento deduttivo. Descriveva
partendo da una concezione realista, oggettiva della realtà, che era sufficiente riprodurre attraverso un’attenta
osservazione sul campo.
Carl Ritter (1779 – 1859) riflette invece il prototipo dell’impostazione idealista e storico-umanistica, fondata sulla
sensibilità soggettiva, su interrogativi filosofici senza tempo e su una visione teleologica spesso permeata di riferimenti
religiosi. La realtà per lui andava intesa in senso olistico. Secondo lui la ricerca geografica doveva rispecchiare una
rappresentazione personale, per cui soggettiva e non scientifica. La cultura si configura come un prodotto di un retroterra
di idee, atteggiamenti, valori quindi la dimensione immateriale della cultura assume per Ritter rilievo centrale. La sua è
una geografia che punta a ricostruire la storia e l’evoluzione degli spazi terrestri utilizzando un metodo induttivo che
muove dai luoghi anziché dai singoli fenomeni; il suo approccio no-riduzionistico considera l’insieme delle forme, degli
aspetti, degli elementi che connotano regioni e paesaggi. Per questo, Ritter fu considerato precursore della geografia
regionale.
due matrici scientifiche e filosofiche diverse.
Gli eventi storici e politici della seconda metà del 1800 favorirono l’affermazione dell’ottica razionalista e scientificamente
fondata dalla geografia utilizzando il paesaggio come strumento di tale storica transizione.
3.1 Post-strutturalismo
Il post-strutturalismo, movimento filosofico sorto in Francia negli anni ’60, ma affermatosi in tutte le discipline a partire
dagli anni ’80, ha contestato le teorie e i principi che hanno informato la produzione di conoscenza dell’epoca moderna.
L’accusa è stata rivolta soprattutto ai principi dello strutturalismo. Il post-strutturalismo si riferisce infatti, alle filosofie e
alle teorie sociali che sono emerse dopo lo strutturalismo.
Lo strutturalismo, nato in linguistica con Ferdinand de Saussure, aveva postulato l’equivalenza tra segno e significato in
forma del tutto arbitraria. Ciò che i post-strutturalisti mettono in discussione è il fatto che tale linearità arbitraria tra segno
e significato si è estesa progressivamente a tutti i campi del sapere, producendo significati stabili, fissi, indiscutibili,
assoluti, tra oggetti, concetti, idee e il loro significato. Il post-strutturalismo è dunque contro l’idea di realtà come struttura
che ne restituisce un’immagine statica, rigida e data per vera.
Il post-strutturalismo ha messo in discussione anche il razionalismo cartesiano (alla base delle concezioni positiviste e
strutturaliste della realtà) e i principi che lo fondano ovvero evidenza, riduzionismo, casualità, esaustività, opponendo i
principi opposti ovvero quelli di pertinenza, olismo, teleologia e aggregatività. Tali principi, sono stati fortemente attaccati
per la distinzione oggetto/soggetto e la presunta neutralità dell’osservatore nel descrivere la realtà oggettivamente e
obiettivamente (principio di evidenza); per il rilievo attribuito alle cause meccanicistiche dei fenomeni indagati anziché
alle loro dinamiche (principio di riduzionismo); per la pretesa di poter descrivere fedelmente e completamente i fenomeni
indagati (principio di esaustività).
Al contrario la logica non-razionalista considera la realtà soggettivamente conoscibile, cioè pertinente a ogni osservatore
(principio di pertinenza); complessa, cioè non scindibile in singoli elementi e comprensibile solo considerandolo nel suo
insieme (principio di olismo). Inoltre, alla causalità razionalista essa contrappone l’idea che sia importante conoscere le
direzioni verso cui tende una data realtà, la sua progressione temporale verso il futuro, anziché guardando al passato
(principio di teleologia). Infine, la logica non-razionalista ritiene che sia possibile solamente aggregare alcuni elementi e
costruirci attorno una soggettiva versione di conoscenza, dichiaratamente non esaustiva (principio di aggregatività).
