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LA CULTURA, CONCETTI BASE E DEFINIZIONI

SOMMARIO- 1) Lo sviluppo storico del concetto di cultura: dai classici alle scienze sociali: un concetto
complesso e ambivalente dotato di 150 definizioni.

2) Distinzioni (ambivalenze): cultura vs. civiltà, natura/cultura

3) Uscire dall’ambivalenza, una prima definizione di cultura

4) La proposta di Griswold

5) Oggetto culturale e diamante culturale […]

6) Definizione sociologica di cultura.

Iniziamo ora un percorso in cui presentiamo dei concetti di base relativi alla cultura e alle sue definizioni.
(questo percorso durerà diversi lezini). Inizieremo ad analizzare lo sviluppo storico del concetto di cultura
passando dall’epoca classica ellenistico-romana fino alle scienze sociali. Come per la società, anche per la
cultura, emergerà che si tratta di un concetto complesso ambivalente. U autore ha fatto una sorta di
censimento delle definizioni di cultura e ne ha trovate almeno 150 diverse, quindi capiamo la complessità di
questo concetto. Cercheremo di mettere in luce lo sviluppo nel corso del tempo (in Occidente). Poi
vedremo delle distinzioni viste come ambivalenze: distinzione tra cultura e civiltà e tra natura e cultura.
Queste distinzioni ci portano a mettere in luce un’ambivalenza presente nel concetto di cultura. Questa
ambivalenza verrà letta utilizzando i concetti di forma e di contenuto e poi troveremo una composizione e
riusciremo ad uscire dall’ambivalenza dando una definizione di concetto di cultura. Vedremo poi la
proposta di Griswold riguardante la definizione della cultura e di uno strumento per studiare i processi
culturali: il diamante culturale. Dopo aver fatto questo percorso, ci fermeremo ad analizzare attraverso gli
autori classici della sociologia, il rapporto che esiste tra cultura e società ed analizzeremo il rapporto tra
cultura e società e cercheremo di capire come si è caratterizzata la cultura occidentale moderna con le sue
caratteristiche. LA cultura occidentale moderna influenza ancora il nostro modo di pensare anche se,
secondo molti, siamo in un’epoca post-moderna che è il tentativo di correggere alcuni limiti della cultura
moderna. Poi vedremo una definizione sociologica di cultura con cui termineremo questa lunga riflessione
sul concetto di cultura moderna, per poi passare d altri concetti come quello di sub-cultura e industria
culturale e poi vedremo alcuni elementi costitutivi della cultura. Infine parleremo della sociologia del
turismo.

Che cos’è la cultura?

LA CULTURA- Un concetto dalla lunga storia, Un concetto controverso e un concetto complesso.

Il termine cultura ha la sua radice nel latino colere, ossia coltivare, lavorare la terra. Per estensione questa
concezione viene estesa al processo della coltivazione dell’animo umano; la cultura è quel processo che
porta allo sviluppo dell’animo umano peri latini, è una forma particolare di coltivazione. Precedentemente
ai latini nella classicità greca si usava il termine di “paideia”, ossia educazione e formazione umana. E’
simile. L’individuo che compie questo processo diventa colto ed è una persona che ha fatto proprie/
assimilato le conoscenze e i valori della società, cioè ha interiorizzato i prodotti simbolici più raffinati
dell’umanità. Un individuo che ha fatto proprie le forme di pensiero più raffinate e sofisticate sviluppate
dalla società è un individuo colto ed egli ha trasformato questi prodotti simbolici in qualità personali
sviluppando così un animo nobile. Questo modo di intendere la cultura come educazione, buildung e
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paideia ha esteso la sua influenza sino a tutto il XVIII secolo, mentre nel XIX secolo la prospettiva comincia
cambiare. Nell’epoca moderna, sotto l’influenza dell’illuminismo, la cultura comincia ad essere considerata
come un patrimonio universale di conoscenze e valori. L’Enciclopedie di Diderot et D’Alambert è l’icona di
questo modo di intendere la cultura, eriche era un testo che raccoglieva il patrimonio universale di
conoscenze e di valori dell’umanità. Successivamente all’illuminismo, l’antropologia modifica
significativamente le cose. LA cultura viene sempre considerata come un patrimonio collettivo come
nell’illuminismo, ma il “collettivo” a cui ci si riferisce non è il mondo universale, ma è la comunità; cioè per
l’antropologia culturale la cultura è un insieme di tradizioni, contenuti della morale, conquiste intellettuali e
tecniche che esprimono lo spirito di un popolo/ gruppo sociale/ nazione, di una collettività, non è più tutto
il genere umano come con l’illuminismo. Quindi, per l’illuminismo la cultura era l’insieme die contenuti
simbolici propri di tutto il genere umano, mentre per l’antropologia la cultura è un insieme omogeneo
(patrimonio di tradizioni, tecniche, modi di comportarsi ecc.) che caratterizzano uno specifico gruppo
sociale. Quindi, ricapitolando:

Etimologia Cultura = (lat. colere) Coltivare, lavorare la terra, per estensione “coltivazione dell’animo
umano”

In origine (classicità greca) Paideia = educazione, formazione umana -> cultura. L'individuo colto è colui
che assimilando le conoscenze e i valori socialmente trasmessi (i prodotti simbolici più raffinati
dell’umanità) è riuscito a tradurli in qualità personali.

Fino al XVIII secolo- Cultura = (concezione umanistica o classica) si applica all’educazione delle persone
per indicare l’istruzione/erudizione. Vd. anche Bildung (formazione dello spirito)

A partire dal XVIII secolo_Cultura = Concezione moderna: illuminista e socio-antropologica. L'illuminismo


propone l'idea di un patrimonio universale di conoscenze e valori formatosi nella storia dell'umanità .
L'antropologia la descrive come un insieme omogeneo di tradizioni, disposizioni morali, conquiste
intellettuali e tecniche, che esprimono lo spirito più profondo e autentico di un popolo.

LEZIONE 3

La cultura ha una lunga storia: nel corso del tempo si è passati da un’idea di cultura come interiorizzazione
di ciò che meglio è stato pensato dell’umanità, all’ida che la cultura sia un insieme di aspetti simbolici e
materiali, che caratterizzano una determinata società o popolazione. Questa lunga storia ha portato un
concreto controverso di cultura, perché appunto si è polarizzata in queste due modalità una che presenta la
cultura come concezione classica e umanistica, l’altra è la cultura concepita dalla sociologia e antropologia
moderna e contemporanea. Vediamo qualche esempio della concezione classica e umanistica della cultura,
ossia un’idea di cultura nel medioevo e fino al Settecento e nell’illuminismo, come un insieme di contenuti
simbolici risultato del processo di soluzione che ha cercato di trattenere ciò che di meglio è stato pensato e
conosciuto dal genere umano. Vediamo un brano del paradiso della Divina Commedia di Dante che è un
cantico alla Madonna.

CONCEZIONE UMANISTICA, LA CULTURA COME CIÒ DI MEGLIO È STATO PENSATO E CONOSCIUTO


(ARNOLD)- (importante!)

 Vergine Madre, figlia del tuo figlio,  But, soft! what light through Non vi è
umile e alta più che creatura, yonder window breaks? It is dubbio che
termine fisso d'etterno consiglio, the east, and Juliet is the sun. dante possa

 tu se' colei che l'umana natura Arise, fair sun, and kill the
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nobilitasti sì, che 'l suo fattore envious moon, who is already
non disdegnò di farsi sua fattura. sick and pale with grief, that
thou her maid art far more fair
 Nel ventre tuo si raccese l'amore,
essere considerato un’icona dell’uomo colto che ha sintetizzato e fatti propri i maggiori contenuti simbolici
della letteratura, dell’arte, della filosofia e della teologia e li abbia sintetizzati nell Divina Commedia, buon
esempio per dare l’idea di cultura intesa appunto come un insieme dei contenuti simbolici di maggior
qualità che il genere umano abbia prodotto. La Divina Commedia può essere considerata una sintesi di ciò
che meglio è stato pensato e conosciuto sino al 1300 (quasi). A destra troviamo invece un brano di
Shakespeare di Romeo e Giulietta. Questo è un modo di intendere la cultura come è caratterizzata dalla
concezione classica e umanistica.

DUE MODI DI INTENDERE LA CULTURA IN OCCIDENTE-Come conseguenza dello sviluppo storico sociale
emergono due modi di intendere la cultura:

1) concezione classica, umanistica

2) concezione delle scienze sociali: antropologia, sociologia, etc

DEFINIZIONE DI CULTURA PER ANTROPOLOGIA

Un esempio della seconda concezione è offerto da una citazione di Taylor, antropologo molto noto, che
definisce la cultura: La cultura, o civiltà, nel suo ampio senso etnografico (il termine “etnografia” rimanda
già all’antropologia), è quell’insieme complesso (di tanti aspetti) che include le conoscenze, le credenze,
l’arte, il diritto, la morale, i costumi e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come
membro di una società. (E.B. Tylor, 1871) Quindi, oltre all’arte mette all’interno aspetti relativi alla morale,
alle conoscenze, ai costumi e a qualsiasi altra capacità acquisita dall’uomo… La cultura per l’antropologia è
quindi un tratto di qualsiasi individuo per l’antropologia in quanto membro di una società, mentre nella
versione classica la cultura è patrimonio solo di certi individui, di quelli colti che hanno fatto lo sforzo di
interiorizzare il patrimonio di ciò che meglio è stato pensato e conosciuto. Queste sono due versioni molto
diverse del concetto di cultura e per sintetizzare questi due modi di intendere la cultura possiamo utilizzare
una citazione presa dalla voce “cultura” di Francesco Remoti presa dall’Enciclopedia delle scienze sociali di
Treccani 1992. «In sintesi, si può affermare che la differenza essenziale tra la concezione classica e quella
moderna è data dall'assenza o dalla presenza dei costumi come contenuti specifici della cultura. Se la
cultura in senso classico era costituita da ideali, verità e valori non condizionati dai mores (costumi), e se
la sua acquisizione coincideva con una liberazione dagli abiti e dalle consuetudini locali, la cultura in
senso moderno è invece costituita dai costumi, e un'analisi in termini culturali comporta il
riconoscimento della loro importanza e della loro incidenza in una molteplicità di ambiti del
comportamento umano». A sua avviso la differenza sta nel fatto che fanno parte o meno della cultura i
costumi, ossia le abitudini e i modi di vivere. Diventare un uomo colto coincideva con la liberazione dagli
stili di vita, dalle consuetudini che una persona aveva appreso durante la prima socializzazione dall’infanzia
in poi, dai luogo in cui si cresce, dalla famiglia. La cultura nel senso tradizionale del termine comporta il
distacco da tutto questo, perché richiede l’acquisizione di contenuti universali, ossia ciò che di meglio è
stato pensato dall’umanità non ha a che fare con il luogo in cui sei nato. La versione
moderna/antropologica/sociologica include i costumi, le abitudini e gli stili di vita come aspetto della
cultura e riconosce la loro importanza in molti ambiti del comportamento umano.

 Abbiamo detto che la cultura è un concetto di lunga storia, un concetto controverso (due varianti
lungo il percorso storico in occidente) ed +è complesso, perché circa 60 anni fa Kroeber e
Cluckhohn cercano di fare una rassegna delle definizioni di cultura e ne trovano almeno 150
diverse. ESITO DELLA LUNGA STORIA: OLTRE 150 DEFINIZIONI KROEBER E CLUCKHOHN (1952)
COMPLESSITA’ E POLIVALENZA- Più di 150 definizioni. Una sintesi:
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1) La maniera complessiva di vivere di un popolo, ossia come gli aspetti che riguardano la vita di
una società o gruppo di persone (idea più vicina al concetto moderno di cultura, perché la
variante classica riguarda l’intera umanità e non specifiche popolazioni)
2) L'eredità sociale che un individuo acquisisce nel suo gruppo di appartenenza (somiglianze
all’idea antropologica culturale)
3) Un modo di pensare, sentire, credere (definizione più individualista)
4) Un'astrazione derivata dal comportamento
5) Una teoria formata dall'antropologo sul modo in cui si comporta effettivamente un gruppo di
persone
6) Un deposito del sapere posseduto collettivamente, ossia la cultura sarebbe il prodotto dei
contenuti simbolici introdotti dal genere umano e selezionati e salvati in un deposito del sapere
per essere poi trasmessi da una generazione all’altra, come se la cultura fosse una sorta di tesoro
(concezione simile a quella classica)
7) Una serie di orientamenti standardizzati nei confronti dei problemi ricorrenti, ossia un modo di
rapportarsi alla realtà nella vita quotidiana
8) Un comportamento appreso, quindi un comportamento insegnato e appreso (definizione simile
alla concezione moderna antropologica e sociologica)
9) Un meccanismo di regolazione normativa del comportamento
10) Una serie di tecniche per adeguarsi sia all'ambiente sia agli uomini (sintesi di definizione che
rimanda alla concezione sociologica e antropologica)
11) Un precipitato di storia, una mappa, un setaccio, una matrice, una bussola, ossia ciò che il
trascorrere degli anni nella storia dell’umanità ha trattenuto come gli elementi simbolici
significativi, come se fosse il risultato di un percorso storico nel quale sono stati selezionati una
serie di simboli, conoscenze e forme d’arte. La storia ha selezionato (setacciato) i migliori
contenuti (ciò che di meglio è stato pensato e conosciuto). La matrice, nel caso della stampa, è
ciò che rimane impresso sulla carta, quindi dire che la cultura è una matrice è vederla come una
serie di segni/ contenuti simbolici che lasciano il segno all’interno di un gruppo o una società.
Cultura come bussola significa che ha dei concetti che servono agli individui per orientarsi nella
vita quotidiana.
(Queste definizioni non sono da ricordare ai fini dell’esame)

I CARATTERI DELLA CULTURA NELLLA TRANSIZIONE CLASSICO MODERNA- Tradizione umanistica


classica (questo è da ricordare, tra le domande ci potrebbe essere questo argomento: caratteristiche della
tradizione umanistica classica a confronto con quelle della concezione antropologico sociologica
moderna.) concepisce la cultura in modo universalistico (universalistica), cioè come ciò che di meglio è
stato pensato dall’umanità complessivamente (in modo universale) e ciò che di meglio è stato pensato e
conosciuto e valido. Questo viene interiorizzato attraverso un processo di acculturazione, di formazione
dell’animo umano, cioè l’individuo che fa propri i contenuti della cultura e facendo così, li acquisisce
talmente tanto che diventano un suo attributo/ carattere, fanno di lui l’uomo colto che ha una certa
personalità e un certo modo di agire. (Attributo individuale). Altra caratteristica della tradizione umanistica
classica è quella di considerare la cultura in modo prescrittivo (prescrittiva); cioè se la cultura è un insieme
di ciò che di meglio è stato pensato e conosciuto, gli uomini posti di fronte alla cultura devono far propri
quei contenuti, la cultura si impone agli individui perché è un risultato di ciò che meglio è stato pensato e
conosciuto e l’uomo non può sottrarsi a questa in interiorizzazione. Quindi, secondo la tradizione
umanistica la cultura è ciò che di meglio è stato pensato e conosciuto e di conseguenza deve essere fatto
proprio dall’uomo, gli uomini non possono rifiutarsi di far propri dei contenuti che le società umane hanno
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elaborato e sintetizzato nei corso dei secoli come il modo migliore per affrontare la realtà e la vita sociale.
Dante, grande conoscitore della letteratura e della filosofia fece proprio questo; il meglio che c’è non lo si
può respingere a pena vivere con una rozzezza d’animo. Quindi la caratteristica prescrittiva e l’attributo
individuale sono un po’ una cosa unica.
Molto diverse sono le caratteristiche della cultura secondo la prospettiva socio-antropologico-moderna,
perché la cultura nel senso moderno ha un carattere locale, è infatti l’insieme dei costumi, dei modes, degli
abitudini che sono stati sviluppati da un certo gruppo sociale, magari dalla famiglia in cui un nuovo membro
della società è nato e poi dai gruppi che man mano, crescendo, incontrerà. (tratto molto locale, non
universalistico). Nella tradizione umanistica classica c’è l’idea che ciò che di meglio è stato pensato e
conosciuto è a livello universale, mentre in quella socio antropologico-moderna sono validi per il gruppo
sociale che li ha elaborati, ossia hanno un valore e un ruolo all’interno di quel gruppo sociale, il che non
significa il meglio in assoluto, ma è il modo in cui quel gruppo sociale ha cercato di dare risposta a una serie
di problemi che riguardano la vita associata degli uomini. Questo tratto si collega all’aspetto descrittivo,
ossia la cultura è il tratto di un determinato gruppo sociale, non è detto che sia il meglio e non è necessario
fare una scala di valori, è semplicemente la descrizione del modo che un determinato gruppo sociale ha
sviluppato in termini di patrimonio di simboli, costumi, tecniche, aspetti simbolici e materiali (conoscenze,
forme d’arte, usi e costumi, morale, il diritto, tecniche di lavorazione dei campi e poi industriale ecc.).
Questo insieme è prodotto da un gruppo di individui/ organizzazione che ha una cultura organizzativa, è un
tratto locale, non universale. Anziché essere un attributo individuale, la cultura è un attributo collettivo, ciò
che è stato sviluppato da una collettività/ da un certo gruppo, piccolo o grande che sia. La cultura ha anche
un tratto descrittivo, che si comprende meglio se si pensa agli antropologi, ossia al fatto che quest’idea di
cultura è stata sviluppata dagli antropologi che nell’ottocento hanno cominciato a studiare culture alte,
ossia di popolazioni tribali (Africa, caraibi, pacifico) molto lontane dall’occidente europeo e atlantico.
Quando questi antropologi studiarono una cultura di una società tribale non si ponevano il problema di
costruire una scala gerarchica tra le forme di cultura e dire che la cultura che andavano a studiare era
gerarchicamente subordinata in termini di qualità, astrattezza, capacità di astrazione e subordinata rispetto
alla cultura da cui provenivano gli antropologi, ma anzi quando le studiavano, ponevano come principio di
fondo l’idea che i contenuti simbolici e gli aspetti materiali prodotti dalla società che studiavano erano
esattamente il modo con cui quella società aveva dato risposta al problema della vita associata degli uomini
in quel contesto locale, al pari delle risposte che erano state date dalla cultura occidentale da cui
provenivano gli antropologi all’epoca; quindi non era possibile fare una gerarchia, si trattava dei modi con
cui la società aveva dato risposta ai problemi della vita associata degli individui, erano due modi diversi che
bisognava solo descriverli e non costruire delle gerarchie, sono solo due modi diversi di intendere la cultura.
Con questi ultimi concetti abbiamo terminato il primo punto “lo sviluppo storico del concetto di cultura…”
visto nel sommario (vedi pag. 12 appunti) e iniziamo il secondo punto “distinzioni (ambivalenze) tra cultura
vs civiltà e natura vs cultura.“ La differenza tra cultura e civiltà è quasi un’opposizione ed è un’ambivalenza
tra il modo classico e quello moderno di intendere la cultura. La civiltà rimanda al mondo moderno,
antropologico e sociologico di intendere la cultura e invece il concetto di cultura da tradizione ellenistico-
classica. Osserveremo per quale motivo il genere umano ha sviluppato articolate forme culturali, mentre
altre specie animali non hanno questo tipo di caratteristica. Nel presentare queste distinzioni
sottolineeremo l’aspetto di ambivalenza, ma anche di contraddittorietà tra i concetti per poi arrivare al
superamento di queste ambivalenze attraverso una prima definizione del concetto di cultura.

CULTURA E CIVILTA’
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Concezione umanistica classica: cultura # civiltà
Concezione moderna delle scienze sociali: cultura  civiltà
Secondo la concezione umanistica classica tra cultura e civiltà c’è una netta distinzione. La cultura è un
patrimonio soprattutto di simboli, di conoscenze di alto livello, quelle che puoi acquisire solo facendo un
percorso di alti studi legati alla teologia, alla letteratura, alla filosofia (contenuti di tipo umanistico
principalmente). Invece nella concezione moderna delle scienze sociali, cultura e civiltà cambiano. La civiltà,
soprattutto nella forma die costumi e dei modi di dire, entra a far parte della cultura.

Il processo di civilizzazione (N.Elisa, filosofo e sociologo molto noto che scrisse questo testo tradotto in
italiano). In questo testo Elias prende documenti e testi di fino a 500 anni fa, in cui sono scritti dei consigli
sui modi di agire e di comportarsi in società e fa un po’ una storia del processo di civilizzazione attraverso il
quale si è sviluppata la società e lavorando modi di agire e di comportarsi in società. Le citazioni del testo
riguardano ad esempio il comportamento a tavola, i bisogni naturali (il corpo e il suo pudore, soffiarsi il
naso, dello sputare) o le relazioni tra i sessi. Vediamo alcune citazioni a riguardo…
ELLIAS E IL ROCESSO DI CIVILIZZAZIONE
Erasmo da Rotterdam, De civilitate morum puerilium (la Civiltà dei modi di agire) 1530
“Raschiarsi la gola nel mettersi a tavola, e soffiarsi il naso nella tovaglia sono cose poco convenienti per
quel che posso giudicare”

DE LA SALLE 1774

“Il tovagliolo posato sul piatto, che è destinato a preservare le vesti da macchie o da altri inconvenienti
inevitabili quando si mangia, bisogna aprirlo e stenderlo in grembo, in modo tale da coprire tutta la parte
anteriore del corpo fino alle ginocchia, passandolo sotto il colletto e non dentro di esso.
Cucchiaio, forchetta e coltello devono essere sempre posti alla destra, punto
Il cucchiaio è destinato ai cibi liquidi e la forchetta alla carne punto
Se l'uno o l'altra delle posate sporca, la si può pulire con il tovagliolo, se non è possibile procurarsene altre;
procurarsene altre, bisogna evitare invece di pulirla con la tovaglia, è una maleducazione imperdonabile.
Quando il tovagliolo sporco, bisogna chiederne un altro: sarebbe estremamente volgare pulirlo con le dita,
con il cucchiaio, la forchetta e il coltello.
Nelle case di un certo rango virgola e domestici attenti, cambiano i tovaglioli senza bisogno che ciò venga il
loro richiesto.
Non vi è nulla di più sconveniente che leccarsi le dita, toccare le carni e portarle alla bocca con le mani,
spargere la salsa con le dita o inzuppare il pane con la forchetta per succhiarla.”

ERASMO DA ROTTERDAM, DE CIVILITATE MORUM PUERILIUM 1530


Erasmo invita i precettori e gli adulti ad avere un comportamento civile a fini educatici.

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Tutto questo per dimostrare che c’è stato un processo di affinamento dei costumi, dei mores etc che ha
prodotto i risultati che conosciamo oggi.

CIVILTA’-DEFINIZIONE
“Complesso di elementi o tratti della cultura, […], materiali o ideali, cui la maggior parte delle società
umane pare avere attribuito in ogni epoca, con esiti tendenzialmente convergenti […] un valore positivo
e progressivo rispetto agli elementi omologhi di cui poteva disporre in precedenza, manifestando tale
valutazione con il preferire […] detti elementi agli altri.” (Gallino, Dizionario di Sociologia). Questa non è
una definizione importante da imparare, ma fornisce un’idea abbastanza chiara del concetto.

ELEMENTI DELLA CIVILTA’


Il linguaggio, la scienza, la tecnica e i mezzi di produzione industriale, i mezzi di trasporto, i mezzi di
comunicazione e i mass media, le tecniche dell’igiene pubblica e personale, il diritto, le tecniche
organizzative e burocratiche, etc. (Gallino Dizionario di Sociologia)

CULTURA VS. CIVILIZZAZIONE


Cultura: Attività soggettive, variabili e libere
Oppure ciò che esprime il senso profondo di un’epoca storica: arte, erudizione

Civilizzazione: Attività oggettive, il cui carattere è dato dalla continua accumulazione e dalla
irreversibilità: buone maniere, tecnica, diritto
Rimane una contrapposizione/ ambivalenza tra il concetto di cultura e il concreto di civiltà. Con la
tradizione moderna antropologico-sociologica tende ad includere la civiltà come ambito della cultura, ma
comunque questa distinzione rimane. In genera la cultura è vista come un’attività soggettiva, mentre la
civilizzazione riguarda più che altro attività oggettive che si sono accumulate nel corso del tempo fino a
divenire irreversibili.

L’AMBIVALENZA DELLA CULTURA


Sottolineare questa ambivalenza serve per arrivare a un superamento.
Cultura
-Sensibilità nei confronti di “ciò che di meglio è stato pensato e conosciuto” che viene interiorizzato dagli
individui e concorre allo sviluppo di un animo sensibile e nobile, tipico dell’animo colto. Intesa in questo
senso, la cultura è un’attività soggettiva che riguarda i singoli individui, è un percorso che i singoli individui
devono fare, un percorso di acquisizione dei contenuti simbolici, ciò che di meglio è stato pensato e
conosciuto. Questo modo di intendere la cultura quando si confronta con chi intende la cultura come
civiltà, nel senso della tradizione antropologico-sociologica della modernità, tende ad accusare l’atro modo
di chi comprende la cultura di filisteismo.
-Coltivazione dell’animo umano (paideia) e della morale
-Attività soggettiva
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-Accusa di filisteismo. I filistei erano una popolazione confinante con la popolazione ebraica dell’epoca
precedente alla nascita di Cristo. Se ne hanno cenni nella Bibbia, si ha il racconto di Sansone che sconfigge i
filistei. I filistei erano considerati dagli ebrei come una popolazione grezza e con una cultura banale. Chi
concepisce la cultura secondo la tradizione classica, tende a giudicare l’altra concezione della cultura come
qualitativamente inferiore e tende ad avere un atteggiamento di accusa di filisteismo.
Tuttavia questo modo di intendere la cultura rischia un Elitismo, cioè l’idea che ci sia una cultura superiore
all’altra patrimonio solo di un élite, perché richiede uno sforzo di conoscenza e di contenuti sofisticati,
analitici, astratti, di difficile apprendimento e di vasta quantità. È difficile acquisire tutto il patrimonio della
cultura ellenistico-tradizionale e quindi può essere solo un patrimonio di un élite. Solo gli intellettuali
riescono a far propria in modo adeguato tutta la cultura.
Opposizione alle norme sociali
Altro aspetto della cultura così intesa è quello di lasciar spazio alla libertà dell’individuo colo. Cioè
l’individuo che ha fatto lo sforzo di interiorizzare ciò che di meglio è stato pensato e conosciuto nella sua
vastità, deve essere lasciato libero di esprimere ciò che ha interiorizzato, che esprimerà dei comportamenti
raffinati nuoci, di particolare qualità. La civiltà invece rimanda all’interiorizzazione e all’apprendimento di
un insieme complesso di saperi, credenze, arte, costumi, tecniche,… Se la cultura in senso tradizionale
rimandava alla coltivazione dell’animo umano, invece la civiltà richiama la coltivazione dell’etichetta, delle
convenzioni e delle conoscenze pratiche. La produzione e l’elaborazione della civiltà è un’attività collettiva
e oggettiva.
Accusa di etnocentrismo
Rischio: conformismo  Si pensi al processo di civilizzazione. Si va alla ricerca di testi sul come
comportarsi in società e la civiltà, intesa come le insieme delle norme di comportamento, dei costumi che
bisogna tenere quando si vive in società e dei modi di agire, tende al conformismo, cioè a farci agire tutti
nello stesso modo più o meno. Oggi nessuno si soffia più il naso nella tovaglia, ma questo può essere visto
come conformismo che appiattisce le differenze tra gli individui. Il fatto che tutti agiscono così on è una
forma di nobiltà d’animo, come il caso di chi agisce in un certo modo, perché ha sviluppato uno stile di vita,
atteggiamento e modo di essere e agire del tutto individuale, ma non conforme né frutto di un
adeguatamente, ma perché ha sviluppato una raffinatezza d’animo che lo induce quasi naturalmente e
liberamente ad agire in modo raffinato e non perché gli è stato imposto.
Controllo sociale, repressione
La contrapposizione tra cultura e civiltà richiama ai due modi di intendere la cultura visti in precedenza,
perché la modalità moderna di intendere la cultura ha portato la civiltà (modi di agire, tecniche, utensili)
all’interno della cultura. C’è stata una fusione delle due concezioni e oggi la cultura è un contenitore più
ampio che contiene la cultura in senso classico e gli aspetti della civiltà considerando tutto l’insieme come
l’espressione delle forme simboliche elaborate dalla società. Questi due modi di intendere la cultura e
questa distinzione tra cultura e civiltà pososo sembrare poco coerenti con il modo di pensare odierno, ma
in realtà non è così. Possiamo capirlo tramite un esempio pratico: con la riforma Gelmini la facoltà di lingue
e letterature straniere (con il solo corso omonimo) pensò di introdurre altri corsi di studio (inizialmente
quello di lingue culture per il turismo). A qualcuno quindi venne in mente di non soffermarsi a studiare le
lingue come fine ultimo della ricerca, ma proponiamo anche uno studio applicato della lingua per favorire il
turismo, il commercio internazionale, l’editoria ecc. Questa modifica ha fatto sì che, da una situazione in cui
c’erano circa 70-800 matricole all’anno, nel giro di breve tempo il numero è andato a 700-800 e oltre.
Questo è abbastanza ragionevole, perché è più chiara la possibilità di occupabilità. Questa è una premessa
per spiegare ciò che avveniva nei consigli di facoltà, una volta introdotti questi nuovi cicli di studi… Essendo
la facoltà composta da docenti di lingua e letteratura straniera, non per facile formare studenti per svolgere
attività in altri ambiti, dunque la facoltà aveva chiamato dei posti per docenti di scienze scoiali (diritto,
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geografia, economia, sociologia…); ma nei consigli di facoltà dell’epoca accadde che i docenti delle lingue
delle letterature affermavano che così facendo si stesse snaturando l’identità della facoltà. C’era una
consapevole accusa di filisteismo nei confronti di alcune discipline e forme culturali. Tutto questo avvenne
circa 15 anni fa. Quindi si ha un’ambivalenza della cultura che rimane ancora oggi. Il contenuto è invece un
altro aspetto della cultura, è l’animo nobile che, per natura, non avrà mai certi comportamenti. Questa è un
po’ la differenza tra cultura e civiltà: la civiltà più attenta alla forma, la cultura nel senso classico e
tradizionale è più attenta al contenuto (è la coscienza dell’individuo). E’ l’ambivalenza tra forma e
contenuto, cioè chi concepisce la cultura come civiltà sottolinea gli aspetti della forma, anche nel
comportamento umano. L’ambivalenza tra i due concetti di cultura e civiltà può essere quindi sintetizzata
attraverso la distinzione/opposizione tra forma e contenuto. La civiltà propone forme di comportamento
codificato (le buone maniere), strumenti pratici (tecniche, utensili) che non è detto siano il frutto di un
animo umano colto e «nobile»

NATURA E CULTURA
Qual è il nesso tra natura e cultura? Perché c’è questa distinzione? Perché noi siamo l’unica specie animale
dotata di cultura, ovvero perché abbiamo bisogno di significati? Tra gli animali è presente una forte
specializzazione, cioè le specie animali si sono sviluppate per vivere in specifici ambienti naturali e hanno
sviluppato delle forme di comportamento che sono guidate dall’istinto dell’animale per collocarsi in modo
adeguato in certi habitat e contesti, quindi potremmo dire che l’animale è guidato dall’istinto. L’essere
umano invece non ha un istinto molto sviluppato, ma ha pochi riflessi. (se noi teniamo un bambino a
mezz’aria, il bambino simula la deambulazione per esempio, oppure se appoggiamo un dito sul palmo della
sua mano lui d’istinto la chiude). Un cucciolo di tartaruga d’istinto, nel nascere, cerca la superficie e poi di
andare verso il mare, spendo anche da che parte è(istinto); il bambino non è in grado invece. L’essere
umano è generico, ma la sua genericità gli consente di vivere in tanti ambienti diversi, ossi l’essere umano è
specializzato nella sua non specializzazione. L’essere umano può vivere in diversi ambienti, ma deve
sviluppare delle conoscenze che gli consentano di adattarsi all’ambiente. Il comportamento dell’animale è
geneticamente determinato, mentre il comportamento dell’uomo è appreso, ossia l’uomo apprende il
comportamento. Il meccanismo di trasmissione del comportamento umano avviene ad opera della cultura
che gli fornisce dei simboli con i quali l’uomo si colloca nei tre ambienti che lo riguardano: natura esterna,
sua coscienza (vita interiore) e l’ambiente sociale con i suoi simili.

DALLA NATURA ALLA CULTURA


“L’uomo non si inserisce spontaneamente nella realtà naturale del mondo come l’animale, ma si scinde
da essa e le si oppone con i propri fini, lotta, usa violenza e la subisce.” (G. Simmel, 1908)

Attraverso la mediazione dei simboli gli esseri umani:


-Interpretano e danno un significato al mondo
-Elaborano i contenuti della loro coscienza
-Esprimono la loro vita interiore
-Interagiscono in modo ordinato con i loro simili (ordine sociale)
Si può dire che la cultura svolge per la stessa umana la stessa funzione che è svolta dall’istinto per le altre
specie animali. Quindi, la cultura è un sostituto funzionale dell’istinto che consente all’uomo di adattarsi in
molti ambienti diversi.

LEZIONE 4

9
Le slides saltate che si trovano su moodle non sono da studiare, quelle importanti sono scritte qui negli
appunti. Se ci sono slides, soprattutto quelle nascoste nella presentazione, sono utili per un
approfondimento personale, ma non ai fini della prova.

C’è una differenza tra quasi tutte le specie animali e la specie uomo. LE specie animali sono il risultato di
un’evoluzione che li ha condotti ad agire all’interno dell’ambiente dall’istinto. L’animale uomo è invece un
essere generico, cioè molto poco specializzato e dotato di un patrimonio di istinti ridotto rispetto agli
animali. I fatto di non essere specializzato consente all’uomo di adattarsi. LE modalità con cui relazionarsi
all’ambiente sono in questo caso apprese attraverso un processo di apprendimento, formazione ed
educazione che è veicolato dalla cultura, cioè che fa uso della cultura come strumento per raccogliere
informazioni attraverso le quali rapportarsi ai ari ambienti in cui l’uomo è inserito. L’uomo, di fronte alla
natura, è perso, nel senso che ha meno riferimenti rispetto agli animali. Per rapportarsi alla natura l’uomo
necessita della cultura. Il rapporto dell’uomo con la natura non è immediato, ma è scisso. L’uomo si
rapporta con tre diversi ambienti e in ogni caso sono mediati dalla cultura, sostituzione di ciò che per gli
animali sono l’istinto.

CULTURA E RODINE SOCIALE


-La cultura come sostituto dell’istinto,
-oltre a svolgere una funzione di orientamento dell’individuo nella realtà,
-svolge anche una funzione di promozione dell’ordine sociale, in quanto mette a disposizione degli
schemi d’azione che rendono intelligibile e prevedibile il comportamento altrui
La cultura dà ordine all’ambiente delle relazioni sociali.

