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LA RAPPRESENTAZIONE MEDIATICA DELLAFRICA SUBSAHARIANA

Alla mia Famiglia, per la sua insostituibile sicurezza

Al Centro Studi Opifice per avermi donato gli strumenti del Pensiero

A Elisabetta per il suo amore e il suo sostegno incondizionato

A Tatiana per aver affrontato con me questo viaggio A Me perch un pome lo merito

Ed tempo finalmente di sostituire alla domanda kantiana <come sono possibili giudizi sintetici a priori?>> unaltra domanda: <<perch necessaria la fede in tali giudizi?>> tempo, cio, di comprendere, che tali giudizi debbono essere creduti veri allo scopo di conservare gli esseri della nostra specie;per cui naturalmente potrebbero essere anche falsi giudizi! O, detto pi chiaramente, duramente e definitivamente: giudizi sintetici a priori non dovrebbero affatto <<essere possibili>>; non ne abbiamo alcun diritto Friedrich W. Nietzsche

1 ::.. Introduzione

Lo

scopo

del

seguente

lavoro

unanalisi

della

rappresentazione mediatica, con specifica attenzione al caso del continente africano ed al suo versante subsahariano. Per rappresentazione mediatica si intende qui linsieme di teorie, tecniche, modelli ma soprattutto procedure che sono sottese alla diffusione di una determinata immagine di un evento, una realt sociale o geografica attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Nella fattispecie, i media oggetto dellanalisi sono costituiti principalmente (ma riviste non in ed provenienti esclusiva) da quotidiani,telegiornali, illustrazioni dallintero

propagandistiche/pubblicitarie

panorama del mondo occidentale, ovvero il blocco geografico europeo e statunitense. Si prender dunque in considerazione lo studio sistematico dei meccanismi comunicativi (consapevoli e indiretti) secondo tecniche e modelli generali, per poi rivolgere lattenzione al continente africano e pi specificamente alla zona sub-sahariana. Il fine ultimo dellindagine sar quello stilare un quadro completo dellimmaginario comune di una realt sociale/geografica (in tal caso, quello che comunemente 4

indicato come Terzo Mondo) e le connessioni dello stesso con la sua rappresentazione proveniente dai mezzi di informazione. A tal fine lanalisi dovr procedere per gradi congiunti, considerando una pluralit progressiva di fattori. Il primo capitolo esaminer le radici primarie della costruzione dellimmaginario, ovvero il sedimento storico e il substrato culturale dal quale si origina il materiale per uno o pi discorsi ricorrenti sullAfrica. Questa operazione avverr esaminando il periodo del colonialismo classico di fine 800 e inizio 900, con riferimenti esemplificativi alla stampa europea di carattere informativo e popolare, alle illustrazioni sui quotidiani ed alla conseguente creazione di immagini-tipo, alle forme di comunicazione politica e propagandistica dellepoca. Il secondo capitolo porr in seguito le basi per conoscere le ragioni odierne di una data rappresentazione e le teorie generali di azione mediatica pi specificamente proprie dei tempi attuali; si partir con unanalisi del fenomeno del divario digitale, ovvero la disparit nel possesso e nella diffusione di tecnologie tra Nord e Sud del mondo. Secondo alcuni, tale fenomeno fungerebbe da ostacolo primo per la produzione e diffusione di notizie dai lidi africani verso il resto della societ globale. In seguito verr analizzato il rapporto di interconnessione tra politica, economia ed informazione. Una delle ipotesi pi accreditate e verisimili infatti quella secondo cui a squilibri di rappresentazione (o pi semplicemente ad un dato carattere della stessa) corrispondano paralleli squilibri di potere. In altri termini, i rapporti di forza geopolitici condizionerebbero di conseguenza la costruzione (o la noncostruzione) di una determinata immagine per ragioni di interessi contingenti. Saranno poi evidenziati i meccanismi inconsapevoli, le operazioni automatiche di gestione del materiale informativo da diffondere: in altri termini,i criteri 5

classici di notiziabilit, ovvero le routines implicite ed esplicite sottese alla selezione dei valori-notizia quelli che nel canone giornalistico occidentale determinano la priorit effettiva della notizia stessa - e di creazione del cosiddetto agenda setting, ovvero quellensemble di dinamiche che guidano la scelta per tipologia, utilit e caratteristiche- dei costituenti quotidiani da parte di una testata informativa. Il citato ensemble non si esime ovviamente dallo svolgere un ruolo anche in relazione al contesto geografico preso in analisi. Nellintero capitolo saranno presenti riferimenti ricorrenti al contesto africano ed alla sua presenza (o come si vedr, assenza) nello scenario mediatico, attraverso il ricorso a fonti primarie e secondarie. Il successivo capitolo sar rivolto allo studio dei flussi: tramite dati, cifre e statistiche si cercher di mostrare in che percentuale i media si ricorda, in prevalenza quotidiani e telegiornali riportano notizie e contenuti inerenti alla realt africana, presentandone tipologia e modalit di apparizione. Necessariamente si ritorneranno ad esaminare seppur in breve i gi citati criteri di notiziabilit che regolano presumibilmente i suddetti flussi informativi. Il quarto capitolo sar invece quello pi specificamente dedicato allimmaginario collettivo sullAfrica, derivato dalla sistematica rappresentazione del continente attraverso le procedure esaminate nei precedenti capitoli, dagli elementi di cultura popolare ormai sedimentati ed accumulati, dalle ragioni che ad una data rappresentazione sono sottese. Pu evincersi un cospicuo numero di discorsi ricorrenti e stereotipi tipici, quasi come immagini di repertorio, sullAfrica, sullAfricano e sullafricanit in termini generali, a partire da schemi semplificanti come quello principale secondo cui per Africa si intende un continuum indifferenziato ed addirittura 6

approssimativo sul piano della sua collocazione geografica. Tali discorsi tipici, come gi detto, derivano in parte dalle routines e dalle distorsioni inconsapevoli, ideologiche o tecniche, in parte da altri fattori volontari e mirati. Queste procedure sono ovviamente interconnesse e non sempre demarcabili con facilit. Lultimo capitolo avr un carattere molto specifico ed a se stante, in quanto esaminer come gli stessi preconcetti e le stesse procedure si riflettano attraverso un caso concreto di carattere comunicativo anche se non prettamente giornalistico: linterpretazione dellarte figurativa africana sulla base del testo I primitivi traditi di Sally Price, che mostra in maniera lampante come un certo immaginario acquisito possa costituire la forma mentis per la produzione di giudizi sintetici a priori su una realt altra, e quindi sulla sua rappresentazione. In linea di sintesi, si possono presentare le seguenti tesi: Le notizie e le immagini che riguardano il continente, da un punto di vista prettamente numerico, non sono numerose e sufficientemente abbondanti. Il divario digitale (o digital divide, la diffusione ancora limitata di tecnologia e sorgenti dinformazione primarie ed endogene nei paesi definiti in via di sviluppo) funge probabilmente da primo filtro, come ostacolo a priori nella produzione e irradiazione dellinformazione in primo luogo per opera degli stessi operatori locali. Ovviamente, tale tesi meriterebbe ulteriori considerazione sulle ragioni antropologiche da una parte (il perch tali popolazioni non abbiano seguito un percorso comune ad altre realt geografiche nel percorso tecnologico), geopolitiche e socio economiche dallaltra (se le condizioni di questa mancanza derivino dai gi menzionati fattori contingenti ostacoli, avvenimenti storici condizionanti - e/o rapporti di forza).

Quando presenti, le notizie riguardano eventi maggiormente spettacolarizzabili (la cosiddetta capacit di intrattenimento) e comunque rispondenti ai generici criteri di notiziabilit e agenda setting. In questa indagine ci si atterr alle felici intuizioni di M.Wolf nella sua definizione di criteri relativi al prodotto, al mezzo ed al contenuto. Ancora, la presenza (e la conseguente tipologia) o assenza di materiale informativo sullo scenario africano risponde ad interessi strategici o commerciali. Strategici dal versante geopolitico, quando la diffusione di una data immagine giova a manovre imminenti di politica estera, o pi semplicemente al mantenimento dello status quo; commerciali dal punto di vista della pubblicit, con lutilizzo di categorie pre-esistenti nellimmaginario popolare, oppure per ragioni di audience e vendibilit dellinformazione-merce, ed infine per le connessioni che la sfera economica nutre al giorno doggi con quella politica, a dire il vero da essa soppiantata.

Il materiale che alimenta (ed a sua volta auto-alimentato) limmaginario africano di carattere umanitario, paternalistico e dal taglio assistenziale, in ogni caso di stampo progressista. Il carattere umanitario/paternalista si evince nel continuo richiamo ai diritti umani in riferimento alle situazioni di guerre, catastrofi e avvenimenti luttuosi o riprovevoli allocchio occidentale; le immagini di repertorio assecondano tale carattere ed continuo il riferimento al ruolo delle Ong e dei paesi sviluppati come strumenti di assistenza per lo sviluppo del continente africano. Il cosiddetto afro-pessimismo, ovvero lincapacit ritenuta intrinseca alle popolazioni locali di assurgere ad uno status differente da quello catastrofico e di 8

eterna guerriglia, permea i discorsi giornalistici/culturali che puntano sul ruolo europeo o statunitense. Quandanche questa propensione assistenzialista non sia cos nettamente spiccata, ed anzi criticata apertamente, assume in ogni caso una prospettiva progressista, che induce a ipotizzare in ogni caso una via africana alla modernit, presentata come fatto inevitabile nelle forme e negli approdi tipici occidentali. Una simile rappresentazione affonda le radici in una sorta di tardoevoluzionismo culturale ancora molto radicato, secondo cui una medesima linea evolutiva debba essere attraversata in ogni tempo e luogo dalle popolazioni della terra, e laddove questo non sia avvenuto, vi devono essere state ragioni contingenti a frenare lo sviluppo (es. colonialismo, ingerenza di superpotenze in affari interni, rapporti geopolitica, guerre civili), o addirittura ragioni antropologiche. Lafricano come fratello minore dellumanit, eterno bambino e buon (o cattivo) selvaggio; schemi interpretativi classici che fanno da faro ad una catena di rappresentazioni reiterate. In questo contesto, perennemente rifuggita una lettura veramente endogena dei fenomeni e degli eventi, secondo un approccio relativista: approccio secondo chi scrive ben pi consono per lanalisi e la rappresentazione giornalistica profonda di una realt complessa come quella dellAfrica subsahariana. In chiusura del lavoro, sar presente una breve somma di conclusioni dellanalisi, con alcune prospettive e possibilit per una rappresentazione alternativa del continente.

2 ::.. Limmagine coloniale

Cos come accade anche per altri fenomeni storici e culturali, anche per il caso Africano appare evidente come certe idee e stereotipi siano frutto non esclusivo di una contingenza temporale attuale o di meccanismi di deformazione mediatica puramente tecnici, quanto piuttosto di un lungo processo di sedimentazione nella coscienza comune, ampiamente condiviso in maniera trasversale in tutti i settori della cultura politica e popolare di un paese. In altri termini, la costruzione dellimmaginario intorno ad una categoria di persone o ad una realt sociale/geografica avviene nel corso degli anni attraverso una serie di fonti che in maniera reiterata alimentano unimpalcatura di concetti. 2.1 Le premesse storiche e culturali Si tratta ad esempio del caso del razzismo, che come ricorda Daniele Mezzana, impossibile confinare sbrigativamente () a una sorta di parentesi di irrazionalit nella storia dell'occidente, con qualche precursore (Gobineau ed altri) e una "esplosione" negli anni

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'30 e '40 del secolo scorso. 1: abbiamo in effetti a che fare in primo luogo con una teoria scientifica errata2, approvata e consolidata fin dagli insospettabili pensatori dei Lumi. Marco Marsilio, nel suo libro Razzismo, unorigine illuminista, descrive con dovizia di particolari e citazioni quando questo fenomeno abbia padri autorevoli e Gianni Scipione Rossi
3ricorda

che il

razzismo, nelle sue varie declinazioni, un prodotto specifico della modernit ()Nonostante siano numerosi a cominciare dal classico Mosse de Il razzismo in Europa gli studi che chiariscono come il razzismo, con la sua subordinata antisemita, non sia purtroppo frutto del parto estemporaneo della Germania hitleriana, questa consapevolezza tuttaltro che diffusa. Prevale la convinzione che senza limpazzimento tedesco degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso la storia delluomo avrebbe continuato tranquillamente a procedere lungo i sentieri luminosi tracciati dai philosophes e dal positivismo, verso un mondo in cui il bene come categoria filosofica progressivamente destinato a prevalere sul male. Per non dire degli angoli facciali, del prognatismo, della craniometria, del poligenismo e del determinismo biologico, che pretendeva legare indissolubilmente la forma umana con le qualit intellettive e morali delluomo. Parametri ed interpretazioni, quelle del pregiudizio razziale, che vanno ben oltre la possibilit di una ferrea categorizzazione negli schemi della politica o della stretta contingenza storica. Le riflessioni sopra esposte non possono prescindere per da una dato basilare, ovvero limpatto profondo che la scuola antropologica evoluzionista ha esercitato nell800 in tutti i livelli del pensiero umano, da quello scientifico a quello popolare.

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Daniele Mezzana in Razzismo Illuminato, http://immagineafrica.blog.tiscali.it Alain De Benoist e Charles Champetier, La Nuova Destra del 2000, in Diorama Letterario n229-230 3 Razzismo. Il buio della ragione nel secolo dei lumi, Gianni Scipione Rossi ne Il Riformista, 19 ottobre 2005

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Non

errato

affermare

infatti

che

nessuna

branca

dellantropologia culturale riuscita a diffondersi a macchia dolio nelle coscienze quanto quella evoluzionista, assurta a modus interpretandi generico, ben al di l del suo mero carattere scientifico, per di pi erroneo. Secondo tale ottica, la cultura umana sarebbe unica, sviluppata nel tempo, seguendo presso tutti i popoli della terra la stessa sequenza di sviluppo, divisa per stadi di carattere psichico in primo grado, e conseguentemente scientifico/tecnologico e culturale. Dunque i vari popoli percorrerebbero nel loro cammino evolutivo una sequenza di stadi culturali fissi, che li dovr condurre - in un tempo differenziato ma inevitabile - dalla selvatichezza originaria alla civilt, quasi come a voler ipotizzare un fine implicito della storia, il che ne sottintende una visione metafisica, messianica. Le differenze culturali riscontrabili sarebbero dovute ai diversi stadi raggiunti dalle societ nel loro cammino di sviluppo. Le societ primitive attuali in questo scenario rappresentano uno stadio che le societ occidentali hanno attraversato in un lontano periodo, una sorta di archivio vivente: la teoria dei fratelli minori dellumanit. Un ensemble di idee per nulla dissimile a ragionamenti diffusi anche nei tempi attuali, dove la discutibile teoria dello scontro di civilt4 del politologo Samuel Huntington uno schema acquisito dallopinione pubblica, con laggravante di utilizzare parametri estremamente banalizzanti nella definizione dello stesso concetto di civilt, in tutto e per tutto simili agli stereotipi evoluzionisti. In tal senso questa corrente antropologica, bench ufficialmente abbia visto i suoi epigoni con il termine della seconda guerra mondiale, ancora subdolamente diffusa e approvata dallimmaginario comune.Per meglio chiarire come questo concetto abbia
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Samuel Huntington, Lo scontro di civilt e il nuovo ordine mondiale, Garzanti 2000

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condotto agevolmente da un punto di vista culturale-

al

colonialismo, - e come nuovamente ci si trovi di fronte a procedure affini per il neocolonialismo di stampo americanooccidentalista - si riportano qui le parole di Fabietti5: La fiducia nel progresso materiale e sociale costitu il quadro ideologico entro il quale venne organizzandosi il lavoro teorico degli antropologi evoluzionisti. Per questi ultimi quello di progresso era un concetto sintetico per mezzo del quale diventava possibile esprimere contemporaneamente le idee di cumulativit e di continuit culturale. La convinzione dellesistenza di un progresso nella storia delluomo deriva essenzialmente dalla considerazione della societ industriale di met Ottocento come di quella societ che si trovava al pi alto stadio di una evoluzione culturale di natura cumulativa. Leccezionale incremento produttivo di cui le societ europee, e soprattutto quella inglese, stavano sperimentando gli effetti da qualche decennio divenne la chiave di lettura della storia passata: le leggi che governavano lincremento della produzione materiale ed intellettuale della societ presente dovevano essere le stesse che dapprima lentamente, poi via via sempre pi rapidamente, avevano determinato lo sviluppo delle societ passate e quindi il passaggio da uno stadio culturale inferiore ad uno stadio superiore. 2.2 Imperialismo e colonialismo: la comunicazione e la propaganda Da un punto di vista culturale, si comprende come sia necessario che certi assiomi siano condivisi per generare delle conseguenze effettive in sede di decisione politica. Di pi, sono necessari per motivare effettivamente le azioni agli occhi dellopinione pubblica. Il meccanismo della formazione del consenso non disconosce certamente i principi della psicologia
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Ugo Fabietti, Storia dellantropologia, Bologna, Zanichelli, 1991 pag.12

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delle masse, e come avviene oggi tramite il massiccio bombardamento mediatico, la preparazione di un evento segue alla genesi di uno stato mentale, un humus giustificazionista per agire in discesa. Come afferma Simone Olla6, Preparare l'opinione pubblica ad un evento significa prepararla alla guerra oppure alla restrizione delle libert individuali oppure al cambio di moneta. In tutti i casi sar un processo unidirezionale rivestito da un bene superiore: il bene della collettivit. Preparare l'opinione pubblica ad uno stato mentale significa prepararla alla paura oppure alla sicurezza oppure alla tranquillit. Evento e stato mentale corrono su binari paralleli, si completano e si giustificano vicendevolmente; in questo senso le lites governative, come si approfondir nei capitoli successivi, diffondono in maniera reiterata una immagine dei luoghi conformemente alle intenzioni ed equilibri geopolitici ed alle esigenze di politica estera. Questo il caso in cui talune convinzioni culturali (come quelle evoluzioniste) non siano pi in realt totalmente approvate dalle lites, ma riprese utilitaristicamente facendo leva sulla predominanza delle stesse nellimmaginario delle masse. Trasformare limperialismo in una causa popolare e generare interpretazioni ricorrenti delAfricano-tipo tramite gli strumenti di comunicazione e propaganda: questi i dettami del colonialismo di fine XIX secolo e del primo XX secolo. Come si avr modo di notare nelle successive riflessioni, i paradigmi allora creati (a loro volta abbondantemente nutriti dagli umori evoluzionisti) si sono aggiunti alla stratificazione dellAfrica immaginaria e sono rintracciabili ancora oggi.

