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GEOGRAFIA CULTURALE - Vallega

Introduzione
Nel 1993 ad Antalya, i paesi mediterranei e le Nazioni Unite si riunirono per discutere come la Convenzione di
Barcellona e il Piano d'Azione del Mediterraneo, adottati negli anni Settanta, avrebbero potuto essere aggiornati per
conformarsi al principio di sviluppo sostenibile, enunciato l'anno prima a conclusione della Conferenza di Rio. Due
geografi fecero di Antalya un interessante caso di studio per promuovere lo sviluppo sostenibile su scala locale.
L'ambiente naturale mostrava un doppio disegno: una planimetria irregolare nella città antica, dove una miriade di
strade strette si intersecano formando un labirinto non dissimile da quelli presenti in numerosi abitati storici delle
città mediterranee, e una planimetria a maglie ordinate nella parte recente, sviluppata alle spalle dell'abitato storico.
Lo studio ebbe cura di porre la crescita urbana in relazione all'espansione delle attività economiche. La
rappresentazione di quel disegno urbano in rapido cambiamento fu associata alla rappresentazione cartografica
degli usi del suolo, in modo da mettere in relazione l'espansione dell'economia con il consumo di risorse naturali.
Furono elaborate carte che valutassero la pressione umana esercitata sul territorio e sulle acque dolci, due risorse
essenziali per quel sito.
Per il tipo di risultati conseguiti e per i metodi impiegati, lo studio sarebbe stato apprezzato dagli uffici delle Nazioni
Unite preposti al Piano d'Azione del Mediterraneo, soprattutto da quelli che avevano il compito di ideare schemi di
gestione di aree costiere sottoposte a forte pressione umana. La prerogativa che maggiormente connotava il suo
lavoro era costituita dal fatto che egli aveva modellizzato la realtà: il disegno urbano era stato ricondotto al modello
della pianta mista; l'economia turistica, insieme alle altre attività terziarie collegate, era stata analizzata attraverso
un modello della diffusione degli usi del territorio; il consumo delle risorse naturali era stato interpretato da un
modello che poneva in evidenza i punti critici provocati dalla pressione umana.
In conclusione, la rappresentazione di Antalya costituiva un esempio di razionalizzazione della realtà territoriale.
L'altro geografo attribuì grande attenzione alla storia e alle radici culturali della città e, soprattutto, impiegò molto
tempo a percorrere strade, a visitare luoghi e a parlare con la gente, in modo da comprendere condizioni esistenziali,
atteggiamenti sociali e atmosfere spirituali. Eseguì un'esplorazione nella cultura locale. Cercò di interpretare il
paesaggio come una manifestazione di segni nel cui ambito la natura appariva essa stessa come un fatto culturale,
perchè i valori che le si attribuivano erano germinati dalla cultura, o meglio da culture diverse. Il risultato del suo
lavoro consistette nell'elaborazione di carte geo-simboliche, nelle quali i singoli punti del territorio di Antalya erano
connotati con i simboli che vi si erano sedimentati nel corso della storia e con i valori che la comunità locale
attribuiva loro.
I simboli e i valori accolti nei vari punti della città storica costituivano una sorta di sinfonia geografica che si rifletteva
sul comportamento della gente e costituiva un contrasto con i simboli che connotavano l'altra parte del tessuto
urbano, quella che si stendeva al di là dei quartieri storici. Nella fascia esterna, dominavano i segni del Razionalismo
occidentale. La seconda garantiva crescita economica a condizione che si sacrificasse ciò che maggiormente
connotava la prima, ossia l'identità culturale al mercato.
La rappresentazione del primo geografo rientrava nella geografia umana, soprattutto in quella sviluppatasi nella
seconda parte del ‘900 e profondamente influenzata dal pensiero strutturalista. La rappresentazione del secondo
geografo rientrava invece nella geografia culturale, soprattutto in indirizzi che si andavano sviluppando dalla metà
degli anni ‘80.
Il libro fornirà una visione della geografia culturale partendo dall'idea secondo la quale la specie umana si distingue
da ogni altra specie vivente per la sua capacità di creare simboli e di dedurne significati, e assumerà che la cultura sia
costituita dalle manifestazioni di questa prerogativa. Se fondata su questo postulato, la geografia culturale consiste
nello studio delle manifestazioni geografiche della cultura, cioè nello studio dei simboli e dei relativi significati
attribuiti a luoghi e spazi. Le radici più profonde per rappresentare la geografia della cultura in termini di simboli e
valori possono essere trovate addirittura nell'800, ma i presupposti e gli impulsi che ne hanno determinato il decollo
sono piuttosto recenti: possono farsi risalire alla seconda metà degli anni ‘70. Le prime manifestazioni nella
produzione scientifica sono ancora più recenti: possono ricondursi agli anni ‘80.
La cultura è ricondotta a fatti intellettuali e spirituali e il territorio è rappresentato come una tessitura di luoghi
connotati da simboli e da valori.

La prima parte (Discorso) parla dell'esordio della geografia culturale nella modernità e dei recenti sviluppi. Segue
l'esposizione del metodo semiotico finalizzato all'investigazione di valori espressi dalle connotazioni simboliche
dei luoghi.
La seconda parte (Luoghi) prende in esame i simboli che connotano i luoghi, i valori che esprimono e le condizioni
esistenziali con cui sono connessi. Sono considerati tre campi tematici, che riguardano rispettivamente i rapporti
esistenziali con la natura, con la società e nei riguardi della trascendenza.
La terza parte (Spazi) sposta l'attenzione su scale geografiche che evadono dall'ambito locale.
Dopo aver considerato i simboli che attengono al valore esistenziale del tempo e alle relazioni tra spazio e tempo,
si prendono in esame aggregati territoriali intesi come spazi prodotti dall'interazione tra comunità umane e
territorio. In questo contesto rientrano la regione e il paesaggio, quest'ultimo a ragione considerato da molti un
tema centrale della geografia culturale. Le etnie e le civiltà completano il quadro.
Il discorso conduce a immaginare i valori attribuiti ai luoghi e agli spazi come il risultato della sedimentazione di
simboli premoderni e moderni e, in qualche caso, dell'emergere di simboli postmoderni. In questo quadro la
modernità, le cui radici affondano nell'Illuminismo e nel Razionalismo, diventa il fulcro del discorso.
Le argomentazioni partono dal considerare l'europeizzazione, l'occidentalizzazione e la globalizzazione del mondo
come tre tappe attraverso le quali si è evoluta la modernità e giungono a proporre nell’epilogo due scenari
divaricanti: il primo prefigura che il mondo vada soggetto a un'accelerazione della produzione di simboli moderni,
destinata a costruire iper modernità; il secondo prefigura che si stia procedendo verso il superamento del modo
moderno di rappresentare il mondo e la propria esistenza e che lungo questo itinerario si possa produrre
postmodernità.

Parte prima: Discorso  Presenta: la geografia culturale nella modernità; la nuova geografia culturale; la
cultura come creazione di simboli e di significati, discutendo: il concetto di cultura applicato in geografia; gli indirizzi
emersi nella geografia culturale; le relazioni tra teoria geografica e prassi.

1. Cultura, geografia, modernità.


 1.1 Cultura e linguaggio
L’origine dei concetti di cultura e di civiltà si fa risalire all’idea di paidéia con cui si intendeva il livello individuale di
educazione. Se passiamo all’origine della parola, “cultura” ha radici più lontane che si perdono in idiomi indoeuropei.
Nel ‘700 la parola rientrò nell'uso per indicare le qualità, intellettuali e morali, che l'individuo possiede per propria
natura e che possono essere migliorate con l'uso della ragione. La cultura fu uno dei concetti coltivati
dall'Illuminismo per costruire teorie fondate sul postulato secondo cui il progresso dipende dall'uso della ragione,
donde la cultura fu assunta come manifestazione di capacità raziocinanti.
Nel 1845 Ernst Kapp introdusse il termine Kulturgeographie. In quel momento la cultura era intesa come
manifestazione individuale, attribuendogli all'incirca lo stesso senso in cui il concetto era stato inteso nel secolo dei
Lumi. Per concepirla come manifestazione sociale sarebbero trascorsi altri decenni.
La proposta di Kapp aveva il merito di avviare un discorso geografico su uno dei temi trainanti della modernità, qual
era la cultura in rapporto all'ideale illuminista, e, per di più, di farlo in un momento contraddistinto da notevoli
tensioni intellettuali e sociali. In quel momento l'edificio filosofico eretto dall'Illuminismo stava per essere investito
dall'impatto dell'ideologia comunista, funzionale all'avanzata sociale del proletariato. Mentre Kapp parlava per la
prima volta di geografia culturale, il dibattito filosofico e la storia sociale dell'Europa erano ormai avvolti da
atmosfere di grande tensione intellettuale ed emotiva che, nelle loro espressioni più profonde, chiamavano in causa
il senso della cultura moderna e mettevano in discussione l'idea stessa di modernità. Parlare di Kulturgeographie
denotava dunque sensibilità e tempismo storico.

 1.2 Humboldt e Ritter: prospettive divaricanti


Nel 1845 viene pubblicato il primo volume di Kosmos, opera scritta in tedesco e tradotta in francese, attraverso la
quale Alexander von Humboldt si proponeva, per la prima volta, di rappresentare e spiegare la geografia del mondo
in senso rigorosamente razionalista. Una ventina di anni addietro, Humboldt aveva prodotto una conoscenza
scientifica dei territori dell'America Centrale e Meridionale (Figura pag.12: percorso principale dei viaggi di Humboldt
nelle regioni equinoziali del Centro e Sud America). Le sue descrizioni associavano natura e cultura, forme del
territorio e clima con usi del suolo e costumi sociali, denotando una capacità così grande di combinare razionalità e
poesia.
Nei suoi lavori Humboldt non parla di geografia culturale, sicché sarebbe vano trovarvi un esplicito contributo per il
decollo di questo indirizzo di studi. Ciò non vuol dire che egli sia insensibile agli aspetti culturali del territorio, anzi è
notevole l'attenzione dimostrata verso i costumi sociali e le manifestazioni spirituali.
Humboldt non ebbe modo di completare l’opera: lasciò incompiute le parti relative alla geografia biologica e alla
geografia dell’uomo. È ragionevole presumere che se l’ultima parte dell’opera, relativa alla geografia umana, fosse
stata scritta, probabilmente sarebbe emersa un’impostazione della geografia ricca di spunti per creare un campo
strutturato di studio sulle culture. A nutrire questa supposizione conduce la circostanza che Humboldt intendeva
l'uomo come "indivisibile unità spirituale e fisica" per cui vita intellettuale e vita naturale apparivano come
componenti di una realtà unica, un hòlos (olismo: teoria che tratta di una realtà come totalità, qui usato nel senso
secondo cui un organismo, sia sociale che biologico, è qualcosa in più della semplice somma dei suoi componenti e
delle relazioni tra questi).
Humboldt attribuiva alla geografia lo stesso senso che le aveva conferito Kant, il quale aveva sostenuto che vi sono
due modi per classificare gli oggetti: un modo praticato dalle discipline non geografiche e un modo proprio della
geografia. Nella geografia fisica Kant erigeva i muri maestri della geografia moderna e conduceva a 4 punti che nel
‘900 avrebbero costituito altrettanti fulcri della discussione sulla geografia culturale e nei riguardi dei quali, nel suo
Kosmos, Humboldt si mostrava molto sensibile.
Primo: Kant enunciava che il fulcro della conoscenza geografica stava nei luoghi, nei punti in cui le cose sono sorte, o
dove sono venute a trovarsi.
Secondo: muovendo dai luoghi, la geografia doveva fornire "idee di insieme rapportate allo spazio", cioè doveva
delineare quadri generali, visioni del mondo.
Terzo: la rappresentazione degli spazi e del mondo richiedeva che si considerasse la loro evoluzione nel corso del
tempo per cui le due coordinate, quella geografica e quella storica, si trovavano associate nel costruire conoscenza.
Quarto, e più importante: la conoscenza, se così conseguita, era per sua natura oggettiva.
Nell'800 il consenso nei riguardi dell'impostazione di Humboldt era diffuso, ma non unanime. A differenziarsi dalla
sua piattaforma speculativa era ad esempio Karl Ritter, anch'egli esponente di prestigio della geografia. La distanza
tra i due geografi investiva argomenti di specifico interesse per la futura geografia culturale. Per garantire
l'oggettività della conoscenza geografica Humboldt era indotto a produrre descrizioni di territori e di genti, dunque a
creare rappresentazione geografica, limitandosi alla realtà materiale; realtà che egli indagava applicando i precetti
cartesiani: studiava quella parte della realtà territoriale che era del tutto palese (principio di evidenza), scomponeva
l'insieme della realtà in elementi descrivendo con cura ciascuno di essi (principio di riduzione), accertava come gli
elementi si influenzassero tra loro (principio di causalità) e cercava di presentare il territorio nel uso insieme
(principio di sintesi).
Schema pag. 14: Contesto speculativo della rappresentazione moderna della cultura: avvento del modo ternario di
costruire conoscenza [Foucault]; applicazione del metodo cartesiano.
Costruzione della conoscenza: premoderna (referente, segno, significato), moderna (segno, significato)  logica
cartesiana (evidenza, riduzione, causalità, esaustività). Karl Ritter era persuaso che la realtà territoriale non potesse
essere spiegata in sé, ma soltanto tenendo conto di un retroterra ideale dal quale i fatti materiali sono influenzati,
anzi addirittura plasmati. Insomma, tenendo conto di una realtà non visibile, la quale costituiva per Ritter un terreno
tanto importante quanto quello della realtà visibile. La conoscenza geografica non si costruisce, dunque, scoprendo
la realtà, ma riconoscendola. Nel considerare la divaricazione tra Humboldt e Ritter limitiamoci alle implicazioni che
riguardano la rappresentazione della cultura sul territorio. A un primo esame l'intelaiatura teorica di Ritter sembra
differenziarsi da quella di Humboldt semplicemente per possedere un più ampio potenziale di rappresentazione circa
le manifestazioni non materiali della cultura. A ben vedere, però, le differenze sono più profonde. Per rendercene
conto possiamo considerare il modo con cui, secondo Foucault, la modernità ha creato i modi con cui produrre
conoscenza, quindi anche conoscenza del territorio. Nel suo saggio Le parole e le cose, ha dimostrato come,
nell'atmosfera dell'Illuminismo, soprattutto nel Razionalismo (in senso generale: atteggiamento intellettuale che si
affida alla ragione per la costruzione di conoscenza e per la sua applicazione nell’azione. Forma di pensiero che ha
sostenuto l’Illuminismo. Poggia sul pensiero cartesiano, in base al quale la conoscenza è costruita adottando 4
principi: 1. Principio di evidenza, ogni oggetto è vero solo se appare evidente come tale; si deve accettare solo ciò
che è chiaro e distinto nella mente; 2. Principio di riduzione, le difficoltà vanno scomposte in tante parti, affinché sia
raggiunta più facilmente la soluzione del problema; 3. Principio di causalità, la conoscenza deve partire dagli oggetti
più semplici e risalire ai più complicati, supponendo che vi sia un ordine logico anche tra quelli che non si dispongono
in sequenze naturali; 4. Principio di esaustività, bisogna sempre fare censimenti così completi e rassegne così
generali da essere sicuri di non aver tralasciato niente) cartesiano, la conoscenza avvenga costruendo
rappresentazioni della realtà i base al principio di causa ed effetto con l'obiettivo di individuare e spiegare l'ordine
che presiede al reale. Così facendo, il segno con cui costruiamo rappresentazioni non riflette la realtà, ma piuttosto la
spiega. Nella conoscenza moderna, la rappresentazione è legata alla realtà non già da un rapporto di somiglianza,
come accadeva nella premodernità, bensì da un rapporto di prossimità: è un disegno che razionalizza la realtà e
diventa la base per elaborare significati, per enunciare teorie e per creare valori. La realtà cessa di essere la base di
partenza per pervenire a significati e il segno prende il suo posto. Così facendo la costruzione della conoscenza si
trasforma da ternaria in binaria perchè l'oggetto (realtà territoriale) è emarginato e la conoscenza è ottenuta
mettendo in relazione il segno (rappresentazione) con il significato (spiegazione). Questo è appunto il terreno in cui
si muove Humboldt: un terreno razionalista, aderente al pensiero della modernità, all'interno del quale lo scienziato
compie osservazioni, elabora ipotesi basate sul principio di causa ed effetto, verifica le ipotesi e costruisce
conoscenza.
Al contrario, Ritter è persuaso che la verità sia contenuta nello spirito che plasma la realtà e quindi non condivide la
tesi secondo la quale la realtà debba essere rappresentata mediante procedimenti di razionalizzazione. Al significato,
cioè alla conoscenza, secondo Ritter si perviene muovendo da una rappresentazione che riflette la realtà, compresa
la sua parte immateriale, una parte non visibile eppure così presente. Così facendo, la conoscenza è ternaria: ingloba
l'oggetto come suo referenziale, il segno (rappresentazione) e il significato.
Secondo Foucault il passaggio da una conoscenza ternaria a una conoscenza binaria contrassegna la transizione dalla
premodernità alla modernità (schema pag.14 già sopra citata). Se si condivide questa impostazione, si può
comprendere come i due esponenti della geografia tedesca appartengano a due contesti differenti. Ritter mostra
tutta la suggestione del modo non razionalista di costruire conoscenza, mentre Humboldt mostra il fascino di
sperimentare strade moderne di rappresentazione: tra i due geografi emergono scostamenti di prospettiva
epistemologica (epistemologia: parte della filosofia che si occupa del modo con cui si produce conoscenza, oltre che
dei fondamenti, della natura, dei limiti e delle condizioni di validità del sapere scientifico), nei quali si può scorgere il
seme di divaricazioni che avrebbero coinvolto la geografia culturale. Le differenti impostazioni che avrebbero
condotto a praticare la geografia culturale erano evidenti nel modo in cui Humboldt e Ritter affrontavano il
paesaggio, argomento che sarebbe diventato un fulcro della geografia culturale.
Humboldt era ancorato all'Illuminismo e al Razionalismo che ne era stata la manifestazione più feconda. Per lui il
paesaggio è frutto della scoperta dei nessi di causalità che intercorrono tra le condizioni fisiche e il modo di abitare il
territorio e di sfruttarne le risorse. Descrivere il paesaggio si traduce nel mettere in risalto le condizioni essenziali e
l'ordine che si discopre attraverso l'investigazione.
Ritter risente invece delle atmosfere del Romanticismo (movimento filosofico, artistico, letterario dell’800.
Caratterizzato dalla tendenza a rivalutare la forza del sentimento nel creare conoscenza e nel promuovere il
progresso sociale e la crescita intellettuale dell’individuo), è incline a vedere nel paesaggio "il dramma della storia e
del destino"; vi cerca i segni che annunciano destini disegnati da qualcosa che sta oltre, in un retroterra non visibile.
La sua rappresentazione tende a diventare assiomatica (assioma: originariamente significava dignità o valore. Poi,
assunse il senso di qualcosa di indimostrabile, ma evidente di per sé), nel senso che cerca di individuare ciò che è
evidente di per sé, senza sentirsi impegnati a chiamare in causa relazioni di causa ed effetto tra gli elementi per
fornirne descrizioni.
Premesso che ambedue i geografi sono precursori, ma non fondatori della geografia culturale, le differenze sono
comunque tanto profonde da prefigurare due distinti indirizzi: il primo indirizzo, adombrato da Humboldt, si occupa
di realtà visibili e dà luogo a conoscenza oggettiva con predilezione per gli aspetti ergologici (ergologia: ramo
dell’etnologia che studia gli aspetti materiali e tecnici della cultura dei popoli primitivi) e per quelli sociali; il secondo
indirizzo, adombrato da Ritter, conduce a conoscenza non oggettiva, si occupa più di segni – che egli chiama
"geroglifici" – piuttosto che di cose e attribuisce valore fondamentale agli aspetti non materiali.
Tra le due impostazioni si può scorgere una certa complementarietà: l'ambiente, soprattutto naturale, su cui si
concentrava Humboldt, era un argomento complementare a quello del paesaggio, su cui si concentrava Ritter.

 1.3 Geografia, etnologia, etnografia


Mentre Humboldt e Ritter producevano descrizioni che anticipavano la geografia culturale pur senza darle veste
disciplinare, altre scienze si occupavano di cultura dedicandosi a investigare le culture semplici che gli esploratori
andavano scoprendo, culture che in quel tempo erano qualificate “primitive” per mettere in evidenza la loro natura
“barbara”, “inferiore” in rapporto alla civiltà occidentale. All'incirca dal 1830 furono avviati gli studi nel campo
dell'etnologia (studio delle culture, inteso con riferimento all’etnografia come frutto dell’osservazione e consistente
nella descrizione derivata da ricerche sul campo), che si distingueva dall'antropologia, in cui si faceva rientrare lo
studio delle caratteristiche somatiche dell'uomo. L'intero campo andò soggetto a una profonda evoluzione all'inizio
del ‘900. Da un lato, all'inizio del secolo, Malinowski delineò il campo di studio dell'etnografia, conferendole il
compito di compiere studi descrittivi delle singole culture con l'obiettivo finale di metterle a confronto. All'etnologia
spettava il compito di spiegare la singola cultura e quello di produrre ricerca sistematica. All'inizio del ‘900 nel Nord
America, l'antropologia si divise in due rami, dedicati allo studio delle caratteristiche somatiche (antropologia fisica)
e all'indagine delle culture (antropologia culturale). La seconda fu intesa come una disciplina con contenuti tanto
estesi da inglobare quelli dell'etnologia e dell'etnografia. In Europa si continuò a parlare di etnologia ed etnografia,
con l'eccezione della Gran Bretagna, dove si è parlato di "antropologia sociale" soprattutto per differenziarsi dalla
scienza nordamericana (schema pag.17 Configurazione delle discipline extra-geografiche impiegate nello studio delle
culture). Quindi, nella seconda metà dell'800, le culture sono state studiate non soltanto dalla geografia, ma anche e
sempre più insistentemente da scienze di nuova fondazione. Etnografia e etnologia si espansero a tal punto da
diventare arene di riferimento anche per la geografia. Nello studio delle culture, la geografia si stava trasformando
da scienza trainante a scienza trainata.
 1.4 Debutto della teoria culturale
Grazie alle ricerche che etnologi, etnografi e geografi stavano compiendo sulle culture semplici, nella seconda metà
dell'800 emersero le condizioni per abbozzare una teoria della cultura in senso sociale. Il passo fu compiuto nel 1871
da Edwars Burnett Tylor con il suo Primitive culture, opera nella quale si presentava una definizione di cultura
considerata come la data di nascita della speculazione scientifica sistematica su questa materia. Secondo Tylor la
cultura è "quel complesso insieme che comprende conoscenza, credenze, arte, valori morali, leggi, costumi, e ogni
altra capacità e atteggiamento acquisiti da un uomo in quanto membro di una società". Grazie a questa
impostazione, Tylor è riconosciuto come precursore dell'antropologia culturale che si è sviluppata all'inizio del ‘900.
Per la prima volta nella storia del pensiero si delineava un'esplicita distinzione tra due piani su cui intendere la
cultura.
Fino a quel momento la cultura era stata riferita ai livelli intellettuale e morale della persona, in fondo intendendola
nello stesso modo con cui nella Grecia antica era stata intesa la paidéia. Nelle descrizioni dei geografi ed esploratori
la cultura era affrontata più sotto la prospettiva sociale che sotto quella individuale e Kapp introducendo il termine
kulturgeographie aveva posto le basi per trattare la cultura come manifestazione collettiva. Nessun geografo aveva
però cercato di distinguere criticamente i due concetti e di avviare un discorso sul modo con cui concepire e
descrivere la cultura in senso sociale.
Quando Tylor sostiene che la cultura riguarda l'uomo "in quanto membro di una società" appare chiaro che occorre
considerare la cultura anche come "formazione collettiva e anonima di un gruppo sociale nelle istituzioni che lo
definiscono". Soltanto adottando questa distinzione si può giungere a chiarire che le scienze sociali e antropologiche,
compresa la geografia, si occupano di cultura in senso sociale, lasciando ad altre scienze il compito di occuparsi
anche di cultura riferita all'individuo. Tylor definì e concepì la cultura all'interno di una visione evoluzionista
(evoluzionismo: in modo generale il complesso delle teorie filosofiche che vedono nell’evoluzione il connotato
fondamentale della realtà e assumono il concetto di evoluzione come perno per spiegare ogni tipo di realtà. In senso
specifico è impiegato per indicare 2 teorie: una biologica, secondo la quale tutti gli esseri viventi vanno incontro a
una sequenza di trasformazioni; una metafisica, secondo la quale l’universo si sta trasformando nella sua totalità
seguendo un percorso ben definito). Estese la teoria dell’evoluzione della specie allo studio delle culture e sostenne
che le culture primitive non dovessero essere considerate in termini dissociati da quelle moderne perché ambedue
fanno parte di uno stesso processo evolutivo, che procede da configurazioni culturali semplici a configurazioni
complicate. Tra i due campi, cultura primitiva e cultura moderna, secondo Tylor c'è una differenza sostanziale,
giacché la cultura moderna, nata nell'epoca dei Lumi, ha condotto il genere umano lungo un itinerario di progresso e
di elevazione morale. In quel tempo era evidente che la civiltà occidentale era più avanzata nella storia dell’umanità.
L'idea dell'esistenza di un disegno evolutivo, che tracciava i destini progressivi della specie umana, condusse Tylor a
trattare sia di cultura sia di civiltà, chiamando in causa il problema del modo con cui distinguere i due concetti che
avrebbe alimentato ampie discussioni.

 1.5 Le culture secondo Ratzel


Nel 1875, 4 anni dopo che Tylor ebbe avviato il discorso teorico sulla cultura come fatto sociale, Friedrich Ratzel
parlò di “geografia culturale”, riprendendo così il termine coniato da Kapp e aprendo la strada per farne il punto di
partenza di impostazioni sistematiche. Anche se si usava il termine “geografia culturale”, nell’opera di Ratzel non
c’era però una discussione concettuale di tale spessore da far pensare a una fondazione della geografia culturale
come ramo ben delineato della geografia. Ratzel distingue le popolazioni in due categorie: le popolazioni primitive,
dominate dalle condizioni ambientali, e le popolazioni avanzate, capaci di mettere l’ambiente sotto controllo. Questa
distinzione lo conduceva ad abbracciare la teoria darwiniana dell’evoluzione della specie; teoria che contribuiva ad
accrescere nel geografo la persuasione che l’ambiente fosse il fattore maggiormente influente sulla presenza umana
e sul comportamento sociale. Non era ben chiaro se, secondo Ratzel, le culture primitive fossero soggette a
percorrere evoluzioni che non le conducessero allo stadio della cultura moderna, oppure se seguissero un itinerario
che alla fine le avrebbe fatte approdare a questo traguardo. Se Ratzel avesse condiviso la seconda interpretazione vi
sarebbe stata una notevole vicinanza tra il suo pensiero e quello di Tylor.
Nel 1882 apparve l’Anthropogeographie, l’opera di Ratzel cui è attribuito il merito di aver fondato la geografia
umana e di averle conferito un chiaro statuto epistemologico. L’attenzione è concentrata sulla distribuzione e sulla
diffusione di componenti delle culture sulla superficie terrestre: aspetti cui Ratzel conferiva importanza primaria per
integrare le conoscenze e le teorie generali, messe a punto in altre discipline, soprattutto in filosofia, con l’indagine
geografica. Manca, tuttavia, una teorizzazione capace di dare forma alla geografia culturale.
Abbiamo individuato tre momenti (1845, 1871 e 1875) in cui sono avvenuti fatti significativi per indagare come la
cultura sia stata intesa nell’800, secolo in cui è decollata la modernità, e quali atteggiamenti la geografia abbia
assunto di fronte a questo campo tematico. A conclusione, va anche tenuto presente che questi momenti hanno
avuto luogo in una fase del pensiero scientifico dominata dal Positivismo (termine fu usato per designare un grande
movimento di pensiero che con numerose varianti, rappresentò l’esaltazione della scienza come unica guida alla
conoscenza e alla morale. Ebbe una funzione essenziale nello sviluppo del mondo moderno. Questa forma di
pensiero si basa su 3 assetti: la sola conoscenza che conduca a certezza è quella scientifica; questa forma di
conoscenza è basata sulla descrizione dei fatti con l’obiettivo di individuare i nessi di casualità tra gli elementi da cui
sono caratterizzati; il metodo scientifico, così configurato, va applicato in ogni campo dalla conoscenza e
dall’attività), di cui era stato protagonista Auguste Comte, forma di pensiero che conduceva a costruire conoscenza
descrivendo nessi di causalità tra i fenomeni e proclamava il primato della scienza sulle altre forme di manifestazione
intellettuale, comprese l’arte e la religione. Anche l’Evoluzionismo di Darwin, cui i geografi furono molto sensibili
quando si dedicarono allo studio delle etnie e delle popolazioni con culture semplici, era un prodotto di quella solida
fede nella scienza.

 1.6 Uno statuto epistemologico


Per vedere apparire uno statuto epistemologico della geografia culturale bisogna spostarci negli Stati Uniti all'inizio
degli anni ‘30, quando in un breve saggio Carl Sauer (1931) disegnò i caratteri fondamentali di questo campo di
studio e ne definì i concetti basilari. A Berkeley, Sauer aveva fondato una scuola per lo studio del paesaggio che
avrebbe acquistato notorietà mondiale sotto il nome di "scuola di Berkeley". Su quella base egli configurò la
geografia culturale come ramo della geografia dotato di una propria legittimazione scientifica. In precedenza, gli
aspetti delle culture del Nord America erano stati indagati da un'altra scuola, quella del Middle West, ma i risultati
s'erano ridotti alla raccolta di dati e alla costruzione di carte. Come si sa, prima di Sauer, il termine "geografia
culturale" era stato usato da Kapp e da Ratzel. Dall'inizio del ‘900, inoltre, la geografia francese si stava esibendo in
un'affascinante produzione di monografie sul paesaggio, ma non si parlava di geografia culturale. Nel caso di Kapp si
era trattato del mero uso di un termine nuovo, senza costruire alcun discorso epistemologico. Nel secondo caso gli
studi riguardavano effettivamente aspetti culturali, ma non si parlava di geografia culturale, dove c’era la mancanza
di discorso epistemologico. Non deve stupire che quando Sauer intervenne proponendo un ben circoscritto campo di
studi e delineandone obiettivi e contenuti, per questa sola circostanza egli dovesse essere riconosciuto come il
fondatore della geografia culturale.
Il primo passo di Sauer consistette nel proclamare che la geografia culturale è l'applicazione dell'idea di cultura ai
problemi geografici. In tal modo egli identificò un oggetto, la cultura, e enunciò che quell'oggetto costituiva il filtro
attraverso il quale si poteva mettere a fuoco un complesso di argomenti che rientravano nel dominio della geografia.
Egli non fornì una definizione di cultura, lasciando implicitamente che la questione fosse affrontata da altre scienze,
come l'antropologia culturale e come la filosofia. La geografia culturale fu disegnata da Sauer come un'arena di
ricerche empiriche articolata in quattro campi:
– la distribuzione geografica e la diffusione sul territorio di elementi culturali, dai tipi di abitazione ai toponimi, tutti
elementi che denotano i caratteri di una cultura;
– le manifestazioni geografiche dell'ecologia culturale, espresse dai modi con cui l'ambiente e lo sfruttamento delle
risorse naturali sono percepiti dalle singole culture, e contrassegnate dalle conseguenti forme di intervento sul
territorio;
– l'identificazione delle regioni culturali attraverso lo studio della distribuzione delle componenti del paesaggio,
dando così modo di integrare i metodi della geografia culturale con quelli della geografia regionale; – la
specializzazione regionale delle culture, in modo da identificare le peculiarità culturali dei singoli territori. Secondo
una diffusa opinione, il modo con cui Sauer concepiva la geografia culturale procurava vari vantaggi: apriva la strada
allo studio di singoli aspetti ed elementi della cultura; dava modo di progredire nell'indagine di "aggregati
territoriali", quali la regione e il paesaggio; contribuiva a far comprendere come si evolvessero le culture di singoli
territori.
Grazie alle ricerche empiriche a metà ‘900 la geografia culturale appariva come un campo di studio ricco di risultati e
poteva contare su un’ottima visibilità nell’arena delle discipline che si occupavano di cultura.
Il successo di Sauer consistette soprattutto nell'indagare i modi con cui le comunità umane sfruttano i propri habitat
e le risorse che vi sono custodite, e nel descrivere le trasformazioni nell'uso del suolo cui esse danno luogo e i modi
con cui esse provocano impatti ecologici.
Quando un campo di studi assume una configurazione così ricca e articolata, c'è da attendersi che emergano tre
interrogativi:
1) quale posizione questo campo occupi all'interno della geografia;
2) a quali rapporti dia luogo nei riguardi di scienze extra-geografiche;
3) su quale base teorica si appoggi.
Per rispondere al primo interrogativo: pertinente la posizione attribuita da Sauer alla geografia culturale nell’ambito
della geografia, occorre tenere conto dei termini con cui questo campo di studi si disponeva nei riguardi delle
impostazioni anticipatrici emerse in precedenza nella geografia tedesca e in quella francese. Nei riguardi della
geografia tedesca Sauer e i suoi allievi erano profondamente debitori. Soprattutto lo erano nei riguardi di Ratzel, che
aveva contribuito allo studio della diffusione delle culture attraverso l'analisi delle migrazioni e, quel che più conta, in
geografia umana aveva trasferito visioni evoluzioniste e lo spirito "scientifico" che caratterizzava il Positivismo.
Questo spiega perchè la geografia culturale di Sauer abbia attribuito così elevata rilevanza alle implicazioni
ecologiche della presenza umana e ai modi di sfruttamento delle risorse naturali. Nell'impostazione di Sauer c’è
qualcosa di più. La sua attenzione sui fatti localizzativi conduceva a considerare, in rapporto alla cultura, la
configurazione regionale del territorio. Da qui nasceva un'interessante e fruttuosa collaborazione triangolare tra
geografia culturale, geografia del paesaggio e geografia regionale.
Nei riguardi della geografia francese la posizione della scuola di Berkeley era più sfumata. Per discuterne occorre
tenere conto che, grazie alle impostazioni di Vidal de la Blache, nella prima parte del ‘900 la geografia francese si era
andata differenziando sempre più da quella tedesca. Tra le due posizioni erano insorte sensibili divaricazioni che
riguardavano due punti:
1. i geografi francesi accusavano Ratzel e la geografia tedesca di produrre conoscenze viziate da Determinismo
ambientale (termine usato da Kant in 2 sensi: attribuire a una causa, o gruppo di cause, la capacità di determinare
comportamenti; la dottrina secondo la quale tutta la realtà è organizzata e si trasforma in base a relazioni di causa ed
effetto. Il Determinismo ambientale consiste nel ritenere che il comportamento sociale sul territorio, dagli
insediamenti agli usi del suolo, sia determinato dall’ambiente fisico), nell'ambito delle quali il comportamento
umano sul territorio era ridotto alle influenze esercitate da fattori naturali. Quella polemica coinvolgeva anche la
geografia culturale, perchè quanto più si attribuisce rilevanza ai fattori naturali tanto più si fatica a cogliere la
rilevanza della cultura nello studio delle manifestazioni geografiche del comportamento sociale.
2. i geografi francesi, in particolare Vidal de la Blache, erano molto riluttanti a costruire teorie e a delineare concetti
generali poiché ritenevano che il compito del geografo consistesse nella descrizione di territori su base regionale e
che questo lavoro dovesse consistere nell'elaborazione di monografie dedicate a singoli spazi. I geografi tedeschi
mostravano propensione a costruire teorie.
La geografia culturale della scuola di Berkeley era sollecitata a manifestare sensibilità per i modi con cui la geografia
francese produceva studi regionali e collegava la regione al paesaggio, mentre dalla geografia tedesca era sollecitata
ad apprezzare la propensione a sistemare i concetti e l'attitudine a collaborare con l'antropologia culturale.
Risposta al secondo interrogativo: chiederci quale tipo di rapporto si sia instaurato tra la geografia culturale e le
discipline non geografiche impegnate nello studio della cultura. La geografia culturale non ebbe alcuna difficoltà a
stringere rapporti di collaborazione con l'antropologia culturale, specialmente nel campo delle ricerche sulle culture
americane. La collaborazione era favorita dal fatto che numerose ricerche in situ erano condotte sia da antropologi
sia da geografi, ma anche dal fatto che ambedue le discipline adottavano concetti e metodi complementari, se non
simili. I vantaggi reciproci erano notevoli: usufruendo di conoscenze prodotte nell'ambito dell'antropologia, la
geografia culturale migliorava la propria visibilità nei riguardi degli altri campi della geografia perchè appariva come
un settore dinamico e promettente; dal canto suo, l'antropologia culturale poteva contare su studi geografici della
localizzazione, della distribuzione e della diffusione delle culture. Gli antropologi culturali riconoscevano l'apporto
dei geografi. Sauer aveva auspicato un progressivo avvicinamento dei due campi di studio con l'obiettivo finale di
promuovere la creazione di una scienza dell'uomo, in cui si fondessero apporti antropologici e apporti geografici.
Risposta al terzo interrogativo: identificazione della base teorica della geografia culturale, perchè in quanto a
epistemologia, il geografo e l'antropologo si trovavano sulla stessa posizione. Ambedue si ispiravano allo
Strutturalismo (metodo o procedimento di indagine che faccia uso del concetto di struttura e rappresenti gli oggetti
come strutture. In senso logico la struttura è intesa come la pianta o il piano di una relazione, sicché si dice che 2
relazioni hanno la stessa struttura quando lo stesso piano vale per entrambe. In senso ristretto e specifico, la
struttura non è un qualsiasi piano o sistema di relazioni, ma un piano gerarchicamente ordinato, con un ordine
finalistico intrinseco, destinato a conservare il piano stesso), una forma di pensiero che concepisce la realtà come
costituita da insiemi di elementi interagenti. Lo Strutturalismo si era affacciato in antropologia culturale attraverso la
teoria dei modelli di cultura, in rapporto alla quale la cultura era rappresentata come un intreccio di elementi di varia
natura. L'impostazione possedeva 2 vantaggi: consentiva di rappresentare le culture come aggregati di elementi
dotati di un proprio ordine interno; grazie a studi comparativi, conduceva a costruire schemi generali in cui si
potevano far rientrare culture con caratteristiche analoghe e contribuiva a disegnare classificazioni di culture. A
questo riguardo c'è da notare che, alla fine degli anni ‘30, il modo strutturalista di considerare il territorio si era
affacciato nel pensiero geografico. Nel 1939 vi aveva provveduto Richard Hartshorne con il saggio "La natura della
geografia: rassegna critica del pensiero odierno alla luce di quello del passato", prospettando un disegno teorico nel
quale il territorio era rappresentato come un complesso di elementi connessi da relazioni. All’idea di trama di
elementi si affiancava l’idea di trama di elementi geografici. Verso la metà degli anni ‘50, Whittlesey avrebbe
arricchito quell'impostazione concependo la regione come una struttura territoriale.
 1.7 Sviluppo e delegittimazione
Con l'affermazione della scuola di Berkeley, con l'enunciazione di concetti fondativi e con lo sviluppo di ricerche su
base strutturalista si conclude il panorama delle idee e delle posizioni assunte dalla geografia culturale nel contesto
della modernità.
Claval sostiene che la geografia culturale sia sorta con Ratzel, che la sua fase di sviluppo iniziale si sia protratta fino
agli anni ‘30, momento in cui si è affermata la scuola di Berkeley, che abbia percorso ancora itinerari di sviluppo negli
anni ‘50, e che sia andata incontro a un declino negli anni ‘60.
Nella modernità, la geografia culturale ha trovato il suo migliore terreno nello studio delle culture semplici e degli
ambienti rurali. In quell'ambito di ricerca il geografo si trovava a fianco dell'antropologo culturale, il quale
concentrava i propri interessi sugli aspetti, ma da un'altra prospettiva, sicché i suoi indirizzi potevano spalleggiarsi a
vicenda, integrando metodi e scambiandosi risultati. Da qui la fortuna della geografia culturale. Nel corso degli anni
’60 l'urbanizzazione e l'industrializzazione galoppante offrirono motivi per occuparsi sempre più di cultura urbana, di
interazione tra culture locali e culture di gruppi immigrati, di processi di acculturazione e di dissociazione, insomma
di un vasto campo tematico per il quale, in quel momento, né l'antropologia culturale né la geografia culturale erano
appropriatamente attrezzate.
Sia l'antropologo culturale che il geografo si ispiravano al pensiero strutturalista. Nella seconda metà degli anni ‘60
sul piano filosofico presero avvio movimenti che confutavano il modo strutturalista di rappresentare la realtà. Il
criticismo nei riguardi dello Strutturalismo investì la teoria della cultura, la teoria sociale e la teoria della
rappresentazione, coinvolgendo quindi sia l'antropologia culturale sia la geografia. La geografia culturale, nei termini
in cui era stata concepita dalla scuola di Berkeley, fu colpita nelle fondamenta e dovette fronteggiare tentativi di
delegittimazione.
Furono compiuti tentativi per innovare sia i contenuti della ricerca sia le sue basi concettuali; tentativi che
condussero la geografia culturale non soltanto a riacquistare legittimazione, ma anche a divenire una scienza tra le
più sensibili a rappresentare le trasformazioni culturali della modernità e ad avvertire i segnali di post-modernità.
L'insieme di questi lavori ha condotto a quella che è stata qualificata come "nuova geografia culturale".