Sul piano scientifico, il post-strutturalismo ha duramente criticato il concetto di paradigma scientifico e inteso come
l’insieme delle teorie, dei metodi, degli strumenti ritenuti validi e utilizzati dalla comunità scientifica in un dato momento
Diversi studi condotti da Massey e Mitchell sostengono che la principale critica che si può avanzare al superorganicismo
e alle relative popolari spiegazioni culturaliste, è che esse sono divise e pericolose perché sottolineano opposizioni ed
inimicizie inutili, e possono rappresentare la differenza, offuscando le connessioni. Questa divisione tra cultura, politica,
istituzioni economiche… separa gli ambiti dell’esistenza umana. Per questo la nuova geografia culturale cominciò a
ritenere che le categorizzazioni assumono rilievo centrale per le teorie che tentano di spiegare come il mondo è
organizzato.
Sulla scia di Jackson altre critiche hanno sottolineato come la concezione superorganica della cultura, continuasse ad
essere diffusa a livello popolare: siamo infatti abituati a parlare di cultura inglese, islamica, gay, cultura dei giovani, nera,
urbana… Molte persone continuano ad essere affascinate dalla differenza tra la propria/altrui cultura. Di fatto, la cultura
è spesso usata per spiegare condizioni ed eventi, e ciò riflette una tendenza popolare al culturalismo, cioè a ritenere che
la cultura esista in modo indipendente dalle scelte e dai comportamenti delle persone.
Cosgrove specificò la sua idea di paesaggio come modo di vedere in un articolo del 1985, dove ribadì che il paesaggio
è un modo di vedere borghese, individualista, riferito all’esercizio del potere.
La representational geography mise in primo piano le questioni del conflitto e della lotta nella lettura del paesaggio
culturale, utilizzando una metodologia interpretativa.
James Duncan invece nel 1990, si immerse nella cultura cingalese per scoprire che il paesaggio può essere letto come
un testo, e che i tratti architettonici costituiscono citazioni di testi sacri facilmente riconoscibili dalle popolazioni locali.
Duncan considera il paesaggio come testo, cioè come un sistema di segni, con autori che rappresentano paesaggi e
lettori che interpretano paesaggi.
In altre parole, il paesaggio non è solo visione come in Cosgrove, ma è anche interpretazione di testi (libri, documenti…).
Se Cosgrove è un osservatore distaccato, Duncan si dimostra più attento a valutare il sistema simbolico in cui vivono le
persone.
Per Duncan, l’obiettivo dello studio dei paesaggi è quello di svelare valori, credenze, pratiche e ideologie di coloro che
hanno costruito ed interpretato i paesaggi, attraverso le varie soluzioni testuali. La cultura e i segni culturali diventano
oggetto di interpretazione soprattutto alla luce delle dinamiche politiche, sociali ed economiche che hanno generato
determinati paesaggi.
Duncan sceglie come oggetto di studio la città di Kandy (Sri Lanka) e in particolare il Palazzo Reale, allo scopo di
rintracciare i segni materiali che hanno svolto un ruolo importante nella determinazione dell’ordine sociale. Secondo
Duncan, il paesaggio di Kandy esprime il legame tra le forme dello spazio e l’esercizio del potere: il paesaggio rispecchia
i discorsi sul potere, e servono come manifesto per ricordare quotidianamente tale potere agli occhi del popolo.
Leggendo il paesaggio della città di Kandy attraverso testi e documenti del passato, Duncan sostiene che la forma fisica
della città costituiva un testo, che era a sua volta rielaborazione di testi che informavano il campo discorsivo della
monarchia kandiana.
Sul piano pratico, l’analisi del paesaggio come testo, richiede molta ricerca in archivio, al fine di rintracciare materiali
testuali da cui ricavare le condizioni sociali e politiche.