CULTURA E CONTROLLO
Cultura: fornisce all’uomo un “insieme di meccanismi di controllo – schemi, prescrizioni, regole, istituzioni
– per governare il comportamento”. (C. Geertz 1973)
Cultura= repressione, perché ne reprime gli aspeetti più istintuali diretti con cui rapportarsi ai propri
ambienti. Questo è ciò che pensano alcuni. Si ha un’interpretazione critica della cultura che però è
minoritaria, anche perché anche l’istinto può essere una forma di condizionamento dell’uomo. Anche
l’istinto può portare a una repressione del comportamento. Questa critica è quindi poco credibile e poco
condivisibile.
1) limitazioni biologiche dell’organismo
2) limiti posti dall’ambiente fisico
3) esigenza di un ordinamento sociale stabile

MA COME SI E’ GIUNTI A QUESTO PUNTO? (questo pezzo non è da sapere)


E’ nato prima l’uomo o la cultura?
Attraverso la cultura la specie umana si rapporta ai propria ambienti. In quanto frutto dell’evoluzione della
specie, l’uomo è qualcosa che si è innestato su uno stato di natura precedente e che ha portato a un
processo evolutivo (stato di natura sul quale si è innestata la cultura che è stata sviluppata dall’uomo su
una condizione di vita più istintuale e naturale oppure no?) E’ difficile rispondere a questa domanda…
Remotti nel Dizionario delle Scienze Sociali delle…si chiede: il rapporto tra natura e cultura per la specie
umana è il risultato di una sorta di stratificazione dell’evoluzione della specie secondo la quale l’uomo è
venuto sviluppandosi vestendo gli abiti della cultura su una base organica e istintuale oppure la natura
culturale dell’uomo è frutto di un’interazione che avviene tra la bse biologico-razionale dell’uomo e
l’evoluzione della cultura? Per rispondere a questa domanda leggiamo il testo di Remotti nel volume della
10
Utet…

Una concezione stratigrafica dell’evoluzione della specie considera che l’uomo sia venuto sviluppandosi
vestendo degli abiti culturali su una base organica razionale
Una concezione interattiva ritiene che la base biologico-razionale sia venuta sviluppandosi assieme
all’evoluzione culturale
«Se i filosofi moderni hanno pensato l'uomo essenziale come 'uomo nudo', dotato naturalisticamente della
sua ragione (oltre che dei suoi istinti e delle sue passioni), gli antropologi hanno invece ritenuto che la
realtà più autentica e completa dell'uomo appaia quando egli indossa i suoi 'abiti' culturali. Il peso di questi
abiti è ovviamente diverso nelle due prospettive, ma in un caso e nell'altro essi si depositano su strutture
(razionali o organiche, e comunque naturali) che conservano la loro autonomia e la loro integrità. Si ha
quindi sempre una base organica che è autonoma.
Con gli sviluppi più recenti della teoria antropologica della cultura, il peso della natura umana (se ancora si
può utilizzare questa espressione) si sposta invece decisamente sul versante dei costumi e delle abitudini. Si
predica allora l'irreperibilità dell'uomo al di là delle sue usanze, l'impossibilità di scoprirlo nudo nella sua
'purezza' originaria e a-culturale. E questa impossibilità sarebbe dovuta non già a un difetto di
strumentazione analitica, che impedisce agli antropologi di superare la foresta impenetrabile dei costumi,
bensì a un presupposto che pretende di essere più fecondo e meno distorcente di quello stratigrafico.
Secondo questo presupposto i costumi non nascondono di certo l'uomo, e nemmeno si limitano a
completarne e a perfezionarne la figura, bensì foggiano direttamente quella variegata e strana realtà che
sono gli uomini nelle loro differenze culturali. I costumi sono la realtà dell'uomo e, per dirla con Blaise
Pascal, la sua vera "seconda natura": non al di là dei costumi, ma nei o tra i costumi va ricercata l'essenza
dell'uomo.» (Remotti 1992/2011) LA cultura intesa in senso modero e antropologico è la seconda natura
dell’uomo. L’essenza dell’uomo, dice pascal, va ricercata nella cultura che è una seconda natura.

La specie umana sarebbe nata attorno a 200.000 anni prima di Cristo, anche se gli studi antropologici
dicono che gli ominidi sarebbero nati milioni d’anni prima.

Attraverso la cultura è un po’ come se si interrompesse una sorta di rapporto diretto dell’uomo con la
natura. Tutti gli animali hanno un rapporto diretto con la natura regolato dall’istinto. Per l’uomo questo
rapporto diretto viene a rompersi e la rottura è rappresentata dalla coscienza. Ciò che è importante rilevare
è che il fatto che l’uomo abbia un rapporto diretto con se stesso e maggiormente mediato con l’ambiente
11
naturale fa sì che il comportamento umano nell’ambiente sociale non sia immediato, quindi non sia cioè
spontaneo. Il fatto di poter riflettere su sé stesso impedisce un rapporto spontaneo con gli ambienti con cui
ha a che fare. La formula interpretativa, la mediazione, è data dalla cultura, una sorta di sostituto
funzionale. Il soggetto umano si rapporto al mondo, agli altri individui e a sé stesso attraverso la mediazione
di simboli che sono il contenuto della cultura.

La coscienza dell’uomo, ossia la consapevolezza di


sé, ha la facoltà di elaborare senso e significati
attraverso l’uso di simboli, ossia gli elementi della
cultura. Simmel dice che quando l’uomo elabora un
significa, un’interpretazione degli ambienti con cui
ha a che fare, in questa interpretazione si
impoverisce la vitalità creatrice dell’anima umana.
La cultura è fatta di significati, ossia elaborazioni
raffinate di segni e simboli che servono per
orientare l’agire dell’individuo nei vari ambienti con
cui ha a che fare. I contenuti della cultura sono
forme prodotte dall’essere umano ed esse limitano la capacità dell’uomo di produrre interpretazioni della
realtà.

L’AMBIVALENZA DELLA CULTURA


Se gli esseri umani esprimono se stessi e i contenuti della loro coscienza (vita psichica) attraverso la
mediazione di forme simboliche, non è detto che le forme simboliche coincidano punto per punto con il
loro contenuto (con i loro pensieri). Un’altra ambivalenza della cultura è quella tra forma e contenuto, nel
senso che se la cultura è un sostituto dell’istinto che serve agli esseri umani per mediare il rapporto che
l’uomo ha con i propri ambienti, non è detto che le forme simboliche con cui l’uomo si rapporta ai propri
ambienti siano in grado di eseguire unto per punto il senso e il contenuto dell’ambiente. Cioè le forme con
cui noi rappresentiamo gli ambienti sono sempre limitate rispetto agli ambienti che noi rappresentiamo,
siano essi la natura interna, la natura esterna o l’ambiente sociale. Le rappresentazioni che noi siamo in
grado di elaborare sono sempre limitative rispetto alla ricchezza presente negli ambienti, si ha quindi un
aspetto di ambivalenza di difficile soluzione.

Ma quando parliamo di segni e simboli creati dall’uomo cosa intendiamo?


I segni sono delle rappresentazioni, degli strumenti astratti attraverso cui noi rappresentiamo la realtà.
Sono forse la forma più semplice di strumento astratto attraverso al quale noi ci rapportiamo agli ambienti.
Il segno è qualcosa che sta per qualche altra cosa, sono cioè mediatori attraverso i quali noi ci rapportiamo
agli ambienti. Questi segni possono poi essere articolati in forma più complessa e produrre dei significati. In
sociologia si distingue tra segno simbolo e segno significato. Il segno segnale è più semplice ed è ad
esempio una colonna di fumo, segno che è segnale della presenza di un fuoco. Il segno simbolo invece è un
segno in cui è necessaria l’azione dell’uomo per generare un significato. Non produce un’informazione
immediata, ma c’è un processo di interpretazione all’opera dell’uomo che genera significato, questo è il
segno simbolo, mentre il segno segnale è più immediato.

E’ quindi la cultura che interrompe il rapporto diretto che l’uomo ha con l’ambiente circostante. Ma la
ragione non ha nulla a che fare con tutto ciò? Perché è la cultura che crea questo distacco? Abbiamo
sottolineato il fatto che mentre l’animale si rapporta all’ambiente in modo immediato, la cultura funziona
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più da mediatore nei rapporti con l’ambiente. Cioè noi rapportandoci all’ambiente ne elaboriamo
un’interpretazione, dei significati. Questo processo in qualche modo si frappone al rapporto diretto e
immediato con l’ambiente, perché in mezzo c’è una riflessione che invece se si agisce per istinto non è
presente. E’ vero che rapportandoci all’ambiente, a volte l’uomo reagisce d’istinto, come quando
tocchiamo una superficie che scotta e ritraiamo la mano. Noi abbiamo la possibilità di riflettere ed
elaborare delle interpretazioni dell’ambiente e facendo ciò siamo anche in grado di vivere in tanti ambienti
diversi, a differenza degli animali che sono specializzati per vivere in certi ambienti e faticano ad entrare
nello stato naturale in ambienti diversi dal loro habitat. Il pensiero dell’uomo è un processo di riflessione
che avviene nella coscienza dell’uomo ed è un processo che interrompe il rapporto immediato con gli
ambienti perché innesca una riflessione e un lavoro di interpretazione nel rapporto con gli ambienti.
Quindi è giusto dire che il fatto che l’uomo abbia un istinto poco sviluppato rispetto agli animali rappresenti
il fulcro principale della differenza tra cultura e natura e tra la specie dell’uomo e gli altri animali. La
differenza sta nella cultura. La comunicazione tra animali è più immediata, non mediata da simboli e
significati elaborati che compongono la cultura. Gli animali non hanno un patrimonio culturale
particolarmente sviluppato, anche se in certi casi apprendono, quindi si ha una forma di educazione ma
minimale rispetto a quella della specie umana.
Abbiamo messo in luce delle distinzioni e delle ambivalenze tra cultura e civiltà e tra cultura e natura.
Abbiamo detto che la civiltà rimanda a forme di comportamento che rischiano di essere puramente formali
o meccaniche, mentre al cultura rimanda a un contenuto, ossia a una nobiltà dell’animo che poi quasi
spontaneamente fa generare certe forme di comportamento ritenute accettabili e migliori di arte. Nel
rapporto tra cultura e natura c’è lo scarto che caratterizza la specie umana, cioè il fatto che l’uomo non si
inserisce immediatamente nel proprio ambiente. I pensieri dell’uomo e il modo di interpretare l’ambiente
sono forme di rappresentazione dell’ambiente che non ne esprimono tutto il contenuto, quindi c’è sempre
un’ambivalenza tra la forma e il contenuto.

SENSO-SIGNIFICATO
Uscire dall’ambivalenza civiltà-cultura-forma-contenuto cultura-natura attraverso i concetti di senso e
significato.
Crespi (sociologo italiano di grande prestigio culturale) propone di comporre l’ambivalenza dei rapporti
coscienza-cultura, natura-cultura, forma-contenuto, attraverso la distinzione tra senso e significato.
Il senso rimanda alla facoltà della coscienza (intesa come consapevolezza di sé) di interpretare e dare
ordine ad una realtà caratterizzata da un insieme pressoché infinito di possibilità di esperienza e di
azione. L’uomo è posto di fronte a vari ambienti e non può reagire ad essi in modo istintivo, ma li deve
interpretare e deve attribuire loro un senso, definibile come una capacità che l’uomo ha di interpretare e di
elaborare dei significati attribuibili agli ambienti con cui ha a che fare.
Il significato rimanda alle singole e specifiche determinazioni (mediazioni) della realtà che assumono di
volta in volta “corpo” e contenuto nell’esperienza degli uomini e delle società.
(Il significato si costruisce attraverso segni. Il soggetto che mette in relazione il segno con qualche altra
cosa realizza un processo psichico di significazione.) Il significato è il risultato dell’azione svolta dal senso,
il quale opera sviluppando dei significati, ossia interpretazioni della realtà che si esprimono attraverso un
significato. Al distinzione tra questi due concetti ci può aiutare a mettere ordine nelle ambivalenze viste.
Attraverso la facoltà di elaborazione del senso noi produciamo dei significati, ossia delle interpretazioni
della realtà che si esprimono attraverso dei significati.

RUOLO DEL SIGNIFICATO


Il significato consente di distinguere e mettere in relazione vari aspetti:
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Cultura e civiltà:
La cultura elevata (classica) (patrimonio individuale di simboli selezionati dalla società) e la civiltà (usi,
costumi, buone maniere, tecniche, utensili) sono tutti prodotti simbolici: significati elaborati dalla facoltà
umana di elaborare senso che caratterizza l’uomo, sono significati elaborati dalla facoltà umana di
produrre senso. Così trova una composizione/ soluzione sensata l’ambivalenza tra
Cultura e natura:
Cultura e struttura sociale:
consente di parlare di una comunità nei termini della sua cultura (simboli che rappresentano e orientano
il pensiero), e al tempo stesso di parlare della comunità nei termini della sua struttura sociale (modelli di
relazione tra i membri, istituzioni, fattori economici e politici). Il contenuto è la facoltà che l’uomo ha di
elaborare il senso, è ciò che caratterizza l’uomo e la forma in cui si esprime questa capacità sono i
significati, sono gli elementi della cultura siano essi significati di carattere più elevato amati dai professori
sia la cultura di livello forse meno astratto e più pratico, un po’ più operativo.

Questa definizione è importante da ricordare!!!


Geertz è uno scienziato. La cultura è fatta di simboli
che esprimono dei significati, una struttura di
significati incarnati in simboli. (verso la vita= verso li
ambienti). La cultura è un sistema di concezioni
attraverso la quale gli uomini comunicano e
trasmettono gli atteggiamenti che gli uomini hanno
verso la vita, ossia verso i vari ambienti con i quali
l’uomo si interfaccia (attraverso la mediazione di
significati incarnati in simboli). Non è possibile fare un vero e proprio esempio di senso e significato, nel
senso che il senso non si vede, è una capacità dell’uomo che produce dei significati e essi, fatti di simboli,
sono delle interpretazioni del mondo, la costruzione di un senso, attraverso l’uso di simboli. Tutte le forme
della cultura attraverso cui essa si esprime sono il risultato di un processo di interpretazione della realtà che
l’uomo ha sviluppato. Il senso è una sorta di interpretazione e il suo risultato è i significato. Questa facoltà
del senso si esprime in tanti modi diversi. Sia la nona sinfonia di Beethoven che una forchetta sono dei
prodotti culturali, ossia il risultato di un processo dell’elaborazione del senso operato dal genere umano. La
forchetta è uno strumento che serve per assumere cibo, la sinfonia è invece una forma sonora attraverso la
quale rappresentare la gioia che è un’esperienza dell’animo umano. Queste sono due cose diversissime, ma
entrambi prodotti culturali. Anche i primati costruiscono utensili per svolgere delle attività qui si vede
l’intelligenza della scimmia, la quale ha elaborato u significato, ossia qualcosa che non esiste in natura.
Quindi una qualsiasi religione ad esempio può essere intesa come un significato. Le religioni danno risposte
ai grandi perché dell’umanità e sono i grandi perché che la vita umana ci pone. LA cultura è fatta di tanti
aspetti: la religione, l’arte, il diritto, la scienza ecc. E’ un insieme complesso di aspetti materiali e simbolici
attraverso i quali l’uomo ha cercato di dare un significato ai suoi rapporti con le realtà di genere diverso.

GRISWOLD
Definisce così la cultura: si riferisce al «lato espressivo della vita umana - comportamenti, oggetti e idee
che possono essere visti come espressioni di qualcos’altro» (senso e significati). La definizione di simbolo
è la seguente: dal latino, è qualcosa che sta al posto di qualcos’altro. Griswold riprende quest’idea. Sono
tutti segni o simboli che rimandano ad altro e la cultura è fatta di questo. Questi segni consentono di
rapportarsi ai vari ambienti.

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RUOLI DI OGGETTO E DIAMANTE CULTURALE
In CHE relazione stanno la cultura e la società umanna? Per analizzare questo tipo di rapporti, Griwold dic
che dobbiamo utilizzare ol concetto di oggetto culturale e diamante naturale. Se il concetto di significato
riesce a rappresentare contemporaneamente gli aspetti di cultura e civiltà; cultura e struttura sociale,
occorre individuare le modalità della loro integrazione Griswold risolve la questione attraverso i concetti
di oggetto culturale e diamante culturale.

OGGETTO CULTURALE (OC)


«un significato condiviso incorporato in una forma» (p. 26)
Geertz “una struttura di significati, trasmessa storicamente incaranti in simboli”. La cultura è quindi
fattadi interpretazioni della realtà che sono simboli.
E’ espressione significativa udibile, visibile, tangibile. Cioè può essere un suono, un insieme di parole,
un’immagine, un oggetto tangibile come una forchetta.
Un oggetto culturale ha una storia che può essere narrata, recitata, cantata, dipinta, scolpita, tatuata,
etc. LA facoltà del senso dell’uomo attribuisce un significato alle realtà e il significato concepito viene
concretizzato in un segno/ simbolo che può essere verbale, sonoro, d’immagine…

Gli oggetti culturali hanno, ciascuno, una propria storia ed


evoluzione. Griswold presenta la storia di un oggetto culturale
come il pane. Lei parte dalla sua esperienza e dice che nel
secondo dopo guerra negli Stati Uniti andava molto di moda il
Wonder Bread, cioè il pane morbido per toast e tartine.
Questo pane era di produzione industriale ed era arricchito di
fattori nutritivi (vitamine etc.). Con la contestazione giovanile
del ’68 il Wonder Bread perde la sua fama perché considerato
come il prodotto culturale di una società capitalista,
industrializzata e che fa grande affidamento sulla tecnica e sulla scienza e che però è una società
considerata vincolante e mortificante dell’autonomia e della libertà individuale. Questa società tecnicizzata
e burocratizzata viene contestata dai giovani, i quali volevano, come diceva no sloga, “la fantasia al potere”,
no la razionalità, la scienza, l’economia al potere. Si afferma quindi come espressione della contestazione il
pane integrale. Questi sono due modi di intendere un alimento umano che sono tipici dell’occidente e sono
due versioni dell’idea di pane come oggetto culturale che ha avuto grande rilevanza in tutta la storia
dell’Occidente. Questi due tipi di pane fanno parte della vecchia Europa. I significati di essi risalgono a
significati per moderni che hanno le radici anche nella religione ebraico-cristiana che aveva concezioni
particolari del pane, come la manna nel deserto che il popolo ebraico raccoglie per sfamarsi, la
moltiplicazione dei pani ad opera di Gesù citata nei vangeli, l’eucarestia (pane azzimo non fermentato che
risale alla tradizione ebraica della celebrazione della Pasqua in uscita alla schiavitù d’Egitto). Queste varianti
si intersecano con quelle della vecchia Europa. Questi modi di intendere l’oggetto culturale pane non sono
gli unici. LA tradizione islamica rifiuta queste interpretazioni dell’oggetto culturale “pane tanto che in
Nigeria l’assunzione di prodotti della farina del grano viene considerata negativa, come forma di
contestazione e di rifiuto della cultura ebraico-cristiana. Non c’è solo come forma di alimentazione diffusa
tra la popolazione, il pane come amido ricavato dalla macinazione di grano, ma anche il riso che è una
modalità di alimentazione sempre basata su amidi naturali tipica di Paesi orientali come il Giappone e la
Cina, altre culture utilizzano invece il miglio in certe zone dell’Africa, altre la farina di granoturco come
alimentazione tipica quotidiana e molto popolare (polenta nell’Italia del Nord-Est). Il pane quini, dice
Griswold, può essere considerato un buon esempio di oggetto culturale.
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Il concetto di oggetti cultura serve per studiare la cultura. Griswold dice che è prodotto dagli esseri umani
(gente comune, artisti, scienziati, singoli, collettivi, etc.)
… necessita di essere condiviso da altri esseri umani, altrimenti rimane un oggetto potenziale
… gli oggetti culturali, sia chi li crea sia chi li riceve, sono collocati in un contesto sociale (modelli culturali,
bisogni economici, politici, sociali e culturali che caratterizzano un tempo)

Griswold dice che per studiare sociologicamente la cultura è opportuno


utilizzare lo strumento del diamante culturale. (diamante perché
rappresentato da un rombo con le diagonali). Il diamante culturale è
fatto da 4 vertici e da sei relazioni tra i quattro vertici (lati e due
diagonali). Ai vertici del diamante vi è l’OC, creato da un individuo, un’
organizzazione o una società. L’OC necessita di ricevitori, cioè deve
essere condiviso e ricevuto da altri soggetti. Si ha poi l’aspetto del
mondo sociale. Per analizzare i processi culturali, per lei, occorre
analizzare le relazioni tra ciascuno di questi quattro elementi. Se cioè si vuole capire un fenomeno, si
devono tener presente queste 4 variabili.
Se la cultura è fatta di significati e i significati hanno un carattere sociale (sono attuali solo se condivisi),
che rapporto esiste tra il mondo sociale e i significati? o meglio tra il mondo sociale e i significati condivisi
incorporati in una forma, cioè gli oggetti culturali raccolti in un sistema ovvero la cultura?

I creatori, collocati in un determinato contesto sociale (Regno Unito


anni Sessanta nel Novecento), producono il 45 giri The Yellow
Submarine e questo oggetto culturale viene proposto da ricevitori che
lo ricevono in quanto fans dei Beatles, diventati dei veri e propri idoli.
Per comprender eun fenomeno culturale bisogna studiare le relazioni
che esistono fra queste quattro polarità. Questo esempio dei Beatles
è una creazione della Griswold.

Qui si ha il logo di una testata giornalistica danese che nel 2005 pubblicò delle vignette su Maometto. I
ricevitori leggono questo giornale satirico ridendo.

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Il diamante culturale ci serve perché basta cambiarne qualcosa, come ad
esempio il contesto, e la reazione dei ricevitori sarà diversa.
(contestazioni, polemiche, minacce ecc.). per comprender ei fenomeni
culturali bisogna tener presenti questi 4 poli. La sociologia dei processi
culturali ha avuto finora la tendenza a concentrarsi solo sull’analisi della
relazione esistente tra mondo sociale e oggetto culturale. La sociologia
della cultura è vittima di una sorta teoria del riflesso. Si ha un’analisi della
cultura concepita come specchio, ci si chiede cioè se l’oggetto culturale non sia riflesso di un determinato
mondo sociale, oppure se non sia il mondo sociale riflesso degli oggetti culturali.

Ad esempio la presenza di scene violente nei mezzi di comunicazione


sono quelle che producono un maggior clima di violenza nella società?
Questo è quello che ci si chiede. Oggi ci sono più femminicidi perché se ne
parla sui mezzi di comunicazione di massa oppure c’è una maggiore
rappresentazione della violenza sui media perché è il ondo sociale che
presenta una maggior quota di violenza? La sociologia dei processi
culturali sembra fermarsi nella sua analisi suq queste due relazioni: è la
cultura che è uno specchio della struttura sociale o è la struttura sociale
che è uno specchio della cultura, dei simboli e delle interpretazioni della realtà? Lei dice di usare il
diamante culturale per capire i fenomeni, mettendo in relazione tutti e quattro questi poli. Il diamante
culturale può essere uno strumento per rendere più articolata l’analisi dei processi dei fenomeni culturali.

LEZIONE 5

Il segno simbolo è il più semplice (colonna di fumo), mentre il segno significato è un segno in cui è
necessaria l’azione dell’uomo per genere un significato e non produce un’informazione immediata, ma si ha
un processo. Il segno simbolo per ora lo teniamo come se fosse un segno, per ora il segno segnale e il segno
simbolo li lasciamo sospesi…Attraverso le ambivalenze si può arrivare alla chiarificazione die concetti.
(order from noise). La cultura sarebbe l’insieme di contenuti attraverso quale si ha la capacità di definire un
senso della realtà ecc. La Griswold propone poi degli strumenti per studiare la cultura, tra cui il diamante
culturale.
Analizziamo la teoria del riflesso legata al diamante culturale. Questa è l’idea che ci sia una sorta di rimando
tra cultura e struttura della società, ossia la cultura si rispecchia nella cultura sociale o viceversa.
Soffermiamoci nel pensiero die classici della sociologia, attraverso il pensiero di Marx e di Weber che sono
due forme diverse di rispecchiamento. Accanto al pensiero di Marx proporremo anche il pensiero della
corrente funzionalista, approccio che ha avuto il suo successo negli anni ’50, ’60, ’70 del Novecento.

Teoria del riflesso- Approcci sociologici


-Marxismo e teoria critica
-Approccio funzionalista
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I MAESTRI DEL PENSIERO SOCIOLOGICO
Karl Marx (1818-1883) è un intellettuale, filosofo, economista, sociologo.
Egli era molto influenzato, vivendo in Germania, dal pensiero di Hegel, dalla dialettica e dal pensiero
Hegeliano. Per Hegel ciò che è importante nello studio dei fenomeni umani e sociali è osservare come lo
spirito, inteso non strettamente in senso religioso ma con gli aspetti simbolici della vita umana. Per Hegel lo
spirito si manifesta nella realtà dandole una forma, ma MArx, studiando il pensiero di HEgel, non sia tanto
il pensiero che si manifesta nella realtà, ma che si debba osservare altro. Quindi egli prende le distanze da
Helel studiando i lavori della sinistra hegeliana, corrente filosofica. Attraverso questo pensiero Marx si
discosta da Hegel dal punto di vista politico, perché Marx ha un pensiero progressista, mentre dal punto di
vista filosofico vi si discosta perché ribalta l’idealismo Hegeliano trasformandolo in materialismo. Cioè on
sono tanto le idee che si concretizzano nella realtà per Marx, ma è la realtà materiale che dà forma alle
idee.
HEGEL: LA REALTÀ È MANIFESTAZIONE DELLO SPIRITO.
Marx fa una lettura appassionata di Hegel, ma si discosta dal punto di vista politico dal suo
conservatorismo e dal punto di vista filosofico dall’idealismo e si interessa ai lavori della sinistra
hegeliana e di Feuerbach

MARX E LA SINISTRA HEGELIANA


C’è un filone di studi della sinistra hegeliana che analizza il pensiero di Hegel criticandolo, in particolare è
interessante fare qualche cenno a Feuerbach, il quale critica Hegel. Per Hegel il reale era un’emanazione del
divino ed egli critica questa sua idea e afferma che è piuttosto il divino ad essere un prodotto illusorio del
reale. Per Feuerrbach l’essere e l’esistenza precedono il pensiero e gli scienziati sociali devono concentrarsi
su ciò che esiste per comprendere il pensiero umano e le sue forme simboliche e culturali. Marx fa propria
quest’idea di Hegel e dice che lui vuole interessarsi all’essere umano con la sua esistenza, piuttosto che
delle dimensioni simboliche della vita umana. Hegel sostiene che Dio si aliena da se stessa, incarnandosi
nella realtà, cioè Dio sarebbe un’essenza che si invera nella realtà. Mentre Feueuerbach sostiene che dio
esiste nella misura in cui è l’uomo che si alinea da se stesso e proietta le proprie facoltà più elevate, ma
allineate sulla divinità. Quindi, per Hegel lo sviluppo dell’umanità è frutto dell’alienazione di Dio da se
stesso. Per Feuerbach Dio esiste nella misura in cui l’uomo è alienato da se stesso e ha bisogno di
proiettare le sue facoltà più elevate, ma alienate, sulla divinità. La filosofia ha il compito di aiutare
l’uomo a recuperare il suo io alienato svolgendo una critica della religione. Marx dice che occorre fare una
critica di altri aspetti della vita culturale dell’uomo, come l’economia, la politica, la morale la cultura.
Quindi riassumendo: punto di partenza è lo studio dell’umanità è l’uomo reale che vive nel mondo reale.
Hegel vede il reale come emanazione del divino, dello spirito
Per Feuerbach il divino è il prodotto illusorio del reale. L’essere e l’esistenza precedono il pensiero. Il
pensiero deriva dall’essere e non viceversa.
Per Marx la cultura è il risultato dei condizionamenti materiali.
Marx si propone di affrontare la critica dell’economia politica, della morale, della cultura...

LA SOCIOLOGIA DI MARX
La società è interpretabile a partire dalle basi materiali: unico reale riferimento empirico per lo studioso.
Le basi materiali di una società si indagano osservando la distribuzione della proprietà dei mezzi di
produzione. Che relazione c’è tra mondo sociale e oggetto culturale, ossia tra struttura della società e
cultura? Per Marx per capire la società e studiarla in modo scientifico bisogna quindi partire dalla basi
materiali, ossia la struttura, data dalla distribuzione delle proprietà o meno die mezzi di produzione.
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Indagando come essi sono distribuiti nella società che si può studiare scientificamente la società, quindi a
partire dagli aspetti materiali e non simbolici come la cultura. Per questo Marx è ricordato come un filosofo
del materialismo storico che si contrappone all’idealismo di Hegel. Ciò che a lui importa analizzare la
proprietà o meno die mezzi di produzione.
Le basi materiali costituiscono la reale struttura della società attraverso le forze di produzione e i rapporti
di produzione. Tutte le altre strutture: cultura, religione, diritto, economia sono sovrastrutture che hanno
la funzione di mantenere la distribuzione dei mezzi di produzione fornendo una ideologia della realtà.
La struttura della società per Marx è costituita da:
Forze di produzione: gli individui che lavorano e costituiscono la forza-lavoro, i mezzi di produzione,
ovvero tecniche e macchinari; le conoscenze tecniche e scientifiche. Le forze di produzione sono
distribuite tra la popolazione in un certo modo e questa distribuzione concorre a generare i rapporti di
produzione: relazioni che si stabiliscono tra gli individui nella sfera della produzione, trovano la loro
espressione giuridica nei rapporti di proprietà (es: passaggio dal feudalesimo al capitalismo: esigenza di
risorse per i feudatari, appropriazione del plus-lavoro dei contadini, progressiva perdita di autonomia
nell’organizzazione del proprio lavoro, esproprio dei mezzi di produzione, espulsione dalle terre,
creazione del bracciantato rurale). Questi rapporti sono regolati dalla legge ee da altri aspetti simbolici
della società.

Compito delle scienze sociali è, per Marx, formulare una critica della sovrastruttura (ideologia)
svelandone la dipendenza dalla struttura. Cioè per Marx la cultura è da considerarsi come una
sovrastruttura. Ciò che è fondamentale è la struttura della società, ossia la distribuzione delle forze di
produzione, la proprietà o meno die mezzi di produzione. Questa è la vera struttura della società e se si
vuole far scienza della società, si deve studiare come si distribuisce la proprietà die mezzi di produzione.
Questo è ciò che esiste, la realtà mentre gli aspetti simbolici, ossia la cultura, sono una sovrastruttura (la
cultura è sovrastruttura) della società. Tutti gli elementi della cultura hanno un aspetto secondario.
Pertanto per Marx la cultura realizza due funzioni principali nella società capitalista:
Riproduce le diseguaglianze sociali e e le relazioni di produzione della società capitalista. (riprodurre nel
corso del tempo la distribuzione della proprietà o meno die mezzi di produzione, quindi riprodurre nel
corso del tempo le disuguaglianze sociali)
Serve a legittimare le diseguaglianze (sotto forma di meritocrazia). (giustificare, rendere giusta quella
particolare distribuzione della proprietà o meno die mezzi di produzione).
È così possibile realizzare una teoria scientifica della società in grado di cogliere “l’essenza interna” dei
fenomeni, al di là delle apparenze (mediazioni simboliche) ingannevoli.

In estrema sintesi qual è quindi la teoria socio-economica di Marx e la sua concezione della cultura? La
cultura è una sovrastruttura che si sovrappone al mondo sociale cercando di conservarlo inalterato nel
tempo e di far si che la gente consideri giusto questo modo sociale, ossia conservare inalterata nel tempo la
distribuzione della ricchezza all’interno della società. Le scienze sociali hanno quindi la funzione di svolgere
una critica della società innanzitutto. Per studiare e conoscere in odo scientifico la realtà sociale, le scienze
sociali devono concentrarsi sull’osservazione dlele basi materiali della società, ovvero devono concentrarsi
su come è distribuita all’intero della società la proprietà o meno die mezzi di produzione. Tutta la
dimensione che sta accanto della struttura solida e concreta della società (basi materiali), ovvero le idee e
la cultura, è una sovrastruttura e le scienze sociali devono fare una critica della sovrastruttura e mostrare
che serve solo a riprodurre nel tempo la distribuzione dlele basi materiali della società, ossia della
ricchezza. Oltre a riprodurre nel tempo le basi materiali della società, la sovrastruttura concorre anche a far
considerare legittima/ giusta quella particolare distribuzione delle basi materiali. Intesa in questo senso la
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cultura è definita da Marx sovrastruttura o ideologia che è un modo di indicare la cultura come strumento
per riprodurre nel tempo le disuguaglianze sociali e per legittimarle 8farle considerare giuste). Le idee per
Marx sono quindi sempre sovrastrutture, mentre la struttura sono gli aspetti materiali. I rapporto di
produzione sono letali a come è distribuita tra la popolazione la proprietà o meno die mezzi di produzione.
Il fatto che ci sia qualcuno che ha i mezzi di produzione e qualcuno che non li ha genera rapporti sociali, che
per Marx sono rapporti di sfruttamento da parte di chi ha i mezzi di produzione verso chi ne è privo.