2. Nuova geografia culturale e postmodernità.


 2.1 La nuova geografia culturale
Dall'800 fino al 1960 si è svolta la prima fase della geografia culturale, quella della nascita e dello sviluppo. Questa
fase entrò nel vivo negli anni ‘30, quando la geografia culturale acquisì un proprio statuto epistemologico
(epistemologia). Alla sua affermazione contribuirono i legami con l'antropologia culturale, ma anche due altri fattori,
che agirono più in profondità: 1. la geografia culturale adottò una visione strutturalista della realtà (Strutturalismo),
grazie alla quale era possibile fornire chiare descrizioni dei vari elementi delle culture, come le tecnologie di uso del
suolo e l'organizzazione sociale; 2. la geografia culturale considerava le relazioni tra gli elementi essenzialmente in
termini causalisti, vale a dire attribuendo a determinati elementi la funzione di causa e ad altri la funzione di effetto.
Questa circostanza contribuiva a imprimere un carattere di scientificità alle indagini. Il gioco combinato di questi
fattori rendeva possibile costruire visioni razionaliste (Razionalismo), in base alle quali la cultura appariva come una
realtà capace di essere rappresentata con gli stessi criteri con cui erano rappresentate le realtà fisiche.
La geografia culturale se da un lato poteva esprimersi attraverso indagini che mostravano i caratteri del rigore e
dell’oggettività, dall'altro andava incontro a un'inevitabile caduta di interesse perchè alla fine si esibiva in
rappresentazioni che non erano molto diverse da quelle cui si approdava in geografia umana.
Al vantaggio derivante dalla base razionalista e dall'impostazione strutturalista si contrapponeva lo svantaggio di
avere una debole caratterizzazione di contenuti. Da qui il declino cui andò incontro negli anni ‘60 e ‘70. A provocarlo
contribuì anche la caduta di interesse per aspetti culturali del territorio che caratterizzarono la prassi geografica di
quei decenni.
Peter Haggett pubblicò Locational Analysis in Human Geography (1965), considerato una sorta di Bibbia di una nuova
geografia basata sulla costruzione di modelli di reti urbane, di localizzazione di industrie e di reti di comunicazione,
insomma sulla modellizzazione di una realtà che era vista in una prospettiva più ancorata a fatti di assetto materiale
del territorio che alla cultura. Era un segno eloquente di una virata nei percorsi prediletti dai geografi del momento.
L'atteggiamento dei geografi cominciò a mutare negli anni ‘80 quando le manifestazioni territoriali delle culture
cominciarono ad attrarre interessi dando luogo a una nuova sensibilità, che investì un numero crescente di ambienti
che coltivavano geografia umana e condusse a considerare la geografia culturale come un campo di indagine di
emergente e motivata rilevanza scientifica. Il ritorno di attenzione per la cultura e l'emergere di nuovi indirizzi
geografici fu provocato dall'insorgere di sfiducia su tre livelli:
1. Il primo livello era costituito dalla sfiducia nei metodi quantitativi, prodotti sull'onda dello Strutturalismo
geografico; metodi che erano stati ideati n numero crescente diffondendo l’illusione che nella misura dei fenomeni
territoriali e nella modellizzazione risiedesse la possibilità di conferire oggettività al discorso geografico. All’illusione
seguirono le frustrazioni quando ci si avvide che si stavano producendo modelli su modelli senza far avanzare la
sostanza della conoscenza.
2. Il secondo livello era costituito dalla sfiducia nella rappresentazione analitica del territorio, che riduceva lo
spazio a una mera tessitura di relazioni tra elementi e agevolava sì elaborazioni teoretiche, ma nello stesso tempo
banalizzava anche il discorso geografico.
3. Il terzo livello era costituito dalla sfiducia nello Strutturalismo in quella forma di pensiero che aveva reso
possibile una così vasta diffusione di rappresentazioni analitiche e di metodi quantitativi. Il geografo partecipava a
sentimenti che si stavano diffondendo in estese parti delle scienze sociali.
La sfiducia generava desiderio di costruire una geografia umanistica, scriveva Buttimer "si sente il bisogno di uno stile
di pensiero (dimenticato), che sia meglio in armonia con la ragione umana, e la ricerca di uno stile di vita più sensibile
alla terra vivente (come organismo vivente)”.
È per rispondere a queste esigenze che la geografia umanistica si caratterizzò per attribuire una funzione centrale
alla coscienza e alla creatività umana e per esplorare i valori dell'esistenza umana impressi nello spazio geografico. Le
inquietudini dei geografi ne riflettevano altre che si manifestavano con atteggiamenti critici nei riguardi delle
tradizionali impostazioni strutturaliste. Gli atteggiamenti si risolvevano in decostruzione (Decostruzionismo:
Heidegger ritenne di de-sedimentare le strutture della conoscenza per interporre una nuova categoria, la de-
costruzione, tra le categorie tradizionali della riduzione e della costruzione. La decostruzione è presentata come un
procedimento che stabilisce un nesso fenomenologico con la costruzione. In senso generale indica ogni
procedimento critico nei riguardi di teorie o di posizioni consolidate, orientato a delegittimarle) di teorie e di
impostazioni, che conducevano a "smascherare le motivazioni e i pregiudizi nascosti nelle nozioni più comunemente
accettate".
Emerse, negli anni ‘80, una geografia culturale dotata di una retorica debole perchè era incline a evitare discorsi
"forti", cartesiani, ed era orientata a concentrare l'attenzione su aspetti che riflettessero una visione esistenziale
dello spazio di vita. Vengono presentate, come esempi, due brevi descrizioni di Los Angeles, indicative di differenti
modi con cui descrivere un paesaggio, come quello urbano, dotato di forti connotazioni culturali.
All'inizio degli anni '90 Giacomo Corna-Pellegrini forniva della metropoli californiana una brillante descrizione in linea
con i canoni classici della geografia umana: “città per versatili industrie, per viverci bene, LA non è facile da
visualizzare perché è per lo più realizzata a molti moduli ripetuti regolarmente, fin troppo simili tra loro. dalla pianura
di LA, urbanizzata e verdeggiante per un centinaio di km, emerge solo una pattuglia di grattacieli in downtown. La
collina di Hollywood delinea il confine settentrionale, mentre la spiaggia oceanica a ovest, quando finalmente
raggiunta, pone anche in quella direzione un limite definito e certo, oltre che vivo e piacevole: da Malibù, alla Venice
di artisti e cultori di body building, a Long Beach più a sud. Poi le spiagge proseguono sempre più giù, fino a San
Diego e al confine messicano verso la Baja California. Quartieri di ville e di viali si aggiungono di continuo a quelli
esistenti, perché a est di LA conquistano il deserto e, irrigandolo, lo trasformano in un’oasi sempre più smisurata. Per
congiungere velocemente zone urbane che distano fra loro molte decine di km si snodano, spesso sopraelevate, le
autostrade urbane, con le loro 12 e più corsie e i sovrappassi spaziali. Tanto è quieto e compassato il traffico fra i viali
residenziali, tanto è più convulso e stressante su queste arterie ultrarapide, ove nessun vincolo di velocità sembra più
esistere e ogni spregiudicatezza di sorpasso pare consentita”.
Qualche anno prima Edward Soja aveva prodotto una descrizione di LA nella quale l'attenzione era concentrata sullo
spazio compreso entro un raggio di 60 miglia dal centro, ove si stendeva un tessuto insediativo variegato e
frammentato, con forme stravaganti e avveniristiche. In quello spazio Soja scorgeva i segni della condizione
esistenziale postmoderna che, sul versante del Pacifico, stava sostituendosi alla condizione moderna molto più
rapidamente di quanto avvenisse sul versante dell'Atlantico.
“Per almeno 50 anni, LA ha sfidato le categorie convenzionali di descrizione dello spazio urbano: la distinzione, ad es.,
tra città e sobborgo, tra comunità e quartiere, e la definizione di ciò che significa compresenza nel contesto urbano.
Come conseguenza di ciò, ha progressivamente decostruito lo spazio urbano riducendolo spesso ad un confuso
collage di segni e cartelli che promuovono quelle che sono nella maggior parte dei casi poco più che comunità di
nome, e una serie di improbabili denominazioni assegnate a determinati siti. Ciò che rimane in realtà è un ordine di
tipo economico, una struttura nodale, una divisione spaziale del lavoro legata a politiche di sfruttamento delle risorse
umane e naturali: insieme hanno prodotto il sistema urbano più produttivo che si sia visto negli ultimi 50 anni. Ma la
natura di questo sistema urbano è la stessa tenuta nascosta in maniera sempre più accentuata, grazie alla
mistificazione fantasiosa di un ambiente specializzato più di qualsiasi altro nella produzione di mistificazioni.
Osservata con un po’ di ironia, la LA contemporanea ricorda oggi più che mai un gigantesco agglomerato di parchi
tematici, una regione fatta di disneyword traboccanti di vetrine di cultura globale e di paesaggi americani simulati, di
shopping mall, main street e magic kingdom sponsorizzati dalle grandi multinazionali, di high-technology-based-
experimental prototypes communities of tomorrow, di luoghi confezionati in maniera attraente per riposare e per
ricrearsi; il tutto concepito in modo da nascondere con accortezza il ronzante lavorio e i processi produttivi che lo
rendono possibile. Questi spazi chiusi sono strettamente controllati a vista, nonostante la loro apparenza di fantastici
regni aperti alla più totale libertà di scelta. L’esperienza di vivere in questi spazi può essere fuorviante e al tempo
stesso straordinariamente piacevole, specialmente per chi si può permettere di trascorrervi un tempo
sufficientemente lungo.”
Il confronto è utile per capire lungo quali cammini si stava avviando la geografia culturale ed è indicativo sotto molti
punti di vista.
Tabella pag. 35: rappresentazioni urbane a confronto:

Giacomo Corna-Pellegrini, 1993 Edward Soja, 1986


Oggetto/Soggetto Oggetto/Soggetto
La descrizione ha finalità oggettivistiche: il discorso La descrizione ha finalità dichiaratamente
verte su elementi materiali presentati in sé e per sé, val soggettivistiche: il discorso verte sulle esperienze
a dire prescindendo dal soggetto. esistenziali suscitate dagli elementi del paesaggio
urbano.
Referente/Segno Referente/Segno
Concentrandosi sulle strutture urbane, il referente Concentrandosi sulle esperienze esistenziali,
(oggetto) è assunto come perno della descrizione. Ne l’attenzione è concentrata sui segni e sui simboli
deriva il primato del referente nel discorso geografico. contenuti nella realtà urbana, dove deriva il primato del
segno nel discorso geografico.
Etica/Estetica Etica/Estetica
La descrizione mostra il livello di sviluppo della città e Si conferisce attenzione all’estetica, in ciò avvicinandosi
conduce così all’idea del progresso, che la modernità fa a impostazioni proprie del postmodernismo.
rientrare nella sfera dell’etica.
Realtà/Iperrealtà Realtà/Iperrealtà
La rappresentazione propone una visione realistica, nel La rappresentazione sollecita l’immaginazione e apre la
senso che la città è presentata in termini di spazi reali. strada per percepire la città come un portale per spazi
immaginati, iperreali.
Testo/Contesto Testo/Contesto
La città è considerata come un testo, sicché è Il paesaggio urbano è inserito nel contesto, vale a dire è
rappresentata in sé e per sé. posto in relazione ai processi sociali da cui dipende e
nei quali è coinvolto.

Inoltre, il confronto è indicativo sotto altri due punti di vista:


1. la rappresentazione di Soja è dedicata a uno spazio urbano che si trasforma con rapidità impressionante, e l'esame
è compiuto da una prospettiva che, dedicandosi più al segno che al referente (oggetto), è in condizioni di privilegiare
la dimensione culturale;
2. per lungo tempo la geografia culturale aveva condotto ricerche sulle culture primitive, intrattenendo stretti legami
con l'antropologia culturale, mentre ora il geografo si rivolge ad ambienti urbani in cambiamento, caratterizzati da
comunità multietniche in rapida evoluzione sociale; nel far ciò tende a collegarsi alla sociologia.

 2.2 La resurrezione della Fenice


Nell'intento di fornire una visione dei cambiamenti di prospettiva geografica che hanno condotto a nuovi interessi,
Buttimer (1993) ha proposto un modello con forte impronta simbolica e basato sull'idea di ciclo (Figura pag.37:
modello ciclico dell’evoluzione della geografia, secondo Buttimer: 1. Fenice, 2. Faust, 3. Narciso). Secondo questo
modello, gli anni ‘60 furono il tempo della Fenice. La Fenice è “un mitico uccello di origine etiopica, di bellezza senza
pari, dotato di straordinaria longevità e che ha il potere, dopo essersi consumato, di rinascere dalle proprie ceneri”.
In quegli anni l'avvento dello Strutturalismo fece rinascere la geografia conducendola verso la strada della
produzione di modelli quantitativi. Il decennio successivo fu il modello di Faust. La ricerca geografica su base
strutturalista, contraddistinta da indagini quantitative e da ampia elaborazione di modelli, fu così vasta da essere
considerata come il prodotto di un amore per il pragmatismo comparabile all'amore per l'azione che Goethe attribuì
al leggendario Faust. Gli anni ‘80 furono il tempo di Narciso, l’eroe della mitologia greca è colto in atteggiamenti di
continua ammirazione per il suo aspetto riflesso nell’acqua di una fonte. Questo atteggiamento è un simbolo di auto-
contemplazione che caratterizzò la posizione della geografia in quegli anni: dopo aver prodotto un'enorme quantità
di ricerche quantitative i geografi cominciarono a riflettere sulla validità e sull'utilità di tanto lavoro. E furono in molti
a interrogarsi sull'avvenire della ricerca geografica. L'immagine mitica di Narciso è tutt'altro che negativa: "Narciso
sente che la sua bellezza continua, che essa non è compiuta e che occorre realizzarla". Quella pausa di riflessione
condusse a cercare strade alternative e prese il via un rinnovamento nello studio della cultura da cui sorse la "nuova
geografia culturale".
Per restare nella metafora di Buttimer possiamo chiederci come dalla fase di Narciso, dominata dalla riflessione e dal
desiderio di rinnovarsi, si sia passati alla fase della Fenice, quella della sperimentazione e della produzione di nuovi
tipi di ricerca, e verso quali traguardi conduca questa animazione. Fuori di metafora, possiamo chiederci in quali
termini la nuova geografia culturale possa affermarsi come protagonista di un nuovo corso all'interno di quella
galassia di campi di ricerca, teorie e metodi, che è la geografia umana. Il tema porta in causa 4 questioni:
1) quali basi teoriche sostengano la nuova geografia culturale;
2) di fronte a quali opzioni teoriche si trovi questo campo di studi;
3) quali legami si instaurino con altre discipline;
4) quali indirizzi vengano alla luce.

 2.3 Basi teoriche, campo di opzioni


La nuova geografia culturale nacque dunque sotto l'impulso di due fattori: 1. un fattore generale, presente nell'intero
comparto delle scienze sociali, costituito dalla sfiducia nello Strutturalismo; 2. un fattore specifico, costituito
dall'insoddisfazione nelle ricerche quantitative, su base strutturalista, che si diffuse in vasti ambienti geografici. La
conseguenza più importante di quell'insoddisfazione generale consistette nella produzione di forme di pensiero
orientate alla revisione dei canoni strutturalisti, quindi, del Razionalismo che ne stava alla base; forme denominate
"post-strutturalismo". È dibattuto se il post-strutturalismo sia effettivamente riuscito nel compito, ma questo
problema è piuttosto lontano dal discorso sulla nuova geografia culturale. Più che valutare quali siano stati i suoi esiti
è utile chiederci quali influenze abbia prodotto sulla nascita e sullo sviluppo della nuova geografia culturale. Le
influenze sono state esercitate attraverso l’enunciazione della teoria della decostruzione, la messa a punto di
criticismo verso la modernità, l'interpretazione del segno come strumento di potere.
Ecco gli aspetti fondamentali di questi tre atteggiamenti:
1. Decostruzionismo: indirizzo teorico che ha delineato modi di produrre conoscenza non partendo dall'oggetto (nel
nostro caso, dalla realtà territoriale), bensì dal testo, dalla rappresentazione della realtà. Il testo è assunto come
terreno da esplorare per identificare quegli aspetti che vi sono nascosti, o che si danno per scontati, e che invece
spesso rappresentano "la parte più significativa della loro capacità di ordinare e di normare gli "oggetti" di cui
parlano". Il testo è concepito nel senso più esteso: comprende sia il testo scritto, sia la carta geografica, sia qualsiasi
narrazione, descrizione e rappresentazione. Il Decostruzionismo è rivolto all’interrogazione dei testi e coinvolge il
tentativo di estrarre ed esporre i significati messi in evidenza, le tendenze, e i preconcetti che strutturano il modo
con cui il testo concettualizza il proprio rapporto con ciò che descrive. Ciò richiede che i concetti tradizionali, la teoria
e le conoscenze che stanno attorno a un testo siano districate, assumendo che le intenzioni e i significati di un autore
possano essere agevolmente determinate.
L'interesse di questa impostazione risiede nell'incoraggiare i geografi a considerare le rappresentazioni della cultura,
che costituiscono il testo, come oggetto autonomo di ricerca, e di esplorare le relazioni che il testo intrattiene con il
contesto cui appartiene. Il testo si manifesta attraverso una galassia di segni essenziali per l'indagine della geografia
culturale.
2. Criticismo verso la modernità: Attraverso un'intensa riflessione filosofica, Michel Foucault ha sviluppato criticismo
verso la modernità che non è consistito soltanto nella confutazione del pensiero strutturalista, ma anche nella
costruzione di edifici teorici alternativi.
Per quanto riguarda la geografia culturale sono rilevanti 3 apporti:
 consiste nell'aver dimostrato come il modo moderno di produrre conoscenza si basi sulla costruzione di
segni attraverso processi di razionalizzazione della realtà, e di significati legati ai segni da relazioni causali. La
modernità si è distinta dalla premodernità, nel cui ambito la rappresentazione si proponeva di riflettere la
realtà, non già di razionalizzarla. Il passaggio dalla premodernità alla modernità è stato contraddistinto dal
passaggio da una conoscenza ternaria a una conoscenza binaria. La postmodernità tende essenzialmente a
creare conoscenza che non si basi su un rapporto causale tra segno e significato, e che si apra
all'immaginazione e alla creatività individuale;
 consistito nell'indagare come la rappresentazione abbia attribuito al tempo il primato sullo spazio
generando così un'abbondante produzione di conoscenza storicista (storicismo: movimento di pensiero in
base al quale la realtà è identificata nella storia e ogni conoscenza è storica). Ha attribuito un valore
privilegiato ai processi storici e ha emarginato quelli territoriali. La postmodernità si caratterizzerebbe per
un atteggiamento di segno opposto, in cui il rapporto esistenziale tra persona e luogo assume un valore
centrale nella costruzione di conoscenza;
 consistito nel proporre il concetto di spazio eterotopico, inteso come uno spazio reale che si distingue dallo
spazio circostante perchè dotato di propri apparati simbolici e di propri significati.
3. Segno, strumento di potere: Francois Lyotard (1979) ha teorizzato i modi con cui il segno, espresso soprattutto dal
linguaggio, sia stato dapprima assunto dalla cultura moderna come base per costruire conoscenza e, in seguito, sia
stato impiegato come strumento per orientare la condotta umana, diventando così il fattore decisivo di azioni e
strategie rivolte a trasformare il reale. La geografia culturale è incoraggiata a "leggere" il territorio come una
tessitura di segni che obbediscono a strategie sociali attraverso le quali si manifesta il potere.
Oltre alle influenze esercitate dal post-strutturalismo maturato in Francia, la nuova geografia culturale è stata
influenzata dal postmodernismo sorto negli Stati Uniti. Secondo Dear (2001), in geografia il postmodernismo si è
affermato come un nuovo stile, mediante il quale il territorio è letto come un testo, come un universo di segni, e
inquadrato nel contesto, sociale storico culturale in cui i segni sono inscritti. Il geografo cerca di identificare il
rapporto tra le pratiche sociali e la costruzione di conoscenza del territorio. I due atteggiamenti hanno condotto a
sviluppare tre campi di studio:
1) il primo è costituito dai paesaggi culturali urbani, nei quali il geografo cerca di scorgere segni postmoderni in
strutture di recente ideazione, come i mall e i megamall, sorti in Nord America e poi diffusisi in varie parti del mondo,
o come i waterfront delle città marittime, ove strutture portuali sono state sostituite da attività turistiche, da servizi
congressuali e di intrattenimento;
2) le trasformazioni industriali costituiscono il secondo campo, nel quale il geografo postmodernista cerca di
esplorare come il declino di aree manifatturiere convenzionali e l'avvento di strutture nuove contraddistingua
l'avvento di paesaggi postfordisti;
3) questi campi di ricerca hanno fornito ampio materiale per il discorso sulla rappresentazione del territorio nel cui
ambito i geografi postmodernisti hanno cercato di confutare i modi di rappresentazione connaturati alla modernità e
di sostituirli con altri in cui la realtà è rappresentata come una tessitura di segni legati in vario modo a significati.
L'insieme di questi spunti costituisce un terreno, teoricamente ben connotato, da cui la geografia culturale è in
condizione di trarre fruttuosi contributi.
La geografia culturale propone oggi due grandi aree di costruzione di conoscenza:
1. la prima è l'area della geografia culturale tradizionale, nel cui ambito durante la prima metà del ‘900 si è
sviluppato l'indirizzo strutturalista;
2. la seconda è l'area della nuova geografia culturale. A differenza della prima che è abbastanza omogenea sia per
quanto riguarda la base epistemologica (Strutturalismo), sia per quanto riguarda i metodi (analitici), la seconda è
piuttosto articolata. Al suo interno sono identificabili tre indirizzi: l'indirizzo semiotico e l'indirizzo spiritualista, che
per certi versi si rifanno all'arena poststrutturalista e postmodernista; l'indirizzo eclettico, che attinge ampiamente
elementi dell'area strutturalista, integrandoli con elementi tratti dal poststrutturalismo e dal postmodernismo
Schema pag. 42: quadro degli indirizzi maturati nella geografia culturale.

Basi filosofiche Razionalismo Post-strutturalismo Romanticismo


Positivismo Postmodernismo Spiritualismo

Indirizzi di Indirizzo Indirizzo Indirizzo Indirizzo


geografia culturale strutturalista semiotico spiritualista eclettico

Geografia culturale Nuova geografia Nuova geografia


convenzionale culturale culturale
Discipline Etnologia Semiotica Estetica
collegate Etnografia Arti figurative Letteratura
Antropologia Arti figurative
culturale Geofilosofia

 2.4 Indirizzo strutturalista


La geografia culturale della scuola di Berkeley ha coltivato 4 fondamentali campi tematici:
1. la distribuzione geografica e la diffusione territoriale di manifestazioni culturali;
2. i modi con cui l'ambiente e lo sfruttamento delle risorse naturali sono percepiti nelle singole culture;
3. le regioni culturali, intese come territori culturalmente omogenei;
4. la specializzazione regionale delle culture, che dà luogo alle specificità culturali dei singoli territori.
I 4 territori hanno continuato a ispirare ricerche, ma sotto certi aspetti hanno anche accresciuto la loro rilevanza
perchè alcuni temi di indagine hanno guadagnato interesse. Es. la diffusione delle culture ha attratto nuove
attenzioni da quando ci si è accorti come numerose culture primitive stiano soccombendo di fronte all'irrompere di
modi massicci di occupazione e di sfruttamento del territorio, e come la loro scomparsa sia spesso associata alla
distruzione ambientale. Riviste con forte impatto sull’opinione pubblica hanno dedicato al tema ampi servizi nei quali
le rappresentazioni cartografiche delle culture scomparse o a rischio di estinzione, costituiscono ottime applicazioni
di criteri di geografia culturale.
Nel corso degli anni ‘90, la diversità biologica è stata assunta come il concetto più avanzato su cui basare la
protezione ambientale. Nello stesso tempo è emerso un concetto parallelo, quello di diversità culturale, e si è
cominciato a pensare che il perseguimento di obiettivi di sviluppo sostenibile esiga che ambedue le diversità,
culturale e biologica, debbano essere tutelate come espressioni di una stessa realtà. La diversità culturale è
identificata nelle peculiarità culturali delle singole comunità umane, con particolare riguardo alle comunità dotate di
tecnologie non avanzate, quindi maggiormente soggette a rischi derivati dall’espansione di strategie e tecnologie
moderne. Per mettere a punto appropriate forme di tutela bisogna identificare aree culturali, spazi caratterizzati da
una stessa fisionomia culturale e così facendo si entra su un terreno coltivato a fondo dalla scuola di Berkeley. La
ricerca sulle aree culturali trova nuove motivazioni.
A ciò si aggiunga che il collasso dell'Unione Sovietica, e la successiva onda di rivendicazioni di indipendenza da parte
di etnie in varie parti del mondo, hanno fatto emergere temi di comune interesse per la geografia culturale su base
strutturalista e per la geopolitica.
La componente religiosa delle culture è stata indagata con crescente cura nella tradizionale prospettiva della
geografia culturale, con l'obiettivo di conoscere le influenze esercitate dalle religioni sui costumi delle singole
comunità, dai sistemi di alimentazione ai comportamenti sociali, dalla posizione della donna alla produzione artistica.
Anche in questo campo la geografia culturale è stata indotta a collaborare con la geopolitica, essendo la seconda
interessata a conoscere in quali modi le religioni, soprattutto le grandi religioni monoteiste, siano in grado di
influenzare l'assetto politico del mondo. I contributi e i fascicoli che autorevoli riviste hanno dedicato al tema sono
una testimonianza dell’accresciuto interesse sia verso ricerche sulla diffusione di elementi della religione
politicamente rilevanti, sia verso indagini orientate a definire aree omogenee dal punto di vista della religione.
Ambedue i temi sono ben presenti nella sistemazione della geografia culturale tradizionale a sfondo strutturalista.

 2.5 Indirizzo semiotico


Un'ampia parte del mondo scientifico è incline a ritenere che la cultura consista nella creazione e nella
trasformazione di simboli.
Considerando la cultura come patrimonio di simboli, la semiotica costituisce la base teorica di riferimento per una
geografia culturale incline a esplorare le connotazioni simboliche dei luoghi e degli spazi e i valori cui le connotazioni
conducono. Più in generale, costituisce un quadro di riferimento per interpretare il territorio in termini di relazioni
tra soggetto, segno e significato.
Nei confronti di questa prospettiva, nella letteratura geoculturale si possono identificare due atteggiamenti.
1. I geografi europei, che hanno contribuito allo sviluppo della nuova geografia culturale, non sembrano mostrare
entusiasmo per l'indirizzo semiotico, anche se già negli anni '70 ne avevano colto e discusso le potenzialità.
A metà degli anni '90, Paul Claval si chiedeva se essi potessero essere interpretati come "portali" attraverso i quali
penetrare nei meccanismi di funzionamento della società. Più recentemente egli ha riconosciuto che "la dimensione
simbolica della vita umana si trova integrata, già fin dall'inizio, nello studio dei processi sociali e delle realtà
territoriali", ma questo asserto non lo ha indotto a dirigersi verso l'applicazione di criteri derivati dalla semiotica.
A questi criteri, Jean-Robert Pitte dedica un fuggevole cenno.
Per trovare un consenso convinto bisogna riferirsi a Bonnemaison. Pur parlando di geografia culturale in termini di
"geosimbologia", egli non va molto avanti sul terreno concettuale, soprattutto perchè non affronta il problema
centrale, che riguarda il modo con cui definire il rapporto tra geografia e semiotica.
2. Maggiori attenzioni a questa prospettiva sono invece dedicate da geografi anglosassoni, soprattutto da quelli che
rientrano nell'alveo del postmodernismo.
Numerosi sono i contributi dedicati al paesaggio urbano in chiave simbolica e alle conseguenze teoriche che ne
derivano: per tutti valgano quelli di Dennis Cosgrove.

Può essere utile osservare come il discorso geografico cambi a seconda che ci si muova all'interno dell'indirizzo
convenzionale, a sfondo strutturalista, o di quello semiotico.
Prendiamo in esame i due archi che caratterizzano il paesaggio parigino: l'Arc de Triomphe de l'étoile e la Grande
Arche de la Défense. Per loro natura, questi manufatti non rientrano nei temi cui la geografia culturale a sfondo
strutturalista dedicherebbe attenzione. Al contrario, la geografia culturale a sfondo semiotico attribuirebbe loro una
rilevanza speciale perchè li vedrebbe come simboli attraverso i quali è possibile approdare a narrazioni su Parigi,
sulla Francia e sul mondo (figura pag. 45: i due archi a confronto secondo l’indirizzo semiotico).

Arc de Triomphe de l’Etoile Grande Arche de la Defense


1836 Data 1989
Progresso inevitabile Meta = narrazioni Progresso incerto
Potenza nazionale Narrazioni Solidarietà internazionale
Certo Segno Ambiguo

Arc de Triomphe de l’Etoile  situato al centro dell’Etoile, in una posizione un po’ elevata, dalla quale lo sguardo si
spinge lungo le avenues che da quel punto si diramano a raggiera, l’Arco di Trionfo esibisce i segni della potenza
francese, che conducono a significati di solidità politica e sociale e di orgoglio nazionale, dove emerge la narrazione
secondo la quale la Francia possiede una tale dotazione di valori e di qualità da potersi avviare lungo cammini che la
conducano a traguardi degni del suo glorioso passato, fondato sull’Illuminismo.
Questo monumento conduce a significati certi, quelli connessi alla grandezza della Francia; è una porta di accesso a
un significato moderno, quello del progresso, un simbolo dal significato scolpito così chiaramente da essere imposto
al visitatore come il solo possibile, un significato che si rivolge alla ragione. È un segno urbano di modernità.
Proprio al di sotto del monumento, in uno dei principali nodi delle comunicazioni ferroviarie parigine, si può
prendere la metropolitana veloce, che in pochi minuti ci conduce alla periferia nord-occidentale della metropoli,
nell’area de la Defense.

Grande Arche de la Defense Usciti all’aperto ci si trova immersi in un ambiente caratterizzato da grandi edifici in
vetrocemento e da monumenti di vario stile. Il paesaggio è dominato da un parallelepipedo vuoto e liscio, alto 110m,
alle cui spalle, lungo il percorso della Senna, si stende la Parigi storica, dall’Etoile fino a Notre Dame e oltre, mentre
sul lato opposto, innanzi al monumento, si stende una campagna che si va urbanizzando.
Il termine “Arche” è ambiguo: significa tanto “arca”, nel senso l’arca di Noè, quanto “arcata” nel senso di arcata di un
ponte. Il paesaggio nel quale si inscrive, tutto improntato da forme nuove e da sculture di avanguardia, evoca
qualcosa che deve avvenire, ci spinge verso il futuro per cui siamo indotti a considerare la Grande Arche come
un’arca, che ci trasferisce in una nuova dimensione esistenziale.
Questo monumento fa riflettere sul passato, indica un futuro incerto, un futuro che può essere immaginato in vario
modo perché non vi è alcun segno che ci induca a disegnarlo in un modo specifico. È un segno, dunque che instaura
un rapporto ambiguo con il significato, che cioè ammette una pluralità di significati.
La Grand Arch è un portale aperto su un universo di significati possibili, costruiti attraverso l’immaginazione. È un
segno urbano di postmodernità.

L'esempio mostra come la geo-cultura in senso semiotico si preoccupi non soltanto di individuare simboli e segni
inscritti sul territorio, nel nostro caso in uno spazio metropolitano, ma consideri anche il rapporto tra simbolo e
significato. Lo fa all'interno di una retorica non razionalista, sviluppando dunque un discorso considerato debole.
Debole non perchè sia privo di validità e interesse, ma perchè rispetto alla prospettiva di costruire la spiegazione
preferisce quella di favorire la comprensione e l'immaginazione.

 2.6 Indirizzo spiritualista


Lo Spiritualismo è un movimento di pensiero sorto nell'800, che affonda le radici nella filosofia di Socrate e Platone e
si propone di ricondurre la realtà alla coscienza umana, considerando quest'ultima come l'impronta della
trascendenza e la sede di tutti i valori della natura e della storia. Ci troviamo di fronte a un disegno filosofico con 3
connotati:
1) la collocazione della persona, della coscienza umana, al centro del mondo, generando così un evidente
soggettivismo;
2) la rivalutazione della conoscenza non analitica;
3) la conseguente, implicita delegittimazione del Razionalismo come unico procedimento di costruzione di
conoscenza.
Per quanto riguarda la geo culturale, questa forma di pensiero, che si articola in vari atteggiamenti, soprattutto in
modi di considerare il paesaggio caratterizzati da sensibilità anche per gli aspetti estetici, può aprire nuove strade
nella ricerca dei valori spirituali che le culture hanno attribuito ai luoghi. Le manifestazioni geografiche della cultura
non sarebbero indagate e rappresentate in termini di simboli e di valori, ma in termini di connotazioni impresse al
territorio dalle manifestazioni più elevate dello spirito umano. I due indirizzi differiscono per una diversa sensibilità
nei riguardi delle manifestazioni spirituali e hanno in comune la lontananza dallo Strutturalismo.
In Italia, l'indirizzo spiritualista nello studio delle culture si è avvalso di due linee di contributi. Una prima linea è sorta
in geografia con Riscontri di geografia culturale; Giuliana Andreotti ha proposto una visione ben articolata della
geografia culturale su base spiritualista. L'altra linea si è delineata in filosofia dove è sorto l'indirizzo della "geo-
filosofia", campo di indagine che si basa su una stretta integrazione tra la riflessione filosofica e la geografia.
Ambedue gli orientamenti, quello geografico e quello di "interfaccia" tra filosofia e geografia, hanno in comune non
soltanto un'ampia base concettuale, ma anche un profondo interesse per il paesaggio, assunto come tema cruciale
nella rappresentazione del territorio.
Per valutare la carica innovativa dello Spiritualismo possiamo mettere a confronto 2 descrizioni di uno stesso
paesaggio, l’una compiuta in termini convenzionali e l’altra impostata su base spiritualista (Figura pag.51:
rappresentazione del paesaggio dell’Adige, discorsi strutturalista e spiritualista a confronto).
Due descrizioni del paesaggio dell’Adige: una di Aldo Sestini (impostazione convenzionale, strutturalista,
essenzialmente positivista) in termini convenzionali, l'altra di Giuliana Andreotti (impostazione spiritualista) su base
spirituale.
Sestini delinea una rappresentazione del paesaggio coerente con i canoni che i geografi italiani hanno seguito nella
parte centrale del ‘900 e che ancora oggi ricorre nelle monografie ospitate nelle collane dedicate ai paesi e alle
religioni. Popolamento e insediamenti, e alcuni rapporti che questi intrattengono con il contesto fisico, sono il motivo
conduttore della descrizione: “La popolazione rurale alto-atesina è quasi tutta di lingua e di costumi tedeschi ed è
agevole osservarlo anche in alcune fogge del vestiario o nei tipi delle abitazioni. Ma più importante, per le incidenze
sul paesaggio è la struttura sociale-agraria, caratterizzata da un particolare regime vincolistico familiare, il maso
chiuso. Ogni maso dispone di estensioni sui 80-50 ettari, in massima parte occupati da campi e da prati o pascoli; ma
spesso usufruisce anche di tratti di bosco e di pascolo facenti parte di proprietà collettive.
L’accennata dispersione della popolazione sta in diretto rapporto con questo regime economico-sociale, il quale
contribuisce a tener bassi la densità e l’incremento demografico, ma anche a rendere il livello di vita relativamente
agiato. Ciò si rivela nelle stesse abitazioni dei masi, grandi e ben tenute, in pietra intonacata e legname, col tetto
coperto di tegole o di assicelle di legno. Queste dimore si distribuiscono sulle terrazze presso i fondi vallivi e sui ripiani
di mezza costa, e talora non ne mancano più in alto, sulle dorsali e gli altopiani. A esse conduce tutta una rete di vie
carreggiabili percorse con solidi carri o con tregge tirati da cavalli. Ai lati di queste strade corrono staccionate, usate
anche a circoscrivere le proprietà: appariscente elemento del paesaggio, insieme ai crocifissi di legno riparati da un
piccolo tetto.
Gli aspetti antropici e di vegetazione accennati si continuano anche sugli altopiani porfirici intorno a Bolzano, che
possono figurare come un particolare paesaggio per le loro caratteristiche morfologiche. Tali altopiani sono costituiti
da potenti espandimenti di porfidi quarziferi, di tinta rosso-cupa o violacea, ottimi come durevole materiale da
pavimentazione: grandi cave si scorgono sui ripidi fianchi della Val d’Adige, donde i caratteristici blocchetti di pietra
vanno per tutta l’Italia. La superficie degli altopiani appare dolcemente ondulata, con lievi groppe arrotondate
dall’erosione degli antichi ghiacciai ed estesi ricoprimenti morenici. Secondo l’altitudine vi prevalgono i campi e i
prati, oppure i consueti boschi di conifere con radure prative o acquitrinose. Alcune profonde valli spezzano la
continuità degli altopiani”.

La rappresentazione del paesaggio dell'Adige in chiave spiritualista è introdotta da Andreotti rievocando un brano de
Il fuoco di Gabriele d'Annunzio: "Nella mia vita errante vidi allora per la prima volta un gran fiume. M'apparve a un
tratto, gonfio e veloce fra due ripe selvagge, in una pianura infiammata, quasi fosse stoppia, ai raggi orizzontali del
sole che ne rasentava il limite come una ruota rossa. Sentii allora quel che v'è di divino in un gran fiume a traverso la
terra. Era l'Adige, scendeva da Verona, dalla città di Giulietta". Muovendo da questa pagina letteraria, che denota
un'eccezionale sensibilità estetica, Andreotti fornisce una descrizione ove il paesaggio è colto in termini di valori
spirituali ed è assunto come l'insieme degli aspetti culturali del territorio: “L’Adige è il signore della buona o della
cattiva stagione, fa tremare o fa sperare, allaga Trento e la sua valle o ne fertilizza le campagne, concede o toglie
l’opportunità di comunicazioni. Nel passato si avvicinava a Trento rutilante e minaccioso, tanto che qualche
viaggiatore si confonde e invece di chiamarlo fiume, lo chiama torrente. È un’ampiezza ancestrale quella che questo
corso d’acqua porta con sé come fonte di vita o come sciagura. Allorquando il territorio era affidato a sé stesso e, per
i credenti, alla buona disposizione dei santi patroni, protettori, l’Adige che, venendo da sud, attraversava il Trentino
stava per l’abitante di allora come la sorte, come la punizione o come la fortuna. Le sue secche o le sue piene
determinavano il destino di un’annata. Trento poi, era coinvolta più della sua stessa campagna perchè,
attraversandola il fiume nel suo cuore ed essendo questo suo cuore impreparato a ricevere maggiori impulsi,
accadeva che ogni suo quartiere, quando la piena vi giungeva, fosse squassato e sconvolto dalle acque tracimanti.
Trento viveva di fortuna, della fortuna dell’Adige, e dell’esito, stando a quel che si diceva, delle novene che si
recintavano nelle varie parrocchie e talvolta anche nel duomo.
Occorre riconoscere con umiltà e con onestà, rigettando ogni nazionalismo, respingendo ogni pregiudizio, che l’Adige
è stato ricondotto nei limiti controllabili dall’opera del governo asburgico che metteva su pietra, impedendo al fiume
di entrare in Trento, deviandolo verso siti della periferia occidentale e avviando un’opera presaga di modernità. Oggi
che il pericolo è scampato e che solo le grandi alluvioni lo fanno ricordare, qualcuno biasima quei lavori e sogna una
città che abbia cadenze fiorentine, romane o veronesi, dove l’Arno, il Tevere e l’Adige hanno parte rilevante nel
disegno del paesaggio urbano. Ma la realtà era quella di un fiume disordinato, nemico delle città e delle campagne,
in quanto ogni variazione di tempo verso manifestazioni piovose, ogni temporale, portava con sé paure e talora,
immediatamente dopo, disgrazie.
Il governo austriaco con l’opera di ordinare il fiume nelle campagne, facendolo deviare dal centro cittadino, con la
correzione dell’ansa che chiudeva a nord l’insediamento urbano, portò pace geografica, e quindi umana, a tutta la
zona.
Passata la paura, non ci si ricorda più del malanno e si parla di paesaggio negato, più che di paesaggio negato,
sembra il caso di parlare di paesaggio trasferito. La fluvialità di Trento non è stata tradita. Forse è colpa di cattivi
architetti o amministratori del passato se, laddove scorreva l’Adige, non si è supplito con intelligenti ed estetiche
soluzioni. Ma questi ultimi errori non devono far rimpiangere il trascorrere di un fiume che invece, in passato, faceva
piangere. Diciamolo chiaramente: la concentrazione estetica dell’umanità trentina non sta lungo i fiumi, perché essa
tiene la testa e il cuore, per costruzione o per tradizione verso la montagna”.

Bacino dell’Adige: parole chiavi a confronto


Aldo Sestini, 11963 Giuliana Andreotti, 1996
Linguaggio positivista-strutturalista Linguaggio umanista-spiritualista
Forma della valle Disastri, bonifiche, condizioni di vita
Corso fluviale Paesaggio fluviale
Geomorfologia Estetica
Regime economico-sociale Vita rurale e vita urbana
Tipi di abitazioni Valori spirituali dei luoghi
Densità demografica Cultura delle genti

Lo Spiritualismo in geografia ha radici piuttosto lontane nel tempo. Le prime basi, secondo Andreotti possono
trovarsi nella geografia influenzata dal Romanticismo, addirittura nei lavori di Krieg sulla geografia estetica (metà
dell'800) e in lavori di Helpag (inizio del ‘900).
Questi studi sono stati ripresi da Lehmann attraverso indagini sul paesaggio avviate a metà del ‘900. Lehmann
afferma che ogni porzione della superficie terrestre ha un proprio potenziale espressivo ricavabile dalla natura
geografica, ma si tratta di qualcosa di effimero e inconsistente se non viene "isolato" attraverso l'osservazione
consapevole. Non esiste un oggetto paesaggio valido di per sé stesso, ma un paesaggio culturale in quanto
valorizzato dalla percezione sensoriale, visiva, e che, quindi, poggia i suoi significati sul soggetto.
La ricerca del potenziale espressivo è compiuta non tanto attraverso la rappresentazione del territorio, quanto
piuttosto richiamando testimonianze poetiche, letterarie, figurative per cui l'attenzione è rivolta soprattutto al testo,
attraverso il quale il contesto geografico acquisisce senso. Secondo Lehmann la rappresentazione comprende la
valutazione, la partecipazione spirituale nell'imprimere senso ai luoghi, la considerazione delle radici storiche della
cultura, l'amalgama psicologico che caratterizza il paesaggio e il cromatismo.
La ricerca e la rappresentazione della struttura estetica interna della realtà territoriale diventa così l'obiettivo della
geografia culturale nella prospettiva spiritualista, e la geografia diviene sensibile alla rappresentazione artistica, da
quella poetica a quella delle arti figurative. È lungo questa strada che emergono collaborazioni tra geografia culturale
e geo-filosofia.

 2.7 Indirizzo eclettico


Vasta produzione di geografia culturale nella quale sono presenti elementi e spunti tratti da vari indirizzi di ricerca in
modo da coprire un ampio spettro di argomenti geografici che mostrano interesse culturale. Proponiamo di
denominare "indirizzo eclettico" questo atteggiamento. Il termine richiama l'Eclettismo coltivato in filosofia, che
consiste nello scegliere dalle dottrine di differenti filosofi le tesi che più si apprezzano senza curarsi troppo della
reciproca coerenza e della connessione di queste con i sistemi d’origine. Questa impostazione dà modo di muovere
da un'idea di cultura concettualmente estesa, che Claval identifica nei "processi permanenti di trasmissione,
interiorizzazione e aggiornamento delle pratiche, dei comportamenti, della condotta, del saper fare, delle
conoscenze e delle credenze". Ne La geographie culturelle ha affidato la funzione di dare impulso alla nuova
geografia culturale. Leggendo l’opera il lettore è colpito dal fatto che non si dedica grande spazio alla discussione
concettuale sulla cultura, ma si ha cura di asserire che essa è un prodotto della storia ed è una realtà superiore e si
raccomanda che in questo campo di indagine si eviti l’uso di criteri deterministi.
Nella geografia culturale sono fatti rientrare campi tematici che formano un ricco mosaico tematico variegato e
coerente. Nell'opera di Claval, ad es. il rapporto tra comunità umane e natura è assunto come tema centrale e si
chiamano in causa impostazioni proprie della geografia culturale di ispirazione strutturalista. Tra gli altri temi cui lo
Strutturalismo geoculturale ha dedicato attenzione, e che Claval presenta come portanti anche per la nuova
geografia culturale, rientrano i "giochi di comunicazione", costituiti dalla trasmissione della conoscenza e delle
tecniche da una generazione all'altra. Anche le manifestazioni geografiche della differenziazione sociale riecheggiano
impostazioni strutturaliste. Viceversa, l'attenzione rivolta ai riti, alle iniziazioni e ai simboli che connotano la
progressione della vita dell'individuo nella società conducono a motivi propri della geografia culturale su base
semiotica. Dove l'atteggiamento eclettico manifesta le sue più eloquenti espressioni è nell'esame del paesaggio, ove
si trovano spunti dell'indirizzo strutturalista (paesaggio come complesso di forme materiali), dell'indirizzo semiotico
(paesaggio come insieme di simboli che connotano i luoghi), sia ancora dell'indirizzo spiritualista (valori estetici).
Claval ha discusso sui caratteri distintivi tra l’indirizzo eclettico e quello semiotico. A suo giudizio, nel muovere dal
concetto di cultura che egli ha adottato, indicato come eclettico, si incontrano 2 difficoltà:
1) rischio di confondere la geografia culturale con la geografia umana; rischio tanto maggiore quanto più la geografia
culturale è intesa come lo studio geografico condotto con sensibilità culturale;
2) riesce arduo tenere appropriatamente conto delle impostazioni che, nelle scienze sociali, vanno emergendo a
proposito della cultura. Anche l'indirizzo semiotico incontra limiti e difficoltà, sia pure di diversa natura. Al vantaggio
di partire da un concetto di cultura ben delimitato e di poter seguire agevoli cammini tematici, si contrappone il fatto
che si relega nel sottofondo la considerazione di aspetti materiali, quali ad es. i "marchi" culturali delle attività
economiche, le connotazioni culturali dei sistemi di "governo" del territorio e i giochi di potere che vi sono annidati.
La discussione su quale indirizzo sia più conveniente è aperta, il lettore potrà trarre elementi di valutazione
personale.

 2.8 Comprendere la rappresentazione


La geografia culturale si è inoltrata verso un notevole arricchimento di prospettive teoretiche. Tanta ricchezza teorica
apre un ampio ventaglio di itinerari per indagare le manifestazioni geografiche della cultura e delle culture (Schema
pag.54, riportato di seguito). l’ampiezza del ventaglio dipende dal fatto che a fronte di una stessa realtà culturale si
possono produrre varie rappresentazioni, che differiscono tra loro in rapporto all’indirizzo entro cui ci si muove.
All’interno dell’indirizzo strutturalista si avrà cura di rappresentare l’etnia come un complesso di individui che hanno
in comune una stessa lingua, una stessa religione e anche fattori genetici. Il risultato sarà una carta di questi aspetti
oggettivi. All’interno dell’indirizzo semiotico si baderà a cogliere i simboli e i valori che quell’etnia attribuisce alla
natura, alla convivenza sociale e alla trascendenza. Si approderà a una carta geo-simbolica. All’interno dell’indirizzo
spiritualista la rappresentazione consisterà nei valori che l’arte, la poesia, la musica hanno attribuito al territorio. La
rappresentazione cartografica assocerà i vari elementi.
Chi si occupa di geografia culturale si trova di fronte a un dilemma epistemologico: scelta tra una rappresentazione
basata sul principio razionalista di causalità e una rappresentazione che prescinda dall'esistenza di rapporti di
causalità tra gli elementi geografici in considerazione. Il geografo strutturalista adotterà una logica razionalista,
sicché la sua rappresentazione cercherà di mettere in evidenza l'ordine entro cui si dispongono gli elementi della
cultura, e i rapporti di causa-effetto da cui gli elementi sono legati. Il geografo sensibile alla semiotica del territorio
metterà in evidenza i simboli, la cui rappresentazione non risponde a criteri causalisti. Il geografo spiritualista farà
altrettanto con i valori di eccellenza attribuiti ai luoghi e agli spazi. Quanto più ci si allontana da rappresentazioni
strutturaliste e si procede lungo gli itinerari semiotici e spiritualisti, tanto più si indebolisce l'influenza razionalista.
Il geografo non si illude certamente di poter rappresentare le culture senza collegarsi con scienze che le studiano.
Nella prima metà del ‘900 i geografi intrattenevano rapporti con l'etnologia, l'etnografia e soprattutto con
l'antropologia culturale. Altre connessioni, con l'estetica e la poetica, costituivano mere eccezioni, cui la quasi
totalità dei geografi guardava con diffidenza, ritenendole "non scientifiche". Oggi non soltanto il geografo dialoga
con la sociologia e con la semiotica, ma anche con la poetica, l'estetica e le arti figurative. La geografia culturale
esercita interessanti funzioni di scienza-ponte con altre discipline e contribuisce a sperimentare fruttuose
collaborazioni. Non v'è dubbio che l'indirizzo strutturalista, di cui è stata la protagonista la scuola di Berkeley, sia
quello finora maggiormente coltivato in geografia culturale.

Evoluzione della nuova geografia culturale


1970 Geografia umanistica
1974 “L’espace Geographique” numero speciale sulla
geografia simiologica
1980 Studi geosimbolici (J. Bonnemaison)
“” Rappresentazione semiotica del paesaggio (D.
Cosgrove)
1981 “L’Espace Geographique” numero speciale sulla
geografia culturale
1986 New Cultural Geography negli USA
1992 Rivista “Geographie et cultures”
1993 A. Buttimer “Geography and Human Spirit”
1995 P. Claval “Geographie culturelle”
1996 Gruppo di studio di geografia culturale nell’ambito
dell’International Geographical Union

Parte seconda. Luoghi.