La nuova geografia culturale ha attribuito molta importanza al ruolo attivo che persone e gruppi possono rivestire nella
costruzione dei luoghi e dei loro significati. L’intento di fondo è quello di allontanarsi dall’idea di luogo come insieme
omogeneo, e di affermarne la natura multidimensionale. Proprio per questi motivi, in geografia si è fatta strada l’idea che
i luoghi non possano più essere pensati nella loro stabilità/staticità, bensì come crocevia di flussi di merci, persone,
informazioni.
Sottolineando tale aspetto, Doreen Massey ha proposto una rilettura della nozione di senso del luogo, e proponendo
l’idea di un global sense of place, ovvero di un senso della dimensione locale aperto alla dimensione globale. Secondo
Massey le connessioni che le persone stabiliscono, sono tante e variano. Massey invita ad osservare la Terra dall’alto di
un satellite e ad immaginare tutti i collegamenti ce intercorrono tra le persone. Quello che sta cambiando, secondo
Massey, è la geografia delle relazioni; sociali, economiche, politiche e culturali. A tal proposito Massey utilizza anche la
nozione di progressive sense of place per sottolineare che i luoghi non possono essere intesi in senso romantico come
unità coese, ma tutt’altro: il luogo è un crocevia di relazioni spaziali di potere che si dispiegano a tutte le scale. È da
questa prospettiva che è possibile immaginare un’interpretazione del luogo alternativa.
All’idea razionale del luogo è corrisposta la formalizzazione del concetto di spazio relazionale, alla cui delineazione
hanno contribuito Harvey e Massey.
L’affermazione del concetto di spazio relazionale ha contribuito alla revisione del concetto di scala geografica, che non
viene più intesta in termini gerarchici, ma in termini relazionali. Dalla concezione multiscalare del mondo (in cui le
ampiezze territoriali sono intesi come compartimenti che avanzano dal livello più piccolo a quello più grande), a quella
transcalare (ciò che succede in uno specifico luogo può essere frutto di fenomeni e decisioni che avvengono a qualsiasi
altra scala).
La geografia culturale focalizza la sua attenzione su spazi e luoghi di diverso tipo e a diversa scala, leggendoli come
fossero testi narranti. Le identità sociali/culturali vengono studiate sulla base di nuove coordinate teoriche, condivise con
altre discipline sociali ed umanistiche. Più in generale, sono diventate oggetto di studio le relazioni tra culture dominanti
e culture subordinate; le relazioni tra letteratura, produzione di cultura e politica del luogo; le geografie degli oggetti
quotidiani…
Inoltre ponendo in primo piano la questione della visualità e effettuando una distinzione tra vision (struttura biologica
della vista) e visuality (il modo di vedere socialmente costruito), la RG ha favorito la nascita di un nuovo campo di
indagine della geografia, ovvero la visual geography, relativa allo studio sulle immagini e con le immagini. Nel primo caso
l’attenzione si sofferma sulle immagini già esistenti e costruite culturalmente su segni, simboli e discorsi, come nel caso
del paesaggio nell’arte. Nel secondo caso, le immagini sono prodotte dal ricercatore stesso o dalle persone coinvolte
nella ricerca, cercando di sollecitare domande/risposte sul senso e il cambiamento dei luoghi.
A partire dalla metà degli anni 90 è aumentato l’interesse della geografia, anche per la musica, dando origine
all’esperienza soggettiva del soundscape.
Diverso è anche l’uso dei termini geografici: ad esempio “territorio” nel contesto americano assume un significato legato
alla dimensione politico-amministrativa, rispetto al contesto italiano. Infatti difficilmente utilizzano il termine “territory”, ma
usano il termine “space-place”.
La geografia italiana invece usa il termine territorio, preferendolo a quello di spazio e luogo.
In ambito statunitense la svolta culturale è stata vissuta con termini diversi. Come si legge nell’articolo di Olwing (2010),
egli paragona la “British invasion” della cultural geography all’invasione dei Beatles negli Stati Uniti degli anni 60.