I LIMITI DELLA SOCIOLOGIA DI MARX


Marx è stato criticato, perché ha una visione dicotomica e conflittuale della società, cioè per Marx la
società i sviluppa, come per Hegel, attraverso una dialettica di tesi, antitesi e sintesi. Tesi e antitesi per Marx
sono due situazioni che generano conflitto sociale ed è da questo che si sviluppa una sintesi successiva che
poi diventerà un’altra tesi a ui si contrappone un’altra antitesi e così via. Così il processo dinamico della
società procede attraverso questa continua dinamica che, per Marx, è evolutiva (processo di continuo
miglioramento e futuro luminoso che attende l’umanità): C’é qualcuno che dice che proprio in questo c’è
una comune radice tra il pensiero ebraico-cristiano e quello di Marx. In fondo Marx, pur criticando
fortemente la religione, ha nella struttura della sua filosofia un impianto volto a un continuo progresso ed
evoluzione, che è caratteristica della tradizione ebraico-cristiana. Per AMrx quindi la storia procede solo per
conflitti fino a che non si arriverà alla società comunista in cui non si avrà una distribuzione diseguale. La
seconda critica è che nella società non ci sono solo due classi contrapposte, ma possono essere più di due.
L’applicazione al materialismo della dialettica lo spinge a vedere la storia come il risultato di conflitti che
emergono tra due classi, ossia tra cui ha la proprietà die mezzi di produzione e chi invece no. L’evoluzione
storica per Marx è data dal fatto che nel passaggio dal medioevo all’epoca capitalista/ industriale, la
borghesia è andata in conflitto con la nobiltà e attraverso la Rivoluzione Francese, i nobili che avevano la
proprietà delle terre la persero insieme a quella die mezzi di produzione, la cui proprietà è passata nelle
mani della borghesia e da lì è emerso il conflitto tra la borghesia e il proletariato. Il concetto di classe non è
così decisivo per osservare la società e come si distribuisce la popolazione in una sorta di gerarchia di
potere all’interno della società, perché oltre alle classi ci sono i ceti sociali. Per osservare la stratificazione
della società bisogna introdurre il concetto di ceto che mette assieme le ricchezze materiale degli individui,
ma anche il capitale culturale 8conoscenze): Il ceto è un modo per descrivere la stratificazione sociale sulla
base di queste due cose e possono esserci anche più ceti sovrapposti con capitali materiali e culturali
combinati secondo mix diversi. La relazione tra cultura e struttura è biunivoca, circolare
Altra critica rivolta a Marx è che il processo storico-sociale non può essere spiegato attraverso
argomentazioni deterministe, monocausali, per cui è la struttura sociale a determinare la politica, l’arte, il
diritto, la religione, l’economia ecc. Si ha un’idea di determinismo che è piuttosto semplicistica secondo
alcuni. Piuttosto esiste un doppio livello di influenza: la struttura sociale sulla cultura, ma anche viceversa.
Altra critica è che in fondo Marx non sottopone la sua stessa teoria al criterio generale da lui adottato di
considerare l’attività teorica come un riflesso della prassi. Ossia che egli non sottopone la sua teoria al
giudizio critico rivolto a tutte le altre teorie. In che senso? Le teorie sociologiche, economico-politiche o
filosofiche sono dei prodotti culturali e simbolici e in quanto tali, Marx dice che sono un sovrastruttura,
un’ideologia che serve a riprodurre la struttura sociale per conservarla nel tempo e a legittimarla. Ma allora,
dicono i critici, anche la teoria di Marx è un prodotto simbolico con una funzione ideologica e vuole
giustificare una certa distribuzione dei mezzi di distribuzione nella società, ma Marx non applica
esplicitamente questo giudizio critico alla sua teoria, mentre se fosse stato coerente avrebbe dovuto
applicare alla sua teoria questo giudizio critico. Marx quindi dice che tutti gli aspetti simbolici/ tutta la
cultura è una sovrastruttura, ciò che è importante e decisivo per la società sono le basi materiali e come
esse si compongono e solo studiando esse (le cose materiali) si può fare scienza e non guardando gli aspetti
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simbolici e culturali che sono solo sovrastrutture, ossia non servono altro a produrre nel tempo il modo in
cui è distribuita la proprietà die mezzi di produzione, che la ricchezza rimanga in mano a un certo gruppo di
persone. La ricchezza serve solo a questo, come se fosse una sorta di maschera. Tutti gli aspetti culturali
servono a riprodurre nel tempo le disuguaglianze sociali e a farle considerare giuste; la cultura serve solo a
questo. Quindi la cultura è come un po’ una manipolatrice, è un’ideologia, mentre la vita sta nel modo in
cui sono distribuite le basi materiali della società. Quindi Marx è fortemente critico ei confronti della
cultura. Alcuni studiosi dicono: posto che la cultura abbia questa funzione manipolatrice, ma allora anche la
teoria di Marx è un prodotto culturale che ha la stessa forma manipolatrice come tutti gli altri prodotti
culturali.
C’è però anche un filone molto esteso nel tempo di studiosi che hanno fatto proprio il pensiero di Marx e
l’hanno sostenuto, in particolare c’è la Scuola di Francoforte che dalla fine della Seconda guerra mondiale in
avanti ha prodotto tante elaborazioni teoriche nell’ambito delle scienze sociali tutte con un’elaborazione
marxiana. Questi autori hanno studiato che in Marx non vi è solo una sorta di determinismo, per cui è la
struttura sociale a determinare la cultura e tutti gli aspetti simbolici della vita umana. Essi dicono che Marx
ha un’attenzione anche ai soggetti umani e li ritiene degli attori importanti della società che esprimono se
stessi e le proprie emozioni. A loro deve essere data la possibilità di esprimere le loro emozioni. La scuola di
Francoforte sottolinea quindi due aspetti nel pensiero di Marx. Uno dettato da un determinismo molto
rigido per cui è la struttura della società a influenzare la cultura e a manipolare gli individui, quindi c’è un
atteggiamento critico nei confronti dlela cultura. D’altra parte si ha un marx più umanista che rivaluta gli
aspetti più simbolici e affettivi dei singoli individui, cioè le modalità con cui gli individui entrano in relazione
gli uni con gli altri lo fanno attraverso delle mediazioni simboliche. Questa variante più umanistica di Marx è
molto sottolineata dalla scuola di Francoforte. Quindi I difensori di Marx mettono in evidenza una doppia
radice del suo pensiero: l’una positivista e determinista, l’altra dialettica (hegeliana, romantica) che lo
spinge, quando parla della rivoluzione a rivalutare gli elementi soggettivi, attivi, volontaristici della
coscienza di classe.
Vediamo ora l’approccio funzionalista che è un approccio che politicamente si colloca agli antipodi dle
pensiero di Marx, soprattutto nella variante che analizzeremo. Parsons è un sociologo statunitense che ha
avuto grande successo negli anni 50-60-70 del Novecento (= epoca in cui si è affermata la scuola di
Francoforte): Parsons è politicamente molto vicino al pensiero liberare americano, alla cultura borghese
degli Stati Uniti e alla sua società.
APPROCCIO FUNZIONALISTA
-le società esprimono bisogni
-le istituzioni socio-culturali sorgono per dare risposta ai bisogni della società
-le istituzioni operano in un sistema di mutua interdipendenza per soddisfare i bisogni della società.
Tra gli autori che in ambito sociologico si rifanno al funzionalismo troviamo Durkheim (precede parsons) e
Luman. Cosa dice Parsons dell’approccio funzionalista? Per Parsons e per il funzionalismo la società Pé
come se fosse un organismo/ un sistema che esprime dei bisogni. Ha necessità che vengano soddisfatti certi
bisogni per poter sussistere nel corso del tempo e la cultura (istituzioni socio-culturali) e gli asoetti in cui
essa si organizza nascono per rispondere ai bisogni della società. Ogni società umana ha il bisogno che i
nuovi nati apprendano una serie di cose, cioè c’è bisogno che le nuove generazioni siano socializzate a
nuovi aspetti. Questo è un bisogno della società che va raggiunto per sussistere nel tempo. Ecco che
emergono le istituzioni, come la famiglia e la scuola, che danno risposta a quetsi bisogni della comunità.
All’interno del sistema società, ci sono sotto sistemi e ogni sistema si specializza a dare risposte ai bisogni
della società. Anche in questo caso c’è un determinismo della struttura, il modo sociale ha certe
caratteristiche e certi bisogni; la cultura e i sottosistemi della società hanno la funzione di dare risposta a
quei bisogni, quindi siamo ancora nella teoria del riflesso e alla sua visione che prevede una prevalenza dle
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mondo sociale sugli oggetti culturali. Gli oggetti culturali sarebbero il riflesso del modo sociale. In questo
caso la cultura e i suoi oggetti sono lo strumento attraverso il quale si risponde ai bisogni del mondo sociale.
Ciç che è interessante è che due teorie che politicamente sono agli antipodi, in fondo hanno la stessa
prospettiva nel modo di analizzare il rapporto tra struttura e società.

EVOLUZIONE DELLA TEORIS DEL RIFLESSO E SUO SUPERAMENTO


-Dal riflesso come rispecchiamento ( riflesso di)
-Al riflesso come riflessione (riflesso su)…
-E oltre… la creazione sociale della cultura
Fino adesso noi abbiamo osservato delle esemplificazioni della teoria dle riflesso attraverso il pensiero di
due filoni di studio sociologico: quello marxista e quello funzionalista. Questi sono dei chiari esempi della
teoria dl riflesso, nel senso che mostrano l’idea che la cultura sia un riflesso della struttura sociale. Gli
oggetti culturali sono una sorta di rispecchiamento della struttura sociale, perché in essi vi si riflette la
struttura sociale. Si ha però l’altra variante della teoria del riflesso, ossia quella in cui è la struttura sociale a
riflettere e rispecchiare il modo sociale. Per descrivere questa teoria del riflesso possiamo utilizzare il
pensiero di Weber (soggettività- Weber), sociologo padre della sociologia insieme a Simmel e Durkheim.
Qui si ha un’attenzione al soggetto in Weber, cioè si ha l’idea che sia possibile pensare al mondo sociale
come influenzato dalla cultura. Vediamo quindi Mar Weber come esempio di una teoria dle riflesso come
“riflessione su”.

Max Weber è tedesco di origine, come marx, anche se egli si è spostato prima in Francia e poi nel Regno
Unito. Max Weber è però più vicino a noi rispetto a Marx, ci sono circa 50 anni di differenza.
Andiamo rapidamente a vederne la biografia….

I maestri del pensiero sociologico


MAX WEBER (Erfurt, 1864 – Monaco, 1920)
 1892 Termina il rapporto di ricerca sulla situazione dei lavoratori rurali ad est dell’Elba, per il
Verein für Sozialpolitik
 1894 E’ docente di economia politica all’università di Friburgo
 1896 E’ docente all’università di Heidelberg
 1897-1901 Malattia nervosa
 1904-1905 Pubblica L’etica protestante e lo spirito del capitalismo
 1906 Esce Il metodo delle scienze storico sociali
 1909 Inizia la stesura di Economia e società
 1913 Scrive il saggio Su alcune categorie della sociologia comprendente
 1915-1916 Pubblica Sociologia della religione (Etica economica delle religioni universali)
 1918 Tiene all’università di Monaco due conferenze su: La scienza come professione e La politica
come professione
 1919 E’ docente all’università di Monaco
 1920 Muore a Monaco
 1922 Viene pubblicata Economia e società
Quindi a soli 30 anni va in cattedra molto presto ed è docente di economia, poi si sposta, ha una malattia
nervosa che lo tiene impegnato per 4 anni e a 40 anni pubblica un testo molto famoso, esempio di teoria
diversa da Marx e Parsons. Poi svolge la sua carriera intellettuale e muore a soli 56 anni. Nel ’22 viene
pubblicata “Economia e società” he è un’opera molto nota.

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DIBATTITO DELLO STORICISMO TEDESCO
Weber si inserisce nel dibattito metodologico delle scienze sociali e fornisce un importante contributo
alla comprensione sociologica del rapporto tra cultura e società.
Weber è influenzato dallo storicismo tedesco, corrente di pensiero che riflette sugli aspetti metodologici nel
capo delle scienze sociali. Weber si inserisce in questo dibattito e fornisce un importante contributo alla
comprensione sociologica del rapporto tra cultura e società.

DILTHEY E LO STORICISMO TEDESCO


-Individualità particolare di ogni epoca storica e necessità di un metodo di studio specifico in grado di
comprendere la specifica coerenza interna di significato. Ogni epoca stprica è come se avesse una sorta di
identità/ individualità specifica e le scienze sociali devono cogliere questa individualità e lo pososno fare
studiando l’Erlebnis.
-Erlebnis (esperire vivente) unità minima di analisi delle scienze dello spirito. Cioè l’erlebnis è il luogo in
cui nel soggetto si elabora l’interpretazione del mondo e la decisione di agire in un determinato modo
piuttosto che in un altro, cioè il modo in cui si elabora il senso. Gli studiosi dello storicismo tedesco dicono
che, proprio perché c’è questa particolare caratteristica della specie uomo occorre fare una
-Distinzione tra scienze dello spirito e scienze della natura. Le scienze della natura studiano i fenomeni
dell’ambiente naturale, mentre quelle dello spirito studiano i fenomeni che riguardano l’erlebnis e l’identità
di ogni singola epoca storica.
Per studiare queste due diverse realtà occorrono metodi diversi ed è o storicismo tedesco che genera la
distinzione tra comprensione (Verstehen) e spiegazione (Erklaren) dei fenomeni. La spiegazione richiede
la produzione di leggi generali, la comprensione l’attribuzione di un significato ad un “mondo” di
significati. Cioè la spiegazione porta a produrre delle leggi generali per interpretare i fenomeni della natura
esterna. Si pensi alla forma mc 2 al quadrato che descrive la teoria della relatività di Einstein e che è quella
che ha creato la creazione della boba atomica e che significa che l’energia è uguale alla massa per la
velocità della luce al quadrato. Che l’essere umano sia riuscita ad intravedere, attraverso una formula
matematica, quello che c’è dentro la materia e il suo rapporto con l’energia è straordinario. Questo modo
di osservare la realtà che porta alla sua spiegazione e alla formulazione di leggi generali può essere
applicato solo alle realtà materiali. Le scienze dello spirito debbono operare una comprensione
dell’unicità e del senso dei fenomeni sociali attraverso la capacità dell’osservatore di “rivivere” e
“riprodurre” il senso dell’esperienza soggettiva. In sociologia ciò significa che il ricercatore deve cogliere il
senso dell’azione soggettiva, immedesimandosi in un certo senso, con l’attore sociale e cercando di
comprendere il contesto nel quale si trova inserito. Le scienze dello spirito o della cultura non possono
usare il metodo della spiegazione, ma devono usare quello della comprensione, cioè devono studiare che
cosa avviene nel soggetto umano, come accade il processo di elaborazione del senso e delle intenzioni
dell’agire del soggetto umano. Quindi le scienze dello spirito devono studiare l’Erlebnis e il sociologo deve
immedesimarsi con gli altri individui ed empatizzare con essi per comprendere come avviene in loro il
processo di elaborazione del senso che li porta ad agire in un determinato modo. Questa distinzione tra
queste due scienze influenza molto Weber, il quale prende partito per le scienze dello spirito e dice che la
sociologia deve osservare il modo in cui l’individuo elabora il senso del proprio agire. Weber è un
individualista metodologico in questo.
IL METODO SOCIOLOGICO
La conoscenza sociologica intesa come processo di comprensione (Verstehen) dell’agire individuale non è
da considerarsi come descrizione neutrale di un oggetto esterno, ma come incontro tra due mondi di
significato.

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Il ricercatore sociale osserva dunque i fenomeni da un punto di vista particolare e a partire dalla sua
esperienza vissuta (Erlebnis).
Ciò però non vuol dire abdicare di fronte alla oggettività del sapere.
L’oggettività del sapere dipende dal rigore con il quale, una volta scelto e dichiarato il punto di vista
attraverso il quale osservare il fenomeno, il ricercatore porta avanti la sua ricerca realizzando una verifica
empirica della sua ipotesi di partenza.
Questa impostazione metodologica ha un’influenza specifica sul modo in cui viene inteso il rapporto tra
cultura e società (struttura sociale).

UNA DIVERSA TEORIA DLE RIFLESSO


Mostrare l’influenza dei significati culturali sulle strutture sociali (in particolare sulle strutture
economiche). Il pensiero di Weber ci è di aiuto ad osservare un modo diverso di intendere la teoria del
riflesso e ci è utile per mostrare l’influenza che i significati culturali hanno sulle strutture sociali. Questo lo
vediamo nell’opera “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”. L'opera di Weber è incentrata sulla
ricerca delle influenze culturali nel processo di modernizzazione e razionalizzazione della società
(Società moderne caratterizzate da: scienze, arti, burocrazie, funzionari ben addestrati, tendenza al
guadagno in un sistema economico capitalistico).
L’argomento di Weber ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo è:
“Uno degli elementi costitutivi dello spirito capitalistico moderno, e non soltanto di questo, ma di tutta la
civiltà moderna: la condotta razionale della vita fondata sull’idea di professione, è nato, ciò vorrebbero
dimostrare questi saggi, dallo spirito dell’ascesi cristiana.”
(p.303) Da qui parte Weber, cioè dall’idea che la religione protestante (aspetto della cultura=) ha fatto
nascere il processo di razionalizzazione che ha sviluppato il capitalismo e la società industriale, quindi
sarebbe stata la cultura che ha portato allo sviluppo della società industriale, feudale e agricola.

CULTURA E STRUTTURA SOCIALE, LA TESI DI WEBER.

Punto di partenza per Weber è l’analisi della religione protestante. Questa confessione protestante della
religione cristiana ha come caratteristica il fatto che venga rifiutata l’idea che l’uomo possa conquistare la
salvezza della propria anima attraverso impegno, sforzi e rispetto della legge morale. Si ha il rifiuto dell’idea
che la salvezza dell’anima sia una sorta di conquista dell’uomo, così come rifiutato il fatto che l’uomo che
non riesce con le sue forze a vedere concessa la salvezza dell’anima, la vede concessa da un’istituzione
come la Chiesa. Chi gettò scandalo per Martin Lutero e lo spinse ad affliggere le sue tesi 8che hanno poi
portato all’avvento del protestantesimo dopo la scissione con il cattolicesimo) è stato il fatto di aver visto,
in un suo viaggio in Italia, il processo di vendita delle indulgenze, ovvero il fatto che attraverso donazioni
economiche alla Chiesa si pensasse di poter vendere la salvezza dell’anima. Lutero è contro questo e crede

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che la salvezza dell’anima sia operata da Dio e che non possa essere né venduta né conquistata dall’uomo.
Questo aspetto caratteristico del protestantesimo (la salvezza è pura grazia di Dio) può aver indotto un’idea
di predestinazione (qualsiasi cosa l’uomo faccia, è già tutto destinato), ma allora in questa situazione l’agire
umano diventa irrilevante. Questo per la psiche degli individui, osserva Weber, può produrre una situazione
di difficoltà e di solitudine (uomo da solo di fronte al destinò su cui in passato si investiva molto). L’uomo è
da solo di fronte alla sua destinazione, non sa se è predestinato o meno alla salvezza; questa situazione può
produrre ansia e scarso significato dell’agire. Ecco che emerge un atteggiamento dei pastori d’anime
protestanti, i quali consigliano ai fedeli di non lasciarsi cadere in una sorta di frustrazione, di non mettere in
dubbio che essi saranno salvati perché mettere in dubbio questo è giù un inizio di dannazione. Piuttosto si
deve cercare di fare ciò che è gradito a Dio, non per guadagnare la salvezza, ma per dargli gloria. Da alcuni
tratti teologici della religione protestante, emerge un modo di intendere la vita del mondo che Weber
definisce “ascesi intramontana”. L’ascesi é il percorso che avvicina l’uomo a Dio e se fino al protestantesimo
nell’ambito cristiano, era un percorso che vedeva l’uomo allontanarsi dal mondo e ritirarsi negli ermi per
avvicinarsi a Dio e contemplarlo (ascesi extra mondana), con la religione protestante emerge l’idea che ci si
può avvicinare a Dio attraverso l’impegno nella vita quotidiana nella propria professione. Questo fa
cambiare il senso che gli individui attribuiscono alla loro attività lavorativa e la fa concepire come una
vocazione. Questa nuova attribuzione di senso è ciò che produce un cambiamento nella società nella sua
struttura nel modo di agire degli individui secondo Weger, così che si affermerà il sistema id produzione
capitalistico industriale. E’ da un aspetto religioso che si afferma la rivoluzione industriale sondo Weber,
quindi è dalla cultura che nasce non tanto dalla Rivoluzione Francese con lo scontro tra borghesia e nobiltà
come diceva Marx, ma piuttosto da un cambiamento della cultura. So ha una teoria del riflesso come
riflessione su, il soggetto che ha azioni che producono cambiamenti nella società.
Lezione 6
Nella lezione precedente abbiamo osservato come secondo Weber si è realizzata la rivoluzione industriale,
il passaggio alla società capitalistica a partire dalla adesione di una serie di imprenditori alla religione
protestante.

L’ETICA PROTESTANTE: LA SALVEZZA E’ DONO DLELA GRAZIA DI DIO


Il mondo è destinato a questo, e solo a questo; a servire all'autoglorificazione di Dio; il cristiano eletto esiste
allo scopo e solo allo scopo di accrescere la gloria di Dio nel mondo, per parte sua, eseguendo i suoi
comandamenti. Ma, Dio vuole l'opera sociale del cristiano, poiché vuole che la conformazione cristiana
della vita abbia luogo secondo i propri comandamenti, e in maniera da corrispondere a quello scopo. Il
lavoro sociale del calvinista nel mondo è semplicemente lavoro “in maiorem gloriam Dei”. E quindi ha
questo carattere anche il lavoro professionale, che è al servizio della vita terrena.”

Weber descrive la dottrina del protestantesimo, ovvero l’idea che la salvezza dell’anima è puro dono di Dio.
“Ora, nel suo pathos inumano, questa dottrina doveva avere, per la psicologia di una generazione che era
conquistata dalla sua grandiosa coerenza, soprattutto una conseguenza: il sentimento di un inaudito
isolamento interiore del singolo individuo. Nell'interesse esistenziale che per gli uomini dell'età della
Riforma era il più decisivo: l'eterna beatitudine, l'uomo era costretto a fare la sua strada da solo, incontro a
un destino stabilito dall'eternità. Nessuno poteva aiutarlo. Nessun predicatore[...]. Nessun sacramento:
poiché è vero che i sacramenti sono stati istituiti da Dio per accrescere la propria gloria e quindi devono
essere assolutamente osservati, però non costituiscono affatto un mezzo per ottenere la grazia di Dio, […]
Nessuna Chiesa: […] Infine, anche, nessun Dio: poiché anche Cristo è morto solo per gli eletti, ai quali Dio
aveva deciso, dall'eternità, di dedicare il sacrificio della propria vita.”
(Weber M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo)
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In queste parole si vede bene la prospettiva individualista di Weber e la sua metodologia comprendente.
(approccio tipico delle scienze umane e sociali). Qui Weber si mette nei panni del singolo individuo e dice
che gli individui erano costretti a procedere da soli riguardo alla salvezza dell’anima; c’è un modo di
procedere empatico, egli cerca di capire l’esperienza vissuta dal soggetto.

ETICA PROTESTANTE E VOCAZIONE PROFESSIONALE


“comparivano due tipi caratteristici, e interconnessi, di consigli relativi alla cura delle anime. Da un lato si
afferma addirittura che è un dovere ritenere se stessi eletti e respingere ogni dubbio come assalto del
diavolo, poiché la carenza della sicurezza di sé è conseguenza di una fede insufficiente, dunque di
un'insufficiente azione della grazia (...) E d’altro lato era caldamente raccomandato il lavoro professionale
indefesso, che era considerato il mezzo più eminente per raggiungere quella sicurezza di sé. I pastori
consigliavano quindi ai fedeli di ritenersi salvati. Esso ed esso soltanto dissipava il dubbio religioso, e
conferiva la sicurezza dello stato di grazia.” Lavorare con grande dedizione concorreva alla gloria di Dio, non
era un indizio di salvezza, ma si consigliava questa attività.
(Weber M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo)

ETICA PROTESTANTE E SPIRITO DEL CAPITALISMO


Come accade che da una tale etica religiosa (modo di intendere il lavoro) sia favorito lo sviluppo del
capitalismo?

Occorre innanzitutto comprendere lo spirito del capitalismo ed i suoi nessi con i consigli pastorali alle
anime dei pastori protestanti. Vediamo alcuni brani in cui Weber descrive il modo di lavorare
dell’imprenditore tradizionale e di quello protestante. Per quello tradizionale, Weber prende come
esempio l’ambito del mercato del tessile.
ETICA PROTESTANTE E RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, LA VITA DEL MERCANTE TRADIZIONALE
“Fino alla metà circa del secolo scorso, (metà del 1700 perché siamo nel 1800) la vita di un
mercante- imprenditore, almeno in certi rami dell'industria tessile continentale, era piuttosto comoda, dal
nostro punto di vista odierno. Le cose si svolgevano grosso modo così: i contadini portavano i loro tessuti
(…) nella città dove abitavano i mercanti- imprenditori, e, dopo un esame accurato e spesso ufficiale della
qualità, riscuotevano il prezzo corrente. Clienti dei mercanti- imprenditori, per lo smercio in tutti i paesi più
lontani, erano intermediari che si recavano ugualmente nella loro città (ossia del mercante imprenditore),
per lo più non compravano ancora secondo i campionari, ma secondo le qualità tradizionali e del
magazzino, oppure ordinavano - in questo caso con grande anticipo - , dopo di che l'ordinazione era
eventualmente trasmessa ai contadini. Se mai accadeva che i mercanti imprenditori andassero a visitare i
clienti, lo facevano raramente per lunghi periodi, altrimenti bastava la corrispondenza, e l'invio di
campionari che si sviluppava lentamente.”
(Weber M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo).

Il lavoro del mercante tradizionale era un lavoro in cui lui stava nella sua città, da lui andavano i contadini e
gli allevatori e i produttori dei tessuti, li lasciavano al mercante che teneva i prodotti nel magazzino; sempre
nella stessa città andavano i clienti che guardavano nel magazzino e portavano a casa qualcosa. Non
c’erano nemmeno campionari per mostrare la qualità die tessuti nel magazzino e il mercante stava fermo
nella sua città di residenza.
“II numero delle ore d'ufficio era limitato - forse cinque o sei al giorno, talvolta decisamente meno, di più
nella stagione degli affari, se c'era, il guadagno era discreto, sufficiente per un decoroso tenore di vita, e, nei
buoni periodi, per mettere da parte un piccolo patrimonio; nel complesso, una tolleranza reciproca dei
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concorrenti relativamente alta, sulla base di un grande accordo sui principi degli affari, visita quotidiana e
redditizia al circolo e, inoltre, secondo i casi, un boccale alla sera, riunione, e in genere un comodo ritmo di
vita.”
Quindi capiamo che c’era una tolleranza reciproca sulla base di un grade accordo sui principi degli affari.
“Era una forma di organizzazione «capitalistica»,- perché in fondo il capitalismo usava già perché i mercati
imprenditori usavano il capitale economico per acquistare dai produttori e poi si rifornivano di capitali
economici attraverso la vendita dei tessuti- (non è cambiato molto) in ogni senso, se si considera il carattere
puramente affaristico e commerciale degli imprenditori, o l'intervento indispensabile di capitali che erano
investiti nell'impresa, o infine se si guarda al lato oggettivo del processo economico, o al modo in cui, erano
tenuti i libri. Ma era un'economia 'tradizionalistica', se si considera lo spirito che animava gli imprenditori: il
modo tradizionale di vivere, il livello tradizionale del profitto, la misura tradizionale di lavoro, il modo
tradizionale di condurre gli affari, il carattere tradizionale dei rapporti con i lavoratori e con una clientela a
sua volta sostanzialmente tradizionale, nonché il modo tradizionale di conquistare clienti e di smerciare i
prodotti […]. Ora, a un certo momento questo agio veniva improvvisamente turbato, e spesso senza che
avesse avuto luogo nessun cambiamento di principio della forma di organizzazione (per esempio passaggio
all'azienda chiusa, al telaio a macchina, e simili)” Lo stile di lavoro, la condotta di vita quotidiana veniva
quindi a un certo punto turbata ma questo turbamento non era legato alla modificazione delle basi
materiali, delle forze di produzione (per Marx), ma da cosa? Egli dice: “Ciò che accadeva era invece soltanto
questo, per lo più: un giovane membro di una famiglia di mercanti- imprenditori della città si recava in
campagna, sceglieva accuratamente i tessitori di cui abbisognava, ne aumentava la dipendenza e il
controllo, e trasformava così questi contadini in operai, ma d'altro lato si incaricava personalmente dello
smercio, con un approccio quanto più diretto possibile agli acquirenti finali - ai dettaglianti - , si procurava
personalmente nuovi clienti, che andava a visitare regolarmente ogni anno, ma, soprattutto, sapeva
adattare la qualità dei prodotti esclusivamente ai loro bisogni e desideri, renderli loro gradevoli,
“appetibili”, e al tempo stesso cominciava ad applicare il principio basso prezzo, grande smercio.” Qui siamo
alla fine dell’Ottocento e sembra di sentire i contenuti del marketing contemporaneo, cioè l’idea della
fidelizzazione del cliente, la qualità totale, la soddisfazione ecc. Quindi ad un certo punto gli imprenditori
capitalisti di fede protestante cambiano il loro modo di agire e di interpretare il lavoro, cercano di
soddisfare i clienti… Così facendo riuscivano ad applicare un principio adottato ancora oggi nel mercato dei
trasporti aerei, come la Ryanair. “Ben presto si ripeteva quella che è sempre e ovunque la conseguenza di un
processo di ‘razionalizzazione' siffatto: chi non saliva, doveva scendere. Cioè chi non saliva sul carro nel
nuovo modo di intendere il commercio dei tessuti doveva scendere, ossia falliva; il mercante tradizionale
doveva adattarsi al nuovo modo di commerciare i tessuti. L'idillio crollava, s'infrangeva sotto l'aspra lotta
concorrenziale incipiente, patrimoni cospicui erano guadagnati e non messi a frutto, anzi investiti
ripetutamente negli affari, il vecchio modo di vivere placido e comodo lasciava il posto a una dura sobrietà:
e in quelli che tenevano il passo e salivano, perché non volevano consumare, ma acquisire (i nuovi
imprenditori, ndr), e in quelli che restavano fedeli al passato, poiché dovevano limitarsi (i vecchi mercanti
ndr). Quindi i nuovi imprenditori non spendevano ed erano detti al lavoro per migliorare la loro situazione e
ampliare le loro aziende. Gli imprenditori tradizionali invece dovevano adottare uno stile di vita sobrio
perché non riuscivano più a guadagnare le risorse come precedentemente.
E - ciò che qui soprattutto importa - in questi casi di regola non fu un afflusso di nuovo denaro, a provocare
tale rivoluzione […] la, provocò il nuovo spirito, appunto lo ‘spirito del capitalismo moderno' che aveva fatto
il proprio ingresso. Il problema delle forze motrici dell'espansione del capitalismo moderno non è in primo
luogo un problema della provenienza delle riserve pecuniarie …”
Non è cioè un problema delle basi materiali, la rivoluzione è scaturita da un nuovo modo di intendere la
professione, da un nuovo senso che ha la sua matrice nella concezione della salvezza dell’anima, cioè
27
qualcosa di simbolico e di non strutturare. Si capisce quindi la differenza, nell’ambito della teoria del
riflesso, tra Marx e Weber e di come quest’ultimo proceda analizzando il senso dell’agire individuale e da
questo faccia scaturire la modificazione della società. Ciò non vuol dire che per Weber le modificazioni della
struttura sociale siano sempre una conseguenza, un modo diverso di intendere e il proprio gire da parte
delle persone, ma accade anche altro; C’è una modificazione delle strutture che non dipende da esso, ma
ad esempio da modificazioni di altro tipo, come quelle delle basi materiali. Prendiamo però la teoria di
Weber come esempio del tipo di rapporto che può esserci tra struttura sociale e cultura. La cultura può
modificare la struttura sociale ed egli ne dà un esempio plausibile in questa sua descrizione del
cambiamento dell’agire da parte degli imprenditori per via della loro fede protestante. "Il Puritano volle
essere un professionista, noi dobbiamo esserlo. –ossia il puritano ha scelto liberamente di cambiare il suo
stile d’azione e di agire in un certo modo e di dedicarsi al lavoro. Noi invece dobbiamo esserlo. Poiché in
quanto l'ascesi fu portata dalle celle dei monaci nella vita professionale e cominciò a dominare la moralità
laica, essa cooperò per la sua parte alla costruzione di quel potente ordinamento economico moderno,
legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica, che oggi determina con strapotente
costrizione, e forse continuerà a determinare (…) lo stile della vita di ogni individuo, che nasce in questo
ingranaggio, e non soltanto di chi prende parte all'attività puramente economica. –Cioè egli dice che
qualcuno ha cambiato il modo di agire, ha innescato un processo di trasformazione sociale su base
culturale. Quella struttura sociale si è imposta a tutti, ne è nata una visione razionalizzata della produzione
e degli scambi economici, c’è stata una burocratizzazione della vita che caratterizza la società moderna e
contemporanea. Oggi giorno la struttura che si è voluta creare limita la libertà e l’autonomia di tutti i
soggetti della civiltà, non solo gli imprenditori del tessile- Solo come un mantello sottile, che ognuno
potrebbe buttar via (…) la preoccupazione per i fini esteriori doveva avvolgere le spalle degli 'eletti'. Ma il
destino fece del mantello una gabbia d'acciaio. Mentre l'ascesi imprendeva a trasformare il mondo e ad
operare nel mondo, I beni esteriori di questo mondo acquistarono una forza sempre più grande nella storia.
Oggi lo spirito dell'ascesi é sparito, chissà se per sempre, da questa gabbia. Il capitalismo vittorioso in ogni
caso, da che posa su di un fondamento meccanico, non ha più bisogno del suo aiuto." Quest’ultima frase (da
“solo…” ) è una frase molto famosa della sociologia. Quello stile di vita è stato quindi scelto liberamente, un
po’ come quando uno decide di indossare un momento sottile e poi di toglierlo perché non ne ha più
bisogno. Ma il destino fece del mantello una gabbia d’acciaio, cioè oggi chi vive in una società
razionalizzata, burocratizzata e industrializzata deve adattarsi al sistema, non ha tanta scelta; il sistema è
una gabbia d’acciaio. All’inizio la religione e l’idea di avvicinarsi a Dio attraverso la dedizione e il lavoro
stava iniziando a trasformare il mondo e ad operare in esso, oggi lo spirito dell’ascesi è sparito (senso
dell’agire e motivazione religiosa spirituale), ma il capitalismo vittorioso non ha più bisogno di una
motivazione di natura religiosa per procedere, perché si è consolidato come sistema economico, produttivo
e commerciale e procede sulle proprie gambe costringendo gli individui ad agire e operare in un certo
modo. Così Weber descrive il processo di burocratizzazione e razionalizzazione della società moderna.

«Sono gli interessi (materiali e ideali), e non le idee, a dominare immediatamente l’agire dell’uomo, ma «le
concezioni del mondo» create dalle «idee», hanno spesso determinato – come chi azione uno scambio
ferroviario – i binari lungo i quali la dinamica degli interessi ha mosso tale attività» (1920 Sociologia delle
religioni,352).
Quindi, la Griswold dice che la sociologia di Weber intende l’attore sociale come uno SCAMBISTA
CULTURALE, ossia colui che azionava gli scambi nelle linee ferroviarie. Gli imprenditori protestanti sono
stati degli scambisti culturali che, ad un certo punto, hanno deviato gli scambi della produzione e del
commercio; hanno fatto deviare gli scambi e il treno della società si è indirizzato su nuovi binari
caratterizzati da una razionalizzazione e da una burocratizzazione delle relazioni economico-produttive così
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come delle relazioni sociali. Il rapporto quindi tra cultura e società per Weber è biunivoco, cioè da un lato
può accadere che sia il soggetto che cambiando le proprie idee modifica il percorso della storia, tuttavia la
struttura della società esercita un condizionamento sugli individui e questi vincoli impongono di tenere certi
comportamenti fino a che non arrivino degli altri scambisti culturali che saranno in grado di produrre
un’altra deviazione del treno sociale. Significa quindi che ci può essere un’influenza della cultura sulla
struttura della società e viceversa in altri casi ci può essere un’influenza della struttura sociale sulla cultura.
Ad esempio, un certo punto quando si sono affermati gli imprenditori protestanti c’è stata un’influenza
della cultura sulla struttura sociale, perché il mondo sociale è stato cambiato e questo si è consolidato ed è
diventata la nuova struttura della società che influenza la cultura ha razionalizzato l’agire degli individui, lo
stile delle relazioni sociali ecc. Quindi, non è come per Marx che c’era un determinismo unidirezionale (le
basi materiali sono il punto di partenza); Marx dice di lasciare perdere la cultura, la religione, l’arte, gli
aspetti simbolici, mente Weber dice che c’è differenza tra scienze della natura e scienze dello spirito, ossia
scienze della cultura, la cultura può influenzare la cultura e le basi materiali, se noi guardiamo alla struttura
solo, secondo Weber, non capiamo i fenomeni. Weber quindi, per riassumere quest’ultima parte, immagina
il mondo sociale come un treno che procede su dei binari che sono la struttura della società, cioè le basi
materiali di Marx. Allora Weber la pensa come Marx, che per capire la società bisogna guardare le basi
materiali, i binari? No, Weber dice che i binari hanno anche degli scambi e c’è qualcuno che riesce ad
azionare quegli scambi. Lo scambista culturale sarebbe l’imprenditore protestante che ad un certo punto
cambia il suo modo di lavorare e quindi devia gli scambi, modifica lo stile di produzione e di commercio, va
a trovare i produttori e i clienti, si muove, cerca di fidelizzarli… Così facendo ha deviato il corso del mondo
sociale, cambiando e sue idee e il pensiero, avendo una cultura del lavoro diversa. È stata deviata su altri
binari che sono diventati le basi materiali della società industriale e capitalista, un modo di produrre e
commerciale più razionale e burocratizzato. Weber, infatti, in un altro passo spererebbe in un nuovo
Martin Lutero che sia in grado di dare un senso diverso alla realtà e che cambi i comportamenti degli
individui e i binari su cui corre il mondo sociale.
Tutto ciò di cui stiamo parlando, citazioni comprese, siamo alla fine dell’Ottocento, ma l’analisi che Weber
fa è l’analisi del comportamento degli individui agli inizi, nella metà del Settecento, mentre la riforma
protestante è del Cinquecento; quindi, questa modalità di intendere la professione si è affermata piano
piano.
Quindi, il punto di partenza è una nuova interpretazione del cristianesimo, quale di martin Lutero di altri
leader del protestantesimo, in particolare il calvinismo. Weber dice che il processo di industrializzazione e
di affermazione della società protagonista è avvenuto dove c’erano soprattutto dei leader protestanti: il
calvinismo in svizzera, il luteranesimo in Germania nel Nord Europa, così come nell’Inghilterra dove c0’era
un’altra forma di protestantesimo che secondo Weber si è avviata dopo il processo di industrializzazione.
Quindi possiamo dire che secondo Weber le basi della società odierna capitalistica sono state fondate dalla
riforma protestante che è quindi la matrice. Il senso che lo scambista culturale attribuiva al suo agire è
sparito, non ve ne è più bisogno.

TEORIA DEL RIFLESSO IN WEBER


Weber introduce una teoria del riflesso che non cancella la freccia che va dal mondo
sociale all’oggetto culturale, ma sottolinea fortemente la freccia che dagli oggetti
culturali va al mondo sociale.