Simone Olla, Ecologia e sviluppo, un binomio insostenibile, www.opifice.it

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Secondo le informazioni riportate dal sociologo olandese Jan Nederveen Pieterse7, durante il diciannovesimo secolo lorientamento generale dellopinione pubblica europea era ancora anticolonialista. Unimplicita idea di superiorit era ad ogni modo diffusa, in quanto lo sfruttamento commerciale dellAfrica - tramite lingerenza dei mercanti europei nelle questioni di monopolio veniva considerato giustificabile. Il mutamento repentino dello scenario e delle esigenze politiche sul finire del secolo medesimo gener per un progressivo e rapido cambiamento su questa materia. Lesigenza di rendere popolari nazionalismo ed imperialismo dette il la ad una propaganda patriottica di massa. Una teoria comune e piuttosto accreditata quella dellesigenza, da parte delle lites politiche, di neutralizzare i nascenti conflitti di classe tramite il ricorso ad una solidariet nazionale, e i movimenti imperialisti erano perfettamente utili ad un simile scopo. Non questa la sede adatta per analizzare, da una prospettiva prettamente storica, le ragioni dei fenomeni che interessarono il periodo a cavallo tra lOttocento e il Novecento, quanto interessante analizzare una emblematica appositamente carrellata edificate) di idee-tipo realt (ora derivate, ora sulle dellattuale mondo

africano, diffuse nel periodo in questione attraverso gli strumenti della letteratura, della satira e dellhumor, della stampa, dei materiali pubblicitari, propagandistici e iconografici. Come riporta lo stesso Pieterse, la presenza sulla stampa dei conflitti coloniali contribuiva al prestigio nazionale, specialmente in contrasto con lascesa della stesso tipo delle potenze europee rivali. In Francia ed in Inghilterra, ad esempio, il primo approccio della stampa nei confronti delle guerre coloniali si esplica attraverso due tipologie di riviste: quelle
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J.N Pieterse, White on Black: Images of Africa and blacks in western popular culture, 1992

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prettamente di informazione, come lIllustrated London News nel paese britannico, ed altre di carattere satirico, come Punch, Judy o Fun. Per la Francia citiamo Le Rire, Ple Mle, LAssiette au Beurre; in Germania, Lustige Bltter e Simplicissimus. Le prime, quelle di tipologia informativa, prediligevano linvio di speciali corrispondenti alle cosiddette piccole guerre. La rappresentazione dei combattenti era sempre eroica ed iperbolica, in modo tale che assieme allintento di cementare la retorica di orgoglio nazionalista, la vicenda militare venisse percepita comunque come una forma di spettacolo, in virt anche della distanza geografica dei luoghi interessati. La stampa satirica, che per ragioni economiche non ricorreva alluso di inviati, aveva come oggetto di rappresentazione la forma della caricatura, spesso per mezzo di editoriali illustrati. Tra i primi stereotipi rintracciabili, ne ritroviamo alcuni proprio attraverso queste illustrazioni. Limmagine di fondo dellindigeno africano quella di un reale nemico. La necessit di generare un nemico metafisico, per dirla con Hannah Arendt, trova corrispondenza anche nella sua rappresentazione estetica. In altre parti della nostra analisi tratteremo dello stereotipo del buon selvaggio, e della semplicit del negro intesa come purezza, status incontaminato di una fase precedente di quella umanit ormai civilizzata. E sebbene lindigeno combatte, in accordo con questa visione mantiene il suo alone di purezza ed acquista la parvenza di un guerriero nobile. Con queste illustrazioni invece laspetto truce e brutale del combattente rovescia completamente il senso da positivo a negativo delle medesime qualit ad esso attribuite. Per utilizzare unespressione dello stesso Pieterse, queste pratiche passano sotto i meccanismi della psicologia dellantagonismo: ed emblematico il trattamento riservato 16

alla figura del re Zulu Cetshwayo KaMpande dalla stampa informativa e satirica britannica. Nel luglio del 1879 gli eserciti doltremanica infatti sferravano lattacco decisivo agli Zulu dopo pesanti perdite in precedenti battaglie, per mezzo del primo utilizzo in assoluto delle mitragliatrici Gatling nel continente, reputate dal Giornale dellEsercito e della Marina particolarmente adatte a terrorizzare un nemico barbaro o semicivile. La stampa popolare ovviamente non fece menzione del fatto. Tale popolo era fatto fino allavvento della guerra Zulu oggetto di ammirazione proprio per le doti militari, la disciplina organizzativa e le tattiche di guerra, ma proprio durante il conflitto la sua rappresentazione mut a tal punto dal mostrare un rovesciamento delle caratteristiche di marzialit e precisione in follia degenerata ed animalesca. Il re Cetshwayo, a capo del suo popolo dal 1873, appariva nei ritratti e nelle stampe con sembianze normali e piuttosto verisimili, per poi esser dipinto fino alla data della vittoria britannica sotto spoglie e sembianze invasate, furiose ed animalesche. In condizioni di normalit limmagine classica del guerriero africano era comunque piuttosto modesta, con armi rozze ed arcaiche (ad esempio come la figura pubblicitaria della Liebig) nonostante fosse gi presente una certa dotazione di armi da fuoco. Laggressione crudelt, la nudit primitivismo, incapacit di controllo e repressione delle pulsioni, la semplicit dei costumi e delle armi- inferiorit ed affinit animalesca. Da una parte il nudo guerriero crudele, dallaltra il soldato, disciplinato da un esercito ed impeccabile nella sua uniforme. Uno schema familiare anche nei tempi attuali, quello della barbarie versus la civilt. Come nel caso dei sacrifici umani: a far da preludio a nuove campagne coloniali spesso veniva utilizzato tale pretesto, con 17

tanto di illustrazioni al dettaglio sui casi specifici. Il gi citato The Illustrated London News, nel novembre del 1874 pubblic una sequenza di articoli riguardanti gli Ashanti, descrivendo con minuzia di particolari rituali sinistri tenuti da stregoni. Immagini e disegni mostravano immagini truci di sacrifici come una donna legata ad un palo ed in procinto di essere aggredita da un coccodrillo. Labolizione dei sacrifici umani fu il pretesto dellinvasione britannica del Benin nel 1897, secondo lo slogan Fermiamo la barbarie africana! Aboliamo i sacrifici umani!8. In questo senso si spiega il ricorso del filosofo e giurista italiano Danilo Zolo al monito di Proudhon, poi ripreso da Carl Schmitt, chi dice umanit cerca di ingannarti quale chiave di lettura per la non lontana guerra in Kosovo nel suo caso specifico9, ma valido come concetto generico: dichiarare una guerra umanitaria significa mettere in moto un diabolico meccanismo in base al quale l'avversario viene relegato nella categoria dei nemici dell'umanit e ogni atto di aggressione nei suoi confronti diventa non solo lecito, ma addirittura moralmente obbligatorio. Ed ancora in questo ordine di pensiero che si inserisce una stampa presentata dalla rivista francese Le Rire nel 1896. Vi la rappresentazione figurata dellEuropa maschio, come rappresentazione dellAfrica. La didascalia integrale recita: Come un succube, lAfrica pesa sul riposo dellEuropa. Uno dei numerose malesseri (ma forse il pi pesante) che ora gravano sul vecchio continente. Ogni potenza europea ha qui il suo ostacolo o vespaio . Sorvolando sull utilizzo (probabilmente un errore) del termine succube, allepoca indicativo di un demone donna uso a rapporti sessuali con
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come una giovane

donna addormentata, minacciata da un incubo, demone

Claudia Gualtieri, cit.op Chinweizu Loccidente e gli altri da http://www.club.it/culture/culture97/claudia.gualtieri97/indice-i.html 9 Chi dice umanit, Zolo, Einaudi 2000

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uomini addormentati, interessante cogliere la singolarit di questa rappresentazione. Se il continente la vecchia Europa, perch appare sotto le sembianze di una giovane donna? Caratteristiche umane e femminili si oppongono dunque ad un demone maschio; lEuropa da aggressore diviene vittima di unAfrica truce e oscura, in uno scenario di preoccupazione per le sorti del vecchio continente, prossimo a svanire in quanto gravato di una pesante minaccia. Ancora una volta, si verifica il capovolgimento strumentale del mondo: incolpare la vittima. Il fenomeno generico che sottende un tale ragionamento una componente frequente della modernit: ovvero lo slittamento della ragion politica dal piano del realismo a quello della morale e dellantropologia. Le elits politiche improntano la comunicazione pubblica per generare i gi menzionati stati mentali sul ricatto emotivo, appellandosi a categorie morali acquisite, come la retorica attorno ai diritti umani. Ed persino plausibile che la stessa classe politica abbia utilizzato in via non strumentale queste ragioni, o in altri termini, abbia realmente creduto di agire spesso in nome di ragioni morali. Se lavversario squalificato sul piano morale (ad esempio, per la sua vera o presunta efferatezza o crudelt) ne consegue, anche se non necessariamente, una implicita squalifica razzista, sul piano culturale ma anche antropologico. Ed a riprova di come un ragionamento razzista fosse pregnante anche in maniera esplicita, al di fuori della versione edulcorata dellumanitarismo e della provvidenza del benefattore coloniale, si menziona qui la reazione europea in seguito al dispiegamento di forze extra-europee nel continente. Ci si riferisce alla pratica del reclutamento di Africani, gi noto dal XVI secolo da parte dei portoghesi in Angola. Ma con il colonialismo classico, francesi, britannici, tedeschi ed anche italiani (con lutilizzo degli ascari eritrei) ricorrevano 19

allinserimento, nelle fila degli eserciti, di soldati di origine etnica. Quando nel 1871 giunsero a Monaco prigionieri di guerra francesi, un quotidiano tedesco comment che gli africani, i turchi, gli zuavi e zefiri presenti fra di essi non erano altro che <<armselige Burschen>>
10(miserabili)

e che sarebbero

stati crudeli come bestie selvagge se avessero vinto ma, per fortuna, la vittoria era stata dalla parte del popolo tedesco. Lantropologo ed etnologo tedesco Leo Frobenius, bench noto per la sua pionieristica opera di disvelamento della pluralit africana ad un pubblico europeo ancora chiuso nel suo universo culturale, in un opuscolo pubblicato nel periodo della prima guerra mondiale (1916) dimostra come la medesima immagine animalesca fosse diffusa anche a livello scientifico. Lopuscolo ha come titolo Der Vlkerzirkus unserer Feinde11, ovvero Il circo popolare dei nostri nemici. Oggetto dello stesso sono i soldati non europei impiegati dai nemici della Germania. Il John Bull dello scrittore scozzese John Arbuthnot, figura emblematica e rappresentativa dellInghilterra, viene qui rappresentato in veste di domatore di popoli, e il tono generico dellillustrazione mantiene la metafora del circo e delladdestramento dei popoli; per dirla in modo pi esplicito, gli extraeuropei vengono presentati come animali addestrati. Frobenius annuncia linizio dello spettacolo, costituito da una sequenza di fotografie di combattenti non originari del luogo. Le didascalie hanno un tono denigratorio, come ad esempio: <<Francesi di colore in campo in una pausa della battaglia>>; <<Inglesi bianchi e di colore durante un ballo dietro al fronte>>. Nel 1920, in seguito allutilizzo di soldati africani da parte dei Francesi al Reno, il giornalista britannico E.D.Morel - figura dellumanitarismo progressista e gi noto per la fondazione
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J.N Pieterse, White on Black: Images of Africa and blacks in western popular culture, Yale UP, 1992 A. Bonche, Combattants doutre-mer : la parole tiraille Da Http:// asso.univ-lyon2.fr/ara/IMAGES/Lettres/Ara54.pdf

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dellAssociazione per la Riforma del Congo, contro le crudelt nel paese africano si fece portavoce di una campagna di protesta nel suo paese. Egli affermava che la razza africana la razza sessualmente pi sviluppata. Questi coscritti vengono reclutati nelle trib ad uno stadio primitivo di sviluppo. Naturalmente, non hanno con se le proprie donne. Sono sessualmente completamente disinibiti e incontrollabili. Ancora, H.W Massingham dalle colonne del quotidiano liberale The Nation puntava il dito nei confronti delle sfilate di soldati alloctoni nei venerandi templi del patriottismo dello Stato tedesco, e cosa ancor pi significativa, si opponeva al potere dei soldati semiselvaggi sulla cultura e il civismo del Reno.

2.3 Da selvaggi a sudditi: la nuova immagine Con il termine dei conflitti e lassestarsi della situazione coloniale, la rappresentazione ostinata di un nemico non era pi necessaria. La nuova esigenza era dettata dalla psicologia coloniale di superiorit ed inferiorit, quale inevitabile strumento politico di controllo, sia dellopinione pubblica, sia delle grandi masse locali da parte di una minoranza straniera. Da selvaggi a sudditi politici, questo dunque limperativo della nuova mitologia. Il lato ostile e cruento si tramuta in infantilismo ed impulsivit. Gli africani come tabula rasa, veri e propri bambini dellumanit, impressionabili e bisognosi del paternalismo ed dellistruzione occidentale. Lo scrittore belga P.Danco afferma che una volta che il negro viene a contatto con luomo bianco, perde il proprio carattere barbaro mantenendo soltanto le qualit infantili degli abitanti della foresta12. Dallinfantilismo e lingenuit dellindigeno consegue la sua inoperosit e la sua incapacit di sfruttamento delle immense risorse locali,
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P.Danco, Ook en ideaal, Brussel

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donde il ruolo non solo didattico ma anche produttivo dellUomo Bianco, ora al pieno della sua missione civilizzatrice. Tra i documenti di comunicazione pi efficaci ed immediati allo scopo, le notissime cartoline propagandistiche coloniali, i cinegiornali, le scatole dei prodotti alimentari, dove allindolenza africana (o al meglio delle ipotesi, lingenua contemplazione dei bianchi) si contrappone lindustriosit creatrice europea. 2.3.1 Lumorismo delloccidentalizzazione Secondo Pieterse, il sopravvento della missione civilizzatrice, a questo punto ormai pienamente avviata, mal si sposa con leffettiva realt coloniale (piuttosto autocratico e lungi dal divenire scuola di democrazia) e con altre ideologie europee, in particolare il razzismo13. Il fondamentale interesse del colonizzatore sembra banale ricordarlo era il profitto ed il potere, e la missione civilizzatrice, seppur magari anche condivisa ed acquisita come convinzione non solo popolare, ma anche della classe politica, si svel presto inconsistente. Permaneva limmagine di un africano inferiore non solo per status cronologico (il bambino dellumanit) ma per natura, intrinsecamente (e biologicamente) non incline al progresso e a qualunque possibilit di comprensione e accettazione di una pratica europea. Una stampa su Ple Mle del 1913 riporta la seguente didascalia: il compressore stradale e le noci di cacao: ci che prova che i negri sono inclini al progresso la celebre accoglienza riservata al primo compressore stradale a Timbuctu. Ed ancora, su Le Rire nel 1900 una vignetta con la didascalia Le buone opere della civilizzazione mostra uomini africani in vesti eleganti e con cilindro affiancate
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J.N.Pieterse, La parata dei vinti in Societ Africane, AA.VV, Zelig 2005, pag.167

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da una scimmia nella stessa versione. Il Punch 12 anni pi tardi deride gli Zulu che celebrano il buon vecchio Natale inglese con sacrifici umani. E via discorrendo. Lo scenario di un generale scherno, per dirla con Pieterse, la messa in atto di un umorismo delloccidentalizzazione, dal quale consegue il disprezzo reale per le popolazioni locali. La missione civilizzatrice dunque fa i conti con il razzismo di fondo? Questa tesi non certamente convincente, ed anzi fallace. E una forma di razzismo non meno larvata persino lassistenzialismo umanitario dei tempi attuali, e si pu quindi ben comprendere come lo sia in maniera violenta qualsiasi proposito di civilizzazione o democratizzazione, che implica necessariamente una scala di riferimento tra un termine inferiore e superiore. E poco importa se questa differenza sia di carattere e biologico, in quanto i fattori, per numerose ragioni, sono spesso interconnessi e non facilmente scindibili. Se lAfricano rimasto il bambino dellumanit, le ragioni allepoca erano intrinsecamente e con tutta probabilit addotte ad una causa naturale. Non vi dunque nessuna contraddizione tra il razzismo e la civilizzazione. E come gi affermato, la forma di discriminazione pi larvata anche quella che prevede un progresso necessario anche per il popolo africano. La vicenda del colonialismo contiene dunque in nuce tutti i germi degli stereotipi comunicativi e dellimmaginario che si ritroveranno in tempi recenti, ed dunque materiale imprescindibile per indagare quel sedimento storico che rende cos permanenti certe categorie di rappresentazione.