Capitolo 4. Cultura e natura.
 4.1 Quale idea di natura?
Charles Baudelaire in Les Fleurs du Mal ha indicato come la geografia culturale possa rappresentare la condizione
esistenziale delle comunità umane nei riguardi della natura. Nella sua visione, la natura è rappresentata come un
organismo, "pilastri vivi", evocando l'idea di un organismo che vive e che instaura un rapporto biologico con le
comunità umane: proprio come oggi fa la teoria ecologica. Ma tra uomo e natura è colto anche un altro rapporto che
instaura comunicazione e quindi ha valenza culturale. Come lo scambio di materia e di energia connota il rapporto
biologico, il simbolo connota la comunicazione.
Il rapporto biologico fornisce risorse per la vita, mentre quello attuato attraverso il simbolo fa approdare a significati
e quindi procura esperienze esistenziali. Le manifestazioni geografiche del primo tipo di rapporto, quello ecologico,
sono oggetto della geografia umana, mentre la connotazione simbolica di luoghi e spazi della natura rientra nella
geografia culturale. Questa si occupa delle manifestazioni geografiche dei valori della natura in rapporto all'esistenza
umana, della "natura della natura" nei confronti dell'uomo o è lo specchio in cui si riflette l'immaginazione e la
spiritualità umana; uno “specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi”
(Calvino).
In ogni momento della loro storia le comunità umane hanno creato simboli per rappresentare il rapporto con il
mondo naturale; con il Neolitico è intervenuto un processo di progressiva differenziazione del rapporto con la natura
che si è manifestato attraverso la creazione di galassie di simboli diversi da comunità a comunità. Questa circostanza
offre alla geografia culturale un doppio livello di indagine: il livello in cui un determinato contesto culturale è
considerato in sé e per sé per cogliere come si siano formati i corredi di simboli che hanno connotato il rapporto con
la natura; il livello dello studio comparato tra i modi con cui in vari contesti questo rapporto è stato connotato. Il
secondo livello, quello della comparazione, presenta difficoltà metodologiche maggiori rispetto al primo livello, ma
può anche condurre a risultati utili per ragionare sull'evoluzione della cultura in senso generale.
Nella civiltà occidentale, il rapporto con la natura è stato connotato da due generi di simboli. Vi sono i simboli
annidati nelle leggende, nei miti, nell'arte e nella religione che possono essere individuati percorrendo le strade del
mythos (mito: oltre al significato generico di racconto, ha assunto 3 significati. 1. Quello di forma attenuata di
intellettualità, come una sorta di prodotto inferiore o deformato del pensiero umano; 2. Quella di forma autonoma
di pensiero o di vita, cui si attribuisce una funzione primaria nella costruzione della conoscenza, in una condizione di
parità con la funzione esercitata dalla produzione razionale; 3. Quella di forma di controllo sociale, costituita da
influenze sociali e politiche generate da una particolare rappresentazione della realtà), della conoscenza affidata alla
creatività e all'immaginazione, donde sono esaltata spiritualità ed estetica E vi sono i simboli creati attraverso i
sistemi di pensiero, cioè attraverso la filosofia e la scienza, che possono essere individuati percorrendo le strade del
lògos, cioè della conoscenza costruita in base alla speculazione; strade che conducono a visioni strutturaliste della
natura ricche di valori etici.
Se consideriamo la cultura in termini di produzione di simboli prodotti sul piano del myhos, possiamo convenire che
le radici della visione occidentale affondano nell'età arcaica della storia greca (VIII sec. a.C.), nei tempi di Omero. Da
quel momento la creazione di simboli sulla natura si è andata ampliando e articolando passando dall'ambito ellenico
a quello romano, dall'epoca paleocristiana fino alla società moderna.
Se invece consideriamo lo sviluppo di simboli originati dal modo con cui la speculazione ha colto il rapporto con la
natura, le strade del lògos, di cui è spesso protagonista la filosofia, possiamo risalire al 500 a.C., cioè alle riflessioni di
Eraclito. Da quel momento si sono snodate tre filiere teoriche sulla natura rilevanti per la geografia culturale
(Schema pag.94: filiere di pensiero sulla natura e connessioni tra le speculazioni dell’antichità classica e la modernità,
ipotesi di discorso).
Premodernità
Principio di tutte le cose Ordine e necessità della realtà Manifestazione visibile dello spirito
Aristotele Stoici Plotino
Insieme degli oggetti sensibili Razionalità insita nei processi Copertura geografica di simboli e
Positivismo chimico-fisici e biologici valori spirituali
Strutturalismo Razionalismo Romanticismo
Positivismo Spiritualismo
strutturalismo
Modernità

La natura è stata intesa come "principio di vita e di movimento delle cose", come la sostanza e la forma delle cose e
del loro divenire. Questa visione ha trovato credito nel pensiero di Aristotele, incline a interpretare la realtà in base
al principio di causa (motore che muove la vita) e di sostanza (forme assunte dalla vita). La natura è stata anche
considerata come l'ordine e la necessità che governano la realtà: la legge che governa ogni cosa. Questo fu
introdotto dagli stoici ed ebbe un ritorno di attenzione nel ‘700, nel quadro del pensiero illuminista. Kant, nella sua
Critica della ragion pura l'ha condiviso e ne ha fatto la base di partenza per enunciare le leggi che determinano
l'ordine nel mondo naturale. Per la terza filiera bisogna risalire a Plotino, secondo il quale la natura è l'espressione
"secondaria" dello spirito che ha provocato la creazione: una sorta di manifestazione di un principio trascendente,
attraverso la quale lo spirito si presenta al mondo visibile. In questa concezione, ripresa e amplificata dal
Romanticismo dell'800, si possono trovare concetti e spunti che riguardano la base teorica a sostegno dell'indirizzo
spiritualista in geografia culturale, soprattutto nell'analisi del paesaggio.
A queste 3 filiere il pensiero moderno ha aggiunto la concezione della natura come l'insieme degli oggetti sensibili
percepiti sia attraverso l'intuizione e l'arte, sia attraverso la ricerca scientifica. È questa una concezione non
dogmatica, ampiamente condivisa anche al giorno d'oggi, della quale si possono avvertire anche influenze sulla
geografia culturale. Offrendo il vantaggio di tener conto sia delle rappresentazioni su base analitica, sia di quelle che
rientrano nella "retorica morbida", questo modo di intendere la natura è aperto anche all'esplorazione dei simboli e
dei valori attribuiti al mondo naturale e ai suoi elementi.

 4.2 In principio venne il nome


Il passo iniziale con cui si manifesta il "porsi" dell'individuo e del gruppo sociale nei riguardi della natura avviene
attraverso l'attribuzione di nomi agli oggetti naturali, dagli animali alle specie vegetali, dai fiumi ai monti, dai laghi ai
mari. Il nome costituisce l'avvio di un processo attraverso il quale la natura da realtà esterna diventa parte della
nostra esistenza: è il punto di partenza per il discorso geoculturale sulla natura. Possiamo considerare le
caratteristiche fondamentali rievocando il mito della fondazione di Roma: durante la festa di Pale, sul colle Palatino,
Romolo traccia i solchi che delimitano Roma. Respinto ed ucciso il fratello Remo egli proclama: “così muoia ogni
nemico che supera le mie mura”. La rappresentazione della nascita di Roma non soltanto possiede un forte
contenuto simbolico, ma mostra anche quanta strada la civiltà neolitica ha percorso nella creazione di simboli.
Romolo traccia i confini con l’aratro, espressione della tecnologia più avanzata, e lo fa nel giorno in cui si festeggia
l’allevamento. Dal punto di vista della geografia culturale il mito della fondazione di Roma è interessante per 2 atti
che si traducono in segni che mostrano come fosse inteso il rapporto con la natura: la denominazione, che si traduce
nell'attribuire un nome al luogo in cui sorgerà Roma e la delimitazione, che si esprime nel tracciare i confini entro i
quali la comunità intende realizzare un proprio proposito di uso del suolo, qual è appunto la costruzione di una città.
Insieme, i due segni generano territorializzazione, danno vita a un processo mediante il quale uno spazio è occupato
e organizzato e si arricchisce continuamente di simboli che connotano l'interazione tra comunità e natura.
(Schema pag. 97: relazioni tra denominazione e delimitazione, fasi strettamente connesse all’attribuzione di simboli
e significati, e la territorializzazione, nella quale interviene un atteggiamento razionalistico).

Denominazione Delimitazione Territorializzazione


Simbolizzazione Significazione
Mythos Logos

La denominazione si può considerare un modo di essere universale del rapporto esistenziale delle comunità umane
con la natura.
Nell'800, e nel ‘900, la geografia umana ha studiato questo processo territoriale come se si trattasse di un mero fatto
di toponomastica (studio scientifico dei nomi del luogo), cercando di dare risposta a 2 questioni: se il toponimo
riflettesse le caratteristiche dell’ambiente fisico; quale sia il luogo o lo spazio cui il singolo toponimo si riferisse.
Più recentemente sono emerse altre 2 questioni: quali simboli siano generati per effetto della denominazione e della
delimitazione, il che ci conduce al problema della simbolizzazione (attribuzione di simboli); a quali significati
conducano i simboli, il che ci conduce al problema della significazione (attribuzione di significati). Sempre riguardo
alla fondazione di Roma: – il nome della città deriva da Romolo, che deriva da ruminale, l'albero di fico presso il
quale, appena nato, fu abbandonato con il fratello Remo, e ruma, nutrimento, e richiamerebbe il fatto che i due
bimbi, abbandonati, sopravvissero perché furono nutriti da una lupa. Questa sarebbe la componente linguistica della
territorializzazione del Palatino; possiede un'evidente carica simbolica: richiama l'idea che i romani fossero
predestinati a dominare perchè questa era la volontà divina e perché possedevano una dirompente energia come
quella della natura; – sul piano delle connotazioni simboliche hanno però rilevanza anche altri 2 segni: l'aratro
conduce al significato delle capacità umane di dominare e sfruttare la terra; il disegno geometrico dei confini
conduce all'idea di ordine, condizione primaria per esprimere potenza.
A questi simboli se ne aggiunsero altri 2: il fascio, che denotava al tempo stesso coesione e potere coercitivo; la lupa,
nell'atto di allattare Romolo e Remo. Ambedue costituivano altrettanti discorsi attorno alla cultura di Roma. Nella
prima metà del ‘900 sarebbero stati ampiamente usati dal Fascismo per trovare nella romanità le radici della sua
legittimazione politica.
La territorializzazione è un fenomeno insorto nella civiltà neolitica. In un primo tempo si è manifestata nel delimitare
campi e spazi d’allevamento, situati attorno a sedi isolate o a piccoli gruppi di sedi. Nel millennio successivo cominciò
a manifestarsi con modalità più complicate e su spazi sempre più estesi. I simboli diffusi negli insediamenti ci
forniscono un vasto materiale per comprendere le radici della rappresentazione simbolica del rapporto con la
natura. Il rapporto tra la città e la natura è il contenuto chiave del mito narrato da Protagora: l’uomo si trovò di
fronte a una natura ostile, aggredito da animali ed esposto a calamità; riuscì a difendersi perché gli Dei gli fecero
dono della tecnica con cui umanizzare l’ambiente. Dal momento in cui il pensiero classico si dedicò a rappresentare il
rapporto tra esistenza umana e mondo naturale si è snodata una storia di creazioni di simboli, in cui la natura è stata
intesa come ambiente fertile, adatto per sostenere l'uomo, creato da Dio e nel quale Dio si riflette e come ambiente
pericoloso, una perenne sfida per l'uomo. Con l'avvento della modernità s'impose la seconda visione e si diffuse la
persuasione che l'uomo, grazie al progresso della scienza e allo sviluppo delle tecnologie, avrebbe vinto la sfida.
La società moderna sarebbe stata capace di dominare la natura e di asservirla al soddisfacimento dei bisogni umani.
Il Razionalismo diffuse l'idea secondo la quale la natura è una realtà di per sé imperfetta, che soltanto attraverso un
intervento umano ispirato dalla ragione può essere trasformata in una realtà perfetta. La teoria economica classica
considerò la natura come una realtà che frenava il conseguimento di produttività. Il risultato finale fu che la natura
non fu vista più come una creazione divina, con la quale l'uomo dovesse vivere in armonia, ma come una realtà
ostile, che creava difficoltà e costi per l'azione umana, opponendosi così al progresso: una realtà che avrebbe dovuto
essere domata e artificializzata attraverso l'uso delle conoscenze e delle tecniche della scienza. Questo modo di
concepire la natura si è diffuso nel mondo a mano a mano che la modernità è stata esportata dall’Europa
Occidentale in altre regioni. Nelle regioni coinvolte dall’occidentalizzazione avveniva l’integrazione di modi
tradizionali, innestati nella cultura locale, con modi importati.
Secondo Livingstone nella modernità la natura è stata rappresentata come una fonte di risorse e come una
macchina, ora mettendone in evidenza la sua utilità per lo sviluppo economico, ora nutrendo sentimenti di pietà
verso specie animali e habitat posti a rischio dall'invadenza umana. La risposta circa i modi con cui il rapporto tra
uomo e natura è soggetto a trasformarsi varia a seconda dei livelli di ragionamento. Sul livello ontologico dobbiamo
tenere conto che è in atto una svolta senza riscontro storico, consistente nella creazione di tecniche bio
ingegneristiche che consentono di trasformare gli elementi biotici della natura. La bioingegneria consente di
intervenire nelle componenti organiche, che costituiscono il cuore della creazione. Le capacità di trasformare la
natura sono cresciute. Sul livello semiotico, piano della rappresentazione simbolica della natura, assistiamo alla
creazione di spazi virtuali, ove le visioni non trasmettono però significati divergenti dalla narrazione moderna: la
natura continua a essere rappresentata come una macchina banale, con scarsa considerazione per le dimensioni
estetiche e spirituali. Sul livello epistemologico non si intravede la costruzione di "grandi discorsi", che inducano a
rovesciare il pensiero della modernità circa il rapporto tra uomo e natura.
3 galassie di simboli connotano le manifestazioni geografiche del rapporto tra comunità umane e natura, galassie che
formano il quadro di riferimento per il discorso geoculturale:
1) la prima, che ha influito sulla storia del mondo occidentale fino all'Illuminismo, ci ha proposto la "narrazione
premoderna" della natura, in base alla quale il mondo naturale è concepito e accettato come manifestazione del
trascendente;
2) la seconda, ispirata dall'Illuminismo e dipanatasi sotto l'influenza del Razionalismo, ci ha proposto la "narrazione
moderna", secondo la quale la natura è una realtà da gestire in rapporto alle esigenze umane;
3) della terza, quella che potrebbe condurre a una "narrazione postmoderna" della natura, vi sono segnali vaghi, che
mostrano una progressiva tendenza a rappresentare la natura come una coltre di simboli che mostrano valenze
estetiche e spirituali e potrebbero farci allontanare da rappresentazioni razionaliste.
Lo stato d'avanzamento di queste visioni di frontiera è ancora troppo vago e debole per farci intravedere gli approdi
cui condurrà. All'interno di questo panorama, la geografia culturale può esplorare i quadri che la natura propone per
l'esperienza umana con il proposito di individuare i corredi di simboli che sono stati attribuiti loro nel corso della
storia e delle singole civiltà, e nell'intento di comprendere i significati cui i simboli hanno condotto.

 4.3 I grandi teatri della natura: il fiume


Primi anni ’70, quando i computer cominciarono a elaborare immagini usando i dati rilevanti dal satellite Landsat e la
Terra poté essere rappresentata dall’esterno, una delle visioni più affascinanti fu quella del Nilo: una linea sottile, che
serpeggiando attraversava da sud a nord il lembo orientale dello scudo desertico e che si ispessiva e si ampliava fino
a formare un imbuto rivolto al mare. Il territorio assumeva forme così diverse da quelle simbolizzate nelle carte
geografiche che qualche anno prima gli astronauti avevano scambiato il Nilo per “il più grande fiume di lava della
Terra”. Il Grande Nilo non aveva proprio più nulla da nascondere: le immagini prodotte sulla base dei dati satellitari
lo facevano vedere come una gigantesca “macchina idraulica” della natura, una realtà senza più misteri. Oltre 2
millenni prima quel fiume poneva i Greci di fronte a un dilemma: non riuscivano a spiegarsi né la ragione per cui il
Nilo scorresse da territori più caldi verso territori meno caldi, né perché le piene raggiungessero l’apice in estate, nel
cuore della stagione secca. Quei fenomeni non spiegati contrassegnavano le esperienze delle popolazioni e ne
scandivano così rigorosamente i ritmi di vita da diventare parte integrante della cultura. L’immaginazione si era
esibita nell’ideazione di miti di intenso fascino: si credeva che il Nilo fosse stato fecondato da Osiride, che moriva in
autunno, al subentrare della siccità e resuscitava nella tarda primavera per unirsi con Iside, simbolo della terra e
generare Horus, dio che ripasce il delta con fertile limo.
L’andamento circolare delle portate diventa il simbolo per rappresentare un altro ciclo, quello della morte e della
resurrezione, nell’ambito del quale il presente si legava al futuro. L’idea del ciclo era espressa attraverso il simbolo
della circolazione: nel Timeo, Platone sostiene che il cerchio è la forma perfetta di contenimento delle cose.
Nell'antichità classica si riteneva che la circolazione delle acque nei fiumi seguisse lo stesso principio della
circolazione del sangue. Questa rappresentazione circolare della realtà fisica fu poi sostituita dalla rappresentazione
lineare nell'epoca romana quando si cominciò a concepire il fiume come un flusso che da monte procede verso mare
e lo si paragonò a una strada (gli acquedotti erano disegnati come strade che imitavano il percorso del fiume). Tra il
cerchio e il segmento si sarebbe snodata la creazione di simboli delle acque fluviali nei lunghi secoli del premoderno.
Se si passa alle rappresentazioni successive si può osservare come un filo conduttore si sia snodato fino al Medioevo,
e si può constatare come il ciclo dell'acqua abbia avuto una funzione dominante nel determinare le visioni e i valori
esistenziali delle comunità umane nei confronti della natura.
Possiamo trasferirci a Roma nel 1650 e prendere in esame la Fontana dei Fiumi del Bernini. Bernini disegnò un
simbolo del fiume in cui coesistevano due suggestive rappresentazioni. Il mondo unificato dalla circolazione delle
acque costituiva il motivo trainante della prima rappresentazione: la roccia della Creazione, fonte da cui sgorgano 4
fiumi, ci riporta allo spirito della Creazione, che consiste nel dare unità a tutte le forme di vita fecondandole con le
acque dei fiumi.
I 4 fiumi (Danubio, Gange, Nilo, Rio de la Plata) narrano come il mondo, fecondato da un'unica sorgente di vita, sia
modellato nello stesso modo in ogni sua parte e come i fiumi ne facciano un unicum, una realtà indivisibile. L'unità
spirituale dell'uomo, in cui pensiero laico e pensiero sacro, filosofia e religione, coesistono in armonia, costituisce la
seconda rappresentazione. Nel delineare simboli che, attraverso il fiume, raccontassero il mondo, Bernini metteva la
simbologia ebraica in relazione con quella cattolica: la prima era espressa dal fiume che scende dall'alto delle Grazie
e si diffonde orizzontalmente generando i 4 punti cardinali e abbracciando il mondo, simboleggiato dalla Fontana; la
seconda si esprimeva nel giocoso balletto delle forme barocche.
I simboli attribuiti alla natura nel corso del ‘900 sono diversi da quelli dell'età barocca: non si trovano più tanto nelle
opere d'arte quanto piuttosto nelle rappresentazioni dei grandi progetti internazionali di ricerca scientifica che sono
stati lanciati per scoprire i meccanismi che presiedono al cambiamento climatico. Questi quadri razionali
rappresentano la natura come una grande macchina mossa dal clima, che l'avvolge e la domina. In queste visioni, il
fiume è disegnato come un segmento entro il disegno più grande del ciclo dell'acqua. A dispetto della fredda
astrattezza, che le deriva dall'essere uno schema razionale, questa rappresentazione ciclica possiede una carica
simbolica che non soltanto affonda le proprie radici nelle rappresentazioni dell'antichità classica, ma mostra persino
sintonie con culture non occidentali. Una rappresentazione simile è presente, ad es. nella cultura indiana, dove
l'iconografia del Gange ci parla di una corrente che compie un triplice percorso: nel cielo, in terra e nel mondo
sotterraneo. L'idea di percorso circolare, di un ciclo che si rinnova senza interruzione, costituisce una sorta di legame
tra una rappresentazione scientifica (lògos), quella connessa alle teorie contemporanee sul clima e finalizzata a
spiegare la natura e a progettare interventi per controllarla e gestirla, e una rappresentazione a-scientifica (mythos),
cioè quella orientata a raccontare e a mettere in relazione l'esistenza umana con la natura.
Oltre a inscriversi nella simbologia del ciclo, ogni fiume possiede proprie peculiarità culturali, perché le popolazioni
che vivono nel suo bacino gli attribuiscono simboli che rappresentano le relazioni tra la loro esistenza e le acque.
Queste, con il loro scorrere perenne tra piene e magre, diventano il teatro dove si racconta l'esistenza umana, il suo
rapporto con il mondo, il suo essere-nel-mondo e i destini cui va incontro. Il fiume diventa così lo spunto per
disegnare visioni del mondo.
Nella figura a pag. 104 è presentato un quadro delle visioni sorte in grandi civiltà muovendo dal fiume.
Significati attribuiti ai fiumi da grandi culture: 1. Cultura araba = il fiume scende verticalmente lungo l’asse del mondo
e si spande nelle 4 direzioni, fertilizzando; 2. Cultura indiana = il fiume scende dalle acque superiori per purificare il
mondo attraversando l’atmosfera, la terra e il sottosuolo; 3. Cultura cinese = il fiume conduce l’esistenza umano
dallo Yin (oscuro, materno, passivo) allo Yang (chiaro, paterno, attivo) e dalla sterilità alla fecondità. Fiumi cui sono
connessi significati che rimandano all’ordine cosmico: a. Giordano (Palestina), b. Tevere (Italia), c. Severn (Galles e
Inghilterra), d. Boyne (Irlanda).
Al di là dei loro caratteri specifici, vi si riscontrano motivi ricorrenti che si caricano di connotazioni esistenziali. La
confluenza del fiume nell'oceano dà modo di contrapporre due immagini, quella delle acque dotate di una propria
specificità perché raccolte in un flusso ben circoscritto, e quella delle acque indifferenziate, perché immerse nella
massa dell'oceano: differenziazione e personalità contro indifferenziazione e impersonalità diventano i significati cui
conduce la visione. La risalita lungo il fiume diventa il simbolo del ritorno alla sorgente della vita e al principio di ogni
cosa, e nello stesso tempo il simbolo della conquista della verità. La traversata del fiume è il simbolo del passaggio
dal mondo fenomenico a quello delle idee, dal mondo delle cose a quello dello spirito. In questa visione il fiume è
una linea ambigua, che separa e collega insieme (Figura pag.106: rappresentazione dell’acqua a confronto: a sinistra,
nel contesto premoderno, l’acqua è simbolo di unione e armonia sia tra uomo e natura, sia tra gli uomini; a destra,
nel contesto moderno, l’acqua parte dal ciclo climatico, nei termini in cui è stato definito dall’International
Geosphere-Biosphere Programme (IGBP)).
Tenendo conto di questi elementi è possibile azzardare una base di discussione che metta in relazione le
rappresentazioni del fiume, e i conseguenti significati, nella premodernità e nella modernità (Tabella pag. 105: la
rappresentazione simbolica del fiume, elementi discorsivi).

Rappresentazione e contesto Atteggiamento esistenziale Significato


culturale di riferimento
Milieu culturale premoderno
Simbolo  Mythos
Cerchio inscritto nell’anno Comprensione attraverso l’emozione La natura resta sempre uguale a sé
Contesti: egizio e greco stessa attraversando le fasi della
nascita, della morte e della
Cerchio dell’esistenza umana resurrezione. L’esistenza umana
Contesti: egizio e greco rientrando nella natura, segue le
stesse vicende.
Linea retta Comprensione finalizzata al progetto La natura offre opportunità che si
Contesto: romano possono usare realizzando grandi
progetti.
Centro e irraggiamento
Contesto: ebraico e cattolico L’ordine della creazione è opera di
Dio. Il genere umano ne piò trarre
beneficio a condizione che lo
rispetti.
Milieu culturale moderno
Simbolo  Logos
Ciclo geografico (dell’acqua) Spiegazione finalizzata al progetto La natura ha proprie leggi che
Contesto: Occidente l’uomo può scoprire e usare come
basi per raggiungere obiettivi di
Ciclo temporale (climatico) progresso.
Contesto: Occidente

La discussione può muovere lungo un itinerario in cui emergono due distinti milieu culturali, due ambiti con simboli
radicalmente diversi.
Nel milieu premoderno, il simbolo è strumento di rappresentazione mitologica, ove mythos è inteso come complesso
di segni che non conducono a spiegazioni, ma piuttosto a comprensione della natura. La comprensione è affidata a
narrazioni generate dallo spirito poetico e dall'immaginazione dell'individuo e della comunità, oppure discende da
una verità rivelata. Gli archetipi geometrici attraverso cui si esprimono le rappresentazioni dei singoli contesti hanno
un evidente valore culturale: il centro da cui si irradiano i fiumi del mondo presuppone che tutta la creazione derivi
da un'unica fonte, che sia la ragione di ogni cosa; il cerchio narra la speranza di vivere oltre la morte; la linea retta
racconta di un destino di progresso e di potere.
Nel milieu moderno, il simbolo è strumento di rappresentazione logica, ove lògos è inteso come spiegazione della
natura. Una volta enunciate le leggi che governano il comportamento del fiume e dopo aver individuato il gioco dei
fattori esterni che ne influenzano il comportamento, la spiegazione diventa la base per il progetto di trasformazione
della natura, il lògos diventa il terreno di fecondazione dell'agere. In questa rappresentazione, il simbolo assume le
vesti di un segno razionale, disegna rapporti di causalità che si snodano nello spazio quando ci si riferisce al fiume e
al suo bacino imbrifero, e che si snodano nel tempo quando ci si riferisce alle vicende climatiche. In questa
rappresentazione non v'è posto per l'invenzione poetica e l'immaginazione, né per la verità rivelata: arte e religione
non sono fonti di conoscenza vera, e la conoscenza scientifica è la sola cui sia conferita la funzione di disegnare
interventi sulla natura.
L'indagine geoculturale sul fiume parte dalla considerazione dei simboli attribuiti alle sue acque e al suo percorso e
finisce con il considerarli come tasselli di un discorso sulla rappresentazione premoderna e moderna, su mythos e
lògos, sulla conoscenza che si forma attraverso comprensione e quella che si forma attraverso spiegazione.

 4.4 I grandi teatri della natura: la montagna


Il racconto di Abramo che sale lungo le pendici del monte Moria insieme al figlio Isacco possiede forse il più alto
contenuto simbolico che si possa trovare nell’universo dei simboli disseminati nell’Antico Testamento. Quanto sia
forte lo dimostra il fatto che l’episodio è stato oggetto di innumerevoli rappresentazioni nelle arti figurative, dal III
sec. a.C con la raffigurazione della sinagoga di Dura Europos, Siria Orientale, al Romanico e al Rinascimento, per
giungere al Barocco passando per le rappresentazioni di mosaici paleocristiani e di sculture gotiche.
Nel complesso dei simboli connaturati a questo drammatico racconto, il simbolo della montagna occupa un posto di
primo piano. Coloro che sostano nella collina del Tempio di Gerusalemme, che corrisponde al monte Moria, sono
portati ad attribuire a questo luogo due valori simbolici:
1. la montagna che rappresenta ciò che congiunge la terra al cielo, l'uomo al trascendente;
2. la montagna rappresenta il tempio di Dio.
Sul monte Moria ha luogo un sacrificio: quello dell’agnello, non è senza ragione che oggi quel monte sia chiamato
"monte del Tempio".
Ambedue i significati della montagna appartengono alla civiltà occidentale poiché riflettono modi di considerare
simbolicamente l'ambiente montano emersi con l'Ebraismo e continuati fino ai nostri giorni. La più ampia attenzione
è stata riscossa nei lunghi secoli del premoderno mentre si è attenuata nel moderno a causa della riluttanza
razionalista a considerare simboli radicati in terreni esterni alla scienza. Ai giorni nostri però, nelle atmosfere del
discorso sul rapporto tra segno e significato, al simbolo è attribuita rinnovata attenzione perchè si comincia a
riconsiderare la conoscenza prodotta dall'arte e dalla religione, ma anche perchè la creazione di simboli è assunta
come una manifestazione di vita sociale e, quindi, come una "finestra" attraverso la quale si possono esplorare i
modi con cui si forma e si esercita il potere.
Secondo Olsson, ciò che accadde sul monte Moria è la più penetrante rappresentazione del potere mai concepita.
Nel racconto biblico non c'è alcun cenno che faccia trasparire ciò che Abramo ha in mente, che faccia riferimento alla
sua condizione esistenziale. Ciò che gli è imposto avviene in un'atmosfera di sottomissione assoluta, di terrore. Ci
troviamo innanzi a una rappresentazione di potere assoluto, un potere che prescinde dalle condizioni esistenziali
dell'individuo, e che per questa circostanza non ha riscontro con le rappresentazioni dell'età classica.
I testi biblici contengono varie altre rappresentazioni simboliche della montagna, tra queste il monte Sinai è
certamente quella più affascinante, sulla quale più di frequente si è intrattenuta la letteratura. Questo monte, che
per tradizione è identificato con il Gebel Musa (montagna di Mosè), si erge nel lembo meridionale della penisola
omonima. L'asprezza del paesaggio è pari alla rilevanza culturale assunta dal monte, teatro di eventi con eccezionale
connotazione simbolica e diretti a creare significati forti, tra loro intensamente legati. L'amplissima iconografia che
nel corso del tempo è stata dedicata a questi eventi ha rappresentato la montagna con una simbologia che rimanda
a significati di varia natura. Il Gebel Musa non è più il tempio di Dio, ma il luogo dove si incontrano Dio e umanità,
realtà trascendente e realtà corruttibile, materia e spirito. La vetta è la sede della parola di Dio. L'ascesa alla vetta
compiuta da Mosè è un simbolo ambiguo: da un lato, salire lungo i pendii di una montagna, soprattutto se scoscesi e
pericolosi, denota che l'avvicinamento alla verità richiede molto vigore e può avere luogo soltanto in un'atmosfera di
purificazione e di progressiva sottomissione al messaggio che proviene da una fonte trascendente: è un privilegio
concesso soltanto ai prescelti; dall'altro lato, il fatto che, eccetto Mosè, nessuno possa avvicinarsi a Dio fa sì che
l'ascesa sia vista come il simbolo della presunzione umana a voler salire verso mete vietate all'uomo, della pretesa
dell'umanità a voler esercitare un potere riservato soltanto a chi scende sulla vetta provenendo dall'altro, da spazi
ultraterreni.
Olsson, persuaso che la cristianità offra un fertile terreno per ragionare sul valore della conoscenza e sul rapporto tra
costruzione della conoscenza e potere, ha fornito un'ulteriore interpretazione, imperniata sul primo evento di cui si è
dato conto, cioè la manifestazione di Dio attraverso le sembianze del rogo in fiamme. Secondo Olsson l'aspetto più
rilevante per lo studio dei significati cui conduce quel discorso mitico non è costituito dall'immagine del rogo, né dal
lungo discorso che Dio rivolse a Mosè, ma dall'ultima parte dell'incontro, nel corso della quale Dio disse a Mosè di
chiamarlo "Io-Sono". Dio, dunque, non ha nome, e in ciò risiede la differenza nei riguardi dell'umanità, la cui
esistenza è invece condotta attraverso un'incessante attività di denominazione. Attribuire nomi è alla base della
costruzione di conoscenza, cioè del produrre rappresentazioni capaci di condurre a significati: è la circostanza che
differenzia la specie umana da ogni altra specie vivente. Aver messo in evidenza la mancanza di attività denominativa
da parte di Dio mentre si presenta nel Gebel Musa conduce a ipotizzare una conoscenza che non è umana perchè
non avviene attraverso segni che conducano a significati. Se si accoglie l'interpretazione di Olsson, si deduce che il
Gebel Musa possiede una carica simbolica eccezionale perchè mostra impietosamente i limi cui soggiace la nostra
capacità di conoscere.
Schema pag.112: complesso dei significati attribuiti alla montagna nelle tradizioni biblica e cristiana, a confronto con
il significato centrale attribuito dalla tradizione musulmana.

Tradizione biblica e del cristianesimo

Legame tra terra Tempio di Dio Paradiso Ascesa come Ascesa come
e cielo, tra uomo terrestre presunzione purificazione
e Dio umana
Centro del
mondo
Tradizione
musulmana

Se ci spostiamo avanti nel tempo, fino al passaggio dal Medioevo al Rinascimento, possiamo notare con Bonesio
come la montagna comincia a diventare uno spazio simbolico diverso, in cui si riflettono differenti condizioni
esistenziali, differenti modi di attribuire senso alla natura. Bonesio avvia questa esplorazione rievocando la scalata
del monte Ventoux, in Provenza, che Petrarca eseguì il 26 aprile 1335. L'impresa ebbe luogo tra l'indifferenza e il
disinteresse delle genti del luogo e fu provocata dalle sollecitazioni intellettuali che Petrarca aveva tratto dalle pagine
in cui Tito Livio descrisse la scalata del monte Emo, Tessaglia, da parte del re macedone Filippo. Rispetto alla
descrizione di Tito Livio, quella di Petrarca possiede un diverso interesse perché sembra anticipare modi moderni di
attribuire simboli a questi tipi di paesaggio. La scalata si traduce in un'intensa fruizione estetica, in un forte impatto
emotivo, da parte di Petrarca. Ma, compiuta quest’esperienza, la lettura di un brano delle Confessioni di S. Agostino,
in cui si nota come gli uomini preferiscano perdersi nell'ammirazione della natura piuttosto che badare ai loro doveri
di cristiani, induce Petrarca a rammaricarsi di aver ceduto alla "semplice ammirazione delle cose terrene, anziché
dedicarsi soltanto alla propria anima". Emerge il dissidio tra il modo cristiano, secondo cui la natura va contemplata
come un veicolo per avvicinarsi a Dio, e il modo "laico", secondo il quale la natura è una fonte di godimento estetico.
In questo quadro, la montagna diventa il simbolo del dissidio tra richiamo terreno e richiamo celeste, come un'arena
di scelte esistenziali. Petrarca compie la scalata per pura fruizione estetica, ma al ritorno è assalito da una crisi etica e
si pente del "peccato".
Con l'avvento dell'Illuminismo e della modernità, il mito cessò di essere strumento di creazione di conoscenza e
venne progressivamente inteso come una manifestazione intellettuale "minore", in conflitto con la ragione. In quel
quadro perse rilevanza culturale la simbologia che si era venuta sedimentando attraverso i millenni e che possedeva
forti connotazioni mitologiche, proprio per il fatto che era caratterizzata da significati non spiegati.
Tabella pag. 114: rappresentazione simbolica della montagna, elementi discorsivi.

Rappresentazione e contesto Atteggiamento esistenziale Significato


culturale di riferimento
Milieu culturale moderno
Simbolo  Mythos
La montagna è rappresentata da un
triangolo con il vertice rivolto verso
l’alto (verso centro del cosmo), la
cui base può essere comune a
quella di un altro triangolo, con il
vertice rivolto in basso (verso centro
Terra).
Montagna come congiunzione tra Comprensione della natura La montagna è l’ambiente che
cielo e terra avvicina alla verità e alla perfezione
Contesti: ebraico e cristiano
Montagna come centro del mondo Comprensione dell’uomo L’avvicinamento alla verità e alla
Contesti: ebraico e cristiano perfezione non deve essere il
prodotto della presunzione umana
Montagna come tempio di Dio Comprensione del trascendente La natura e l’uomo sono sovrastati
Contesti: ebraico e cristiano, dal potere di Dio
classico
Montagna come paradiso terrestre Comprensione finalizzata alla La conquista della verità produce
Contesti: cristiano beatitudine beatitudine interiore
Caverne, opposte alla montagna, Comprensione attraverso la ricerca La verità non scompare, ma può
come centro del mondo dell’occulto essere difficile a trovarsi
Contesti: civiltà neolitiche,
tradizione cristiana
Milieu culturale moderno
Simbolo  Logos
La montagna è rappresentata come
la conseguenza di fenomeni di
natura endogena, in particolare
della convergenza di placche
tettoniche, o di meccanismi
vulcanici.
Contesto a-scientifico: piano Comprendere la montagna per L’uomo ha la capacità di vincere le
inclinato morfologicamente scalarla difficoltà della natura
articolato
Contesto a-scientifico: forme Comprendere la montagna La montagna esalta il senso artistico
armonicamente svettanti verso attraverso la fruizione estetica e il senso estetico dell’uomo
l’alto
Contesto a-scientifico: sollevamento Spiegazione finalizzata al progetto La montagna è una delle
di crosta terrestre per effetto di manifestazioni della dinamica
meccanismi endogeni crostale della Terra, dalla quale
derivano risorse per lo sviluppo

Ma non per questo la modernità ha rinunciato ad attribuire simboli alla montagna.


Dal ‘700 in poi la montagna è stata il teatro di due filiere di simboli, costruiti con l'intendimento di sostituire quelli
premoderni. La prima filiera è costituita dai simboli concepiti dalla scienza, che presumono di dar vita a una
conoscenza oggettiva della montagna; simboli costruiti adottando il principio di causa ed effetto e diventati sempre
più espliciti a mano a mano che la geologia ha spiegato i meccanismi che provocano i corrugamenti di cui le
montagne sono manifestazioni e, poi, ha dimostrato come le montagne siano in buona parte opera di un motore
planetario, costituito dalla tettonica a placche. La seconda filiera è costituita sia da simboli di natura estetica, che
narrano della bellezza dei paesaggi montani, sia da simboli di natura etica, che narrano come la montagna sia il
teatro dove l'uomo sfida i suoi limiti fisici nel compiere scalate sempre più rischiose e, dall'intensità di queste
esperienze, trae motivi di elevazione morale.

 4.5 Fiume, montagna e cosmo


Nella prospettiva della geografia culturale, la montagna offrirebbe numerosi altri spunti di riflessione. Campo
tematico ricco e fertile per ideare nuovi tipi di esplorazioni in atmosfere culturali essenziali per comprendere il senso
della montagna per l'esistenza umana.
C'è una differenza di fondo tra la simbologia del fiume e quella della montagna: la prima conduce a significati di
movimento, ritmo e cambiamento, mentre la seconda conduce a significati di solidità, stabilità e immutabilità, e di
conseguenza si presta molto meglio della prima a esprimere visioni generali del mondo, soprattutto visioni in cui
l'esistenza umana sia posta in relazione con organizzazioni cosmiche.
Da qui una profonda differenza nelle figure geometriche di riferimento. Se il cerchio e il segmento costituiscono gli
archetipi del fiume, il triangolo assume questa funzione nei riguardi della montagna.
In realtà, nota Bonesio, nel caso della montagna si tratta di 2 triangoli affacciati, l'uno rivolto verso alto, l'altro rivolto
verso il basso (Tabella sopra citata, pag.114). Verso l'alto, l'asse conduce al vertice che si perde nel cielo e
rappresenta il centro del mondo mentre, verso il basso, l'asse conduce al vertice che si perde nelle caverne, dove si
annida il centro spirituale del mondo: immagine "apparentemente contraria ma in realtà equivalente", che richiama
la figura del cuore e della coppa. I templi sono costruiti per svettare verso l'alto e sovrastano spesso locali
sotterranei, sotto le cripte. Essi sono il simbolo del tempio cosmico, che si proietta verso la verità. La distruzione del
tempio cosmico coincide con la distruzione della montagna che ne costituisce il simbolo di riferimento: l'umanità
perde il senso dell'orientamento spirituale, il senso del Nord e dell'Oriente, e non resta altro che la verità annidata
negli spazi sotterranei. Questa narrazione mostra come l'ascesa della montagna si identifichi nell'ascesa spirituale, in
un avvicinamento alla verità.
L'immagine della montagna che conduce al centro cosmico, così come il senso dell'elevazione spirituale attribuito
all'ascesa, sono comuni a varie culture. Ciò non deve far sottovalutare le profonde differenze tra Occidente e
Oriente. Le connessioni simboliche e sacrali che sono ancora mantenute in Oriente, in Occidente sono andate
smarrendosi, così che la montagna viene ormai considerata soltanto sotto il profilo della realtà concreta più che di
quella simbolica. Nondimeno, sotto questo profilo, la montagna offre all'uomo moderno la possibilità effettiva di
partecipare a un'ascesi spirituale. Apre una porta per fuoriuscire dall'identificazione con la logica materialistica del
vivere metropolitano propria della modernità, illuminandone i limiti e facendo segno verso orizzonti diversi.

 4.6 Mappa mundi e imago mundi


A mano a mano che si delineavano i simboli della rappresentazione della natura basati sui testi sacri, nella tradizione
cristiana emergevano anche simboli che denotavano sforzi per rappresentare il mondo condotti con una certa libertà
creativa, in un certo senso con spirito "laico". Sotto questo riguardo, ai simboli con connotazioni mitiche e significati
ancorati a valori esistenziali che abbiamo appena visti a proposito dei fiumi e delle montagne, vanno associate le
visioni d'assieme del mondo che nel Medioevo presero il suggestivo nome di mappa mundi (Figura pag.117). Queste
immagini si trovano in 2 gruppi: il primo costituito da rappresentazioni della superficie terrestre che rimandano
all'idea di planisfero, il secondo costituito da rappresentazioni del mondo inquadrato nell'universo, che rimandano
all'idea di carta cosmografica.
La geografia culturale è interessata soprattutto al primo gruppo di carte, in cui il mondo è di solito rappresentato con
una configurazione a T.
“Dato il cerchio che rappresenta il pianeta (piatto) tre linee disposte a T dividono il semicerchio superiore da 2 quarti
di cerchio inferiore. La parte superiore rappresenta l'Asia, in alto, perchè in Asia stava secondo la leggenda il
Paradiso terrestre, la barra orizzontale rappresenta da un lato il Mar Nero e dall'altro il Nilo, quella verticale il
Mediterraneo, per cui il quarto cerchio a sinistra rappresenta l'Europa e quello a destra l'Africa. Tutto interno sta il
gran cerchio dell'Oceano”.
Gerusalemme era posta di solito al centro della carta sicché un'immaginaria linea verticale, tesa verso l'alto, la
collegava con il Paradiso terrestre situato a nord, anch'esso in una posizione con evidente valore simbolico. Il mondo
non era rappresentato qual era, ma la rappresentazione era dominata dal principio di somiglianza, teorizzato da
Foucault come uno dei connotati fondamentali della pre-modernità.
La mappa mundi intendeva riflettere la forma complessiva della natura quale nasceva dalla creazione e non si
proponeva già di costruire immagini razionalizzate, come sarebbe accaduto nella modernità; immagini concepite per
fornire spiegazioni della natura. La rappresentazione era genuinamente simbolica, rientrava nel discorso mitico e
conduceva a comprendere il mondo piuttosto che a spiegarlo.
Obiettivi diversi erano conferiti all'imago mundi (Figura pag.118), una rappresentazione che si rifaceva alla
speculazione di S. Agostino sul rapporto tra città divina e città terrena e mostrava come fosse da intendersi il
rapporto tra mondo e trascendenza.
Si proponeva di distinguersi dalla mappa mundi perchè rappresentava il mondo secondo l'ordine divino e
trasfigurava la realtà geografica in una visione teologica. Per questo motivo, Becker argomenta che non si trattava di
un prodotto geografico, ma di qualcosa che apparteneva all'iconografia religiosa. In questa rappresentazione la
simbologia è più spinta di quanto accada nella mappa mundi. Nella visione derivata dal pensiero agostiniano il sole,
strumento del grande architetto della natura, irradia fasci di luce che danno luogo alla creazione. Il cosmo, prodotto
divino, presenta il sole e la luna sulla sinistra, pone l'Eden al centro con 4 fiumi che si diramano verso altrettanti
punti cardinali, e colloca Gerusalemme e Roma nelle sue vicinanze. Il mondo resta diviso dai 4 fiumi e gravita su due
grandi capitali, l'una a simboleggiare il potere religioso e l'altra il potere temporale. Le similarità tra i due tipi sono
dovute al fatto che, nel contesto culturale in cui erano ideate, le carte risentivano dell'idea che il mondo fosse
creazione di Dio e che ogni sua forma doveva essere ricondotta a questo disegno.
Non è un caso che i due tipi di rappresentazione abbiano in comune il fatto di vedere la realtà – nel caso della mappa
mundi, il mondo, da solo o immerso nel cosmo; nel caso dell'imago mundi, il mondo e il cosmo nelle loro relazioni
con la trascendenza – come governata da un centro, che dipende da un'entità superiore, e dal quale s'irradiano flussi
di vita. È un archetipo molto ricco di senso, che sta alla base delle visioni del mondo maturate dalla tradizione
ebraica fino all'avvento della modernità e che si trova anche al di fuori del mondo occidentale. Ad es. nel mandala
(civiltà indiana), il cosmo è rappresentato da un cerchio al cui interno è inscritto un quadrato, ambedue gravitanti su
un centro; la combinazione delle due figure divide il cosmo in parti, disegnate come palazzi in cui sono collocate
forme di vita. Nel suo insieme la configurazione conduce all'idea di totalità, in ciò manifestando una notevole
analogia con l'imago mundi. Oltre a ciò, la sua simbologia, imperniata sia su figure umane sia su animali e vegetali, dà
luogo anche a una rappresentazione dell'armonia e dell'ordine che albergano nella mente. L'idea di totalità si riflette
sia sul piano cosmogonico sia su quello psicologico denotando così una forte propensione a voler costruire
conoscenza per comprensione.
La tendenza a connettere microcosmo e macrocosmo fino a considerarli come manifestazioni dello stesso archetipo
è certamente un elemento di forte differenziazione tra Occidente e Oriente. Lo dimostra Singh presentando il mito
della creazione dell’universo. Il cosmo è rappresentato attraverso un trittico costituito dal cielo, dall'aria e dalla terra,
cui corrispondono altrettante parti del corpo umano: capo, tronco, piedi. Il discorso sulla rappresentazione della
natura conduce al discorso sulla rappresentazione del mondo e dell'universo, e l'immagine è ricondotta alla figura
umana. Nel caso della civiltà occidentale, i simboli convergono nel rappresentare la natura come una realtà esterna
al soggetto, mentre nella civiltà orientale la simbologia immerge il soggetto nella natura immaginando un'unione
che, con forte intensità narrativa, riflette l'armonia cosmica.