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CULTURA E SOCIETA’ per Weber
-Superamento del determinismo materialista, ossia non sono solo le basi materiali a determinare la cultura
-La cultura concorre a dare forma alla struttura sociale
-Classi – ceti sociali, ossia la società non va solo osservata per classi come faceva Marx, ma anche per ceti
sociali. Il ceto sociale è un modo di analizzare la stratificazione degli individui all’interno della società sulla
base, non solo del patrimonio, ma anche della cultura e delle loro idee. Il concetto di ceto sociale serve a
distribuire le persone in una sorta di gerarchia di prestigio nella società e si basa sia sul capitale economico
che quello culturale. Per Weber inoltre la società moderna è caratterizzata da un
-Processo di razionalizzazione che
 non è un principio generale, universale, come voleva l’illuminismo, il quale diceva che la differenza
è il fatto che l’uomo è un essere razionale e questo lo distingue da tutti li esseri umani. Secondo Weber non
è tanto così, ma
 è piuttosto il carattere dominante della modernità/ della cultura moderna e del sistema scientifico
e dei sistemi economico-produttivi della cultura moderna, non è un dato universale. Il binario della
razionalizzazione chissà fino a quando procederà, fino a quando un altro leader non sposterà la direzione
presa dalla società. Questo binario intrapreso dalla società moderna è diventato una sorta di percorso
immodificabile he minaccia di soffocare i valori religiosi da cui è partito.
 che ha assunto una rigida istituzionalizzazione (burocratizzazione delle relazioni)
 e, pertanto, minacce di soffocare i valori propri della realizzazione umana
-Rilevanza dell'agire intenzionale dotato di senso, si vede infatti molto chiaramente che la sua sociologia è
comprendente, è attenta al senso che gli individui attribuiscono al loro agire e cerca di comprendere come
questo senso abbia modificato la struttura della società.
-Scarsa attenzione al ruolo dei movimenti sociali, questa può essere una critica rivolta a Weber. Questo
invece è molto evidente nel Marxismo in cui sono le persone in relazione tra loro che determinano i
cambiamenti sociali. Per Weber ciascun imprenditore agiva per se stesso, poi c’è l’effetto cumulato, ma non
perché avessero particolari relazioni tra loro ma perché ciascuno lavorava il senso nello stesso modo, ma
nella sociologia di Weber c’è un approccio abbastanza individualista.

DALLA CULTURA COMERIFLESSIONE SU ALLA… CULTURA COME CREAZIONE SOCIALE, cioè da individui che
riflettono su se stessi come singoli attori alla cultura come creazione sociale, ossia creazione che emerge
dalle relazioni con gli individui. Analizziamo i maestri del pensiero sociologico, tra cui Emile Durkheim che
nasce nel 1858, sei anni prima di Weber, e muore nel 1917, ossia tre anni prima di Weber che muore nel
1920.

OBIETTIVI DELL’EXCURSUS DURKHEIMINAO


-Analisi del rapporto tra cultura e società
-Introduzione alla modernità (scoprire quali sono le caratteristiche essenziali e distintive della cultura
moderna). Il pensiero di Durk. È utile per capire proprio questo aspetto.
-La creazione sociale della cultura, cioè ci dedicheremo alla cultura come relazione tra creatori e ricevitori
che possono essere anche la stessa persona, cioè quando una cultura viene creata in gruppi sociali gli attori
sono al tempo stesso creatori e ricevitori.

CREAZIONE DELLA CULTURA


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Osserviamo qui la differenza tra W. E Durk…
Stando alle analisi di Max Weber la creazione della cultura potrebbe essere considerata come il risultato
dell’azione individuale. Un singolo individuo dalle particolari doti e caratteristiche biografiche (un genio)
può essere creatore di cultura (Martin Lutero, Bessie Smith-esempio della Griswold che fa riferimento a
una cantautrice americana-). Ma quest’ipotesi vale per oggetti culturali come l’arte o come le grandi
rivoluzioni scientifiche. La cultura nel senso più ampio, come modello di significato storicamente
trasmesso non è facile pensarla come proveniente da qualche posto o da uno specifico soggetto, sembra
piuttosto esserci stata da sempre.

EMILE DURKHEIM (ÉPINAL-Alsazia-, 1858 - PARIGI, 1917)

 1879 Entra per le sue particolari doti all’École Normale Supérieure dove segue le lezioni di Fustel
de Coulanges
 1882 Inizia ad insegnare filosofia a soli 24 anni
 1886 Trascorre un anno in Germania a studiare scienze sociali con Wilhelm Wundt
 1887 E’ nominato professore di pedagogia e scienze sociali all’Università di Bordeaux a soli 27
anni
 1892 Tesi di dottorato: Il contributo di Montesquieu nella fondazione della scienza sociale
 1893 Pubblica La divisione del lavoro sociale che è un altro classico di sociologia insieme a
All’Etica protestante e lo spirito del capitalismo.
 1894-1895 Tiene un corso di sociologia sulla religione
 1895 Pubblica Le regole del metodo sociologico
 1897 Pubblica Il suicidio
 1898 Fonda l’Année sociologique che è ancora attiva
 1912 Pubblica Le forme elementari della vita religiosa.
Vedremo poi i tre testi di Durkheim

BIOGRAFIA
- Nasce in una famiglia modesta ma erudita di ebrei praticanti e, anche a causa delle responsabilità
derivategli dalla morte del padre, rabbino, avvenuta quando lui non era ancora ventenne, sviluppa un
carattere impegnato e severo e la convinzione che al progresso intellettuale gli sforzi e le sofferenze
contribuiscano più delle situazioni piacevoli. L'esperienza di vita di Durkheim è fortemente condizionata
dalla sconfitta della Francia contro la Prussia e gli altri stati tedeschi (guerra dal 1870-71), infatti a seguito di
questa l'Alsazia, terra di origine dei Durkheim, passò alla Germania. A seguito di ciò il padre di Emile, per
non divenire suddito germanico, si trasferì a Parigi. Fu qui che il futuro sociologo iniziò i suoi studi.
- I suoi successi scolastici gli consentono di accedere all'École Normale Supérieure, dove studia filosofia. In
questo periodo conosce Jean Jaurès, futuro leader del Partito Socialista Francese, come lui mosso da
principi etici rivolti ai problemi della società. Nel 1882 consegue l'Agrégation de philosophie e fino al 1887
insegna in scuole secondarie di Sens, Saint Quenti e Troyes. Ottiene quindi un insegnamento all'Università
di Bordeaux dove diventa professore di filosofia sociale e rimane fino al 1902. Successivamente passa alla
Sorbonne, dove diventa ordinario nel 1906 e dove si occupa con grande impegno di iniziative volte al
miglioramento degli insegnamenti.
- Lo scoppio della prima guerra mondiale, la morte del suo unico figlio sul fronte balcanico e le accuse dei
nazionalisti, che gli rinfacciano di essere di estrazione tedesca e di insegnare una disciplina straniera,
abbattono il sociologo e lo gettano in un grave stato emotivo, preludio di un ictus che ne causa la morte nel
1917 a soli 59 anni, quindi abbastanza presto. Anche il suo cognome ha un’ascendenza tedesca, ma lui si
sentiva francese, infatti quando dopo la Guerra di Prussia, l’Alsazia passa alla Francia, suo padre decide di
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spostarsi a Parii e la sua famiglia vi si trasferisce perché non vogliono essere dominati dalla Germania. Marx,
Weber e Durkheim sono considerati i tre classici della sociologia e chi scrive di sociologia fa riferimento a
questi tre grandi autori.

SOCIOLOGIA DURKHEIMINANA
- Durkheim ha una sociologia positivista, cioè lui dice che la sociologia studia i fatti sociali, se vuole
assomigliare alle scienze della natura deve partire dai fatti sociali
- I fatti sociali hanno una realtà di genere proprio (sui generis), ossia diversa dai fatti biologici, psicologici,
della fisica; dunque hanno un carattere oggettivo, La società è qualcosa di diverso dai pensieri degli
individui e da altri aspetti materiali della società. Avendo la società una realtà specifica, è possibile fare la
scienza oggettiva della società, ossia guardarla come un fenomeno sitivo che si può osservare così come si
pone nella realtà. Quindi, i fatti sociali sono oggettivi.
- In quanto oggettivi i fatti sociali sono esterni e coercitivi rispetto all’osservatore, cioè la società non è
nell’individuo e nemmeno nel senso che esso elabora per il suo agire. Inoltre sono appunto vincolanti per
l’individuo in quanto esterni. Per capire meglio facciamo un esempio: io sono in una stanza piena di oggetti
esterni materiali, il muro è esterno a me ed è qualcosa che mi limita, non posso attraversarlo, è quindi
coercitivo. Così è per Durkheim la società, la quale ha un carattere oggettivo esterno che non dipende solo
dalle basi materiali, ma anche dai prodotti culturali. Qui c’è una differenza tra Durkheim e Weber, perché
Durkheim è un positivista e per lui bisogna guardare ciò che è esterno per studiare la società inoltre c’è una
differenza anche tra Durkheim e Marx, perché dice che la realtà oggettiva della società non è data solo dlale
basi materiali, ma anche dalla cosicenza collettiva.
- Il carattere oggettivo della società non è dato solo dalle sue basi materiali, ma anche dai prodotti
culturali (coscienza collettiva)
- La spiegazione dei fenomeni sociali, secondo Durkheim, e da ricercarsi in fatti sociali antecedenti a ciò
che vogliamo spiegare che lo hanno causato e nella/e funzione/i che svolge.

Durkheim introduce nella sociologia il concetto di coscienza collettiva che è diventato un patrimonio
concettuale della sociologia. La coscienza collettiva è “l'insieme delle credenze e dei sentimenti comuni
alla media/ alla maggior parte dei membri di una società.” Questo insieme ha una vita propria che non
esiste se non attraverso i sentimenti e le credenze presenti nelle coscienze individuali. (Durkheim, La
divisione del lavoro sociale, 1893, p. 101). La coscienza collettiva può essere vista come la cultura e la
cultura è esterna agli individui, anche se non può esistere che attraverso i sentimenti e le credenze presenti
nelle coscienze individuali. Sono le coscienze individuali che riproducono nel tempo la coscienza collettiva,
ma essa è esterna agli individui, si impone ad essi e per certi aspetti è anche coercitiva. La coscienza
collettiva è un po’ come il senso comune.
“L’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri della stessa società forma un
sistema determinato che ha una vita propria; possiamo chiamarlo coscienza collettiva o comune. Senza
dubbio, essa non ha per substrato un organo unico; essa è, per definizione, diffusa in tutta l’estensione della
società, ma non per questo manca dei caratteri specifici che ne fanno una realtà distinta. Infatti essa è
indipendente dalle condizioni particolari nelle quali gli individui si trovano; questi passano, e quella resta. Ed
è la medesima a Nord e a Sud, nelle grandi e nelle piccole città, nelle diverse professioni; così pure essa non
muta ad ogni generazione, ma al contrario vincola le une alle altre le generazioni successive. E’ dunque
altra cosa dalle coscienze particolari, per quanto non si realizzi che negli individui; è il tipo psichico della
società, dotato di proprietà, di condizioni di esistenza e di un modo di sviluppo che gli sono propri, così come
lo sono i tipi individuali, benché in maniera diversa.” (La divisione del lavoro sociale, p.101)

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Durkeim dice che la coscienza collettiva è diffusa nelle menti degli individui ed è vincolante, passa da una
generazione all’altra pur essendo presente solo nelle menti degli individui. È dunque altra cosa dalle
coscienze particolari per quanto non si realizzi che negli individui.

LA DIVISIONE DLE LAVORO SOCIALE: IL PROBLEMA


“La questione che è all’origine stessa di questo lavoro concerne i rapporti della personalità individuale e
della solidarietà sociale. Come avviene che, pur diventando più autonomo, l’individuo dipenda più
strettamente dalla società? Come può allo stesso tempo individualizzarsi sempre di più ed essere sempre più
vincolato da legami di solidarietà? E’ infatti incontestabile che questi due movimenti, per quanto
contraddittori, seguono due direzioni parallele. Tale è il problema che ci siamo posti. Ci è sembrato che
questa apparente antinomia venisse risolta considerando la trasformazione della solidarietà sociale,
dipendente dallo sviluppo sempre più considerevole della divisione del lavoro. Ecco come siamo stati indotti
ad assumere questa come oggetto del nostro studio.” (La divisione del lavoro sociale, p.8). Riconoscere
l’individuo e valorizzarlo significa dare valore alla sua autonomia. L’individuo ha valore in sé, cioè è un
soggetto autonomo, la sua dignità non dipende dalle sue appartenenze. Se gli individui sono esseri
autonomi come fanno ad agire insieme in modo coordinato? Secondo lui è incontestabile che autonomia e
ordine sociale seguito due direzioni parallele. Autonomia e legame sociale possono essere collegati alle due
componenti della relazione sociale, o meglio Donati quando descrive la relazione sociale composta dal
refero etc in fondo si sente un po’ l’eco di Durkheim, solo che quest’ultimo lo applica alla società intera,
mentre Donati dice che è una caratteristica della relazione ed è per questo che questa struttura
ambivalente di autonomia e di legame è presente nella società. Secondo Durkeim la divisione del lavoro è
ciò che è in grado di spiegare al tempo stesso l’aumento di autonomia degli individui e il legame che c’è tra
di essi se si osserva il fenomeno dal punto di vista della divisione del lavoro, cioè della specializzazione.
Questo testo si impone il problema dell’ordine sociale, cioè si chiede come è possibile e soprattutto come è
possibile in una società come quella moderna che ha scelto ed ha fatto proprio il valore dell’individuo. La
modernità è quell’epoca/ configurazione storico-culturale che si è affermata in occidente a partire dal
Cinquecento e si caratterizza per il fatto di aver scelto il valore dell’individuo come valore di fondo attorno
al quale costruire le strutture sociali. La modernità anziché far dipendere il valore dell’individuo dalle sua
appartenne, dice che l’individuo ha un valore in sé che non dipende dall’appartenenza a uno stato,
territorio, censo sociale, religione, ma che il valore prescinde da tutte queste caratteristiche accessorie che
l’individuo ha. Ogni individuo è uno ed irripetibile e la società deve rispettare e valorizzare questa unicità.
Secondo Durkheim questa è la caratteristica della società moderna arrivata fino all’Ottocento, anno i cui lui
scrive la Divisione del Lavoro sociale. Egli quindi dice: se la società dà valore all’individuo in quanto tale e le
differenze tra gli individui valorizzando ciascuno, come fa la società a stare insieme? Com’è possibile l’odine
sociale? Egli affronta il problema dell’ordine sociale che è il problema istitutivo della sociologia. Ci sono
alcune discipline, come la sociologia e la filosofia, che hanno una domanda di fondo che le istituisce come
discipline, cioè è una domanda attorno a cui la disciplina continua a lavorare e se trovasse una risposta
definitiva a quella domanda, quella disciplina non avrebbe più senso di esistere. Per esempio la domanda di
fondo che ispira la filosofia è il problema della verità, ossia come è possibile raggiungerla. Pr la sociologia
invece la domanda istitutiva è come è possibile raggiungere l’ordine sociale? Weber applica questa
domanda alla società moderna, la quale è in una situazione forse più critica dalle precedenti, perché si
ispira al valore in sé dell’individuo, valorizzandone le differenze. Essendo la coscienza collettiva comune a
più individui, sopravvive ad essi, è qualcosa che rimane quando il singolo individuo non c’è più ed è comune
a individui diversi, cioè c’è una coscienza collettiva italiana (modo di pensare) che è comune come al Nord e
al Sud Italia. Non dipende dagli individui, perché anche se essi muoiono essa rimane e si impone ad essi.

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Durkheim in questo testo parte sostenendo una tesi: la divisione del lavoro sociale non si è sviluppata
perché è il modo più efficiente di produrre beni e servizi. Questa è l’idea di Adam Smith, padre della scienza
economica moderna, ma la funzione della divisione del lavoro sociale è una funzione politico-culturale.
Adam Smith, nel testo sulla ricchezza delle nazioni, dice di prendere le produzioni che sono necessarie per
produrre uno spillo; queste sono 8, se noi le affidiamo a 8 individui diversi e chiediamo loro di compiere in
modo sequenziale queste operazioni si arriva a produrre un certo quantitativo di spilli, mentre se noi invece
affidiamo a questi 8 individui una sola delle produzioni e chiediamo loro di produrli in parallelo 8divisione
del lavoro) alla fine si produce un numero maggiore di spilli. Per Durkheim questa affermazione è semplice
e si chiede come mai si è aspettato tra Settecento e Ottocento per sviluppare la divisione del lavoro e
introdurre il lavoro a catena? Egli si risponde che solo in quell’epoca c’erano le condizioni culturali per
ospitare quel modo di produrre beni e servizi nella società. La divisione del lavoro infatti favorita le
differenze tra gli individui. La cultura moderna valorizza l’autonomia dell’individuo, la sua specificità e la
sua differenza e solo ad allora si pensa di affidare alle persone compiti differenti. La divisione del lavoro
consente di produrre un lavoro più efficiente, ma si è affermata nella società perché svolge una funzione
anche culturale in quanto forma di produzione più omogenea con la cultura moderna che valorizza le
differenze tra gli individui.
“A prima vista, nulla sembra più facile che determinare quale sia la funzione della divisione del lavoro. I suoi
effetti non sono forse conosciuti da tutti? In quanto accresce sia la forza produttiva che l’abilità del
lavoratore, essa è la condizione necessaria dello sviluppo intellettuale e materiale delle società; è la fonte
della civiltà.” (La divisione del lavoro sociale, pp.73-74) .
Tuttavia, “se la divisione del lavoro non ha altro compito che questo, non soltanto essa non ha alcun
carattere morale, ma è anche impossibile scorgere quale sia la sua ragione d’essere.” (La divisione del
lavoro sociale, p.77)

LEZIONE 7
Dopo aver presentato il concetto di cultura, le ambivalenze ed essere arrivati al punto di definire la cultura
in modo da sintetizzare vari aspetti di ambivalenza e contraddittorietà nel modo di intendere la cultura in
occidente e aver individuato il diamante culturale per analizzare la cultura, abbiamo aperto una lunga
parentesi per analizzare i tre classici della sociologia e con loro osserviamo in che rapporto stanno cultura e
società e gli obiettivi di fornire un’interpretazione delle caratteristiche distintive della cultura moderna per
differenza rispetto alla cultura premoderna e poi parlare di quella postmoderna. Inoltre con Durkheim
(Durchein) l’altro obiettivo è quello di analizzare la costruzione sociale della cultura come processo di
costruzione collettiva. La Divisione del lavoro di Durkeim, testo risultato dalla sua tesi di dottorato, egli si
pone il problema dell’ordine sociale che è la domanda istitutiva della sociologia. Egli si propone questo
obiettivo, ossia spiegare l’ordine sociale, riferendosi al fatto che la società moderna ha posto l’accento
sull’obiettivo di valorizzare la dignità dell’individuo e il suo valore. LA dignità dell’individuo è qualcosa di
intrinseco all’individuo e valorizzarla comporta anche valorizzare e legittimale la sua autonomia, cioè ha un
valore in sé come soggetto autonomo e sottolineare questo porta a porre il problema dell’ordine sociale. Se
una società valorizza le differenze tra gli individui come fanno essi ad interagire tra loro in modo ordinato?
Sottolineare la specializzazione del lavoro valorizza le differenze anche nel processo produttivo, ecco perché
si è diffusa in un certo momento quella realtà produttiva perché è coerente con un modo di vedere la
realtà. Durkheim dice che gli è smerato che l’antinomia tra maggior individualizzazione e conservazione di
una possibilità dell’ordine sociale si risolva individuando una nuova forma di solidarietà sociale (intesa non
in senso etico e morale, ma tecnico, perché Durkheim è ateo e usa questi termini in senso di termini
tecnici), un nuovo cemento capace di tenere insieme parte diverse nella società.

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“Siamo così indotti a considerare la divisione del lavoro sotto un nuovo aspetto. In questo caso, infatti, i
servizi economici che essa può rendere sono insignificanti rispetto all’effetto morale che produce, e la sua
vera funzione è di creare tra due o più persone un sentimento di solidarietà. Quale che sia la maniera in cui
questo risultato viene ottenuto, è la divisione del lavoro che suscita le società di amici e che imprime loro il
sigillo.” (La divisione del lavoro sociale, p.79)

Per Durkheim fondamentalmente ciò che è accaduto e che dal passaggio alla società premoderna a quella
moderna, che valorizza le differenze tra gli individui, è che il collante della società è cambiato. Secondo
Durkheim nella storia si sono succedute due tipi di solidarietà; nelle società premoderne vigeva un collante
meccanico, mentre in quella moderna c’era un collante/ una solidarietà organica. Quali sono le
caratteristiche della società meccanica nelle società moderne…. La solidarietà meccanica tiene assieme le
parti perché sono uguali tra loro e quindi trovano facilmente un accordo le une con le altre per via della
loro identità. Cose uguali vanno automaticamente d’accordo le une con le altre ed è ciò che accade nelle
società caratterizzate da una differenziazione di tipo segmentario. Che cosa significa questo e che cosa si
intende per DIFFERENZIAZIONE SEGMENTARIA? Premettiamo che ogni società è un tutto di dimensioni
molto consistenti che per trovare una sua organizzazione interna ha bisogno di differenziarsi al proprio
interno e distinguere delle parti. Nelle società arcaiche l’organizzazione sociale era caratterizzata da una
differenziazione per segmenti. Cioè prendiamo come esempio le società tribali le quali si differenziavano in
clan, segmenti più piccoli, ossia gruppi familiari parentali i quali si differenziavano in famiglie. Secondo
Durkheim c’era una differenza per segmenti, nel senso che la struttura delle parti più piccole della società
era identica alla struttura della società intera e ciò che si differenziava era solo la dimensione di una parte
della società, cioè c’era solo una differenza di scala, ma non di struttura. Ossia, in termini di struttura ad
esempio la tribù aveva un capotribù, i clan il capoclan e la famiglia il capofamiglia, ma in tutti e tre i casi
questo leader svolgeva le medesime funzioni: rappresentava il gruppo, esercitava all’interno del gruppo
una funzione di potere, distribuiva i compiti e le risorse all’interno del gruppo, svolgeva anche una funzione
di tipo religioso. Ciò che cambiava tra clan, famiglia e gruppo era solo la dimensione, ma all’interno di ogni
gruppo c’erano gli stessi ruoli. (siamo nel periodo premoderno, cioè prima della modernità). Egli crede che
sia facile che gruppi sociali simili trovino una capacità di interagire in modo ordinato gli uni con gli altri e la
solidarietà che tiene assieme questi gruppi è meccanica/ automatica.

LA SOLIDARIETA’ MECCANICA
Le società nelle quali i principali legami di coesione si fondano sulla “solidarietà meccanica” presentano una
struttura segmentata o aggregativa: esse sono cioè formate da una serie di gruppi politico-familiari (clan)
che sono simili gli uni agli altri per l’organizzazione interna. La tribù nel suo insieme costituisce una
“società” perché è una unità culturale; infatti i membri dei diversi clan aderiscono al medesimo complesso
di credenze e sentimenti. Per questo ogni gruppo che compone tale società si può distaccare senza causare
molto danno agli altri gruppi, come avviene in maniera abbastanza simile agli organismi biologici di
struttura semplice che si possono scindere in numerosi esseri egualmente unitari e autosufficienti.
Nelle società primitive di tipo segmentario la proprietà è comune, un fenomeno questo che è solo un
aspetto specifico del basso livello del processo di individualizzazione generale. (Tratto da Giddens A.-
Sociologo contemporaneo- Capitalismo e teoria sociale, Il Saggiatore, Milano, 1998 pp. 137-138). Giddens
dice che vi è una differenziazione segmentaria dlela società in cui le parti si aggregano facilmente le une alle
altre e accade ad esse ciò che accade agli organismi smeplici che si riproducono per scisisone (cellula che si
divide formando due cellule autonome identiche). Se una famiglia viene via dalal societànon si produce un
trauma per la società in generale. Questo è il tipo di differenziazione delle xoiatà arcaiche e il tipo di legame
di queste società che hanno sottolineato l’uguaglianza tra le loro parti interne.

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Cosa succede invece nelle società che sottolineano al loro intenro la differenza tra le parti? Questa
differenzizione caratterizza le società moderne e prend eil nome di differenziazione funzionale.
(collegamneto con il funzionalismo che interpreta la società come un sistea che analogalmente agli
organismi biologici presenta una serie di bisognie ritaglia l proprio interno dei sottoinsiemeii che hanno il
compito di dare risposta a uno specifico bisogno; così si crea all’interno della società il sottosistema
educativo ad esempio che fornisce le informaizoni necessarie a integrarsi nella società oppure il
sottosistema sanitario che ha il compito di tutelare la salute degli organismi degli individui che fanno parte
della scoietà, oppure il sistema economico-produttivo che produce e distribuisce i beni e i servizi necessari.
I sottosistemi sono specializzati, si ha una soecializzaizone funzionale in essi).COLLANTE Durkheim dice che
il collante, la solidarietà che tene assime i sottostistemi della società che valorizzano la differenza è simile al
legame che tiene assieme gli organi di un organismo biologico, come il corpo umano ad esempio. (ccuore,
intestino, polmoni ecc.). Queste parti del corpo sono diverse le une dalle altre e tuttavia, proprio in
conseguenza della loro diversità e dell’appartennza al sistema nel suo complesso, le varie parti di un
organismo hanno bisogno le une delle altre (il cuore non può fare a meno dei polmoni e viceversa ad
esempio).le parti, anche se diverse con ognuno una propria funzione, hanno un bisogno reciproco che le
tiene assieme e, a differenza degli organismi cellulari smeplici in cui una parte se ne va senza creare
problemi, se una parte se ne va ci sono problemi per tutto il corpo. Ecco quindi spiegata la SOLIDARIETA’
ORGANICA, ossia un bisogno delle varie parti del servizio svolto dalle altre parti. Parti di una struttura che
svolgono funzioni diverse hanno bisogno le une delle altre, ma in Durkheim c’è anche una componente
simbolica di questo discorso: dove la solidarietà meccanica è la base principale della coesione sociale, la
coscienza collettiva “ricopre esattamente” la coscienza individuale, e quindi presuppone la somiglianza
degli individui. Nelle tribù la coscienza collettiva/ cultura ricopre completamente la coscienza individuale
che è fusa con quella collettiva. L’individuo ha fatto propri ii contenuti della cultura al gruppo a cui
appartiene e la sua stessa identità è un tutt’uno con quella collettiva. La solidarietà organica, invece,
presuppone non la somiglianza ma la differenza tra gli individui nelle credenze e nelle azioni, in termini di
idee quindi sono uguali tra loro, ma essendo gli individui simili è facile che si integrino gli uni con gli altri,
questo è ciò che accade nella solidarietà meccanica. La società moderna ha introdotto l’autonomia
dell’individuo e ha sottolineato la differenza tra gli individui, si ha quindi una differenza nelle credenze e
nelle azioni tra gli individui membri di una stessa società. Lo sviluppo della solidarietà organica e
l’espansione della divisione del lavoro sono quindi accompagnate dalla crescita dell’individualismo.
Maggiore è la valorizzazione dell’individuo, maggiore è la presenza di solidarietà organica e divisione del
lavoro.
Il progresso della solidarietà organica dipende necessariamente dalla diminuzione di importanza della
coscienza collettiva. Ma le credenze e i sentimenti riconosciuti collettivamente non scompaiono del tutto
nelle società complesse; né d’altra parte accade che la formazione delle relazioni contrattuali divenga
amorale e sia semplicemente il risultato della ricerca individuale del proprio interesse. Il riferimento alle
relazioni contrattuali è un modo per riferirsi a come sono coordinate le relazioni nella società moderna
dove i rapporti sono regolati da contratti, cioè da accordi tra singoli individui o organizzazioni in cui le parti
si impegnano vicendevolmente; l’ordine di interazione tra le parti è stabilito sulla base di un contratto che si
sigla se le parti trovano rispondente ai propri interessi individui cooperare con i partner del contratto,
quindi è un altro modo per descrivere gli aspetti della società moderna caratterizzata sulle differenze
individuali rispetto all’uniformità tra coscienza individuale e collettiva che cera nelle società premoderne.
Quindi, per sintetizzare, in un primo momento Durkheim ipotizza che l’integrazione sociale delle società
moderne sia affidata ai vincoli funzionali che si generano nelle società caratterizzate dalla divisione del
lavoro. Cioè che sia affidata al moto bisogno tra le parti che è quello degli organi di un organismo
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complesso e nella società potrebbe essere quello dei sottosistemi della società che è un vincolo di tipo
strutturale; è la struttura stessa fatta di parti differenti che pone le singole parti nella condizione di aver
bisogno delle altre parti.
Successivamente attribuisce maggior rilevanza ai prodotti culturali della società: alle norme, ai valori, alla
coscienza collettiva e al rapporto che c’è tra coscienza individuale e collettiva. La modernità valorizza la
coscienza individuale e la sua autonomia che sembra staccarsi, mentre prima erano fuse insieme. Tuttavia,
la necessità di un legame tra queste due coscienze rimane. Ma perché viene intesa come società collettiva
se nella società moderna si fa riferimento alle differenze tra gli individui? Perché Durkheim nell’evoluzione
del suo pensiero pian piano si sposta dalla dimensione strutturale alla dimensione culturale; è il suo
percorso intellettuale, non c’è un motivo nella realtà, ciò che cambia è l’interesse del sociologo e la
prospettiva di osservazione. Egli osserva i fenomeni di tipo culturale, non solo quelli strutturali, anche se
collegati gli uni agli altri. Egli dice che non è tanto l’efficienza con la quale vengono prodotto i beni e i servizi
a seguito della divisione del lavoro che è rilevante, ma è il fatto che quella struttura organizzativa della
produzione sia conforme alla cultura della modernità, perché la modernità ha una cultura incentrata sulla
valorizzazione dell’autonomia dell’individuo. Da qui si vede che Durjheim è sensibile alla dimensione
culturale rispetto a quella strutturale, pur partendo da quest’ultima. Marx inizialmente era incentrata sugli
aspetti strutturali7 le basi materiali, invece Weber è prevalentemente sul senso soggettivo che l’individuo
elabora e indirizza l’agire individuale, Durkheim all’inizio si interessa della struttura delle basi materiali, ma
poi porta il discorso sulla cultura che non è però più il senso soggettivo elaborato nella mente del singolo
attore, come vorrebbe Weber, ma è la coscienza collettiva, ossia l’insieme die simboli, le conoscenze e le
conoscenze comuni alla maggior parte degli individui si una società. Durkheim, come Weber si sposta sugli
aspetti simbolico-culturali, ma non quelli di tipo strettamente individuale, piuttosto questo nuovo concetto
“coscienza collettiva” sarebbe al cultura come sistema simbolico che le società elaborano e sostiene le
società nel loro funzionamento. Quindi, quando parliamo del primo momento si fa riferimento a quando
Durkheim divide la solidarietà meccanica e organica.

Vediamo ora un’altra opera di Durkheim in cui egli si concentra moltissimo sul rapporto tra coscienza
individuale e collettiva. Per compiere l’analisi del rapporto tra coscienza individuale e coscienza collettiva
usiamo il testo il Suicidio, tema critico e anche problematico. Questo testo avviene 4 anni dopo la Divisione
del lavoro sociale.
INTEGRAZIONE SOCIALE
Egli dice che il suicidio è un comportamento molto individuale, anzi il più individuale di tutti i
comportamenti, perché è l’azione messa in atto da un individuo che ha conseguenze quasi esclusivamente
sull’individuo che la mette in atto, quindi è il più individuale di tutti i comportamenti umani. In quanto tale è
quello che ha meno titolo ad essere oggetto di studio della sociologia, piuttosto un tema che dovrebbe
essere studiato dalla sociologia e Durhkheim riconosce questo e lo dice espressamente nel testo, ma al
tempo stesso dice che ci sono aspetti che gli fanno intravedere la possibilità che ci siano alcuni suicidi in cui
vi è un concorso di colpa tra cause individuali e sociali. Perché egli sostiene questo? Perché osservando dati
statistici, nota che società diverse hanno dato luogo a tassi diversi di suicido e che dove ci sono problemi
sociali, anche all’interno di una stessa società (crisi economiche, sviluppo economico…) c’è un
cambiamento anche del tasso di suicidi. Quindi ci sono variabili sociali che influenzano il più individuale dei
comportamenti: il suicidio. Egli lascia alla psicologia il compito di trattare le cause individuali di suicidio date
dalla patologia psicologica e dal disagio ed egli si occupa degli aspetti sociali del suicidio e lo vuole fare
secondo il metodo positivista, cioè a partire dai dati statistici. Egli quindi vuole osservare i fenomeni come
die fatti sociali che avvengono nella realtà, non tanto nella coscienza degli individui come tendeva a
leggere Weber. Quali sono i fatti sociali su cui Durkheim poggia per fare la sua analisi? Sono le differenze
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dei tassi di suicidio in società con tradizioni religiose diverse, osservando che le società a prevalenza
protestante hanno tassi maggiori di suicidio rispetto a quelle cattoliche e queste ultime hanno tassi
superiori rispetto alle comunità dii tradizione ebraica. Inoltre egli prende in esame il dato relativo allo stato
civile e nota che le persone sposate si suicidano meno dei single e meno delle vedove, ma quelle vedove si
suicidano meno che quelle single. MA quali sono le cause sociali che spiegano questo? Iniziamo dalla
variante religiosa… egli osserva che protestanti e cattolici sono due confessioni della medesima religione e
dice che i valori di essi sono gli stessi, ciò che cambia è il modo di confessare la fede e quindi forse è in
questo la causa. Poi c’è anche una comunanza con gli ebrei con i quali hanno in comune buona parte die
testi sacri. Che cosa cambia? Cambia il tipo di rapporto che il fedele ha con la divinità. Nel senso che tra i
protestanti ha meno importanza la mediazione ecclesiale, la lettura del testo sacro è più autonoma
(soprattutto nei secoli scorsi). Ancora diversa è la situazione per quel che riguarda gli ebrei, i quali erano
stati soggetti alla diaspora e vivevano segregati in ghetti, cioè vivevano nello stesso quartiere senza
confondersi con altri cittadini. Questo faceva si che ci fosse un forte legame tra gli ebrei e c’era anche un
controllo da parte della società “ospitante” nei confronti degli accadimenti che avvenivano nel ghetto, di
mood che gli abitanti del ghetto esercitavano un forte controllo sui loro membri perché non screditassero il
ghetto e non assumessero comportamenti meritevoli di critica e di stigmatizzazione da parte della città n
cui il ghetto si era sviluppato. Come si spiega invece il differenziale tra i tre contesti sociali? L’ipotesi di
Durkheim è che dove vi è un forte controllo della comunità religiosa la coscienza individuale è tenuta
maggiormente a freno sicché non può liberarsi facilmente dalle aspettative che la coscienza collettiva
esercita nei suoi confronti. Egli osserva che tutte le società esercitano un controllo sui loro membri e si
aspettano che essi diano un contributo attivo alla vita della società in cui sono ed è per questo che il
suicidio è ritenuto negativo dalla società perché va contro questa aspettativa. Ma, dove c’è più spazio e più
possibilità d’autonomia per le coscienze individuali, allora è più facile che in un momento di difficoltà un
individuo decida di non rispettare i vincoli della società e di sottrarsi al compito di svolgere un ruolo attivo
nella società. Ecco quindi spiegato il differente tasso di suicidi tra protestanti, cattolici ed ebrei.
-In un primo momento Durkheim ipotizza che l’integrazione sociale delle società moderne sia affidata ai
vincoli funzionali che si generano nelle società caratterizzate dalla divisione del lavoro.
-Successivamente attribuisce maggior rilevanza ai prodotti culturali della società: alle norme, ai valori,
alla coscienza collettiva.
Egli dice che se c’è un diverso tipo di rapporto tr coscienza individuale e collettiva e se la coscienza
individuale in alcuni casi è più autonoma rispetto ad altri e se questa è la causa dei suicidi egli chiama
“suicidio egoistico”.