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2.4 Immagini coloniali dallItalia Una mostra di immagini dal titolo Immagini e colonie, curata da Enrico Castelli, docente di antropologia visuale presso lUniversit di Perugia, fornisce ulteriori elementi di analisi per valutare la genesi del pregiudizio; del resto, lo stesso Castelli afferma che le ragioni di una tale mostra sono da ritrovarsi proprio nella necessit di comprensione della permanenza (soprattutto nellimmaginario dei giovani) di determinati stereotipi sullAfrica ancora oggi14. Afferma Castelli: Limmaginario il mito. Il mito della civilizzazione passa attraverso lo sviluppo. Il mito dello sviluppo serve a tenere in piedi lipotesi assolutamente fantascientifica secondo cui noi aiutiamo il Terzo Mondo. In realt, questultimo a permetterci di sostenere e conservare il nostro tenore di vita e il nostro benessere. La psicologia della superiorit, e della dimostrazione della stessa in primo luogo agli occhi delle masse, si mostra in particolar modo nella rappresentazione fascista: la rivista del Touring, dalla tiratura in 150.000 copie e quindi sotto gli occhi di milioni di italiani, ritrae un italiano che guarda con altezzosit un africano che cerca di calzare scarpe femminili su un piede decisamente troppo grande per lo scopo. Questa rappresentazione appare un anno dopo il conflitto italo-libico, dove gli ascari eritrei hanno combattuto ed il loro valore stato persino riconosciuto pubblicamente dal re; ma la concezione dellafricano a quanto pare non ha subito modifica. Unaltra immagine paradigmatica quella dove la bicicletta si trasforma in motocicletta per le truppe dassalto italiane e la radio portata a spalle assume una forma gigantesca; un simbolo eclatante dellinformazione e della conoscenza portata dalle truppe italiane.
14

E.Castelli in LAfrica in piedi in aiuto allOccidente, Atti del Convegno -. Ancona 2005

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Ed ancora, viene descritta unimmagine relativa alla guerra di Etiopia (1935-36). Emblematica innanzitutto la postura di soggetti. Nellimmagine il bianco occupa sempre la parte superiore e il nero quella inferiore, quella del mendicante, del pezzente. Il soldato prende il pane e getta il fucile, perch il suo re, Hail Selassi, responsabile della sua fame. Pur essendo invero una figura piuttosto differente, Hail Selassi viene rappresentato sempre con i tratti stereotipati del feroce Saladino. Lo schema duale di superiorit-inferiorit accompagnato dunque dalla demonizzazione del soggetto, retrocesso a barbaro quando rappresenti un nemico durante il conflitto. Vi unimmagine che mostra un membro di una trib dellEritrea con le corna. NellAfrica italiana di Martini, il primo governatore civile dellEritrea, si rintracciano rappresentazioni di uomini con le corna durante in una cerimonia religiosa. Anche nel Ferrario (citato da Castelli), un volume che parla dellAfrica e del mondo alla fine dellOttocento, troviamo idoli cornuti. Quali i motivi di questa insistenza del motivo delle corna? Evidentemente perch per locchio europeo le corna sono lattributo del diavolo e la demonizzazione dellalterit un tratto fondamentale della cultura occidentale. Il meccanismo di decontestualizzazione invece si evince daimmagine risalente al 1800. Un disegnatore ritrae delle donne africane che danzano. Il disegno ripreso spesso per la sua efficacia e qualit. Limmagine ha come obiettivo unesibizione di libert e sensualit espressa dai corpi femminili. Ma sul finire dellOttocento essa ha assunto un significato ben differente. Il nuovo scopo mostrare dei corpi femminili nudi in un tempo in cui in Italia tale scena consueta esclusivamente nelle case di tolleranza, ad uso e consumo soprattutto dei militari. Lassociazione gi di per s negativa, 25

ed una nuova didascalia ne incrementa il carattere denigratorio: Donne abissine. Quindi non solo alcune donne prostitute, ma tutte le donne dellAbissinia e, per sovra-estensione, dellAfrica. Ancora, la medesima immagine verr corredata da questa didascalia: Ragazze sudabissine.

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3 ::.. Le ragioni attuali di una rappresentazione

3.1 Il Global Digital Divide Si afferma da pi parti che lostacolo primo alla diffusione di notizie sul continente africano consista proprio nel divario esistente tra i paesi cosiddetti in via di sviluppo e il Nord del mondo riguardo alle tecnologie e mezzi di comunicazione di massa. In termini specifici, la questione quella del global digital divide, che darebbe luogo, per usare un espressione di Morawsky, ad un corrispettivo digital apartheid. La tesi di fondo che lassenza di media realmente endogeni ed autosufficienti nellAfrica Subsahariana funga da grande limite non solo alla ricezione di informazione, ma anche alla sua produzione e corrispettiva irradiazione per via internazionale. Non vi una vera e propria fonte informativa africana, che possa presentare (o rappresentare) limmagine dellAfrica secondo lAfrica.

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3.1.1 Globalizzazione: prospettive e problemi In realt, con le dinamiche della globalizzazione, molti teorici hanno espresso pareri e formulato constatazioni ottimistiche. Sebbene e lo si vedr poco di seguito la diffusione, in termini numerici, dei mezzi tecnici e degli apparecchi sia ancora limitata, il progressivo processo globale avrebbe gi portato numerosi frutti positivi ed altri destinano a portarne negli anni a venire. Per quanto riguarda il mezzo televisivo, lopinione prevalente che la sua diffusione planetaria promuova (ed abbia promosso) un notevole incremento della competenza linguistica, dellinformazione e della cultura generale. Tale fenomeno andrebbe a vantaggio soprattutto dei popoli geograficamente periferici e delle minoranze culturali in varie forme emarginate, esattamente come il caso in questione. La ricezione televisiva in tutto il globo darebbe vita ad una coscienza unitaria dei problemi dellumanit, alimentando sentimenti di solidariet trans-nazionale. Il dialogo interculturale che da questa ricezione globale deriverebbe, avrebbe come effetto la creazione di una koin culturale mondiale, utile per ridurre i fenomeni di speciazione ed attrito in seguito alla differenza culturale, e dunque per creare le premesse di una naturale armonizzazione dei conflitti. Il noto sociologo Marshall McLuhan del resto aveva gi ipotizzano una opinione pubblica mondiale, conseguenza dellintimit civile tra tutti gli appartenenti ad una global civil society. Queste tesi sono condivise ed a loro modo formulate da pensatori del calibro di Jurgen Habermas ed Ulrich Beck. Charles Cooley, Robert E.Park, George Gallup e Harold Lasswell formulavano inoltre, gi nella prima met del Novecento, delle ipotesi sulle mondiale connessioni e la tra una comunicazione interattiva partecipazione 28

democratica. Nel caso dellAfrica, questo sarebbe ancora pi degno di nota in quanto la progressiva diffusione di tecnologia aprirebbe le porte a forme di consultazione permanente completamente democracy. Vi per chi decisamente pi cauto: per dirla con Danilo Zolo15, i dubbi riguardano anzitutto la capacit del mezzo televisivo come tale di favorire una comunicazione trasparente, simmetrica e interattiva tra soggetti emittenti e soggetti riceventi. Ma soprattutto sono inerenti alla sua idoneit a promuovere la formazione di una sfera pubblica che sia sottratta allinfluenza delle corporations transnazionali, quasi totalmente insediate negli Stati Uniti e tutte sotto legida dellOCSE, che monopolizzano lemittenza televisiva: fra queste AOL-Time Warner, Disney, Bertelsmann, Viacom, Tele Communications Incorporated, News Corporation, Sony, Fox. La televisione, stata introdotta in Africa tra gli anni Sessanta e Settanta. Come riporta Berruti, da allora poco cambiato, poich i sistemi televisivi sono rimasti in larga misura sotto il controllo statale, sebbene il vento della mondializzazione soffi sempre pi forte sotto le insegne della Bbc, di Canal Plus e della Cnn. La dipendenza africana dai paesi occidentali particolarmente evidente: a livello di conoscenze e tecnologie, e nellimportazione di programmi europei o americani. E cosa nota che leffetto e lobbiettivo dellattivit delle corporazioni multinazionali, le cui case madri si trovano nei pi avanzati paesi capitalistici e in particolare negli Stati Uniti di promuovere una sorta di integrazione interessata, che unisce fra loro societ dei paesi avanzati e soltanto le elits governative/statali dei paesi poveri. inedite: la cosiddetta instant referendum

15

Danilo Zolo, Globalizzazione, una mappa dei problemi, Laterza 2004

29

La comunicazione occidentale, pubblicitaria e non, diffonde in tutto il mondo - e dunque anche in Africa, che tali format importa e che a determinate fonti si riferisce messaggi simbolici fortemente suggestivi che esaltano il consumo, lo spettacolo, la competizione, il successo e incrementano in generale, le spinte allacquisizione. Inutile sottolineare, dal versante culturale, come questi valori siano fondamentalmente individualistici, e contraddicano non solo lidea sopraccitata di una sfera pubblica globale, ma gli stessi elementi costitutivi del sentire tradizionale africano, con gli annessi equilibri di legame sociale. Non a caso per Robert Fortner la comunicazione televisiva, gi nello scenario occidentale, allorigine dellatomizzazione sociale. La consuetudine dei giornalisti africani inoltre di fare un eccessivo riferimento alle fonti ufficiali e alle agenzie di stampa occidentali. La conseguenza che per paradosso lAfrica finisce per dipingere s stessa attraverso gli occhi degli stranieri. Ancora, i flussi comunicativi che in tal modo hanno origine pressoch puntuale dai paesi pi industrializzati, hanno verso unidirezionale verso il resto del modo, ed effetti drastici di riduzione proprio della complessit linguistica e culturale, di appiattimento degli universi simbolici e di omologazione degli stili di vita. Si potrebbero dunque azzardare alcune affermazioni: in termini numerici, come di seguito, i mezzi sono ancora limitati nonostante i trends crescenti in alcune zone e le previsioni pi o meno ottimistiche. Questi pochi mezzi sono da una parte legati a doppio filo con multinazionali, finanziatori e corporazioni occidentali, dai quali derivano importazioni di formats e programmi, indicazioni e direttive sulle testate e sui palinsesti, e in generale la gestione concreta dei flussi. Dallaltra gli stessi

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media sono gestiti da elits (di carattere statale/post-coloniale o privato) conniventi alle stesse corporazioni occidentali. In questo senso pare evidente come nella sua ragion ultima il flusso informativo sia sempre unidirezionale (dal resto del mondo allAfrica), non vi sia un reale feedback ma una continua ricezione a senso unico. Ed in questo ordine di idee che si inseriscono i pessimisti della globalizzazione, come Ulf Hannertz, Serge Latouche e Jean Baudrillard. La penetrazione occidentale in Africa, attraverso mezzi e capitali della sfera della comunicazione e la conseguente instaurazione in loco di televisioni, radio, testate non avrebbe come naturali frutti gli effetti positivi precedentemente descritti, ovvero la genesi delle condizioni per una societ globale e multipolare dove anche lAfrica svolgerebbe la sua parte. Secondo Hannertz16, il fenomeno pi diffuso e significativo sarebbe quello della creolizzazione, che colpisce una grande quantit di popolazioni indigene, culturalmente deboli o a lungo sottoposte allegemonia di una potenza coloniale. La cultura autoctona viene erosa, corrotta e sopraffatta, non solo sul terreno linguistico, dalladozione forzata di un modello straniero, quello tecnico scientifico industriale esportato dai paesi occidentali. sociologo Serge Latouche
17inoltre

Leconomista e

afferma che sullonda della

penetrazione del mercato in ogni angolo della terra, lOccidente opera come una megamacchina tecnico-scientifica che pur essendo il prodotto di una specifica civilt storica non pu pi essere riferita ad un'unica area geopolitica. Eun dispositivo impersonale che a tutte le latitudini, e non solo nel cosiddetto Terzo Mondo, strappa gli uomini dalla loro terra e dai loro legami sociali e li scaraventa nel deserto dellurbanizzazione metropolitana.

16 17

U.Hannertz, La complessit culturale. Lorganizzazione sociale del significato, Il Mulino 1998 Serge Latouche, Loccidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri 1992

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Di contro alla retorica della cultura globale, vi dunque uno dei processi pi evidenti della occidentalizzazione (dunque anche mediatica) del mondo, e lomogeneizzazione culturale senza integrazione: lantagonismo tra le cittadinanze di serie A dellOccidente e le aspettative di grandi masse di soggetti appartenenti ad aree ad alto tasso demografico e lontane dallo sviluppo tecno-scientifico propriamente inteso. Il digital divide dunque non solo causa di un nuovo apartheid, in quanto permane una differenza tra le zone del mondo nella diffusione e nel possesso di tecnologia: a sua volta conseguenza delle differenze e anche se ridotto non potr metter fine alle tensioni interne e internazionali prodotte dalle dissimmetrie di potere, dalle asincronie di sviluppo e dalla eterogeneit di interessi e dei valori18. 3.1.2 Un divario in cifre In realt gli ottimisti ragionano su previsioni e ipotesi positive sulle conseguenze della globalizzazione, ma i dati concreti danno luogo a conclusioni differenti. Il global digital divide, che fa le veci del nuovo muro di Berlino del mondo globalizzato, ha un carattere ovviamente non solo geografico ma anche di stratificazione sociale. Nei trenta paesi ricchi dellOCSE, a titolo esemplificativo, dove distribuita meno di un quinto della popolazione mondiale, si trova il 95 per cento delle utenze stabili di Internet, e lEuropa sorpassa di 41 volte lAfrica, nonostante il continente abbia una popolazione pi numerosa di quasi cento milioni. Meno del 6 per cento della popolazione mondiale ha un collegamento ad internet; quattro miliardi di persone rimangono ad oggi escluse dalluniverso cibernetico. Il 57 per cento delle utenze coperto
18

D.Zolo, Globalizzazione, una mappa dei problemi, Laterza 2004

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dai soli Canada e Stati Uniti, mentre Africa e Medio Oriente raggiungono a malapena l1 per cento. Il dato pi significativo che questo gap digitale anzich ridursi si estende e si allarga sempre pi in parallelo con il processo di globalizzazione. Nei paesi occidentali linternauta medio bianco, sui 35 anni, diplomato o laureato, con un reddito annuo superiore ai 30.000 euro. Una polarizzazione post-moderna dunque quella tra i soggetti info-rich e info-poor, sia a livello nazionale che mondiale; una tale disparit non pu che essere terreno fertile per nuovi conflitti e disuguaglianze. Riportiamo qui delle statistiche esemplificative di queste differenze, selezionate da Berruti19:

Figura A. La diffusione dei giornali quotidiani nel mondo

600 500 400 300 200 100


a e bi c. ic O on ara er p a p p si ia Am ro ae G u d r P E No
copie ogni mille abitanti

As

ic er m A

ia

L.

ric Af

19

A.Berruti, La geografia dei media, un paesaggio diseguale, ISRAT

33

Figura B. Diffusione dei televisori nel mondo


700 600 500 400 300 200 100 0
1977 2000

a a a a a a a ic op ani tic Asi tin fric r r e e A La m Eu Oce ovi a A c S i d e er or on m N i A n U