Capitolo 5. Cultura e società.


 5.1 Società, universo di simboli e riti.
Il rapporto tra esistenza e società possiede più intense connotazioni simboliche di quanto accasa a proposito del
rapporto tra esistenza e natura perché non è basato soltanto sul simbolo ma anche su quelle particolari associazioni
e sequenze di simboli che danno vita al rito. La rilevanza del rito per individuare i valori che luoghi e spazi assumono
per le relazioni sociali è tanto elevata che Claval ha descritto l'evoluzione della persona come una sequenza di riti,
che prendono avvio dal momento della nascita e si susseguono lungo la sua esistenza.
Per inoltrarci su questo terreno, in cui gli interessi della geo culturale si intrecciano con quelli dell'antropologia
culturale, è opportuno premettere che la parola rito ha origini molto lontane, che si perdono nella cultura veda e
richiamano l'idea di legame, collegamento, connessione. Nel corso del tempo ha assunto significati e pesi culturali
differenti in rapporto alle civiltà ma, in ogni caso, il suo senso ha oscillato tra due idee basilari: l'idea di collegamento
tra la persona e la trascendenza, propria ad esempio della cultura veda, e quella di partecipazione delle persone alla
società, propria della civiltà occidentale. Tra gli antropologi v'è consenso nel ritenere che il rito abbia una doppia
natura, o almeno che si esprima attraverso una duplice, contestuale azione. Possiede una natura per così dire
"tecnica", sicché il suo senso si esaurisce in conseguenze immediate. Possiede, però, anche una natura che trascende
l'immediato. Naturalmente il senso del rito varia in rapporto all'ambito sociale; ad esempio, passando da una
comunità a un'altra alla circoncisione possono essere attribuiti significati che rimandano più alla società o più alla
religione. Il rito ha la funzione di permettere o favorire l'ingresso della persona in nuove condizioni esistenziali. Una
sequenza dei riti rappresenta spesso un itinerario di elevazione, sociale morale spirituale, circostanza che ci rimanda
all'idea di progresso della persona. A questo punto appare evidente la differenza tra mito e rito: il primo si affida alla
narrazione verbale, sicché coinvolge essenzialmente l'immaginazione, mentre il secondo si manifesta anche o
soprattutto attraverso una sequenza gestuale e possiede natura essenzialmente pragmatica. L'interesse della geo
culturale risiede dunque nell'identificare i riti che concorrono a creare l'identità simbolica dei luoghi in rapporto alle
relazioni sociali e, così facendo, contribuiscono a produrre significati e valori. Sotto questo punto di vista, lo spazio
sociale può essere rappresentato come una tessitura di simboli all'interno della quale si sono andate formando
nicchie rituali, vale a dire insiemi di riti che contrassegnano le condizioni esistenziali della persona nei confronti della
società in cui vive, o con la quale viene a contatto.

 5.2 Ingresso nella comunità.


L’ingresso nella società è contraddistinto dall’apposizione del nome al neonato. Tra i numerosi modi di compiere
questo rito, nelle comunità con culture semplici vi è quello di assegnare al neonato il nome di qualche parente
defunto. In questi casi il nome acquisisce un valore simbolico perché conferisce al neonato un doppio legame, sia con
la società nella quale è introdotto grazie all’identità assicuratagli dal possedere un nome, sia con il mondo dei defunti
al quale si connette per avere protezione da parte di chi ha portato il suo stesso nome. Un altro valore ricorre
quando il nome del bambino è collegato a quello di una divinità.
Il nome può costituire un simbolo di collegamento con periodi più o meno remoti della storia della propria famiglia.
Grande rilevanza ha la struttura del nome. È noto come in gran parte d’Europa la struttura del nome sia influenzata
da criteri in uso nel periodo repubblicano di Roma, in cui si distinguevano il prenome (nome personale), il nome che
indicava la gens cui apparteneva, e il cognome. Nell’area cristiana prevalse l’uso di utilizzare il cognome della
famiglia in linea paterna e la scelta del nome restò libera.
L’interesse geoculturale comprende anche le trasformazioni del nome. Queste trasformazioni possono avvenire sia al
conseguimento della maggiore età, sia per chi decide di dedicarsi al sacerdozio o alla vita monastica.
Il primo passo all’interno della comunità di appartenenza non riguarda soltanto il nome, ma anche ai riti di
iniziazione. Ad es. la circoncisione resta il rito di più remota origine (Schema pag.126: espansione dei riti del
battesimo e della circoncisione e loro significati basilari); esercitata dagli egizi, fu ereditata dagli ebrei e trasmessa
alle prime comunità cristiane. Solo grazie alle comunità paleocristiane e attraverso l’opera di Antiochia (III sec d.C) si
posero le premesse per evitare l’obbligo della pratica.
Il Battesimo è uno dei passi necessari per far parte di una comunità cristiana, che può avvenire in qualunque età. I riti
di abluzione o immersione nell’acqua sono diffusi e hanno avuto ampie manifestazioni nella tradizione ebraica, ma
con significati diversi da quelli che hanno assunto nelle comunità cristiane. Nell’Antico Testamento il battesimo
aveva il significato di purificazione, mentre nel Nuovo Testamento assume il “battesimo dello Spirito Santo”. Il
peccato, infatti, non è tolto dall’acqua, ma solo dall’evento della morte e della resurrezione di Gesù. L’immersione
prende quindi il significato di partecipazione a questa morte e a questa risurrezione.

Cultura ebraica Circoncisione Unione solenne con la società di


Cultura musulmana “” appartenenza per effetto
dell’ingresso nella stessa religione e
cultura
Cultura cristiana, occidentale Battesimo + circoncisione fino al II
sec. d.C.
Battesimo progressivamente dal II Battesimo dello Spirito Santo e
sec. d.C. conseguente unione in Cristo

 5.3 Corpo, sesso, famiglia.


La straordinaria valenza simbolica dell'uomo vitruviano di Leonardo è dovuta soprattutto al fatto che l'armonia del
corpo è posta in evidenza inscrivendo la figura umana nel quadrato e nel cerchio; le due figure, unite insieme,
rievocano la coppia cielo-terra e infondono il significato di pienezza.
Anche Platone considerava il cerchio e il quadrato figure che conducevano all'idea di bellezza in sè, assoluta.
L'armonia, così idealizzata dell'antichità classica, è diventata una sorta di narrazione della possibilità di modellare il
proprio corpo fino a raggiungere il traguardo della perfezione, espressa da proporzioni numeriche tra le parti. Il
significato si è tramandato fino a noi, attraversando il Medioevo in cui era socialmente poco avvertito e altri in cui è
stato invece profondamente percepito, fino al punto da diventare una caratteristica fondamentale della cultura. La
società moderna ha sviluppato a dismisura queste connotazioni: l'armonia del corpo è stata assunta a fattore di
successo sociale ed è diventata il sostegno ideologico di importanti campi dell'economia. Che il corpo debba
diventare armonioso conformandosi a canoni estetici socialmente condivisi, in modo da favorirne l'esibizione e
l'apprezzamento sociale, è uno dei fondamenti della convivenza nella società occidentale.
Questo significato, che muovendo dall'idea di bellezza coltivata nell'antichità classica coniuga sempre più l'armonia
delle forme con la capacità di comunicare e di esibirsi socialmente, ha coesistito con il significato attribuito al corpo
dall'iconografia cristiana. Nella visione che si delineò nell'epoca paleocristiana e si tramandò fino al Rinascimento, il
corpo non è rappresentato come un simbolo di armonia fisica, di equilibrio di linee e forme, ma piuttosto come la
sede dove vivono armonie spirituali, che si esprimono in condizioni emotive religiosamente rilevanti, come pietà e
gioia interiore. In queste rappresentazioni il corpo non è più esaltato come espressione di perfezione, ma piuttosto
come involucro dell'anima, sicchè al significato di armonia fisica si sostituisce quello di armonia del corpo in rapporto
a canoni spirituali. Il significato si trasferisce dalla sfera estetica a quella etica, dalla materialità alla spiritualità, dal
corpo in sè al corpo come sede dell'anima, dal corpo abbellito per puro edonismo al corpo usato come sede e
strumento di elevazione intellettuale.
In rapporto alle epoche, ai paesi e alle categorie sociali la civiltà occidentale ha oscillato tra questi 2 significati: il
corpo come segno di esibizione estetica, il corpo come segno di comunicazione spirituale, dando luogo a profonde
conseguenze sociali che riguardano il modo di essere. La coesistenza di questi due modi con cui attribuire simboli al
corpo umano è anche uno degli aspetti che più contribuiscono a differenziare l'Occidente da altre civiltà.

Nel Convivio, Platone attribuiva all'unione sessuale un simbolo che condurrebbe al significato della perduta unità. Le
pagine di Platone introducono al senso culturale del sesso. La geo convenzionale ha affrontato gli aspetti sessuali
attraverso lo studio del rapporto m/f, lo studio della mono/poligamia, della condizione femminile. Oltre i dati
oggettivi e quantitativi possiamo considerare i simboli con cui nelle singole civiltà sono rappresentati i rapporti tra i
sessi e a quali valori essi conducano.
Schema pag. 130: diffusione della poligamia e della monogamia e senso culturale del sesso nella civiltà occidentale.

Modello dell’eros Antichità classica


Modello dell’amore Cristianesimo
Modello edonistico Modernità

Nei dipinti dell'antichità ellenica sono frequenti le rappresentazioni della bisessualità e del libero comportamento
sessuale, prerogative diffuse in quella società, ma riservate ai soli maschi adulti che non vivessero in schiavitù quindi,
la libertà sessuale non era assoluta. La circostanza è sottolineata anche dal fatto che, nella società ellenica, si
esaltava il valore della castità, atteggiamento che sarebbe diventato centrale nella cultura cristiana.
Perciò si attribuiva al sesso una duplice denotazione, quella della funzione riproduttiva e della manifestazione
dell'edonismo, da esprimersi con moderazione, ma con una libertà piuttosto ampia. Si parla di presenza del modello
dell'eros, costituito da simboli che conducono al significato della doppia funzione del sesso, sociale (riproduzione) e
individuale (piacere).
 Il modello classico, pagano, fu confutato nell'ambiente cristiano (condanna omosessualità, rapporti extra-
coniugali, ecc). Così facendo, furono abbattuti tutti i simboli, dai dipinti alle statue, che celebrassero la
bisessualità come proprietà intrinseca alla natura umana, e che in senso più ampio, celebrassero l'amore
libero, come pura ricerca di piacere. Alle relazioni sessuali si attribuì soltanto una funzione riproduttiva,
ammantandola di senso etico e spirituale.
 Il modello dell'eros fu sostituito da un altro modello, che potremmo chiamare modello dell'amore,
generando un irriducibile conflitto simbolico tra l'eredità classica e la visione cristiana; un conflitto che
avrebbe esercitato influenze profonde sull'evoluzione delle società e sulla posizione delle singole persone
nei contesti sociali.

Nella civiltà occidentale, alla concezione cristiana si è recentemente affiancata una nuova rappresentazione del
sesso, profondamente laica e caratterizzata da due connotati:
1. frutto di una sorta di liberalizzazione di costumi, è costituito dal ritenere lecito che l'individuo intrattenga sia
relazioni omosessuali sia relazioni eterosessuali; ne deriva una libertà molto più ampia di quella presente
nell'antichità classica;
2. è la conseguenza delle tecniche genetiche, che con l'inseminazione artificiale rimuovono per la prima volta
nella storia la relazione di necessità tra sesso e riproduzione.
3. Si può asserire che nell'ultimo scorcio di ‘900 si sia affiancato un terzo modello, che convenzionalmente
potremmo denominare modello edonistico (edonismo: indica sia la ricerca del piacere in sé, sia la dottrina
filosofica che considera il piacere come l’unico bene possibile, quindi come il fondamento della vita morale)
e che conduce al significato della dissociazione tra sesso e riproduzione.

Il tema dei rapporti tra i sessi conduce ovviamente a quello della posizione della donna nella società. A questo
riguardo i testi classici ci rappresentano 3 condizioni, in cui la donna è rispettivamente moglie, concubina ed etera. In
quella società all'uomo era attribuita una posizione di superiorità e c'era sempre l'idea di fondo che la donna dovesse
essere naturalmente assoggettata all'uomo. Questa condizione, che potremmo connotare come modello del primato
del maschio, è tuttora presente, soprattutto negli ambienti rurali, ed è attestata da una vasta iconografia che
costituisce un vero e proprio universo simbolico.
Il modello opposto, che orgogliosamente presentava la donna capace di fare le stesse cose che erano prerogativa
degli uomini, era rappresentato dal mito delle Amazzoni, le donne guerriere protette dalla dea Artemide, che
usavano gli uomini soltanto occasionalmente per scopi riproduttivi. L'universo simbolico connesso a questo mito, che
conduceva al modello del primato della femmina, rivive oggigiorno nelle rappresentazioni, ampiamente diffuse dai
media, in cui primeggiano i simboli dell'emancipazione femminile e che conducono a un esteso campo di significati,
da quelli della donna capace di fare tutto ciò che in passato era riservato all'uomo, comprese le attività militari, fino a
quelli della donna che eccelle nelle funzioni manageriali, e a quelli della donna che proclama la sua superiorità
usando il maschio a suo piacimento.
Il Cristianesimo ha introdotto un terzo simbolo, quello della donna che ha pari dignità con l'uomo e che, insieme
all'uomo, all'interno della famiglia costruisce un'atmosfera di amore e armonia, che diventa strumentale per elevarsi
spiritualmente. L'amore all'interno della coppia è vivificato dall'amore per il Cristo. Questa rappresentazione, che
conduce al modello dell'armonia tra i sessi ed è ben presente nell'iconografia cattolica, presuppone un significato più
profondo, quello che la società sia naturalmente equilibrata quando sia vicina a Dio e che ciò si realizzi, prima di
tutto, attraverso relazioni solidali, fecondate dall'amore, all'interno della coppia. L'amore della coppia sarebbe
dunque intimamente connesso alla solidarietà sociale, la quale a sua volta sarebbe il riflesso dell'armonia tra uomo e
Dio. L'evoluzione dei tre modelli – i 2 di derivazione classica e quello di ispirazione cristiana – sta influenzando
profondamente le trasformazioni della società occidentale: il primo modello (primato del maschio) è soggetto a
delegittimazione sociale, mentre il secondo (primato della femmina) si rafforza e si diffonde a mano a mano che
procede l'emancipazione femminile, mentre il terzo modello, quello cristiano, è soggetto a rischi di declino.

Dal discorso sui sessi si perviene al discorso sulla famiglia.


Schema pag. 133: i tipi di famiglia della civiltà occidentale.
Famiglia patriarcale
Antichità classica Matrimonio-contratto
Era cristiana premoderna Famiglia cristiana
Matrimonio-sacramento
Società moderna Famiglia moderna flessibile
Matrimonio-contratto e divorzio
Famiglia de-strutturata
Matrimonio tra persone dello stesso sesso
Famiglia de-strutturata
Riproduzione extra-matrimoniale con tecniche
genetiche

Il modello classico di matrimonio, diffuso nel mondo ellenico, aveva ovviamente soltanto carattere eterosessuale e
possedeva forti connotazioni simboliche che esaltavano l'unione della coppia: dal punto di vista sociale appariva
come un vero e proprio rito iniziatico; sotto il profilo giuridico si manifestava attraverso un contratto, che regolava i
beni dei coniugi. La famiglia che nasceva da quella ritualità e da quella configurazione giuridica era una
microstruttura sociale complicata e gerarchizzata, perché poggiava su un ampio numero di componenti: il padre, cui
era affidato il comando, la madre con responsabilità di governo domestico, le concubine a servizio del padre, i figli e i
servi. La famiglia appariva come una sorta di organismo in cui si rifletteva l'armonia e l'equilibrio dell'organismo più
alto, la polis (struttura politica, caratteristica dell’antica Grecia, in cui tutti i cittadini partecipavano al governo della
città) appunto. Il significato più profondo, comunque, consisteva nel ritenere che l'armonia riposasse sul rispetto dei
rapporti di gerarchia tra i membri della famiglia.

Ben diversa fu la connotazione culturale della famiglia creata dai simboli del Cristianesimo. La famiglia cristiana non
nasceva più da un rito che suggellava un patto tra i coniugi, ma da un rito iniziativo profondamente diverso perché il
matrimonio era concepito come un sacramento che univa la coppia nel nome di Dio e, così facendo, generava un
rapporto triangolare in cui le relazioni tra i coniugi facevano parte del loro rapporto esistenziale con la trascendenza.
La simbologia sacramentale attribuiva alla famiglia una funzione sociale essenziale nel creare un nucleo di persone
che condividessero stessi valori spirituali e che costituissero il cemento della comunità. Attraverso la diffusione
dell'istituto del divorzio, peraltro già presente nella Grecia antica, la società moderna ha creato un terzo modello,
quello della famiglia flessibile, caratterizzato da una complicata rete di rapporti tra figli, genitori naturali e genitori
acquisiti. La flessibilità, inoltre, sta ampliandosi a mano a mano che si diffondono tecniche genetiche per avere figli al
di fuori dei rapporti di coppia. Ne deriva un vasto apparato di simboli, ampiamente diffusi dai media, in base ai quali
la famiglia tende ad assumere il significato di un nucleo occasionale, privo di valori sacramentali. La modernità ha
inoltre introdotto il simbolo dell'unione tra persone dello stesso sesso, in ciò dando luogo a una figura di famiglia
finora assente in tutta la storia dell'Occidente. A questo punto subentra persino il declino del significato della
famiglia come ambiente di riproduzione biologica.
Concludendo, il mondo occidentale accoglie 4 modelli di famiglia:
1. famiglia patriarcale classica, di cui viso sopravvivenza in ambienti rurali sempre meno vasti;
2. famiglia cristiana, i cui valori sono entrati in sofferenza nelle fasi più recenti della società moderna;
3. famiglia flessibile, dove il divorzio è divenuto una pratica accolta e diffusa;
4. famiglia de-strutturata, dove avvengono matrimoni tra persone dello stesso sesso e dove i figli possono
essere creati mediante tecniche genetiche.

Le attribuzioni di simboli e valori al corpo, al sesso, alle relazioni sessuali e alla famiglia sono profondamente
interconnesse e costituiscono in sostanza i tasselli di un grande affresco culturale, quello delle condizioni esistenziali
primarie, che caratterizzano il nostro porsi verso noi stessi e verso le persone con cui veniamo più direttamente a
contatto. Questi aspetti non rientrano nel campo tematico della geo culturale classica, ma questo non esclude che
presentino rilevanza geografica.
Si potrebbe infatti realizzare una rappresentazione cartografica di simboli e valori, da integrare alle carte basate su
elementi oggettivi, imponendo così alla rappresentazione geografica un'impronta profondamente umanistica.

 5.4 Simbolo, rito, iniziazione sociale


Descrizione delle prime fasi di un rito mediante il quale un aspirante apprendista si avvicina alla massoneria. La
cerimonia procede con un eccezionale impiego di simboli (oggetti materiali, disegni, sculture) buona parte dei quali
sono costituiti da attrezzi tradizionali del muratore. Il suo cammino all'interno dell'istituzione che, prima e sopra ogni
cosa, gli impone il segreto, sarà accompagnato sempre da una simbologia che per vastità tematica e per richiami
storici non ha eguali al mondo. Vi sono nicchie intra legem, come il rito iniziatico al sacerdozio, nicchie praeter
legem, quali si consumano nelle lobby più o meno "nascoste" del potere economico e finanziario, e nicchie contra
legem, che caratterizzano le organizzazioni terroristiche, i movimenti clandestini e la criminalità.
Il terreno apre suggestioni di non poco conto per la geo culturale perché qualunque ingresso in un nuovo status
sociale avviene mediante riti di iniziazione, più o meno espliciti ma quasi sempre dotati di forte carica simbolica.
Nei riti di passaggio all'interno di una società emergono dunque 2 conseguenze di alta pregnanza esistenziale:
 la prima consiste nell'accedere a nuovi livelli relazioni, nel disporsi su nuovi piani di esperienza, per cui
attiene alla sfera sociale strettamente intesa;
 la seconda ha luogo sul piano delle emozioni e della spiritualità perché l'iniziazione, essendo vissuta come il
passaggio verso una nuova situazione esistenziale, conduce all'idea di fondo della resurrezione a nuova vita.
Questo genere di esperienze è certamente presente nei riti di passaggio attraverso le varie fasce di età ma si
manifesta soprattutto nei riti in cui il passaggio avviene tra un gruppo sociale e un altro, ad esempio tra il mondo
laico e il mondo ecclesiastico, o tra differenti campi di manifestazioni spirituali, ad esempio tra una religione e l'altra,
oppure attraverso l'ingresso in ambienti in cui si condivide una stessa posizione intellettuale e si partecipa
contestualmente a riti di solidarietà sociale, come accade appunto nella massoneria.

La maggior parte dei riti iniziatici presenti nella civiltà occidentale, soprattutto quelli che hanno maggiore influenza
nel determinare i valori e gli ideali cui s'ispira il rapporto tra la persona e il contesto sociale, possiede la stessa
struttura ternaria che contraddistingueva i riti iniziatici nell'antichità classica: in un primo momento ha luogo una
separazione, che segna l'abbandono di una condizione precedente ed è espressa spesso da una morte rituale; segue
l'avviamento alla nuova condizione, nel corso della quale il neofita sosta o soggiorna in ambienti particolari, scelti e
arredati per favorirne l'educazione al nuovo status; dopo questa fase, che può anche durare a lungo, ha luogo
l'ingresso a pieno titolo nella nuova condizione.

Dal punto di vista della geo culturale, comunque, è essenziale tenere presente che la società moderna ha attinto
simboli dall'antichità classica, in ciò attestando le sue radici più profonde, ma li ha aggiornati e integrati con
un'infinità di simboli nuovi, in ciò proclamando il suo avanzamento, anche culturale, rispetto alle fonti cui si ispira.

Attraverso questa vasta integrazione simbolica, la modernità si è ammantata di una profonda legittimazione
intellettuale, che deriva dal mantenere radici classiche e nello stesso tempo nel trascenderle. Dall'Illuminismo in poi,
infatti, la società moderna si è esibita in una continua creazione di simboli pertinenti alla progressione della persona
nella società. Avvicinandosi alla fine del ‘900 questa funzione ha subito una forte accelerazione sia perché la
simbologia si è ampliata notevolmente, sia perché ha cominciato anche a procedere mediante strumenti virtuali
dando vita alla generazione delle cyber-iniziazioni. Nella civiltà occidentale viviamo e trasformiamo le nostre
condizioni esistenziali muovendoci all'interno di due universi di simboli, quelli materiali e quelli virtuali, e sentendoci
trascinati lungo un cammino percorrere con spirito faustiano, quello della nostra omologazione nella modernità; un
cammino che appare qualitativamente superiore ed esistenzialmente più appagante rispetto ai cammini delle altre
civiltà, perché coniuga il fascino del classico con l'innovazione del moderno.
Per trovare le radici del modo moderno con cui costruire simboli e riti con elevata pregranza sociale occorre dunque
non perdere di vista i retaggi dell'antichità ma anche renderci conto delle solide radici che si trovano nel ‘700,
quando venne alla luce la "massoneria speculativa", ispirata al pensiero di Cartesio e di Kant. Simboli rappresentati
graficamente (come la volta celeste), simboli costituiti da strumenti (come gli attrezzi del muratore), simboli gestuali
(come segni di riconoscimento) conducevano a significati ben scolpiti e, di conseguenza, tra segno e significato si
creava una connessione stretta, un legame univoco, coerente con la prerogativa della modernità di cui parla Foucault
(1967): costruire rappresentazioni razionalizzate della realtà e partire da queste per approdare a significati certi. Non
per niente fu soprattutto l'ermeneutica razionalista, per la sua capacità di costruire simboli e significati razionali,
disancorati dalla religione, a far la fortuna della massoneria.

 5.5 La rappresentazione geografica


Come può la geo culturale rappresentare le manifestazioni territoriali delle relazioni tra esistenza umana e società
considerando i simboli come portali attraverso cui individuare i significati del vivere nella famiglia e nel muoversi
all'interno del labirinto in cui si articola la società? La rappresentazione, che in questi casi è ovviamente costituita da
un discorso debole e da una retorica creativa, può procedere attraverso tre tappe, che coinvolgono nell'ordine i
livelli ontologico, semiotico e ermeneutico:
1. nella tappa iniziale ci si occupa della dimensione ontologica per cui teniamo conto degli aspetti e delle
manifestazioni oggettive della società: costruiamo le carte della composizione della famiglia, della struttura
sociale, delle articolazioni professionali, e così via;
2. nella seconda tappa approdiamo al livello semiotico per cui ci occupiamo, ad es., dei riti dell'ingresso
nell'adolescenza (es. cresima), nelle strutture sociali riservate agli adulti (es esercito, lobby, società segrete)
e in altri contesti sociali; la rappresentazione è costituita da carte che connotano i luoghi in rapporto al tipo
di riti praticati;
3. terza tappa, che consiste nella rappresentazione dei valori connessi ai simboli e ai riti; nell'affrontare questa
tappa incontriamo ovviamente le maggiori difficoltà, derivanti soprattutto dall'esigenza di definire i criteri
mediante i quali interpretare i simboli (procedimento ermeneutico) e delineare così i significati.

Sotto questo punto di vista emerge un trittico di questioni:


1. coesione sociale: siccome una società è tanto più vitale quando più è coesa, è utile vagliare se i significati
derivanti dall'apparato simbolico e rituale del gruppo sociale conducano a rafforzare la coesione sociale
oppure conducano verso traguardi opposti; la rappresentazione è essenzialmente costituita da carte
geografiche dei valori di coesione (ad es di solidarietà sociale) o di dissociazione (ad es di conflitto etnico) cui
conducono i simboli e i riti che abbiamo rilevato e utilizzato come strumento di indagine sulla cultura;
2. proiezione nel futuro: vi sono riti es imboli che denotano la propensione a conservare società e cultura,
mentre ve ne sono altri che tendono invece ad innovare; ogni apparato di simboli e di riti contiene in sè,
infatti, la visione del futuro del mondo e quella della società locale nel contesto globale, visioni che
influenzano e orientano variamente le pratiche sociali;
3. quella delle relazioni con esterno: sociologia l'antropologia culturale hanno posto cura nel distinguere le
società chiuse dalle società aperte; la distinzione è tuttora valida, anzi acquista speciale rilevanza nell'era
della comunicazione globale perché conduce a vagliare se e con quale intensità le singole comunità, quelle
che i geografi chiamano "sistemi locali", reagiscano nei riguardi degli stimoli provenienti da processi di
globalizzazione.
La conoscenza dei significati, cui conduce la simbologia e la ritualità dei gruppi sociali, non esaurisce ovviamente il
campo dei temi cui il geografo si trova di fronte quando indaga sul rapporto tra esistenza umana e società. Vi sono,
infatti, veri e propri universi di segni, che non germinano nelle associazioni, nelle istituzioni, nelle chiese o nelle
lobbies, ma che sono coltivati e prodotti sul terreno della comunicazione. Ogni forma di comunicazione sociale
possiede propri simboli, testuali e visuali, i quali fanno approdare a determinati significati. In particolare, il
linguaggio, con la sua carica metaforica, costituisce un potente strumento. Tradizionalmente, i cultori della geo
umana hanno considerato le lingue avendo cura di fornire rappresentazioni cartografiche della loro distribuzione.
Ora, la geo culturale si trova indotta a concentrare l'attenzione sulla comunicazione nel suo insieme, cioè nel
complesso delle sue articolazioni, identificandone linguaggi e simboli e vagliando a quali significati conducano. Su
questa base, si possono costruire carte geografiche che denotino i luoghi in rapporto ai linguaggi e ai simboli da cui
sono caratterizzati.
La storia di una comunità umana è contrassegnata da una stratificazione di simboli che conducono a una
stratificazione di significati. Vi sono simboli e significati antichi e altri recenti; alcuni relittuali, dotati di scarsa
rilevanza sociale e altri emergenti, destinati a influire intensamente sulla vita sociale. E nell'ambito dell'universo di
simboli che caratterizza le varie fasi della storia di una società vi sono simboli-chiave, che hanno condotto a significati
differenti passando da un'epoca all'altra, ma che non possono scomparire perché sono immanenti al vivere sociale.
Sotto questo profilo si può convenire che in qualunque tipo di società vi siano almeno due tipi di simboli-chiave,
quelli che riguardano il valore attribuito alla vita umana e quelli che riguardano la presenza e l'influenza delle radici
culturali nella nostra esistenza.
In rapporto al modo di concepire il valore della vita, la geo culturale è indotta a scandagliare i gruppi sociale per
identificare i simboli e i riti utili a comprendere da quale fonte si ritiene che provenga la vita, quando cominci la vita,
quando e per quali ragioni la vita possa essere sacrificata, in quali circostanze e fino a quale punto la si debba
difendere. Lungo questo itinerario è possibile anche costruire la carta dei valori della vita, nella quale siano
identificati e rappresentati i luoghi dove si annidano i gruppi sociali che sostengono le varie posizioni. L'argomento
acquista rilevanza nelle comunità multietniche.
In rapporto al modo di concepire le radici culturali il geografo parte dal presupposto che il comportamento della
singola comunità oscilli tra due poli: attorno al primo polo si dispongono i simboli che non attribuiscono valore alle
radici culturali e, così facendo, tendono a distruggere, o almeno a non tutelare, la memoria storica; attorno al
secondo polo si dispongono i simboli che rappresentano le radici culturali come una risorsa, intellettuale e morale,
indispensabile per procedere verso il futuro, e dunque attribuiscono valore alla memoria storica. L'esplorazione dei
simboli e dei riti che caratterizzano le componenti sociali, i gruppi e i media dà modo di delineare la geo dei valori
attribuiti alle radici culturali e, quindi, di valutare se e in quali termini essi tendano a ispirare e sostenere l'ideazione
di progetti e il loro perseguimento. Anche questo campo tematico acquista configurazioni diverse passando da
comunità mono-etniche a comunità etnicamente composite.

 5.6 Sociale e individuale


La cultura delle singole comunità è fatta anche dalla funzione- simbolo esercitata da determinate persone nel creare,
conservare e rinvigorire valori, ideali e ideologie. Mentre la geografia umana concentra l’attenzione sulla collettività
e colloca le individualità nel sottofondo, la geografia culturale attribuisce attenzione anche a queste ultime. Nella
ricerca di questo genere di simboli, il geografo sarà interessato a 4 categorie di individualità: santi, eroi, leader della
cultura e delle arti sceniche.
 I santi costituiscono una categoria di individualità cui le comunità locali attribuiscono sia specifiche funzioni
sia valori di vario genere. Spesso è una personalità che ha influenzato il modo con cui guardare la realtà e il
rapporto tra l’esistenza individuale e la società. Questa immagine così legata ai fatti della vita terrena e al
comportamento del santo nella società, fa di questa categoria di personalità un argomento di stringente
interesse geo culturale proprio perché il santo è considerato un archetipo.
 Eroi. Nell’antichità classica gli eroi erano semidei e si distinguevano dagli uomini per possedere qualità
fisiche e intellettuali superiori. All’esistenza di uomini eccezionali si cominciò a credere nell’ambito del
Rinascimento. Hegel provvide a definire l’eroe cosmico, inteso come persona che inconsapevolmente
assolve una funzione assegnatagli dal “piano della ragione” che governava la storia. Secondo Hegel l’eroe
opera al di là del bene e del male, proiettato verso destini già prefigurati e ineludibili. Nella percezione
sociale contemporanea, l’eroe è una figura meno idealizzata, ma capace di fungere da simbolo in rapporto a
un ideale, a una narrazione storica. Rientra a buon diritto chi si è sacrificato a favore dei suoi simili,
combattendo contro le oppressioni o diventando protagonista di grandi opere di solidarietà sociale.
 Leader politici : si tratta di individualità che appartengono all'effimero storico, la cui immagine è spesso
"costruita" dai media e che, quindi, posseggono una carica simbolica molto inferiore a quella dei santi e degli
eroi; fanno eccezione, anche in questo caso, coloro che sono morti tragicamente, come Lincoln (figura
pag.144: museo di Lincoln a Washington) e Kennedy negli USA, mentre assolvevano a compiti di ampia
risonanza sociale; in questo caso, la loro figura si allontana da quella convenzionale del politico per
avvicinarsi a quella dell'eroe; i luoghi che essi hanno contrassegnato con atti di particolare rilevanza sociale e
politica, o nei quali sono avvenuti eventi tragici che hanno conferito loro un'immagine eroica, posseggono
una notevole carica simbolica che rimanda a valori socialmente condivisi;
 Protagonisti delle arti sceniche: minore rilevanza, ma non minore influenza è esercitata da attori e cantanti
famosi, il cui ricordo connota luoghi divenuti oggetto di culto; meno celebrati dai media, e meno connotati
da forme impetuose di culto, sono i luoghi caratterizzati dalla memoria di esponenti di cultura, come pittori,
compositori, poeti, filosofi, però la loro natura di costituire siti simbolici destinati a produrre significati nel
tempo è spesso notevole; questa circostanza è così ampiamente condivisa che ha ispirato l'idea di creare
parchi letterari, intesi come spazi caratterizzati dalla memoria di una personalità di spicco nella cultura, nei
quali sono custoditi, e presentati appropriatamente ai visitatori, i segni che ne recano testimonianza.

L'interesse dalla geo culturale per le individualità è motivato da tre obiettivi:


1. individuare i luoghi ove la personalità ha lasciato segni; dai segni si risale ai significati, vale a dire ai valori,
agli ideali, ai dilemmi esistenziali cui i segni conducono, in modo da comprendere in quali modi concorrano a
formare la cultura del singolo luogo
2. individuazione dei luoghi dove si compiono riti celebrativi delle singole personalità, in tal modo si identifica
una rete di luoghi, in cui vi sono compresi sia luoghi dove il santo o l'eroe hanno impresso segni, sia luoghi
ove essi sono ricordati e celebrati per il valore di ciò che hanno fatto; questa rete delinea la geografia della
diffusione dei significati generati dalle individualità;
3. uno stesso luogo può essere contrassegnato da simboli diversi, impressi da varie personalità; in questo caso
(terzo obiettivo) l'indagine geografica è rivolta a individuare le relazioni che intercorrono tra i simboli per
accertare se siano neutrali, integrati o conflittuali; l'es. più significativo di coesistenza di simboli che
conducono a significati di notevole caratura può essere forse trovato a Gerusalemme, dove coesistono
simboli che riconducono all'Ebraismo (Davide e Salomone sono rievocati nella collina del Tempio), al
Cristianesimo (Gesù Cristo è rievocato nel Santo Sepolcro) e all'Islamismo (l'ascensione di Maometto è
segnata dalla Cupola della Roccia).

 5.7 Morte e memoria.


In filosofia, stando alla presentazione di Abbagnano, la morte è stata considerata sotto 2 prospettive: in primo luogo
come decesso, ovvero come evento naturale e in secondo luogo per i suoi rapporti con l’esistenza umana; mentre
sotto il secondo punto di vista sono state sviluppa tre linee di pensiero, in rapporto alle quali la morte è stata
rappresentata come fine di un ciclo di vita, come inizio di un altro ciclo e infine come possibilità esistenziale. Si
constata, secondo la presentazione fornita da Galimberti, che la morte come evento simbolico è la prospettiva
coltivata prima di ogni altra dagli antropologi. Essi partono dalla constatazione che l’uomo è il solo essere vivente a
seppellire i propri simili defunti, che è il solo a essere accompagnato per tutta la sua esistenza dall’idea, e dalle
rappresentazioni, della morte e che di fronte a questo evento è il solo essere vivente che cerca in ogni modo di
sfidare le leggi della natura che producono la decomposizione del corpo. Questa caratteristica è connessa all’essere
la morte anche un evento sociale che coinvolge non solo il rapporto personale del defunto con il resto della
comunità umana di appartenenza, ma anche i rapporti complessivi che hanno luogo all’interno della comunità.
Nei riti del lutto e del cordoglio la morte è infatti rappresentata come un doppio passaggio: il passaggio del defunto
da una condizione a un’altra, e un trasferimento di idee e valori verso la comunità quasi ad accrescere le risorse per
affrontare il proprio futuro.

 5.8 Società- struttura e società- simboli.


La rappresentazione convenzionale si propone di fornire una visione della società così come è o meglio
considerandola per i suoi aspetti oggettivi e cerca di presentare come la sua struttura si articoli sul territorio.

Schema pag. 150: società-struttura e società-simboli.


Società- struttura Società-simboli
Geografia umana Campo disciplinare Geografia culturale
Tessitura di elementi Immagine della società Corredo di simboli
Spiegazione Forma di conoscenza Comprensione
Discorso forte Tipo di retorica Discorso morbido
Spazio Contesto geografico Luogo

La rappresentazione è basata su dati quantitativi, circostanza grazie alla quale si ritiene che i risultati cui si approda
abbiano valore oggettivo perché sono basati sulla misura e che la rappresentazione geografica sia strumentale per
spiegare come la società si articoli, come si evolva, come possa essere migliorata. Tra questi 3 elementi (dato,
rappresentazione, spiegazione) si instaura una relazione stretta, che conferisce legittimazione all’opera del geografo.
Questo tipo di rappresentazione non riguarda l’individuo ma la società vista nei suoi caratteri generali. Proponendosi
di considerare la società nei suoi caratteri generali, la rappresentazione si dedica a spazi piuttosto che a luoghi.
L’impostazione conduce a un discorso geografico duro, perché corroborato da numeri e teso a fornire spiegazioni e a
una rappresentazione geografica alla piccola scala, perché orientata a considerare regioni, paesi, al limite l’intero
mondo. Nella prospettiva della geografia culturale su base semiotica perdono rilevanza i dati di struttura. La società
considerata in senso generale è posta nel sottofondo mentre in rilievo è posto l’individuo nelle sue condizioni
esistenziali. La rappresentazione diventa il frutto di un’esplorazione di simboli, utili per comprendere come i luoghi si
connotino per comprendere i valori che custodiscono nei riguardi della comunità locale. In questo ambito
l’attenzione si rivolge sistematicamente e prima di tutto ai luoghi. Il risultato consiste in un discorso geografico
morbido perché è basato su indagini caratterizzate da indiscutibile soggettività, ed è orientato a delineare la
comprensione di condizioni esistenziali connesse ai luoghi. e questo discorso è associato a una rappresentazione
geografica alla grande scala perché dedicata a territori di piccole dimensioni.

Parte terza. Spazi.


Capitolo 7. Spazio e tempo.
 7.1 Luoghi, spazi, tempo.
Abbiamo preso in esame i simboli e i valori che sviluppano discorsi geografici sul rapporto tra la nostra esistenza da
un lato e natura, società, trascendenza dall’altro. di per sé simboli e valori connotano punti del territorio (foce
fluviale, grattacielo, monumento, santuario). Questa prospettiva ci ha condotto a mettere in relazione il simbolo con
il luogo, cioè con elementi geografici puntuali, o con territorio così circoscritti da essere percepiti come luoghi.
Abbiamo lavorato a grande scala geografica, cioè su tratti della superficie terrestre ben delimitati, poco estesi e
chiaramente identificati, nel senso in cui sono definiti nei dizionari (Luogo: spazio circoscritto, riconducibile a entità
geografica o topografica, o alle caratteristiche o alle funzioni proprie di un ambiente. Porzione di spazio geografico
occupata da una persona o da una cosa).
A questo punto si può cambiare scala di riferimento, considerando ambiti territoriali più ampi, che si percepiscono in
termini di estensione, vale a dire come spazi. Ci spostiamo cioè da realtà geografiche che rappresentiamo a scala
1:2.000 (luoghi), verso realtà che rappresentiamo alla scala 1:25.000 (paesaggio) o alla scala 1:200.000 (regione), per
finire a scale più piccole quando si parla di etnia e civiltà.
Su questo piano si apre un terreno discorsivo che induce a considerare aree culturali, culture e civiltà.
Se consideriamo lo spazio come una porzione della superficie terrestre che si connota per la presenza diffusa di
determinati simboli e valori ci imbattiamo in categorie concettuali come paesaggio etnia e civiltà, che costituiscono
tempi cruciali dell’attuale dibattito sulla configurazione culturale del mondo. Queste categorie richiedono di essere
precedute dalla considerazione del senso geografico del rapporto tra spazio e tempo, il quale possiede innanzitutto
un interesse geoculturale generale in quanto riguarda uno dei contenuti che maggiormente denota la cultura
moderna; in seguito, il rapporto tra spazio e tempo possiede anche un interesse geoculturale specifico perché
influenza il modo con cui studiamo come la superficie terrestre sia divenuta uno spazio culturale per effetto di
processi di territorializzazione, cioè di progressiva occupazione e organizzazione del territorio.

L’argomento può essere affrontato esplorando come lo spazio e il suo rapporto con il tempo siano stati intesi e
rappresentati a mano a mano che la modernità ha preso campo.
Possiamo partire da alcuni casi concreti, utili per i risvolti concettuali chiamati in causa.
Royal Greenwich Observatory, sul pavimento notiamo la linea rossa che lo attraversa segnando il tracciato del
meridiano fondamentale: linea che, se prolungata nei due sensi, condurrebbe ai poli.
Dal 1884, tutti i punti sulla superficie terrestre, nell’atmosfera e nello spazio gravitazionale della Terra, vengono
identificati e rappresentati misurandone la distanza rispetto a questa linea, oltre che rispetto all’equatore. Il
meridiano di Greenwich costituisce uno dei simboli fondamentali sia dell’essenza razionale della modernità sia del
nostro modo di concepire e immaginare il tempo e lo spazio.
Nelle sale dell’Osservatorio troviamo i cronometri inventati da Harrison per determinare la longitudine (Figure pag.
192: uno dei cronometri e l’inventore Harrison).
La decisione di realizzare il cronometro costituì una delle espressioni più alte del modo moderno di intendere il
rapporto tra scienza e politica. Fu adottata nel 1714 dal Parlamento inglese con l’obiettivo di scoprire un criterio
razionale di navigazione, che garantisse alla flotta britannica la supremazia in mare.
Johnathan Swift riteneva che la longitudine fosse simile alla pietra filosofale e al moto perpetuo, una realtà che la
scienza non sarebbe mai stata capace di delineare e la tecnologia di controllare. Molti pensavano che le difficoltà
dipendessero da un’ostilità divina, per cui il cronometro costituiva una sorta di confronto tra la scienza che si andava
affermando sulla base dei principi di certezza enunciati da Cartesio e il modo premoderno di costruire conoscenza, in
vario modo legata alla religione. L’invenzione del cronometro era un teatro della dialettica tra moderno e
premoderno, tra scienza e fede, una vera sfida per lo spirito dei Lumi. Divenne uno strumento meraviglioso, che
infondeva grandi certezze, frutto di una tecnologia avanzata.
Il cronometro aveva una doppia funzione: misurava il tempo in modo preciso; rendeva possibile la misura esatta del
tempo impiegato per percorrere una rotta. Inoltre, l’invenzione del cronometro e le conseguenze che ne derivarono
per il pensiero e la prassi della società dei Lumi, mostrano come la civiltà occidentale si sia avviata verso la modernità
disegnando una stretta relazione tra tempo e spazio, al punto da considerarli come parti di una stessa realtà.
 7.2 Tempo- ritmo e ciclo.
In quanto a corredo di simboli e di conseguenti significati, che connotano lo spazio e il tempo, la civiltà occidentale
non ha eguali con nessun’altra, passata e presente. Questa civiltà ha costruito visioni del mondo e valori che la
legittimano a svolgere una funzione guida per l’umanità.
Dall’antichità classica all’epoca paleocristiana, dal Medioevo al Rinascimento e al mondo moderno sono stati creati
vari simboli che mostrano come l’esistenza sia stata rapportata allo scorrere del tempo.
La civiltà occidentale ha assorbito anche simboli dello spazio e del tempo provenienti da altri ambiti. Tra i simboli
importati interessano quelli di provenienza islamica ed ebraica che concepiscono il ritmo del tempo e il rapporto tra
tempo e spazio in termini diversi sia nei confronti dell’antichità classica sia in rapporto alla cristianità e che quindi
costituiscono un motivo di differenziazione simbolica innestato nel mondo occidentale.
Partiamo da un caso di studio. Immaginiamo di trovarci nel monumentale orologio astronomico che si trova nella
cattedrale di Strasburgo (Figura pag.195: profilo dell’orologio della cattedrale di Strasburgo, con la posizione dei
simboli rilevanti per il discorso sviluppato in questo capitolo: 1. I quattro evangelisti, 2. La creazione, 3. La
Resurrezione dei morti, 4-7. Le quattro stagioni, 8. Le quattro età della vita (infanzia, giovinezza, età adulta,
vecchiaia), 9. I giorni della settimana, 10. Il tempo siderale, 11. Il tempo apparente, 12. Le fasi lunari).
Questo capolavoro non solo esibisce un eccezionale meccanismo, ma ci racconta anche con quali simboli dovette
combattere la modernità quando irruppe nello scacchiere europeo per proporre e imporre nuove visioni del mondo.
Correlativamente ci mostra quanto di premoderno sussista ancora nel nostro modo di avvertire il tempo, soprattutto
di immaginare i ritmi attraverso cui scorre.
Sullo sfondo di 48 costellazioni e 1022 stelle, nell’orologio sono disegnati i percorsi della Luna e del Sole e il
calendario lunisolare. Le civiltà mediterranee furono attratte dall’idea di mettere il tempo in rapporto al movimento
della luna e così produssero calendari solari. Solo la civiltà egizia ideò calendari solari, e nell’antichità gli ebrei furono
i soli a produrre un calendario lunisolare, raffinato nella concezione e ricco di richiami all’Antico Testamento.
Nel Medioevo lo sforzo per ideare calendari che offrissero una visione generale del cosmo e delle sue influenze sui
ritmi dell’esistenza umana, approdò a simboli con forte energia connotativa, come quelli accolti nella cattedrale di
Strasburgo, dove la componente religiosa della connotazione è dovuta soprattutto al fatto che l’orologio gira grazie a
un ingranaggio dissimulato in un pellicano che apre il proprio petto per nutrire i piccoli, simbolo della redenzione e
del sacrificio di Cristo. Altra connotazione religiosa è espressa dal modo di rappresentare le ore: sono contate da un
angelo munito di scettro e il mezzogiorno è scandito da un carillon che esibisce il corteo dei 12 apostoli nell’atto di
rendere omaggio a Gesù.
L’idea di ciclo ritorna in una limpida visione. Il mondo è rappresentato come il risultato dei moti della Terra e quindi
come una realtà che vive ciclicamente. Nell’orologio di Strasburgo l'idea traspare prima di tutto nella
rappresentazione delle fasi lunari che chiamano in causa la dipendenza ciclica delle attività agricole rispetto al moto
di rotazione della Luna attorno alla Terra.
Il numero 4 è la chiave di volta per una rappresentazione multidimensionale: insieme alle 4 stagioni, l’orologio
rappresenta le 4 età della vita (infanzia, giovinezza, maturità, senilità), i 4 temperamenti attraverso cui si manifesta il
comportamento umano (sanguigno, collerico, flemmatico, malinconico), il tutto inquadrato nei 4 elementi della
natura (aria, terra, fuoco, acqua).
In questa visione complessiva non può mancare la rappresentazione del ciclo dell’umanità. Richiamandosi
all’Apocalisse, l’orologio mostra le scene della Creazione e del Giudizio. La rappresentazione di Strasburgo denota il
dì, le stagioni, la vita umana, il mondo e l’al di là come cicli di differente durata che si intrecciano tra loro.
Questi cicli conducono alla narrazione del mondo e del suo destino in conformità dei testi sacri. I simboli ci
raccontano di cicli riferiti alla natura e ci rimandano a una realtà oggettiva, esterna all’uomo, che genera le condizioni
in cui scorre l’esistenza umana. Ma ci raccontano anche di cicli, come la suddivisione dell’anno in mesi e settimane,
che sono prodotti della cultura e riguardano condizioni esistenziali create dalle comunità umane.