IL SUICIDIO EGOISTICO
“Il suicidio varia in ragione inversa al grado di integrazione/ solidarietà dei gruppi sociali di cui fa parte
l’individuo. Ma la società non può disgregarsi senza che, in ugual misura, l’individuo esca dalla vita sociale,
senza che i suoi fini personali diventino preponderanti su quelli comuni e la sua personalità, in una parola,
tenda a porsi al di sopra di quella collettiva. Più deboli sono i gruppi cui appartiene, meno egli ne dipende, e
sempre più, perciò, fa capo solo a se stesso e riconosce come regole di condotta soltanto quelle che si
basano sui suoi interessi privati. Se, dunque, si conviene di chiamare egoismo questo stato di eccessiva
affermazione dell’io individuale nei confronti dell’io sociale e ai danni di quest’ultimo, potremo definire
egoistico il particolare tipo di suicidio risultante da una smisurata individualizzazione.” Ecco quindi qual è
questa strana causa, è data dal ipo di rapporto tra coscienza individuale e coscienza collettiva. “Ma come
può il suicidio avere una simile origine?
Prima di tutto, si potrebbe osservare che, se la forza collettiva è uno degli ostacoli più atti a contenerlo, essa
non può indebolirsi senza che esso si sviluppi. Quando la società è fortemente integrata, essa tiene gli
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individui in sua dipendenza, li considera al suo servizio e, perciò, non consente loro di disporre di sé a
proprio piacere. Essa si oppone allora a che si sottraggano con la morte ai doveri che hanno verso di lei. Ma
quando essi (singoli individui) rifiutano di accettare come legittima questa subordinazione, come potrebbe
imporre (la società) la sua supremazia? Essa non ha più, a questo punto, l’autorità necessaria a trattenerli
al loro posto e, se vogliono disertano, coscienti della propria debolezza, essa giunge al punto di riconoscere
ad essi il diritto di fare liberamente ciò che non può più impedire.” (Durkheim, Il suicidio) .
Questa prima causa sociale di individuo è particolarmente omogenea alle caratteristiche della società
moderna che valorizza e lascia spazio alla coscienza individuale. Questa causa si sviluppa nelle società
moderne. Sottolineiamo che “suicidio egoistico” non è inteso in senso morale. Se questo è vero allora nelle
società premoderne il suicidio dovrebbe essere di carattere diverso ed ecco quindi che Durheim propone
altri dati per interpretare cause di suicidio diverse. Egli non utilizza dati quantitativi perché non ne dispone
di queste società, ma usa il lavoro degli antropologi culturali che riportano ad esempio il caso degli anziani
eschimesi che, quando capiscono che non sono più in grado di partecipare attivamente alla vita del gruppo
familiare, decidono di lasciarsi morire tra i ghiacci per non essere un impedimento. Durkheim cita anche il
caso delle vedove indiane che si suicidavano sulla pira del marito defunto e venivano bruciate insieme a lui.
Questo suicidio è diverso, qui lo spazio della coscienza individuale è limitato e si ha quasi un’uniformità tra
la coscienza individuale e collettiva; al coscienza individuale sembra avere senso solo come parte di una
coscienza collettiva tanto che la vita della vedova non ha più senso se viene meno il rappresentante
simbolico della famiglia e diventa normale pensare di suicidarsi insieme al marito. Queste cause sociali nella
cultura moderna non hanno più ragione d’essere, ma sono propri delle società premoderne.

IL SUICIDIO ALTRUISTICO
“Mentre questo è dovuto ad un eccesso di individualizzazione, quello ha per causa una individualizzazione
troppo rudimentale. Uno deriva dal fatto che la società, disgregata in parte o anche nel suo insieme, si
lascia sfuggire l’individuo; l’altro perché lo tiene troppo strettamente in sua dipendenza. Avendo chiamato
egoismo lo stato in cui si trova l’io quando vive la sua vita personale e obbedisce solo a se stesso, la parola
altruismo esprime abbastanza bene lo stato opposto in cui l’io non si appartiene ma si confonde con altra
cosa diversa da sé e dove il polo della condotta è situato al di fuori di lui, cioè in uno dei gruppi a cui
appartiene. Chiameremo, perciò, suicidio altruistico quello risultante da un altruismo intenso. “
(Durkheim, Il suicidio)
Nel senso che l’individuo non ha un valore in sé, è poco individualizzato, ha valore solo come appartenente
al gruppo sociale. Il suicidio altruistico non ha valore morale e non è inteso come un sacrificio che un
individuo fa a favore di altri individui, ma è un sacrificio dell’individuo perché è parte integrante di un
gruppo e non avverte un valore individuale se non come parte di un gruppo.
“Ecco perché, nell’interesse comune, il padre è tenuto a non aspettare l’estremo limite della vita per
trasmettere ai suoi successori il prezioso deposito che ha in custodia. Questa descrizione è sufficiente a
precisare da cosa derivino questi suicidi. Ma perché la società possa costringere in tal modo certi suoi
membri a uccidersi, bisogna che la personalità individuale conti ben poco. Tant’è vero che, appena essa
comincia a formarsi, il diritto alla vita è il primo ad esserle riconosciuto; per lo meno, non viene sospeso che
in circostanze del tutto eccezionali come la guerra. Ma quella scarsa individualizzazione non può avere che
una causa. Perché l’individuo abbia così poco posto nella vita collettiva, bisogna che sia quasi totalmente
assorbito dal gruppo e che, di conseguenza, questo sia molto fortemente integrato. Perché le parti abbiano
tanto poca vita propria, occorre che il tutto costituisca una massa compatta e continua. Infatti, abbiamo
dimostrato altrove che questa coesione massiccia e proprio quella delle società in cui si osservano le usanze
suddette. (le società premoderne). Dato che esse comprendono solo un piccolo numero di elementi, ognuno
vive la stessa vita, tutto è comune a tutti, idee, sentimenti, occupazioni. Nello stesso tempo, sempre perché
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il gruppo è piccolo, esso è vicino a tutti e può non perder di vista nessuno; ne consegue che la sorveglianza
collettiva è continua, si estende a tutto e previene più facilmente le divergenze. Mancano perciò
all’individuo i mezzi per crearsi un ambiente speciale al cui riparo possa sviluppare la sua natura e farsi una
fisionomia personale.” Questo tipo di suicidi altruistici è la causa caratteristica delle culture premoderne o
non moderne.

Da un lato quindi c’è il suicidio altruistico, situazione in cui la coscienza


individuale è preponderate rispetto a quella collettiva; la coscienza
individuale ha una proprio autonomia e si hanno più probabilità che
avvengano suicidi egoistici. Questo è tipico delle società moderne. Invece
cambia la prospettiva nel caso del suicidio turistico, perché in questo caso la
rilevanza della società individuale è quasi annullata e c’è il predominio della
coscienza collettiva. Questa causa di suicidio è tipica delle società
premoderne. C’è però, secondo Durkheim, un’eccezione nelle società
moderne, ossia un caso in cui è contemplato un suicidio di tipo altruistico: le
dittature. Bisogna vedere se la cultura moderna però legittimi una forma di
governo dittatoriale… La risposta è no, la forma di governo della modernità è la democrazia in cui non c’è il
prevalere di un unico individuo. La risposta è invece la guerra e l’istituzione militare. Questa è un’eccezione.
Ma perché è contemplato questo? L’organizzazione militare ha una fase di istruzione delle reclute in cui
sono trattate in modo mortificante le reclute, i superiori maltrattano le reclute e fanno fare loro cose
considerate senza senso. (camminare sotto il sole nel piazzale della caserma). Queste esercitazioni
sembrano prive di senso, ma in realtà ce l’hanno: la recluta in quel contesto deve mettere da parte la
propria coscienza individuale perché deve prevalere la ragione del corpo d’armante, perché per fare una
reazione militare efficace non ci si può affidare alle volontà di ogni singola recluta. Perché l’azione militare
sia efficace non deve prevedere particolari deviazioni sulla base del giudizio delle singole reclute, quindi c’è
tutto un siesta di formazione che induce i membri di quel gruppo sociale a mettere da parte la propria
coscienza sociale, al contrario di ciò che accade fuori dalla caserma dove la coscienza individuale ha grade
valore. M perché è possibile nelle società moderne un’organizzazione che mortifica la coscienza
individuale? Perché la funzione dell’esercito è quella di protegger ei confini di una nazione (gruppo sociale
che condivide la stessa cultura) da invasioni di altre nazioni con altre culture, allora l’esercito può porsi
come un’organizzazione di questo tipo per tutelare una nazione moderna che ha eletto come valori di
fondo il valore in sé dell’individuo e della sua autonomia. Questa è l’unica eccezione, perché questa
mortificazione della coscienza individuale è funzionale alla salvaguardia della nazione di uno stato che ha
eletto il valore in sé della coscienza come valore di fondo principale.
Per Durkeim un suicidio è l’azione portata avanti da un individuo sapendo che quell’azione potrebbe
provocare la sua morte, non è solo un individuo in cui l’azione si affligge da solo la morte.

LEZIONE 8
Continuiamo a parlare del suicidio: suicidio egoistico (le ragioni della coscienza individuale prevalgono su
quella collettiva) (tipico della società moderna in cui la cultura-coscienza collettiva-non prevarica quella
individuale, la quale è automa rispetto a quella collettiva). Nelle società premoderne vi era invece una
società diversa caratterizzata da una forte rilevanza ella coerenza collettiva, soprattutto nelle società
arcaiche. Si ha oi il suicidio altruistico, ossia in cui la coscienza individuale ha scarsa rilevanza, mentre ha
grande rilevanza la coscienza collettiva con i suoi contenuti simbolica; l’individuo non è in grado di pesare a
una sua identità staccata dalla coscienza collettiva, ma è un tutt’uno con esso e fa propri i contenuti di essa
senza però separandoli rispetto a quella collettiva. Si vede una dinamica tra moderno e premoderno
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chiarito anche attraverso il fenomeno del suicidio. Su questo tema Durkheim aveva già trattato e aveva
dimostrato la differenza tra queste due società analizzando il fenomeno dell’amministrazione della pena.
Egli si interroga sul diritto pensale e le sue caratteristiche in queste due diverse società. Proviamo a
ragionare… pensiamo all’amministrazione della giustizia nelle società pre-moderne…Chi commentava un
reato aveva compiuto un reato di lesa maestà, ossia era andato contro la dignità del sovrano, ma pensiamo
ad altri esempi… Pensiamo al codice di Hammurabi, uno die primi codici del diritto. Questa condizione della
pensa è repressiva: io compio un’azione uguale o peggiore contraria. Nella pre-modernità il diritto ha un
carattere retroattivo anche in epoca medievale in cui il sovrano rappresenta simbolicamente la società, la
quale si scaglia violentemente contro quell’individuo. (persone bruciate vive anche solo per le loro idee).
L’amministrazione della pena mortificava l’individuo e non teneva conto della sua vita. Mentre Durkheim
osserva che nelle società moderne l’amministrazione della pena è restitutiva, cioè viene restituito alla
vittima ciò che è stato tolto, che siano essi beni materiali con quota di indennizzo, se no altri danni. Le
vittime devono essere risarcite. L’amministrazione della pena ancora oggi deve recuperare il reo, perché
comunque anche se è autore di reati conserva la sua dignità come essere umano. Anche in questo esempio
si capisce come nella società moderna e nelle sue istituzioni ci sia un ruolo rilevante del valore
dell’individuo e della sua autonomia. Quindi, in due ambiti molto diversi (suicidio, amministrazione della
pena) si può vedere più o meno lo stesso fenomeno: una società che è mortificata in epoca pre-moderna e
si appiattisce sulla coscienza collettiva e si confonde con essa, il soggetto non è in grado di pensarsi
separato rispetto alla coscienza collettiva nella pre-modernità e una società che si autonomizza e viene
valorizzata rispetto alla coscienza collettiva. Allora si potrebbe pensare: è abbastanza chiaro quali sono le
due posizioni, ossia ci sono so società in cui la cultura e la società stessa prevale sull’individuo rischiando di
mortificarlo (come accade in campo penale repressivo) e ci sono società in cui la coscienza individuale
riceve una sua attenzione a discapito della coscienza collettiva… Stando così le cose, potremmo dire allora
che ci sono solo due tipi di suicidio (altruistico ed egoistico). Tuttavia il discorso sul suicidio non si chiude
qua, perché c’è un’altra causa di suicidio, che Durkheim chiama suicidio anomico. Quali sono i dati statistici
a cui egli si rifà per spiegare quest’altra forma di suicidio? Quello anomico è un suicidio che aumenta di
frequenza in caso di crisi economiche piuttosto forti e anche in caso di accelerati processi di sviluppo
economico. Come si spiega quest’altra causa di suicidio allora? In occasione di crisi economica cambia la
vita pubblica degli individui: si perde il lavoro e la casa, si hanno situazioni di disagio sociale che potrebbe
indurre gli individui a compiere il suicidio. Ma di fronte a un accelerato sviluppo economico come si spiega
questo aumento di suicidio? (è il caso di certi personaggi dello sport o dello spettacolo che si trovano tra le
mani una ricchezza improvvisa provenendo magari da famiglie di ceto anche molto basso).Questa
situazione si spiega, secondo Durkheim, per il fatto che sia in occasione di improvvisa crisi che di sviluppo, il
contesto sociale in cui l’individuo si trova a vivere risulta compromesso e modificato e gli individui perdono
i loro riferimenti sociali e culturali sulla cui base avevano orientato la loro condotta di vita e perdendoli,
faticano a trovare un senso e un ordine nella loro esistenza e vita quotidiana. Mancano quindi dei
riferimenti che consentano loro di orientarsi. Durkheim attraverso la presentazione di questa causa sociale
di suicidio fa intravedere il fatto che la coscienza collettiva (componenti simboliche della società come gli
usi, i costumi, le norme e i valori) non ha solo la funzione di mortificare e costringere l’individuo e
annullarne l’identità ma possono fungere anche da sostegno dell’identità individuale. C’è un rapporto
d’ambivalenza tra l’individuo e la cultura, la quale, da un lato, può condizionare e modificare l’autonomia
individuale, ma dall’altro l’individuo pare aver bisogno della cultura e della società per orientarsi nel mondo
e valorizzare la propria personalità. Quindi c’è una relazione ambivalente tra la coscienza individuale e
quella collettiva, così come la società la quale può essere vista come un vincolo, ma anche come un
sostegno.

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IL SUICIDIO ANOMICO
“Non è vero, dunque, che l’attività umana possa affrancarsi da tutti i freni. Non v’è nulla al mondo che
possa godere di un tale privilegio, perché ogni essere, essendo parte dell’universo, è relativo al resto
dell’universo; (...) E’ caratteristica dell’uomo essere soggetto a un freno non fisico, ma morale (culturale o
simbolico), cioè sociale.
Egli non riceve la sua legge da un ambiente materiale che gli s’impone brutalmente, ma da una coscienza
superiore alla sua e di cui sente la superiorità. Proprio perché la maggiore e migliore parte della sua vita
trascende il corpo, egli sfugge al giogo del corpo ma subisce quello della società. Sennonché, quando la
società è scossa, sia da una crisi dolorosa sia da trasformazioni felici ma troppo improvvise, essa è
momentaneamente incapace di esercitare questa azione.
“Ed ecco da dove provengono queste brusche ascese della curva dei suicidi (...) Nei casi di disastri economici,
infatti, si verifica un declassamento che spinge bruscamente certi individui in una situazione inferiore a
quella occupata fino allora. (...) Ora, non è che la società possa piegarli in un attimo a questa nuova vita e
insegnare loro a esercitare su se stessi quel sovrappiù di costrizioni cui non sono abituati. (...)
Né diversamente accade quando la crisi ha per origine un improvviso accrescimento di potenza e di fortuna.
(...)
La graduatoria ne e rimasta sconvolta e, d’altra parte, non se ne può improvvisare un’altra. (...)
Non si sa più ciò che e possibile e ciò che non lo e, ciò che è giusto e ciò che e ingiusto, quali sono le
rivendicazioni e le speranze legittime, quali quelle che passano la misura. (...)
Lo stato di sregolatezza o di anomia (assenza di norme) è ancor più rafforzato dal fatto che le passioni sono
meno disciplinate proprio quando sarebbero bisognose di una maggiore disciplina. (...) ”
(Durkheim, Il suicidio)
Quindi in questo caso, una persona potrebbe decidere di suicidarsi perché ha tutto e non trova dei
riferimenti culturali che diano senso all’esistenza e che lo aiutino a dare un ordine al proprio
comportamento. Ci sono soggetti che hanno una fortuna improvvisa e faticano a gestirsi.

Vediamo ora un’altra opera di Durkheim scritta nel 1912: le forme elementari della vita religiosa. Durkheim
da ateo si propone di studiare, secondo le regole del positivismo e della sociologia in generale, la religione.
Egli prova a dare una definizione di religione: “una religione è un sistema solidale, cioè integrato, di
credenze e di pratiche relative a delle entità sacre, cioè separate, interdette; credenze e pratiche che
uniscono in una medesima comunità morale, chiamata chiesa, tutti gli aderenti.” (Durkheim E., Le forme
elementari della vita religiosa, p. 59) .
Quindi la religione sarebbe fatta da una serie di idee e contenuti della fede ed è fatta di pratiche, ossia
pratiche rituali e regole di comportamento, quindi certi modi di agire che gli individui tengono in certe
situazioni, sostanzialmente durante i riti. Queste credenze, idee, regole di comportamento e pratiche
devono essere messe in atto dagli individui quando operano in una sfera detta del “sacro”. Le religioni
distinguono le sfere della vita umana secondo la grande divisione tra ciò che è sacro e ciò che è profano. Il
profano è l’area della vita quotidiana nella quale l’individuo può agire con un certo grado di libertà, mentre
la sfera del sacro è l’area in cui l’individuo deve agire in un certo modo. La sfera del sacro è fatta di
proibizioni e prescrizioni, in esso l’individuo deve avere certe credenze e un certo modo di comportarsi.
Così al tempo stesso deve invece evitare certi modi di comportarsi; quando si entra in un luogo sacro
bisogna togliersi le scarpe, piuttosto che un segno di croce… Si seguono cioè delle prescrizioni e proibizioni.
Questa è secondo Durkheim, da un punto di vista ateo, la religione.
Perché nelle società esiste la religione e che funzione svolge la religione? Durkheim, in quest’opera, si
pone proprio questa domanda. Durkheim dice che vuole studiare la religione secondo il metodo scientifico
di stampo positivista e di voler capire qual è la funzione che la società affida alla religione. Per fare questo
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studio si concentra sulle religioni totemiche, ossia quelle che hanno come oggetto di cult un totem
(nell’immagine è il Totem di Stanley Park a Vancouver). Queste sono le religioni delle società arcaiche,
perché Durkheim non vuole essere influenzato dalla cultura/società in cui vive, per non avere pregiudizi
nell’osservare il fenomeno. Il totem è un simbolo materiale, è un manufatto. I tome sono delle
raffigurazioni prodotte dagli uomini che rappresentano simbolicamente il gruppo sociale di appartenenza. Il
genere era attorno al totem, posto al centro del villaggio, che ci si radunava per celebrare i riti religiosi; era
un centro simbolico del gruppo sociale e, in quanto manufatto, il totem rappresenta delle figure, degli
animali…Talvolta questi animali hanno avuto un ruolo nella vita del capostipite del gruppo sociale.
(situazione di pericolo in cui un animale lo ha salvato perché seguendolo ha trovato dove alimentarsi…). I
totem raffigurano immagini che rimandano quindi alla tribù e sono il simbolo del gruppo sociale perché è
attorno ad esso che si celebrano die riti. Andando a leggere i rapporti degli antropologi culturali (interviste
alle tribù), si vede che le persone delle tribù totemiche dicono di sentirsi pervase da una sorta di energia
diffusa nel coso che in qualche modo è come se si addensasse attorno al totem nel momento del rito e
coinvolgesse le coscienze degli individui. Si comunica tra gli individui una specie di energia diffusa che dà
loro forza. Questa energia diffusa viene spesso chiamata karma. Durkheim si chiede: perché questa energia
viene decritta come qualcosa di sovrumano? Qual è la fonte di questa forza? Religiosamente si potrebbe
dire che è la divinità, ma ovviamente egli rifiuta questa visione. Egli si chiede. Può provenire che questa
forza venga dalle immagini rappresentate sui totem? Mah… no, anche perché il totem è sempre visibile, ma
questa energia viene percepita solo nei riti. Durkheim dice che questa energia deriva da una delle
caratteristiche del tome: esso rappresenta la società. Ecco, secondo Durkheim da dove deriva questa
energia che è sovrannaturale, perché è sociale (qualcosa che sta tra gli individui in una realtà diversa e di
genere proprio). Durkheim chiama questo fenomeno “effervescenza collettiva” e lo spiega proprio in
questo modo. Gli individui quindi si sentono più forti perché partecipi di un’energia comune che si riflette
negli altri individui e man mano che essi partecipano questa energia si alimenta e propaga. Quindi, è una
sorta di suggestione, ma secondo Durkheim è anche vero, cioè se la società ha una sua realtà immateriale,
essa produce comunque degli effetti sugli individui, tra i quali quello di rafforzarli.
ORIGINE DELLE CREDENZE TOTEMICHE
“il totemismo è la religione non di certi animali o di certi uomini o di certe immagini, ma di una specie di
forza anonima e impersonale che si ritrova in ciascuno di questi esseri, senza tuttavia confondersi con
alcuno di essi. Nessuno la possiede per intero e tutti vi partecipano.” (Durkheim E., Le forme elementari
della vita religiosa, p. 197) Gli individui celebrano quindi questa forza sovraumana.
“Ecco in che cosa consiste realmente il totem: esso non è che la forma materiale (manufatto) sotto cui si
rappresenta alle immaginazioni questa sostanza immateriale, questa energia diffusa attraverso esseri
eterogenei di ogni tipo, la quale è il solo oggetto vero e proprio del culto.” (p. 198)
Durkheim parla anche di “vaga potenza, dispersa nelle cose.” (p. 207)
A questo punto l’interrogativo è “come gli uomini abbiano potuto essere spinti a costruire tale idea e con
quali materiali.” (p. 214) .
Nelle riunioni religiose o «corroboree» (rafforzanti, termine che deriva da latino per indicare la forza) “il
semplice fatto dell’agglomerazione (stare insieme) fa da eccitante di eccezionale potenza. Una volta riuniti,
gli individui sprigionano dal loro star vicini una sorta di elettricità, che li trasporta rapidamente a un grado
straordinario di esaltazione. Ogni sentimento espresso va a risuonare, senza resistenza, in tutte queste
coscienze largamente aperte alle impressioni esterne: ciascuna di esse fa eco alle altre, e reciprocamente.
L’impulso iniziale va così ingrandendosi man mano che si ripercuote, come s’ingrossa una valanga man
mano che avanza.” (Durkheim E., Le forme elementari della vita religiosa, p. /224) .
C’è l’immagine di una forza che accresce nel rito.

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È facile capire che l’uomo, raggiunto questo stato di esaltazione, non si riconosce più. Sentendosi dominato,
trascinato da una specie di potere esterno che lo fa pensare e agire in modo diverso che in tempo normale,
ha naturalmente l’impressione di non esser più lui.” (Durkheim E., Le forme elementari della vita religiosa,
p. /226)
“Ora il totem è la bandiera del clan. È dunque naturale che le impressioni che il clan desta nelle coscienze
dei singoli - impressioni di dipendenza e di accresciuta vitalità - si colleghino assai più all’idea del totem che
a quella del clan: il clan è una realtà troppo complessa perché intelligenze così rudimentali possano
rappresentarselo nettamente nella sua unità concreta.” (Durkheim E., Le forme elementari della vita
religiosa, p. /228)
Un emblema, “esprimendo in forma materiale l’unità sociale, la rende più percepibile a tutti.” (p. /237)
Il totem mostra che lì c’è una società, cosa che altrimenti non si vedrebbe ed essere riuniti attorno al totem
fa percepire una foza superiore.
Oggi non abbiamo più i totem, ma abbiamo eventi collettivi non religiosi che producono questo effetto, tra
cui i grandi concerti ad esempio. Lo stesso accade anche con certe competizioni sportive di massa negli
stadio o anche alla tv. Durkheim attribuisce questa esaltazione collettiva al fatto che partecipando a questo
fenomeno si condividono gli stessi simboli e contenuti simbolici, generando un senso di unità tra i membri e
questa unità genera una forza collettiva. LA genesi di tutto ciò non è il totem, il simbolo musicale, ma il fatto
di partecipare insieme ad un evento e quindi di vedere la società, che altrimenti non si potrebbe vedere. Il
totem è il rappresentante simbolico della tribù sociale e avvertono una forza sovraumana provenire dalla
società. Sostanzialmente Durkheim, con questa sua opera, diventa Dio. Il sacro sarebbe prodotto dalla
società.
L’idea di dio, che sembra riassumere tutta la religione, è per Durkheim un fenomeno psicologico legato a
un processo sociale.
Dio è la modalità con la quale coscienze rudimentali rappresentano la società.
“La divinità è espressione simbolica della società”
“Gli dei non sono che i popoli pensati simbolicamente”
Il sacro può essere considerato come la rappresentazione simbolicamente mediata di una identità
collettiva.
La religione può essere dunque considerata come un sistema di simboli attraverso il quale una società
prende coscienza di sé.
A tale sistema viene riconosciuto un carattere sacro.

Il totem è il simbolo (materiale) attraverso il quale viene rappresentata la realtà immateriale della società.
Esso “ha il compito non già di raffigurare e di ricordare un determinato oggetto, ma di testimoniare che un
certo numero di individui partecipano di una stessa vita morale”, cioè condividono un insieme di simboli
(rappresentazioni del mondo conoscenze, etc.).
L’accettazione soggettiva di una serie di simboli in quanto sacri crea il gruppo.
In sostanza ll simbolo è creato dalla società (ritrovarsi insieme e condividere le stesse cose) e crea la
società. Si tratta di una creazione collettiva della cultura che avviene attraverso rituali e riunioni religiose o
laiche. Si ha una creazione sociale della cultura e durante questo rito si rinnova la cultura e la coscienza
collettiva degli individui che nelle tribù totemiche è un tutt’uno con quella individuale. Nelle società
moderne non accade così invece.

LA CREAZIONE CULTURALE

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- Gli oggetti culturali (collegamento con la Griswold) sono significativi per esseri umani che vivono in un
mondo sociale, ecco perché è importante la relazione tra oggetto culturale e mondo sociale. Gli oggetti
culturali hanno un senso perché condivisi dagli individui che vivono in quel mono sociale. Il
- Al tempo stesso il mondo sociale, di per sé caotico e casuale, riceve senso e significato a partire dalle
lenti culturali attraverso le quali è osservato
- Ma … chi crea gli oggetti culturali? Fino ad esso gli individui per gli autori visti fino ad ora, ma poi c’è una
risposta tradizionalista…
- La letteratura e gli esempi analizzati sinora sembrano fornire due risposte:
- Una risposta individualistica; l’opera d’arte, la grande riforma, sono costruzioni del genio artistico,
morale, politico, economico, etc.
- Un risposta tradizionalista; la cultura (gli oggetti culturali) come modelli di significato socialmente
trasmessi ci sono sempre stati. Questo è ciò che accade nella concezione classica della cultura. (ciò che di
meglio è stato pensato viene conservato e tramandato…). Finno ad ora avevamo visto questi due modi di
intendere la cultura, ma per Durkheim le cose cambiano…

LA CREAZIONE CULTURALE PER LA SOCIOLOGIA


La sociologia fornisce una prospettiva della creazione culturale differente dall’azione del genio e dalla
tradizione culturale.
Gli oggetti culturali, le opere culturali, sono il frutto di una costruzione relazionale, di una creazione
(rappresentazione) collettiva.
È l’esperienza delle riunioni corroboree che genera e riproduce nel tempo i contenuti della religione e,
attraverso questi, i contenuti simbolici della società, e la società stessa come “oggetto” sacro, già dato.
Gli oggetti culturali non sono il prodotto di un genio, essi sono prodotti da gente che si relaziona ad altra
gente.
Con Durkheim quindi aggiungiamo UN altro TASSELLO PER LA COSTRUZIONE DELL’OGGETTO CULTURALE

Ci può essere l’azione di un genio, di una tradizione che viene trasmessa nei processi di formazione come la
scuola, oppure una creazione che viene in eventi particolari, come rituali, dove il fatto di ritrovarsi insieme,
riproduce certi simboli e ne genera i nuovi che poi si imporranno e diventeranno patrimonio di una
coscienza collettiva. Quindi, in sostanza, il totem è un oggetto culturale creato alla fine della collettività, non
c’è un simbolo che lo ha creato, ma è il gruppo sociale che pian piano lo crea, gli dà forma e lo rinnova
ritrovandosi collettivamente e quindi riceve dall’oggetto culturale forza. Quest’idea di forza va un po’
connessa al suicidio anomico: quando la società non è in grado di sostenere l’individuo e di dargli punti di
riferimento simbolici, allora si trova in una situazione di difficoltà. Ti convince questo?

LE CONSEGUENZE PER LA RICERCA SOCIALE


La Griswold dice che in sostanza: «le società hanno bisogno di rappresentazioni di se stesse per ispirare
sentimenti di unità e di mutuo aiuto» (Griswold 1994, 75). La cultura quindi il modo in cui la società
rappresenta se stessa. Quindi la solidarietà sociale non è data asolo dal mutuo bisogno delle parti per la
società, ma il cemento della società è dato anche dalla condivisione di simboli comuni, proprio per
sostenere la loro stessa coscienza individuale.
Se si vuole comprendere un gruppo di persone, bisogna studiare le modalità attraverso le quali esso
rappresenta se stesso.
Ogni gruppo sociale (una banda giovanile, una chiesa, un’organizzazione produttiva) sviluppa delle
rappresentazioni simboliche (oggetti culturali) attraverso le quali mostra a se stesso e agli altri la propria
solidarietà collettiva, integrazione.
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All’opposto se si vuole studiare un oggetto culturale occorre osservare come viene utilizzato da un gruppo
sociale per rappresentarsi. Rappresentando sé stessi i gruppi sociali si rendono presenti ai membri del
gruppo e all’esterno del gruppo. Il totem fa vedere anche ai membri della tribù che lì c’è la tribù. Quindi,
sostanzialmente un oggetto culturale è un bisogno dell’individuo e poi della società di rappresentare se
stessa e di essere parte di qualcosa, se non si rappresenta ai suoi membri la società non esiste. La tradizione
collettiva è un prodotto della creazione collettiva come patrimonio, ma la modalità con cui la tradizione si
trasmette può essere una modalità base, non emotivamente suggestiva, mentre nella creazione collettiva
c’è un momento di incontro ed effervescenza suggestivo e creativo di nuovi simboli. Può essere un modo
per trasmetter ei contenuti simbolici presenti nella tradizione, perché certi riti servono solo a rinnovarla,
ma in altri casi generano invece nuovi simboli e idee che si affermano nel momento stesso in cui vengono
condivise durante il rito. La musica pop nel concerto genera nuovi simboli e stili di comportamento.
Mentre, la trasmissione della tradizione può essere qualcosa di più freddo, ad esempio può avvenire a
scuola o nelle aree universitarie ma non c’è nessuna eccitazione collettiva.

Quindi secondo Durkheim, la cultura è questa rappresentazione collettiva che avviene durante momenti
ritali di individui che si ritrovano insieme. Viene da chidersi quali sono i meccanismi attraverso i quali una
collettività si rappresenta. Dopo Durkheim, nel Noveneto ci sono stati filoni di ricerca che hanno mostrato
come nella vita quotidiana si sviluppi la genesi e si riproducano nel tempo i contenuti dlela cultura. Un
filone molto importante, attento alle relazioni tra le singole persone ° l’integrazionismo simbolico.

Facciamo un riassunto su Durkheim…


IN SINTESI-OBIETTIVI DELL’EXCURSUS DURKHEIMINAO -DEFINIZIONE DI CULTURA
-Analisi del rapporto tra cultura e società
-Introduzione alla modernità (scoprire quali sono le caratteristiche essenziali e distintive della cultura
moderna)
-La creazione della cultura
creazione
Abbiamo visto che cos’è la cultura….
IN SINTESI LA CULTURA
-La cultura come coscienza collettiva: l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei
membri di una società.
-La cultura in quanto insieme di credenze, sentimenti, etc. è creata attraverso relazioni sociali; è frutto di un
processo di creazione E rappresentazione collettiva.

Abbiamo poi analizzato il rapporto tra cultura e società...


IN SINTESI RELAZIONE CULTURA-SOCIETA’
La cultura rappresenta simbolicamente la società, essa fornisce il substrato, il terreno nel quale viene
ospitata e si riproduce la struttura sociale.
In quanto tale essa ha la funzione di integrazione degli individui e di formazione del consenso sociale. La
cultura è ciò che tiene assieme la società, non solo il mutuo bisogno tra i sottosistemi come nel caso della
differenziazione funzionale.

Abbiamo poi introdotto il concetto di modernità.


IN SINTESI: MODERNITA’
-Modernità: affermazione del valore in sé dell’individuo e della sua autonomia.

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-la relazione individuo-società è caratterizzata da un’ambivalenza vi è una sorta di co-costituzione tra
individuo e società. Nel senso che, da un lato possiamo dire che è l’individuo autonomo a fare la società,
ma è la società che sostiene gli individui e fornisce loro una determinata forza e gli strumenti per
consolidare la loro identità.

La società moderna ha eletto quale suo valore di fondo il valore in sé dell’individuo e la sua autonomia.
L’individuo, quando partecipa alla vita sociale, interiorizza i contenuti culturali della società moderna, il cui
nucleo però è il valore dell’individuo. Quindi, l’individuo interiorizza la valorizzazione dell’individuo stesso.
Quindi, si innesca, nella modernità, un processo per cui da un lato l’individuo partecipando alla vita sociale
vede valorizzata la sua autonomia, ma al tempo stesso non fa altro che valorizzare la società. C’è una sorta
di incrocio magico.

Poi abbiamo visto la CREAZIONE DELLA CULTURA…


-La creazione culturale è il risultato di un processo sociale di aggregazione tra gli individui, è una
creazione collettiva che sviluppa un’energia diffusa che si riverbera tra gli individui e che li consolida perciò
l’individuo ha bisogno della società così come la società ha bisogno degli individui. L’individuo, attraverso la
società, rafforza la sua autonomia.

CRITICHE che possono essere rivolte a Durkheim:


-Ponendo particolare attenzione alla relazione tra individuo e società, Durkheim
-rischia di trascurare la dimensione delle interazioni sociali così come avvengono nella vita quotidiana (cfr.
interazionismo simbolico),
-finisce per autonomizzare la cultura e per identificare cultura e società
-considerandole prevalentemente come delle realtà già date, che si impongono agli individui
Quindi, la sociologia di Durkheim sottolinea moltissimo al relazione tra l’individuo e la società e tra al
coscienza individuale e quella collettiva. Questo ci è utile per capire la modernità, ma è solo nelle Forme
elementari della vita religiosa che emerge anche il tema della relazione degli individui e della creazione
sociale della cultura. Però egli, anche qui, ci propone un’idea di cultura come un tutto, come una coscienza
collettiva nella quale tutti si riconoscono, ma egli non si è mai occupato delle relazioni interindividuali. Il rito
è un evento di massa a cui partecipano tanti individui che stanno tutti in relazione con il totem o il cantante
nel caso del concerto, non tanto gli uni con gli altri. Egli finisce per autonomizzare la cultura dalle relazioni
interpersonali e la identifica con la società. Talvolta rischia di considerarle come realtà già data che si
impongono.