1600 1400 1200 1000 800 600 400 200 0


rd No a pa ic ro er u E Am ia As er m A a ic

radio ogni mille abitanti

a tin La P

bi ra A si ae

Af

a ric

Figura C. Diffusione delle radio nel mondo

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Figura D. Teledensit e diffusione dei Pc nel mondo Area Linee telefoniche fisse per mille abitanti 667 592 586 132 162 80 16 169 Personal computer per mille abitanti 585 267 315 31 44 15 9 78

Usa Ue Giappone Paesi Arabi America Latina Asia e Oceania Africa Mondo

Figura E. Gli utenti di Internet per area geografica


Area/Paese Paesi Arabi Asia orientale Asia meridionale Africa Subsahariana America Latina Est Europa Utenti ogni mille abitanti 27 15 6,3 8 49 43

Ocse

332

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Figura F. I maggiori poli tecnologici e il best 10 dellindice nazionale delle ICT Aree di ricerca hi-tech Silicon Valley Boston Stoccolma Tel Aviv Durham Londra Helsinki Austin San Francisco Tapiei Paesi Usa Usa Svezia Israele Usa Inghilterra Finlandia Usa Usa Taiwan rank 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 ICT index Usa Islanda Norvegia Lussemburgo Svezia Danimarca Svizzera Finlandia Hong Kong Giappone

3.1.3 I media in Africa Uno studio mirato dello stesso Berruti, e propriamente incentrato sullAfrica subsahariana, sembra mostrare in realt delle premesse pi incoraggianti di quelle che lasciano trasparire i dati riportati qui sopra. Sfatando alcune ipotesi spesso avanzate sulla globalizzazione, si evince come il panorama tecnologico del Terzo Mondo non sia una vera e propria tabula rasa, ma mostri - seppur in modo fortemente irregolare dei segnali di crescita. La percentuale della popolazione urbana piuttosto limitata (attorno al 33%) anche se il tasso di crescita tra i pi rapidi del mondo. Si prevede una creazione di nuove metropoli, sebbene destinate ad assumere la fisionomia di baraccopoli africane. Ed ovviamente nelle citt che si concentrano i poli mediatici in nuce. Nelle stesse proto-metropoli fermenta il piccolo mondo del giornalismo africano: anche Berruti ricorda come esso (ma linformazione e la comunicazione mediatica tutta) abbia avuto una pesante matrice statalista dalla quale cerca tuttora a stento di liberarsi. E lo studioso chiama in causa il colonialismo: i 36

media in Africa sono stati storicamente degli strumenti delle lites al potere, sia durante il periodo classico della colonizzazione, sia in quello post-coloniale ed in piena Guerra Fredda. Per tanti anni dunque i mezzi di comunicazione hanno servito la propaganda statale e i suoi interessi, o sono stati vettori di note campagne educative e umanitarie impugnate da Ong. La zona di influenza inglese quella che cronologicamente mostra un primato dello sviluppo e nella diffusione dei mezzi di informazione: per via dellenclave inglese, a Citt del Capo, che nel 1924 in Sudafrica si ebbe lincipit delle trasmissioni radiofoniche, seguite venti anni dopo (1963) dalla televisione a Nairobi in Kenya. La carta stampata modernamente intesa (in veste di quotidiani) fece la sua comparsa alla fine del XVIII secolo. In realt, lunico medium che abbia assunto tuttoggi un vero carattere di massa la radio, per ovvie ragioni economiche ma anche di fruibilit, per analfabeti ma pi genericamente per culture indigene dalla forte tradizione orale: esistono trasmissioni realizzate in idiomi ancestrali in luogo delle lingue ufficiali ereditate dal colonialismo. La radio diffusa in maniera capillare e sono le emittenti locali quelle pi seguite, artefici della scansione della quotidianit. Dal versante strettamente politico le emittenti radiofoniche possono fungere da collante per le deboli unit nazionali, utili a integrare nelle reti statali le zone rurali, distanti dalle sedi amministrative. Nei paesi con i maggiori tassi di popolazione rurale, come Burundi, Uganda, Malawi ed Etiopia, i parchi di ricevitori radio sono cresciuti in media del 18% negli ultimi dieci anni20.

20

Cfr. World Bank, Statistical Yearbook, 1990 e 2002.

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La liberalizzazione della radiofonia, che ha avuto inizio in Mali nel 1992 dopo la caduta di Traor, ha rappresentato la partenza per una crescita esponenziale del settore; sono aumentati praticamente in ogni paese i canali disponibili e la diffusione degli apparecchi ricevitori: del 48% in Ghana (paese record, con 710 radio ogni mille abitanti), del 40% in Gabon, del 37% in R.D. Congo21. Parallelamente, vi stato anche un incremento della disponibilit di giornali quotidiani, specialmente in zone a tasso elevato di crescita della complessit sociale. Lo sbocciare della stampa privata, che si colloca geograficamente tra gli anni Ottanta e Novanta in Benin e Senegal, ha le sue radici nellimprenditoria privata ma anche nelle concessioni degli Stati: a causa del suo target numericamente molto limitato la stampa era infatti il mezzo informativo meno temuto dalle oligarchie al potere. In ogni caso, eccezion fatta per Sudafrica e Nigeria, la stampa rimane in Africa un mezzo dinformazione destinato a un pubblico urbano. Lanalfabetismo e la poca affidabilit della viabilit stradale rendono ostica la distribuzione dei giornali. La televisione si gi detto ha visto la sua introduzione negli anni sessanta: ed importante notare come il medium pi efficace (per penetrazione e capacit comunicativa) sia quello distribuito nella maniera pi difforme. Si cita qui ancora Berruti: La copertura territoriale garantita dai ripetitori televisivi circoscritta alle zone urbane, se non alle sole capitali, e il divario tra i dieci paesi che nel 1990 erano pi dotati di televisori rispetto al resto del continente, invece di erodersi, va aumentando. La televisione in Africa non comunque una preoccupazione primaria per i politici e resta un oggetto di contraddizione: crea un legame sociale tra chi
21

Ivi.

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fruisce dello stesso spettacolo, ma per la stessa ragione, essendo impiantata in modo diseguale, separa cittadini e rurali22. Per ci che concerne internet in Africa, evidente dai dati che ci si trovi soltanto agli inizi, con una esigua percentuale di otto africani su mille (otto milioni in totale), anche se gli utenti sono in crescita. Vi sono ovviamente ostacoli strutturali, come sistemi fiscali svantaggiosi, che considerando i computer beni di lusso ne fanno lievitare i prezzi, ma non un dato secondario anche la precariet delle linee telefoniche. Queste basi tecniche non sono per sufficienti a spiegare in modo esauriente il panorama dellAfrica cibernetica. Vi sono importanti barriere culturali oltre a quelle economiche (un salario medio poca cosa rispetto alle esigenze di mantenimento di una connessione privata). Prendendo in analisi diversi elementi (host, domini, provider e larghezza di banda) appare come la distribuzione di internet sia fortemente polarizzata. Un nucleo ristretto di paesi detiene valori nettamente superiori rispetto al resto del continente (Kenya, Togo, Senegal, Ghana, Zimbabwe) e sopra di loro spicca il Sudafrica, che concentra in s due terzi dei naviganti, tre milioni di computer e l82% dei domini registrati23. Comparando la distribuzione del cyberspazio africano ad altri indicatori territoriali, si evince come tale settore sia forse quello pi strettamente con lurbanizzazione. Si citi la citt di Dakar a titolo esemplificativo: nella capitale del Senegal vive un terzo della popolazione nazionale, il 61% degli host e il 98% degli internauti24.

22

Berruti, da A.J. Tudesq, op.cit. pag. 53 ; vd. A. Ba, Televisions, paraboles et democraties en Afrique noire, Parigi, LHarmattan, 1996. 23 Berruti, da M. Jensen, Status delle tecnologie dellinformazione e della comunicazione in Africa, in Africa e Mediterraneo, dicembre 2002. 24 Berruti, da M.C. Diop (a cura di), Le Sngal lheure de linformation, Parigi, Karthala, 2003.

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Nonostante questo possibile delineare un fenomeno tutto endogeno, una sorta di risposta o vero e proprio modello africano di appropriazione delle nuove tecnologie, basato sullaccesso collettivo, attraverso luoghi pubblici quali cybercaf e telecentre. Il fenomeno, diffuso dal pi piccolo caf fino ai centri commerciali e di tecnologia, sembra destinato a divenire pi che una modalit transitoria, in quanto fonda probabilmente le sue radici su categorie antropologiche prima che sociologiche. Il primo cybercaf il Metissacana, che ha visto la luce nel 1997 ad opera dello stilista senegalese Oumou Sy, tra i palazzi del Plateau, il quartiere degli affari di Dakar. Oggi i cosiddetti telecentre in Senegal sono dodicimila e ricoprono ben un terzo del traffico telefonico nazionale25. 3.1.4 Una via africana alla tecnologia? La crescita dei media africani dunque non e non stata affatto lineare, cos come la loro, e se questo panorama diseguale, se il cosiddetto digital divide le tra Nord e Sud del mondo appare difficile da colmare, in futuro potrebbe esserlo ancora di pi. Nel 2003 a Bamako si tenuto un vertice sullinformazione,dove circa cinquanta governi africani hanno prospettato piani nazionali di sviluppo delle infrastrutture di comunicazione. Da pi parti stata evidenziata la marginalit delle zone rurali come il problema impellente da risolvere. Se per ancora una volta molti paesi - come gi promesso apriranno la strada a privatizzazioni al WTO, le ferree leggi delleconomia avranno pi di una remora dellinvestire nelle cosiddette zone rurali. E se anche il carattere del investimento dovesse rimanere pubblico, sorgono per ulteriori interrogativi sul carattere
25

Berruti, da I. Pansa, Senegal on line, in Afriche, settembre 2003.

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culturale di una diffusione massiva di tecnologie sradicanti negli scenari africani.

3.2 Squilibri di rappresentazione e squilibri di potere Una teoria comune sullapproccio dei media nei confronti dellAfrica quella secondo cui gli squilibri di rappresentazione sarebbero diretta conseguenza di squilibri di potere. In altri termini, la configurazione dello scenario geopolitico, il ruolo degli attori del Nord del pianeta e la contingenza finanziaria mondiale sono i fattori che determinano limmagine diffusa del continente: allinterno dei media occidentali, essa dunque viene appositamente distorta per rispondere ad esigenze e strategie di politica estera e commerciale. Appare quasi scontato riportare il principio elementare secondo cui una notizia lesiva nei confronti degli interessi strategici di un paese (imminenti manovre di politica estera, mantenimento di uno status quo) o di una corporazione (aziende coinvolte nei traffici darmi, multinazionali petrolifere, industrie farmaceutiche, cartelli di industria tecnologica e di infrastrutture) viene omessa o deformata in modo da portare alla sua neutralizzazione. 3.2.1 Petrolio, armi, medicinali: cosa dicono i media Ne La Repubblica del 21 giugno 2003 viene riportata la notizia del rogo di un oleodotto in Nigeria, ponendo lattenzione sul fenomeno tipico del furto del petrolio che ha innescato la tragedia: La tragedia non la prima del genere in Nigeria, dove sono frequenti i casi di sabotaggio agli oleodotti per ottenere il petrolio e rivenderlo al mercato nero. Tesi peraltro 41

dominante nel generale panorama mediatico italiano nello stesso periodo. Per con la sistematica omissione di un importante dato: le entrate per il petrolio, che costituiscono l'80% delle entrate nigeriane, solo in minima parte finiscono nelle casse dello Stato. Come sostiene Meo Elia26, da anni numerosi gruppi si battono per la difesa delle loro terre, rovinate dai liquami delle perforazioni condotte senza controlli: lo scorso anno ci sono stati un migliaio di morti e decine di migliaia di profughi. Le popolazioni del Delta () vedono la propria ricchezza fuggire lontano, a vantaggio dei militari del paese e delle multinazionali del petrolio. Il furto del petrolio dunque certamente ai danni delle elits governative, ma la presentazione mediatica dellavvenimento deforma chiaramente le sue ragioni sociologiche in nome di interessi geopolitici sovraordinati. E' stato calcolato che oggi, nel mondo, sono in corso circa 640 conflitti gravi; secondo una stima di Peacelink27, a titolo esemplificativo se ne possono evincere 37 armati per il controllo dell'acqua, molti dei quali il potere e i mass media preferiscono presentare come conflitti etnico/religiosi. In Africa per secondo Paolo Giorgi () contrariamente a quanto molti pensano, non nascono guerre civili sanguinosissime perch gli africani hanno voglia di menar le mani: ma perch l'occidente ha sottratto e sottrae le materie prime (basti pensare al coltan, in Congo, elemento indispensabile per i nostri telefonini) lasciando in cambio fame, sfruttamento, e carichi giganteschi di armi di cui si impossessano eserciti di mercenari e dittatori locali. Ma attribuire la genesi dei conflitti ad un innata natura irrazionale, violenta e/o tribale dellAfricano-tipo, oltre che meccanismo culturalmente agevole, uno strumento utile per la
26 27

'La Rivista del Clero Italiano', ottobre 2000 http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_13827.html

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neutralizzazione ed omissione sistematica delle reali ragioni degli squilibri, e quindi utile al mantenimento dello stato delle cose. Come riporta ancora Peacelink, ad esempio molte nazioni sono dipendenti dall'acqua fornita da fiumi che scorrono in altre nazioni situate a monte. Israele preme militarmente per il controllo delle risorse idriche nel bacino del Giordano in Palestina; Turchia, Siria, Iraq e Kurdistan si contendono il Tigri e l'Eufrate; Egitto, Sudan ed Etiopia competono per il Nilo. Un altro esempio viene sempre riportato da Meo Elia28: vengono mostrate immagini di repertorio di bambini scheletriti e ci viene detto della siccit del Corno d'Africa, che mette a rischio la vita di otto milioni di persone nella sola Etiopia. stata descritta anche la guerra tra Etiopia ed Eritrea, ma non si menziona mai che l'Etiopia nel '99 ha triplicato il suo budget militare, passando da 140 a 367 milioni di dollari e anche l'Eritrea passata da 196 a 236 milioni di dollari nello stesso periodo. E, soprattutto, nessuno dei grandi mass media fa esplicita menzione dei fornitori darmi (caccia bombardieri, elicotteri da combattimento, carri armati)che alimentano tale conflitto, nella fattispecie Parigi e Mosca: non a caso, pochissima eco ha avuto la notizia che in sede di Consiglio di sicurezza dell'Onu, Francia e Russia hanno impedito un embargo totale sulla vendita di armi ai due paesi in guerra. E per volersi attenere al solo caso italiano, si riportano qui alcune stime di Peacelink. Secondo un rapporto della Presidenza del consiglio, le vendite di armamenti all'estero autorizzate dal governo italiano nel 2006 sono salite addirittura del 61%, passando da 1,36 miliardi del 2005 a 2,19 miliardi. Mentre le consegne gi effettuate hanno
28

Meo Elia, su www.saveriani.bs.it

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fruttato 970,4 milioni. Le ditte esportatrici sono Augusta (810 milioni di euro), Alenia (311), Oto Melara (283), Avio (127), Lital (123), Selex (81,5), Aermacchi (73,4), Alcatel Alenia (71,5), Iveco (49,6). Delle prime dieci aziende esportatrici, ben sette appartengono a Finmeccanica di cui lo Stato principale azionista. In altri termini, lo Stato autorizza se stesso a vendere armamenti all'estero. I maggiori profitti sono per destinati alle banche,che guadagnano sui pagamenti che dall'estero arrivano sui loro conti. Dietro San Paolo-Imi (446,7 milioni di pagamenti ricevuti), seguono Bnp-Parisbas (290.5), Unicredit (86,6), Bnl (80,4), Banco di Brescia (76), Commerz Bank (74,3), Banca Popolare Italiana (60,6), Banca Intesa (46,9). Scende da 133 a 36 Banca di Roma, che ha partecipato ai convegni organizzati dalla Campagna banche armate, una iniziativa lanciata nel 2000 da Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia che monitorizza e cerca di sensibilizzare gli istituti bancari e di ridurre gli affari legati al traffico d'armi. Il business supera ovviamente la semplice gestione passiva degli incassi. I flussi finanziari legati alle armi nel 2006 sono saliti fino a 2,27 miliardi di euro (nel 2005 ammontavano a 1.775 milioni). Un terzo esempio legato allindustria farmaceutica: i mass media riportano spesso che l'80% dei decessi legati all'aids avviene in Africa29: 11 milioni di morti dal 1982, anno in cui stato registrato il primo caso nel continente; nei prossimi dieci anni prevista una perdita umana stimata intorno ai 40 milioni di africani. Il reportage con cui il giornalista Mark Schoots ha vinto il premio Pulitzer 2000 ha un titolo paradigmatico: AIDS, the agony of Africa.30 I mass media per difficilmente
29 30