La seconda categoria di simboli, quelli creati dalla cultura, incastonati nell’orologio di Strasburgo, ci introduce in uno
dei terreni più interessanti per comprendere la civiltà occidentale: il modo di rappresentare e organizzare il tempo. A
tal proposito la settimana costituisce un tema cruciale perché la sua ideazione diede luogo a una ripartizione del
tempo che prescinde dal moto degli astri: le sequenze delle settimane formano blocchi che non coincidono né con le
stagioni, né con l’anno, ma si succedono sulla base di criteri estranei ai meccanismi cosmici.
La scansione del tempo in periodi settimanali ha origini antiche: era presente nella civiltà babilonese e si tramandò
fino ai romani.
Mentre il modo di riferire la settimana a visioni cosmiche veniva a costituire uno degli elementi più ricchi di senso
della cultura classica, gli ebrei procedevano a ripartire il tempo in settimane rifacendosi alla creazione narrata dalla
Genesi: 6 giorni lavorano e il settimo riposano. I cristiani adottarono la settimana per rifarsi all’Antico Testamento,
ma non riuscirono a cambiare la denominazione dei giorni presente nel calendario romano, salvo per il 6° giorno che
fu chiamato Sabbatum per rifarsi alla Genesi e per il 7° che fu chiamato Domini dies.
La settimana cristiana conteneva quindi un insieme di simboli che si rifacevano all’idea delle influenze degli astri
sull’esistenza umana e al tempo stesso si riconducevano alla creazione narrata nella Bibbia.
Anche l’Islamismo subì l’influenza dell’Antico Testamento tanto che il Corano adattò la settimana, ma lo fece
differenziandosi rispetto ai calendari ebraico e cristiano. Nella settimana islamica il giorno di risposo divenne il
venerdì, mentre per gli ebrei era il sabato e per i cristiani era la domenica.
La settimana è una rappresentazione del tempo esistenziale dotata di forti connotazioni religiose, per la quale tutte e
3 le religioni monoteiste si rifanno alla Genesi, ma esiste una differenza profonda tra Ebraismo e Islamismo da un
lato e Cristianesimo dall’altro. Le prime 2 hanno disegnato la settimana senza subire influenze laiche, mentre il
Cristianesimo lo ha fatto collegandosi anche alla cultura romana, dunque esibendo legami con la visione del mondo e
del tempo propria dell’antichità classica. È una manifestazione eloquente delle due radici, cultura classica e
Cristianesimo, che hanno sorretto la civiltà occidentale.
Inoltre, ogni calendario include sia festività civili che rievocano eventi storici o valori politici e morali e caratterizzano
un determinato paese o popolazione, sia festività religiose che si rifanno a documenti sacri o ricordano persone ed
eventi che hanno contraddistinto la storia della religione e sono riconosciute da popolazioni di numerosi stati o da
consistenti minoranze etniche, per cui posseggono una rilevanza geograficamente molto più estesa.
Il rilievo culturale delle festività dipende anche dalla loro persistenza nel tempo. Le festività civili sono soggette a
cambiare nel corso della storia, a ciò si aggiunga che nei paesi di recente indipendenza, che costituiscono la
maggioranza del mondo, esse sono state istituite da poco tempo. Il contrario accade per le festività religiose, le quali
permangono nel tempo e richiamano valori che trascendono quelli della contingenza storica e che si rifanno all’idea
di eternità.
La carica simbolica della festività religiosa è duplice: conferisce senso alle relazioni tra l’esistenza e la trascendenza
perchè la sua celebrazione si manifesta spesso mediante riti che implicano una proclamazione di fede; influisce sulla
posizione dell’individuo nella società perchè il rito è un fatto corale che rinsalda i rapporti tra persone che
condividono una stessa visione della realtà e hanno una stessa percezione del loro essere nel mondo.
Festività come la Pasqua per i cattolici, l’ascensione di Muhammad per i musulmani o la Pentecoste per gli ebrei
costituiscono rappresentazioni di valori spirituali dell’esistenza e nello stesso tempo affermano il valore della
coesione sociale.
Vi è poi una doppia natura simbolica del calendario: è una rappresentazione sacra che conduce all’idea del tempo
assoluto e della trascendenza come riferimento costante per l’esistenza umana, ma nello stesso tempo è una
rappresentazione sociale, che conduce all’idea del tempo storico e alla solidarietà che unisce attraverso la fede.
In quanto rappresentazione sacra, il calendario condensa nello spazio di un anno la storia del mondo narrata da una
religione. Nelle comunità cattoliche questa funzione è associata anche alla consacrazione dei singoli giorni a
personalità (santi); dedicare i singoli giorni a personalità produce 2 gruppi di simboli: un gruppo riferito a personalità
dell’Antico o Nuovo Testamento; l’altro riferito ai vari personaggi della Chiesa. Il primo gruppo ha natura etero-
referenziale perché si riferisce a fatti e persone che hanno preceduto la creazione della Chiesa, il secondo ha natura
auto-referenziale perché costituito da simboli che richiamano personaggi della storia della Chiesa e costituisce una
celebrazione permanente della funzione storica dei cattolici.
L’opera di consacrazione dei giorni a personalità distintesi nel campo spirituale fa sì che nel corso dell’anno si
succeda una sequenza di simboli che costituiscono una narrazione sacra, che si ripete ciclicamente.
In conclusione, i nostri spazi di vita sono contrassegnati da simboli derivanti da calendari in cui mito, cultura classica
e religione si sono sedimentati nel tempo fino a produrre un complesso di significati di varia ispirazione e natura.
Notiamo che ai simboli connessi ai giorni, vale a dire ai tempi brevi, si aggiungono quelli che le religioni hanno ideato
per connotare i tempi lunghi.

 7.3 Modernità e tempo- misura.


L’insieme dei simboli premoderni rispecchia significati essenzialmente spirituali. Possiamo chiederci quali simboli
moderni si associno a quelli premoderni e a quali significati essi conducano.
A tal proposito torniamo a fare riferimento al Royal Greenwich Observatory, il tempio dei simboli creato dalla
modernità. Dalle terrazze dell’osservatorio possiamo scorgere il Cutty Sark. Restaurato e trasformato in un museo
galleggiante, questo clipper che a metà dell’800 batté tutti i record di velocità sulle rotte di Capo Horn, reca i segni di
un modo nuovo di vivere il tempo. In questa testimonianza della storia della navigazione tutto parla di un tempo
posto in relazione alla distanza, un tempo misurato in rapporto allo spazio percorso.
Sull’Osservatorio sono esposti i cronometri di Harrison, simboli del tempo rappresentato come istante perchè
rapportato alla posizione del punto considerato rispetto alla superficie terrestre in un dato momento. Il significato
celebra la capacità della scienza di determinare una relazione istantanea tra tempo e spazio. Qui il tempo è
considerato come flusso ed è relativizzato mettendolo in rapporto al movimento nello spazio, approdando all’idea di
“tempo di percorrenza”. Il significato cui si attinge consiste nel celebrare la capacità umana di intervenire sul
rapporto “spazio/tempo” comprimendo il tempo rispetto allo spazio attraverso un aumento della velocità. Nella
rappresentazione premoderna il tempo appariva come ritmo, era un segno che si collegava all’idea di ciclo: la realtà
che percorre un itinerario circolare, con periodi costanti; la distanza era rappresentata in termini itinerari.
Ora la modernità esalta la rappresentazione del rapporto spazio/tempo. Verso la metà dell’800 al calendario si
affianca l’orario; all’almanacco si affianca l’agenda. Il prodotto è una visione faustiana della vita e del mondo: quanto
più velocità cresce e la compressione del tempo nello spazio aumenta, tanto più si dilata il nostro spazio esistenziale,
consentendoci di vivere di più nello stesso spazio di tempo oggettivo.
Che la compressione del tempo nello spazio costituisca una delle maggiori espressioni della modernità è attestato da
una vasta quantità di segni. Li troviamo impressi ad es. nel disegno della città moderna, soprattutto nel disegno che,
sull’onda della scuola di architettura di Chicago di cui fu protagonista Frank Lloyd Wright, si è dapprima diffuso negli
USA e poi ha esercitato influenze nel resto del mondo, dall’Europa Occidentale alle regioni in via di sviluppo.
La compressione del tempo nello spazio è stata prodotta combinando la pianta ortogonale, impostata su assi stradali
con grande capacità di traffico e sulla verticalizzazione degli edifici. La pianta ortogonale moderna ha generato
compressione perché ha dato modo ai mezzi su gomma e su rotaia di percorrere lunghe distanze in tempi brevi
all’interno di agglomerati urbani in continua espansione. L’avvento dei grattacieli ha generato un’altra forma di
compressione moltiplicando strutture uguali, quali sono i piani di questi edifici. Raramente strutture modulari hanno
esercitato maggiore influenza sul paesaggio urbano. Raramente strutture modulari hanno esercitato maggiore
influenza sul paesaggio urbano.
Figura pag. 203: il grattacielo Tribune Power di Chicago, alto 141m, costruito nel 1925 su progetto di Raymond Hood
e John M. Howells. Sullo sfondo il disegno planimetrico del centro della città che rispecchia il criterio urbanistico
della pianta ortogonale, adottato nell’800 per la ricostruzione della città distrutta da un enorme incendio.
In quell’entusiasmante passaggio dall’800 al ‘900, moltiplicare strutture uguali, quali erano i moduli del grattacielo e i
block disegnati da reticoli di strade a scacchiera accresceva l’efficienza cioè, produceva un incremento di
produttività: a parità di spazio occupato, lungo le 2 coordinate si potevano ottenere più prodotti, costituiti da merci e
persone trasportate, beni commercianti, documenti smistati. Da quel momento la compressione del tempo sullo
spazio (simboleggiata dal disegno planimetrico della città e dal suo skyline) ha assunto ritmi galoppanti, al punto da
indurre Zevi a ritenere che un invariante fondamentale del linguaggio architettonico sia lo “spazio temporalizzato”.
L’idea di base, ossia moltiplicare strutture uguali, fu trasferita all’organizzazione della fabbrica dando luogo alla
catena di montaggio, che faceva della produttività fordista una delle più suggestive narrazioni della società moderna.
Da ciò lo sviluppo della società moderna sarebbe stato caratterizzato dall’accumulazione del capitale provocata da
questa compressione. Catena di montaggio, pianta razionalizzata e skyline formavano dunque un trittico di simboli
chiave della modernità.

 7.4 Scienza e senso comune


Secondo la rappresentazione di Einstein, tempo e spazio sono indicati come due realtà che si influenzano a vicenda:
lo spazio subisce deformazioni lungo una traiettoria temporale e viceversa, il tempo risulta deformato in rapporto
alla velocità di spostamento all’interno dello spazio. Lo spazio, inoltre, non è rappresentato come una realtà a sé
stante definibile in sé ma è colto in rapporto al contesto materiale cui appartiene. I corpi, per Einstein, non sono
nello spazio, ma hanno uno spazio. Questa impostazione conduce a rifiutare il modo euclideo di rappresentare lo
spazio, in base al quale questo è una realtà assoluta, che non varia per effetto della sua interazione con altri
elementi, incluso il tempo. Nel 1933 Eugene Minkowski, con il suo saggio Il tempo vissuto, propose di ragionare non
più in termini di geotopi (piccola unità spaziale geograficamente omogenea), intesi come luoghi situati su uno spazio
a tre dimensioni, bensì in termine di cronotopi intesi come luoghi situati in uno spazio a 4 dimensioni. Le nostre
visioni quotidiane della realtà non sono sensibili alla visione di Minkowski. I simboli di cui si ammanta la nostra vita,
da quelli costituiti dal disegno urbano e dalle forme architettoniche a quelli diffusi dai media, restano riferiti allo
spazio euclideo.
Lo scienziato moderno può aver trasceso Euclide, ma l’uomo moderno resta fedele e lo si può riscontrare nel modo
quotidiano di rappresentare e vedere la realtà fisica. La realtà è infatti ridotta a rapporti proporzionali tra gli oggetti,
riportando tutto in un semplice sistema di coordinate metriche, ed esaltando i contrasti tra corpi e non corpi, tra
prima e dopo, tra avanti e dietro. così facendo l’uomo moderno non si chiede neppure se possano esserci altri modi
di rappresentare lo spazio. Eppure, le culture premoderne ci hanno tramandato altri modi di concepire la
prospettiva: la prospettiva egizia, che tende a fornire il massimo delle informazioni; l'anti-prospettiva, in cui lo spazio
è rappresentato in senso opposto alla visione oculare; la prospettiva circolare, in modo da fornire una visione globale
e dinamica della realtà.
 7.5 Luoghi e spazi: modernità e surmodernità.
La modernità ha dedicato al tempo molta più attenzione di quanto abbia fatto per lo spazio: dall'Illuminismo in poi il
tempo è stato messo in primo piano, divenendo il referenziale primario delle visioni del mondo, e lo spazio è stata
relegato nello sfondo.
Il pensiero su base storicista di cui si sono nutrite varie generazioni, ne è una testimonianza eloquente. Se adottiamo
un'impostazione diversa, in cui l'attenzione sia concentrata sullo spazio, e sui luoghi che ne costituiscono l'essenza
esistenziale, notiamo che, fino al ‘900 avanzato, la civiltà occidentale si è esibita nel rappresentare spazi reali,
concepiti in senso oggettivo. Descrivere luoghi e spazi come realtà esterne al soggetto era infatti connaturato al
modo razionalistico di rappresentare il mondo. La sola eccezione a questa tendenza è consistita nel costruire le
cosiddette "carte mentali", in cui la geografia e la psicologia sociale hanno cercato di indagare come luoghi e spazi
fossero percepiti dal soggetto. In una prospettiva geoculturale, siamo indotti a considerare altri tipi di spazio – spazi
sociali e spazi iperreali – e quindi a tratteggiare un quadro più articolato, che riguarda da vicino il modo con cui
costruire conoscenza.
Il primo concetto è quello di spazio ETEROTOPICO, proposto da Foucault= spazio reale, il quale si inserisce negli
interstizi degli spazi reali "ufficiali", differenziandosene perchè il suo senso sociale, i simboli da cui è connotato e i
significati che vi sono associati non corrispondono a quelli del contesto spaziale di appartenenza, cioè a quelli dello
spazio più grande in cui è immerso. Di conseguenza, sono spazi che il potere non ama mettere in evidenza nelle
rappresentazioni. Così concepite, le eterotopie sono presenti in tutte le culture, in tutti i gruppi umani, nonostante
che esse mutino passando da una comunità all'altra. Tipi diffusi di eterotopia (spazi composti da collezioni di siti con
funzioni e con connotazioni simboliche diverse da quelle proprie dello spazio in cui sono accolti. La loro funzione è
doppia: da un lato consiste nel creare uno spazio di illusioni, che rende ogni spazio reale, tutti i siti entro i quali è
situata la vita umana, ancor più illusori; dall’altro lato consiste nel creare uno spazio che è altro, un altro spazio reale,
così perfetto, meticoloso, così ben sistemato mentre i nostri spazi sono sporchi, mal costruiti e confusi. Questo tipo
di spazio sarebbe l’eterotopia non delle illusioni, ma delle compensazioni. Es. case, musei, biblioteche, prigioni. In
sostanza costituiscono una spazialità discontinua, ma reale, materiale e immateriale nello stesso tempo) sono
costituiti dagli spazi riservati come caserme e scuole militari, dagli spazi sacri come quelli delle comunità religiose,
dagli spazi proibiti come i conventi di clausura e dagli spazi per terapie speciali come le strutture psichiatriche. Le
eterotopie mutano funzioni e senso nel corso del tempo in rapporto al mutare delle relazioni con il contesto
culturale in cui sono sorte, e in relazione alla loro "sincronia" con la cultura che è stata la loro cellula di fecondazione.
L'accesso è regolato da vari meccanismi: la compulsione (prigione, caserma), il rito di purificazione (hammam
musulmana, sauna), e via dicendo. Le eterotopie, infine si rapportano agli spazi di contorno, esistono perchè
esistono altri spazi che li includono. Due caratteristiche le connotano profondamente:
1) sono ambiti che favoriscono visioni altre del mondo, come può accadere in un monastero o in una base militare,
quindi incoraggiamo l'immaginazione;
2) sono spazi meticolosi e ordinati, perfetti nella loro organizzazione, spesso più di quanto accada nello spazio
attorno. Oltre a essere diffuse ovunque, le eterotopie appartengono a vari contesti moderni e premoderni, sicchè
non possono essere considerati come un prodotto specifico della compressione del tempo generata dalla modernità.
Il loro interesse per la geo culturale è dovuto soltanto alla specificità dei simboli e dei significati da cui sono
contrassegnati.

Soja chiarisce il senso esistenziale dell'eterotopia mettendo in evidenza come questo tipo di spazio, reale, si distingua
dall'utopia (pensiero che consiste nell’ideare una realtà immaginaria), che è uno spazio iperreale. Se andiamo alla
ricerca di spazi con simboli e significati generati dall'accelerata compressione del tempo cui andiamo soggetti
oggigiorno ci imbattiamo nei NONLUOGHI. Per Augè sono il risultato della differenziazione di simboli cui vanno
soggetti spazi e luoghi urbani per effetto di tre forme di eccesso:
– eccesso di tempo, dovuto ai fenomeni di accelerazione da cui è coinvolta la vita sociale;
– eccesso di spazio, generato dal fatto che vediamo gli spazi "aprirsi" per effetto della creazione di siti del tutto
particolari, come aeroporti, mall, esposizioni,...;
– eccesso di individualità e di auto-affermazione, che caratterizza l'uomo del nostro tempo.

Le tre forme di eccesso convergono nel creare un allungamento del tempo, un tempo che non è più sequenza, non
possiede più un "dopo" che dipende dal "prima", ma è esperienza esistenziale, compiuta qui e ora, per effetto della
suggestione generata dai luoghi che si aprono innanzi a noi in conseguenza dell'eccesso di spazio e che, per questo,
costituiscono appunto dei non-luoghi.
Per Augè questa condizione costituisce la SURMODERNITA'.
La natura del non-luogo può essere compresa meglio osservando come si distingua da quella del luogo, o da ciò che
Augè chiama "luogo antropologico". La differenza è dovuta a 3 proprietà antitetiche:
 il luogo è identitario, perché offre un insieme ben definito di possibilità, prescrizioni e interdetti il cui
contenuto è al tempo stesso sociale e spaziale, es. la casa, dove ogni cosa ha una funzione in rapporto a
coloro che vi risiedono;
 il luogo è relazionale, perché gli oggetti che contiene sono legati da relazioni specifiche, come appunto sono
gli oggetti di una casa;
 il luogo è storico, coloro che vivono possono riconoscervi dei riferimenti che non possono essere oggetto di
conoscenza; il luogo antropologico, per essi, è storico nella esatta misura in cui sfugge alla storia come
"scienza".
Per effetto di queste proprietà, il luogo possiede una ben precisa "configurazione geometrica"; il non-luogo, al
contrario, è non identitario, non relazione, non storico; prodotto dalla sovrabbondanza di tempo, esso è legato al
viaggio, al trasporto, al movimento.
I non-luoghi sono tanto le installazioni necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (strade a
scorrimento veloce, svincoli, aeroporti) quanto i mezzi di trasporto stessi o i grandi centri commerciali o, ancora, i
campi profughi dove sono parcheggiati i rifugiati del pianeta.
Es. aeroporto di Gatwick, caratteristico nonluogo, attraente con i suoi centri commerciali e le sue confortevoli sale
business. È un sito che oltre a essere non identitario, non relazionale e non storico non possiede neppure un proprio,
consolidato, corredo simbolico, ma piuttosto un complesso effimero e volatile di simboli. In ciò contrasta con i
simboli, consolidati, non effimeri e non volatili che connotano la casa in cui viviamo e l'ufficio in cui lavoriamo:
simboli che ci parlano di esperienze più o meno intense, collocate in un tempo storico e ben spazializzate.
I luoghi e i non luoghi non esistono però come forma pura, sono piuttosto delle polarità sfuggenti: il primo non è mai
completamente cancellato e il secondo non si compie mai totalmente. Tuttavia, i non-luoghi rappresentano l'epoca,
ne danno una misura quantificabile ricavata addizionando le vie aeree, ferroviarie, autostradali, i mezzi di trasporto,
gli aeroporti, le stazioni ferroviarie, le catene alberghiere, le strutture per il tempo libero, i grandi spazi commerciali e
la complessa massa di reti cablate o senza fili che mobilitano lo spazio extraterrestre ai fini di una comunicazione così
peculiare che spesso mette l’individuo in contatto solo con un’altra immagine di sé stesso.

 7.6 Iperluoghi e iperspazi: postmodernità.


I simboli della modernità, ivi compresi quelli insiti nei non-luoghi definiti da Augè, non sono costruiti per proiettare
l'immaginazione in luoghi e spazi iperreali. Se però ci imbattiamo in simboli che ci conducono verso luoghi che non
appartengono alla realtà oggettiva, cioè verso luoghi disegnati esercitando liberamente la nostra immaginazione,
allora possiamo dire di trovarci in una condizione differente da quella moderna. Definiamo questa condizione come
"postmoderna". Ne consegue che, dal punto di vista culturale, l'allontanamento dalla modernità e l'inoltro lungo
itinerari di postmodernità ha luogo quando sono partoriti simboli che generano luoghi e spazi iperreali, nei quali
possiamo costruire in libertà, lontani da esercizi razionalisti, le nostre visioni del presente e del futuro. E, così
facendo, possiamo costruire significati e narrazioni diversi da quelli imposti dai meccanismi di rappresentazione della
modernità, che sono spesso anche meccanismi di produzione di potere. La caratteristica più importante dei simboli
che ci conducono in spazi iperreali consiste, insomma, nel fatto che essi non instaurano un rapporto univoco con il
significato ma instaurano con il significato un rapporto plurivoco, ambiguo: a uno stesso simbolo possono
corrispondere più significati, costruiti liberamente dal soggetto, in rapporto alla sua creatività e alla sua
immaginazione. Per rifarci a Berdoulay, possiamo dire che in queste condizioni emerge un discorso-creazione che si
contrappone al discorso-prigione, generato dal rapporto univoco tra simbolo e significato, proprio della modernità.
La postmodernità si afferma se e in quanto dà luogo a un rapporto non deterministico.
Ad es. il paesaggio urbano è costituito in prevalenza da segni di modernità. Tutta l'architettura e l'urbanistica
razionalistica, ispirate alle teorie di Le Corbusier e dei Congrès Internationaux d'Architecture Moderne, presentano
segni dai significati univoci, che conducono all'idea di ordine, sviluppo, progresso. L'architettura postmodernista è
costituita da segni architettonici e disegni urbani che conducono verso pluralità di significati, vale a dire da simboli
che incoraggiano l'immaginazione e sono riluttanti dal parlare alla ragione. Questi luoghi, non reali, cui si approda
attraverso una simbologia plurivoca, possono essere denominati iperluoghi, così come gli spazi in cui si approda nello
stesso modo possono essere denominati iperspazi.
Un es. di connotazione simbolica che conduce a iperluoghi può essere trovato nel Bonaventura Hotel di Los Angeles
(Figura pag.211), di John Portman 1977, cui Jameson attribuisce rilevanza per comprendere il rapporto tra segno e
significato nell'architettura postmodernista.
La struttura appare come un’imponente massa, costituita da 4 torri circolari simmetriche, immerse nell’abitato della
metropoli, a ridosso di una piccola collina. Dalle forme esterne agli interni, tutto fa pensare a un manufatto che si
contrappone ai segni rigorosi e razionali del disegno urbano circostante, e che fa abbondante uso di segni che si
richiamano a caratteri popolari. Propone un'articolazione di simboli che conducono a significati e discorsi diversi da
quelli della modernità.
Essendo stato costruito con muri perimetrali riflettenti, visto dal di fuori il complesso appare impenetrabile, come un
mondo a sè stante, distinto e separato dalla città, di cui fornisce una gigantesca rappresentazione grazie alle pareti
riflettenti. Siccome le superfici perimetrali sono arcuate, la città appare deformata, mostrando aspetti grotteschi,
quasi a far intendere che esistano realtà altre rispetto a quelle esibite attraverso il disegno euclideo della città, e
significati "altri" rispetto a quelli cui conduce il Razionalismo urbano, di cui il disegno euclideo è l'espressione
fondamentale.
L'accesso all'albergo costituisce un altro elemento di differenziazione rispetto al linguaggio architettonico della
modernità. È costituito da 3 entrate di cui 2 sono sopraelevate rispetto al piano terra, dove è situato l’atrio con la
registration desk. Una di queste è situata lateralmente e l’altra posteriormente, entrambe non hanno forme
suntuose, al punto che sembrano entrate di servizio e immettono al 6° piano, da dove parte una rampa che conduce
all’ascensore, con il quale si può pervenire al piano terra.
La terza entrata, la Figueroa, è al piano terra, in posizione frontale rispetto al complesso e immette in uno spazio
commerciale, dal quale si raggiunge la registration desk tramite un ascensore.
Questa configurazione degli accessi, che no ha niente in comune con quella dei tradizionali accessi agli alberghi, è
stata ideata per costituire un nuovo spazio totale, un mondo a sé, una specie di città in miniatura. A questo spazio
corrisponde una nuova pratica sociale, un nuovo modo in cui le persone si muovano e si raccolgano, qualcosa come
un nuovo modo di ammassarsi.
Andando all’interno, si incontra la prima sorpresa. Ascensori e scale mobili sono costituiti da sculture che si
muovono. Il tradizionale spazio per la passeggiata è sommesso, pieno di simboli, relificato e sostituito da una
macchina da trasporto che diventa l’allegorico significante di quelle passeggiate che fino a poco prima eravamo
abituati a fare.
La seconda sorpresa ci attende muovendoci verso le aree basse. Ascensori e scale mobili conducono a un atrio a
piano terra, al centro del quale si erge una massiccia colonna circondata da un lago in miniatura. Su questo spazio si
affacciano le 4 torri, simmetriche. Nella loro parte alta, al 6° piano, sono ornate da terrazze ricche di addobbi floreali,
che formano un’ampia balconata, affacciata sull’atrio, il complesso dell’atrio, con le torri e le balconate, elimina il
senso del volume, perché non si riesce più a misurare, a valutare le dimensioni e l'estensione spaziale di ciò che sta
attorno.
Questo hotel crea un luogo ricco di stimoli narrativi e ci induce a immaginare culture diverse da quelle presenti di
fuori, nell'ambito urbano e a isolarci dal mondo circostante. I simboli ci conducono verso iperluoghi.
La natura di portale per la creazione di iperluoghi e iperspazi è realizzata attraverso la presentazione di una pluralità
di simboli di natura diversa, che formano veri e propri collage, i quali rimandano istantaneamente a contesti
differenti, creano differenti suggestioni.
In primo piano c’è il rapporto tra spazio e tempo: si crea un effetto simultaneo sovrapponendo effetti di diversi tempi
e spazi. In questo modo l'effimero e il transitorio diventano l'ambito caratteristico per la produzione di simboli. In
questi luoghi, che sono portali per le nostre immaginazioni, la realtà è volatile, poiché produce esperienze ben
circoscritte nel tempo e destinate a non lasciare traccia.
Il Bonaventura hotel è un mondo di simulacra = il simulacrum è un velo che riproducendo le immagini delle cose
determina le percezioni e i sogni; i simulacra costituiscono riproduzioni della realtà che vivono nel mondo
dell'immaginario facendo approdare a iperluoghi e iperspazi.

 7.7 Un campo aperto.


Per circa due secoli, la cultura occidentale ha creato conoscenza al tempo il primato per la descrizione della realtà,
per la costruzione di simboli, per l’enunciazione di significati e la creazione di narrazioni. Ha relegato lo spazio nel
sottofondo, considerandolo come una componente secondaria della realtà. Le ideologie maturate nel corso di
quest’epoca hanno avuto una base storicistica, nella quale gli avvenimenti del passato sono stati ordinati per creare
narrazioni del futuro. E il passato è stato usato per prefigurare e spiegare il futuro. Nell’ultimo scorcio del 900
l’attenzione si è spostata sullo spazio, che ha finito per rientrare nelle teorizzazioni di varie scienze sociali. Questo
spostamento di interesse nel tempo allo spazio non ha fatto venir meno la rilevanza del rapporto tra tempo e spazio,
ma semmai ha reso il problema più articolato. Da un lato, la compressione del tempo nello spazio ha trasformato
continuamente le forme di divisione del lavoro e le manifestazioni del potere. Dall’altro lato ha generato nuove
condizioni esistenziali, da cui sono venuti alla ribalta nuovi modi di rappresentare luoghi e spazi. La geografia
culturale si trova impegnata a identificare e indagare i simboli che il dittico spazio- tempo sta generando e a
esplorare l’universo dei significati cui esso conduce, con l’obiettivo finale di scoprirne le influenze esercitate sulle
condizioni esistenziali.
Schema pag. 215: quadro dei tipi di luogo considerati in geografia culturale.
Realtà Realtà Immaginazione Immaginazione
Fisica Virtuale Luogo dell’utopia Iperluogo
A tre e quattro dimensioni
Luogo (topos) e cronotopo
(Minkoswki)
Eterotopia e crono-
eterotopia (Foucault)
Nonluogo (Augé)

Capitolo 8. Cultura e paesaggio.


 8.1 Un problema centrale.
Le nostre condizioni esistenziali dipendono dalle relazioni che intratteniamo con la natura, con la società e con la
trascendenza: 3 coordinate lungo le quali costruiamo la nostra imago mundi, che è in fondo l'immagine del nostro
essere-nel-mondo. Queste relazioni sono espresse da simboli dai quali ricaviamo significati nel senso più ampio del
termine, dalle teorie alle ideologie, dalle credenze alle narrazioni. La geografia culturale ci conduce a considerare le 3
coordinate, natura società trascendenza, mettendo a fuoco il rapporto con cui il simbolo si dispone nei riguardi del
luogo e, così facendo, reca un contributo fondamentale alla rappresentazione geografica dei luoghi.
L'identificazione dei simboli, che caratterizzano i singoli luoghi, costituisce una tappa preliminare rispetto alla
rappresentazione geosimbolica degli spazi. Il discorso geoculturale, dunque, muove dai luoghi e approda agli spazi e,
arrivato a questo punto, deve affrontare alcune questioni che riguardano il modo con cui il manto simbolico degli
spazi possa essere rappresentato, e come da questo si possa approdare all'identificazione di significati. Gli spazi
contraddistinti da un certo manto simbolico e da un corredo di significati costituiscono aggregati territoriali della
cultura. Tra gli aggregati che rientrano nel campo di interesse della geo culturale vi sono, prima di tutto, il genere di
vita, la regione e il paesaggio, cui si aggiungono altri 2 aggregati territoriali, etnia e civiltà.
Il paesaggio riscuote l'interesse di gran lunga più ampio e motivato, al punto che per un nutrito numero di geografi la
geografia culturale si identifica con la geo del paesaggio.
Già nell'800 emersero interessi geografici per gli aspetti culturali del territorio, è stato osservato come il paesaggio
costituisca una sorta di santuario all'interno del quale questi interessi sono maturati e si sono sviluppati. La
sensazione può essere confermata quando si tenga conto che fu proprio Humboldt a suscitare l'interesse geografico
sul paesaggio con un'operazione di transfert intellettuale, mediante la quale accolse l'idea di paesaggio presente nel
linguaggio comune e l'ammantò di senso scientifico. Andreotti sottolinea come Humboldt sia riuscito nell'impresa
non già contestano l'idea di passaggio coltivata nel senso comune, ma rifacendosi piuttosto ai concetti estetici di
paesaggio di cui facevano sfoggio la letteratura e le arti figurative del tempo e convertendoli in un tema di indagine
geografica. Da quel momento nella storia del pensiero geografico si è snodata una sequenza di concetti molto vari
tra loro ma tutti soggetti a 2 limiti:
 i geografi, soprattutto tedeschi e francesi, hanno eletto il paesaggio ad argomento centrale della geo senza
intavolare una discussione concettuale abbastanza intensa e fruttuosa da condurre a disegni teoretici ben
strutturati;
 la terminologia impiegata nei vari ambiti scientifici ha contribuito a complicare il quadro.

In Germania è stato usato il termine di LANDSCHAFT, composto di LAND (terra), che ci conduce all'idea di una
porzione del territorio, e del suffisso SHAFT, che indica ciò che è legato insieme, un'appartenenza d'assieme e quindi
indica l'essenziale collegamento delle cose.
Bonnemaison nota che il termine LANDSCHAFT va riferito non tanto al paesaggio quanto a ciò che noi intendiamo
usualmente per regione e così facendo mette a nudo una non trascurabile ambiguità di fondo.
Hartshorne aveva rilevato che il termine indica sia un tratto della superficie terrestre, sia il frutto della percezione di
quel tratto. È in rapporto al primo significato, cioè di tratto della superficie terrestre, che LANDSCHAFT diventa la
base, sempre secondo Hartshorne per la costruzione di una teoria sistematica della regione. A conclusione di una
serrata analisi dei modi con cui è stato presentato il concetto di paesaggio dalle varie prospettive, Olwig conclude
che i suoi contenuti sono essenzialmente culturali. Se passiamo agli idiomi di origine latina notiamo che il francese
paysage, così come l'italiano paesaggio, hanno origine in pagense, aggettivo di pagus = villaggio, che aveva il
significato di "cippo di confine fissato in terra". Questa etimologia sembra condurci al paesaggio inteso nel senso
comune, che nei dizionari viene descritto come una "porzione di territorio considerata dal punto di vista prospettico
o descrittivo, per lo più con un senso affettivo cui può più o meno associarsi anche un'esigenza di ordine artistico o
estetico".
Questa variopinta tavolozza di termini non deve renderci diffidenti nei confronti delle teorizzazioni sul paesaggio: da
un lato, costituisce un fattore di disturbo per la sistemazione della materia, ma dall'altro alto, proprio grazie alle
ambiguità connesse alla terminologia, cioè ai segni attraverso cui costruiamo i nostri discorsi, il tema costituisce un
terreno fecondo per le rappresentazioni del territorio.
Schema pag.220: relazioni tra Landschaft e paesaggio (pagus).
Landschaft Paesaggio (pagus)
Territorio strutturato
Regione
Paesaggio Territorio visto da una speciale prospettiva,
essenzialmente artistico-estetica

 8.2 Prospettive a confronto


Secondo l'impostazione più o meno ispirata allo Strutturalismo, il paesaggio è preso in esame assumendo la natura
come base di partenza e considerandola in rapporto alle condizioni geologiche, geomorfologiche, climatologiche,
idrografiche e alla vegetazione. La descrizione è metodologicamente in tutto simile a quella che, nella letteratura del
‘900, si incontrava nelle monografie regionali, cioè nella descrizione di porzioni di territorio. Subito dopo l'attenzione
si sposta sulla presenza umana, che è considerata soprattutto in termini di uso del suolo e di insediamenti, magari
con qualche occasionale attenzione per gli aspetti visuali ed estetici.
Schema pag. 223: rappresentazioni del paesaggio a confronto.
Prospettiva strutturalista Prospettiva semiotica
Impostazioni di base
Realtà, oggetto, spiegazione, contesto, determinazione, Esistenza, segno, discorso, testo, indeterminazione,
univocità, equilibrio, ordine, etica plurivocità, squilibrio, caos, estetica
Referenti della rappresentazione
Cartografia, testi scientifici, dati qualitativi Cartografia e arti figurative, testi scientifici e letterari,
dati essenzialmente non qualitativi, architettura,
religione e musica
Piani speculativi di riferimento
Ontologia Semiologia e ermeneutica
Discipline di riferimento
Geografia, antropologia culturale Geografia, semiotica, filosofia, arti figurative
Uomo- natura
Ambiente fisico, dominio sulla natura, valori estetici Tessitura simbolica, armonia con la natura, valori
connaturati agli oggetti, aspetti visuali emarginati, estetici connaturati ai simboli, aspetti visuali privilegiati,
skyline non considerato, usi del suolo, colori poco skyline considerato, simboli degli usi del suolo, colori
considerati, suoni e dolori non considerati attentamente considerati, suoni e odori considerati
Uomo- società
Insediamenti, omogeneità culturale, memoria storica Simboli connaturati agli insediamenti, eterogeneità
emarginata culturale, memoria storica al centro
Spiritualità
Scarsa considerazione Attenta considerazione

L'impostazione su base semiotica si differenzia perchè pone nel sottofondo la descrizione degli elementi e delle
condizioni materiali e concentra l'attenzione sui simboli connaturati agli insediamenti e alle forme di uso del suolo
cercando di cogliere i significati (valori, credenze, ideologie) cui essi conducono. Nel far ciò si sforza di distinguere i
significati che appartengono alla cultura premoderna (armonia dell'uomo con la natura), moderna (assoggettamento
della natura da parte dell'uomo) e tardo-moderna (uso della natura secondo criteri di sviluppo sostenibile). Il campo
tematico si amplia notevolmente rispetto a quello convenzionale perchè si dà spazio ai valori estetici, al gusto, ai
colori, ai suoni, agli odori, e così via.
A ciò si aggiunga che l'impostazione convenzionale non lascia posto per i valori spirituali connessi ai luoghi mentre
l'impostazione alternativa dedica loro comprensibile attenzione. Differenze di fondo -> la rappresentazione
convenzionale si basa sulla fisionomia materiale della realtà e approda a una conoscenza oggettivistica del paesaggio
(forme del territorio) mentre la rappresentazione alternativa, pur non trascurando le forme, descrive tessiture di
simboli e significati e, così facendo, parte dal soggetto e dà del rapporto tra soggetto e realtà la fonte delle
rappresentazioni. Data la sua base essenzialmente strutturalista, la rappresentazione convenzionale tende a spiegare
il paesaggio individuando rapporti di causalità tra gli elementi e descrivendo le forme che ne derivano: in ultima
analisi, attraverso la rappresentazione del paesaggio si propone di scoprire un ordine sulla superficie terrestre. Così
facendo postula che vi sia un rapporto univoco tra i segni del paesaggio e i significati cui si approda. Ne consegue un
discorso-prigione e una retorica dura, mirata a dimostrare che il paesaggio è la manifestazione morfologica
dell'equilibrio tra uomo e natura. La rappresentazione su base semiotica cerca invece di comprendere il paesaggio,
prescinde dalla ricerca di nessi di causalità tra gli elementi, individua simboli e ipotizza relazioni ambigue tra questi e
i significati. Non postula che il paesaggio mostri forme di equilibrio tra uomo e natura e che sia governato da un
ordine, anzi assume un atteggiamento critico nei riguardi di questa impostazione. Da qui emerge un discorso-
creazione, associato a una retorica morbida. La rappresentazione convenzionale offre il meglio di sè quando
considera spazi con l'obiettivo di cogliere le conseguenze dei processi fisici e le manifestazioni d'assieme della
presenza umana. Nella rappresentazione semiotica in primo piano c'è invece il luogo, sicchè il paesaggio è
rappresentato come un complesso di luoghi, ognuno dei quali contraddistinto da propri simboli, i quali nel
complesso formano un unicum, con una propria individualità e una ben identificata personalità geografica.

 8.3 Paesaggio, finestra emozionale


L'impostazione convenzionale può contenere qualche spunto relativo alla bellezza del paesaggio e qualche
valutazione sulla fisionomia estetica del territorio, tutti aspetti che mettono in campo il soggetto rappresentante, ma
non v'è dubbio che il paesaggio sia essenzialmente assunto come una realtà esterna al soggetto, una realtà che
esiste di per sè, ha caratteristiche obiettivamente identificabili ed è formata da elementi, naturali e umani, tra loro
interconnessi.
Al contrario, ove il paesaggio sia concepito come un manto di simboli attribuiti ai luoghi, la rappresentazione fa uno
stretto riferimento al soggetto, che viene posto al centro dell'interesse. È, infatti il soggetto che identifica i simboli e
attribuisce loro significati e, così facendo, disegna il panorama dei valori del paesaggio.
Per rifarci a Heidegger in "Esistenza, spazio e architettura" possiamo dire che in questa prospettiva il paesaggio
costituisce la rappresentazione dello spazio esistenziale dell'individuo in cui i luoghi (naturali o costruiti) si
ammantano di valori, ci presentano narrazioni e ci aprono finestre emotive attraverso le quali costruiamo visioni del
mondo.
Il paesaggio diventa così una sorta di portale che, per il tramite dei simboli, ci trasferisce da uno spazio-oggetto,
ontologicamente inteso, a spazi iperreali, costruiti con la nostra immaginazione.

Quale natura possiede il rapporto tra oggetto e oggetto nella rappresentazione del paesaggio?
Andreotti parla di rapporto reattivo. Il paesaggio contiene un complesso di stimoli, prodotti dai simboli generati dalla
cultura che si è sedimentata nei luoghi. Questi stimoli, indirizzati verso il soggetto, ne provocano una reazione, che si
esprime attraverso la percezione e la rappresentazione del paesaggio. Ogni persona avvertità determinati input, che
provocheranno determinate reazioni e la condurranno a costruire immagini nelle quali si riflette il rapporto tra le
proprie condizioni esistenziali e il complesso dei simboli individuati nel paesaggio. E alcune persone, dotate di
speciale capacità reattiva, come accade nelle arti figurative, manifesteranno la loro emozione attraverso un prodotto
artistico. Ciò spiega perchè uno stesso luogo infonda paesaggi diversi in rapporto alle persone: paesaggi
rappresentati banalmente da coloro che hanno manifestazioni re-attive deboli o addirittura refrattarei al corredo
simbolico custodito nei luoghi, e paesaggi rappresentati in modo affascinante, persino sublime, da coloro che hanno
manifestazioni fortemente re-attive. L'impulso prodotto dal corredo simbolico dei luoghi può essere ricondotto
appunto all'emozione. Per lungo tempo si è pensato che l'emozione non sia un'espressione elevata dall'intelligenza
umana ma piuttosto una condizione psicologica che non ha niente a che fare con il giudizio analitico. Secondo il
razionalista, infatti l'emozione conduce alla comprensione del poeta e del pittore, ma non alla spiegazione dello
scienziato. Le speculazioni sono mutate in tempi recenti grazie all'emergere di indirizzi che rivalutano l'emozione,
attribuendole una funzione rilevante sia nella produzione di conoscenza sia nella creazione di cultura. Si fa strada
l'asserto che, se si prescinde dall'esperienza emotiva – intesa come una reazione complessiva dell'uomo alle
situazioni in cui viene a trovarsi – non sarebbe possibile comprendere le condizioni esistenziali dell'uomo, la sua
stessa natura.
Emozione e ragione collaborano, sono espressione della varietà di reazioni di cui il soggetto è protagonista nel porsi
di fronte alla realtà e nel costruirne rappresentazioni. Si parla di "intelligenza emotiva".
Si può convenire che il paesaggio sia una realtà compresa e costruita emotivamente, sicchè la sua rappresentazione
sviluppa ed esalta la comprensione del mondo e conduce all'identificazione di valori, soprattutto di significati
spirituali ed estetici, attraverso i quali si realizza la nostra esperienza. Il paesaggio crea dunque una finestra emotiva
attraverso la quale le capacità intellettive possono inoltrarsi lungo sentieri di comprensione creativa. Da qui
consegue che, ove il paesaggio sia considerato come un complesso di simboli, occorre concentrare l'attenzione sulla
reazione emotiva che suscita nel soggetto e sulle rappresentazioni che il soggetto costruisce.