LA PRODUZIONE COLLETTIVA DELLA CULTURA


Se la cultura, secondo Durkheim, è una rappresentazione collettiva, quali sono i meccanismi attraverso i
quali una collettività si autorappresenta:
-Le interazioni tra la gente:
Cfr. L’interazionismo simbolico
Cfr. Le subculture, altro modo in cui la cultura si riproduce attraverso rituali nella vita quotidiana.
-Le azioni delle organizzazioni
Cfr. industria culturale
LEZIONE 15

SOCIOLOGIA DELL’ARTE-ABC
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Vediamo l’arte come contesto di produzione della cultura.
ARTE E CULTURA
-La produzione artistica costituisce un ambito ampio e variegato della cultura
-Vi trovano espressione sensazioni, emozioni, dimensioni dell’immaginario individuale e collettivo,
rappresentazioni della realtà naturale e sociale, concezioni del mondo e della vita
Le prime forme di creazione artistica trovano la loro fonte di ispirazione nel mito e nella religione

TIPOLOGIA DELLA PRODUZIONE ARTISTICA


-Arti figurative (lavorano immagini): pittura, scultura, architettura, danza, fotografia, cinema
-Letteratura (parola parlata e scritta come forma artistica): poesia, narrativa, teatro
-Musica (utilizza come segni i suoni): classica (da camera, sinfonica, lirica), leggera (rock, disco, pop).

IL CONTRIBUTO DELLE SCIENZE SOCIALI: LA PROBLEMATIZZAIZONE DELL’ARTE


Da quando sono emerse le scienze sociali si è cominciato a riflettere sull’influenza che il contest storico-
sociale esercita sulle forme espressive usate dal genere umano, alcune delle quali, per via di una serie di
caratteristiche storico-sociali, diventano forme d’arte.
Quali sono le mdoalità che fanno di un oggetto sociale un’opera d’arte?
-Le scienze sociali hanno contribuito ad affermare l’idea che il criterio in base al quale si stabilisce che una
determinata forma espressiva può essere classificata come arte muta nel tempo e dipende dal contesto
storico sociale in particolare dalle:
-Strutture sociali (stratificazione sociale, distribuzione del potere, modi di produzione, forme del
consumo, conoscenze tecniche). I totalitarismi hanno cercato di far uso delle forme d’arte per legittimare il
proprio potere nella società ad esempio. Lo sviluppo di certe tecniche ha influito su quella particolare
definizione di oggetti culturali come d’arte. Ad esempio, senza la conoscenza della tecnica cinematografica
(tecnologia) non ci sarebbe stato il cinema come forma d’arte.
-Sistema culturale dominante (valori estetici, morali, sociali, stili di vita, omogeneità/eterogeneità
culturale)

DEFINIZIONE DELLE FORME ARTISTICHE


Che cos’è però che fa di un oggetto culturale un’opera d’arte? Per capire utilizziamo i concetti di senso e
significato. Il senso è la particolare facoltà degli esseri umani di interpretare i fenomeni che accadono nei
vari ambienti con cui l’uomo ha a che fare. Questa facoltà umana si esprime in significati, ossia in oggetti
culturali. Il senso è il contenuto specifico della capacità dell’uomo di interpretare la realtà che si esprime
nelle forme del significato.
La sociologia fornisce un tentativo di definizione delle forme artistiche a partire dalla distinzione tra senso e
significato (complessità indeterminata dell’agire e determinatezza del significato, forma e contenuto)
Le forme di espressione artistica sono forme di mediazione simbolica che traducono in linguaggio, suoni e
immagini la complessità dell’esperienza vissuta (Crespi, p.124, sociologo italiano contemporaneo che ha
scritto un testo avanzato e corposo di sociologia dei processi culturali in cui offre una teoria dell’arte).

SPECIFICITA’ DELL’ARTE
La specificità dell’arte rispetto alle altre forme di mediazione simbolica di uso corrente nella vita sociale
(senso comune, linguaggio, regole, tecnica, filosofia, scienza, diritto, morale, etc.) è data dalla rilevanza che
in essa assume la dimensione dell’immaginario, dell’espressione metaforica e l’accentuata attenzione e
consapevolezza per il medium formale utilizzato (Crespi, p. 124). cioè che cos’è che fa di un oggetto
culturale/ mediazione simbolica un’opera d’arte? Il fatto che sia presente la dimensione
48
dell’immaginario/espressione metaforica e che sia presente una particolare capacità da parte dell’artista di
utilizzare il mezzo formale. Quindi, l’opera d’arte è determinata dal fatto che ci sia un creatore che ha doti
articolari in un determinato ambito espressivo, sia quello dell’espressione attraverso immagini, suoni o testi
culturali… La competenza tecnica che c’è nell’opera d’arte non è però decisiva per fare dell’oggetto
culturale un’opera d’arte, perché se così fosse, allora anche i copisti sarebbero degli artisti, ma non è così.
La capacità tecnica è importante, ma non è sufficiente. Cosa è questo qualcosa di più? Per capirlo
utilizziamo la SEMIOTICA e i suoi concetti. Il segno è la resultante di una relazione tra significante e
significato. Questa, ad esempio, è un’opera d’arte di Vincent Van Gogh. Perché è un’opera d’arte? Non è il
fatto che il significante porti a un determinato significato o perché rappresenta molto bene la realtà grazie
alla tecnica. (rappresentare su una superficie piana un oggetto tridimensionale). La tesi di Crespi è:
l’oggetto culturale diventa/ è visto come un’opera d’arte se il referente che esso mostra all’osservatore non
è un oggetto materiale che sta nell’ambiente, ma è la stessa capacità di produzione e di senso che è facoltà
tipica dell’essere umano. Il referente dell’immagine non è quindi la foto degli scarponi, ma è la capacità
dell’autore di interpretare e dare senso alla realtà, è mostrare qualcosa, attraverso immagine, che di per sé
è invisibile, ma comune a tutti gli individui, ossia la facoltà di interpretare ed elaborare un senso della
realtà. Ecco ciò che secondo Crespi fa dell’oggetto culturale un’opera d’arte. Il referente, nella teoria del
segno, è la realtà a cui si riferisce il segno. Nell’opera d’arte invece quindi, il referente non è qualcosa che
sta nella realtà materiale ed è visibile, ma è la facoltà che l’uomo ha di interpretare e dare un senso alla
realtà. Guardando il quadro noi intendiamo qualcosa dell’animo e del vissuto dell’autore che fa dell’oggetto
culturale che lui ha prodotto un’opera d’arte. Di norma, invece nella teoria del segno il referente sarebbero
i veri e propri scarponi nel caso dell’esempio. Quindi il modo di un autore di interpretare la realtà e i
soggetti che sceglie anche dà valore ad un’opera d’arte. Il processo di elaborazione del senso realizzato
dall’artista può essere diverso risetto a quello dell’osservatore e questo non toglie all’oggetto culturale la
sua qualità di opera d’arte, perché comunque ha sviluppato nella mente dell’osservatore un processo di
elaborazione del senso, questo è ciò che importa. Se l’oggetto culturale non fa ciò, è un mero oggetto
culturale e non un’opera d’arte. Nel caso dell’arte il referente è il processo stesso di elaborare il senso,
quella che sta venendo in me o quella dell’artista.

SPECIFICITA’ DELL’ARTE
-Quando la particolare attenzione al mezzo espressivo lo “celebra” come forma autonoma fine a se stessa
l’arte assume la forma del manierismo, del barocco. Cioè quando l’osservatore è attento alla tecnica, al
modo di usare il pennello/ il lessico/ lo sparito, l’opera d’arte perde le sue qualità e sia avvia una deriva
verso il barocchismo, ossia il mostrare a ripetizione e con grande sovrabbondanza la capacità tecnica
nell’uso degli strumenti espressivi. Ma questo impoverisce il senso dell’arte, anche se comunque è
importante, ma non fondamentale.
-L’attenzione al mezzo espressivo produce anche una consapevolezza dei suoi limiti invalicabili, infatti chi
sa copiare un’opera d’arte è un bravo tecnico, ma non un artista.
-Il mezzo espressivo non può mai esprimere in pienezza il senso. Il senso è sempre al di là dei significati. Il
seno è sempre al di là del mezzo espressivo e die significati che tendono ad esprimere il senso.

-L’arte non intende ridurre il senso al significato, essa non può dire il senso, lo mostra, lo fa balenare.

L’ARTE TRA SENSO E SIGNIFICATO


“Quando non ci si studia di esprimere l’inesprimibile, allora niente va perduto. Allora l’inesprimibile è –
ineffabilmente – contenuto in ciò che si è espresso” (Crespi, Wittgenstein 1919 lettera a Engelmann). Non
c’è una specifica intenzione di esprimere un senso, ma l’artista in qualche modo elaborano processo di
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costruzione del senso, ma non appositamente. Se ci si ferma su questa intenzione si rischia di perdere
l’obiettivo, mentre quando non è così intenzionale allora la capacità del senso è contenuto nel significato
espresso. Questo è il flusso di coscienza, ossia quando l’artista è ispirato.

“Nell’opera compiuta del genio c’è un senso divenuto obiettivo (referente), un senso che non si può
comprendere né esaurire mediante alcuna riflessione e quindi neppure mediante la riflessione dello stesso
individuo che l’ha creata”
(Cassirer 1955, III, 311)
Il senso eccede tutti i significati che cercano di esprimerlo, è una facoltà autonoma e libera del soggetto. La
facoltà è qualcosa che rimane attivo anche se consegnato a un oggetto culturale, poi l’opera d’arte non è in
grado di presentare interamente il processo di elaborazione del senso.

LA POLISEMIA DELL’OPERA D’ARTE è la sua capacità di esprimere più significati.


La precedente interpretazione spiega il fenomeno della polisemia dell’opera d’arte. Avendo come referente
il processo di elaborazione del senso l’opera d’arte innesca nel pubblico processi soggettivi di elaborazione
del senso che possono produrre una differenziazione e una ineffabilità o incomunicabilità delle
interpretazioni. Cioè, il processo di elaborazione del senso interno all’osservatore è soggettivo e
incomunicabile e questo rende anche incomunicabile le interpretazioni. Ad alcuni l’opera d’arte piace
perché si ha la capacità di elaborare il senso che viene vista, mentre per altri non è così.

RAPPORTI TRA CULTURE- CONCETTI GENERALI


Questi concetti sono quasi concetti di senso comune ormai.

UNIVERSALI CULTURALI
Questi sono aspetti presenti in tutte le
culture, poi ciascuna li declina a modo
proprio.

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PERCHE’ ESISTONO GLI UNIVERSALI CULTURALI?
Esistono perché ci sono dei bisogni fisiologici, sociali e psicologici, comuni a tutti gli esser umani, sono
quindi bisogni che hanno a che fare con l’ambiente sociale, l’ambiente naturale e la natura interna. Per tutti
gli uomini ci sono delle caratteristiche si si ripresentano in tutti i casi. Allora, sulla base di questi bisogni di
costruiscono degli universali culturali, prodotti da fatti biologici comuni a tutti gli esseri umani. Ad
esempio, è un dato di fatto che, dalle origini, per l specie umana le relazioni tra i sessi danno luogo a
relazioni tra le generazioni. Questo fatto ha prodotto istituzioni in cui le diverse culture hanno suggerito in
che modo intrattenere le relazioni tra i sessi e tra le generazioni e chi si dovesse prendere cura delle nuove
generazioni. Le istituzioni, come quella familiare, dicono in che modo occuparsi dei nuovi nati, in che modo
devono avvenire le relazioni tra i sessi e il risultato di questo deve gestire i nuovi nati. Gli antropologi ad
esempio studiano la differenza tra la monogamia e la poligamia. (polisemia o poliandria). Tutte le culture, in
modi diversi e epoche diverse, hanno elaborato delle regole di comportamento tra i sessi e le generazioni.

IL PLIRALISMO CULTURALE è la compresenza di più culture.


Vediamo ciò che diceva Simmer…

Queste cerchie erano concentriche nel senso che avevano


tutte un comune centro simbolico, cioè culturalmente c’era
una base comune. Un esempio potrebbe essere la tribù, clan e
famiglia di Durkheim, cioè si ripete la stessa struttura e gli
stessi simboli.

Le società moderne complesse sono invece intersecantesi,


non concentriche. Queste cerchie sono diverse le une dalle
altre, hanno i loro modelli culturali e non sempre
coincidono. Nella nostra epoca ci capita di vivere in tante
cerchie intersecantesi, ma non concentriche. Questo è alla
base del PLURALISMO culturale.

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Il concetto di relativismo culturale si concentra maggiormente sull’analisi della relazione tra culture e
sostiene che ogni cultura ha un valore in sé e non si possono fare confronti tar culture.
Ci sono alcuni che intendono i rapporti di cultura
cercando di ridurre al minimo la variabilità culturale
e dicendo “tutte le culture presentano degli
universali culturali, poi le varianti sono dei dettagli,
ciò che conta è ciò che tutte le culture hanno in
comune. D’altra parte ci sono modelli che insistono
sull’unicità di ogni cultura e rifiutano il confronto tra
le culture.

All’interno del relativismo culturale poi ci sono due


posizioni.

Ad esempio, c’è il confronto sul tema dell’apertura die teatri e dei cinema rapportato al fatto che sono
aperti i centri di culto, mentre per altri chi non vive l’aspetto religioso non è in grado di capire fino in fondo.
ETNOCENTRISMO è stato definito in modo chiaro da W.G.Sumner nel 1906 secondo cui è “…quel punto di
vista secondo cui il nostro gruppo è il centro di tutte le cose, mentre tutti gli altri sono misurati e valutati
rispetto a esso”. La prospettiva dell’etnocentrismo è da evitare.

LEZIONE 16
SOCIOLOGIA DEL TURISMO
Il turismo può essere visto come un fenomeno sociale che consente di mettere in relazione ‘individuo con
contesti socio-culturali diversi rispetto a quello d’origine. Affronteremo le seguenti tematiche durante
questa lezione:
-Viaggio, coscienza e dimensione sociale 8primo capitolo del libro)
-Il viaggio e le concezioni del mondo 8significati attribuiti al viaggio nelle società occidentali) (secondo
capitolo del libro)
-Le origini della disciplina: criteri di definizione e classificazione del turista e dei suoi atteggiamenti

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-Semantica del tempo libero, ossia come l’Occidente moderno ha inteso il suo tempo libero.

LE ORIGINI DEGLI STUDI SOCIALI SUL TURISMO


Gli studi sul turismo sono stati caratterizzati inizialmente da lavori che hanno avuto come ambito
disciplinare l’economia e la geografia, che si sono interessate inizialmente del fenomeno turistico. Tuttavia,
l’economia considera i comportamenti di consumo umani come la risposta che gli individui danno ai propri
bisogni e, considerato questo e il fatto che il turismo venga considerato una risposta ai bisogni degli
individui e anche il fatto che il comportamento turistico nel corso del tempo si è modificato, è emersa l’idea
che non ci sia un bisogno turistico di base comune a tutti gli individui, su le cui fondamenta far poggiare la
scienza sociale di stampo economico del comportamento turistico. Questo è un problema generale che ha
l’economia, ossia il fatto che si concentra sul concetto di bisogni pensando a un bisogno di tipo immateriale
dell’individuo, immodificabile, quindi di base e sempre presente, salvo poi vedere che i comportamenti
degli individui e i loro bisogni e aspirazioni che essi fanno emergere si modificano nel tempo e elabora
l’impianto concettuale dell’economia viene messo in discussione ed entra in gioco la sociologia per
indagare le motivazioni che spingono gli individui comportarsi in un determinato modo, a rispondere a una
serie di bisogni in un determinato modo. Si sono quindi affiancati all’economia e la geografia, negli studi del
comportamento turistico anche le discipline della sociologia e della psicologia, proprio per indagare le
motivazioni che spingono gli individui ad agire in un certo modo ed ad acquistare un servizio come quello
turistico. Altra disciplina che si è molto interessata al fenomeno turistico è l’antropologia culturale, che ha
fatto studi molto interessanti anche dal punto della sociologia culturale, perché l’antropologia culturale si è
chiesta quali modificazioni comporta l’agire turistico in una determinata località turistica. Ossia,
trasformare un certo contesto sociale in una località turistica produce dei cambiamenti in essa, nel modo di
interagire tra le persone della località e nei modi di interagire delle persone della località con coloro che
vengono da fuori. Altro aspetto che l’antropologia culturale ha sottolineato è il fatto che l’afflusso di turisti
in una determinata località possa portare in alcuni casi a uno snaturamento di alcuni capisaldi della cultura
e dei riti di una cultura locale. Ad esempio, un caso studiato dall’antropologia culturale, è quello di
particolari gruppi etnici, come gli Indiani in America nativi che vivono in alcune riserve e che conservano
certe forme rituali. Ad uso del turismo, si chiedeva a queste popolazioni di ripetere und determinato
rituale, perché i turisti lo potessero osservare; la ripetizione di un rituale che però ha tutto un suo
significato all’interno della tradizione culturale e religiosa, porta a un’inflazione del valore simbolico di esso
e lo snatura completamente, così che le popolazioni si sono sottratteti a questa richiesta. Di tutti questi
aspetti di è appunto interessata l’antropologia culturale che è una disciplina che ha interesse perché si
occupa di turismo, anche per evitare di snaturare determinati contesti sociali e i contenuti di determinate
culture.
-Economia e geografia sono le prime tra le scienze sociali a interessarsi di turismo.
-L’una e l’altra hanno dovuto misurarsi sempre più con le modificazioni dei comportamenti dei turisti.
-È emersa così l’esigenza di un approccio sociologico e psicologico al comportamento turistico in grado di
indagare le motivazioni e i valori che ispirano l’agire turistico
-Un’importante tradizione di studi ha utilizzato il metodo dell’antropologia culturale e si è interessata
dell’impatto culturale del fenomeno turistico.

VIAGGIO, COSCIENZA INDIVIDUALE E DIMENSIONE SOCIALE (CAP. 1)


Questo primo capitolo è fondamentale perché mostra che questo testo è attento alla dimensione
simbolico-culturale del fenomeno turistico. Savelli osserva le modalità con cui la coscienza individuale si
rapporta al viaggio e con cui il viaggio influenza la coscienza individuale. 8collegament con la distinzione tra
senso e significato. Cioè il senso è la particolare facoltà che hanno gli esseri umani di interpretare la realtà,
53
mentre la coscienza è la consapevolezza del proprio esserci da parte dell’individuo, luogo simbolico nel
quale si realizza il processo di elaborazione del senso da parte dell’individuo. Quini Savelli, nel suo testo
parte da questo tema: qual è il rapporto che c’è tra il viaggio e la coscienza?
IL VIAGGIO COME PRESA DI COSCIENZA
- Savelli osserva che La consapevolezza dell’umanità di far parte di una categoria universale, categoria alla
quale appartengono tutti gli esseri umani sulla Terra nasce con il viaggio (leggere p.3). È viaggiando e
vedendo diverse culture che emerge la consapevolezza che esiste qualcosa di comune a tutti gli esseri
umani, pur nelle loro differenze. Questa è la prima conseguenza del viaggio sula coscienza individuale . Gli
esseri umani, proprio per non essere guidati dagli istinti, gli esseri umani sono costituiti da una plasticità
che consente loro di adattarsi ad ambienti diversi ed è dettata dal fatto di presentarsi come un essere
generico, cioè plastico. Questa è una delle caratteristiche che consente all’uomo di inserirsi in ambienti
diversi e assumere atteggiamenti diversi a seconda degli ambienti. Inoltre, Savelli sottolinea un secondo
aspetto come caratteristico dell’essere umano è la sua coscienza, ovvero la consapevolezza di essere nel
mondo e anche di essere però diverso da tutti gli ambienti in cui l’individuo si colloca.
Quindi, per riassumere, la specificità dell’uomo appare legata alla sua plasticità (dominanza dei processi di
apprendimento) e alla sua coscienza (consapevolezza del proprio esserci che fonda la sua apertura al
mondo).

COSCIENZA E AMBIENTE
- La dimensione del simbolico è generatrice e costituiva della coscienza umana
- La coscienza dell’uomo gli consente di dire: “io so di essere qui”, ponendolo così in rapporto con
l’ambiente naturale, sociale, culturale e interiore. Proprio questa consapevolezza rende l’individuo anche
consapevole di non essere riducibile a nessuno degli ambienti con cui entra in relazione, cioè rende capace
l’individuo di osservare ogni ambiente dall’esterno e di distinguere gli ambienti e sapere in quale si è. La
coscienza individuale garantisce la consapevolezza di essere eccedente rispetto agli ambienti che lo
determinano.
- Il rapporto con l’ambiente mediato dalla coscienza gli consente di prendere le distanze dai propri ambienti
(prendere la distanza dal suo corpo, dalle sue sensazioni, dalla società e dalla cultura) e di osservarli
dall’esterno.

COSCIENZA E DETERMINAZIONI
-In virtù della facoltà della coscienza …
-L’uomo sa di avere un corpo, di avere certe sensazioni, sa di vivere in un determinato ambiente naturale,
sociale, culturale e, tuttavia, sa di non essere riconducibile al proprio corpo, alle proprie sensazioni, ai
propri ambienti;
-sa di non essere riconducibile alle proprie determinazioni alle proprie oggettivazioni.
- La coscienza apre lo spazio alla riflessività
Questa capacità di mettersi in relazione con i vari ambienti e di distinguersi da essi apre spazio alla
coscienza e alla riflessività ed è questo aspetto che caratterizza l’essere umano. La facoltà della coscienza
influisce sul modo in cui l’individuo interpreta il viaggio e Savelli conduce una riflessione su 3 aspetti/ fasi
del viaggio.
COSCIENZA E ROTTURA CON LE RADICI NATURALI E VIAGGIO
-La possibilità di rottura delle relazioni con la natura e con le proprie determinazioni apre l’uomo al
desiderio di espandere il proprio Io al di là del tempo e dello spazio.
Il viaggio – con le sue fasi del partire, transitare e arrivare – consente questa espansione.
Savelli analizza tre fasi del viaggio e il fatto che in ciascuna sia coinvolta la coscienza.
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PARTIRE
-La partenza è la separazione, la rottura, la scissione dalle matrici
(sociale e culturale) dell’Io.
-Partendo ci si spoglia delle relazioni, dei doveri e dei pensieri consueti; si prende distanza dalla propria
identità (socialmente determinata)
-La partenza come sofferenza (Adamo ed Eva)
-La partenza come ricerca di fama (Gilgamesh)
Nella partenza è quindi presenta una rottura del soggetto con le matrici socio-culturali del so io. Gli
ambienti in cui l’individuo si colloca influenzano il suo modo di agire, anche se esso è frutto di
un’interpretazione soggettiva, ma comunque determinato dagli ambienti. La partenza stacca il soggetto ai
suoi ambienti e dunque, in un certo senso, rende più autonoma la sua coscienza. L’individuo si spoglia delle
relazioni socio-culturali, dei doveri, dei pensieri consueti che caratterizzano la sua vita in un determinato
contesto. Ciò è possibile soprattutto attraverso la fase della partenza. (collegamento con Durkheim e il
suicidio altruistico in cui la coscienza individuale si appiattisce su quella collettiva e non vi è più distinzione,
mentre in quello egoistico la coscienza collettiva si svincola e autonomizza rispetto a quella individuale ed è
maggiormente in grado di osservare dall’esterno il contesto socio-culturale nel quale quella individuale si
trova). Si può dire che la partenza è quella fase del viaggio in cui quasi materialmente si realizza la
separazione della coscienza individuale da quella collettiva, ovvero dal contesto socio-culturale nel quale
l’individuo si trova e attraverso la partenza, la coscienza individuale riesce ad osservare dall’esterno con più
facoltà il contesto socio-culturale nel quale si trova e che in parte la determina. La coscienza individuale è
all’interno di una coscienza collettiva ed è in parte determinata da essa. Poi Savelli osserva che ci sono due
tipi di partenze:
1) partenza come sofferenza, cioè il distacco genera una sofferenza
2) il distacco della coscienza individuale da quella collettiva è considerato positivamente e visto come
apertura al nuovo e come la possibilità di sviluppare nuove determinazioni della coscienza individuale. C’è
una concezione della partenza come occasione per realizzare le proprie ambizioni, andare alla ricerca di
fama. Qui si ripropone il tema dell’ambivalenza del rapporto che c’è tra coscienza individuale e collettiva. I
due tipi di suicidio di Durkeheim, mettono in luce che se, da un lato, la coscienza collettiva è vista come un
vincolo mortificante per quella individuale, dall’altro l’individuo ha bisogno della coscienza collettiva e
quindi il staccarsi da essa è una fonte di sofferenza, mentre in altri casi è visto come qualcosa di positivo.

TRANSITARE
-Il viaggio come stato di flusso, è come una partenza sempre ripetuta.
-Scopo del flusso è continuare a fluire, aggiungere esperienze ad esperienze
-Il transitare è visto come una partenza sempre ripetuta
-Il transito permette di prendere le distanze e di osservare le cose dall’esterno, ma costringe ad osservare
solo forme esteriori. Unque è una situazione di libertà della coscienza individuale. Il continuo viaggiare è
oggi considerato come un emblema della post-modernità. La mobilità è distinta in due aspetti ambivalenti,
cioè una assunta per scelta e una forzata, come i viaggi dei migranti ad esempio. (secondo Bauman?!). La
fase del transitare sembra essere quella più ambita dagli individui.
-“L’Io dell’osservazione mobile è un’alternativa all’Io sociale, cioè all’identità intessuta sulla coscienza di
essere osservati, riconosciuti e inseriti in categorie” Cfr. Bauman il viaggio come emblema della
(post)modernità.

L’ARRIVO
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-Se con la partenza e con il transito il soggetto afferma la sua autonomia, con l’arrivo si pone il problema
dell’insediamento in una comunità, in un luogo. Questa fase del viaggio costituisce il soggetto come
straniero, perché colloca una persona che viene dall’esterno di una società all’interno di una società. La
combinazione di queste due situazioni non è facile.
-L’arrivo è l’atto che costituisce lo straniero, una figura caratterizzata dall’ambivalenza (esterno/interno.
Savelli osserva che, in genere, la fase dell’arrivo nel processo di viaggio produce la battaglia per l’ingresso,
effettuata da chi arriva per entrare nella società. Nell’antichità le battaglie erano fisiche (guerre vere e
proprie), mentre oggi non sono più fisiche, ma comunque l’ingresso di qualcuno che viene all’esterno
richiede di processi di inserimento e integrazione che ripropongono il tema del confine che ogni società
pone tra sé stessa e le altre società.

L’ARRIVO/INGRESSO
«Nella letteratura premoderna il racconto degli arrivi è dominato dalla «battaglia per l’ingresso» e dalla
«mediazione delle donne». Con la battaglia ritualizzata viene affermato il confine, viene compiuta
l’identificazione dell’estraneo e determinato il suo rapporto con il luogo. Il sangue umano versato in
battaglia viene sostituito da forme ritualizzate: sacrifici di animali, interrogatori, presentazione di
credenziali, scambi di documenti , etc.
Quello che una volta era il sangue versato nella battaglia, oggi viene rivalutato in modo diverso.
(questionari, presentazione dei documenti ecc.). Quindi, il tema del riconoscimento di qualcuno che entra
nella società è simboleggiato oggi comunque da una serie di processi, come la visione dei documenti. I
viaggi di lavoro fanno parte della mobilità per scelta (nel caso te lo stessi chiedendo ;) )

Analizziamo ora la figura del forestiero, ruolo


studiato dalla sociologia, perché ha dei tratti di
ambivalenza che stuzzicano l’osservazione scientifica
del fenomeno:
1) se la società facesse dissolvere i propri confini,
perderebbe la caratteristica di società.
2) se una società apre i propri confini potrebbe
modificarsi, si tratta di perdita di identità o solo
evoluzione che non mette in discussione il concetto
di identità?
3)
Quindi il concetto del forestiero mette a tema il
rapporto tra l’individuo e la comunità, la coscienza collettiva e individuale quindi.

IL FORESTIERO DAL PUNTO DI VISTA DELLA COMUNITÀ: L’AMBIVALENZA (SIMMEL, quasi contemporaneo
di Durkheim di origine tedesca, mentre Durkheim è francese). Simmel scrive un excursus sul forestiero nel
quale mette in evidenza tante ambivalenze presenti nel concetto del forestiero.
Il forestiero è:
-Ricercato, accettato, desiderato/ rifiutato;
-Incluso nella comunità, ma tenuto a distanza
-Viene da fuori, ma è parte del gruppo
-È vicino, ma è lontano
-È integrato, ma è emarginato
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La figura del forestiero segnala le ambivalenze e Simmel le
mette in luce presentando tre figure Ideal-tipiche del ruolo del
forestiero: commerciante, giudice e ebreo. Questo consente di
sottolineare tre concetti del forestiero: mobilità, obiettività e
generalità. Questo è presente nell’excursus di Simmel dal titolo
Sociologia, testo del 1908 che contiene però intuizioni valide
anche oggi.

-Quando dall’economia di autoconsumo si passa agli scambi commerciali fa capolino nella storia sociale la
figura del commerciante, che non può non essere forestiero, perché trasferisce prodotti da un paese
all’altro. Il commerciante dispone di merci appetite da una serie di società che non dispongono di qui beni e
merci e che quindi desiderano intrattenere rapporti con il commerciante per ottenere le merci.
-Il commerciante è abbastanza mobile da non fare parte della comunità e abbastanza stabile perché gli
venga attribuito all’interno della comunità un ruolo. Il suo ruolo ha senso se si tratta di un soggetto che
viene dall’esterno della società, ma all’interno della società in cui si colloca il commerciante ha un ruolo
stabile come soggetto proveniente dall’esterno, quindi come ruolo stabile. Questo ruolo ambivalente ,a sua
collocazione sociale, l’assenza di rapporti strutturati, gli consente di intrattenere relazioni con tutti i membri
della comunità.

IL GIUDICE FORESTIERO (OGGETTIVITÀ)


-Alcune città italiane nel medioevo erano solite convocare un giudice forestiero per risolvere le controversie
interne.
-L’estraneità conferiva al forestiero una distanza e un disinteresse che gli guadagnavano la patente di
oggettività per il trattamento delle questioni conflittuali.
-Tuttavia si trattava di una estraneità particolare perché talvolta al giudice venivano confidate le questioni
più intime che vedevano coinvolte le parti in conflitto della società.
-Il giudice forestiero è a un tempo coinvolto e distaccato. (ambivalenza)

Il rapporto con il forestiero da parte dei membri


di una società è caratterizzato da similitudini
generali. Questo è ciò che dice Simmel.

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LE RELAIZONI SOCIALI TRA GENERALITA’ E INDIFFERENZIAZIONE
“Non vediamo che forestieri là dove non siamo più in grado di vedere individui, là dove la relazione con
l’altro non entra nel nostro codice delle differenze” (Savelli 31). Per Simmel la distinzione tra relazioni
differenziate (interne al gruppo) e relazioni indifferenziate (esterne al gruppo) è quella che fonda e dà senso
al gruppo. Ogni rapporto sociale è fondato su un grado di specificità dei tratti comuni rispetto ad altri
rapporti sociali e si presenta sempre come una combinazione di “differenze specifiche” e “somiglianze
generali”. (IMPORTANTE!)

LA COMUNITÀ INTEGRATA DAL PUNTO DI VISTA DEL FORESTIERO (SCHUTZ)


A proposito dell’ambivalenza, vediamo un’analisi dei concetti introdotti in sociologia dall’approccio
fenomenologico. La fenomologia è una disciplina/ un metodo di ricerca filosofico proposto da Dussele e
assunto in psicologia e sociologia. Per quel che riguarda la sociologia, uno die principali autori è il sociologo
americano Alfred Schutz che, quasi negli stessi anni in cui Hussel proponeva il suo metodo, applica il
metodo fenomenologico alla sociologia. Dussel dice che gli individui che interagiscono nella vita quotidiana
all’interno della società, elaborano un mondo dato per scontato sulla base delle loro relazioni e
interpretano il mondo/ gli ambienti con cui hanno a che fare in modo simile e sviluppano una provincia
finita di significati, cioè un insieme di interpretazioni della realtà comune a tutti gli individui. Quando questi
si rapportano alla realtà, gli individui sanno, con una certa facilità, come interagire con gli altri e possono
sviluppare degli automatismi, cioè non devono accordarsi su come interagire con gli altri, perché poggiano
su un mondo dato per scontato, ossia definizioni e interpretazioni della realtà che, sulla base delle
interazioni della vita quotidiana, sono diventate comuni a tutti e hanno generato una provincia di significati
comuni a tutti gli individui che però hanno un perimetro circoscritto, non si tratta di province finite di
significati, cioè quei significati valgono in un determinato contesto. Il forestiero quando entra all’interno del
contesto sociale, in qualche modo, rompe il mondo dato per scontato e mette in discussione la provincia
finita di significati e questo genera un problema nelle interazioni tra forestiero e residente, perché bisogna
costruire un nuovo mondo comune dato per scontato e ciò richiede tempo. Questo concetto del mondo
dato per scontato che rende fluide e dinamiche le interazioni risulta chiaro quando si pensa ad esempio ai
primi momenti di una relazione con un amico con una malattia ereditaria che lo rende disabile. Il soggetto
che lo conosce è in imbarazzo perché magari cerca di utilizzare il suo mondo dato per scontato quando si fa
conoscenza con una persona, ma egli per questa malattia d esempio non era in grado di stringere la mano.
Si può fare esperienza diretta di cosa significa poter appoggiare su un mondo dato per scontato e di come
basta poco per inceppare gli automatismi che noi siamo soliti utilizzare nei contesti della vita quotidiana. Il
forestiero compie la stessa operazione, perché rende incerto il modo di rapportarsi quando lo si incontra
perché per via della sua diversità rompe il mondo dato per scontato. Non è solo il forestiero che compie
questa operazione in realtà, ma anche ad esempio il virus che adesso ci costringe a modificare le modalità
di interazione nella vita quotidiana e inizialmente ci si sentiva in imbarazzo a usare il gomito anziché la
mano, mentre adesso è una modalità data per scontata. Stessa cosa per la distanza che si deve mantenere
e la mancanza di applicazione dl mondo dato per scontato ci fa soffrire. Lo stesso dicasi quando si incontra
un forestiero dal quale possono nascere dinamiche positive ma anche negative.
Quindi
-La comunità elabora nel corso del tempo un “senso comune”, una mappa condivisa di simboli che
genera un “mondo dato per scontato”, una “provincia finita di significato” una tipizzazione dei
comportamenti, delle interpretazioni e dei ruoli.
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-Ciò impone un intenso lavoro di “ricerca” da parte dell’estraneo che deve decodificare, comprendere,
tradurre i codici simbolici della comunità ospitante.
Questa riflessione accentua dei concetti, i quali però sono legati al viaggio.

LA COMUNITÀ INTEGRATA DAL PUNTO DI VISTA DEL FORESTIERO (SCHUTZ)


-Il forestiero oltre a non conoscere i codici simbolici della comunità è anche privo di un ruolo, uno status
interno al gruppo che gli consenta di aspettarsi delle risposte tipiche. Questo succede anche nei gruppi di
amici, perché chi viene dall’esterno fatica ad interpretare i comportamenti di coloro che vivono all’interno
di un gruppo e fatica a distinguere se sono comportamenti che dipendono dall’intenzione di un singolo
soggetto oppure di ruolo, ossia tenuti da tutti gli individui che non hanno nessuna intenzione specifica e
nessuna motivazione personale nei confronti del nuovo arrivato.
-Anche per questo motivo l’estraneo fatica a distinguere nei soggetti della comunità comportamenti
soggettivi e comportamenti di ruolo.

IL FORESTIERO E LA GLOBALIZZAZIONE
Il processo di globalizzazione ha prodotto modificazioni di atteggiamento nei confronti dello straneiro che,
non è più visto come estrano ma diverso. Questi due concetti sono leggermente diversi. “diverso” è un
concetto che sottolinea meno la distanza tra il forestiero e l’insediato in una detemrinata collettività, quindi
si attenua le differenze e le problematicità. Lo spostamento del fuoco dal concetto di estraeo a quello di
diverso indica un processo che è in atto nelle società globalizzate.
-Le dinamiche socio-culturali contemporanee hanno modificato la figura dello straniero: si passa dal
concetto di estraneo a quello di diverso:
- «Le differenze – al di là e al di qua di ciò che rende tutti uguali, membri della specie umana – vanno
ricercate nell’infinitamente piccolo e non nell’infinitamente grande»(p. 25)
-Nella cultura planetaria l’estraneo vede degradare la sua distanza
-Anziché approfittare dell’estraneo – nella forma della repulsione (il tartaro), della falsa carità
(colonizzazione come civilizzazione), della fascinazione (esotismo) – stiamo passando ad una considerazione
degli altri come fonte di conoscenza di noi stessi.
-La cultura altrui è compresa come strumento critico che serve a far evolvere la propria. «Conoscere gli
ideali degli altri serve a distruggere i nostri idola [baconiani]» (25).
Per certi versi quindi la cultura altrui è osservata e compresa come strumento critico che serve a colui che
vive in una determinata società di prendere maggiormente coscienza della propria cultura e distrugger e
idee a cui siamo affezionati che però hanno poco realismo.

