Sei sulla pagina 1di 5

Performance Design per i beni immateriali

La tutela delle espressività culturali | le tradizioni popolari

Gli ultimi decenni hanno visto al centro di un ampio dibattito internazionale


un’attenzione circa la valorizzazione dei beni culturali; da queste riflessioni
emergono nuove definizioni e ri-considerazioni di ciò che fino a quel momento,
rientrando nei canoni tradizionali di risorsa culturale, era stato oggetto di tutela.
Le scienze sociali e gli studi demoetnoantropologici ridefiniscono i concetti di
patrimonio culturale ed insieme di comunità e cultura: negli anni Ottanta A.
Cirese, studioso ed antropologo, avanza la definizione di volatilità dei beni in
quanto fortemente legati ad una dimensione immateriale costituita da gesti
e saperi antichi: viene dunque meno la connotazione materiale che finora era
stata peculiare nell’identità e nell’identificazione delle diverse espressività
culturali. Questi presupposti tracciano nuovi percorsi nella ri-definizione
dei limiti e dei luoghi considerati finora “patrimonio culturale” all’interno
dell’immaginario collettivo: nel 1997 infatti l’Unesco istituisce nella Divisione
del Patrimonio Culturale una sezione interamente dedicata al Patrimonio
Immateriale, focalizzando espressamente l’attenzione sulle tradizioni popolari.
Nel decennio successivo vengono intraprese concretamente delle azioni riguardo
l’individuazione dei “capolavori del patrimonio orale e immateriale dell’umanità”:
vengono così identificate tra le “espressioni culturali” anche le lingue a rischio di
estinzione e le culture musicali. Queste nuove consapevolezze rendono necessari
nuovi accordi per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale ed è
proprio durante la 32esima Conferenza Generale dell’UNESCO (Parigi, ottobre
2003) che si decide di istituire a livello intergovernativo ed anche nazionale nuovi
organi e comitati: in Italia l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale verrà
istituito nel 2007. Gli obiettivi dell’Istituto sono quelli di promuovere e valorizzare
le risorse culturali, materiali ed immateriali, presenti sul territorio. Uno degli
intenti principali dell’istituto è quello di favorire il dialogo interculturale attraverso
una divulgazione di saperi, abilità, tecniche e tradizioni - che si intrecciano,
attraverso sperimentazioni multi-espressive, basandosi su nuovi codici e linguaggi
audiovisivi, con la contemporaneità - restituendo al fruitore un nuovo modo di
vivere ed abitare i luoghi del sapere. Se da una parte viene riformulato il concetto
di patrimonio culturale, includendo la volatilità definita da Cirese come una
caratteristica che contribuisce a delineare nuovi confini nella definizione di risorsa
culturale, d’altra parte è necessario pensare nuove modalità di fruizione del dato
bene, insieme ad una efficace e corretta divulgazione e salvaguardia in base alla
natura del bene stesso. è possibile osservare che la questione trova forma nei
supporti multimediali: l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale negli
ultimi anni ha sperimentato nuovi percorsi innovativi interdisciplinari spaziando
dalla cinematografia alla video-arte, costruendo nuove drammaturgie ed
architetture visive da percorrere, individuando nell’immersività una risposta alle
nuove necessità di fruizione.
Il Patrimonio Immateriale | la reificazione dei beni culturali

Il progetto installativo delimita un contesto di confronto incentrato sull’esperienza