 8.4 Paesaggio e simbolo


La funzione essenziale dell'emozione consiste dunque nel farci percepire, individuare e rappresentare i simboli da cui
il paesaggio è contraddistinto e, su questa base, nell'approdare ai significati. Si ritorna dunque al cuore del tema: la
dimensione simbolica del paesaggio.
A questo risultato i geografi sono pervenuti seguendo una lunga strada. Nella geo tedesca si potrebbero individuare
intuizioni già nell'800. Per quanto riguarda la geo italiana, già a metà 900, Toschi aveva avvertito la necessità di
attribuire rilevanza non soltanto allo spazio geografico in sé, ma anche all'atteggiamento psicologico del soggetto nei
riguardi della realtà territoriale.
Brunet, geografo francese, cercò di dimostrare (articoli 1974) come i segni custoditi nel paesaggio possano diventare
un oggetto di conoscenza all'interno della geo della percezione, che studia il modo con cui il territorio è percepito dal
soggetto e rappresentato nelle "carte mentali" che il soggetto elabora reagendo agli stimoli provenienti dalla realtà
esterna. Egli si pose anche il problema del rapporto tra segno e significato, asserendo che i significati possono essere
vaghi mutevoli nel corso del tempo e tra loro variamente collegati. Sostenne anche che i segni del paesaggio non
formano un sistema, vale a dire che non sono necessariamente collegati tra loro in termini tali da costituire un
tutt'uno, ma danno piuttosto vita a un insieme non strutturato, donde è motivato manifestare diffidenza nei riguardi
della rappresentazione del territorio in chiave semiotica. Da quel momento la discussione sul modo con cui il
paesaggio si possa interpretare in chiave simbolica ha assunto crescente consistenza: (tutti anni '90)
 dal lavoro pioneristico di Cosgrove che pose basi concettuali e definì proteste metodologiche;
 dal contributo di Piveteau che sosteneva come l'identità culturale dei luoghi sia generata ed espressa da
simboli;
 fino alla proposta Turri circa il paesaggio inteso come teatro;
 per finire ai contributi sistematici di Dematteis, Turco, Zerbi e Andreotti. In tempi recenti si è anche
intensificata la sperimentazione di metodi finalizzati all'identificazione dei simboli che connotano i luoghi e
alla loro rappresentazione.
La letteratura che si è andata formando sull'argomento mostra anche come l'interpretazione simbolica del paesaggio
sia considerata utile soprattutto per rappresentare e interpretare i paesaggi urbani, che invece sono stati piuttosto
trascurati dagli studi convenzionali sul paesaggio. Le città costituiscono, infatti, spazi ricchi di simboli che conducono
a significati di vario genere, da quelli del rapporto tra esistenza e società a quelli dei rapporti tra esistenza e
trascendente. In questo caso i monumenti appaiono come un tema molto fertile.
(Immagine Pag. 229: il Vittoriano, elemento ad elevata valenza simbolica del paesaggio di Roma)
Es. il Vittoriano è un segno che conduce al significato di italianità e grazie a questa sua connotazione appare come un
monumento della memoria che richiama l'ideologia dell'identità nazionale. Il suo disegno, impostato sulla figura
dell'altare e il simbolo del milite ignoto, non ha però soltanto un valore celebrativo dei caduti per la patria, ma
costituisce anche un motivo di rappresentazione del corpo umano e della sua funzione performativa all'interno della
città. L’esame del monumento offre l’opportunità di incorporare il significato delle spazialità fisiche, corporee,
nell’interpretazione dei significati del contesto urbano e dei paesaggi monumentali.
Il paesaggio diventa arena utile per ragionare sia sul rapporto che lega il simbolo con il referente sia sul rapporto che
lo collega al significato.
Il primo rapporto, tra simbolo e referente, ha un forte contenuto metaforico, per il fatto che il simbolo è qualcosa
che sta al posto di qualcos’altro. La metafora è fondamentale per cogliere la poetica del paesaggio. Per essere fonte
di metafore, il paesaggio alimenta la conoscenza delle condizioni esistenziali e, per dirla con Vico, ci conduce a
universalità fantastiche da utilizzare come modelli di comprensione di ciò che ci sta attorno.
Per quanto riguarda il paesaggio la metafora dà vita a un procedimento discorsivo assolutamente fondamentale per
la creazione scientifica in generale e in modo particolare per la geografia.
Il secondo rapporto, tra simbolo e significato, abbiamo constatato che considerando il paesaggio come un manto
simbolico della cultura disteso sul territorio, l’attenzione si concentra più sui luoghi, singoli punti in cui si annidano e
fioriscono i simboli, piuttosto che sugli spazi. Possiamo quindi chiederci se, per creare un paesaggio, sia necessario
che i simboli che connotano i luoghi inclusi in un determinato spazio siano connessi tra loro da reciproche influenze.
Brunet, per rispondere, afferma che i simboli non si dispongono in sistema e che questa circostanza costituisce un
limite notevole per rappresentare il paesaggio. Norberg-Schulz sostiene invece che, pur non costituendo un sistema,
i simboli dei luoghi possono comunque essere radunati dal soggetto e così facendo acquisire la veste di un oggetto
culturale. I simboli, radunati attraverso la rappresentazione che ne fa il soggetto diventano così la finestra attraverso
la quale si crea una visione d'assieme delle condizioni esistenziali. Sotto questo profilo, il paesaggio rivela per intero
la sua energia generatrice di emozioni e, attraverso queste, le sue capacità di farci approdare a una comprensione
che abbraccia il mondo di cui la nostra esistenza si sente parte.

 8.5 Paesaggio e genius loci.


Secondo Lehmann, un insieme di simboli dà vita a una struttura estetica interna, che costituisce l'elemento
dominante del paesaggio e ha carattere di totalità. La totalità estetica non è data da un insieme di forme, fisiche e
umane, tra loro interrelate bensì da un insieme di percezioni, immaginazioni, valori che danno vita a un'esperienza
esistenziale a sfondo eminentemente estetico riferita a un luogo o a uno spazio. La totalità non ha natura ontologica,
ma neppure si esaurisce in una "somma di reazioni psichiche ai processi sensoriali e fisiologici". Secondo Lehmann
percepiamo, infatti, inconsapevolmente una quantità di flussi e di impressioni che rimangono nascosti nei diversi
strati della nostra esperienza, senza connettersi in una unità registrata dalla coscienza. Quando invece appare il
paesaggio, ci rendiamo conto, al di là dei singoli fenomeni, di una unità ad essi sovraordinata: prendiamo coscienza
del paesaggio in quanto immagine dotata di valore, totalità significativa. Ciò che la costituisce è un atto creativo dello
spirito.
È più facile rappresentare il paesaggio come realtà oggettiva, come avviene nell’impostazione geografica
convenzionale a sfondo strutturalista, di quanto sia rappresentarlo come un manto di simboli. Nel primo caso si tiene
conto di oggetti naturali e umani e si cerca di ordinarli per rappresentarli in un tutto dotato di coesione interna. Nel
secondo caso, occorre risalire ai valori, ai significati profondi, cui conducono i simboli.
Questo insieme di simboli può essere concepito come un'apparenza visuale integrata. Integrazione deve consistere
nell’osservare il paesaggio, non con il distacco oggettivo, ma con la partecipazione di tutto il patrimonio culturale,
tenendo ben presente che per accostarsi a quel paesaggio è necessario un atteggiamento storico e spirituale che
riporti l’osservatore nel pathos temporale dal quale esso trasse origine e dal quale tramanda le emozioni.
Estetica e geografia si trovano unite nell'esaltare visioni spiritualiste, la cui ispirazione più genuina va ricercata nel
Romanticismo dell'800 e che oggigiorno attraggono rinnovato interesse grazie al diffondersi e all'affinarsi di
sensibilità verso la cultura.
Si può esprimere in modo suggestivo quella totalità la cui natura è culturale e spirituale, che cogliamo nel paesaggio
quando ci emozioniamo reagendo alla sua visione, attraverso il genius loci, genio del luogo (Schema pag. 232: ipotesi
di rappresentazione del paesaggio basata sul concetto di genius loci).
Simbolo: trascendenza
Genius loci rappresentazione del paesaggio
Simbolo: società Simbolo: natura
Genius loci è espressione derivata dall'antichità romana, un contesto culturale in cui si credeva che i singoli luoghi
fossero protetti da uno spirito. La credenza diede luogo a immagini piene di sentimento e di spiritualità, create e
celebrate dai più grandi poeti di quei tempi. Per questo motivo, l'espressione sembra adatta per esprimere le
peculiarità, la personalità stessa, del paesaggio. Il riconoscimento di uno specifico, individuale, carattere di un luogo
si attua in una segnatura, da parte della comunità che vi abita, “accordata” al suo “genius loci”. Il risultato di questa
interazione simbolica fra natura e uomo si dà a vedere come “paesaggio”, espressività peculiare di un luogo, il suo
“stile” inconfondibile e unitario portato a visibilità dalla persistenza, nell’incessante trasformazione, di determinati
tratti formali che ne tramandano la riconoscibilità e l’identità.

 8.6 Quale rappresentazione?


Ricercare l'identità del paesaggio, poeticamente espressa del genius loci, è suggestivo. È il campo ove la geo
manifesta tutta la sua capacità di creare nuove conoscenze e nuove rappresentazioni del mondo.
sorge una questione centrale: quale tipo di conoscenza produce la rappresentazione del paesaggio concepito come
un manto di simboli? Prima di tutto possiamo osservare che questo modo di intendere il paesaggio implica
l'abbandono dell'epistemologia razionalista, cioè del modo razionalista di costruire conoscenza, che sorregge il
mondo tradizionale. L’epistemologia razionalista è riconducibile ai 4 precetti cartesiani: evidenza, riduzione, causalità
ed esaustività.
Tabella pag. 233: 4 precetti cartesiani con caratteristiche che la descrizione del paesaggio assumerebbe attraverso la
loro applicazione.
Precetti cartesiani Conseguenze nella rappresentazione del paesaggio
Evidenza Del paesaggio sono rappresentati gli elementi materiali,
Ogni oggetto è vero solo se appare evidente come tale. visibili, che appaiono in chiara evidenza e che possano
Si deve accettare solo ciò che è chiaro e distinto nella essere oggetto di conoscenza oggettiva. Sono pertanto
mente. esclusi gli elementi non visibili, come manifestazioni
spirituali, che non si traducono in forme del territorio.
In tal modo si circoscrive l’area dei contenuti della
rappresentazione.
Riduzione Il paesaggio è scomposto nelle sue parti
Le difficoltà vanno scomposte in tante parti, affinché si (geomorfologia, idrografia, insediamenti, usi del
raggiunga più facilmente la soluzione del problema. suolo...) e ogni parte è rappresentata in sé, avendo cura
di non omettere niente.
Causalità La rappresentazione del paesaggio ha luogo muovendo
La conoscenza deve partire dagli oggetti più semplici e da componenti elementari e approdando a insiemi più
risalire ai più complicati, supponendo che vi sia un estesi. Gli elementi sono disposti in ordini tali da poter
ordine logico anche tra quelli che non si dispongono in mostrare i rapporti di causalità che li connettono, in tal
sequenze naturali. modo la rappresentazione mostra il paesaggio come
frutto di un percorso analitico.
Esaustività Alla fine, vi devono essere riepiloghi, in cui gli elementi
Bisogna sempre fare censimenti così completi e considerati nelle singole rappresentazioni sono
rassegne così generali da essere sicuri di non aver incorporati in rappresentazioni d’assieme.
tralasciato niente.

L'applicazione di questi principi conduce alla spiegazione del paesaggio, cioè all'interpretazione del paesaggio come
un insieme di oggetti connessi tra loro, legati da relazioni di causa ed effetto. Che cosa sarebbe escluso dalla
rappresentazione?
Per Andreotti il paesaggio può essere inteso in 3 modi:
1. Come "qualcosa di percettibile secondo la natura del soggetto che osserva";
2. Come "qualcosa in sé";
3. Come "qualcosa che possa essere soggettivo oggettivo insieme".
L'applicazione di impostazioni razionaliste ammette soltanto il secondo modo, vale a dire quello basato sulla
considerazione del paesaggio come realtà oggettiva, sganciata dal soggetto. Di paesaggio, infatti, non se ne parla
soltanto in senso analitico, "scientifico", ma anche secondo il senso comune, lo si percepisce nei prodotti letterari e
nella musica, lo si ammira nelle arti figurative.
L'impostazione razionalista con l'applicazione dei 4 precetti cartesiani ha dato luogo a una riduzione di modi di
rappresentazione, sia perché elimina il soggetto, sia perchè riduce il campo delle prospettive di cui tenere conto.
Per la geografia culturale esiste dunque una sfida, quella di considerare anche rappresentazioni non scientifiche.
Schema pag. 235: Epistemologia della rappresentazione del paesaggio su base razionalista.
Confronto tra la base razionalista (sinistra) e la base non razionalista (destra) della rappresentazione del paesaggio.
Evidenza Pertinenza
Riduzione Ragione spiegazione Emozione comprensione Olismo
Causalità Paesaggio Paesaggio- Teologia
Esaustività Oggetto vissuto Aggregatività

Olsson ha affrontato il problema in Mappa Mundi Universalis (2000), in cui è considerata una configurazione ternaria
della conoscenza, costituita da scienza, arte, religione, in base alla quale si perviene a considerare il paesaggio non
più come una questione di spiegazione, ma piuttosto come una questione di comprensione, che indica un "concetto
esistenziale" e va oltre la “mera sensazione immediata”. Attraverso la comprensione ci si rende conto che il
paesaggio non è solo un puro fluire di fenomeni e che la sua struttura incarna dei significati. Una fenomenologia dei
luoghi naturali dovrebbe partire dalle mitologie: non tanto come rievocazione, ma come ricerca delle categorie
complete di conoscenza che esse rappresentano.
Queste posizioni conducono a chiederci se sia possibile dar vita a un discorso sul paesaggio alternativo a quello
ispirato dal Razionalismo, ma dotato di un certo vigore persuasivo, l’obiettivo potrebbe essere raggiunto costruendo
una base epistemologica opposta.
Tabella Pag. 236: epistemologia della rappresentazione del paesaggio su base non razionalista.
Precetti Conseguenze nella rappresentazione del paesaggio
Pertinenza Del paesaggio sono rappresentati tutti gli elementi
Ogni oggetto è definibile solo in rapporto alle simbolici, pertinenti le relazioni esistenziali con la
intenzioni, esplicite o implicite, dell’osservatore. natura, la società e la trascendenza, avendo cura di
mettere in evidenza i simboli utili per l’identificazione di
significati chiave, essenziali per la comprensione.
Olismo Il paesaggio è considerato come un tutt’uno, dotato di
L’oggetto è considerato come una parte immersa in una un’identità culturale che d° vita al genius loci ed è visto
realtà più grande, è percepito globalmente e nelle sue in rapporto agli ambienti più vasti in cui si inserisce,
relazioni con il contesto in cui si inserisce. ambienti che formano il suo contesto.
Teologia Il paesaggio è considerato in termini di relazioni tra
L’oggetto è considerato in base al suo comportamento, simboli e significati. Nel far ciò si tiene presente che,
senza cercare di spiegare a priori il comportamento per per la sua ambiguità di fondo, uno stesso simbolo può
mezzo di leggi relative alla sua struttura. Il condurre a significati diversi, soprattutto nel corso del
comportamento è inteso in rapporto a progetti che tempo. Questa ambiguità è considerata fruttuosa agli
l’osservatore attribuisce all’oggetto. effetti della rappresentazione del paesaggio.
Aggregatività La rappresentazione del paesaggio non ha valore
Ogni rappresentazione della realtà è partigiana in sé, oggettivo, ed è esplicitamente enunciato il suo
non perché l’osservatore abbia omesso qualcosa, ma carattere soggettivo e partigiano.
perché lo è deliberatamente.

Dematteis ritiene che nella geografia del paesaggio si siano affermate 2 tendenze, che rispecchiano un'opzione di
fondo:
1. la prima consiste nel considerare il paesaggio come simbolo, vale a dire come un insieme di segni da
interpretare; il paesaggio è rappresentato in termini di comprensione e si ricorre a un'epistemologia non
razionalista;
2. la seconda considera il paesaggio come modello, vale a dire come "costruzione relazionale esplicativa di
realtà esterne"; in sostanza, il paesaggio è visto come un modello di "relazioni spazio-temporali", capace di
spiegare le forme sensibili di una data porzione di territorio, oppure anche i tipi di forme che si ripetono con
caratteri simili in aree diverse". Ne deriva un percorso logico nel quale il paesaggio è il punto di arrivo, un
percorso del tutto opposto a quello della tendenza a considerare il paesaggio come simbolo, nel cui contesto
viene assunto come base di partenza per scoprire significati.
Secondo Dematteis, ciascuna delle 2 tendenze ha generato una coppia di atteggiamenti (tabella pag.238: confronto
tra il paesaggio come simbolo e paesaggio come modello):
 La concezione del paesaggio come simbolo dà luogo a due comportamenti, che dipendono dalla rilevanza
attribuita al soggetto e quindi introducono nel campo della geografia a sfondo soggettivistico:
1) il primo consiste nel considerare il paesaggio come mera costruzione mentale, sicchè il soggetto diventa il
solo referente della rappresentazione (quadrante nord-est);
2) il soggetto continua ad avere una posizione centrale, ma assumono rilevanza anche le sue relazioni con
l'oggetto, vale a dire con la realtà fisica del territorio; di conseguenza la rappresentazione del paesaggio
diventa il discorso su queste relazioni (quadrante sud-est).
 La tendenza del paesaggio come modello genera due comportamenti, che dipendono dal peso conferito ai
contesti naturale e sociale:
1)se attribuiamo attenzione privilegiata alle condizioni fisiche, il paesaggio è rappresentato come un
geosistema, vale a dire come un sistema territoriale (quadrante sud-est);
2) se si attribuisce importanza privilegiata alle impronte che la comunità umana, in rapporto alla sua
organizzazione e alla sua dialettica interna, produce sul territorio, produce sul territorio, perveniamo a
considerare il paesaggio come un prodotto storico-sociale (quadrante nord-est).
La posizione del paesaggio come modello coincide con quella che è stata qualificata "convenzionale" mentre la
posizione del paesaggio come simbolo va nella direzione di quella qualificata "alternativa".

 8.7 Paesaggio, paesaggio culturale.


Se intendessimo il paesaggio come corredo di simboli che connotano i singoli luoghi e che rimandano a significati,
non avremmo bisogno di aggiungere l'aggettivo "culturale" al sostantivo "paesaggio". Il paesaggio, infatti, sarebbe
inteso come un prodotto culturale di per sé, come una realtà generata dal fatto che aspetti naturali del territorio
sono investiti da un'"onda di umanizzazione". Questa posizione non è però accolta dalla maggior parte dei geografi e
da coloro che aderiscono allo Strutturalismo, per cui la storia della geografia è contrassegnata dalla distinzione tra
"paesaggio culturale" e altri tipi di paesaggio: il primo concepito in termini, per così dire, post-strutturalisti, gli altri
concepiti in termini sostanzialmente strutturalisti.
La prima distinzione concettuale risale all'800, quando i geografi tedeschi hanno contrapposto NATURLANDSCHAFT a
KULTURLANDSCHAFT. Il significato di Land, che indica una porzione di territorio nella sua specificità, unito a quello di
schaft, suffisso che indica qualcosa legato assieme, ha fatto sì che i due termini fossero riferiti a 3 oggetti: al territorio
in senso lato; alla regione, donde è derivata la distinzione tra "regione naturale" e "regione geografica"; al paesaggio,
donde è emersa la distinzione tra "paesaggio naturale" e "paesaggio culturale".
NATURLANDSCHAFT indica un paesaggio in cui manca l'intervento dell'uomo o in cui questo non è partecipe in
maniera rilevante, mentre KULTURLANDSCHAFT indica un paesaggio alla cui configurazione e struttura hanno
contribuito l'uomo, insieme alla natura. Fortunatamente, negli ultimi tempi questa distinzione è andata soggetta a
critiche, motivate dal fatto che non esiste ambiente naturale che, direttamente o indirettamente, non sia influenzato
dall'uomo.
Andreotti nota che quando in geografia si parla di un paesaggio naturale, si allude a un ambiente fisico nel quale non
sono intervenute significative mutazioni ad opera dell'uomo e dunque si esclude in partenza l'esistenza di un
paesaggio naturale puro.
Accanto alla coppia paesaggio naturale/paesaggio culturale, nella letteratura ricorre la coppia paesaggio
naturale/paesaggio geografico, detto anche paesaggio antropogeografico.

Schema pag. 241: le concezioni di paesaggi emerse nella geografia umana italiana nel corso del ‘900. Confronto tra la
prospettiva strutturalista con influenze positiviste e la prospettiva percezionista.
Prospettiva Forme naturali + Forme umane = Forme generali
strutturalista Paesaggio Paesaggio
naturale geografico
Prospettiva Paesaggio Paesaggio
sensibile geografico
percezionista Forme + Forme costruite = Forme generali
percepite: mediante
veduta razionalizzazione
panoramica +
aspetto
fisionomico

Almeno in apparenza al secondo termine, paesaggio geografico, è stato attribuito un significato molto esteso, che
dovrebbe abbracciare ogni aspetto derivante dalla presenza umana, non escluse, almeno in linea di principio, le
manifestazioni culturali. Su questa base nel '900 si sono diffuse teorizzazioni, delle quali nella geo italiana vi è traccia
fino agli anni '60.
V'è poi unna terza distinzione, di cui si occupa Biasutti, tra paesaggio sensibile, costituito da tutto ciò che si può
percepire attraverso un giro d'orizzonte, e paesaggio geografico, frutto di un'elaborazione di dati e, quindi, di
un'astrazione. I due concetti non derivano da una distinzione tra i contenuti del paesaggio, ma riflettono piuttosto
due momenti del porsi del soggetto nei riguardi del paesaggio: un primo momento, percettivo, da cui deriva il
paesaggio vissuto nella nostra esperienza quotidiana (paesaggio sensibile) e un secondo momento, elaborativo, che
ci fa approdare al paesaggio descritto scientificamente (paesaggio geografico).
Questo complicato intreccio di distinzioni costituisce il terreno sul quale si può affrontare la questione finale, quella
del rapporto concettuale tra paesaggio geografico e paesaggio culturale. La questione ha assunto consistenza nella
seconda metà del '900, soprattutto dagli anni '60, quando Lehmann aprì la strada per attivare integrazioni tra geo,
psicologia e estetica imprimendo così nuovi impulsi a quelle tendenze, già affiorate in passato, che nel concepire il
paesaggio ponevano il soggetto al centro dell'attenzione ed esaltavano i contenuti spiritualisti dell'incontro tra
comunità umane e luoghi.
Negli ultimi anni Andreotti ha affrontato varie volte il tema, mettendo a confronto i modi con cui concepire il
rapporto tra paesaggio geografico e paesaggio culturale. Dall'esame di questo panorama emergono, in sostanza, due
posizioni ricche di conseguenze:
 la prima consiste nel ritenere che il paesaggio culturale costituisca un tipo di paesaggio geografico; per
Toschi, infatti come il tipo è il distintivo di una categoria di individui, nel paesaggio possiamo identificare
diversi tipi (agrari, rurali, turistici); il paesaggio culturale potrebbe dunque essere inteso come un paesaggio
ricco di impronte culturali nel senso di eredità culturali o come il complesso delle impronte culturali presenti
in un determinato luogo o spazio;
 la seconda considera il paesaggio culturale come una categoria a sé, distinta dal paesaggio geografico, cioè
non come un tipo di paesaggio geografico; secondo questa posizione, radicata nel pensiero di Lehmann e
sostenuta da Andreotti, il carattere distintivo tra paesaggio geografico e paesaggio culturale sta nel fatto che
il primo è concepito come "apparenza visuale", mentre il secondo è percepito come "apparenza visuale e
integrata", cioè come il prodotto di un'intima associazione tra soggetto e realtà; quando è colto come mera
apparenza visuale, il paesaggio è rappresentato come insieme di aspetti umani (animazione antropologica),
mentre quando approdiamo all'apparenza visuale integrata, il paesaggio è rappresentato come l'insieme dei
segni che riflettono gli ideali, i valori e le esperienze intellettuali.
Da quest'ultima impostazione deriva una divaricazione sul piano della formazione della conoscenza:
 quando si tratta di paesaggio geografico (apparenza visuale), la realtà esterna ci appare come un complesso
di forme: gli input partono dall'oggetto e si riflettono sul soggetto, producendo percezione,
rappresentazione, conoscenza;
 quando si parla di paesaggio culturale (apparenza visuale integrata) la rappresentazione è provocata da un
patrimonio intellettuale e spirituale del soggetto che si riflette su una realtà esterna, cioè sul territorio,
attribuendo simboli e significati ai luoghi; il percorso è opposto al primo, perché parte dal soggetto che si
specchia sulla realtà. La rappresentazione del paesaggio diventa dunque una rappresentazione della
proiezione del soggetto.
Schema pag. 242: le due opzioni basilari sul modo con cui concepire il paesaggio
Obiettivo Campo disciplinare di Impostazione Prodotti
riferimento
Descrivere aspetti culturali Geografia umana Positivista, strutturalista Paesaggio come struttura
del paesaggio
Descrivere le Geografia culturale Semiotica, spiritualista Paesaggio come manto di
manifestazioni territoriali simboli dei luoghi
della cultura

A farne una categoria distinta contribuisce, in sostanza, il fatto che, nel paesaggio culturale, sorge con-senso
(consenso) tra soggetto e luogo: un cum-sentire, "sentire insieme". Si crea pathos, partecipazione simpatetica,
immedesimazione; in una parola, emozione. Se si condivide questo asserto, secondo Andreotti non tutti i paesaggi,
per il semplice fatto che posseggono tracce di cultura, costituiscono paesaggi culturali. Lo sono soltanto quelli in cui
la cultura è di elevato livello, ricca di segni eccellenti, intellettuali e spirituali: "cultura è sempre un apice, una freccia
lanciata dallo spirito: quando la freccia coglie nel bersaglio dell'universalità, quell'attimo culturale si tramanderà nei
secoli". Sotto questo punto di vista, il paesaggio culturale non è costituito da ogni tipo di segni cui comunemente si
attribuisce natura culturale (stili architettonici ad es.) bensì da simboli capaci di produrre emozione, e così facendo,
capaci di condurci verso nuove immagini del mondo. Così intenso il paesaggio culturale è in sostanza un paesaggio
geografico, ma osservato e studiato da un punto di vista consapevole della centralità della cultura; un paesaggio, per
così dire, intellettivo in quanto si perviene alla sua conoscenza mediante un'operazione intellettuale-discorsiva.
In sostanza, il paesaggio culturale è la manifestazione di una geografia dell'arte o della memoria, alla cui
comprensione si giunge in virtù di un atto conoscitivo istantaneo e sinottico; insomma, come il risultato di un
processo intuitivo, basato sull'immediatamente percepito. Questa impostazione conduce Andreotti a sostenere che il
paesaggio culturale è quel luogo che osservato o attraverso personali o soprattutto conoscenze storico-artistiche-
letterarie – queste ultime nel senso più ampio della parola – rivela le conoscenze medesime o si manifesta come
motivo di arricchimento.

 8.8 Le ragioni del paesaggio culturale.


Quando sia inteso come un manto di simboli attribuiti ai luoghi, il paesaggio culturale è qualcosa di nettamente
distinto dal paesaggio geografico, anche quando il paesaggio geografico include elementi culturali; è la
rappresentazione del modo di proiettarsi del soggetto nella realtà, del suo essere nel mondo nel senso
heideggeriano del termine; una rappresentazione che consiste in segni di forte connotazione intellettuale e
spirituale, i quali collegano memoria e progetto, passato e futuro, esistenza natura società trascendenza.
Ne derivano 3 asserti:
1. si esclude che il paesaggio culturale sia frutto una speciale prospettiva dalla quale guardare il paesaggio
geografico;
2. si esclude che il paesaggio culturale sia un tipo di paesaggio geografico;
3. si esclude che il paesaggio culturale possa identificarsi con il contenuto culturale di un paesaggio geografico.
Tra paesaggio geografico e paesaggio culturale la differenza sta nella rappresentazione, quindi sul livello su cui ci si
muove: il paesaggio geografico appartiene al livello strutturalista, rientra nel modo cartesiano di rappresentare la
realtà ed è una costruzione tipica della modernità; il paesaggio culturale è il frutto di una rappresentazione che
appartiene a un'atmosfera post-strutturalista, è incompatibile con il pensiero cartesiano e non rientra nelle
atmosfere della modernità.
Nel caso del paesaggio geografico la realtà esterna ha il primato sul soggetto.
Tabella pag. 246: paesaggio geografico e paesaggio culturale a confronto.
Paesaggio geografico Paesaggio culturale
Base speculativa
Epistemologia disgiuntiva Epistemologia congiuntiva
Logistica cartesiana Logiche post-strutturaliste
Spiegazione Comprensione
Primato dell’etica Primato dell’estetica
Primato del fisico e del sociale Primato dello spirituale
scienza Scienza, arte, religione
Parole chiave della rappresentazione
Logos Mythos
Referente Simbolo
Oggetto Soggetto
Significato Significati
Causalità Olismo
Determinazione Indeterminazione
Univocità Plurivocità
Struttura territoriale Genius loci
Spazio Luogo
Modello Discorso
Razionale Significato
Omogeneità Identità
senso Con-senso

Nel caso del paesaggio culturale, invece, il soggetto ha il primato sulla realtà esterna. La rappresentazione non
conduce a significati ricchi di senso, ma piuttosto mette in evidenza il con-senso, vale a dire le armonie che la cultura
ha creato tra esistenza, natura, società e trascendenza e ha manifestato attraverso le impronte sul territorio. A
questo si aggiunga la circostanza secondo la quale i luoghi, non più lo spazio, sono l'oggetto primario della
rappresentazione e in essi si cerca l'identità, la personalità culturale.

 8.9 Regione e generi di vita: relitti?


Nella geo culturale su base strutturalista, quale ad esempio è stata sviluppata dalla scuola di Berkeley, la regione
costituisce un importante campo tematico. Nell'ambito della geo culturale vicina all'antropologia culturale, infatti,
sono stati sviluppati 2 tipi di ricerche:
 da un lato, sono state condotte indagini per identificare il territorio in cui è diffuso un determinato elemento
cultural, ad es. l'uso del suolo, un rito;
 dall'altro, sono state dedicate indagini all'identificazione di aree di insediamento di etnie, o comunque di
comunità umane dotate di specifici connotati culturali.
In ambedue i casi, la regione è stata considerata come mera AREA – vale a dire uno spazio caratterizzato dalla
presenza di qualcosa – per cui si potrebbe parlare più propriamente di regione-area.
Sono state distinte le REGIONI-AREA ELEMENTARI, se individuate in rapporto a un solo elemento (es. area con
determinata tecnologia uso suolo), dalle REGIONI-AREA COMPLESE, se identificate in rapporto a 2 o più elementi.
Nel campo della geo culturale questo modo di intendere la regione trova applicazione, ad es. nell'identificazione di
regioni culturali, dette anche aree culturali, essenzialmente intese come spazi in cui sono presenti determinati
connotati culturalmente rilevanti, come l'uso di una certa lingua, una certa pratica religiosa, specifici costumi sociali.
Ma trattandosi di rappresentazioni per lo più della distribuzione di questi elementi, la regione intesa come regione-
area non rivestirebbe, dunque, particolare interesse dal punto di vista della geo culturale.
La prospettiva cambia quando si tenga conto che, nella storia della geo, alla concezione della regione-area si è
affiancata quella della "regione-organismo". Essa parte dal presupposto che, a mano a mano che procede
l'umanizzazione del territorio, emergono legami così stretti tra natura e comunità umana da dar luogo a veri e propri
organismi territoriali. Questo concetto di regione è stato posto in riferimento a quello di paesaggio asserendo che
una regione, intesa come regione-organismo, si possa identificare per essere caratterizzata da un paesaggio, o da un
insieme di paesaggi contigui.
Biasutti (1947) associa il concetto di paesaggio naturale a quello della regione naturale, intesa come un territorio
dotato di un paesaggio naturale omogeneo e non influenzato da comunità umane, e coerentemente associa il
concetto di paesaggio geografico a quello di regione geografica, intesa come territorio con un paesaggio omogeneo
sia in rapporto alla natura che alla presenza umana.
Schema pag. 248: relazioni tra paesaggio e regione, secondo Biasutti.
Forme naturali del + Forme umane = Forme generali
territorio
Paesaggio naturale Paesaggio
geografico
Regione naturale Regione geografica
Dunque, per Biasutti il paesaggio è la fisionomia di una regione.
Lungo un itinerario non dissimile, ma molto più sensibile agli aspetti umani del territorio, si muove Sorre, il quale
sostiene che le regioni sono "porzioni di spazio dominate da un tipo di paesaggio umano o da una combinazione di
tipi".
Su una posizione così radicale non concordano né Sestini né Toschi.
 Sestini (1963) sostiene che il paesaggio non esaurisce i temi della geo umana, giacché accanto ai paesaggi
resta da trattare, tra l'altro, anche di regioni non identificabili con lo spazio occupato dai singoli paesaggi
 Toschi (1952) sostiene che il paesaggio non deve essere confuso con la regione. La regione può essere
descritta e rappresentata in rapporto ai caratteri del suo paesaggio, o dei suoi paesaggi: esiste, quindi, un
rapporto di necessità, giacchè ogni regione ha un suo paesaggio, o suoi paesaggi. Ma non esiste rapporto di
identità: un determinato paesaggio non identifica, di per sé, una regione, giacchè questa potrebbe anche
essere contraddistinta da più paesaggi. Di conseguenza, la regione si riconosce dal suo/suoi paesaggio/i e il
paesaggio non è una regione, ma qualcosa che può essere di una regione come di un qualsiasi altro tratto di
superficie terrestre che non meriti nome così impegnativo. Lo studio del paesaggio, dunque diventa
necessario per lo studio regionale, ma non si esaurisce in questo: ha una sua autonoma ragione d'essere.
A questo punto si può comprendere come il concetto di paesaggio non possa condurre di per sé al concetto di
regione. Per raggiungere l'obiettivo occorre introdurre l'idea di "genere di vita", altro concetto ampiamente coltivato
nella geografia del ‘900. Proposto da Vidal de la Blache (1911), il concetto di genere di vita è stato sostanzialmente
riferito a un complesso di abitudini e di concezioni organizzate e sistematiche, implicanti un'azione metodica e
stabile, capace di assicurare l'esistenza dei gruppi umani autonomi che la praticano.
Dal pensiero vidaliano emergono alcune proposizioni:
 che non vi è genere di vita se non collettivo e se il gruppo umano non gode di autonomia;
 che il genere di vita, per essere tale, deve avere carattere di stabilità e di sistematicità;
 che è suscettibile di forza propria e ciò senza contraddizione con la stabilità;
 e che può subire modifiche per interventi esterni.
La concezione vidaliana appare molto vicina a quelle che, nello stesso tempo, andavano delineandosi nell'etnologia e
nell'antropologia culturale e che stavano conducendo all'idea di "modello di cultura", inteso come il complesso dei
costumi, delle tecniche e dei valori propri di una comunità, con specifico riferimento alle comunità con culture
semplici.
In sostanza, il genere di vita appariva come una sorta di concetto di connessione – o interfaccia – tra la geo e le
scienze antropologico-culturali o, se si vuole, come il prodotto della competizione tra geografi, da una parte, etnologi
e antropologi dall'altra, nel campo dello studio delle culture.
In ogni caso, per lungo tempo regione, paesaggio e genere di vita sono stati collegati facendo approdare a una
visione unitaria, nella quale la regione è stata assunta come un territorio plasmato da un determinato genere di vita,
che si manifesta attraverso un paesaggio o un insieme di paesaggi tra loro in qualche modo connessi.

Ma questa concezione non può essere accolta nella prospettiva della geo culturale perchè:
 il concetto di genere di vita non ha più ragione d'essere, come d'altra parte diventa sempre meno legittimato
il concetto "gemello" di modello di cultura;
 l'attenzione della geoculturale, soprattutto se intesa come lo studio di simboli e delle relazioni tra simboli e
significati, tra segni e valori, non si concentra più sulla regione, ma piuttosto sui luoghi;
 il concetto di regione presuppone quello di sistema di elementi connessi tra loro da relazioni di causalità, il
che è incompatibile con questa prospettiva della geo culturale.
Se si sceglie di sviluppare geo culturale in chiave semiotica il solo aggregato territoriale del trittico "paesaggio,
regione, genere di vita" che rimane, e guadagna valorizzazione, è il paesaggio. Gli altri due aggregati, regione e
genere di vita, perdono giustificazione.

Capitolo 9. Cultura, etnia e civiltà.


 9.1 Il trittico “cultura etnica civiltà”
Gli aggregati territoriali che rientrano nell’interesse della geografia culturale sono frutto del pensiero moderno. Lo è
il concetto di religione, introdotto da Philippe Buache nel ‘700 e lo è il concetto di paesaggio, introdotto da Humboldt
nell’800. Oltre a questi concetti, nel campo scientifico, sono poi emersi i concetti di etnia e civiltà, che sarebbero
diventati oggetto della geografia culturale successivamente, oltre che di altre scienze come l’antropologia, la
filosofia, ecc. In rapporto al mondo con cui erano affrontati, nel ‘900, etnia e civiltà erano temi utili allo sviluppo di
teorie orientate all’azione politica (sostegno alle politiche espansionistiche, imprese coloniali, ecc.). Invece,
oggigiorno, questi concetti sono strettamente collegati a temi di carattere sociale come il governo di spazi multietnici
oppure il rapporto tra Occidente e altre civiltà.
Osserviamo innanzitutto che l’idea di civiltà emerse e maturò parallelamente con l’idea di cultura, a lungo si è
discusso se i due concetti non siano la stessa cosa oppure in cosa differiscono.
Tabella pag. 254: la successione dei concetti chiave per la geografia culturale degli spazi.
1871
Cultura in
senso sociale
Tylor
1840
Fattori
naturali e
culturali
delle
popolazioni
Voltaire
1787
Etnia
Chavannes
1730-1750
Razza e razze
umane
Linneo
1732
Civilisation

Di cultura se ne è parlato nel primo capitolo mentre per quanto riguarda il concetto di civiltà, sappiamo che emerse
parzialmente nello scambio di lettere fra Moses Mendelssohn e Immanuel Kant. Tali lettere si interrogavano sul
significato di Illuminismo, di acculturazione, dell'universalità dell’uomo e del possesso della ragione che lo consentiva
di avanzare nel progresso, ossia l’idea di percorso che il genere umano doveva compiere ma anche l’idea di civiltà
intesa come il livello in cui il progresso si manifesta. Anche il concetto di etnia emerse durante l’Illuminismo: fu
introdotto nel 1787 da Chavannes per designare lo studio dell’uomo come membro di una specie diffusa sul pianeta
e divisa in gruppi per caratteristiche somatiche, culturali e sociali. L’idea era quella (tipicamente illuministica) di
studiare le popolazioni primitive per dimostrare che queste avessero alcune caratteristiche fondamentali in comune.
Alla base di quegli studi vi erano le idee circolanti in quel periodo riguardo il “buon selvaggio”. Voltare nel 1840, nel
Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni, aveva distinto due fattori che sembravano determinare le caratteristiche
di un popolo: da un lato un fattore naturale in base al quale ogni comunità aveva caratteristiche fisiche e un fattore
culturale dove ogni popolo si distingue dagli altri generando diversità intellettuale.
Nell’800 le idee di etnia e civiltà si affiancarono a quella di cultura e si formano tre concetti attraverso i quali
carattere e cultura dei popoli sono state rappresentate in relazione alla modernità. Ciò significa che non sono le
visioni del mondo ad essere nutrite dalle culture ma singole culture, in rapporto alla modernizzazione del mondo, a
costruire i fulcri delle rappresentazioni. Etnia e civiltà conducevano a una visione dualistica del mondo: da un lato la
civiltà occidentale, dall’altro il resto del mondo (le cosiddette barbarie). In questa visione troviamo il contributo
hegeliano (tesi e antitesi) ma soprattutto quello darwiniano (civiltà occidentale come tappa finale di un processo
evolutivo).
La geografia culturale si è trovata ad indagare le manifestazioni geografiche: delle culture; delle etnie, soprattutto in
relazione all’antropologia culturale; e delle civiltà, insieme all’archeologia, la storia e la filosofia. Il trittico “cultura
civiltà etnia” può dunque essere affrontato da due prospettive. Da un lato abbiamo la prospettiva strutturalista che
considera etnia e civiltà in base ai modi di sfruttamento della natura, dell’organizzazione sociale e dei patrimoni
intellettuali. Tutto ciò conduce ad una conoscenza oggettivistica, che spiega il discorso prigione (Berdoulay). Dall’altro
abbiamo il livello semiotico, dove individuiamo i simboli che caratterizzano civiltà ed etnie e ci fanno approdare al
senso, dalle ideologie ai valori etici, che i simboli assumono. La conoscenza a quel punto diventa comprensione e si
avvicina al discorso creazione (Berdoulay). Anche ai giorni nostri la rappresentazione della civiltà avviene nella prima
prospettiva. Lo dimostrano gli atlanti dove le etnie si rappresentano attraverso la distribuzione di razza, lingua,
religione e sistema di scrittura. Tutti elementi che pretendono di rappresentare la “realtà così com’è”. Infine,
un'ulteriore difficoltà dipende anche dal fatto che la geografia culturale su base semiotica predilige lo studio dei
luoghi mentre quando si parla di etnie e civiltà ci si riferisce maggiormente a spazi.

 9.2 Etnia: concetti a confronto.


L’interesse della geografia verso l’etnia è cresciuto negli ultimi anni, soprattutto dopo il collasso dell’Unione
Sovietica, il quale ha innescato una stagione di rivendicazioni territoriali da parte di popolazioni con cultura diversa.
Alcune di queste, avendo alcuni aspetti simili come la lingua, hanno manifestato il loro desiderio di unirsi in un unico
progetto politico, altra idea che ha attirato molta attenzione. Infatti, a titolo esemplificativo, si può ricordare una
teoria degli anni Novanta secondo cui la migliore configurazione politica ricorre quando lo stato abbraccia un gruppo
etnico omogeneo che si sente nazione, in caso contrario sarebbe utile disgregare i vari gruppi in stati monoetnici. La
geografica culturale quindi si chiede: quale concetto di etnia adottare e come produrre rappresentazioni
cartografiche delle etnie.
Schema pag. 258: relazioni concettuali tra etnia, cultura, modello di cultura e unità di popolazione (deme).
Identificazione di 2 stadi di evoluzione concettuale.
Stadio del decollo 1970 inizio della 1990 concetto di unità di
Scienze fisiche, sociali e confusione del concetto popolazione basato su
linguistica di razza. caratteri genetici e
Attenzione crescente per linguistici, ma aperto a
le implicazioni considerare anche altri
geopolitiche delle etnie. fattori.
Stadio dell’avvio alla 1787 etnia caratteri fisici 1871 cultura, caratteri 1934 modello di cultura,
maturità (morfologici) fisici (morfologici) caratteri fisici (morfologia
Genetica, linguistica, e umani (lingua). E umani (uso del suolo e e crescente attenzione
archeologia, scienze sociali struttura sociale). per il comportamento
sociale, compresi aspetti
spirituali.