Fine del primo capitolo

IL VIAGGIO E LA CONCEZIONE DEL MONDO (CAP. 2), storia del modo di intendere il viaggio nelle società
Occidentali.
-Il viaggio alle fonti dell’ordine
-Il viaggio come ricostruzione del messaggio
-Il centro e l’altro
-Il viaggio alle periferie del mondo
-Il viaggio, che ha dato il via alla scienza moderna e le scienze umane
-Esotismo ed egocentrismo
-Esploratori, viaggiatori, turisti e anti-turisti
-Il viaggio inutile
59
-Distinzione e imitazione
Secondo Savelli si sono succedute dall’antichità classica ai giorni nostri tutti questi diversi modi di intendere
il viaggio. Vediamo queste varie etichette…

VIAGGIO ALLE FONTI DELL’ORDINE-LEED, LA MENTE DEL VIAGGIATORE, IL MULINO.


Secondo Savelli nel viaggio dell’epoca classica, ellenistico-romana il modo prevalente di intendere il viaggio
era il cosiddetto “viaggio alle fonti dell’ordine”. Savelli si riferisci qui al testo classico della sociologia del
turismo che ha per titolo La mente del viaggiatore ed è di Leed. Savelli dice che nella classicità il viaggio
poteva essere letto come un viaggio filosofico 8sinonimo di viaggio alle fonti dell’ordine.)
Il «viaggio filosofico» conduce il soggetto alle fonti da cui è scaturito l’ordine culturale di cui si sente
parte.
Il viaggio filosofico è:
-Viaggio storico
-Viaggio rituale
-Pellegrinaggio
Ad esempio, il viaggio, inteso come pellegrinaggio, verso i luoghi abitati da colui che ha dato origine a una
determinata cultura e società è un viaggio alle fonti dell’ordine. Ad esempio, viaggio alla mecca nel caso
islamico, viaggio nella Terra Santa nel caso del cristianesimo. Oppure, altri esempi, possono essere i viaggi
dei grand Tour dei nobili in epoca medievale e rinascimentale dal Nord Europa verso Italia e Grecia per
andare alle fonti della cultura classica. Questi viaggi avvengono a partire dal Rinascimento verso le città
italiane.
FASI DELL’ISTITUZIONE FORMALE DELLA TERRA SANTA
L’esempio che porta Savelli del viaggio alle fonti dell’rodine culturale di Occidente compito da Elena la
madre di Costantino è di epoca ellenistico-romana. Elena era concubina dell’imperatore romano da cui
ebbe Costantino e lei si converte al cristianesimo e in tarda età compie un viaggio verso la Terra Santa, a
Gerusalemme, ala ricerca del ruolo che hanno segnato la vita di Gesù. C’è tutto un processo che caratterizza
il modo di gestire questi luoghi ed è diviso in diverse fasi.
-Identificazione (Elena). Elena cerca i luoghi della vita di Gesù e ritiene di individuarne alcuni.
-Purificazione (tempio di Afrodite). Elena decide di dedicare templi di divinità romane e temi religiosi della
divinità cristiana.
-Sacralizzazione (costruzione delle basiliche) (Luogo dell’ultima cena ecc.)
-Riproduzione (riproduzione di oggetti materiali che sottolineano l’originalità del luogo: inventio crucis).
Elena è nota per aver realizzato la inventio crucis, cioè lei riteneva di aver trovato i chiodi della crocifissione
di Cristo. Ella li riporta a Roma e fa fare la Corona ferrea che lei regala al figlio Costantino come simbolo del
suo poter imperiale. Essa è caratterizzata da un anello di ferro, che è il risultato della fusione die presunti
chiodi, che regge le placche di preziosi realizzate in oro. Questo indica che il potere temporale,
simboleggiato dalle placche d’oro con i preziosi, è sorretto e giustificato dal potere spirituale. Costantino
sarà colui che farà terminare ella persecuzione dei Cristiani e farà della religione Cristiana la religione di
Stato dell’impero Romano. Questa corona né è un simbolo rilevante ed ha conservato la sua validità fino a
un secolo e mezzo/ due fa, perché con questo oggetto sono stati incornati tutti gli Imperatori del Sacro
Romano Impero, tra cui Carlo Magno, Federico Barbarossa, Carlo V fino a Napoleone Bonaparte. Questa
corona adesso è nel duomo di Monza.
-Codifica degli itinerari di accesso (tappe del pellegrinaggio, via Francigena)
-Codifica delle regole (regole del pellegrinaggio: penitenza, divieto di portare armi, viaggiare scalzi, tunica
grossolana, cappello, 1 bisaccia, digiuno)

60
LEZIONE 17

Stavamo vedendo la storia della semantica del viaggio, cioè del modo in cui in occidente si è rappresentato
il viaggiare a partire dall’antichità classica fino all’’epoca moderna. Nella prima fase dell’epoca medievale il
viaggio, abbiamo detto, era concepito come una ricerca delle fonti autentiche/ originarie della cultura a cui
si appartiene. Stavamo vedendo le fasi dell’istituzione formale della Terra Santa… Spieghiamo le ultime due:
-Codifica degli itinerari di accesso (tappe del pellegrinaggio, via Francigena). Ad esempio, in Europa, dopo
la regina Elena, è stato costituito un percorso (la Via Francigena) da Canterbury alla Terra Santa. Passa
anche dall’Italia ed era un percorso effettuato a piedi con una serie di luoghi di ospitalità. Ad esempio
Monte Roggione in Toscana era all’interno di questo percorso, poi ci si imbarcava, si attraversava il
Mediterraneo e si raggiungeva a Gerusalemme. Oltre alla codifica degli itinerari di accesso a queste fonti
dell’ordine, oggi c’è un altro esempio più noto: il cammino di Santiago che è sì un luogo alle fonti
dell’ordine simbolico della religione cristiana perché lì è stato martirizzato San Giacomo, però non è più un
viaggio considerato alle fonti dell’ordine verso un centro da cui ha avuto origine una tradizione religiosa,
ma è un viaggio più alla ricerca di se stessi. Quindi non è tanto la meta in se ad attrarre, ma è il modo di
muoversi verso la meta.
-Codifica delle regole (regole del pellegrinaggio: penitenza, divieto di portare armi, viaggiare scalzi, tunica
grossolana, cappello, 1 bisaccia, digiuno). Queste regole avevano una funzione spirituale per avvicinarsi
alla meta, oggi verso se stessi.
Secondo Savelli poi nel Medioevo si sviluppa un’altra cultura del viaggio, ossia il viaggio alla ricerca del
testo. A seguito delle invasioni barbariche nelle città cristiane dell’Italia e della Francia e nei poli del
cristianesimo medievale in generale, si ha il timore che parte del testo sacro sia andato distrutto e che non
si conosca la fonte originaria del testo sacro del cristianesimo. Ecco allora che un obiettivo dei viaggi
dell’epoca è quello di andare alla ricerca del testo originario, quindi il viaggio diventa un viaggio di
ricomposizione nella sua forma originaria e completa. Il mondo viene concepito come una sorta di libro
disperso e si va alla ricerca delle fonti. Questa ricerca è stata condotta fino al Novecento, dove si ebbero
notizie di ritrovamenti in certe zone del medio. Oriente di anfore contenenti dei frammenti di tesi sacri
della tradizione ebraico-cristiana che richiamano in modo preciso il testo sacro così come è conosciuto oggi,
avendo una conferma dell’autenticità del testo sacro. Quindi, per riassumere:
VIAGGIO COME RICOSTRUZIONE DEL MESSAGGIO
-Nel Medioevo il viaggio filosofico alle origini si trasforma in viaggio alla ricerca del testo sacro nella sua
forma originale e completa.
-È un viaggio di ricomposizione che s’impone per via del timore dell’incompletezza e dell’incongruenza delle
fonti generate dalle distruzioni barbariche.
-Il mondo era concepito come un libro disperso.
-Più tardi, quando la Chiesa ebbe acquisito una maggiore quantità di beni e fu più saldamente organizzata,
il viaggio/vagabondaggio per amore di conoscenza, venne considerato come un tentativo di sottrarsi alla
disciplina e come fonte di instabilità sociale. Le motivazioni dei viaggiatori non sono più quelle di andare
alla ricerca dei testi sacri cattolici o d’origine greca ecc. Secondo Savelli emerge un nuovo orientamento,
perde di rilevanza il centro sacro e i luoghi dai quali ha origine l’ordine simbolico della città e l’interesse si
sposta dal centro verso l’altro, la periferia. In epoca medioevale il mondo viene rappresentato come
caratterizzato da un cosmo ordinato attraverso il centro simbolico della società attorno al centro sacro e un
ambiente al di là che è caratterizzato da una sorta di caos. Inizialmente il viaggio era rivolto verso il centro,
alla ricerca di un ordine, poi pian piano questo viaggio, inteso anche come pellegrinaggio, perde la sua
rilevanza e acquista rilevanza il viaggio in direzione opposta, quello verso l’altro, ossia zone lontane dal
centro che venivano tenute perché considerate come fonte del caos.
61
IL CENTRO E L’ALTRO
-Nelle società tradizionali l’articolazione dello spazio è caratterizzata da un Centro sacro, un Cosmo
ordinato e un Caos circostante.
-Il pellegrinaggio è il movimento verso il Centro e il viaggio è il movimento in direzione opposta, verso
l’Altro.
Emerge un interesse per queste zone sconosciute alla conoscenza di modi altri. Si ricordi ai viaggi
d’esplorazione condotti nel 15esimo e 16 secolo (1492 Cristoforo Colombo alla scoperta delle Americhe
anche se aveva in mente di arrivare alle Indie).
Con la Modernità la contrapposizione tra il Centro e l’Altro si stempera. Questa attenzione verso l’altro
era considerata negativamente dalla cultura dominante, perché vista come un tentativo di sottrarsi
all’ordine e alla disciplina che la cultura e la società avevano costruito ed era moralmente stigmatizzato.
Con l’avvio dell’epoca moderna questa contrapposizione tra il centro e l’altro si stempera e la ricerca della
novità viene invece vista come ricerca di una conoscenza sempre più piena e autentica della realtà. Il polo
d’attrazione diventa quindi l’altro e ci si sposta verso ciò che sta ai confini del mondo per esplorare ciò che
è oltre il mondo conosciuto. Questo nuovo mondo è considerato segno di interesse perché si ritiene che in
esso si possa ritrovare una sorta di stato di natura in cui l’essere umano si trova a vivere.
Il «disincanto» porta a rappresentare un mondo senza centro e senza confini.

IL VIAGGIO ALLE PERIFERIE DLE MONDO


-Il centro, l’originale, l’autentico, l’incontaminato, si sposta al di là dei confini del mondo, in uno stato di
natura paradisiaco
-«L’Altro, incontrato alle periferie del mondo moderno, si trasforma in centro per l’individuo moderno che
fugge» (Cohen 1992).
-Dal pellegrino che va verso il centro al viaggiatore esploratore che va verso le periferia alla ricerca di nuovi
mondi.

Questa semantica le viaggio sorregge anche la scienza moderna. Ciò che è autentico non è più ciò che sta al
centro, all’origine, ma è ciò che sta oltre ai confini perché lì c’è la vera origine dell’umanità, cioè un’umanità
non condizionata dalle sovrastrutture di tipo culturale che pian piano si sono venute sedimentando l’una
sopra l’altra, modificando modi di agire e atteggiamenti degli individui.
IL VIAGGIO E LA SCIENZA MODERNA
-Il rinascimento ridefinisce il viaggio come osservazione consapevole e disciplinata della natura e
dell’umanità.
- Emerge come fattore positivo La curiositas, perde la sua connotazione moralmente negativa per via del
sospetto che i sensi potessero condurre a una conoscenza ribelle, autonoma e contrapposta all’amore di
Dio.
-La persona non provvista di strumenti culturali atti a rendere verosimili concetti falsi viene considerata più
affidabile della persona maturata sui libri.
-Cfr. le spedizioni scientifiche, geologiche, Darwin, etc.

IL VIAGGIO E LE SCIENZE UMANE


Consideriamo i viaggi delle scoperte scientifiche…Ricordiamo il viaggio di Darwin, che ha elaborato la sua
teoria evoluzionista, facendo viaggi in Sud America in cui ha osservato specie di uccelli e le loro
modificazioni. Ma, non sono solo i viaggi che danno origine a scoperte nell’ambito delle scienze naturali, ma
anche viaggi che hanno lo stesso tipo di smentica, ossia vanno sempre alla ricerca dell’autenticità della
62
realtà, ma nell’ambito delle scienze umane da parte di antropologi in Africa, in società tribali, nel pacifico,
per conoscerne la cultura.
-Nel XVIII e XIX secolo anche le scienze umane partono per viaggi orientati alla conoscenza
dell’Altro (cfr. antropologia).
-Se tradizionalmente la cultura europea aveva proceduto secondo una prospettiva etnocentrica, che
tendeva a esportare universalmente le caratteristiche dell’occidente, le scienze umane e sociali iniziano a
ribaltare la prospettiva e a partire dalla conoscenza delle differenze e delle specificità di ciascun popolo per
scoprire le proprietà universali comuni a tutti gli esseri umani. 8attenzione rivolta al viaggio verso l’atro,
ossia una forma di esplorazione del mondo fisico-naturale e sociale, dello stato di natura e del buon
selvaggio.)
- «Il buon universalismo parte da un’approfondita conoscenza del particolare giungendo a far sì che gli
individui conoscano sé stessi attraverso gli altri» (40).
-Attraverso le scienze umane e sociali viene valorizzato lo stato di natura, lo stato selvaggio, il primitivismo,
l’età dell’oro.
-I popoli diversi rispetto agli occidentali sono valorizzati perché portatori di caratteri opposti a quelli
moderni: semplicità anziché complessità (caratteristiche delle società moderne), natura anziché arte,
spontaneità invece che ragionamento, originarietà invece che progresso, etc. Questa reazione verso l’altro
può produrre un universalismo, ossia una conoscenza delle caratteristiche universali della specie umana.
(ad esempio che la vita sociale degli uomini porta all’elaborazione di un oggetto culturale).

ESOTISMO ED EGOCENTRISMO
- L’interesse per le culture altre, primitive – che rimanda ad un certo esotismo – viene superato da
un’altra mentalità del viaggiatore moderno ben rappresentata da Chateaubriand. Accanto a questo modo
di intendere il viaggio, nell’Ottocneto ne emerge un’altra che, anziché giocare sulla contrapposizione tra il
centro e l’altro, l’igoto e l’ignoto ed essere soggetta al fascino dell’esotismo, rivolge l’attenzione all’ego del
viaggiatore (egocentrismo). Chateaubriand nel suo diario di viaggio non descrive le realtà che osserva, ma
tiene nota di ciò che accade nei suoi pensieri, quindi non è interessato agli altri, ma a se stesso, quindi si
passa ad una forma di egocentrismo e il viaggio diventa l’occasione per parlare e riflettere di sé.
- Chateaubriand non racconta ciò che ha visto, ma ciò che ha provato, non parla degli altri, ma di se stesso.
«È straniero dappertutto, stanco di tutto, indifferente agli esseri umani, in perpetua contemplazione di se
stesso» (Todorov 1991). Qui è riassunto il passaggio dall’esotismo all’egocentrismo.
- L’individualismo moderno (sottolineare il valore dell’individuo) è «degenerato» in egocentrismo. Al posto
dell’antico viaggiatore emerge il turista moderno. Ecco dunque descritta la parabola della concezione
occidentale del viaggiare nel mondo: dal pellegrino- all’esploratore- al turista. Questa è la parabola
descritta da tre semantiche del viaggio succedute in occidente, secondo Savelli, nel corso dei secoli
dall’antichità classica alla modernità.
L’INVENZIONE DEL VIAGGIO «INUTILE»
Pian piano con Chateaubriand dall’Ottocento emerge appunto l’idea del viaggio come puro viaggio di
piacere. Questa è quindi la semantica con cui leggere il fenomeno del turismo, da intendersi appunto come
viaggio di piacere o se mai alla ricerca di se stessi o valorizzazione della propria individualità.
-Sino all’800 il viaggio aveva finalità specifiche.
Viaggiatori: commercianti, soldati, corrieri, uomini di stato, dotti, scienziati, studenti, mendicanti,
aristocratici in formazione, ai bagni termali, etc.
Con l’800 emerge lentamente il puro viaggio di piacere.
Ci sarebbero gli anti-turisti poi, ossia coloro che viaggiano in modo atipico (non è importante)

63
La semantica del viaggio come puro piacere si afferma nell’Ottocento e le guide per viaggiatori stampate e
pubblicate in questo periodo danno conto di questa semantica de viaggio. Tra i primi esempi di guide
turistiche espressione di un nuovo modo di intendere il viaggiare e il rapporto individuo-società è dato dai
Red Book di Murray.

IL PURO VIAGGIO DI PIACERE- Murray, Red Book (Handbook for Travellers on the Continent -1836); le
guide Baedeker (1828) sono i primi testi del nuovo modo di intendere il turismo, reso possibile da un nuovo
modo di intendere il rapporto tra individuo e società introdotto dalla rivoluzione borghese che corrisponde
a una nuova coscienza della libertà. (guida per la Germania del Nord, L’Italia del Nord, la Turchia e
Constatinopoli, Londra…). Il Romanticismo fornisce le basi culturali del turismo moderno (cfr. Wordsworth,
Coleridge, Byron) propongono un’idea di libertà che sfugge alle minacce di soffocamento ad opera della
nascente organizzazione capitalistica e della restaurazione politica post-napoleonica. Una libertà proiettata
verso lontananze incantate. Lord Byron dà testimonianza anche nel suo stile di vita, è noto per aver nuotato
nel golfo ligure, per essere venuto in Italia… Questi autori danno un’idea di viaggio come qualcosa verso
ambienti carichi di suggestione e palano di un rapporto tra l’individuo e all’ambiente naturale molto
particolare quindi sono un po’ una fonte ispiratrice di un certo modo di intendere il turismo.

PROCESSI DI DISTINZIONE E IMITAZIONE


-Il turismo moderno è soggetto alle logiche di diffusione dei consumi descritte dalla sociologia (Veblen,
Simmel). Simmel è un sociologo tedesco, Veblen è un economista e sociologo. Essi propongono teoria del
consumo che possono essere applicate anche all’ambito turistico.
-Veblen: consumo vistoso come indicatore di onorabilità, cioè di distinzione sociale. Quindi, sostiene che
gli individui consumano beni per dimostrare agli altri la loro onorabilità sociale, quindi per distinguersi dagli
altri.
-Simmel: «trickle down effect» i consumi di certi beni e servizi sono soggetti ad un processo di diffusione
che muove dalle classi superiori a quelle inferiori secondo logiche di imitazione. Secondo Simmel quindi
gli individui dei ceti sociali inferiori tendono a realizzare i consumi tipici dei ceti sociali superiori
nell’illusione di raggiungere, attraverso i comportamenti di consumo, una condizione sociale migliore
rispetto a quella in cui si trovano: Ci sarebbe quindi una sorta di imitazione degli stili di consumo e un
gocciolamento di questi dai ceti superiori a quelli inferiori, salvo poi vedere che i ceti sociali superiori,
quando i consumi tendono ad uniformarsi alzano l’asticella dedicandosi ad altri tipi di consumi e vengono
inseguiti dai ceti sociali inferiori. Questa teoria è applicabile tranquillamente anche al caso del consumo
turistico. Se noi guardiamo le fasi del turismo in occidente, vediamo che c’è una sorta di imitazione dai
parte dei ceti sociali inferiori nei confronti di quelli superiori. Savelli presenta una serie di modalità di
comportamento turistico che si sono realizzate nei secoli scorsi e che hanno visto questi processi di
imitazione. Savelli dice che il grand tour aveva caratterizzato il viaggio dei ceti elevati del Settecento e
ottocento, verso soprattutto viaggi di nobili verso l’Italia e la sua arte, poi con la Rivoluzione Francese il
Grand Tour perde di rilevanza e si realizza una sorta di grand Tour della borghesia, ossia si tratta di viaggi
effettuati da parte di rampolli delle famiglie borghesi verso i centri industriali per studiare come avviene la
produzione e il commercio dei beni dell’industria e su come sviluppare la propria industria. Quindi, questo è
un primo effetto di gocciolamento. Poi Savelli analizza un altro comportamento turistico che si è affermato
sulla fine dell’ottocento-inizio Novecento: i viaggi degli svernanti, ossia di coloro che dal Nord Europa di
muovevano in zone calde per godere di condizioni climatiche più favorevoli. E anche qui c’è stato un
sgocciolamento. A seguito di questo processo, il comportamento turistico degli svernanti perde di rilevanza,
cioè i ceti elevati smettono di andare in inverno nelle zone calde e agli inizi del Novecento c’è una nuova
attenzione verso le aree fredde dell’Europa centrale e si afferma un turismo montano/ alpino in inverno. A
64
anche qui inizialmente sono i ceti più ricchi e poi si diffonde verso i ceti inferiori. Emerge sempre nel
Novecento (all’inizio, fine Ottocento) quindi un’altra forma di turismo verso le zone termali. Anche qui si ha
una forma di sgocciolamento. Ad esempio in Italia è nota la stazione termale San pellegrino in Lombardia.
Poi si ha il turismo sportivo e anche qui si ha uno sgocciolamento.
Per riassumere quindi, è stata per lo più l’Inghilterra a innescare processi di distinzione ed imitazione in
ambito turistico:
Grand Tour
«Svernanti»
La montagna, le Alpi
Stazioni termali
Sport: tennis, golf, regate ippica, caccia alla volpe, tiro con l’arco, etc.

PROCESSI DI DISTINZIONE E IMITAZIONE è attivo anche oggi. Magari questo effetto di gocciolamento non è
molto evidente nella borghesia, ma magari nello show-business in cui si hanno comportamenti che
diventano testimoni per altri che li seguono.
Il processo di distinzione-imitazione e di democratizzazione del turismo inizialmente si realizza passando
dalla aristocrazia (dai percettori di rendite) alle masse (ceti medi e strati popolari). Per diverso tempo la
borghesia rimane fuori dalla dinamica perché impermeabile ai piaceri (Weber), dopo il 1926 e la seconda
guerra mondiale l’approccio della borghesia cambia ma lentamente. Tuttavia il processo di imitazione
permane molto attivo coinvolgendo nuovi soggetti: i personaggi dello show-biz e soprattutto la massa dei
ceti medi.

Fine del secondo capitolo

LE ORIGINI DELLA DISCIPLINA: CRITERI DI DEFINIZIONE E CLASSIFICAIZONE DEL TURISTA (CAP 3)

DAL FORESTIERO AL TURISTA-“Fondazione” della sociologia del turismo . Per Savelli sono gli studi sulla
figura del forestiero a sviluppare la sociologia del turismo. (collgemaneto con riflessioni di Simmel della
lezione 16)
In seguito agli studi sull’estraneo avviati da Simmel, matura in Europa la “scienza del movimento del
forestiero” (Fremdenverkehrswissenschaft) che pone le basi per la sociologia del turismo. Si tratta in origine
di studi sugli aspetti oggettivi ed esteriori del fenomeno. Successivamente si sviluppa un interesse per le
motivazioni che sostengono i viaggi.
Una prima definizione dell’oggetto di studio (il movimento dei forestieri):
“I viaggi che vengono intrapresi a fini di ricreazione, di piacere, di attività lavorative e professionali o per
motivi analoghi, in molti casi in occasione di manifestazioni o avvenimenti e nei quali l’assenza di una
residenza stabile si determina solo temporaneamente” (Borman 1931). Egli definisce così il comportamento
turistico. Il turismo sarebbe costituito dai viaggi descritti da Borman ed egli non pone particolare attenzione
alla motivazione del viaggio. Quindi, che sia un viaggio di lavoro o di piacere non fa differenza, secondo lui si
tratta sempre di comportamento turistico. Poi però emerge questa distinzione e rimane come
comportamento turistico il viaggio di piacere e non quello di interesse.
La motivazione è poco rilevante, lavoro o tempo libero non discriminano
Così come è irrilevante il tema delle relazioni sociali che un tale tipo di spostamenti genera.
Quindi inizialmente l’oggetto di riflessione è dato dai movimenti dei forestieri.

65
IL CONTRIBUTO DI VON WIESE- “FONDAZIONE” DELLA SOCIOLOGIA DEL TURISMO
Von Wiese, sociologo che genera quessta tripartizione dlele motivazioi del forestiero.
Ispirandosi a Simmel, von Wiese (1930) costruisce una tipologia del forestiero:
1) Il forestiero con intenzioni ostili o di sfruttamento: il conquistatore, il condottiero o il funzionario di una
potenza esterna.
2) Il forestiero con intenzioni né ostili né amichevoli: il suo soggiorno è casuale, egli non intende diventare
“ospite”. Questa è la motivazione di chi si trova in un contesto e non è ostile, ma non intende nemmeno
riallacciare relazioni nel contesto in cui si trova. Questo atteggiamento non è quello del turista. E’ come un
passante che passa su un territorio senza alcun interesse, mentre il turista ha interesse .
3) Il forestiero con motivazioni interessate: il commerciante, il ricercatore, il viaggiatore di piacere; tutti
sono interessati ad una relazione con la popolazione; questa motivazione lo caratterizza come ospite.
Il terzo tipo di motivazioni diviene oggetto specifico di interesse per il filone di studi che si configurerà poi
come sociologia del turismo.

Emergerà l’idea che le risorse economiche spese nel viaggio debbano essere accumulate nella sede di
residenza del viaggiatore e il viaggio sarà solo quel tipo di viaggio. Man mano che il concetto di forestiero
viene restringendosi si apre la strada per la fondazione della sociologia del turismo
-Un ruolo rilevante è giocato dalla considerazione delle funzioni economiche del viaggio
-Il movimento dei forestieri è “il movimento di persone che si allontanano provvisoriamente (la
provvisorietà è un aspetto fondamentale del turismo) dalla loro residenza stabile per recarsi in altri luoghi
al fine di soddisfare bisogni vitali o culturali, o di appagare desideri personali della più diversa natura,
esclusivamente in qualità di consumatori di beni economici e di risorse culturali” (Morgenroth 1929). In
questa definizione è sparita l’idea che attraverso il viaggio si produca un vantaggio economico per il
viaggiatore, cioè è sparito il viaggio di lavoro dal turismo. “Il denaro che i turisti spendono durante il viaggio
deve essere tratto dalla loro attività ordinaria e dalla loro residenza abituale non guadagnato nei
luoghi visitati” (Ogilvie 1933). Pian piano viene quindi a restringersi il campo e definito l’oggetto di studio
della sociologia del turismo. Nel secondo dopoguerra riprendono l’interesse e gli studi con un
atteggiamento più aperto ad includere nell’analisi nuove variabili
-Emerge la società dei consumi, società affluente e opulenta.
-Si realizza l’avanzata dei ceti medi.
-Cambia il modo di intendere il tempo libero
Si va in cerca di una definizione scientifica del comportamento turistico anche ai fini della rilevazione
statistica e della comparazione. (questo lucido non è molto importante, mentre quello che viene adesso
si)

Knebel, autore importante nell’ambito della


sociologia del turismo, utilizza il concetto di una
sorta di bisogno di movimento per definire il
comportamento turistico. Questa motivazione al
movimento sarebbe caratteristica universale di tutti
gli esseri umani. Quindi, il comportamento turistico
sarebbe una forma di consumo che risponde al
bisogno del movimento tipico di tutti gli esseri
umani. Per l’Alliance.I. de Tourisme sarebbe un
bisogno di movimento a spiegare il comportamento
66
turistico. Se però fosse solo questo, diventerebbe difficile spiegare la variabilità del comportamento
turistico.
Non è sufficiente parlare di un bisogno innato di movimento, ma si deve parlare anche della variabile del
piacere del viaggio e della risposta a un bisogno di
lusso. Il turismo emerge quando non ci si muove
per interessi materiali, ma simbolici e culturali, nel
senso di non materiali.

Questa definizione è abbastanza precisa del


comportamento turistico ed è descritta anche
secondo un diagramma di flusso che Chen
propone, consapevole del fatto che il
comportamento turistico è un fenomeno
soggetto al cambiamento culturale e quindi
potrebbe essere soggetto a variazioni e
modifiche. Cohen prova a definire alcuni criteri/
paletti per stabilire il perimetro del
comportamento turistico. Vediamo i paletti:
Cohen parte dal concetto di viaggio, dalla figura
del viaggiatore e poi analizza una serie di criteri
definitori del viaggio. Il primo criterio è la durata.
Se il viaggio è temporaneo allora si tratta di una
forma di turismo, se invece è permanente non
siamo più nel campo del turismo ma si ha la
figura del girovago, barbone o del nomade. Altra
variabile è la volontarietà….
Tutti i punti, eccetto l’ultimo, riguardano la
motivazione generale. Per quel che riguarda la
motivazione specifica dobbiamo dire che il
viaggio deve essere orientato al cambiamento.
(questa parte è molto importante!)
PER Cohen ci sono delle FORME PARZIALI DI TURISMO (COHEN 1974)
Soggiorno alle terme
Viaggio di studio
Pellegrinaggio
Ritorno alla terra d’origine
Congresso o convegno
Viaggio d’affari
Turismo lavorativo
Visite ufficiali

67
TIPOLOGIE DEL TURISMO (IMPORTANTE! All’esame mostrerà la slide con una delle tipologie e tenendola
sotto mano chiederà di commentarla.)
Prima di veder ei vari elenchi vediamo una distinzione di
fondo che serve per classificare il turismo. Cohen dice che il
comportamento turistico può essere descritto facendo
appello alla distinzione tra ordinario e straordinario. Il
turismo è una forma di viaggio orientata all’evasione
dall’ordinario. Può essere visto come. Un’evasione nello
spaio, nel tempo oppure un’evasione come forma di sfogo
oppure spirituale. Questo è un criterio di fondo da tener
presente per spiegare il comportamento turistico. Cohen
parla di una motivazione specifica al cambiamento e fa
riferimento a questa declinazione dell’evasione, che però
non è di Cohen.

Il sightseer privilegia forme di turismo legate al


soggiorno in una certa località nella quale si svolgono
attività molto diverse da quelle della vita quotidiana
nelle attività professionali, ma dall’atro si svolgono
attività routinarie di nuovo tipo nella località turistica
in cui ci si reca. Il vacationer è un turista abbastanza
tradizionale e ripetitivo che, una volta individuato un
certo tipo di comportamento turistico tende a
ripeterlo nel tempo, è il turista “stessa spiaggia,
stesso mare”. Il vacationer tende a non cambiarlo
perché si riposa sapendo già cosa lo attende. C’è poi
un altro tipo di turista che evade dalla routine puntando sul movimento, sulla novità e il cambiamento.
Desidera conoscere nuove culture ed è meno preoccupato degli aspetti del comfort che invece preoccupa il
vacationer per il quale i servizi dell’ospitalità sono importanti, mentre per il seightseer questo è meno
rilevante.
Altra tipologia è quella proposta dagli antropologici i
quali dicono che si può osservare il turismo come
una sorta di rito. Esistono due tipi di ritualità. I riti di
intensificazione sono quelli tipo delle tribù
totemiche (collegamento Durkheim) in cui gli
individui si ritrovano per intensificare la loro
appartenenza a un gruppo sociale e per dare
sempre maggior valore a una serie di simboli
68
comuni che li costituisce come membri id un determinato gruppo sociale azienda, chiesa, religione,
organizzazione ecc.). Graburn parla del turismo come qualcosa di simile ai riti di passaggio che segnano il
passaggio da uno stato a un altro. Per esempio, un rito di passaggio è sicuramente la laurea o l’esame di
maturità. Ci sono degli aspetti rituali in questi eventi che segnano il passaggio da uno status ad un altro.
Secondo gli antropologi i riti di passaggio, soprattutto quelli delle tribù arcaiche, hanno qualcosa di simile al
comportamento turistico. Nelle tribù arcaiche il passaggio dalla giovinezza all’età adulta richiedeva un rito i
cui i giovani membri della tribù venivano spinti a vivere per un certo periodo nella natura cercando di
cavarsela. I giovai che si trovavano in questa condizione vivendo fuori dalla società in cui erano abituati e
dovevano conoscere questo nuovo ambiente e in questa fase sviluppavano tra loro relazioni particolari,
anche molto intense e al termine di questa esperienza venivano reintrodotti nella società assumendo il
ruolo di adulto. I turisti anche lasciano il loro contesto ordinario per vivere in un contesto di vita diverso e
magari lo fanno con altri soggetti turisti e allacciano con essi nuove relazioni intense al di fuori della società
e rientrando nella società di appartenenza assumendo un atteggiamento diverso rispetto a quello con cui
sono partiti. Vi è quindi una sorta di similitudine tra i riti di passaggio e l’esperienza del turista.

LEZIONE 18

(SE VUOI UN RIASSUNTO DI QUANTO DETTO FINO


AD ORA GUARDA I PRIMI 8 MINUTI DI QUESTA
LEZIONE)
Vediamo le altre tipologie di turismo. Si distingue
tra il turista etnico, ossia colui che era un rapporto
con i membri della località/ società verso la quale si
reca e condivide i costumi e la cultura, si immerge
completamente; si ha poi il turista culturale che è
attento alla cultura delle popolazioni, soprattutto di
quelle tradizionali che stanno scomparendo; poi c’è
il turista storico che seguo il circuito museo-
cattedrale, cioè ama osservare le vestigia delle
civiltà e della cultura che hanno caratterizzato una certa località. Poi si ha il turista d’ambiente che si
concentra appunto sugli aspetti ambientali, cerca scenari naturali. Poi c’è il turista ricreativo che non ha
attenzione particolare per i contenuti culturali o ambientali della località, ma è attento agli aspetti ricreativi,
è un vacationer, non ha mire da esploratore. Altra tipologia, sempre attenta agli aspetti simbolici e culturali,
è data da tutta un’altra serie di turisti:
Rispetto agli esploratori, i turisti d’élite si
organizzano maggiormente. Il turismo di massa
iniziale è in crescita, mentre quello matura
conserva le medesime caratteristiche. Il turista
charter è il turista mordi-fuggi. All’esame
chiederà di leggere una di queste slide e di
commentare una di queste tipologie.

69
MACRO-MICRO AMBIENTE E “BOLLA AMBIENTALE”
Tutte le precedenti tipologie di turista giocano la distinzione tra:
-accettazione della novità/senso di estraneità
-Capacità di calarsi nel macroambienete e ricerca di un microambiente e abbandono/ricostruzione della
“bolla ambientale”. Ciascuno di noi ha un suo spazio di vita nel quale si trova a proprio agio ed è costituita
da aspetti noti al soggetto e quindi rassicuranti. (collegamento con la provincia finita di significato). Il
comportamento turistico mette a confronto la bolla ambientale del soggetto con un altrove.
Il drifter è il sightseer in pratica.

Distinguiamo tre modi di intendere il tempo libero. E’


DUMAZEDIER a creare questi 3 modi. Nel caso del
delassement è un riposo che non evade dalla bolla di
spazio, ma rimane in una località. Quella del
delassement è tipica anche delle prime società
industriali ma poi si ha il divertissement. Il tempo libero
è un’evasione dalla routine che pervade la quotidianità.

70
Il tempo libero delle feste locali sarebbe il delassmenet,
mentre quello lontano da casa corrisponde alle altre
due classificazioni. Il tempo libero lontano da casa è
tipico del turismo. Secondo Morin emergono 2 tipi di
vacanza, di cui la vacanza viaggio è quella più tipica del
turismo, ma sarebbe la distinzione tra vacationeer e
sightseer.