UnAids, fonte OMS http://www.villagevoice.com/

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richiamano le stime sulla malaria, che provoca in un solo anno tanti morti quanti l'AIDS in quindici31. In Occidente le terapie usate contro l'AIDS hanno un costo di circa 10 mila dollari all'anno per ogni paziente, mentre mediamente in Africa la spesa sanitaria pro capite di 10 dollari annui, continuamente contratta per via degli 'aggiustamenti strutturali' imposti dal FME alle economie dei paesi africani. Vi inoltre l' impossibilit per la gente comune di accedere ai medicinali, a causa del prezzo elevato imposto dalle ditte farmaceutiche per difendere i brevetti sui farmaci e per la scarsit di investimenti. Il prezzo delle medicine, il cui mercato mondiale per due terzi concentrato in circa 20 grandi gruppi, ha un prezzo mondiale unico,basato sulle tariffe praticate negli Usa, tra le pi alte del globo. Il terzo fatto che i grandi mass media non menzionano la chiusura delle ditte farmaceutiche alle ricerche sulle malattie tropicali e alla produzione di farmaci essenziali in quanto poco procedure poco remunerative. In questi ultimi casi, ragioni di politica estera ed interessi commerciali anche transnazionali si fondono in un unico nucleo, che funge da fulcro sulle versioni presentate dai media. 3.2.2 La marginalizzazione: dai media alla realt Allo stesso modo, statisticamente possono essere osservate continue strategie di marginalizzazione, in nome del principio secondo cui lassenza dagli schermi equivale allinesistenza: in uno studio di Asgede Hagos lattenzione si rivolge ai media statunitensi nel periodo a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta32. Lattitudine dei media americani a trascurare sistematicamente il continente africano era consequenziale allo
31 32

www.msf.it Hagos, 2000

45

scarso interesse strategico da esso rivestito durante il periodo della Guerra Fredda. Quandanche esso stato soggetto allattenzione pubblica, le motivazioni sono state principalmente di ordine ideologico; un esempio su tutti linterpretazione in chiave anticomunista di alcuni fenomeni, come il movimento anti-apartheid in Sud Africa. Allo stesso modo, rivolgendo lanalisi al trattamento mediatico offerto dallex Unione Sovietica in un periodo tra il 1956 e il 199333, si evince una non dissimile strategia di interpretazione dei problemi africani come conseguenza dellimperialismo americano; il continente viene in ogni caso rappresentato come incapace di crescere da solo, privo di aiuti esterni e pi specificamente paternalistico. Ancora, secondo Paolo Giorgi34, tra il 2005 e il 2006 i media italiani nel loro insieme hanno dedicato pi del 95% del loro spazio per gli Esteri alle guerre "famose", quelle con un coinvolgimento diretto di soldati occidentali: Iraq in primis, e poi Libano (e Medio Oriente in generale) e Afghanistan. 3.2.3 Le agenzie di stampa mondiali Secondo statistiche accreditate e largamente condivise, una percentuale tra l80% e il 95% dellinformazione mondiale in mano a sole quattro agenzie di stampa, ovvero le americane Associated Press e United Press International, la britannica Reuters e la francese France Presse. Agenzie che a loro volta gestite da cartelli industriali e finanziatori pubblici/privati coinvolti in primo luogo nelle vicende economiche africane, dalla vendita darmi al possesso delle risorse petrolifere.
33 34

del

noto

internazionalismo

di

stampo

Quist-Adade, 2001 http://www.aprileonline.info/120/una-nuova-voce-dallafrica

46

La Associated Press esiste grazie al suo mercato interno, gli Stati Uniti, che apporta circa il 94% delle entrate. Segue poi la britannica Reuters, i cui introiti dipendono solo per il 4% dalla vendita ai media, il resto proviene dalla vendita di informazioni finanziarie ad aziende, banche e agenzie borsistiche. Infine Agence France Press, anch'essa allineata alle altre agenzie, anche se il 60% delle spese viene pagato dallo Stato francese. Un modello simile quello della spagnola EFE, l'italiana ANSA e la tedesca DPA, vive grazie a contributi statali. Le loro reti rispondono quindi anche agli interessi strategici dei rispettivi Paesi. Appare dunque evidente come una rappresentazione derivata da un numero cos esiguo di fonti, a loro volta imponenti e legate a doppio filo con soggetti interessati, oltre a violare una delle norme non scritte pi essenziali della libert dinformazione, consista soprattutto in una rappresentazione di potere e in un riflesso della situazione geopolitica.

3.3 I criteri di notiziabilit Riguardo al trattamento del materiale mediatico relativo al continente africano, si possono evincere metodi e tecniche comuni agli operatori dellinformazione, delle vere e proprie routines professionali o meccanismi ricorrenti. In quanto tali, sono assurti allo status di veri e propri automatismi, dettati da modalit dazione inconsapevoli e canoni acquisiti dalla testata giornalistica. Utilit, fruibilit e vendibilit cos come un ignaro ricorso a categorie culturali precostituite si nascondono dietro queste procedure, che sono applicabili allintero panorama informativo, e che acquistano valenza anche nel contesto della selezione del materiale sullAfrica. 47

3.3.1 LAgenda-setting Il criterio-guida, ovvero quello che prelude alla selezione o allomissione del materiale, quello del cosiddetto agenda setting35, ovvero il processo di determinazione delle notizie su cui concentrare lattenzione. Si tratta, in altri termini, del macroinsieme di procedure che stabiliscono la notiziabilit dellevento, su cui torneremo in seguito. E per interessante focalizzare lattenzione sullo specifico concetto di Agenda Setting: nella sociologia della comunicazione, con questa definizione si intende sia la creazione di una sorta di indice generico di argomenti soggettivo e personale per ogni singolo medium o testata- da inserire in un dualismo tra i media e laudience, sia la scelta effettiva di priorit tra questi. I media deciderebbero gli argomenti cui prestare attenzione, cui dedicare spazio in base ad una serie di pressioni cui sono sottoposti; tali pressioni, come si gi visto, possono derivare da contingenze politiche e ragioni di interesse, o daltra parte come si evincer nel corso dellanalisi- da automatiche routines e distorsioni inconsapevoli. Maggiore limportanza che i media dedicano alla questione, maggiore il riconoscimento pubblico che largomento presentato riceve. Si sostiene che i temi (argomenti, eventi e persone) pi "sentiti" dalle audiences sono quelli pi enfatizzati dai media, cio quelli a cui dedicato maggiore spazio ed attenzione, mentre, al contrario, i temi esclusi dai media sono ignorati dal pubblico ed come se non esistessero. I mass media avrebbero dunque la capacit d'orientare l'opinione pubblica sulla scelta degli argomenti intorno ai quali pensare. Essi, descrivendo e precisando la realt esterna, presentano alle
35

McCombs e Shaw, 1972

48

audiences una lista di ci su cui bisogna avere un'opinione e per cui vale la pena discutere. In questo senso, ben comprensibile come certi assunti o stereotipi possano entrare in un circolo vizioso di auto-alimentazione e sostegno. E daltra parte vero che non corretto attenersi ad una logica cos fermamente determinista per spiegare i meccanismi mediatici: la creazione di opinione non certamente unidirezionale, perch oltre al concetto di influenza da parte dei media, da una parte non bisogna sottovalutare le capacit e le modalit di ricezione di questa informazione da parte dellaudience, dallaltra si potrebbe affermare che come riporta Wikipedia36- che levidenza empirica risultante dalle analisi di comunicazione si piuttosto attestata su un piano differente; i media sono s in grado di spostare lattenzione del pubblico su determinati temi, ma non sembrano in grado di poter dire alle persone cosa pensare. Inoltre ricerche dimostrano come le conoscenze ed esperienze pregresse degli individui possano ridurre l'effetto dellagenda setting , andando a formare quella che lagenda soggettiva, ossia un meccanismo di mediazione che tende ad operare unulteriore selezione sui contenuti dellagenda mediatica sulla base dellesperienza diretta. Di conseguenza si pu affermare che in realt avviene un'integrazione tra le due agende: quella soggettiva e quella dei media. Infatti ciascun individuo, pur ritenendo importanti i temi enfatizzati dai media, dedica particolare attenzione ai temi che gli provocano maggior coinvolgimento ed interesse personale. Nonostante questi limiti strutturali, tale teoria comunque da considerarsi valida. Vi inoltre da aggiungere che probabilmente il meccanismo dellAgenda Setting da considerarsi come inevitabile, in quanto per una qualunque
36

http://it.wikipedia.org/wiki/Agenda_setting

49

redazione

sicuramente

impossibile

esimersi

nella

presentazione degli argomenti- da fattori di influenza del contesto socio-economico in cui opera, del background culturale, dalla contingenza politica e in primo luogo delle variabili di giudizio assolutamente individuali di ogni operatore del settore. Nel caso dellAfrica, si evince come certe procedure avvengono in maniera inconsapevole, e come altre rispondono a meccanismi canonici della pratica giornalistica, che sono poi linsieme di regole di individuazione dei valori-notizia; un insieme di pratiche che guidano e standardizzano le procedure lavorative, necessarie per i media nel flusso pressocch ininterrotto di produzione. Tale esigenza si evidenzia infatti per lobbligo di coprire quotidianamente, con tempi e risorse piuttosto limitati, uno stesso spazio informativo. A titolo esemplificativo, si possono elencare determinati criteri di negoziabilit che operano alla base delle scelte di agenda, secondo un ipotesi di M.Wolf37:

il livello gerarchico degli attori coinvolti limpatto sullinteresse nazionale (o di collettivi) il numero di persone che gli eventi coinvolgono la possibilit di sviluppi e conseguenze dellevento la capacit di intrattenimento

Vi sono poi i criteri tecnici relativi al prodotto, come:

la brevit o la facile comprensibilit mediatica dellevento la novit dello stesso

37

Wolf M., 1985, Teoria delle comunicazioni di massa , Bompiani, Milano, 1985.

50

la velocit di trasmissione della notizia rispetto agli altri media

la qualit della notizia il bilanciamento dellinformazione

Tra i criteri inerenti al mezzo si annoverano:

Il buon materiale rispetto al mezzo utilizzato Eventi o notizie con una storia narrativa completa La frequenza dellevento Ancora, secondo una ricerca portata avanti dal Media Group of Glasgow University,38 tra le aspettative degli ascoltatori e le selezioni degli operatori dellinformazione s'instaura un circolo vizioso che produce proprio leffetto di questa scarsa presenza. Tre sono i temi chiave delineati:

le decisioni prese dai "broadcasters" (su criteri commerciali) riguardo alle preferenze dellaudience;

la disinformazione dell'audience televisiva, dovute alla parzialit e all'incompletezza delle informazioni diffuse sull'Africa;

la possibilit che un radicale cambiamento della qualit delle notizie riesca a modificare il livello di attenzione che l'audience nutre per la realt africana.

38

http://www.gla.ac.uk/departments/sociology/units/media.htm

51

3.3.2 I criteri di notiziabilit A dettare ritmi e contenuti dellinformazione intervengono in ogni caso i cosiddetti criteri di notiziabilit, ovvero ci che guida la selezione delle notizie da pubblicare, ed anche in tal caso lAfrica non costituisce eccezione ed soggetta alla medesima analisi prima di ottenere la sua rappresentazione mediatica. Come riporta Luciano Ardesi39, a regolare questo processo intervengono complessi fattori di organizzazione del lavoro redazionale e criteri di scelta che nulla hanno a che vedere con i valori sociali, culturali e professionali dei singoli giornalisti. Con una conseguente proliferazione di distorsioni, le quali non derivano da operazioni necessariamente volontarie, quanto piuttosto da meccanismi automatici, di routine40. Tali meccanismi, sottesi alla selezione dellinformazione, sono stati oggetto di analisi da parte degli studiosi Johan Galtung e Mari Holmboe Ruge; bench il loro studio sia ormai datato di 40 anni e a discapito dellevoluzione della tipologia e del ruolo dei media, si dimostra tuttora valido nellapplicazione delle sue categorie. I criteri evidenziati sono dodici e come ricorda lo stesso Ardesi, alcuni di essi sono direttamente conseguenti dalla psicologia della percezione. Un punto a favore della notiziabilit relativo alla durata dellevento, che deve accadere in un lasso di tempo tale da permettere al media che lo tratta di poter organizzare tecnicamente il lavoro. Tale criterio, sommato a quello della distanza culturale - pi una realt distante sotto questo punto di vista, pi ha necessit di offrire notizie rapide e consumabili per avere presenza mediatica direttamente applicabile al caso africano: nellottica progressista, i lenti movimenti dello sviluppo (e del suo cammino occidentalizzante)
39 40

http://www.didaweb.net/mediatori/articolo.php?id_vol=216 Wolf, Teoria delle comunicazioni di massa 1985, 177-186

52

non interessano quotidiani e telegiornali. Gli eventi inoltre devono avvenire su scala ampia, ed avere una certo quantum di risonanza ( il caso dei consistenti se non esclusivi- riferimenti ad avvenimenti violenti o negativi). 3.3.3 Laffinit culturale Unulteriore riflessione degna di nota relativa al criterio (di per se piuttosto scontato) dellaffinit culturale: le notizie devono essere in un certo modo facilmente interpretabili dallaudience di riferimento, prive di ambiguit e non dissimili dallimmagine mentale pre-esistente, come scrive Daniele Mezzana
41

riprendendo una definizione di Ardesi.

Questa immagine sarebbe costruita da un variegato continuum di attori (media e non) operanti nella realt sociale, agenti attualmente ma presenti da sempre e portatori di quel materiale sempre pi sedimentato e che ha contribuito a creare il corpus di conoscenze socialmente acquisite sullAfrica, con stereotipi e distorsioni annesse. Esploratori e missionari, scrittori, fotografi e imprenditori tutti operanti in una piramide che arriva ai media offrendo ad essi contenuti e categorie precostituite. Esiste dunque una vasta serie di fonti narrative sullAfrica, materia prima dellimmaginario diffuso e stratificato. Tale teoria pone dunque i media al termine della catena di costruzione dellimmagine sociale, e fa il palio con lipotesi che mette sotto analisi anche il secolare ruolo delle scienze sociali e dei ricercatori: intesi anchessi come fonte di nozioni sullAfrica e sulla sua civilt, gli scienziati del sociale hanno col tempo tramutato schemi scientifici in stereotipi di rappresentazioni. E il gi citato caso dellantropologia culturale e della teoria evoluzionista applicata al terzo mondo: la prima stata spesso
41

Daniele Mezzana, unimmagine cancerogena in Societ Africane, Zelig 2005.

53

intesa

come

unica

scienza

applicabile

al

continente

conseguenza implicita della stessa teoria dellevoluzione, che mette in una scala cronologica lo status dei popoli e come tale ritiene una generica e indistinta civilt africana come ben distante dalle tappe evolutive alle quali possano applicarsi ulteriori scienze sociali - , la seconda come fonte della sottorappresentazione della realt sub-sahariana, con le sue categorie immutabili di primitivismo, animismo, atemporalit, mancanza di storia e via discorrendo. In realt sarebbe pi corretto sostenere che i media non si collocano al terminale del ciclo di produzione dellimmaginario; rappresentano certo elemento di rafforzamento e diffusione delle precedenti fonti, ma nel contempo di rielaborazione e creazione di nuovo materiale. I media non costituiscono da soli una realt sociale, ma si innestano necessariamente su reti, abitudini, usi e appartenenze pre-esistenti degli utilizzatori. Essi possiedono il non secondario status di fonte primaria per le realt non direttamente attingibili; questo avviene per qualunque sfera della rappresentazione (il paradosso moderno secondo cui ci che non esiste mediaticamente, non esiste realmente) ed ancor pi per il continente africano. Il corpus di conoscenze sopra citato, costituito come si detto da materiale proveniente da attori sociali, fonti narrative, istituzioni di conoscenza e infine media, un blocco latente in tutto il pubblico occidentale: i media dedicati allinformazione possono dunque mettere in atto strategie questi atte a risvegliare/richiamare allordine mentale schemi,

configurati come veri e propri recettori culturali, per utilizzare unespressione di Beverly G.Hawk. Si tratta dunque di una vera e propria memoria semantica automatica, che funziona spesso da scorciatoia interpretativa (e banalizzante) per decifrare la 54

realt africana. Tutto questo nel panorama dellinformazionemerce avviene ovviamente in un ottica di audience e commerciabilit della notizia.