L’etnia è stata intesa come un gruppo umano i cui elementi (caratteristiche antropologiche e elementi socioculturali)
hanno in comune una stessa origine. Nel senso comune ancora oggi vi è questa visione. Per quanto riguarda la
scienza, tale concetto è passato attraverso più vicende. La sua nascita è stata contemporanea all’etnologia e nasce
dall’esigenza di ripartire le popolazioni (in quel momento ci si concentrava sulle popolazioni semplici, le cosiddette
culture primitive) non solo in base a caratteri somatici ma anche economici, sociali e culturali. Anche l’idea di razza,
precedente a quella di etnia, nasce durante l’Illuminismo e riflette l’idea più generale di specie. All’origine di ciò c’è
Linneo con l’idea dell’ordine naturale che lo portò ad incasellare il mondo vegetale e animale in un disegno
tassonomico (tassonomia: teoria della classificazione nelle scienze naturali. Sono chiamate tassonomiche quelle
scienze, come la botanica e la storia naturale, il cui obiettivo è la classificazione di oggetti). Linneo elaborò un sistema
di suddivisione del genere umano in quattro grandi razze ma nel momento in cui all’idea di razza si aggiunse quella di
etnia insorse un’inquietudine concettuale. L’etnia doveva essere individuata mediante due gruppi di criteri: quelli
dell’antropologia fisica (che si basano sulle caratteristiche somatiche) e quelli delle scienze sociali, un campo
contraddistinto dalle conoscenze soggettive.
Negli anni ‘30 del ‘900, grazie agli studi di Ruth Benedict, si cercò di superare questo dilemma introducendo il
“modello di cultura” in base al quale ogni elemento sociale, culturale e spirituale del gruppo umano era composto da
un insieme di elementi legati in modo da costituire un tutt’uno. Nasce così l’olismo, un principio in base al quale
quanto più questi elementi sono legati fra loro, tanto più il gruppo etnico risulta ben strutturato e dà vita a un’etnia
compatta (essere “una realtà maggiore della semplice somma delle parti”).
Sia la fase che vede l’idea di etnia come una sorta di complicazione dell’idea di razza, sia quella dove l’etnia
sublimava il modello di cultura, hanno creato un doppio livello di rappresentazione. Da un lato vi era la
rappresentazione scientifica dove il mondo della ricerca trasferiva i dati sul campo ed apriva riflessioni teoriche che
riguardavano il modo stesso di rappresentare il mondo; dall’altro i media fornivano al pubblico una rappresentazione
banale che riduceva la diversità antropologica del mondo ai tratti somatici e la diversità culturale ai ceppi linguistici e
le religioni.
Il quadro è cambiato solo nel ‘900 quando gli studi sul genoma umano hanno portato a un nuovo concetto, quello di
“unità di popolazione” (detta anche deme). Un concetto che dal punto di vista della geografia culturale è interessante
perché: ha l’ambizione di sostituire il concetto di razza e dovrebbe chiarire il rapporto con il concetto di etnia.
Inoltre, all’idea di unità di popolazione conduce la genetica. Infatti, oltre a dimostrare la non scientificità del concetto
di razza, la genetica ha aperto la strada per studiare la differenziazione della popolazione del pianeta e costruirne la
storia attraverso il DNA. Sebbene anche il concetto di unità di popolazione tende a creare confusione come quello di
razza, la prospettiva cambia quando si osserva che l’unità di popolazione si identifica anche attraverso
comportamenti sociali e manifestazioni spirituali, dunque la sfera di quella che è definita etnia. Il deme si può
identificare anche attraverso criteri geografici, antropologici e linguistici. Le conclusioni, quindi portano a ritenere
che le unità di popolazione sono determinate anche da fattori culturali, gli studiosi (Cavalli-Sforza, Menozzi, Piazza)
sostengono che la struttura del patrimonio genetico è determinata da fattori geografici come le differenze
socioeconomiche e altri fattori culturali.
In conclusione, il concetto di unità di popolazione da luogo al progresso perché attribuisce ai fattori socioculturali una
funzione cardinale superando: le impostazioni positivistiche (che invece danno ai fattori fisici un ruolo centrale) e le
impostazioni strutturaliste, imperniate sul modello di cultura. Dunque, sembra che il concetto di razza sia stato
abbandonato e che quello di etnia sia sulla stessa strada. Tutto ciò porta a due prospettive: da un lato, ci si approccia
all’unità di popolazione, la quale rappresenta la specie umana come un gigantesco organismo che si differenzia lungo
piste genetiche per quanto riguarda i fattori generati dall’ambiente fisico e da altri insiti nei contesti socioculturali.
Dall’altro, ci si avvicina a un’idea che propone di superare il concetto di etnia per poter vedere le comunità umane
identificate non soltanto rispetto all’eredità genetica ma anche in merito al patrimonio simbolico in cui sono
comprese religione, lingua e visione del mondo, ovvero i valori che si sono sedimentati nel corso della loro storia.

 9.3 Etnia, nazione, stato


Analizziamo adesso i modi di intendere etnia, nazione e stato; si tratta di un argomento pertinente alla geografia
culturale e alla geopolitica. Ai fini del discorso, ipotizziamo che la nazione sia costituita da persone appartenenti alla
stessa etnia, che occupino il territorio di uno stato e siano persuasi di possedere un’identità culturale. Da questa
ipotesi si può notare che non esiste una sovrapposizione necessaria fra etnia e nazione ma anche che è difficile
differenziare. Ulteriore difficoltà è data dal fatto che questi concetti non sono oggettivi (stanno alla base del sentire)
perché le comunità che umane non sono etnie o nazioni, piuttosto sono persuase di esserlo perchè si sentono tali.
Ad esempio, l’etnia Pashtun (Afghanistan) si sente nazione ma gli eschimesi in Canada, pur condividendo una base
culturale, non si ritengono nazione. Inoltre, vi sono stati plurinazionali che ospitano una pluralità di comunità dove
ognuna delle quali condivide un progetto politico. Dove c’è concordanza tra i patrimoni si crea una ricchezza
culturale ma dove i patrimoni sono in conflitto si produce stress politico, la cui intensità può condurre persino a
trasformare lo stato unitario in uno stato federale, o a scomporre lo stato per creare più unità politiche sovrane. Per
esempio, nel 1993 è stato costituito lo stato federale del Belgio per dare una soluzione ai conflitti fra fiamminghi e
valloni, mentre un esempio di più stati monoetnici si può trovare in Cecoslovacchia, divisa nel 1993 in due stati
indipendenti, ceco e slovacco.
Il sentirsi etnia comporta la persuasione di appartenere a un gruppo umano dotato di una propria identità culturale,
concetto che nella letteratura appare talora espresso come identità etnica e etnicità. Considerando questa
condizione dal punto di vista della geo culturale diventa interessante mettere in relazione il dittico concettuale etnia
e identità culturale con il dittico nazione e identità nazionale. L'idea di etnia, infatti, è sorta nell'antropologia
culturale e si è evoluta su un terreno in cui discipline della natura e discipline umanistiche hanno tentato di
integrarsi. L'idea di nazione rientra invece nei discorsi della scienza politica e denota un gruppo umano che condivide
stessi ideali e nutre uno stesso progetto politico, poniamo quello di creare uno stato nazionale. La consapevolezza di
possedere un comune patrimonio di valori sostiene l'identità culturale, mentre la consapevolezza di avere un
comune progetto politico sostiene l'identità nazionale. L'identità culturale, quindi, è disegnata guardando indietro,
alle comuni radici linguistiche, alla religione condivisa, e ad altri elementi essenzialmente connesse alle
manifestazioni intellettuali e spirituali. L'identità nazionale invece è disegnata guardando avanti, immaginando il
futuro di un gruppo nazionale nell'ambito di uno o più stati.
Ad es., secondo gli studi di Ki Zerbo (1985) l’Africa potrebbe costituire una gerarchia dell’identità culturale: alla base
c’è l’identità culturale allo stato etnico, successivamente quella allo stadio dello stato nazionale e poi quella
nazionale e sopra continentale.
Secondo Cahen, l'Africa offre un panorama molto utile per ragionare sull'intreccio di visioni del mondo e sulle
implicazioni politiche che in vario modo chiamano in causa le idee di etnia, nazione e stato. (Immagine pag. 264:
carta delle tnie africane, che dimostra la non percorribilità della formula “un’etnia, uno stato”).
In Africa le etnie hanno prodotto notevoli conseguenze politiche, sia positivamente quando sono state assunte a
base per la creazione di stati solidi e ben organizzati (es. Tunisia, plasmata da cultura berbera), sia negativamente
quando hanno sprigionato conflitti tali da impedire agli stati di organizzarsi o di svilupparsi (es. Angola, messa in
ginocchio da lotte interetniche). In qualche caso le etnie hanno dato vita a nazionalismi che hanno condotto alla
creazione di stati, mentre in altri casi non hanno recato alcun contributo per dare cemento agli stati, sicché possiamo
individuare sia stati nazionali o plurinazionali, sia stati senza nazione. Il gioco dei nazionalismi è così variegato che De
Brito ha proposto di distinguere il nazionalismo dal nazionismo: il primo si riferisce alle comunità che sono persuase
di costituire una nazione e possiedono quindi un comune sentimento, il quale non di rado poggia su una stessa base
culturale; il secondo si riferisce ai casi, frequenti in Africa, in cui un'élite, spesso minoritaria, nutre la volontà di
procedere alla rapida creazione di un sentimento nazionale. Nazionismo sarebbe appunto una fabbricazione di
nazione, un nazionalismo di stato frutto di tentativi in cui si presume di poter fare a meno di una comune base
culturale, vale a dire di un'etnia.
Il puzzle africano offre più di un motivo per ragionare sul rapporto multiplo che lega identità culturale e identità
nazionale. Lo si può fare considerando l'Africa musulmana, dove la condivisione di una stessa religione dà vita a una
sorta di identità culturale sopranazionale, all'interno della quale esiste comunque una tessitura di realtà etniche, che
producono influenze di vario genere, compresi conflitti, all'interno dei singoli paesi.
Schema pag. 266: relazioni tra base culturale e atteggiamenti politici in comunità multietniche, con riferimento al
caso dell’Africa.
Modello dell’aggregazione Condivisione di valori Identità culturale
culturale su base culturali: omogeneità
multietnica culturale
Condivisione di un Identità nazionale Nazionalismo
progetto politico:
omogeneità sociale
Modello della Assenza di condivisione di Nazionismo (velleitarismo
disgregazione sociale in valori culturali: politico)
comunità multietniche eterogeneità sociale
Coesistenza tra gruppi
etnici in assenza di
progetto politico
Conflitti etnici

L'essere musulmano comporta che si faccia parte del mondo dell'Islam, cioè di coloro che sono sottomessi a Dio e si
sentono solidali e fratelli, nonostante le numerose difficoltà di razza, lingua e civiltà. Questa condivisione può
trasformarsi, nei singoli stati, in atteggiamenti di dominio politico su base religiosa, dando così vita all'Islamismo;
atteggiamenti che possono raggiungere forti connotazioni quando sono ispirati a quella rigorosa osservanza dei sacri
testi che si manifesta nell'integralismo (movimento all’interno dell’Islam che vagheggia un ideale di ritorno alle
origini, riproducendo l’unione indissolubile tra religione e organizzazione statale. Gli integralisti rifiutano il
patrimonio di idee e i modi di vita del mondo occidentale e tentano di elevare a leggi dello stato i concetti giuridici
della shari’a) o in senso lato nel Fondamentalismo. Queste condizioni fanno sì che i singoli stati presentino un
mosaico di simboli influenzati da due fattori: in primis, il livello di adozione del credo islamico, in rapporto al quale si
distinguono islamisti e integralisti, a loro volta suddivisi in indirizzi di varia natura; in secondo luogo, i connotati
culturali della singola etnia. I fattori connaturati alla religione possono produrre conflitti a forte connotazione
simbolica, come quelli che hanno contraddistinto l’Egitto dove gli integralisti si sono spinti a creare la “Repubblica di
islamica di Imbaba” alla periferia del Cairo. I fattori connaturati all'etnia hanno provocato l'associazione di simboli
religiosi con altri generati dalla storia, dalla lingua e dalle manifestazioni spirituali dei singoli gruppi. È per questo, ad
esempio, che nel Sahara mediterraneo si contrappone la berberità all’arabità mentre in Siria e in Libano si
contrappone arabità e fenicità.

 9.4 Luoghi e spazi dell’etnia


Nei riguardi del concetto di etnia la geografia culturale e la geopolitica manifestano differenti
sensibilità: la prima guarda ciò con motivato sospetto, la seconda ne fa un ampio uso, soprattutto per indagare, alla
scala nazionale, i fattori e le motivazioni culturali di conflitti interni. Se consideriamo l'argomento dal punto di vista
della geografia culturale, siamo indotti a prendere in esame tre tipiche configurazioni simboliche:
 la prima, più semplice, è propria degli stati monoetnici; non di rado questi spazi sono anche mono-nazionali,
in quanto la comune base culturale ha ispirato un unico progetto politico e sociale inducendo l'intera
popolazione a condividere un comune tessuto di valori e una stessa unità di intenti; ciò vuol dire che esiste
un corredo simbolico condiviso dall'intera popolazione e un complesso di significati ben strutturato;
 la seconda è propria degli stati multietnici in cui le etnie coesistono pacificamente e interagiscono persino
con successo; in questi casi c'è da attendersi che esista un sentimento nazionale condiviso da tutti,
indipendentemente dalla base etnica; la diversità culturale che caratterizza la configurazione etnica dello
spazio costituisce una ricchezza perché è immersa in un quadro di comunicazione culturale tra gruppi
differenti, e perché v'è un unico progetto politico e sociale; in questi casi il corredo simbolico è articolato su
due livelli. Da una parte abbiamo il livello dei simboli etnici, che cambiano in rapporto alla cultura delle
comunità che compongono la popolazione nazionale, e il livello dei simboli nazionali, che sono invece
comuni all'intera popolazione;
 nettamente diversa, e purtroppo molto diffusa, è la terza configurazione simbolica, quella propria di stati a
base multietnica dove le etnie si combattono tra loro, e quindi sono molto lontane dal dar vita a un unico
sentimento nazionale; in questo caso manca un progetto politico condiviso e lo stato manca di solide basi; il
corredo simbolico è nettamente diversificato, disaggregato in simboli che riflettono le caratteristiche
culturali delle singole etnie.
La creazione di spazi multietnici è in buona parte il frutto di spostamenti territoriali di popolazione, fenomeno che si
è ingigantito negli ultimi decenni sia in conseguenza dei cambiamenti geopolitici sia a causa dell'aumento della
mobilità territoriale. In questo quadro la geografia culturale nutre un particolare interesse per le diaspore
(dispersione di un popolo nel mondo), soprattutto perché non di rado sono generate da conflitti culturali insorti nei
luoghi di irradiazione, e possono instaurare delicate relazioni con la cultura dei luoghi di destinazione. Il concetto di
diaspora, infatti, è comunemente attribuito a ogni genere di fenomeno conseguente a migrazioni di popolazione in
vari paesi muovendo da un unico foyer di provenienza. Nei luoghi di destinazione possono aversi tre forme di
insediamento:
 gruppi, come cinesi, libanesi e indiani, che si insediano in siti appropriati per svolgere attività imprenditoriali;
 gruppi, come ebrei, greci, armeni, che si installano in luoghi dove sia possibile essere tutti raccolti per
comunicare nella propria lingua e per professare la propria religione (Immagine pag. 269: la diaspora
ebraica);
 gruppi di immigrati, come palestinesi, si raccolgono in punti idonei a svolgere attività politica.
Le conseguenze che, in termini di creazione simbolica, avvengono nei luoghi ove confluiscono immigrati rivestono un
evidente interesse geoculturale. Questi gruppi, infatti, provengono da un determinato ambito geografico,
caratterizzato da una propria configurazione culturale, quindi da uno specifico corredo simbolico, e si distribuiscono
in una pluralità di luoghi ove la cultura locale può essere diversa fino al punto da possedere simboli conflittuali con
quelli importati. Di conseguenza, tra il corredo simbolico degli immigrati e quello delle comunità ospiti si delineano
relazioni differenti in rapporto ai luoghi. In generale c'è da aspettarsi che l'insediamento di gruppi affluiti per ragioni
economiche, cioè per sfuggire alla miseria dei paesi di origine, dia luogo a interazioni piuttosto agevoli con la cultura
ospite, mentre l'insediamento di gruppi mossi da ragioni politiche, ad es. per formare gruppi internazionali di
propaganda e di azione partigiana, possa dar luogo a conflitti.
Quanto minore è la comunicazione culturale che si instaura tra la comunità ospite e i gruppi immigrati, tanto più si
formano eterotopie: si creano luoghi connotati da un corredo simbolico nuovo, che riflette la cultura degli immigrati
e si differenzia dai simboli che connotano la cultura della comunità locale. In questi casi, la geografia della città
assume una fisionomia articolata: all'interno di uno spazio omotopico (omotopia: spazio omogeneo dal punto di
vista culturale, cioè contraddistinto da simboli e da valori condivisi dalla comunità o da ampie parti della comunità, o
comunque da simboli o valori che non producono fughe dai valori condivisi e che non creano spazi di illusioni), cioè
che prima era caratterizzato da un solo universo di simboli radicati nella storia della comunità, e quindi
culturalmente omogeneo, si inseriscono luoghi eterotopici (eterotopia), talora ignorati o quasi dalla comunità ospite
eppure dotati di simboli ben vivi, spesso resi ancora più vivi dalla propensione degli immigrati a voler affermare la
propria identità nei riguardi della comunità ospite. Le eterotopie si possono individuare, ad es. nelle città occidentali
dove si insediano immigrati di religione musulmana oppure in casi di convivenza problematica come accade in
Sudafrica (Figura pag.270: schema del popolamento dell’area metropolitana di Durban, per effetto delle vicende
connesse alla segregazione etnica. In questa configurazione geografica, le popolazioni zulu si sentono in condizione
eterotopica). Le connotazioni eterotopiche cui danno luogo sono tanto più marcate quanto più la loro cultura
religiosa si nutre di impostazioni integraliste.
L'eterotopia, infatti può dar luogo a due paesaggi differenti a seconda che i gruppi immigrati utilizzino edifici
preesistenti, che appartengono all'architettura locale, oppure costruiscono nuovi edifici, conformi ai canoni
architettonici dei luoghi di origine. Nel secondo caso l'eterotopia si rende visibile con propri segni materiali e si
distingue dal paesaggio urbano circostante, anzi si esibisce alla comunità ospite con manifestazioni che esaltano
l'identità culturale, e così facendo conserva esplicitamente i simboli che rimandano ai luoghi di origine. A Glarus
(Wisconsin) un nutrito gruppo di immigrati svizzeri si è insediato costruendo abitazioni e villette in stile elvetico,
creando così un quartiere che si distingue dal resto della città non soltanto per essere abitato da genti con cultura
diversa ma anche per aver inserito uno stralcio di paesaggio elvetico (eterotopia) in un paesaggio che, in quanto a
simboli, era omogeneo (omotopia). I simboli esibiti nel quartiere elvetico non sono ovviamente conflittuali con quelli
della cultura locale, denotano solo memorie etniche. Secondo Hoelscher (1998) in questi casi non si dovrebbe
parlare di eterotopie vere e proprie, ma piuttosto di politopie in modo da mettere in risalto l'armonia tra simboli di
culture diverse.
Se considerare dal punto di vista della geografia culturale, queste situazioni inducono a tener conto che, quando
avviene l'incontro tra immigrati e comunità ospite, non soltanto si generano eterotopie ma si produce un incrocio di
quattro immaginazioni di luoghi, tutte con una propria connotazione simbolica: innestando la propria fisionomia
simbolica, il gruppo immigrato afferma la propria identità culturale nei confronti di quella della comunità ospite e si
forma una propria visione delle relazioni che si instaurano tra le due culture. Nello stesso tempo conserva la
memoria dei simboli e dei significati dei luoghi di partenza, che diventano quindi uno spazio immaginato, partecipato
simpateticamente. La comunità ospite, a sua volta, nutre una doppia visione: da un lato le esperienze esistenziali che
conduce nel proprio spazio la inducono a costruire una propria visione del mondo, dall'altro la presenza dei gruppi
immigrati la induce a immaginare i luoghi da dove sono pervenuti e ad attribuire loro simboli e significati che,
essendo filtrati dalla cultura locale, sono differenti da quelli condivisi dal gruppo immigrato. Ne consegue un mosaico
di simboli e significati, di luoghi vissuti e luoghi immaginati, di luoghi reali e di luoghi iperreali; è il gioco culturale
della mobilità territoriale.

 9.5 Cultura e civiltà


La modernità si affermò anche creando parole, o attribuendo nuovi significati a parole esistenti, con l'obiettivo di
conseguire simultaneamente due obiettivi. Il primo obiettivo riguarda l'epistemologia, in quanto le parole e i concetti
nuovi dovevano contribuire a potenziare il modo razionalista di produrre conoscenza e di costruire visioni del
mondo. In questo senso, la modernità costituiva il più grande progetto culturale dopo l'avvento della cristianità ed
era dunque comprensibile che si compisse uno sforzo adeguato per conferire al progetto una legittimazione
ampiamente condivisa, che suscitasse fede nella scienza e nelle capacità della ragione. Il secondo obiettivo, correlato
al primo, era politico, in quanto la rappresentazione del mondo doveva essere funzionale a imporre il dominio
dell'Occidente sul resto del pianeta. Pensiero e azione erano strettamente legati e il linguaggio costituiva l'apparato
strumentale per cementare questo legame. Tra i termini ideati per alimentare la retroazione tra pensiero e azione, la
parola civiltà occupa una posizione di privilegio: è forse la parola più influente, quella che maggiormente ha
giustificato la meta-narrazione del progresso garantito dalla scienza e dalla ragione. Come numerose parole che sono
state feconde nel produrre pensiero proprio grazie alla loro ambiguità, la parola civiltà ha forse stimolato costruzioni
teoriche in abbondanza soprattutto perché rimanda a una pluralità di significati.

Schema pag. 273: concetto di civiltà e le sue relazioni con il concetto di cultura.
1732: Comparsa di civilisation  1756: introduzione di civilisation nel pensiero Mirabeau, Voltaire  Gran
Bretagna: civilisation; Germania: Zivilisation; Paesi Bassi: Deschaving, Civilisatie; Italia: civiltà.

Relazione tra cultura e civiltà  Kant: cultiviert (educato, colto), civilisiert (civilizzato); Variante a Kant: cultiviert
(educato, colto), civilisiert (processo di elevazione della società); Marx: cultura (patrimonio intellettuale,
sovrastruttura), civiltà (patrimonio materiale, infrastruttura).

Braudel ha elaborato una storia del concetto di civiltà: nel 1732 la parola civilisation appare nella letteratura giuridica
francese ma entra nel 1756 entra nella teoria della cultura con il Trattato sulla popolazione di Mirabeau e il Trattato
sui costumi e lo spirito delle nazioni di Voltaire. La parola propone finalmente una versione sostantivata agli aggettivi
civil (civile) e civilisé (civilizzato), che indicavano un comportamento individuale conforme alle regole del buon vivere
e, così facendo, contrapponevano lo stile di vita della società evoluta, di cui la borghesia francese era protagonista,
nei riguardi delle popolazioni che vivevano nella barbarie. Nel giro di mezzo secolo la parola si diffuse in Europa
dando vita a un interessante processo geografico: a partire dal 1772 in UK si afferma il termine civilisation che ha la
meglio su civilty; in DE si installa il termine Zivilisation al posto di Bildung; in Olanda si afferma il termine Beschaving;
al sud delle Alpi si afferma il termine italiano civiltà, che usava già Dante.
Mentre questo processo si stava diffondendo, civilisation si trovò ad affiancare il preesistente termine cultura e di
conseguenza venne alla ribalta il discorso sul rapporto tra le due parole: alcuni attribuirono ai due termini lo stesso
significato, mentre altri li videro differenziati fino al punto da rispecchiare una vera e propria divaricazione
ideologica. Cultura e civiltà furono considerate essenzialmente come sinonimi da Tylor e, in generale, dai cultori
dell'antropologia culturale. Il panorama delle posizioni che ai due termini hanno conferito significati diversi mostra
tre posizioni:
- la prima, che si può far risalire alla distinzione di Kant tra cultiviert (educato, colto) e civilisiert (civilizzato), ha
aperto la strada a riferire la cultura ai comportamenti individuali e la civiltà all'ambito sociale. Muovendo da questa
base, una parte della letteratura ha cercato di ripartire le popolazioni in rapporto al grado di civiltà raggiunto; il
frutto di questo lavoro è stato un ordinamento gerarchico, al cui vertice si dispone la civiltà occidentale e al di sotto
si dispongono le altre civiltà. L’esercizio mostra la stretta interazione tra le due funzioni alle quali s'è fatta menzione
poc'anzi: costruire conoscenza razionale e legittimare azione politica;
– la seconda, è sostanzialmente una variante della prima, poiché intende la civiltà come il complesso delle azioni
esercitate nel contesto sociale e rivolte a “migliorare, ad educare ed innalzare sia materialmente sia spiritualmente"
(Andreotti). Questo concetto è intimamente connesso con l'ambizione illuministica di elevare le singole comunità, e il
mondo nel suo insieme, attraverso il progresso assicurato dalla ragione;
– la terza, rievocata da Bruel, è stata introdotta dalla teoria marxiana secondo la quale si distinguono le
infrastrutture, costituite da oggetti materiali, dalle sovrastrutture, costituite da manifestazioni intellettuali;
basandosi su questa distinzione, la cultura è stata identificata nella componente intellettuale (sovrastruttura)
mentre la civiltà è stata identificata nella componente materiale (infrastruttura).
L'attenzione attribuita alle idee di civiltà e di cultura è stata diversa da un paese all'altro. In Germania, in Polonia e in
Russia ad es. a riscuotere maggiore interesse è stata l'idea di cultura, che corrisponde ai principi normativi, ai valori,
agli ideali, in una parola allo spirito. In altri paesi, come nel Regno Unito e negli USA, si è preferita l'idea di civiltà.
Queste posizioni, a giudizio di Braudel, subirono una svolta a opera del linguaggio adottato dall'antropologia
culturale, secondo il quale la cultura è propria delle società primitive mentre la civiltà è propria delle società
avanzate. Mentre l'antropologia culturale dava vita a una semplificazione del problema, la distinzione di origine
marxiana - cultura identificata nello spirito e civiltà identificata negli strumenti materiali – è stata sviluppata in
filosofia, approdando a risultati di sicuro interesse. Lo dimostra Abbagnano: se la cultura consiste essenzialmente in
un progetto di vita comune a una comunità umana, la civiltà costituisce l'armamento, cioè l'insieme degli strumenti
di cui una cultura dispone per conservarsi e progredire. Queste armi sono costituite, in primo luogo, dalle tecniche e
dalle forme simboliche, cioè dalla conoscenza, dall'arte, dalla moralità, dalla religione, dalla filosofia, che
condizionano e nello stesso tempo sono condizionate da queste tecniche. L'intreccio e la combinazione delle
tecniche e delle forme simboliche è alla base delle istituzioni economiche, giuridiche, politiche, religiose, educative,
alle quali comunemente si pensa quando si parla di civiltà o di civilizzazione.
Una posizione differente è quella di Spengler, nel testo Il tramonto dell’Occidente (1918-1922), il quale mette in
riferimento la civiltà, che è identificata nella Kultur, con la civilizzazione, Zivilization. La cultura in quanto civiltà è
concepita come l'intima associazione di due componenti. La prima componente è strutturale perché il mondo si
comporta come un organismo biologico, che si evolve secondo processi che si sviluppano nel lungo periodo; processi
che rispondono a letti evolutive e che possono essere identificati e spiegati attraverso un campo di studi che
Spengler chiama "sistematica". Sotto questo punto di vista consideriamo il mondo come natura. La seconda
componente è contingente e differisce dalla prima perché si manifesta attraverso fatti ed eventi unici e irripetibili,
che nel loro complesso indicano il destino verso cui la comunità si dirige; componente che ci induce a considerare il
mondo come storia. Lo studio di questi fatti ed eventi, che si manifestano senza un ordine particolare, costituisce
oggetto di studio della fisiognomica. Secondo Spengler, la cultura è dunque in continuo divenire e possiede aspetti e
processi che si possono far rientrare in schemi razionali e altri che ne evadono. Questa complicata costruzione
teorica conduce a ritenere che la civilizzazione sia lo stadio finale della cultura (in quanto civiltà): si dispiega quando
la cultura ha raggiungo il suo apice, dopo di che si irrigidisce, tramonta e ritorna a una condizione primitiva. L'idea di
ciclo, propria delle spiegazioni riferite al mondo organico, serve dunque a Spengler non soltanto per proporre
un'ipotesi originale del rapporto tra civiltà e civilizzazione, ma anche per dimostrare che la civiltà occidentale
sarebbe prossima a raggiungere il suo apice, quindi al suo declino.

 9.6 Gli elementi della civiltà


Il panorama dei modi di intendere la civiltà e di distinguerla dalla cultura è dunque vario sia per ragioni linguistiche,
dovute soprattutto alle differenze tra la terminologia francese e quella tedesca, sia per ragioni filosofiche perché le
definizioni risentono ovviamente dei contesti speculativi – strutturalista, idealista, e così via – dai quali sono ispirate
e delle basi teoriche delle discipline in cui sono coltivate. Per esplorare il tema dalla prospettiva della geo culturale si
può porre attenzione alle caratteristiche della civiltà in modo da condurre il ragionamento su un terreno più
circoscritto. Per Braudel la civiltà si configura in rapporto a quattro elementi: società, economia, mentalità
collettiva, spazio.
La civiltà è caratterizzata prima di tutto da un determinato tipo di organizzazione sociale; il legame tra civiltà e
società è così stretto che talvolta la civiltà combacia con un modello di assetto sociale; ad es. la civiltà occidentale
combacia con la società industriale perché la prima decollò grazie alla seconda. La civiltà inoltre è propria di società
molto dinamiche. Sotto questo punto di vista si comprende come la cultura semplice, quella che gli antropologi
chiamavano primitiva, e le civiltà si differenzino anche perché la cultura semplice possiede una società stabile che
produce poco disordine, mentre la civiltà possiede una società dinamica che produce molto disordine. La civiltà
inoltre è caratterizzata da una base urbana e da un determinato tipo di rapporti tra città e campagna.
Il tipo di economia è strettamente legato al tipo di società. Ad esempio, la società occidentale non ha solo creato la
società industriale ma lungo questa strada si sono create strutture sociali che non avevano riscontro con le società
precedenti e nelle quali la divisione del lavoro ha dato luogo a comportamenti differenti da parte delle singole
componenti.
La mentalità collettiva è costituita da una visione del mondo, da un progetto sociale e politico, e da un sistema di
valori, condivisi da tutte le comunità umane che fanno parte della civiltà, frutto di eredità, credenze, contaminazioni,
inconscio collettivo. Da questo punto di vista, la religione è l'elemento più forte nel cuore delle civiltà: è
contemporaneamente il loro passato e il loro presente.
Quindi la civiltà non si identifica soltanto in base a elementi materiali pertinenti alla società e all'economia, ma anche
e soprattutto in base a elementi spirituali che si manifestano attraverso una comune rappresentazione del mondo;
una rappresentazione dei rapporti esistenziali con la natura, la società e la trascendenza. Sotto questo profilo la
civiltà si distingue per un corredo simbolico di portata generale, che resta relativamente stabile anche di fronte al
mutare della società e dell'economia. La civiltà occidentale, ad es. si distingue non solo per il dinamismo che anima
l'organizzazione economica e sociale, ma anche perché possiede un fondo di simboli e di valori che resistono al
tempo e che riflettono il suo radicamento nella civiltà classica e nel Cristianesimo.
A questo punto si perviene alla copertura geografica (spazio) della civiltà, quarto elemento dotato di rilevanza tale
che Braudel parla di "civiltà come spazi" assumendo quindi lo spazio geografico come componente strutturale della
civiltà. L'argomento può essere affrontato considerando lo spazio denotato e lo spazio connotato. Le due espressioni
sono suggerite dai concetti usati da Eco per studiare la città in chiave semiotica. La denotazione indica la funzione
esercitata da una determinata cosa, ad es. un edificio, mentre la connotazione rimanda al valore, cioè al significato,
attribuito alla cosa come segno, ad es. a quello stesso edificio. In sostanza, lo spazio denotato è assunto nella sua
materialità, mentre lo spazio connotato è assunto come orditura di simboli e di significati. Braudel si occupa dello
spazio denotato, mettendo in evidenza che ogni civiltà è caratterizzata, almeno nella fase iniziale della sua storia, da
determinati legami con l'ambiente geografico (ad esempio, le civiltà fluviali o talassocratiche). Ogni civiltà inoltre è
dotata di una propria capacità di controllare e utilizzare lo spazio attraverso la circolazione e lo sfruttamento delle
risorse naturali (ad esempio, la civiltà araba si è sviluppata grazie alla capacità di attraversare il deserto). Secondo
Toynbee (1934-61) una civiltà si caratterizza proprio per la sua capacità nell’affrontare le sfide della natura. Se ci
trasferiamo allo spazio connotato, possiamo convenire che lo spazio di una civiltà sia costituito dai territori in cui le
comunità umane, almeno quelle che esercitavano una funzione trainante per lo sviluppo della civiltà, condividono un
insieme dei simboli fondamentali e uno stesso sistema di valori, in sostanza una stessa narrazione del mondo, la
quale ispira anche un progetto politico e culturale di ampio respiro. La prospettiva dello spazio connotato non è
conflittuale con la prospettiva dello spazio denotato (non a caso Braudel la definisce mentalità collettiva) ma si
prefigge un obiettivo diverso, che consiste nell'identificare elementi, essenzialmente intellettuali e spirituali, che
sopravvivano al mutare degli elementi materiali e che, grazie a questa proprietà, costituiscano il cuore della civiltà.
La loro importanza invade anche il campo della geopolitica, soprattutto quando ci si proponga di esplorare se e in
quali termini un conflitto politico si traduca in strategie di abbattimento di simboli. L'attuale conflitto tra civiltà
islamica e civiltà occidentale, ad es. è caratterizzato da strategie terroristiche mirate a colpire obiettivi con forte
connotazione simbolica. Nell'epoca contemporanea le connessioni tra cultura e geopolitica si manifestano anche in
altre strategie finalizzate a creare spazi sovranazionali presumendo che si connotino come spazi di civiltà per effetto
della condivisione di simboli e di valori. Ad es., l’attuale conflitto tra civiltà islamica e civiltà occidentale è
caratterizzato da strategie terroristiche mirate a colpire obiettivi con connotazione simbolica. In chiave opposta, ma
utile per capire, il Sudafrica sta cercando di creare uno spazio meso-regionale che si estende fino alla Namibia ma è
un progetto debole proprio per la mancanza di motivazioni culturali che sostengono il progetto egemone.
La rappresentazione geografica convenzionale delle civiltà, quale si trova negli atlanti, si esprime attraverso
l'identificazione di aree di diffusione e di direttrici di espansione di etnie (spesso ridotte alle razze), di lingue e di tipi
di scrittura. Una rappresentazione su base simbolica dovrebbe pervenire a carte geografiche nelle quali siano
indicate le aree contraddistinte da simboli e significati condivisi dalle comunità umane. Le due rappresentazioni non
sarebbero in contraddizione, ma la seconda avrebbe, prima di tutto, la funzione di dare sostanza agli elementi
materiali rappresentati nella prima mettendo in evidenza aspetti spirituali, come i valori cui conducono le religioni,
senza i quali la civiltà sembrerebbe un mero assemblaggio di tecnologia e organizzazione economica e sociale. La
base simbolica renderebbe anche possibile la rappresentazione delle tensioni e dei conflitti tra civiltà. L’Africa, ad
esempio, si caratterizza per la presenza di due campi di valori, la civiltà islamica e quella subsahariana, che entrano in
conflitto contro i valori della società occidentale. La caratterizzazione simbolica dello spazio da parte di una civiltà
non ha mai natura endocentrata, vale a dire non è riferita soltanto allo spazio occupato dalla singola civiltà, ma
comprende anche una propria visione del mondo. Nella concezione islamica, ad esempio, ricorrono due
rappresentazioni parallele: la prima ha per oggetto il mondo musulmano, che è rappresentato in contrapposizione
con il resto del mondo abitato da popoli "altri", che sono gli infedeli; la seconda rappresentazione ha natura
cosmologica e rappresenta la terra al centro dell'universo. La connessione simbolica tra le due rappresentazioni è la
Ka'ba, il santuario nel recinto della moschea della Mecca, che costituisce sia l'elemento di coesione tra i musulmani
sia l'elemento di comunicazione tra terra e cielo.
Consideriamo questo caso di studio che ci permette di capire meglio la rappresentazione simbolica nella
comprensione di una civiltà. L'articolazione interna del mondo musulmano è rappresentata da uno spazio
triangolare, imperniato sulle moschee della Mecca, di Media e di Gerusalemme. Lo spazio possiede un centro
dominante e coordinante, che nel corso della storia di è spostato da Damasco a Baghdad e a Istanbul per finire al
Cairo; è una rappresentazione centrografica del mondo, in cui il fulcro religioso è costituito dal triangolo delle
moschee e il fulcro politico è costituito dalla leadership che, in quel momento storico, è capace di dare unità alle
comunità islamiche. Nella rappresentazione interviene il collegamento con l'esterno, donde subentra la dimensione
cosmologica. Il cosmo è rappresentato come un'unità perché riflette l'unicità di Dio. Questa visione ne giustifica
un'altra, dominata dal valore della coesione: anche i musulmani devono costituire un'unità, che riflette l'unità
cosmica e che riunisce tutti i paesi e tutti i popoli che condividono il Corano. In tal modo essi formano un organismo,
che si differenzia dal resto del mondo e, siccome il resto del mondo è preda dell'occidentalizzazione, si differenzia
soprattutto dal mondo occidentale, e si contrappone al suo processo espansionistico. L'ambiente esterno, il resto del
mondo, è così rappresentato come lo spazio degli infedeli (Figura pag. 281: visione centrografica del mondo
musulmano).
Questa visione del mondo si può mettere a confronto con quella coltivata nella civiltà occidentale, ove il mondo è
rappresentato come l'insieme di un centro, costituito dal continente nordamericano da periferie fortemente
integrate con il centro, da periferie con debole integrazione, e da periferie emarginate (Figura pag. 283: visione del
mondo dalla prospettiva della cultura occidentale, con riferimento agli anni ‘90).
Anche in questa rappresentazione c'è un fulcro, un'area di influenza e un ambiente esterno. Tra le due
rappresentazioni del mondo, islamica e occidentale, non vi sono dunque molte differenze formali, ma ve n'è una,
quella del diverso modo di intendere gli "altri", e di considerare l'ambiente esterno in generale, che possiede una
forte rilevanza culturale. L’esplorazione del concetto etnia appartiene dunque all'Occidente, culla della modernità. È
naturale, dunque che l’esplorazione dei campi tematici della geografia culturale si concluda con i temi
dell’occidentalizzazione, della globalizzazione e della modernizzazione.

Capitolo 10. Cultura, cultura globale.


 10.1 Culture e mondo integrato
Il testo Encyclopedie, opera in 17 volumi del 1772, è una delle espressioni più significative del modo illuminista di
costruire conoscenza secondo ragione e non secondo religione; un modo che nei secoli successivi avrebbe condotto
la scienza verso un cammino di inarrestabile progresso e avrebbe indotto a stabilire uno stretto legame tra la
produzione di conoscenza e la produzione di tecnologie. In quel quadro non nacque soltanto una nuova cultura,
costituita da un poderoso complesso di simboli che conducevano alla metanarrazione del progresso assicurato dalla
ragione, ma si delineò anche un modo nuovo per rappresentare la cultura. Vennero alla ribalta e attrassero
crescente interesse le teorie sulla cultura. La cultura, il cui nocciolo è costituito da rappresentazioni del mondo,
diventava così essa stessa un oggetto di rappresentazione. La concezione illuminista della cultura fu applicata per
rappresentare la cultura di ogni popolo, e tutte le culture del mondo furono rappresentate secondo i criteri della
cultura occidentale: il modo occidentale di rappresentare la cultura assumeva carattere universale. Anche altre
civiltà, come quella islamica, avevano prodotto rappresentazioni del mondo, ma nessuna aveva costruito una scienza
della cultura, vale a dire un apparato di idee che mettessero in discussione come rappresentare il mondo: non aveva
prodotto una rappresentazione della rappresentazione. Da qui la vitalità teoretica, e il potenziale politico,
dell'impostazione occidentale.
Da quel momento presero avvio due processi. Il primo riguardò l'azione e consistette nell'attivare strategie di
espansione politica ed economica da parte delle grandi potenze, come GB, Francia e Germania, paesi che erano
anche il terreno di fecondazione della modernità, come l'esportazione di tecnologie e modelli di organizzazione
economica dal fulcro del mondo occidentale verso il resto del mondo. Il secondo riguardò il pensiero e si risolse nella
diffusione del Razionalismo e delle forme di filosofia, soprattutto il Positivismo, che germinarono nel suo alveo.
Ambedue i processi convergevano nel produrre l'europeizzazione del mondo perchè si irradiavano appunto dalle due
grandi potenze che avevano creato l'Illuminismo (Francia) e la Rivoluzione industriale (GB).
All'inizio del ‘900, abbandonato l’isolazionismo adottato nel 1823 con la dottrina Monroe, gli USA si aprirono alle
relazioni internazionali e subito si affiancarono alle potenze dell'Europa occidentale nel diffondere modelli di
organizzazione economica e sistemi di conoscenza. Da quel momento il mondo occidentale ebbe due fulcri, europeo
e americano: l'europeizzazione del mondo, che aveva preso avvio con l'Illuminismo, si trasformava in
occidentalizzazione.
Superata la Prima Guerra Mondiale, le potenze vincitrici diffusero ideali di tolleranza, coesistenza pacifica e
progresso attraverso la creazione della Società delle Nazioni nel 1919. Con essa si cercò di affermare il principio
dell'universalismo della civiltà occidentale attraverso un'azione politica condotta alla scala globale. La struttura abortì
negli anni '30 quando si rivelò incapace di mettere freno alle dittature che, proprio nel cuore dell'Europa, stavano
disattendendo i principi che avevano dato vita all'occidentalizzazione del mondo. Nel 1945 con la creazione
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'universalismo riprese vigore e assunse connotati ideologici più estesi. La
nuova struttura avrebbe dovuto non soltanto garantire condizioni di pace, ma anche favorire lo sviluppo economico
e sociale e l'avanzamento culturale del mondo.
In quel momento v'era un diffuso consenso nel ritenere che gli obiettivi sarebbero stati raggiunti soltanto
esportando modelli di vita occidentali, soprattutto statunitensi, nel resto del mondo. Alla fine del ‘900
l'occidentalizzazione del mondo subì una brusca accelerazione attraverso l'uso di tecnologie di mondializzazione e di
strategie di globalizzazione. I conseguenti contrasti tra mondo occidentale e paesi in via di sviluppo, provocati da
questi processi, non hanno avuto soltanto rilevanza economica ma sono stati motivati anche dalla difesa di identità
culturali e di civiltà che si sentivano minacciate dalla diffusione di modelli standardizzati di produzione e di consumo,
in una parola da schemi precostituiti di vita sociale. Le tensioni, dunque, hanno chiamato in causa i rapporti tra la
civiltà occidentale e le altre civiltà.
Possiamo asserire che tra la metà del ‘700 e l'inizio del ‘900 si sia dispiegata l'europeizzazione del mondo, che in
seguito e fino all'ultimo scorcio del ‘900 questo processo si sia trasformato in occidentalizzazione e che dall'ultimo
decennio del secolo si sia ammantato di globalizzazione.
Schema pag. 289: europeizzazione, occidentalizzazione, globalizzazione: proposta di discorso.
Società moderna fine ‘700-fine ‘900
Europeizzazione Occidentalizzazione Globalizzazione
1790-1915 1915-1990 1990
Metanarrazione del Elevazione intellettuale Sviluppo economico Sviluppo sostenibile
progresso
Mondo visto da Occidente Europa al centro del Polo occidentale Occidente e Islam
mondo Polo comunista
Fattore di diversificazione Forma di pensiero Modello di economia Forma di cultura
del mondo
Società postmoderna da fine ‘900

 10.2 Tempo storia stadi


Nella seconda metà del ‘700 si era diffusa l’idea la consapevolezza che lo spirito dei Lumi potesse cambiare il mondo.
Tre rivoluzioni, affini a quello spirito, stavano producendo effetti sconvolgenti:
 1775, Rivoluzione americana, la quale aveva dato vita a una società ispirata alla visione illuminista che
avrebbe convertito gli USA nel secondo polo occidentale, dopo l’Europa;
 1789, Rivoluzione francese, anch’essa generatrice di una società illuminista in cui stava prevalendo anche
l’approccio razionalista, dalla scienza all’organizzazione statale;
 1760-1780, Rivoluzione industriale, insorta in GB. Essa sarebbe stata la porta per le correnti di pensiero
sostenute dal razionalismo.
In quel periodo si riteneva che il mondo si stesse avvicinando alla modernità: una fase sostenuta da un pensiero
radicalmente diverso da quello classico perché si sarebbe ispirata a nuove visioni del mondo. Ci si interrogava sul
senso delle fasi che il mondo aveva attraversato prima della modernità, per capire se queste avessero anticipato o
preparato tutto ciò. Nel ‘700 infatti aveva preso avvio la costruzione di rappresentazioni stadiali della storia. All’inizio
del secolo Vico aveva scritto Scientia Nova prima (1725) Scientia Nova seconda (1730), opere attraverso le quali
l’autore aveva rappresentato la storia umana come il frutto della successione di tre età: età degli dei, la cui cultura
era dominata da miti religiosi primitivi; età degli eroi, la cui fisionomia era dovuta all'impronta di grandi personalità,
come quelle dell'antichità classica; età delle nazioni, la cui cultura era sostenuta dalla creazione di grandi sistemi di
pensiero e dallo sviluppo del diritto. Un secolo dopo, mediante l’opera Lineamenti di filosofia del diritto (1821), Hegel
aveva rappresentato l'umanità in marcia lungo un cammino di progresso, destinato a condurre le nazioni europee a
dominare il mondo. Quest'idea sostenne la visione di Marx e Engels, i quali nel Manifesto del partito comunista
(1848), rappresentavano l'umanità ancora in marcia lungo un itinerario di progresso, nel quale i protagonisti non
erano più le nazioni ma le classi sociali. Secondo quel modello, allo stadio feudale, dominato dalla nobiltà e dal clero,
era succeduto lo stadio della borghesia e in quel momento stava emergendo il terzo stadio che avrebbe condotto al
trionfo del proletariato.
Schema pag. 292: visioni evolutive del mondo, prodotte nella cultura occidentale moderna.
Europeizzazione Occidentalizzazione
1934
Studi eo, paleo e
neo-tecnico
(Mumford)
1915
Stadi paleo e neo-
tecnico (Geddes)
1848
stadi prodotti dalla
dinamica delle classi
(Marx, Engels)
1821
Stadi prodotti dalla
dinamica delle
nazioni (Hegel)
1725-1730
Età degli dei, degli
eroi, delle nazioni
(Vico)