Fine sociologia del turismo

IL MUTAMENTO CULTURALE NNEI PASSAGGI D’EPOCA: PREMODERNITA’, MODERNITA’ E


POSTMODERNITA’
Vediamo contenuti che riguardano il cambiamento culturale. Noi abbiamo riflettuto su come sono cambiati
i contenuti della cultura nel passaggio dalla pre-modenrità alla modernità e lo abbiamo fatto attraverso il
pensiero di Durkheim.
Oggi siamo nella società post-moderna, ma che caratteristiche ha?
L’epoca moderna
-Valorizzazione del soggetto, la cultura moderna ha eletto quale sua valore di fondo proprio il valore del
individuo che porta a sottolineare l’autonomia del soggetto e il rifiuto di ogni forma di
Rifiuto dell’eteronomia, cioè di norme che si pongono sul soggetto venendo dlal’esterno rifiuto
dell’autorità. La curva gaussiana non sarà mai oggetto d’esame, ma attraverso essa abbiamo messo in
luce il fatto che la differenza tra ciò che è normale e patologico avviene attraverso criteri autoreferenziali,
cioè osservando ciò che accade nella maggior parte die casi nella società è ciò che è normale e diventa
una norma di comportamento.
-Universalismo della ragione, questo è l’unico criterio regolativo della modernità. Valorizzando l’individuo
si valorizza anche la facoltà della ragione, caratteristica distintiva della specie umana.
-Razionalizzazione del reale
Primato di ciò che è sperimentabile, attenzione verso la scienza e la tecnica come strumenti per realizzare
un progresso tendenzialmente infinito cui è destinata la specie umana.

71
Sviluppo come capitalizzazione della tecnica
-Mito del progresso necessario e infinito
-Ragionamento ipotetico come modalità di procedere della ragione umana. Il ragionamento ipotetico è “se
A, allora B”, cioè un processo di causalità.

L’EVOLUZIONE STORICA-LA PRIMA MODERNITA’


Che conseguenze ha avuto questo modo di osservare i fenomeni, le società e di concepire i contenuti
culturali e simbolici?
-Strutturazione della vita sociale che ha fatto aumentare il ruolo degli esperti
Ruolo rilevante per gli esperti, le scienze (umane e sociali) in vista della razionalizzazione e
strutturazione della vita sociale. Il lavoro delle scienze socialin8sociologia, diritto ecc.) ha portato a una
strutturazione del
-Sistema economico produttivo che ha il suo emblema nel lavoro a catena dell’industria fordista e ha
portato alla realizzazione agli inizi del Novecento di una società di massa, che è composta da tanti individui
le cui relazioni sono coordinate e regolate secondo i principi delle scienze sociali classiche (economica,
sociologia…). strutturazione del sistema produttivo, fordismo, società di massa, controllo sociale.
-Soggettività umana che interiorizza una serie di principi…
Viene proposta l’interiorizzazione di una serie di valori: autonomia individuale, ragione, etica
pubblica, progresso, formazione.
Queste ricadute dei principi di fondo della modernità sulla struttura social e culturale dei gruppi della
modernità ha condotto a realizzare un’idea della società moderna descritta da Baumen con il concetto
metafora della solidarietà. Per lui la società moderna si caratterizza da una
-Modernità solida, pesante, strutturata, sistemica. Egli è il sociologo della società liquida. E’ un sociologo
contemporaneo di origini polacche, che riesce ad uscire dalla Polonia facente parte dell’Unione Sovietica.
Egli non amava le restrizioni che il regime comunista comportava all’epoca e riesce ad emigrare e a stabilirsi
nel Regno Unito fino alla morte avvenuta non molti anni fa. E’ proprio baumen che mette in luce come la
modernità e il suo processo di evoluzione mette in luce una serie di contraddizioni.
CONTRADDIZIONI DELLA PRIMA MODERNITÀ
-Mercato e crisi di sovrapproduzione  pur essendoci un forte controllo da parte delle scienze sociali sui
fenomeni economico produttivi, non mancano in ambito economico-produttivo delle crisi cicliche. Si parla
di crisi di sovrapproduzione dall’ottocento ed è stato Marx a metterle in luce. Secondo lui erano legate al
fatto che gli imprenditori mantenevano bassi i salari dei loro lavoratori nella speranza di fare più utili
possibili e di mantenere attiva la produzione di merci. Tuttavia, se questa produzione non trova un mercato
disponibili ad accoglierle e consumarle finis cono nei magazzini delle imprese perché i consumatori non
hanno un reddito sufficiente per acquisire ciò che è stato prodotto dalle industrie e allora si generano le
crisi di sovrapproduzione. Oggi le crisi economiche non hanno più questo carattere, ma siamo reduci da una
crisi economica del 2008 che è stata una crisi dei mercati finanziari che erano stati studiati dalla scienza
economica, tuttavia nonostante il loro lavoro e il tentativo di razionalizzazione dei mercato della moneta,
c’è stata una crisi radicale che mostra come le scienze moderne delle quali la modernità aveva posto
grande fiducia in realtà non sono in grado di controllare la realtà così come si dovrebbe. Delle crisi delle
scienze europee se ne parlava già prima del 2008 ovviamente. Gli autori del circolo di Ennai ci hanno
istruito a riguardo della crisi delle scienze europee già da 100 anni a questa patte. La modernità fa della
ragione una delle fondamenta per la sua organizzazione, una volta maturata, la maturità vede incrinarsi la
fiducia nella ragione e nel sistema scientifico. Accanto a ciò viene meno anche la fiducia circa le possibilità
di sviluppo lineare della società.
-Crisi delle scienze europee (dall’episteme alla doxa)
72
-Disillusione nei confronti delle possibilità di sviluppo lineare (progresso). La modernità è caratterizzata da
una sorta di fiducia nel progresso, già nell’Ottocento di parlava delle magnifiche sorti della società
moderna, ma la fiducia nel progresso viene meno.

-Fordismo-taylorismo, che è l’organizzazione scientifica del lavoro. Taylor è stato un ingegnere che ha
applicato le regole della razionalizzazione al mondo del lavoro, contribuendo in modo decisivo allo sviluppo
del lavoro a catena e quindi del fordismo ad esempio. Si ha come risultato che gli esseri umani diventano
una sorta di servo meccanismo delle macchine, cioè l’essere umano è ciò che serve a far funzionare il
sistema di produzione a catena. Allora l’obiettivo di fondo della modernità (promuovere l’autonomia
individuale e il valore in sé dell’individuo) viene contraddetto da questo esito dell’organizzazione dei sistemi
economo-produttivi, perché l’individuo non ha più un valore in sé, ma in quanto strumento che serve a far
funzionare la macchina produttiva.
-Totalitarismi, i quali hanno segnato in Europa la prima metà del Novecento e continuano ancora ad essere
presenti in varie forme. I totalitarismi sono una modalità di organizzazione della politica che contraddice il
principio di fondo della modernità, ossia il valore in sé dell’individuo e dell’autonomia individuale. Nei
totalitarismi vi è un individuo che ha una sua autonomia e la impone come dittatore attraverso un sistema
politico organizzativo a tutti gli altri individui della modernità.
-Campi di concentramento, analizzati e visti da Baumen come l’applicazione dell’organizzazione razionale
e scientifica applicata al progetto di sterminio di determinate popolazione. Si ha quindi l’applicazione della
ragione, strumento tipico della modernità, per raggiungere un obiettivo che contraddice il valore di fondo
della modernità, perché lo sterminio di una popolazione contraddice il principio del valore in sé di ogni
individuo.
-Paradossi della norma dell’autonomia, la modernità ha posto fiducia nei confronti delle scienze umane e
sociali attribuendo ad economisti, sociologi e psicologi il compito di fornire indicazioni pratiche per la vita ei
singoli individui, ma se gli individui seguono i consigli dei professionisti, sono davvero autonomi o sono i
una situazione di eteronomia, cioè si fanno suggerire dagli esperti come vivere? Questo è ciò che si chiede
Baumen.
-Razionalità limitata
Zyngmunt Bauman racchiude tutte queste contraddizioni dicendo che la modernità ha mostrato le sue
criticità ed ecco allora che le subentra un’altra cultura/ società che cerca di emendare gli aspetti critici della
modernità. Questa è la post-modernità, che cerca di porre riparo ai limiti che ha mostrato la modernità. Si
afferma allora soprattutto in occidente la società post-moderna.
La società postmoderna
-1956 inizio dell’era post-industrale, alcuni considerano questa data come l’inizio della postmodernità. Ma
perché cosa è successo in questa data? Il numero degli addetti al settore terziario (servizi) ha superato la
somma la numero del numero degli addetti del settore primario e secondario (agricoltura e industria)
-Il postmoderno come dimensione culturale dell’epoca post-industrile. Cioè per alcuni la società
postmoderna non sarebbe che il tratto culturale della società post-industriale.

Secondo alcuni invece è il 1968 l’anno in cui si segna la linea di confine oltre la quale ci si colloca all’interno
della post-modernità, perché in quest’anno si affermano i movimenti di contestazione giovanile in Europa e
negli Stati Uniti i giovani misero in discussione le istituzioni della società moderna, come lo Stato, la
famiglia, la religione, la scienza per certi versi anche. Uno degli slogan di quell’epoca era “la fantasia al
potere”. In questi anni si ha una fine delle grandi ideologie e narrazioni: Questo verrà radicalizzato una
ventina d’anni dopo: nel 1989
-‘68 – Contestazione
73
-Fine delle grandi narrazioni (grand récits)
-Affermazione dell’ambivalenza, del rischio, della razionalità limitata

-1989 – Globalizzazione. Secondo alcuni è questa la data che segna il confine. Nel 1989 si ha la fine del
regime sovietico, l’avvio di un processo di globalizzazione, il radical abbandono delle grandi ideologie e
narrazioni. Questo impone di vivere senza certezze, mentre adesso si fuma l’orizzonte che dà ordine al
mondo.
-Vivere senza certezze, senza un orizzonte, nell’assenza di definitive spiegazioni

La post-modernità viene chiamata da Baumen la modernità liquida. Ma che cosa è? E’ un tipo di società che
perde la sua cornice fissa/ rigida, la sua strutturazione e la sua prevedibilità anche. Il tratto caratteristico
della modernità è la mutevolezza e la cultura post-moderna o della modernità liquida è la cultura che si
adatta alle situazioni, un po’ come i liquidi si adattano alla forma del recipiente in cui vengono versati,
perché non hanno una loro struttura. Questa mancanza di riferimenti fissi e questa mutevolezza è ciò che
secondo Baumen caratterizza la post-modernità.

MODERNITA’ E POSTMODERNITA’ NELLA SOCIOLOGIA FUNZIONALISTA (TULCOTT PARSONS 1902-1979)


Vediamo un’altra teoria sociologica che ben esprime la condizione dell’uomo nella modernità liquida. Qua
si vede Parsons, il sociologo più importante forse della modernità solida e Nuhman come sociologo che
descrive la condizione dell’uomo nella modernità liquida. PARSONS è AMERIANO, MENTRE Nuhrman è
tedesco.
Dalla revisione del paradigma funzionalista …
•Dall’idea di funzione del paradigma causalista (come relazione tra una causa e il suo effetto) al metodo
degli equivalenti funzionali …
•… una nuova teoria dei sistemi

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Egli, in questa sua teoria dice, che la società è caratterizzata da
tanti aspetti contradditori e tra questi, si hanno i limiti della
ragione. Proviamo a pensare a una similitudine matematica per
analizzare la razionalità limitata. Egli dice che noi oggi siamo in
una società altamente complessa e contingente. Dire che siamo in
una società complessa che significa? (collegamento con la
complessità a inizio corso). La complessità rimanda alla presenza
di tanti elementi, che a sua volta rimanda a un concetto implicito
in quello di complessità, ossia la difficoltà da
interpretare e comprendere. Contingente invece
significa che viviamo in una società che si mostra in
modo diverso da come è. Il concetto di contingenza è
l’opposto del concetto di necessità. Una cosa
contingente è una cosa non necessaria, quindi che non è
prevedibile che accada in un certo modo. Nella relazione
causa-effetto c’è un nesso di necessità, ad una
determinata causa corrisponde un certo effetto. La
situazioni e in cui noi siamo oggi, caratterizzata da elevata complessità, comporta una certa contingenza,
cioè i fenomeni non si presentano secondo le modalità con cui noi prevediamo accadano. Ammettiamo di
essere nel tempo t1 nel punto A del piano cartesiano e di voler arrivare nel tempo t2 al punto B. la modalità
solida studia il caso, affida alla scienza lo studio del caso, la quale analizza tutte le variabili in gioco e realizza
un progetto razionalizzato, che porterà la società o l’individuo da A a B. La realtà in cui viviamo però è
complessa, cioè sono talemnete tante le variabili in gioco che la scienza non è in grado di coglierle tutte e
dunque i processi sono caratterizzati da contingenza e può accadere che avendo realizzato il progetto che
dovrebbe portare la società o l’individuo a B, sd noi attuiamo questo progetto in una società complessa e
contingente potrebbe accadere che naiché andare da A a B, il processo si muova in direzione diversa,
determinando contingenza e mettendo in luce i limiti di una razionalità in cui l’individuo e le società
occidentali moderne iper-sviluppate si trovano a muoversi. Questo è un po’ il destino della razionalità
limitata della società in cui noi viviamo. Quindi, egli dice che in una società complessa e contingente
bisogna modificare il modo di osservare la realtà, bisogna abbandonare il paradigma causalista tipico delle
scienze occidentali contemporanee, ma già presente nella filosofia greca, in favore del metodo degli
equivalenti funzionali. Il paradigma causalista era già usato dai filosofi greci che studiavano la realtà
andando alla ricerca dell’essenza die fenomeni, cercando di cogliere qualcosa di unico ed essenziale in ogni
fenomeno e cogliendo questo si diceva che gli individui avrebbero potuto avere un’informazione sulla
realtà che li rassicurava operando nella realtà stessa. Ad esempio, ammettiamo di voler conoscere il tavolo.
Per i filosofi greci era essenziale coglierne l’essenza, cioè ciò che vi è di unico e specifico. Ma qual è? È
quella di essere un piano sostenuto d auna serie di appoggi, che serva gli esseri umani per svolgervi sopra
attività di vario genere. Quindi la sua essenza è questa. Questo modo di osservare/intendere il mondo era
rassicurante sino a tutta la modernità matura, perché andando in giro per il mondo, ogni volta che
vedevamo un tavolo sapevamo cosa farne, a prescindere dalla forma, dal materiale, dal numero delle
gambe… Questo era il metodo di conoscenza fino alle scienze moderne che secondo lui usano il paradigma
causalista nell’osservazione della realtà. Ma in una realtà complessa e contingente come quella in cui
viviamo, il paradigma causalista è meno rassicurante perché ci possono essere fenomeni come quello visto
nel grafico. Secondo lui non funziona più i l paradigma causalista, che cerca di conoscere tutte le cause che
necessariamente producono determinati effetti per realizzare progetti d’azione sensati. E’ quindi più
adeguato, in un contesto complesso e contingente, procedere secondo il metodo degli equivalenti
75
funzionali. Questo metodo procede in questo modo: non bisogna più andare per lui alla ricerca di ciò che
negli enti vi è di unico/ specifico, bensì di ciò che è comune, ovvero osservare e cogliere tutte le diverse
funzioni che possono essere svolte da un determinato ente/ fenomeno anche se non sono le sue specifiche.
Ad esempio, il tavolo può svolgere altre funzioni rispetto a quella principale: ci si può sedere sopra. Usare il
tavolo per sedersi significa ragionare secondo il metodo degli equivalenti funzionali. Conoscere la realtà
secondo questo metodo per lui è più rassicurante in un mondo complesso e contingente, perché mette a
disposizione dell’uomo molte più possibilità d’azione per risolvere i problemi a cui si trova di fronte. Non è
necessario presentare in maniera troppo teorica questo concetto, l’importante è averlo capito. Se è vero
che è meglio procedere attraverso il metodo degli equivalenti funzionali e quindi avere a disposizione più
possibilità per risolvere un determinato problema, secondo lui la complessità del mondo aumenta ancora di
più, perché osserviamo le tante equivalenti funzioni che un fenomeno è in grado di svolgere. Per lui è però
conveniente che aumenti la complessità della società, perché comunque vuol dire che sono a disposizione
degli esseri umani pressoché infinite possibili possibilità di esperienza e di azione. La modernità liquida/
post-modernità ha messo a disposizione questo e ciò comporta per l’uomo la necessità di selezionare tra
questo insieme un set/ insieme sensato di esperienze e azioni che da mera possibilità possano essere
tradotte in effettiva esperienza e azione. Egli elabora una teoria per scrivere la società moderna che dice
che fra queste possibilità infinite, in base al criterio del senso, bisogna selezionarne alcune che siano
traducibili in effettive esperienze-azione e selezionando queste possibilità si sviluppa una sorta di confine di
senso tra ciò che è tradotto in esperienza e azione e ciò che rimane all’esterno come insieme delle infinite
possibili possibilità. Il problema della elezione lo si risolve attraverso la facoltà/ concetto di senso e il
concetto di sistema.
… UNA NUOVA TEORIA DEI SISTEMI
•La realtà odierna è complessa e contingente (ci sono più possibilità di esperienza e d’azione di quante
siano effettivamente attualizzabili)
•Ne scaturisce un’esigenza di selezione
•Risolta attraverso i concetti di senso e di sistema
•La selezione ad opera del senso ha la forma della negazione
•Il sistema è un confine di senso tra un insieme coerente di possibilità attualizzate e altre relegate
nell’ambiente
Come opera il sistema di senso? Ci sono tanti segni meno, metafora
delle pressoché infinite possibili possibilità di esperienza e azione,
ma non sono al momento realizzate, quindi sono segni meno.
Occorre selezionarne alcune da tradurre in effettive esperienze ed
azioni, facendo divenire dei segni più. Meno per meno dà più, noi
moltiplichiamo i segni meno per meno e facciamo divenire delle
infinite possibili possibilità delle effettive esperienze ìn azioni,
collocate all’interno di un confine di senso. (collegamento con
conetti visti), che genera un sistema che si colloca nel mondo delle infinite possibili possibilità lasciando al
proprio esterno l’ambiente delle tante altre possibili possibilità di esperienza e di azione. Quindi, egli ritiene
che si possa interpretare sociologicamente il post-moderno come un contesto caratterizzato dall’esperienza
di tantissime possibili possibilità di esperienza e di azione e che l’agire umano in questo contesto richieda
un’operazione di selezione della complessità che egli risolve attraverso appunto il concetto di senso, ovvero
tra le infinite possibili possibilità occorre selezionare 9n modo sensato alcune possibilità di esperienza e di
azione da tradurre in effettive esperienze e azioni. Così si genera nel mondo delle infinite possibili
possibilità, un confine di senso tra possibilità attualizzate e le altre che rimangono allo stato latente
nell’ambiente. Questo confine di senso genera ciò che egli chiama “sistemi”
76
LEZIONE 19

Ci sono tre tipi di sistema: sistemi organici/ biologici, psichici e sociali. Questi ultimi due sono due tipi di
sistema che operano secondo il criterio del senso. I sistemi biologici invece usano altri criteri che non
vengono da lui trattati: Questo è il modo in cui egli ritiene sia più adeguato descrivere teoricamente la
società post-moderna. Quali sono le conseguenze di questo modo di intendere il post-moderno?
CONSEGUENZE DELLA TEORIA SISTEMICA DELLA SOCIETÀ
• Nel modo di osservare il mondo
• Nelle differenziazione della società e nelle relazioni tra le parti della società
• Nella relazione tra individuo e società
Vediamole ora una a una…
Egli dice che non è più possibile un consenso su
ciò che è e su ciò che vale, perché ogni sistema,
psichico o sociale, stralcia dalle infinite possibili
possibilità una serie di queste da tradurre in
esperienze ed azione e lo fa secondo criteri
proprio che non sono comuni o trasferibili, da un
sistema a un altro, da un individuo a un altro, da
un’organizzazione all’altra o da un sistema sociale
a un altro. Questo è il grafico della Gian paolo
Fabris, società di ricerca italiana importante, che
dal 1990 al 2006 ha chiesto a un campione
rappresentativo degli italiani in che misura è
d’accordo con la seguente affermazione: “ho dei valori e degli ideali in cui credo profondamente”. Nel ’90
era il 60% circa che rispondeva affermativamente, mentre nel 2006 questa percentuale è scesa del 46%,
quindi ha avuto un calo del 13% circa, quindi forse è vero che il consenso sui valori si riduce nel contesto
delle società complesse e contingenti come è quella post-moderna.

Rispondiamo adesso alla domanda sulle conseguenze che un tale modo id osservare la realtà ha
sull’organizzazione sociale/ la differenziazione della società. Ogni società ha un problema di
differenziazione interna, nel senso che deve distinguere al proprio interno delle parti. Nel corso della storia
si sono succeduti tre modi di elaborare la differenziazione interna della società. Il primo modo era quello
della differenziazione segmentaria: la società si
differenzia al proprio interno in parti che vanno
dalla più grande alla più piccola, ma nella
struttura le parti della società sono simili tra
loro, cioè le società tribali si suddividono in clan
al cui interno si suddividono in famiglie, che sono
la parte più piccola della società. Ma, famiglia,
clan e tribù si assomigliano per la struttura (capo
con uguali poteri etc.). (collegamento con
Durkheim). Ciò che è rilevante è sottolineare il fatto che le parti della società
Si distinguono per dimensioni/ grandezza, ma non per struttura. La parte più piccola assomiglia per
struttura alla parte più grande della società.

SOCIETA’ TRADIZIONALE DIFFERENZIATA IN STRATI


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Successivamente, a partire dall’epoca classica e soprattutto in epoca medievale si è affermato un tipo
diverso di differenziazione: la differenziazione stratificata. Ovvero, all’interno della società si sono
cominciati a distinguere degli strati che si sovrappongono li uni agli altri, determinando dei livelli di potere
all’interno della società e distinguendosi per le funzioni svolte. Non sono tutte uguale tra loro.
Ad esempio nel caso della società medievale si ha al vertice di questa stratificazione la nobiltà che esercita
il potere politico all’interno della società, poi vi sono i cavalieri che svolgono una funzione militare, poi ci
sono i religiosi/ ecclesiastici che svolgono una funzione religiosa e poi vi è il terzo stato, ossia la borghesia,
che svolge una funzione produttiva all’interno della società e i servi della gleba che supportano la borghesia
nella funzione produttiva ed esercitano una funzione riproduttiva della forza-lavoro all’interno della società.
Questa è la differenziazione stratificata, le parti della società, quindi, cominciano a distinguersi per funzioni
ed esiste una gerarchia di potere tra le varie funzioni all’interno della società.
Con l’avvento della modernità, la differenziazione sociale
cambia e la società può essere intesa come un grande sistema
al cui interno si distinguono dei sottosistemi che hanno una
precisa funzione, ovvero quella di raccogliere tutte le
informazioni, le conoscenze e le risorse disponibili per
affrontare uno dei problemi della società. Si ha quindi, ad
esempio, il sottosistema dell’economia, che svolge la funzione
di produzione e distribuzione dei beni e dei servizi. La società ha
bisogno di produrli per gli esseri umani e affida all’economia la
funzione di raccogliere tutte le risorse informative e le energie e
materie prime disponibili per svolgere questa funzione. Altro sottosistema della società è quello sanitario
che si occupa della cura degli organismi biologici degli esseri umani; la politica si occupa della gestione del
potere ecc.. Emergono tanti altri sottosistemi tutti definiti dal fatto di svolgere una specifica funzione.
Questo tipo di differenziazione si chiama “funzionale”, mentre la seconda “stratificata” e la prima
“segmentaria”. Nel caso della differenziazione funzionale della società, che tipo di relazione c’è tra i bari
sottosistemi della società? Questa P una delle domande che egli si pone, cioè nella post-modernità che tipo
di relazione c’è tra i vari sistemi? La sua risposta è la seguente: nella postmodernità non c’è più un vertice e
un centro della società, perché se il principio della differenziazione funzionale è dato dal fatto che ad ogni
sottosistema è affidata la funzione di trovare tutte le risorse, le informazioni al momento disponibili per
affrontare uno die problemi della società, allora non c’è più un sottosistema che possa dirigere un altro
sottosistema e diventare vetrice/ centro della società e quindi volgere la funzione di indirizzare gli altri
sottosistemi nella loro zione, perché ciascun sottosistema è il più competente nello svolgere la sua attività e
non ce ne può essere un altro che detta/ insegna le modalità con cui ogni sottosistema deve agire. Questo è
un elemento caratteristico della postmodernità, questa difficoltà che si ha ad individuare il vertice7cento di
una società. Nella società medievale esso era dettato dalla nobiltà che aveva nella gerarchia di potere la
posizione apicale. Oggi giorno vediamo come la politica, che in teoria ambirebbe al ruolo di svolgere la
funzione di centro della società, fatica a svolgere questa funzione e quando deve affrontare determinati
problemi, chiama in soccorso dei tecnici specializzati a trattare questi problemi. Ad esempio, l’unità di crisi
del governo era composta da persone che avevano la competenza specifica, in questo periodo,
nell’affrontare il tema del contagio: Dopo più di un anno di sofferenze, adesso la politica sta cercando di
ritagliare degli spazi di autonomia nelle decisioni: C’è il dibattito appunto su aprire o non aprire, tener conto
delle esigenze del sistema economico ecc. Ciascun sottosistema ha le sue esigenze e diventa difficile
ordinare i vari sottosistemi e la politica fa fatica a farlo. Dunque, effettivamente egli ha buon gioco a dire
che, per come è fatta ala società postmoderna, non è possibile individuare un centro/ vertice ma i vari
sottosistemi interagiscono gli uni con gli altri come se fossero un po’ ambienti l’uno per l’altro. Quindi,
78
subiscono le influenze degli altri sottosistemi, ma nessun sottosistema si lascia determinare completamente
dagli altri.
Poi egli si chiede qual è il posto dell’individuo all’interno della società post-moderna? Questo è il punto più
importante. Il signor Rossi dove lo si colloca nella società differenziata per funzioni? Ossia, in che punto
della società noi possiamo essere collocati, qual è la nostra collocazione? Pensi che gli individui vadano
messi all’interno di sottosistemi diversi oppure no? Forse possiamo stare in tutti i sistemi? Ad esempio,
nella politica perché andiamo a votare, nell’economia perché acquistiamo ecc… Vediamo, la soluzione che
ha proposto lui. Secondo lui, gli individui entrano ed escono dai vari sottosistemi ella società a seconda die
loro bisogni. Studiando, siamo dentro quello scientifico-informativo. Ma, secondo lui, perché questo posa
avvenire, gli esseri umani devono stare nell’ambiente della società, cioè sono fuori da essa e non
determinati da nessuno ei sottosistemi della società. Mentre nelle società precedenti, gli individui erano
appartenenti a un certo strato (famiglia nobile sei nobile, famiglia reale, un reale ecc.), dove la posizione
degli individui all’interno dei sottosistemi della società era determinata e determinava anche l’identità
dell’individuo. Secondo lui, invece in questo caso l’individuo sta nell’ambente de sistema ed entriamo
usciamo dai vari sistemi a seconda delle nostre esigenze. Perché tutto questo sia possibile l’individuo deve
stare nell’ambiente del sistema. Tanto è che egli dice che i sistemi sociali sono diversi da quelli psichici. Gli
esseri umani sono per lui i sistemi psichici, i quali sono fatti di pensieri/
pensieri di elaborazione del senso, unità di base, mentre i sistemi sociali
sono fatti dii comunicazioni. Con la postmodernità, la quale si è assunta
il compito di correggere i limiti mostrati dalla modernità, si realizza
l’obiettivo della modernità di garantire l’autonomia dell’individuo da
ogni determinazione sociale, e solo se può stare fuori dalla società e non
essere determinato da questa che l’individuo può veder dispiegare la
propria autonomia e realizzare l’obiettivo di fondo dlela modernità.
Questa sua teoria può trovarci anche abbastanza critici, ma dobbiamo
riconoscere una capacità di interpretare la società in cui viviamo abbastanza acuta, nel senso che fornisc
eimmagini, anche metaforiche, di interpretazione die fenomeni che accadono nella contemporaneità e
servono però a capire la realtà che ci circonda.
E’ solo anche pensando che l’individuo è nell’ambiente del
sistema sociale, ma non può essere detemrinato da esso, è
esterno alal società che si può pensare alla sua autonimia.
Alcuni osservatori, dicono che la formaizone del sistema
psichico 8individuo) è un compito che può essere affidato
eclusivamente al soggetto enon a sistemi esterni:Questo è un
modo per rendere realizzato l’obiettivo dlela mdoenrità. Ci
sono al massimo consulenti epr gli individui. Così si realizza
l’obiettivo della mdoenità, ma emergono anche altre criticità
nella post-modenrità, cioè i problemi non si risolvono
definitivamente con la postmodenità, ma ne nascono altri.
Tuttavia, sentiamo un video di Jovanotti: “io ogni settimana, da piccolo, univo i puntini nella settimana
enigmistica. Erano glli anni Ottanta, io mi innamorai della musica e venni a Milano a lavorre a radio Deejay.
Non univo più i puntini, ma facevo io delle figure a caso, ma lasciavo fuori qualche puntino e mi dispiaceva.
Poi vennero gli anni Novanta, arrivò internet e io sentii un discorso di Steave Jobs che diceva- unite i
puntini-. Le generazioni prima univano i puntini in maniera più smeplic,e oggi dobbiamo cavarcela da soli e
trovare i numeri da noi. Oggi le figure sono infinite e possibili. Quando si ha una costellaizone, noi
possiamorimanere lì a guardarla, ma non c’è nessun disgeno, ci sono tutti i disegni possibili, possiamo fare
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disgeni nuovi.” Questa è la modalità solida ocn in puntini allineati, quella prima, ma oggi i sistemi sono
aperti. Questo video di Jovanotti è efficace per rappresnetare questa teoria che abbiamo visto, ci sono
molte analogie con il modo in cui lui descrive teoricamnete la condizione dlel’essere umano nella post-
modernità. Quindi, l’individuo è libero di scegliere se far parte o no di un certo sosstosistema, salvo quella
del bisogo di alcuni sottosistemi per affrontare certi problemi, quindi l’individuo è solo, non è più
direzionatp dalla società come prima. Egli ha scritto anche un tetso relativo all’amore e all’essere soli nella
società post-moderna. Ci sono sociologhi che scrivono oper eletterarie a riguardo. Essere se stessi non è
facile, è difficile definire la propria identità e l’orizzonte verso cui far andare la propria esistenza.
(collegamneto con durkheim e il suicidio egoistico).

Riflettimao sulal condizione dlel’individuo nella società post-moderna e leggiamo alcune parti del testi II
nuovi barbari di Alessandro Baricco. Egli parla delle giovani generazioni come se fossero dei barbari che
invadono l’habitat/ il contetso in cui gli anziani sono abituati a vivere e descrivere qual’è il modo di
procedere degli individui socializzati nella ascente cultura post-moderna.
«Potrebbe essere, me ne rendo conto, il normale duello fra generazioni, i vecchi che resistono all'invasione
dei più giovani, il potere costituito che difende le sue posizioni accusando le forze emergenti di barbarie, e
tutte quelle cose che sono sempre successe e abbiamo visto mille volte. Ma questa volta sembra diverso. È
così profondo, il duello, da sembrare diverso. Di solito si lotta per controllare i nodi strategici della mappa.
Ma qui, più radicalmente, sembra che gli aggressori facciano qualcosa di molto più profondo: stanno
cambiando la mappa. Forse l'hanno perfino cambiata. Dovette succedere così negli anni benedetti in cui,
per esempio, nacque l'Illuminismo, o nei giorni in cui il mondo tutto si scoprì, d'improvviso, romantico. Non
erano spostamenti di truppe, e nemmeno figli che uccidevano i padri. Erano dei mutanti, che sostituivano un
paesaggio a un altro e lì fondavano il loro habitat.»
Si ha una descrizione positiva dlela post-modernità, come modificazione della mappa/ dell’habita in cui li
individui si muovono.
Il paradigma causale non funziona più, è quello che andava alla ricerca dell’essenza7 del profondo, ma nella
società post-moderna l’esperienza adesso viene fatta in modo diverso. La conoscenza da parte die nuovi
barbari di chi si muove a proprio agio nella post-modernità è la seguente: […]
In generale, i barbari vanno dove trovano sistemi passanti. Nella loro ricerca di senso, di esperienza, vanno
a cercarsi gesti in cui sia veloce entrare e facile uscire. Privilegiano quelli che invece che raccogliere il
movimento, lo generano. Amano qualsiasi spazio che generi un'accelerazione. Non si muovono in direzione
di una meta, perché la meta è il movimento. Le loro traiettorie nascono per caso e si spengono per
stanchezza: non cercano l'esperienza, lo sono. Quando possono, i barbari costruiscono a loro immagine i
sistemi in cui viaggiare: la rete, per esempio. Ma non gli sfugge che la gran parte del terreno percorribile è
fatto da gesti che loro ereditano dal passato, e dalla loro natura: vecchi villaggi. Allora quel che fanno è
modificarli fino a quando non diventano sistemi passanti: noi chiamiamo questo, saccheggio. Quindi il fatto
di fare esperienza e conoscere il mondo per gli individui nel post-moderno è quello di passare da
un’esperienza all’altra, come se gli uomini post-moderni fossero su una tavola da surf e passassero da
un’esperienza all’atra senza mai fermarsi su una, perché lo scavo/ la ricerca della profondità nella
postmodernità non ha senso, ma sono le connessioni tra un’esperienza e l’altra ad avere senso.

IL CONSUMO POSTMODERNO
Questa è la condizione dell’individuo nella società post-moderna, rappresentabile anche nella società die
consumi. Il consumatore, soprattutto nelle società più ricche, si trova di fronte ad un insieme
tendenzialmente infinito di possibili beni di consumo che non sono altro che possibilità di esperienza e di
azione. Anche noi che ci muoviamo nel sistema turistico, sottosistema del sottosistema economico, sociale
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die consumi, ci troveremo di fronte a soggetti che si orientano alla realtà in questo modo. Questa pubblicità
rappresenta la condizione del consumatore nel post-moderno.

Tralasciando la prima, la modernità si concentra sulla


realtà, mentre la postmodernità iperreale, una realtà
virtuale. La modernità ha fra i principi cardine il
perseguir uno scopo, magari definito dalla scienza,
mentre la post ha una cultura che lascia spazio anche
al gioco, la modernità è universalista è la società di
massa mentre la postmodernità, mentre la post è
particolarista e relativista, cioè attenta al singolo
individuo. La modernità ha tra i suoi settori principali
quello dell’economia, la post quello della
comunicazioni e la cultura. La modernità era incentrata sulla produzione e sulle tecnologie meccaniche
(modernità solida) mentre la post sulle tecnologie comunicative (liquida) e il consumo.
La modernità poteva essere osservata come
orientata a realizzare un processo di
occidentalizzazione del mondo, come se tutte le
culture dovessero allinearsi alla cultura
occidentale moderna, mente la post è aperto al
globalismo e lascia spazio a culture diverse anche
in ambito economico. La modernità ricercava
l’omogeneità tra le parti, la post la diversità. La
modernità determinava l’agire a partire dalla
ricerca scientifica, la post lascia aperte
all’indeterminatezza. La modernità era centrata su… la postmodernità su…
Nella modernità vie era un lavoro a catena, nella post la flessibilità (smart workig ecc.). La modernità
politicamente faceva leva sulle organizzazioni di partito, la post invece più sui movimenti. Ad esempio, la
modernità e la politica attorno al Cinque stelle che non si è proposto come partito, ma come movimento…
“opera aperta” tra l’altro è il titolo dii un saggio sulla semiotica di Umberto Eco in cui dice che i prodotti
culturali sono delle opere aperte, ossia soggette al cambiamento, sono modificabili anche dai loro fruitori.
Questi due lucidi non sono da imparare, dimenticateli. È più importante quello che abbiamo detto
precedentemente.

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