3.3.4 Altre procedure di rappresentazione Unulteriore procedura generale quella della

decontestualizzazione, ossia lisolamento dei fatti dagli elementi storico, socio-politici, economici e culturali che permetterebbero unadeguata spiegazione degli stessi, oltre a motivarne il senso ed a facilitarne la connessione con ulteriori eventi e fenomeni. Inevitabile inoltre sottolineare limpostazione sensazionalistica degli argomenti spesso trattati, con il privilegio del materiale direttamente spettacolarizzabile come quello relativo a guerre, rivolte, carestie, epidemie (per il contesto specifico africano, quella delllAids estremamente esemplificativa) o episodi appartenenti alla sfera del tribalismo (cannibalismo, violazione dei diritti umani, tradizioni popolari profondamente invise alla logica occidentale ecc.). A tal proposito, un interessante teoria entra nello specifico delle relazioni tra gli eventi di carattere umanitario e le organizzazioni non governative internazionali. Sgombrando il campo dalle ovvie connessioni tra la canalizzazione delle emozioni e gli scopi di mercato che possiede oggi lazienda giornalistica, curioso notare come -secondo H.Ronning42esista una sorta di sinergia strutturale tra le associazioni di questa tipologia, il verificarsi di eventi catastrofici e lazione dei media, nelle forme del cosiddetto giornalismo dei disastri. Le emozioni del pubblico vengono fomentate (secondo scopi ora volontari, ora routinari) tramite determinate rappresentazioni
42

H.Ronning, Relazioni tra i media internazionali e le Ong, Universit di Cardiff (Galles) 1998

55

della realt africana, al fine di accreditare quellimmagine dellAfrica tipica della scuola afro-pessimista- incapace di trovare al suo interno le risoluzioni necessarie ai problemi. Una tale rappresentazione ha il corollario di accrescere il prestigio delle stesse organizzazioni , creando intorno ad esse il consenso e spianando la strada per il proprio operato, con effetti talvolta non secondari sulla raccolta dei fondi. Ancora, tra gli stratagemmi narrativi maggiormente utilizzati vi quello della drammatizzazione degli eventi, ossia una esposizione degli stessi secondo uno schema facilmente interpretabile e il pi delle volte ricondotto ad un gioco di conflitto duale, tra individui (ad esempio leaders di fazioni contrapposte in caso di scontri) o gruppi etnici. Emblematica la vicenda della contrapposizione tra Tutsi e Hutu in Ruanda, presentata sistematicamente come esclusivo scontro etnico dai maggiori media. Ancora nel dicembre 2006, il Corriere Della Sera
43riporta

alla memoria la guerra nei seguenti termini:

Aprile 1994. Il Ruanda in preda ala follia collettiva. I suoi cittadini di etnia hutu, attizzati da bande armate di estremisti, gli hinterahamwe, sono scatenati contro i tutsi e gli hutu moderati. Civili armati di machete fanno a pezzi amici, compagni, conoscenti e persino coniugi, colpevoli solo di appartenere a un gruppo razziale differente. A seguito di comuni indagini storiografiche per semplice evincere come tale divisione, ormai somatizzata dallopinione pubblica, abbia in realt origini differenti, come ad esempio sostiene lUnicef: La tradizionale divisione fra Tutsi e Hutu non ha origini etniche (i due gruppi condividono lingua, religione e gerarchie politiche), ma economiche: i Tutsi sono storicamente allevatori, gli
43

La storia di Padre Seromba, Massimo A.Alberizzi, dal Corriere della Sera del 15 dicembre 2006

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Hutu agricoltori e dunque considerati socialmente inferiori. Il passaggio da un gruppo all'altro era per possibile. semplicemente mutando mestiere. In epoca coloniale i Tutsi diventano l'lite del paese () . Al fine di una maggiore efficacia comunicativa, duso adottare pratiche di ipersemplificazione o riconduzione/interpretazione degli eventi e processi secondo schemi chiari, che sono per nel pi dei casi banalizzanti o riduttivi, se non addirittura fuorvianti. Come sostiene Daniele Mezzana44, ad esempio qualcuno potrebbe mai attribuire giornalisticamente parlandole cause dellOlocausto alla natura violenta del popolo tedesco? Nel caso delle popolazioni africane, preconcetti di simile tipologia vengono frequentemente applicati. Il paradigma tardo-evoluzionista gi menzionato, secondo cui gli abitanti del continente nero sarebbero i rappresentanti fuori tempo massimo della preistoria dellumanit e come tali simili a fanciulli incapaci di reprimere le pulsioni violente, animalesche ed istintuali - mostra in questa procedura i suoi effetti. Come verr ulteriormente evidenziato, alle guerre africane, quandanche di carattere etnico, si associa una matrice fondamentalmente irrazionale e primitiva. Sarebbe impensabile ovviamente non considerare il criterio primo di ogni medium, quello della comunicabilit, ottenibile con svariati parametri (dalla brevit fino allhuman interest passando il coadiuvo di immagini ecc.ecc); se un fatto viene presentato con un linguaggio chiaro e si presta ad una facile interpretazione pi probabile che susciti attenzione nei pubblici. Ed in relazione alla chiarezza del linguaggio, utile citare la frequente ricorrenza di semplici opposizioni binarie per la

44

D.Mezzana, Unimmagine cancerogena, da Societ Africane Zelig 2005

57

descrizione di situazioni invero piuttosto complesse: ad esempio lopposizione tra primitivo e moderno. Ancora, limpiego della figura semantica della sineddoche (la parte per il tutto), stratagemma tipico quando nel caso dellAfrica un popolo specifico o addirittura un singolo tipo indifferenziato, lAfricano viene elevato a rappresentante dellintera area, e leccessivo ricorso ad un lessico specifico, per mezzo dei termini tribale,primitivo,giungla e numerosi altri. Eassodato che la societ di massa sia costantemente educata a recepire dai media messaggi non eccessivamente complessi o strutturati; Ma il riduzionismo (perch di vero e proprio riduzionismo in diversi casi si tratta) conseguente alle procedure di semplificazione viene spesso generato da ragioni che esulano da primo e puro scopo della comunicativit in se. Al livellamento ed alla omogeneizzazione della comunicazione televisiva in primo luogo -, sia sul piano delle forme sia su quello dei contenuti, contribuiscono notevolmente anche considerazioni economiche. Quasi ovunque, infatti, la televisione, oltre ad essere un mass medium anche una industria che deve produrre spettatori per venderli alla agenzie pubblicitarie. Tanto pi facile comprensibile il livello contenutistico del messaggio, quanti pi spettatori si possono catturare nelle rete. Il pubblico televisivo, infatti, creato dalla stessa televisione, in maggioranza educato a decodificare messaggi di scarsa complessit e tematicamente non controversi. Coloro che emettono i messaggi hanno un sistema di attesa nei confronti del loro pubblico, decidono che c' una gerarchia tra contenuti e scelgono una soglia al di sotto della quale non andare. Che ha come effetto obbligato la ripetizione sempre degli stessi concetti,

58

addirittura formulari, una forte retorica dei contenuti e anche una standardizzazione.

59

4 ::.. I flussi informativi

A riprova dellevidente squilibrio di rappresentazione

tra

mondo subsahariano e paesi in via di sviluppo, sono utili alcune analisi di tipo quantitativo: indagini sullo studio dei flussi internazionali delle notizie hanno mostrato empiricamente la scarsa presenza di informazioni provenienti dallAfrica nellintero panorama mediatico. Quandanche ne si possa evincere una presenza maggiore, tale copertura relativamente recente e in ogni caso strettamente connessa ad eventi fortemente notiziabili, come guerre, emergenze umanitarie relative ad alimentazione, catastrofi naturali o malattie, carestie e siccit45. Si riportano in questo capitolo a carattere puramente paradigmatico alcuni dati scelti in relazione ai media statunitensi, britannici ed in primo luogo italiani.

45

www.ucalgary.ca/UofC/faculties/SS/POLI/RUPP/taarn/article8.pdf, a cura del giornalista E.Ablorh Odjidja

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4.1 Quantit e carattere dei flussi L'attenzione dei media internazionali nei confronti dei paesi in via di sviluppo in genere, e in particolare dell'Africa, ha subito una progressiva riduzione, fino ad arrivare a un drastico 50% nei dieci anni successivi al 1989. I risultati dello studio sottolineano, anchessi, che le notizie dedicate all'Africa riguardano per la maggior parte guerre, conflitti, terrorismo e disastri. Un terzo delle notizie che la BBC e l'ITN (notiziari inglesi) hanno dedicato all'Africa nel 2000 stato riservato a questi argomenti, mentre le rimanenti notizie hanno riguardato lo sport e altri eventi che coinvolgono l'Africa solo molto marginalmente. Secondo alcuni dati reperibili su internet46, in una quantum di notizie diffuse dai network statunitensi ABC, NBC e CBS tra il 1972 e il 1989, solo una percentuale del 2,2% ha come oggetto lAfrica. Non dissimili comparazioni possono essere effettuate in relazione ai media italiani; come riporta Daniele Mezzana, nel periodo compreso tra il 10 ottobre 1999 e il 31 marzo del 2000, su 21.500 notizie trasmesse dai principali telegiornali italiani, solo 128 riguardavano lAfrica (per una percentuale dello 0,6%) ed ancora una volta si riferivano ad eventi violenti o catastrofici47. Uno dei principali telegiornali italiani (il Tg5 nella fattispecie) dedica, in termini di media, alla cronaca nera 68 volte lo spazio che dedica all'Africa, secondo un dato riportato da African Societies. Nel 2005 i telegiornali italiani hanno dedicato alle questioni africane nel loro insieme circa 293 ore, su un totale di 2539 ore di programmazione, ovvero l11,6% dello spazio complessivo. Il
46 47

http://home.earthlink.net/~melissawall/lackofcoverage.html Grandi,La (non) rappresentazione del lavoro nei telegiornali 2000

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tema trattato ancora una volta in maggioranza di carattere umanitario.48 Come ad esempio la carestia nel Niger , che secondo i dati raccolti i dall'Osservatorio di Pavia nell'analisi degli spazi, delle presenze e degli argomenti trattati in tv e riportati dal settimanale Vita valeva in ogni caso appena 19 (diciannove) minuti; gli animali domestici due ore, 16 minuti e 30 secondi; il gossip 11 ore, 35 minuti e 30 secondi. E' questo il tempo dedicato a ciascuno dei tre argomenti dalle reti televisive italiane (Rai, Mediaset e La7) nei mesi di luglio e agosto 2005. () i 19 minuti dedicati alla carestia nel Niger hanno rappresentato in quei due mesi dell'estate scorsa un davvero risibile, quasi impalpabile e inconsistente, 0,07% di tutto il materiale giornalistico trasmesso da Rai, Mediaset e La7, che e' stato pari a ben 435 ore, 51 minuti e 30 secondi. Nel dettaglio, i 19 minuti di informazione su quella tragedia sono fatti di 10 minuti trasmessi dai Tg della Rai, divisi tra i due del Tg1, altri due minuti del Tg2 e i restanti 6 del Tg3; quindi 8 minuti da La7 e uno da Mediaset, per l'esattezza da Canale 5. Totale appunto 19 minuti su un numero imprecisato, ma certamente fatto di migliaia e migliaia, di vittime della carestia. Ulteriori indicazioni degne di attenzione giungono da un resoconto stilato dalla commissione parlamentare per la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;49 come riporta il senatore Falomi, i contenuti informativi delle principali testate giornalistiche del servizio pubblico radiotelevisivo appaiono eccessivamente centrati sulla realt italiana e dellEuropa Continentale, lasciando pochissimo spazio a tematiche e informazioni relative agli altri continenti; il monitoraggio dei dati relativi al periodo che va dal 1 gennaio al 30 settembre 2005, mostra la realt di una vera e propria cancellazione dall'informazione televisiva pubblica delle notizie relative ad aree estremamente importanti per il futuro quali i Balcani, la Cina, lintero
48 49

A.Pozzi, Lo "sguardo dell'informazione

http://notes9.senato.it/W3/Lavori.nsf/0/06ADB7D844CCF49FC12570D8006AEA84?OpenDocument

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continente africano, i paesi del Sud America, e lIndia () lAfrica stata oggetto della produzione di alcuni servizi del TG1 solo in occasione della visita dellonorevole Rutelli in Darfour. Nel panorama degli ultimi 7 anni, le statistiche riportano cifre non dissimili a quelle citate: innumerevoli sono gli esempi di notizie e approfondimenti di questa tipologia. Nel dicembre 2006 il Tg2 dedica un solo dossier - al Kenya - ed ancora una volta di carattere umanitario;Babbo natale non abita a Nairobi stato un reportage che fotografa la tristissima condizione dellinfanzia costretta a scavare nelle discariche di immondizia per sopravvivere. Sullo sfondo di tutto questo c laids che sta uccidendo i genitori di questi bambini che per dimenticare la loro triste condizione sniffano colla, la droga dei poveri, che provoca gravissimi danni fisici e celebrali50. Il 19 maggio 2006 il Tg2 dedica un breve spazio alla notizia di un convegno su 13 milioni di bambini resi orfani dall'Aids. 30 milioni di adulti infettati dal virus Hiv. Una sfida quotidiana per l'Africa. Bambini senza Aids, un sogno per l'Africa. Sembrerebbe dunque che i mass media di casa nostra si riferiscano allAfrica solo in relazione a guerre, malattie - la cosiddetta Africa delle emergenze ed inoltre in riferimento a misfatti che direttamente interessano la sfera di influenza occidentale. Come sostiene uno studio dellUniversit di Siena, la ripetitivit lascia il campo a scelte editoriali assai discutibili, avviando un "doppio pregiudizio" antiafricano: si parla del Continente Nero solo quando i fatti riguardano l'Occidente () e vengono escluse dalla ricostruzione tutte le fonti locali, governative e non governative. L'Africa riesce a far notizia quando bussa alle porte di casa nostra, ma manca ancora una reale curiosit (dei media occidentali) per quanto accade davvero, giorno dopo giorno, in quel continente.51

50 51

www.tg2.rai.it L'Africa sui media, Osservatorio su comunicazione e Africa; Universit di Siena-Amref 2004-2005.

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4.2 La carenza informativa secondo le Ong Ong ed associazioni umanitarie (ma non solo) lamentano comunque una carenza informativa anche sotto il versante dei diritti umani e tematiche simili; in altri termini, se il carattere della notizia in via pressoch esclusiva di tipo umanitario (e nello stesso tempo succulento per lindice dascolto, lo si ricorda), questa priorit viene ritenuta ancora insufficiente da numerosi operatori. In ogni caso, ben pochi sembrano necessitare uninformazione realmente alternativa sul continente Africano, che non sarebbe altra da quella endogena e quotidiana. Medici Senza Frontiere periodici e, ancora
52(MS),

nel suo annuale rapporto sulle con la collaborazione

crisi umanitarie e media, nel 2006 ha analizzato 22 quotidiani,13 una volta dell'Osservatorio di Pavia, i principali telegiornali. Oggetto dellindagine sono state le dieci crisi umanitarie identificate da MSF come le pi ignorate dai media a livello internazionale, la top ten delle crisi dimenticate Somalia , Repubblica Democratica del Congo, Sri Lanka, Colombia, Cecenia, malnutrizione, Haiti, tubercolosi, Repubblica Centrafricana e India centrale e di altre gravi crisi meno evidenziate nel nostro paese Indonesia, Sudan, Ciad, Niger, Angola e malaria. Tra i 22 quotidiani analizzati, i pi attenti alle crisi umanitarie sono risultati Avvenire, La Repubblica e Il Corriere della Sera. Ad esempio Sono 63 gli articoli pubblicati sul Ciad, ma dei 200mila rifugiati dal vicino Darfur e dei 50mila sfollati interni hanno parlato solo 10 pezzi. Alla malaria sono state dedicate 6 notizie (di cui ben 4 sulla morte di un italiano che ha contratto la
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www.crisidimenticate.it

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malattia in Congo). Significativo il confronto con l'influenza aviaria, che ha registrato solo 116 casi e 80 morti in tutto il mondo: a questa pandemia esclusivamente in potenza sono stati dedicati ben 410 servizi dai TG. La malnutrizione ha raccolto complessivamente 89 articoli (inclusi 17 trafiletti e brevi). Nelle principali edizioni dei telegiornali, sono 33 le notizie sulla malnutrizione, la maggior parte relative ad appelli del Papa e a rapporti di istituzioni internazionali. AllAngola sono state dedicate in totale 3 notizie, di cui 1 sul colera, 1 sull'uccisione di un missionario e 1 sullo sminamento. Al Sudan ed al Darfur sono stati dedicati 255 articoli (quasi la met sono trafiletti e brevi) dai quotidiani e dai periodici nel corso del 2006, ma meno della met parla della situazione della popolazione civile e del conflitto. 105 di questi hanno a tema il dibattito sullinvio di una forza ONU, e 45 analizzano le dinamiche degli aiuti italiani al paese, confermando la tendenza da parte dei media a parlare di contesti di crisi se aventi referenze dirette con lItalia: il medesimo caso del Niger, citato dalla stampa italiana in 58 articoli, di cui ben 34 sul rapimento dei turisti italiani. E le 97 notizie apparse in televisione a tema Niger hanno riguardato quasi esclusivamente la vicenda dei turisti italiani rapiti. Al Darfur, i telegiornali dedicano solamente 12 notizie. E, di queste, solo una parte racconta della popolazione civile vittima della guerra. E proprio riguardo ai telegiornali, su un totale di 78.224 notizie, solo 8.228 (pari al 10,5%) sono state dedicate a eventi o situazioni di crisi. Si potuta evidenziare una maggiore attenzione alle crisi umanitarie da parte dei telegiornali Rai (4.943 notizie su 36.803, pari al 13,4%) rispetto a quelli Mediaset (3.285 notizie su 41.421, pari al 7,9%), e come nel 2005 si 65

conferma la tendenza che vede il Tg3 al primo posto con il 16,2%, il Tg1 al secondo posto con il 13,4% e il Tg2 con l11,2%. Seguono il Tg4 con il 9,5%, il Tg5 con il 9,2% mentre Studio Aperto resta il fanalino di coda con il 5,5%.