in virtù di un dialogo interculturale. Se per alcuni studiosi la reificazione di
un bene immateriale rappresenta una tragedia culturale, una mercificazione
delle espressività culturali, in questa sede l’obiettivo è la divulgazione di un
rituale fortemente espressivo e radicato nella tradizione del popolo messicano.
L’installazione si fa quindi portavoce dei valori propri del bene immateriale che
intende valorizzare, divenendo luogo di crescita e confronto, nel rispetto delle
culture rappresentate, con enfasi sui significati e sui simboli propri delle risorse
culturali cui fa riferimento, senza però ridursi ad una spettacolarizzazione del bene
stesso. Il tema della reificazione è affrontato nella Convenzione sul Valore del
Patrimonio per le Comunità (Consiglio d’Europa, Convenzione quadro sul valore
dell’eredità culturale per la società, Faro, 27 Dicembre 2005): principalmente si
discute di proprietà culturale poiché si teme che la minore autorialità individuale
- peculiare dei beni immateriali, possa portare ad un utilizzo disinvolto ed
improprio dei saperi senza dichiararne fonti e proprietà. Il timore della dispersione
e della sottrazione però è compensato dalle opportunità e dai benefici della
circolazione dei patrimoni immateriali nelle piattaforme digitali.
Questa riformulazione della condivisione su un piano digitale ed informatico,
legata all’abbattimento dei confini tra tradizione folkloristica e modernità
galoppante, non si traduce però in un appiattimento culturale né in una
svalutazione dei diversi significati e simboli appartenenti alle svariate culture.
Gli archivi raccolti negli anni rappresentano ricchissimi cataloghi, narrazioni e
testimonianze di civiltà antiche e moderne che insieme costituiscono il patrimonio
dell’umanità. Dalla conferenza di Faro emerge inoltre la questione del vantaggio
che i prodotti tradizionali rappresentano per la comunità locale d’appartenenza:
d’altronde, la questione della proprietà intellettuale è connessa all’utilizzo dei
beni immateriali come affermazione di identità di una determinata comunità e
della sua tradizione. Tutte queste considerazioni sottolineano il legame tra bene
immateriale e territorio: è contestualmente a quest’ultimo che il bene esiste e
prende forma. Se è vero che i beni immateriali rappresentano una potenzialità
del luogo cui sono legati, è anche vero che è necessario contestualizzare tali beni
anche all’interno di una dimensione temporale: una peculiarità che li distingue
dai beni immateriali è una fruizione contemporanea, più attuale, per certi versi
viva - rispetto invece ad un allestimento museale, di per sé una rappresentazione
di ciò che fu. Le risorse immateriali contribuiscono a definire e disegnare il
territorio, nei suoi eventi e nelle diverse realtà che lo costituiscono e qualificano,
rappresentando concretamente i luoghi cui appartengono per le performance
cicliche presenti. I rilevamenti sul terreno sono infatti profondamente legati alle
performance in funzione, feste, rituali, ecc ed ai loro rifacimenti; rifacimenti che
in quanto esecuzioni rappresentano dei beni poiché “i beni volatili sono insieme
identici e mutevoli”.
Immersività | forme di comunicazione innovative

Il design dell’esperienza, con le sue drammaturgie e strutture narrative,


è profondamente legato al mondo dello storytelling, in una dimensione
interdisciplinare in cui la progettazione dello spazio traccia dei percorsi densi
di simboli e significati in cui ciascun elemento è parte di un racconto-percorso.
Diversi studiosi hanno indagato questa similitudine - a livello anche progettuale
- tra storytelling ed exhibit design: è possibile infatti individuare tappe, talvolta
schemi ed archetipi comuni ad entrambe le discipline. Una performance,
esattamente come un racconto, segue quindi una struttura, articolandosi in vere
e proprie strutture narrative. Lo storytelling come l’arte del raccontare ha origini
antiche, “quando gli uomini e le donne delle antiche tribù si raccoglievano attorno
al fuoco” (Vaglio 2018: 27) e ha consentito all’umanità, nel corso dei millenni e in
qualunque civiltà, di costruirsi ingranaggi narrativi talmente potenti da sorreggere
un intero immaginario collettivo (Cajelli / Toniolo 2018).
Nell’ambito della comunicazione culturale e museale lo storytelling diventa
uno specifico strumento per attirare il fruitore di cultura con storie che rendano
attraente il patrimonio culturale, museo, monumento archeologico o opera
d’arte che sia: raccontare un museo attraverso piccole storie, aneddoti, curiosità
legate alle collezioni, alle persone che lavorano al suo interno, ai personaggi che
ne hanno scritto la storia, sono tutti argomenti strategici nella comunicazione
culturale, che consentono un avvicinamento emotivo in grado di suscitare
interesse nel pubblico (Maulini 2019: 174).
Il digital storytelling è stato definito l’espressione moderna di un’arte antica,
basata sull’utilizzo di strumenti digitali: la pratica dello storytelling digitale in
ambito culturale ha tre principali campi di applicazione, che possono intersecarsi
e interconnettersi fra loro (Brouillard / Loucopoulos / Dierickx 2015: 16-19):
educazione (perché aiuta nella creazione di significato, di appartenenza e
nell’acquisizione di competenze digitali), mediazione culturale (perché ha reso le
istituzioni culturali più orientate alla comunicazione del loro patrimonio in chiave
democratica e partecipativa e alla ricerca di nuovi rapporti col pubblico) e turismo
(perché nell’evoluzione del turismo l’aspetto narrativo ed esperienziale ha preso il
sopravvento).
Per i musei e le istituzioni culturali contemporanee, alla ricerca di nuove
narrazioni, di nuove forme del narrare e di nuovi linguaggi con cui farlo, il
digital storytelling è la tecnica di comunicazione e partecipazione perfetta per
corrispondere alla propria vocazione educativa in maniera sempre più interattiva,
coinvolgente e co-creativa (Robin 2008; Handler Miller 2008; Bryan 2011;
Lambert 2013), anche nell’ottica sempre più pressante di strategie di audience
development e audience engagement (Bollo 2018: 326). Tuttavia, continua ad
essere una pratica tuttora emergente e in piena evoluzione (Dunford / Jenkins
2017: 14), perché strettamente collegata all’evoluzione stessa delle nuove
tecnologie, che hanno cambiato e continuano a cambiare non solo forme e modi
della comunicazione culturale, ma il rapporto stesso del pubblico con la cultura,
soprattutto con i musei e con le loro collezioni (Giaccardi 2012; Keskin et al. 2016).
Dia de los muertos | un incontro tra mondi e culture