Le rappresentazioni stadiali della storia dell'umanità proseguirono nella seconda metà dell'800 e per buona parte del
‘900. Queste visioni sono rilevanti anche dalla prospettiva della geografia culturale perché ci offrono il modo di
contestualizzare il discorso sui processi globali innestandoli in quadri di ampio respiro, nei quali si possono
individuare percorsi lunghi che affondano nell'antichità classica e si possono compiere passi per comprendere dove
stanno conducendo i processi dei giorni nostri. Claval, nei suoi fondamenti della geografia culturale (2003), presenta
un modello articolato su quattro stadi: una prima fase caratterizzata dalle culture dei raccoglitori e dei cacciatori;
una seconda fase condusse dalle culture senza scrittura fino alle grandi civiltà storiche; la terza fase è costituita
dalla società moderna; mentre la quarta fase dalla società postindustriale e dalle culture postmoderne.
È interessante concentrarsi sulle fasi che hanno segnato il passaggio da uno stadio all'altro per scandagliare come
avvenga la sostituzione di simboli e di significati nel passaggio tra differenti visioni del mondo. Il passaggio è un
momento di grande intensità culturale, una finestra dalla quale si può gettare lo sguardo su simboli che decadono, su
altri che insorgono, su narrazioni che perdono rilevanza e su altre che emergono, affascinano, si impongono e si
diffondono. Dunque, la fase di svolta innescata dall'Illuminismo è stata preceduta da altre tre svolte, in cui il sistema
dei simboli è cambiato radicalmente: la nascita della rappresentazione mitica, la nascita del discorso simbolico e la
nascita del discorso teologico.
Schema pag. 294: stadi storici, identificati in rapporto alla costruzione di simboli.
17.000 anni da 9.000 anni fa 5.000 anni fa 4.000 anni fa ‘700
Rappresentazione Rappresentazione Avvento della Debutto del discorso Rappresentazione
mitica simbolica scrittura teologico moderna
Culture di cacciatori Culture neolitiche Culture urbane Cultura monoteista: Cultura scientifica:
e raccoglitori ebraismo razionalismo
Media: amigdala Media: pitture Media: forme Media: come prima Media: come prima+
pietra scheggiata rupestri, sculture neolitiche + la trasmissione della
ceramica decorata scrittura voce e delle
immagini

1) La nascita della rappresentazione mitica, propria delle comunità di cacciatori e raccoglitori, è avvenuta nel
Paleolitico, tra 20.000 e 15.000 anni fa, proprio mentre si stava esaurendo l'ultima fase glaciale. Ne è stato
protagonista l'homo sapiens sapiens, che ha dato luogo alla prima colonizzazione del pianeta. Le pitture rupestri, in
cui compaiono animali e scene di caccia, mostrano l'esistenza umana in rapporto conflittuale con la natura, mentre
l'abbondanza di statuette con raffigurazioni femminili denota come i rapporti sociali fossero basati sull'idea della
sacralità femminile e sull'esaltazione della fertilità. La rappresentazione del mondo aveva natura mitica. Ries spiega
che vi erano: miti cosmogonici che mettevano in scena le acque primordiali e il Creatore, quest'ultimo simboleggiato
da una figura antropomorfa o da un animale acquatico; miti e riti relativi all'ascensione al cielo; miti e simboli
dell'arcobaleno e della sua replica terrestre, cioè il punto che collega con l'altro mondo; miti dell'origine dell'acqua e
del fuoco.
2) La nascita del discorso simbolico e delle comunità di agricoltori e allevatori ebbe luogo all'incirca 10.000 anni or
sono segnando l'avvento della civiltà neolitica, ha generato cambiamenti che, in quanto a portata, possono essere
paragonati soltanto a quelli della Rivoluzione industriale. L'invenzione delle tecniche di dissodamento del suolo e di
coltivazione, insieme a quelle dell'allevamento, condusse all'insediamento stabile, che con il tempo fece approdare
alla creazione della città e alla cultura urbana. La donna, avendo parte essenziale nella coltivazione e
nell'allevamento, e per di più avendo cura dell'abitazione, divenne il perno di un nucleo sociale stabile, qual era la
famiglia, che si avvaleva di una base economica ben localizzata sul territorio. Quella svolta nella condizione
femminile si ammantò di manifestazioni simboliche e di un ampio corredo di riti iniziatici, come la teogamia, secondo
cui si ritenne che gli Dei si unissero sessualmente a donne prescelte per generare i capi, e come la diffusione di
società segrete riservate ai maschi. La pregnanza culturale del Neolitico è attestata dà segni di straordinario impatto
culturale, dalle tombe ai villaggi, per finire ai complessi megalitici, ma le connotazioni più rilevanti di quella svolta
consistono nella rappresentazione mitica del mondo e nell'introduzione della scrittura.
La rappresentazione mitica si espresse attraverso forme di religione cosmica che portavano a disegnare un mondo
che si rinnovava periodicamente: al centro del mondo perveniva l'albero cosmico per cui il tempo era inteso come
uno sviluppo circolare attorno all'albero. Da qui è derivata probabilmente l'idea di ciclo, un archetipo che non ha mai
abbandonato le immaginazioni del rapporto tra l'esistenza umana e la realtà esterna. La vegetazione, infatti, dà
luogo a un ciclo in cui semina, crescita e raccolto si succedono senza interruzione e, nella visione mitica, quel ciclo si
rifletteva nel mondo, rappresentato anch'esso come una realtà che segue un percorso circolare. Regolando ogni
cosa, il cosmo costituiva l'elemento sacrale dell'esistenza umana, e il villaggio, che attraverso le coltivazioni e
l'allevamento regolava lo spazio circostante, era la riproduzione terrestre del cosmo. La rappresentazione, dunque si
basava su due chiavi di lettura, il cerchio che conduce verso un rinnovamento perenne, e l'organizzazione dello
spazio che imita l'organizzazione del cosmo: immagini positive, la prima riferita al tempo e la seconda allo spazio, che
infondevano fiducia nella vita e fede in entità che dall'alto vegliavano su ogni cosa.
L'introduzione della scrittura non soltanto condusse la creazione di simboli alle sue più alte espressioni, ma rese
possibile anche l'ideazione di insieme di simboli legati tra loro, pervenendo così a configurare un ordine.
Schema pag. 296: principali sistemi di scrittura.
Sistemi di scrittura
Pittogrammi
Logografico Sillabico Alfabetico
Primo Geroglifico Cinese Ultimo Cherokee Arabo Latino Cirillico
sumero sumero
cuneiforme cuneiforme

Il primo tipo di scrittura fu logografico, in cui le singole parole vennero rappresentate da simboli separati, per lo più
su base pittorica, denotando così i legami tra le rappresentazioni simboliche delle pitture rupestri del Paleolitico e le
rappresentazioni neolitiche, impresse sugli utensili e sulle dimore (scrittura sumera 3000 a.C., geroglifici egiziani
3000 a.C., cinese moderno 2000 a.C.). Seguirono la scrittura sillabica, in cui i simboli rappresentano sillabe, come
accade nella scrittura sumera più avanzata, e poi la scrittura alfabetica, in cui i simboli rappresentano unità di suono,
o fonemi. Vi appartengono i sistemi di scrittura arabo, latino, cirillico, greco. La connotazione simbolica della scrittura
è espressa da caratteristiche con alta caratura culturale. Foucault ricorda come la direzione della scrittura, palese
motivo di differenziazione culturale, non fu un mero fatto formale ma derivò dal manifestarsi di differenti immagini
del mondo: i popoli che presero a scrivere da destra e sinistra, come ebrei e arabi, volevano indicare il corso e il
moto giornaliero del "primo cielo", cioè la parte esterna del cielo, dove sta il motore che imprime movimento al
cosmo (Aristotele); i popoli che scrivevano da sinistra a destra, come georgiani e greci, volevano collegarsi al
"secondo cielo", la parte più interna del cielo dove ruotano i pianeti; i popoli che adottarono la scrittura dall'alto in
basso, come cinesi e giapponesi, vollero rappresentare l'armonia con la natura, che ha la testa in alto e i piedi in
basso; altri popoli, come i messicani, presero a scrivere non soltanto dal basso all'alto ma anche secondo linee spirali
per ricollegarsi al corso del sole durante l'anno, rimandando così all'idea di ciclo.
3) La nascita del discorso teologico fu causata dall'esordio della concezione monoteista del trascendente, che diede
vita a un universo simbolico dotato di un eccezionale impatto esistenziale perché era rivelato da un ente, capace di
distruggere o di salvare il mondo: ora simboli di castigo da parte di un Dio inflessibile (Ebraismo), ora simboli di
comprensione e di salvezza (Cristianesimo), ora simboli di unità nell'obbedienza (Islamismo). Dal discorso mitico si
passò così al discorso teologico. Le tre religioni monoteiste ripongono in Abramo, quindi in un periodo collocabile tra
il 2000 e il 1800 a.C., l'avvio di questa concezione. Partendo da questa base, il Cristianesimo ha impresso la svolta
che, dopo molti secoli, ha condotto alla civiltà occidentale. Mezzo millennio più tardi, la religione islamica ha creato
una base di civiltà che, almeno per estensione geografica, è la sola che possa competere con la civiltà occidentale.
Nell'ambito dell'Occidente, la rappresentazione ha proceduto secondo visioni ternarie fino all'avvento della
modernità: un triangolo a tre vertici dove si dispongono Dio, lo Spirito Santo e Gesù Cristo. Siccome il significato
ultimo è la parola di Dio, che si riflette sulla natura, il segno deve riflettere la realtà e deve semplicemente
comprenderla facendo riferimento alla rivelazione: Focault lo definisce un segno stigmate. È un poderoso sistema di
produzione di cultura.

 10.3 Modernità, europeizzazione


Riguardo alla nascita della modernità possiamo rievocare le esposizioni universali, iniziate nel 1851 con quella del
Crystal Palace di Londra e proseguite per tutto l'800 e il ‘900. Erano al tempo stesso lo strumento di esibizione della
modernità e lo specchio nel quale la modernità si rifletteva e si contemplava. Queste manifestazioni, come quella
memorabile di Parigi del 1889, organizzata per celebrare il centenario della Rivoluzione francese e accompagnata
dall'inaugurazione della Torre Eiffel, esibivano i progressi della tecnica e dell'arte: famosi erano i saloni delle
macchine, ove le innovazioni più importanti, dalle locomotive agli strumenti di comunicazione, come il telegrafo,
erano esposti come i segni di un progresso inarrestabile. Esibivano non soltanto progresso e potere, ma anche la
visione del mondo, nei termini in cui era stata prefigurata un secolo prima grazie al protagonismo intellettuale degli
illuministi: un mondo che, grazie alla fede nella scienza e all'uso della ragione, sarebbe stato capace di affrontare con
successo ogni problema e avrebbe condotto l'umanità verso un continuo miglioramento delle proprie condizioni di
vita. Nel 1900, all'esposizione di Parigi che apriva il nuovo millennio, era esposto un gigantesco globo, creato da
Villard-Cotard. Gregory (1994) lo considera come un simbolo molto indicativo del modo moderno di vedere il mondo
come esibizione, in netto contrasto con il modo classico di rappresentare il mondo come riproduzione della realtà.
Qui troviamo la prima connotazione simbolica della modernità, che Heidegger ha così descritto in Sentieri Interrotti
(1968): il mondo rappresentato dalla società moderna a propria immagine, dopo che per molti secoli era stato
rappresentato a immagine di Dio. Secondo Heidegger, il modo moderno di costruire conoscenza fece perdere senso
all'immagine del mondo condivisa nel passato, durante i secoli della premodernità, e il mondo cominciò a essere
concepito come un'immagine. Heidegger scrive: "è il costituirsi del mondo a immagine ciò che distingue e
caratterizza il Mondo Moderno". Rappresentare, ricorda Heidegger, vuol dire "porre innanzi", significa rapportare la
realtà a sé, cioè al rappresentante. In questo rapporto, la realtà è ricondotta al soggetto e il soggetto è inteso come il
principio di ogni misura. In ciò sta la grandezza della modernità, che consiste essenzialmente nella capacità di
"ridurre" la conoscenza della realtà alla volontà del soggetto e di fare della conoscenza, cioè degli insiemi dei
significati attribuiti alla rappresentazione, un formidabile strumento di potere.
L'uomo disposto al centro del mondo e il mondo disegnato a immagine dell'uomo costituiscono, dunque, una
profonda manifestazione del modo moderno di creare simboli. A questa se ne è aggiunta un'altra, consistita nel
sostituire simboli che riflettevano la realtà con altri che rappresentavano l'ordine che c'è nella realtà. Il passaggio,
che costituisce uno dei motivi chiave del saggio di Foucault, Le parole e le cose (1967), ha causato l'abbandono del
modo premoderno di rappresentare la realtà attraverso segni che la imitassero, e così facendo la riflettessero
(Foucault parla di ressemblance, somiglianza) e la comprendessero. La modernità ha condotto invece a scandagliare
la realtà per scoprire l'ordine che vi è nascosto, vale a dire le leggi che governano il mondo. Secondo questa
impostazione, una volta scoperta la legge, la rappresentazione si trasforma in un modello della realtà, e questo
modello diventa la base di partenza per costruire spiegazioni e teorie, e per produrre le narrazioni della modernità.
Con l'avvento della modernità assistiamo dunque a un profondo cambiamento nel modo di costruire conoscenza:
prima v'era una conoscenza ternaria, che partiva dalla realtà, si esprimeva in rappresentazioni riflettenti la realtà e
approdava a significati; ora interviene una conoscenza binaria, dove si parte da rappresentazioni (come sistemi di
simboli) e si giunge a deduzioni di vario genere, soprattutto a teorie. Le capacità di scoprire l'ordine nella realtà
deriva dal rappresentarla in base al principio di causalità e di trovare le relazioni che intercorrono tra gli elementi-
causa e gli elementi-effetto. La rappresentazione del mondo come un universo di elementi legati da relazioni causali
è stata quindi la seconda connotazione simbolica della modernità.
Questo modo di costruire rappresentazioni ha sostenuto le strategie della scienza sicché la conoscenza scientifica –
basata sul principio di causalità – è stata la sola a dare un senso all'uomo moderno. L'arte e la religione, che nella
premodernità avevano avuto un peso essenziale nel produrre conoscenza, sono state emarginate: la spiegazione,
frutto della scienza, ha avuto il primato sulla rivelazione, propria della religione, e sull'intuizione, propria dell'arte. Il
primato della scienza sulla religione e sull'arte fu dunque la terza connotazione simbolica della modernità. Tempo e
spazio sono stati anch'essi "spiegati", vale a dire sono stati rappresentati in termini tali da mettere in evidenza
l'ordine che si cela nel disporsi delle cose lungo traiettorie temporali e sulla superficie terrestre. Per quanto riguarda
il tempo, la storia è rappresentata come una sequenza di fatti e di eventi che risponde a una propria legge e che
conduce a livelli sempre più elevati di progresso. Il finalismo, proprio del pensiero premoderno ispirato dalla
religione, secondo cui l'obiettivo finale della creazione è la redenzione dell'uomo e la sua unione in Dio, è stato
sostituito dal principio laico del progresso. Lo spazio, inteso come superficie terrestre, è stato concepito come il
teatro dove si manifestano i segni che conducono al progresso. La storia come cammino diretto verso un traguardo
di progresso, traguardo certo perchè costruito secondo ragione, e lo spazio geografico come teatro in cui si
materializza questo cammino progressivo, sono stati quindi la quarta connotazione simbolica della modernità.

 10.4 Modernità, occidentalizzazione


Fino alla fine dell'800 la modernità ha alimentato un processo di europeizzazione del mondo. Alla fine del secolo si è
entrati in una nuova dimensione, quella dell'occidentalizzazione, determinata dall'affiancamento degli USA
all'Europa nel costruire simboli e narrazioni di modernità, e lo hanno fatto con un protagonismo crescente,
esportando modelli di organizzazione economica e di comportamento individuale che hanno avuto successo
ovunque, salvo nei contesti dominati dall'Integralismo musulmano. Nell'avviare il discorso sulla modernità espressa
attraverso l'europeizzazione è stata evocata l’immagine dell’esposizione universale; ora, parlando di
occidentalizzazione, possiamo attribuire al grattacielo la funzione di simbolo chiave. Si noti come la corsa alla
compressione è forse il connotato simbolicamente più espressivo dell'occidentalizzazione, ad esempio il paesaggio di
Chicago ricostruito dopo l’incendio è costruito su base ortogonale e una forte verticalizzazione, due simboli, che
insieme alla fabbrica fordiana, mostrano una società volta comprimere il tempo nello spazio.

 10.5 Mondializzazione, globalizzazione


Come è sfociata l'occidentalizzazione nella globalizzazione? Nel 1966, per la prima volta nella storia del trasporto
atlantico, tra l'Europa Occidentale e le sponde orientali degli USA debuttarono le prime rotte atlantiche per
contenitori e la competizione tra le grandi compagnie di navigazione per la conquista di quel nuovo mercato fu tanto
accesa che quelle vicende sarebbero state ricordate come "la battaglia dell'Atlantico". Quella scena era la
rappresentazione di uno dei processi materiali più incisivi per condurre alla globalizzazione: essendo concepiti con
dimensioni e caratteristiche funzionali standard, i contenitori sono diventati infatti lo strumento attraverso il quale i
trasporti di prodotto finiti sono stati uniformati sull'intera superficie terrestre, in mare e sulla terraferma. Sono stati
dunque una delle condizioni essenziali per l'avvento della globalizzazione, tappa odierna dell'occidentalizzazione del
mondo.
Per approfondire il discorso sulle connotazioni culturali di questa tappa è opportuno distinguere gli strumenti di cui
si avvale la globalizzazione dalle strategie attraverso cui si esprime, i primi essendo costituiti da reti globali di
comunicazione e trasporto, le seconde essendo costituite dalle politiche e dai processi di diffusione di modi
standardizzati di produrre, distribuire e consumare, e di modelli di comportamento individuale e sociale. Seguendo la
terminologia adottata nella geo francese (Claval), si potrebbe parlare di mondializzazione nel primo caso e di
globalizzazione nel secondo.
Il debutto delle reti globali risale all'800 quando fu creata una tessitura d cavi telegrafici che rapidamente avvolse la
maggior parte del mondo, che proseguì con l'invenzione e l'uso delle comunicazioni radiofoniche e, a metà del ‘900,
con la posa di cavi telefonici che non tardarono a formare una rete attorno al mondo. La sequenza di quegli eventi,
che si è dispiegata per circa un secolo, è stata una sorta di fase preparatoria al decollo della mondializzazione
matura. Questo iniziò negli anni Settanta con il lancio di satelliti per telecomunicazioni, che in poco tempo hanno
formato una rete planetaria, e con l'avvento di itinerari circumplanetari di contenitori, serviti da navi che si spostano
senza posa da un oceano all'altro e da treni che collegano i versanti opposti dei continenti. La configurazione attuale
della mondializzazione poggia dunque sull'avvento della circolazione delle informazioni imperniata su satelliti e su
quello della circolazione di merci affidate ai contenitori. La contemporanea espansione del trasporto aereo a basso
costo sull'intero globo – il Boeing 747, simbolo di questo profondo avanzamento, debuttò all'alba degli anni Settanta
– completa il quadro. Negli anni Ottanta inoltrati è seguita la rete planetaria dei cavi a fibre ottiche che, poggiando su
una fitta intelaiatura deposta sui fondi marini e avendo costi molto bassi, oggigiorno smaltisce il 70% della
trasmissione di banche dati. Negli anni Novanta la tecnologia Internet è stata estesa dal campo militare a quello
civile, dando luogo a reti globali che includono satelliti, televisori, computer e telefoni (Immagine pag. 302:
organizzazione della rete Internet, secondo l’United Nations Development Programme).
Il nostro secolo si è presentato quindi con una mondializzazione certamente imperfetta, in quanto possiede ancora
grandi potenzialità da attualizzare, ma comunque ben definita nel suo disegno d'insieme. É un apparato lontano dal
produrre effetti uniformi sull'intero spazio terrestre, ma capace piuttosto di creare nuovi modi di differenziazione
spaziale almeno per due motivi: perchè l'accesso alle reti differisce a seconda dei paesi, e perchè la reattività di
fronte all'opportunità di usare reti globali è molto diversa a seconda delle comunità umane e quindi a seconda delle
regioni e dei luoghi.
La mondializzazione è costituita da un sistema di tecnologie che rendono possibile il movimento di cose, persone,
informazioni, mentre la globalizzazione è costituita da strategie. Tra i due processi si è creata una relazione circolare,
in cui la globalizzazione (strategie) imprime sviluppi alla mondializzazione (reti), e la seconda offre strumenti che
incoraggiano il rafforzamento e l'espansione della prima. Ambedue presentano anche analogie in quanto a radici
storiche. É evidente che la mondializzazione è l'espressione più recente di un complesso di processi di espansione
tecnologica, avviati con la Rivoluzione industriale, così come è evidente che la globalizzazione è il prodotto più
recente della realizzazione dei principi di universalismo radicati nel pensiero dei Lumi.
Ad esempio, i blue jeans sono un simbolo della manifestazione della globalizzazione con evidente connotazione
simbolica, perchè costituisce un modo di abbigliarsi e di porsi che sta diventando comune a tutte le genti (pur
essendo stato in origine un capo indossato dai lavoratori portuali di Genova). Hannerz sostiene che l'idea di
globalizzazione ha radici nel concetto geografico di ecumene che nell'antica Grecia fu appunto usato per indicare il
complesso delle terre emerse conosciute e abitate.
"Ecumene", infatti, porta ad alludere all'interconnessione del mondo che avviene per mezzo di interazioni, scambi e
sviluppi correlati, riguardando anche l'organizzazione della cultura per cui possiede una notevole carica simbolica,
che tra l'altro ci consente di non confondere la globalizzazione con l'idea di "villaggio globale" che Marshall McLuhan
introdusse nel 1964. Il "villaggio globale" ci porta a immaginare la creazione di una sorta di idillio alla scala globale,
mentre la globalizzazione ci conduce alla mera idea di interconnessione, non ammantandola di alcun valore
specifico: l'interconnessione può condurre alla creazione di insiemi organici e unitari, ma può anche affondare in un
mare di conflitti tra gli elementi che entrano in gioco. Due prospettive che contrassegnano proprio l'epoca
contemporanea.
Hannerz è dell'opinione che dal punto di vista dell'antropologia culturale la globalizzazione consista in
un'interconnessione tra le genti e tra i luoghi; interconnessione che cresce di intensità e, nello stesso tempo, si
diffonde, assumendo così manifestazioni fortemente transnazionali. La prospettiva della sociologia conduce a un
disegno concettuale non molto diverso. Lo si può constatare leggendo Tomlinson, secondo il quale la globalizzazione
sottende così intensamente l'idea di rete di relazioni che si dovrebbe parlare più propriamente di "connettività
complessa", in modo da riferirsi esplicitamente "al rapido sviluppo e al costante infittimento della rete delle
interconnessioni e interdipendenze che caratterizzano la vita sociale moderna". In questa visione la globalizzazione
potrebbe essere rappresentata come una tessitura di interconnessioni che si sviluppano alla scala globale, o che a
questa scala tendono.
In generale, i discorsi sulla globalizzazione presuppongono che essa costituisca una manifestazione, addirittura la
manifestazione, della postmodernità. Giddens (1994), allineandosi alle impostazioni geografiche di Harvey, sostiene
che non vi sia stato un passaggio dalla modernità alla postmodernità, e che quindi non esista una postmodernità.
Muovendo da questa base, la globalizzazione è vista come una mera creazione e diffusione di relazioni sociali alla
scala mondiale in un quadro di galoppante modernità. La sua essenza sta nel fatto che queste relazioni "collegano tra
loro località distanti, facendo sì che gli eventi locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di
chilometri di distanza e viceversa". La disponibilità di reti globali di comunicazione e di trasmissione di informazioni
(mondializzazione) fa sì che impulsi si trasmettano da un luogo all'altro, anche a distanze notevoli, trascendendo
quindi le modalità di trasmissione che avvengono per continuità spaziale, proprie della società anteriore alla
globalizzazione.
Le immagini della globalizzazione di Hannerz, Tomlinson e Giddens si differenziano per la prospettiva da cui
muovono e per il tipo di processi ai quali è attribuita una funzione chiave, ma convergono nel ritenere che l'essenza
della globalizzazione consista nel creare interazione tra persone e tra comunità, tra luoghi e tra spazi. Il traguardo di
questo processo polidimensionale – economico, sociale, culturale – è la trasformazione del mondo in un "luogo
unificato", inteso come una realtà sociale e culturale unica. Questo concetto è soprattutto sostenuto da Tomlinson, il
quale ammette che non esiste una relazione di causa ed effetto tra globalizzazione – che egli chiama "connettività
complessa" – e la creazione di un'"unicità globale" del mondo, ma è comunque incline a ritenere che in qualche
modo il primo processo conduca a un traguardo del genere. Se si condivide questa impostazione, si potrebbe
dedurre che la globalizzazione crea rischi crescenti per la diversità culturale (un concetto ampiamente argomentato
dall’United Nations Development Programme - UNDP). Giddens pone attenzione alla dimensione spaziale della
globalizzazione, per effetto della quale la distanza tra i luoghi è annullata e sostituita dalla prossimità, donde da un
concetto fisico di distanza si passa a un concetto sociale, qual è quello di prossimità, ricco di implicazioni culturali. È
questo il risultato finale cui conduce la compressione del tempo nello spazio, propria della modernità, ed è da questo
che si può partire per esplorare le conseguenze che si producono sulle culture.

 10.6 Globalizzazione e diversità


A questo proposito appare appropriata la distinzione di Tomlinson tra villaggio globale e vicinato globale. Il primo
denota la formazione di una rete di relazioni alla scala globale generata dall'intensificarsi e dal diffondersi dei mezzi
di comunicazione e di informazione, mentre il concetto di vicinato globale denota l'emergere di un contesto globale,
che prima di tutto è politico ma che è anche e sostanzialmente sociale e, come tale, genera conseguenze culturali. La
globalizzazione non consiste solo in un'intensificazione di scambi materiali e di relazioni, sociali e politiche, realizzata
aumentando la connettività, ma anche e soprattutto in un'intensificazione di scambi culturali, che hanno a che fare
con simboli e significati. Anzi, il vicinato globale, vale a dire la globalizzazione, si basa prima di tutto su scambi
culturali giacché le relazioni sociali e politiche presuppongono l'esistenza di valori attribuiti a cose e luoghi. In questo
quadro il singolo individuo e la singola comunità umana si sentono una realtà locale ma al tempo stesso avvertono di
partecipare a qualcosa che sta al di fuori della propria realtà. Riprendendo il pensiero di Giddens e di Tomlinson si
può pensare a una simultanea situazione esistenziale di essere-in e di essere-altrove.
Partendo da questo punto emerge che, rispetto alle condizioni del passato, la globalizzazione provoca innanzitutto
cambiamenti nel modo di trasmissione della cultura. Da geografi non si può radicalizzare la tesi di Tomlinson (2001)
secondo la quale nella condizione passata la cultura era connessa ad una località fissa; diversamente, oggi assistiamo
allo spezzarsi del legame tra cultura e spazio, circostanza che "indebolisce l'idea che cultura e località fissa vadano
originariamente insieme". In realtà, la cultura si è sempre spostata, ma oggi sono presenti due differenze sostanziali
rispetto al passato:
1) per molto tempo, la trasmigrazione e la diffusione di simboli e significati è avvenuta come conseguenza dello
spostamento di gruppi umani o di sollecitazioni provocate dalla comunicazione cartacea, quindi, è avvenuta secondo
veicoli che possedevano una loro fisicità; ora, questa diffusione avviene anche e soprattutto attraverso simboli e
significati che si muovono in un mondo virtuale, in un cyberspazio;
2) in passato il movimento era più o meno lento, mentre oggi avviene in tempi molto rapidi, addirittura istantanei, e
la mobilità delle persone, inoltre, è eccezionalmente più elevata che in passato.

Emergono dunque 2 modelli, rispettivamente connessi ai due tipi di trasmissione, fisica e virtuale:
 nel primo modello due complessi di simboli e di significati vengono a contatto per effetto di
un'immigrazione di persone oppure della trasmissione di messaggi, veicolati ad esempio attraverso un libro
di successo o una campagna pubblicitaria; il luogo donde è partito l'impulso non subirà alcuna influenza,
mentre il luogo di arrivo sarà variamente influenzato. Se i messaggi sono veicolati da immigrati, il luogo di
destinazione si trasforma addirittura in un luogo multiculturale e probabilmente si formeranno eterotopie;
 nel secondo modello v'è un universo di simboli e di significati che galleggia in uno spazio virtuale, al di
sopra dei luoghi di origine e di destinazione dell'impulso. Da questo universo i luoghi possono attingere
simboli in apparente autonomia, ma nella sostanza vi attingono nei termini ideati da operatori virtuali, veri
e propri registi della globalizzazione perché organizzano l'universo dei simboli in rapporto alle loro
strategie. Ad esempio, se si vuole diffondere l’idea che la religione musulmana non sia basata sulla
discriminazione del mondo su base religiosa, in Internet si troveranno documenti e informazioni
(imperniati su significati e simboli) che esaltano le caratteristiche di questa religione. La posizione
geografica del sito generatore diventa irrilevante agli effetti della strategia di persuasione. Non esistono
neppure luoghi prefigurati di destinazione, anche se il messaggio ha un obiettivo riferito a un determinato
comparto geografico del mondo. Gli utenti di Internet accedono al sito se lo vogliono, oppure lo fanno
casualmente, ma in ambedue i casi vengono a contatto con simboli che galleggiano in un oceano virtuale di
informazioni e messaggi.
Sotto questo profilo, la globalizzazione può essere immaginata come un insieme di rappresentazioni, vale a dire di
segni e di simboli, in cui esistono luoghi certi di partenza e luoghi potenziali di destinazione all'interno di un gioco di
comunicazione simbolica attivato da un regista virtuale. Le strategie di globalizzazione provocano l'innesto di simboli
e di significati nuovi, a contenuto universale, in un quadro di simboli e significati consolidati nei singoli. L'innesto
provoca l'interazione tra simboli disseminati attraverso spazi virtuali e simboli che le singole comunità hanno
costruito nel corso della loro storia. Per il geografo ha ovviamente rilevanza l'interazione tra simboli consolidati e
simboli importati che si riferiscono a luoghi e spazi poiché, se i secondi prevalgono sui primi, mutano i valori attribuiti
al territorio. Il risultato ultimo di questo processo può consistere in mutamenti delle nostre esperienze del mondo,
che si risolvono nel modo con cui rappresentiamo le nostre relazioni con la natura, la società e la trascendenza.
Tomlinson (2001) sottolinea che nell'interconnettività complessa, cioè nella globalizzazione, il "globale" diventa
sempre più l'orizzonte culturale nel quale noi incastoniamo la nostra esistenza. Pertanto, la penetrazione delle
località dovuta alla connettività produce un duplice effetto: da un lato dissolve le sicurezze della località, dall'altro
offre l'opportunità di interpretare l'esperienza in termini più ampi, sostanzialmente globali. Allora, emerge la tesi di
Andreotti, secondo la quale, almeno in linea di principio, la globalizzazione ha una funzione negativa nei riguardi
della cultura connaturata ai paesaggi, soprattutto perché è in grado di distruggerne la componente spirituale, che è
la loro eredità con più ricco contenuto simbolico. In ogni caso, nell'ambiente urbano si innestano elementi
dipendenti dalla connettività prodotta da nuovi sistemi di comunicazione e vengono alla ribalta nuove forme di
paesaggio, tali da far ritenere che la trasmissione e la diffusione di simboli potrebbe effettivamente far declinare la
possibilità di identificare aree culturali e potrebbe far emergere realtà meno strutturate e culturalmente dinamiche.
Conclude Hannerz (2001) che al giorno d'oggi si stanno diffondendo habitat culturali, che sono qualcosa di più
indistinto di un'area culturale, perché sono spazi non omogenei sia linguisticamente sia per valori di vita, quindi non
ben strutturati. Essi sarebbero la manifestazione, alla scala locale, dell'ecumene realizzato dalla globalizzazione e
consistente in un universo virtuale di simboli dalla fisionomia magmatica.
Queste visioni ci devono ricordare che la globalizzazione è la manifestazione di un processo iniziato con l’Illuminismo
e dunque conseguenza finale di strategie di europeizzazione sviluppatesi nell’800 e poi tramutate in strategie di
occidentalizzazione nel secolo successivo. L'essenza più profonda dei simboli e dei significati fatti circolare dalla
globalizzazione risiede, infatti, nella fede nel progresso realizzato attraverso processi di razionalizzazione del
pensiero e della società, che è in fondo la metanarrazione grazie alla quale la modernità si è imposta su estese parti
del mondo. Anche le teorie dello sviluppo sono una sua metanarrazione; infatti, lo sviluppo sostenibile, è presentato
con due proprietà che ne fanno l'ultimo prodotto dell'Illuminismo: è un principio universale, perché viene incontro
non soltanto alle esigenze di ogni popolo ma si adatta anche a ogni tipo di cultura, in ciò comportandosi come un
prodotto dell'ideologia illuminista; disegna una prospettiva di progresso, in ciò rinnovando la fede nella capacità
umane di miglioramento grazie all'uso della ragione.
Sviluppo sostenibile come manifestazione di progresso, globalizzazione come strumento per attuare e diffondere
sviluppo sostenibile: in rapporto ai punti di vista, questa coppia di asserti può essere vista come una manifestazione
di modernità, oppure come un avvio alla postmodernità. In ogni caso, è un'espressione di occidentalizzazione. È
naturale quindi che questa condizione crei uno spartiacque nell'umanità: da un lato le comunità che accolgono
questo messaggio, profondo e solido, di fede nel progresso; dall'altro lato, le comunità che lo rifiutano perché
vogliono non essere coinvolte nell'occidentalizzazione del mondo. Le conseguenze sono profonde, geograficamente
molto estese, e si dispongono in una catena che investe sia il campo dei processi materiali, come il commercio
internazionale, sia quello dei processi culturali: l'occidentalizzazione è fonte di modernizzazione; la modernizzazione
si esprime attraverso la mondializzazione (degli strumenti); la mondializzazione favorisce la globalizzazione (dei
simboli e dei significati). È significativo che, proprio mentre stava per essere attivato internet, Derrida abbia
intravisto le condizioni per ripristinare i vecchi fasti dell’Europa a vantaggio del Nord America nella produzione
culturale e nell’influenzare il mondo. Da qui l'emergere di una divaricazione del mondo che non è caratterizzata da
nazioni e paesi raccolti in aree geograficamente ben delimitate, all'interno delle quali tutti condividono
atteggiamenti comuni nei riguardi di processi globalizzanti, ma percorre piuttosto l'interno di nazioni e paesi,
dividendo le singole comunità.
Questa trasversalità, in rapporto alla quale una stessa nazione può dividersi tra chi accetta questa
occidentalizzazione estrema e chi la rifiuta, genera una categoria particolare di eterotopie, rapportate alla
globalizzazione. Hannerz descrive il mondo come una realtà geografica nella quale si costruiscono estesi spazi di
modernità, ma nello stesso tempo si creano spazi interstiziali all'interno di aree modernizzate, così come spazi
interstiziali tra aree modernizzate e aree non modernizzate. Se visti dalla prospettiva della geografia culturale, questi
spazi, nei quali emergono manifestazioni culturali nuove, caratterizzate da corredi nuovi di simboli e di significati,
potrebbero essere appunto fatti rientrare nella categoria concettuale delle eterotopie. Sotto questo punto di vista la
geo culturale del mondo può essere rappresentata come composta da un mosaico che comprende vasti spazi di
modernità in espansione, spazi di premodernità in riduzione e piccoli spazi interstiziali di protagonismo culturale.
Le riflessioni sulla globalizzazione potrebbero far pensare a un mondo che procede lungo la strada
dell'uniformizzazione. I processi di uniformizzazione richiamano l'idea di un centro, o di alcuni centri, che creano
simboli e li disseminano per il mondo. Il modello centro-periferia, ove il centro sarebbe un generatore di
occidentalizzazione attraverso reti mondiali e strategie globali, sarebbe dunque il presupposto stesso
dell'uniformizzazione. Questo scenario, che evocherebbe preoccupanti visioni orwelliane di riduzione del mondo a
schemi standardizzati, è ben lontano dal pensiero di Hannerz, che disegna invece uno scenario culturale nettamente
diverso: all'interno di spazi dominati dai rapporti centro-periferia generati dalla globalizzazione starebbero sorgendo
spazi con culture dinamiche, ove si innestano impulsi nuovi su una base tradizionale, dando luogo a una
"combinazione di diversità, interconnessione e innovazione". Verrebbero così a prodursi estesi spazi "creoli", nei
quali radici culturali antiche si troverebbero associate a innesti nuovi. La creolizzazione del mondo consisterebbe
dunque in un processo di diversificazione culturale accelerato dalla globalizzazione. Questa visione porta in campo il
tema della diversità culturale e induce a chiederci se stiamo andando incontro alla riduzione di diversità oppure
stiano sorgendo forme nuove di diversità. A questo proposito si può tenere presente che la parola "diversità"
possiede due significati:
 un significato appartiene alla coordinata verticale, giacché la diversità riguarda l'articolazione sociale di una
stessa comunità; ad esempio, la trasformazione di una comunità da monoetnica in multietnica dà luogo a
una crescita di diversità verticale;
 un altro significato riguarda la coordinata orizzontale, giacché la diversità culturale si esprime
nell'articolazione spaziale, che coinvolge luoghi e spazi contrassegnati da particolari simboli e significati;
sarebbe quindi il prodotto della geo dei simboli, sia di quelli prodotti dalla civiltà occidentale, sia di quelli
sorti in altre civiltà (Immagine pag.310: assetto del mondo in rapporto ai grandi sistemi culturali).
Epilogo: tra ipermodernità e postmodernità.
Huntington nota come l'Illuminismo abbia messo in cantiere tre concetti di civiltà, che si rincorrono nel discorso sulla
modernità e sull'occidentalizzazione del mondo. Il primo concetto è quello di civiltà attribuito alla singola comunità,
o a un gruppo di comunità tra loro integrate. In questo panorama rientrano civiltà tuttora vive e civiltà di cui restano
soltanto relitti. Nel loro insieme costituiscono il prodotto della diversificazione geografica e storica della capacità di
attribuire simboli alla realtà e di costruire significati muovendo dai simboli. La manifestazione più alta di questa
sequenza storica è l'universo di simboli e di significati creato nel contesto dell'Occidente; un universo di tale intensità
e vastità simbolica che ha provocato la divisione del mondo tra spazi che ne sono connotati e tutti di altri spazi. Da
questo processo è derivato il secondo concetto, cioè quello di civiltà occidentale, diventa il fulcro per rappresentare
il mondo contemporaneo. Il terzo concetto, frutto anch'esso del pensiero moderno, è quello di civiltà universale,
intesa come una base di simboli e di significati comuni a tutte le civiltà, sia di quelle esistenti sia di quelle estinte, e
che connoterebbe la specie umana nel suo insieme; ad esempio, alcune idee di fondo come quelle di progresso e di
solidarietà considerate valori universali. Questa condivisione è la prova dell'esistenza di una civiltà di fondo,
universale, di cui le singole civiltà sarebbero manifestazioni. Tomlinson interviene sul tema sostenendo che occorre
tenere distinte due manifestazioni:
– da un lato, v'è la cultura globalizzata, la quale si forma per effetto del trasferimento transnazionale di simboli e
significati prodotto dall'interconnettività complessa (vale a dire dalla globalizzazione);
– mentre dall'altro lato v'è la cultura globale, intesa come cultura unica, mondiale, propria del genere umano e
dunque coincidente con quello che Huntington chiama semplicemente "civiltà".
Rimanendo sul terreno proprio della geografia possono rivelarsi interessanti i termini con cui due atteggiamenti
sociali, rispettivamente propri dei cosmopoliti e dei locali, sono stati discussi da Hannerz e da Tomlinson. Mentre i
locali sono persone e gruppi umani con profili e prospettive culturali circoscritti al luogo in cui vivono (ad esempio, le
comunità dello spazio afgano); i cosmopoliti sono persone disponibile a percorrere il mondo e a immergersi in altre
culture, come ad esempio i ricercatori scientifici, che comunicano in inglese e nutrono la consapevolezza di
possedere piattaforme comuni per considerare il mondo. Non è detto che la consapevolezza della propria identità
culturale si attenui ma si affianca o ad essa si sovrappone la consapevolezza di condividere alcuni valori. Il
cosmopolita dell'età della globalizzazione non attribuisce contenuti ideologici a queste esperienze – quindi, è ben
lontano dall'idea di cosmopolitismo*, cioè dall'ideologia di non appartenenza ad alcuna nazione – ma ritiene
piuttosto di procedere lungo il cammino di quell'integrazione culturale tra le varie genti cui alludeva Kant quando
rifletteva sui destini del mondo.
La condivisione è ovviamente presente in altre categorie: funzionari e tecnici governativi, manager di impresa,
diplomatici, funzionari di organizzazioni internazionali, e così via. Il numero di questi hommes du monde sta
aumentando al punto da diventare una realtà sociale influente alla scala globale. In passato questi globetrotter
culturali provenivano soprattutto dall'Europa Occidentale e dal Nord America, poi dagli anni Novanta anche da altre
parti del mondo, sia dell'ex area sovietica e dalla Cina sia da paesi in via di sviluppo. Per il fatto che adottano modelli
di comportamento occidentali, e ne condividono simboli e valori, queste persone si trovano inserite in atmosfere che
potrebbero giocare a favore dell'occidentalizzazione del mondo. A ciò si aggiunge che esiste una relazione circolare
tra il compiere esperienze di cosmopolitismo e l'emergere di un gusto per una comunicazione culturale permanente
a livello globale: il primo rafforza il secondo e viceversa. Dunque, cosmopolitismo, occidentalizzazione e
globalizzazione appaiono come aspetti di un unico, avvolgente processo.
Secondo Hannerz questo processo potrebbe avere due esiti:
1) condurre alla scomparsa delle culture locali, con la conseguente eclisse di apparati simbolici che da sempre hanno
connotato i luoghi in base alle loro radici culturali;
2) un esito di segno contrario che consisterebbe non soltanto nella permanenza, ma addirittura in un rafforzamento
della diversità culturale.
Queste condizioni esistenziali, che si dispongono su itinerari divaricanti, l'uno diretto verso il declino della cultura
locale e l'altro verso la sua valorizzazione – addirittura verso la sua esaltazione grazie allo sfruttamento delle
possibilità offerte da processi globali – conferiranno ovviamente nuove connotazioni simboliche ai luoghi e agli spazi.
Ad esempio, la ricca simbologia che connota i mall delle città americane, australiane, del Sud-est asiatico e
dell’estremo oriente, fino ad arrivare all’Occidente, conduce a significati banali, edonisti e di consumo.
Questi due itinerari, che coinvolgono le condizioni esistenziali e le connotazioni di luoghi e spazi, possono essere
inseriti in discorsi scenariali. L'itinerario della "scomparsa delle culture locali" di Hannerz, associato alla simbologia
edonistica all'interno di una società che trova nell'espansione del consumo l'espressione della modernità, può essere
assunto come la componente di uno scenario che potremmo definire dell'ipermodernità, nel quale è configurata una
società che procede in termini accelerati verso la creazione e l'espansione di reti globali, vale a dire di strumenti di
mondializzazione, e nello stesso tempo verso l'attivazione di strategie globali, vale a dire verso la crescita della
globalizzazione. L'espansione dei consumi, resa possibile dalla standardizzazione alla scala globale di modelli di
comportamento sociale, associandosi al rafforzamento di strategie globali di persuasione, darebbe vita
all'accelerazione dei processi in atto, da quelli che coinvolgono la divisione internazionale del lavoro a quelli che
riguardano la produzione di beni e di servizi. Avrebbe luogo, in sostanza, ciò che è stato già descritto da Harvey
(1993) in termini di "postfordismo". Grazie a queste accelerazioni, la società moderna sarebbe esaltata e sarebbe
considerata come l'espressione più avanzata di un processo che è iniziato con la Rivoluzione industriale ed è
proseguito linearmente fino ai nostri giorni. Nello stesso tempo sarebbe esaltata la metanarrazione del progresso
quale traguardo cui sicuramente conducono una scienza sorretta dalla ragione e un ininterrotto sviluppo di
tecnologie. L'arricchimento della simbologia, essenzialmente edonistica, cui si è fatto riferimento non metterebbe in
causa questa metanarrazione, costruita nel secolo dei Lumi e continuamente rivitalizzata.
Il secondo itinerario, quello del rafforzamento della diversità culturale di Hannerz, associato alla produzione di
simboli che rappresentano la cultura locale in un quadro di comunicazione globale, condurrebbe a un altro scenario,
che potremmo chiamare delle postmodernità. In questo caso avrebbe luogo una reazione nei riguardi delle strategie
e dei messaggi diffusi attraverso la rete globale e la comunità locale produrrebbe visioni del mondo che, in vario
modo, differirebbero dalle visioni standardizzate diffuse attraverso i provider della comunicazione globale.
L'atteggiamento ostile verso le strategie globalizzanti potrebbe rivestirsi di valutazioni critiche nei riguardi della
modernità, soprattutto nei riguardi della metanarrazione del progresso e dell'esaltazione del modo razionale di
costruire conoscenza, che della modernità costituiscono appunto il fulcro. Queste visioni del mondo si
manifesterebbero attraverso una costruzione di simboli che, in varia misura, differirebbero da quelli, standardizzati,
finalizzati all'omogeneizzazione del mondo, e condurrebbero alla creazione di valori meno banali di quelli impliciti
nella metanarrazione di un progresso risolto nella mera espansione di senso edonistico. Emergerebbero ironia nei
riguardi della modernità, creazione di simboli antinomici a quelli moderni e incursioni nella cultura premoderna per
trarre spunti utili a costruire nuovi simboli e nuovi significati. E l'uomo postmoderno farebbe il proprio esordio come
protagonista di nuove frontiere culturali.

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