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5 :. Stereotipi e discorsi tipici

5.1 I discorsi tipici In campo mediatico si parla di discorsi tipici53, come quello della carestia, della guerra, del tribalismo, della religione o dellesotismo, noti agli operatori dellinformazione e culturalmente archiviati come qualsiasi elemento di repertorio di testata, come immagini e suoni. Gli stereotipi-base hanno come punto dorigine una concezione duale dellAfrica: da una parte terra del dominio cruento della natura, dove le forze di inondazioni, eruzioni vulcaniche e siccit agiscono incontrastate, quasi come in una preistoria del globo. Dallaltra come luogo di incontaminata bellezza ambientale, corrisposta dal romantico mito del buon selvaggio, caratteristica ancora attribuita a priori ai suoi generici e indeterminati abitanti. Per riprendere una definizione di Corbey, limmagine quella di un continente allocronico, al di fuori dal tempo corrente dellumanit esterna. Questa caratteristica di autoisolamento genera una successiva serie di pregiudizi mistici, rendendo lidea di una terra impenetrabile

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Jo Ellen Fair in Africas media image, Hawk B.G, Westport

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ed opaca agli occhi dellosservatore occidentale. Alla concezione dunque di una realt ancora indietro rispetto alla normale cronologia evolutiva (rallentata o frenata da ingerenze umanitarie, assistenziali o logiche di prevaricazione geopolitica) si associa il forte stereotipo dellatemporalit e dellastoricit. Come vedremo pi avanti, questo mito riecheggia nella pubblicit, nella critica e nelle arti figurative. Lafricano il bambino dellumanit, ed esprime un lato puro ormai sepolto dai milioni di stimoli della complessa societ occidentale, patria della ragione strumentale. In se quindi guidato da inconsapevoli logiche irrazionali, preda di pulsioni anche animalesche e sessuali - e in contatto stretto con il lato pi primitivo e ancestrale dellessenza umana. La forza della tradizione (da cui viene esclusivamente agito) assume dunque un carattere coercitivo e sempre uguale a se stesso. In questottica, anche i conflitti e le lotte politiche vengono per lo pi lette come espressione di forze cieche e ragioni tribali, con un giudizio del tutto esule dai valori nazionalistici,ideologici e politici. L afro-pessimismo vede dunque spiegata la sua matrice in questo equivoco di fondo, ovvero lincapacit strutturale, il limite intrinseco della africanit. Data per certa questa incapacit, ne deriva la legittimazione per lassistenza e lingerenza nella terra Africa e nelle dinamiche di gestione dellafricano; questo avvenuto in maniera esplicita attraverso il colonialismo e limperialismo classici. Ma in realt continua ad avvenire in forme pi edulcorate (e spesso sostenute in buona fede) secondo gli schemi dellintervento umanitario, dellassistenzialismo e della retorica dei diritti umani.

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5.2 Lo sdoganamento dellAfrica A questo proposito opportuna una breve chiosa su questa chiave di lettura progressista della realt sub-sahariana: nel tentativo da una parte di sfatare gli stereotipi dellincapacit congenita e del primitivismo, dallaltra di dimostrarne quantomeno una parziale reversibilit grazie allintervento assistenziale occidentale, si tende sempre pi frequentemente a mostrare limmagine mediatica dellAfrica pi similare alle realt dei paesi del Primo Mondo. Lo speciale del Tg3 PuntoDonna dedica attenzione alla realt africana secondo il criterio dellemancipazione femminile, tappa anchessa considerata ineluttabile nella storia dellumanit in ogni tempo e in ogni luogo, secondo il concetto delluniversalit dei diritti umani. Cos recit il palinsesto: Parte dalle donne il riscatto dellAfrica: dalla prima presidente della Repubblica donna del continente eletta in Liberia, alle combattenti del Mali, al sogno di Fatema Mernissi, la grande scrittrice maghrebina. "La salvezza dellAfrica nelle mani delle donne", cos lo scrittore senegalese Pap Khouma. LItalia ha come priorit laiuto alle donne: un'intervista a Margherita Boniver, sottosegretario agli Esteri e delegata ai diritti umani in Africa. Un tale approccio ha linevitabile corollario di affermare il pregiudizio evolutivo secondo cui le realt sub-sahariana ancora lontane dal raggiungere certi obiettivi nella condizione femminile, si collocherebbero al di fuori della storia corrente, agiti ancora da una tradizione tiranna che relega la donna in un ruolo marginale. Non siamo dunque lontani da certi stereotipi sopra menzionati, seppur gli intenti probabilmente 69

corrispondano alla volont di sgombrare il campo. Manca per ancor una volta una reale attenzione endogena da parte dei media allanalisi dei contesti, secondo un approccio relativista. I telegiornali dunque non presentano sempre lAfrica qual , motivandone le ragioni e attraverso approfondimenticercando di mostrare al pubblico i meccanismi interni di tradizioni e costumi. Con una certa tipologia di servizi, si cade dunque nella riproposizione del continente come si vorrebbe che fosse, o come dovrebbe o dovr essere. Il criterio di selezione si avvicina in tal caso a quello dellaffinit. Ancora, per il tema dello sviluppismo e del concetto di fratellanza universale, ovvero la patente di abilitazione concessa dal mondo occidentale a quello meno fortunato, indicativo lapprofondimento del Tg3 del 27 maggio 2006, chiamato PrimoPiano e avente come titolo Sorella Africa, il cui palinsesto recitava come di seguito: Roma si mobilita per il continente Nero. Italia-Africa, stesso pianeta all'insegna di questo slogan sabato corteo e concerto a piazza del Popolo per rilanciare l'azione a favore dello sviluppo del continente africano e per sollecitare il nostro Governo a fare di pi in questa direzione. Nello speciale del Tg1 Contrasto africano", andato in onda sulla prima rete nazionale nel novembre 2006 (all'indomani dell'apertura della nuova sede di corrispondenza della Rai a Nairobi, in Kenia) per voce del direttore di testata Maurizio Ferragni lattenzione viene posta verso il continente africano e le sue problematiche ed anche le sue ricchezze di costumi e tradizioni e le sue bellezze naturali fatte di paesaggi mozzafiato, mentre il giornalista Franco Di Mare aggiunge significativamente un passo sul Sudafrica, che costituisce la speranza del continente e dove gli investitori stranieri restano e non scappano, e dove l'economia cresce.

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Vigono qui entrambe le constatazioni di un immagine prevalentemente naturalistica e primordiale, con relative tradizioni annesse, che fanno il palio con un contrasto con un elemento tipicamente occidentale: il criterio di positivizzazione agli occhi del pubblico italiano riposto nella crescita delleconomia e negli investitori stranieri, piuttosto che in ragioni endogene e proprie della storia del paese africano. Lo sdoganamento dellAfrica grazie al progresso e allo sviluppo dunque un altro degli stereotipi mediatici ricorrenti. 5.3 La modernit inevitabile In ultimo, linterpretazione progressista dello scenario africano ha una lato ancora differente: quello che critica limpostazione assistenziale ma legge in ogni caso, nel destino del continente, una evoluzione ineluttabile secondo la modernit. Secondo Daniele Mezzana, vige nellimmaginario occidentale un ideale errato o quantomeno riduttivo - di modernit; nellaccezione che si evince dagli stessi media, essa appare come una sorta di import/export tra Occidente e resto del mondo in via di sviluppo54. Una sorta di fenomeno con un centro di irradiazione e rivolto progressivamente verso le altre zone del globo. Il predominio occidentale non solo politico ma anche mediatico trarrebbe dunque alimento da questa stessa concezione, ostacolando il processo di autocostruzione della modernit del continente Africano. Ci troviamo in ogni caso di fronte al medesimo paradigma secondo cui non solo una modernit ineccepibile in ogni luogo della terra nessun gruppo umano sembra potersi sottrarre ai processi di modernizzazione e al compito di diventare, in qualche modo, moderno - , ma costituita dalle medesime tappe che si possono riscontrare nel
54

Daniele Mezzana in Societ Africane Zelig Editore 2005, Pag.24

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percorso

cronologico

occidentale.

Lideale

progressista

presuppone infatti delle dinamiche universali, sempre uguali e comuni che devono necessariamente fare la loro comparsa in un dato tempo della storia di un popolo o di una realt sociale. In altri termini, lemergere dellindividualismo, la scoperta o la conquista dei diritti umani, la democratizzazione, lo sviluppo tecnologico, dellimprenditoria e della classe media, lemancipazione della figura femminile sarebbero tutte fermate obbligate del corso dei tempi; la longa manus occidentale, con la sua coercizione politica, il suo oscurantismo mediatico nei confronti del continente africano ma anche con la diffusione dei propri stereotipi- farebbe dunque da freno alle naturali evoluzioni dei paesi del Terzo Mondo verso una inevitabile modernit, in tutto e per tutto simile alle forme conosciute nei paesi occidentali. Lo stesso Mezzana riconosce che le dinamiche esogene di importazione di modelli sia tramite la forza bruta dei metodi coloniali, sia attraverso il bombardamento culturale mediatico e linvasivit della globalizzazione- hanno creato fortissimi squilibri e danni permanenti, ma allo stesso tempo continua a sostenere la necessit di uno sviluppo endogeno, in grado di garantire una modernit pi stabile e dalle forme in tutto e per tutto simili a quelle note nei lidi del cosiddetto mondo civilizzato.

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6 ::.. Un caso di comunicazione: larte africana

Si rende necessaria una premessa introduttiva: perch parlare dellarte africana in questo contesto? Le ragioni che portano ad una tale operazione sono da individuarsi nella stretta connessione che la stessa mostra con le categorie dellimmaginario occidentale oramai stratificate. Gli stereotipi che sono stati evidenziati in precedenza, alimentati e consolidati da una rappresentazione di lunghissima data, si manifestano nella loro interezza nel giudizio che losservatore occidentale attribuisce ad un prodotto di una cultura altra. In questo caso, una rappresentazione mediatica tipica in grado di generare un modus interpretandi piuttosto radicato e capace di permeare ogni sfera della comprensione; tale fenomeno esemplificativo di come la comunicazione rivesta una sfera sociale-totale, e in tal caso vada a influenzare i meccanismi del dialogo interculturale. Ma allo stesso tempo problematico in 73

quanto capace di attivare i gi citati recettori culturali, che impediranno cos una corretta interpretazione dei fenomeni e aumenteranno potenzialmente il rischio di fraintendimenti e conflitti. La comprensione interculturale passa soprattutto dalla decostruzione di un immaginario falsato, ed dunque importante riportare degli esempi di come questo stesso immaginario abbia effetti deleteri sulla conoscenza reale di quella che la realt africana. Nel 1989, lantropologa statunitense Sally Price pubblicava il suo noto saggio Primitive art in civilized places, testo che forse pi di ogni altro ha affrontato con dovizia di particolari e acutezza di analisi la tematica in questione. Tra gli obiettivi prefissi vi era quello di dimostrare lasimmetria reale tra il giudizio occidentale sullarte (e sulle modalit di percezione della storia) prodotta in loco e quella appartenente a realt altre. 6.1 La deumanizzazione Partendo dalla definizione della concezione di arte primitiva, viene delineata la moneta corrente ideologica della nostra societ ; evitando di impelagarsi in sterminate dissertazioni sul concetto di primitivo , viene dimostrato come larte altra venga primariamente deumanizzata, delegittimata e successivamente riabilitata o promossa dal benefattore o conoscitore occidentale. Lo sostiene anche Daniele Mezzana a proposito degli attori sociali africani: uno dei tipici processi mediatici, da Mezzana inteso come vera e propria pratica professionale ricorrente, quella della deumanizzazione, o eliminazione degli attori, a favore di entit e di processi astratti e stereotipati (come avviene ad esempio imputando

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determinati conflitti a determinate realt razziali, tipo la <<violenza tra neri>> 55. Dalle persone agli oggetti, la sostanza non differente: la rappresentazione prima di tutto psico-sociologica, come una macrocategoria che fa dellAfricano (e tutto ci ad esso connesso) unentit impersonale, in un certo senso priva di identit individuale. Cos come lAfricano agito dalla tradizione, i suoi manufatti sono il prodotto derivativo e neutro di essa. 6.2 I fratelli minori dellUmanit Il paradigma razzista ampiamente abusato nei ragionamenti mediatici esaminati - fa capolino anche nel giudizio estetico: Hooper e Burland56 puntano lattenzione sulle cognizioni meccaniche insufficienti, cos come Douglas Newton indica nello scarso livello tecnologico raggiunto dalle societ produttrici un indizio plausibile ed un criterio certo per identificare la tipologia di arte primitiva. Compare anche linfantilismo e il lato selvaggio, ancestrale e irrazionale dei bambini della storia: altri criteri infatti seguono gli elementi della vicinanza del prodotto artistico (una statua o una semplice rappresentazione grafica) ai disegni dei malati, dei bambini o delle scimmie, ad evocazioni pagane, religiose o spiritiche. Larte realizzata da tali persone assurge dunque al livello di prodotto dei fratelli minori della Famiglia dellUomo, non abituati a reprimere le loro pulsioni naturali secondo i parametri del comportamento civilizzato.

55 56

Daniele Mezzana, Unimmagine cancerogena, da Societ Africane, Zelig 2005 Hooper, J.T e Burland C.A, 1953, The Art of Primitive Peoples, Fountain Press, London

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6.3 Il paternalismo occidentale: un prodotto universalista Ma chi dunque abilitato a promuovere il manufatto etnografico a oggetto darte o viceversa ? Chi ha il compito di stabilire gerarchie estetiche? Cos come il paradigma progressista ha generato lassistenzialismo dapprima coloniale, e in seguito umanitario con il corollario di una rappresentazione nei mezzi di comunicazione di massa secondo questa inclinazione - , ecco che nel giudizio estetico losservatore occidentale ha ancora una posizione privilegiata, di carattere paternalistico. Dalla descrizione della figura del Conoscitore57, si evince un oscillazione tra un personaggio capace, tramite modalit comunque coscienti ed intenzionali , di selezionare e discernere secondo uninclinazione innata (il buon gusto), ed una tipologia di esperto le cui griglie concettuali sono frutto esclusivo del processo di acculturazione della societ in cui vive. Secondo Kenneth Clarke (che si ricreder personalmente) era addirittura da escludere la possibilit dellocchio come organo educato citando Franz Boas- e la pura fruizione estetica costituiva il discriminante di un mondo in cui tutti sono potenziali conoscitori al di la dei condizionamenti di mode, posizioni sociali o specializzazioni. Nella grande Famiglia Umana dunque un esplicito orizzonte di universalit fa si che lintenditore occidentale possa promuovere e giudicare larte del mondo intero permettendosi di prescindere dal contesto culturale. Paradossalmente, il creatore altro non abilitato alloperazione inversa ; se si considera che nella nostra societ basta unetichetta a sancire il valore di un prodotto, si dimostra in tutta la sua banalit un concetto che dovrebbe essere diffuso ma purtroppo non lo ; lunidirezionalit sottesa ad un tale
57