In Messico, la morte è considerate parte del ciclo della vita e viene celebrata sin
dal periodo pre-Colombiano. Nella mitologia Azteca, i defunti iniziavano un lungo
viaggio prima di giungere a Mictlán, la regione della morte. La cultura messicana
vede quindi nella morte una tappa nel ciclo della vita ed i defunti vengono
comunque considerati parte della comunità poiché “tenuti in vita” grazie alla
memoria e capaci di tornare sulla terra durante il Dia de los Muertos. In Europa
invece, Il Giorno dei Morti ebbe origine durante il IX secolo e venne introdotto
in America Latina dai Conquistadores Spagnoli, andando a fondersi con la
concezione azteca della morte e del ritorno alla vita. Esistono delle similitudini
con questa visione della vita e della morte nella celebrazione del 2 Novembre a
Palermo. Secondo la tradizione palermitana, infatti, durante la notte che precede
il “giorno dei morti”, il mondo dei defunti si avvicina a quello dei vivi ma con
qualche differenza rispetto alla tradizione messicana: stavolta sono infatti i defunti
a portare i doni. L’usanza prevede che la mattina del 2 Novembre i bambini
cerchino i regali che nella notte sono stati nascosti dai morti all’interno della casa.
L’origine della tradizione della festa dei morti a Palermo si intreccia inoltre
al banchetto funebre durante il quale veniva ricordato il defunto e i vicini di
casa offrivano un banchetto ai parenti del defunto: è usanza infatti preparare
il cosiddetto “cannistru” per accogliere i defunti con dolci tipici della cucina
palermitana. Così come nella cultura messicana, quindi, il cibo acquisisce un
valore peculiare nella celebrazione di una festa così delicata ma anche così
radicata all’interno di entrambe le culture. Il fulcro della celebrazione messicana,
infatti, è un altare (o ofrenda) che viene allestito non solo nelle case private e
nei cimiteri, ma anche nelle piazze. Essi rappresentano la porta tra la vita e la
morte e hanno lo scopo di accogliere gli spiriti nel regno dei vivi; sono sempre
carichi di offerte per i defunti, come acqua, cibo, foto di famiglia e una candela
per ogni parente morto. Nell’ottica del “sottile” velo che separa il mondo dei
morti da quello dei vivi durante il dia de los muertos, il progetto intende
proporre un percorso che possa essere interpretabile da entrambe le dimensioni.
L’allestimento si sviluppa in più ambienti cercando di simboleggiare il viaggio
delle anime ma ha una duplice chiave di lettura: da una parte il percorso di chi
affronta un lutto e quindi le cinque fasi del lutto, dall’altra parte invece il viaggio
tra la vita e la morte, passando per i tre “paradisi” della cultura messicana. Quindi
i due livelli di interpretazione sono due diverse prospettive di un unico viaggio:
da una parte di chi se ne va - proseguendo il proprio cammino nell’Aldilà -
attraverso i tre paradisi - e dall’altra parte invece chi “rimane”.
La struttura è delimitata da pannelli che, creando un’architettura effimera,
trasmettono con la loro opacità, la caducità della vita. La sede del progetto sarà
il Palazzo della Civiltà, per la semplicità e la luminosità degli ambienti.
Il percorso sarà quindi composto da dei pannelli che delimitano i diversi ambienti
dell’installazione, all’interno della quale sarà possibile percorrere un viaggio quasi
labirintico in cui il dualismo tra la vita e la morte si gioca tutto tra luce ed ombra.

Potrebbero piacerti anche