Sotto il profilo scientifico, la nozione territorio e di territorialità è più complessa; infatti non a caso, Jacques Lévy ha
individuato nove significati diversi attribuiti al termine “territorio”: sinonimo di spazio, equivalente di spazio abitato,
metafora di territorialità, ambito di appartenenza…
Quanto alla territorialità, in ambito geografico sono state elaborate due principali concezioni:
-quella anglosassone con a capo Robert Sack (1);
-quella francofona-italiana con a capo Claude Raffestin (2).
Quest’ultima è quella che si è più diffusa a partire dagli anni 90.
(1)Nella versione anglofona, la territorialità si esprime nelle strategie di potere e di controllo dello spazio che vengono
adottate per gestire le risorse o la popolazione di un’area; il riferimento è quindi allo spazio occupato e controllato da
individui, gruppi sociali o istituzioni. Per Sack la territorialità è associabile ad una tattica esercitata per controllare
persone, spazi, cose e che implica quindi questioni di potere e ordine.
Il territorio è espressione di potere esercitato su uno spazio fisico e sociale ben definito, delimitato da confini che
definiscono un dentro e un fuori. Tali spazi geografici trasmettono messaggi di controllo e potere politico attraverso
delimitazioni, confini, norme, che condizionano il nostro modo di pensare o agire.
Questa declinazione di territorialità è stata definita “passiva” e “in negativo”: passiva perché il territorio è inteso come una
parte inattiva che non interagisce, ma funge da sfondo; in negativo perché un gruppo ristretto di soggetti esercita un
controllo sul territorio implicando il controllo su altri soggetti.
In conclusione, questa versione considera la territorialità come risultato del comportamento umano nello spazio e si
esprime con strategie di controllo su soggetti e risorse.
(2)Nella versione francofona-italiana, il territorio non necessariamente si riferisce a un’entità politico-amministrativa; al
contrario, la territorialità è concepita come l’insieme delle relazioni che gli essere umani intrattengono con lo spazio in cui
agiscono al fine di soddisfare le proprie necessità.
Raffestin ha definito la territorialità come l’insieme delle relazioni che nascono in un sistema tridimensionale società-
spazio-tempo in modo da raggiungere la più alta autostima possibile. Il territorio è il risultato di un’azione condotta da un
attore sintagmatico (attore che realizza un programma). Appropriandosi concretamente o astrattamente di uno spazio,
l’attore territorializza lo spazio.
Quindi la territorialità è pensata in termini processuali e sociali, poiché si riferisce al complesso delle partiche e delle
conoscenze messe in atto da un gruppo umano per trasformare uno spazio. Tale declinazione è stata definita “attiva” e
La territorialità di Raffestin è pensata sulle relazioni sociali, sui processi di costruzione attiva del territorio, sui rapporti che
un determinato gruppo umano stabilisce con il contesto in cui agisce. Tale concezione di terriotorialità tiene conto dei
cambiamenti che il territorio può avere nel tempo, attraverso processi di territorializzazione-deterritorializzazione-
riterritorializzazione (TDR), dove T indica il processo di formazione storica del territorio, D corrisponde ad un
cambiamento nell’organizzazione del territorio che modifica l’assetto precedente e R equivale alla ricomposizione
naturale.
Le teorie sulla territorialità non si occupano solo di considerare i processi di distribuzione di un fenomeno, ma anche le
scelte che riguardano il territorio e quindi le relazioni tra attori.
Il concetto di territorialità maturato in ambiente francofono, italiano e latino-americano, presenta diversi punti di contatto
con le idee e i concetti praticati in ambiente anglosassone: il territorio inteso come costruzione sociale; l’importanza
attribuita alla dimensione simbolica; il concetto di attore sociale.
In conclusione, il concetto di territorialità di Raffestin offre una visione multidimensionale della vita sociale da una
prospettiva relazionale; la sua territorialità apre la strada ad un concetto geografico dell’essere-nel-mondo.
Tuttavia può anche succedere che il patrimonio culturale contenga elementi discussi o non accettati perché emblema di
sottomissioni (es. statue leader dell’Europa orientale abbattute dopo la fine delle dittature), o perché tale patrimonio
detiene un elevato valore artistico e storico, ma non costituisce un elemento identitario.