Sally Price, I Primitivi Traditi, Einaudi 1992

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ragionamento si ripresenta dunque in ogni aspetto considerato dallanalisi del testo. La definizione del principio di Universalit prende le mosse dalla considerazione sullo sviluppo della comunicazione e del mercato globale ; lillusione di un mondo alla portata di tutti ha per losservatore occidentale il sapore dellUnit, dellEguaglianza e della Fraternit ; lidea implicita della famiglia umana si evince dai fenomeni pubblicitari,musicali o sociali quali ad esempio la teoria del Buon Selvaggio, i manifesti della Benetton, il successo della canzone We Are The World, la retorica delle associazioni solidaristiche di carattere planetario o la propaganda umanitaria (tra i topoi del caso da segnalare la bambina bionda che mostra affetto al bambino nero o il soldato che soccorre ed aiuta bambini, civili o feriti di parte avversa). Denominatore comune di una tale ispirazione filantropica il fatto che al botteghino dello spettacolo della Fratellanza Globale siedano soltanto bigliettai occidentali, che grazie alla loro benevolenza accordano ai loro fratelli minori la possibilit di mostrarsi e mostrare conseguentemente anche i loro prodotti una volta promossi allo status di oggetti darte. Leonard Bernstein, forte dellinfluenza di Noam Chomsky, rintraccia questa universalit tramite la musica e la linguistica, arrivando a formulare la teoria di una monogenesi. Anche larte conseguentemente assurge al livello di linguaggio universale, fattore unificante in quanto prodotto di sensibilit comuni a tutti gli uomini, tendenti naturalmente alle stesse aspirazioni di fondo quali il benessere e la salute(Suzan Vogel). Ritorna dunque lo stereotipo progressista di un cammino medesimo per ogni realt umana della terra, in cui i fratelli maggiori hanno ora il compito di aiutare i fratelli minori, oppure i primi hanno il dovere di lasciar camminare i secondi sulle loro gambe, certi che prima o poi li raggiungeranno in una modernit a dimensione 77

afro-occidentale. Si fondono dunque in un unico calderone e si mettono sullo stesso piano dei concetti che richiederebbero invece unanalisi endogena ed induttiva. 6.4 LAfrica come museo dellUomo: il dominio dellirrazionale Secondo Henry Moore, Paul Wingert e Ladislas Segy larte primitiva sarebbe espressione di pulsioni dirette ed elementari ; ponendo cos sulla medesima scala interpretativa ogni tipologia di produzione artistica vengono rase al suolo in un solo colpo le diversit. Ma si tratta di un pregiudizio assai diffuso anche nella sensibilit corrente; Judith Zilczer ha giustamente osservato che per gli artisti e i critici occidentali i neri africani rappresentano linfanzia culturale dellumanit. Nella nostra societ gli stimoli essenziali e primordiali sarebbero stati sepolti da una moltitudine di stimoli parassitari (Wingert) ; tale scenario,prospettato da unaffermazione che tristemente si colloca negli anni70, si mostra ulteriormente legittimato dalla fallace premessa, peraltro gi evidenziata, secondo cui tutti gli uomini, per la loro natura universale, dovrebbero condividere le stesse aspirazioni di fondo. Il lato oscuro delluomo, incarnato dalla produzione del diverso, dunque ancora vivo nellAfricano, ed sepolto dalla complessit occidentale: questa la teoria che spesso viene diffusa dai media, anche nella semplice fascinazione per i rituali esoterici o macabri allocchio civilizzato. Jean-Louis Paudrat ci descrive come, secondo reminiscenze di Voltaire, la figura del Negro sia automaticamente posta in relazione con il Maligno, infarcita di superstizioni in stretto contatto con le origini della storia dellumanit. Ma tale eredit illuminista viva e vegeta ai tempi nostri. Le rappresentazioni primitive parrebbero ispirate da paura ed ignoranza, e i loro limiti 78

sarebbero sottoprodotti del lento sviluppo delle facolt intellettuali umane (Erwin O.Christensen, 1955). Esemplare il caso dellopera africana nota in Occidente come testa Brummel, letta dallo scultore Jacob come evocazione di uno spirito emblematico di forze occulte. Ancora, secondo Myers per il nero dellafrica occidentale non sussiste la nostra distinzione tra realt e irrealt. In sintesi, larte altra sarebbe il prodotto del terrore di uomini succubi dellignoranza. Immagini di male e morte sarebbero unicamente alla base dellintenzione artistica. Da notare inoltre linsistenza sullerotismo e le pulsioni primitive,nonch lossessione che ogni oggetto celi la fissazione per la sessualit ; ennesimo esempio di una sottocultura evoluzionistica, purtroppo in gran forma ai giorni nostri, che dipinge i popoli non occidentali come selvaggi incivili ed al contempo liberi dai condizionamenti di una societ (la nostra) che li seguirebbe cronologicamente. Come tale prospettiva sia abusata persino a livello pubblicitario ci viene mostrato dal noto dualismo tra la presunta genuinit del selvaggio e lartificialit del civilizzato. La sistematica decontestualizzazione di pratiche e usanze e lignoranza delle concezioni e visioni altre smaschera un etnocentrismo radicale che si manifesta persino nelle pi semplici operazioni di giudizio, e quanto il concetto di relativismo culturale sia astruso dalla logica del pensiero popolare testimoniato dallatteggiamento di una custode del Metropolitan Museum of Modern Art, che descrivendo i costumi sociali della trib Asmat della Nuova Guinea esplicita una improponibile sequela di stereotipi a partire dalla confusione del luogo abitato dalla suddetta trib con lAfrica. La pur precisa esposizione dei dettagli etnografici coincide pedissequamente con il loro fraintendimento.

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6.5 Nessuna identit Nessuna identit, nessuna collocazione sociale e storica propria. Equesto il pregiudizio dellanonimato dellartista e dellatemporalit del suo operato ; L enciclopedica distinzione occidentale di individualit e periodi stilistici si scontra con una visione asimmetrica del creatore altro e conduce inevitabilmente e erroneamente ad etichettare un qualsiasi scultore africano come impersonale strumento di una tradizione tirannica e ripetutamente uguale a se stessa, dove la personalit individuale del tutto assente. Tra i primi a focalizzare tale problematica troviamo Franz Boas, che ha invitato a porre maggior accento sulla creativit dei singoli e sui cambiamenti storici. 6.6 Giochi di potere Ancora interessanti riflessioni si evincono dalla definizione dei cosiddetti giochi di potere; locchio selettivo delloccidentale a promuovere gli oggetti etnografici ad opere darte, decidendone le modalit di salvaguardia. Il sistema possiede le risorse finanziarie e comunicative per accordare il valore dellopera, e conseguentemente ne incentiva la produzione artistica in base alla richiesta, snaturalizzandone le ragioni secondo il ben noto meccanismo della mercificazione dellarte. Nel migliore dei casi, la pregnanza artistica rimane in parte intatta al prezzo di unibridazione. Le regole per impossessarsi di tali opere sono ovviamente stabilite dagli occidentali, che spesso ricorrono a veri e propri furti violando lintegrit sociale e la dimensione spirituale di intere comunit ; caso esemplare la menzionata spedizione etnografica a Dakar del 1931, in cui la vergognosa sottrazione dei Kono, importanti maschere rituali 80

della popolazione locale, ci documentata dalle pagine di un diario. Uno statuto degli anni 50 regoler in seguito lattivit museografica, ma eluder il problema in quanto porr i suoi cardini sul presunto diritto occidentale di preservare un patrimonio che in altri modi andrebbe perduto e sullindennizzo economico dei proprietari, una volta introdotti della logica di mercati interni assolutamente estranei a determinate culture.

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7 ::.. Conclusioni

Il

lavoro

ha

dunque

evidenziato

la

realt

attuale

dellimmaginario sullAfrica, analizzando i vari lati e le tipologie che costituiscono la sua rappresentazione. Ad un flusso di notizie quantitativamente limitato, si aggiunge il suo carattere unidirezionale (la sua origine quasi integralmente collocata nel panorama occidentale) e reiterato dal punto dei vista dei contenuti. Il carattere di questi ultimi di stampo umanitario e progressista, ora nelle forme di unassistenzialismo paternalista, ora nelle forme di numerosi stereotipi evolutivi storicamente radicati. Quandanche si voglia rifuggire limmagine di un Africa immobile, lo si fa in termini di confronto al Primo Mondo, cronologicamente pi avanzato. Le ragioni di questa rappresentazione possono evincersi: 1. nel divario digitale, ovvero nella disparit di possesso di tecnologie; tra le conseguenze del fenomeno vi dunque una carenza prima di produzione dellinformazione 82

endogena. Nel caso africano, le poche infrastrutture di comunicazione hanno un solco statalista, post-coloniale o sono legate a doppio filo con organizzazioni occidentali. 2. nello stretto legame tra informazione e potere; lesigenza di mantenere un dato status quo, di gestire manovre di politica estera o linfluenza dei grandi cartelli commerciali multinazionali in grado di determinare una rappresentazione conforme ad interessi corrispettivi. 3. nella reiterazione di procedure, routines e meccanismi acquisiti da parte degli operatori dellinformazione. Essi pescano dai criteri di notiziabilit e dai canoni della creazione dellagenda setting, al loro volta correlati con le esigenze produttive ed economiche delle azienda-informazione ed alle categorie derivate dal serbatoio di conoscenze comuni pregresse. 7.1 Per una decostruzione dellimmaginario Quali possono essere alcuni spunti per una vera e propria decostruzione dellimmaginario sullAfrica, ormai cos fortemente alimentato da una rappresentazione auto-sufficiente? 7.1.1 Ridurre il divario digitale? Come sottolinea Luciano Balbis58, tra le soluzioni spesso richiamate vi quella di finanziare progetti di tecnologizzazione di aree in posizione subordinata o secondaria rispetto all'Occidente industrializzato: prospettiva certo non nuova e richiamata di recente da un dossier sulle reti pubbliche nazionali. In una situazione geopolitica come quella attuale,
58

Luciano Balbis, Te la do io la libert da www.opifice.it/blbs.htm

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delineatesi in maniera estremamente evidente i rapporti di forza, quali dunque le prospettive per le diversit del mondo di poter lanciare e far trasparire messaggi differenti, se prive dei medesimi canali di scambio? Quale l'agibilit mediatica e conseguentemente politico-culturale di modus vivendi e operandi altri, al di fuori dei mezzi che il dominante Primo Mondo utilizza? Internet in primo luogo, ma anche tecnologia satellitare, telefonia mobile e tutto ci che la rivoluzione digitale comprende sono la conditio sine qua non per la trasmissione globale della diversit? Diversi paradossi sono celati dietro una certa tipologia di ragionamento: sorge infatti il dubbio di trovarsi di fronte all'ennesima rilettura della (vera o presunta) filantropia liberale, secondo cui una parte del mondo possiederebbe le insindacabili chiavi per la libert dei pi, gli elementi neutri e pacifici a disposizione dell'umanit intera per la propria incondizionata espressione. Dopo i diritti umani, ecco i diritti digitali. In questo senso, un notebook tra le mani degli aborigeni australiani pu essere accolto come un segno della generosit occidentale; o come una prosecuzione del colonialismo secondo altri mezzi, in relazione ai punti di vista. Ha certamente qualche fondamento l'osservazione secondo cui la riduzione del gap digitale sia necessaria non in nome di una ineluttabile ideologia del Progresso, che vede il ritardo dei fratelli minori dell'umanit come lacuna da colmare, quanto piuttosto come soluzione e politica ad una per oggettiva eccellenza, configurazione di rapporti di forza: vale a dire che le superpotenze, omologanti totalizzanti traggono linfa vitale dalla stessa situazione di predominio sulla comunicazione digitale, resa ormai unico mezzo di effettiva trasmissione dell'informazione. E' per altrettanto vero che lo scenario geopolitico e l'omologazione culturale vanno di pari passo con l'ampliamento progressivo dei mercati, siano essi 84

quelli

inerenti

alla

tecnologia,

siano

essi

conseguenti

all'informazione-merce. E' dunque sempre lecito interrogarsi sulle operazioni pianificate come quelle ricordate in apertura di questo articolo, nel caso in cui vengano promosse da istituzioni governative, cartelli commerciali ma anche da associazioni noprofit. Certamente la globalizzazione laddove in fase oramai avanzata non necessariamente dovr tradursi nel dominio dei medesimi modelli e valori mercantili, ma la sua forzata prosecuzione tramite gli oggetti della tecnologia digitale dimostra quantomeno che la lezione di Marshall McLuhan ha probabilmente da attendere per esser compresa; ovvero che il medium il messaggio, e non soltanto un significante neutro al quale il popolo Maroon del Suriname o i contadini del Vietnam potranno integralmente imprimere il segno della propria specificit, magari trasformandola in oggetto politico. Versione conciliante con certi intenti filantropici, ma poco attenta ai meccanismi deformanti che il medium opera sulla percezione di chi lo utilizza; l'estensione di se stessi quasi in senso fisico, uno spazio e tempo appiattiti e intercambiabili, un'idea di libert corrispondente a quella moderna, riposta sulla quantit (di immagini illusorie, suoni e luoghi virtuali, di informazioni troppe e tutte equivalenti, come su Internet ecc. ecc.) piuttosto che sulla qualit di un vissuto quotidiano, quest'ultimo magari davvero fondante per la singola specificit. E' questo il vero ruolo che dovrebbe assumere una politica attenta agli usi della diversit, per riprendere una felice espressione di Clifford Geertz; permettere alle singolarit di dimostrarsi e comunicare secondo mezzi e modi che in primo luogo esse stesse ritengono opportuni (sempre che lo ritengano). Prima ancora che fornire linguaggi e oggetti pi adatti ad essere se stessi. Evitando gli estremi opposti, per cui pools di antropologi scoraggiano gli indiani d'America dal dotarsi di 85

strumenti della tecnologia; se anche alcune dinamiche possono avere radici esogene (ad esempio, nella colonizzazione dell'immaginario) ma nel contempo mostrano autonome decisioni endogene, altrettanto grottesco ergersi a tutori della libert di una comunit altra. Sposando per programmi di dotazione massiva di telefoni cellulari per i Tuareg, pi che un servizio alla diversit, si rende forse un ennesimo omaggio alla societ mercantile. 7.1.2 Linformazione alternativa Vi sono poi gli operatori del settore della cosiddetta controinformazione, (i portali internet e le fonti alternative, il mondo del giornalismo freelance, i network associati indipendenti ecc.) che sperano di apportare dei correttivi sociali alle naturali (o inevitabili perch consentite dal meccanismo) distorsioni di tale modello, appoggiandosi fondamentalmente ai nuovi media e formats: la rete internet infatti ha dato il via ad un proliferare finora sconosciuto delle fonti informative, nonch dei mezzi utilizzati per dare ad esse una forma. I portali e i blogs in tal senso sono due tra le tante possibilit di recuperare in pluralismo quello che viene perso con la naturale emissione di informazioni secondo un agenda da parte dei tradizionali media. Ovviamente, per ragioni strutturali, qualsiasi utente di un blog o creatore/redattore di portale crea la sua propria e soggettiva agenda; con il vantaggio per i soggetti riceventidi poter acquisire elementi da una pluralit simbolicamente illimitata di fonti, e soprattutto con la possibilit di pluridirezionalit del processo comunicativo/informativo, al contrario del tradizionale mezzo predominante della televisione unidirezionale per via del suo percorso privo di feedback diretto con lutenza, e pervasivo in quanto onnipresente nella 86

medesima forma in ogni contesto ricevente). Come sostiene Alain De Benoist59, il nuovo contraltare generato dai nuovi media la perdita di gerarchizzazione dellinformazione, facilmente riconoscibile quando fornita in modo chiaro e univoco da un medium di portata mondiale come un telegiornale di una grossa emittente, ma confusa ed equivalente quando sovrabbondante come nei meandri di internet. In ogni caso, gli sviluppi di internet sono forse i pi auspicabili per favore una decostruzione dellimmaginario attraverso la diffusione di correttivi plurali. 7.1.3 Una soluzione metapolitica Ma come sostiene Daniele Mezzana, si da pi parti sottolineato che non appare sufficiente garantire un semplice aumento di copertura informativa sul continente africano. Occorre agire su pi livelli. Scarsa fiducia probabilmente da riporsi nelle agenzie internazionali (enti e commissioni per lo sviluppo, concetto di per se estraneo allAfrica, Ong, associazioni umanitarie e via discorrendo) e negli apparati istituzionali, che sono ora connessi strettamente con le dinamiche della finanza mondiale, ed in quanto tali fortemente interessate da una parte alla creazione di nuovi mercati (per loro stessa natura lontani da un modello africano) e dallaltra alla perpetrazione di unimmagine funzionale al consumo (dellinformazione-merce e di tutto ci che gravita intorno alla categoria-Africa), ora artefici seppur involontari e in buona fede dellintroduzione in Africa di meccanismi estranei e deleteri per un equilibrio sociale gi indebolito. Maggior rilievo deve assumere il campo dellassociazionismo non umanitario, degli apparati scientifici e culturali: lazione di diffusione di versioni e
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www.opifice.it

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fonti alternative sul continente africano nel mondo occidentale deve avvenire per mezzo di un continuum svariato di attori, dal singolo soggetto attraverso le opportunit di internet, passando per i settori dellarte e della comunicazioni (cinema, musica, letteratura) per poi giungere alle fonti scientificamente propriamente dette, di carattere sociologico e antropologico. Lazione dunque deve assumere un carattere metapolitico, ossia innescare un processo virtuoso di riconversione degli stereotipi sul piano culturale, lontani dai lidi della comunicazione ufficiale (che segue le logiche aziendali), delle istituzioni, del fallimentare associazionismo sviluppista o assistenzialista e delleconomia strumentale.

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..:: Bibliografia e Sitografia ::..

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..:: Sommario ::..

1. Introduzione ....Pag.4 2. Limmagine coloniale Pag.10 3. Le ragioni attuali di una rappresentazione ..Pag.27 4. I flussi informativi .Pag.60 5. Stereotipi e discorsi tipici .Pag.67 6. Un caso di comunicazione: larte africana ....Pag.73 7. Conclusioni ...... Pag.82

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