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Storia dell’Arte Medievale

6 CFU

Bibliografia di riferimento:
- S. Settis, T. Montanari, testi di C. Franzoni “Arte Una Storia Naturale e Civile”, Einaudi
scuola 2019 n.2
- F. Zuliani, “La percezione del Medioevo”, in “L’arte medievale nel contesto (300-1300):
funzioni, iconografia tecniche”, a cura di P. Piva, Milano 2006, pp.15-20
- E. Castelnuovo, introduzione, in “Artifex bonus: il mondo dell’artista medievale”, a
cura di M. Bacci, E Castelnuovo, Bari 2004, pp. V-XXXV

Nel saggio di Zuliani: fa capire come questo periodo storico venga percepito in maniera diversa a
seconda delle varie civiltà che vengono dopo che ne danno delle interpretazioni diverse.

Nel secondo, di Castelnuovo, parla dell’artista nel medioevo.

Il corso partirà dall’età paleocristiana al 1300 circa.

Le ultime dieci ore saranno dedicate a Padova e ai suoi affreschi medievali


(cappella degli Scrovegni e cicli pittorici eseguiti nel 1300):

Bibliografia di riferimento:
- L. Bellosi, Giotto, Milano 2000, pp. 31-59
- D. Banzato, M. Masenello, G. Valenzano, Giotto e i cicli pittorici del Trecento a Padova,
Skirà 2015, pp. 39-118

...parlando di Padova:

I cicli pittorici di Giotto, al tempo Rivoluziona il seguito della pittura a
(fine 1200 e inizi 1300] erano novità Padova, con realismo e attenzione
e rivoluzione.
alla narrazione. Una serie di cicli ad
affresco lo seguono:


- Guariento nella Reggia dei Carraresi

- Giusto de’ Menabuoi nel Battistero di Padova

- Guariento nella Chiesa degli Eremitani

- Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi nelle cappelle del santo (San


Giacomo) e nell’oratorio di San Giorgio nel sagrato del Santo)

1 Marzo 2021

Perché ci sono corsi di Storia dell’Arte in PGT?

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‣Le immagini sono parte del nostro patrimonio culturale e costituiscono quindi l’origine della
nostra cultura visiva
‣La storia dell’arte è la disciplina che studia la cultura visiva in cui comprendiamo pittura,
scultura, architettura e ogni arte visiva
‣Per promuoverla e valorizzarla dobbiamo conoscerla
L’immagine può essere valorizzata e tutelata sotto molti punti di vista.
Per questo il rapporto tra turismo e patrimonio è difficile e va trattato con cura.

Il caso dell’Overtourism1

Promozione:

Non deve mettere a rischio la Le città e i musei devono essere centri
preservazione della qualità di vita dei di attrattiva non solo turistiche, ma
cittadini e del turista.
luoghi accoglienti e vivibili per i
cittadini oltre che per i turisti che li
visitano.


Esempio: Costituzione di Siena 1309

Uno di compiti che vengono dati ai governatori: è quello massimamente che si


intenda alla bellezza della città, perché la città deve essere onorevolmente dotata et
guernita, tanto per cagione del diletto et alegreza de’ forestieri quanto per onore,
prosperità et accrescimento de la città e de’ cittadini di Siena.

La città era intesa come fatto pubblico:



la bellezza della città era legata direttamente all’onore dei cittadini, e doveva
essere al centro delle preoccupazioni del governo comunale.

La sfida odierna del turismo post 1. Elaborare una narrazione usando


COVID è proprio quella il turismo una grammatica interdisciplinare
sostenibile.
(contesto e narrazione della sua
Numeri più contenuti, mobilità storia e collegamenti con altre
sostenibile, ma soprattutto discipline)

competenza di chi opera nei beni 2. Risorse digitali (collegamenti tra


culturali.2
museo e istituti di ricerca, costruire
percorsi di senso)

3. Decongestionare gli spazi


attraverso la diversificazione

1 Lenzi e Galli, “La filosofia del trolley 2020 sull’overturism (il turismo consuma)”

2“SAGAS”, dipartimento che ha dedicato tre giornate sulle tematiche della pandemia e delle
problematiche sul patrimonio storico artistico in associazione con essa.
2
4. C’è bisogno della storia per conoscenza, inserire nella storia il
comprendere il patrimonio (studio e patrimonio)


Sempre si è fatta Arte, non sempre Storia dell’Arte

Da sempre gli esseri umani hanno prodotto immagini con funzioni miste
Cioè un genere letterario o un
ambito di un discorso che disponga
Poche civiltà hanno sviluppato in una narrazione sequenziale storica
qualche forma di storia dell’arte le vite degli artisti, le loro opere, il
contesto in cui essi operarono e il
giudizio sul solo valore.

Esempi: 

‣ Grecia, storia di Aristotele che ‣ Plinio il Vecchio e Quintiliano
studia non solo il metafisico ma riprendono ciò che al tempo (III
anche il fisico e dove presero a sec a.C. in Grecia) scrivevano di
svilupparsi storie disciplinari storia dell’arte gli artisti stessi

specializzate (medicina,
matematica, astronomia)

Queste fonti antiche vennero riprese, divulgate e lette da personalità come


Ghiberti, Leon Battista Alberti, Giorgio Vasari e furono l’ingrediente
essenziale per la rinascita della Storia dell’Arte che avvenne nel
Rinascimento.

Solo più tardi e gradualmente conquistò lo status accademico (fine 1700 in


Germania e poi nel resto di Europa)

Cinque linee portanti del discorso storico artistico


riprese dall’antichità:

1. L’idea di uno sviluppo storico artistico e progressivo della storia dell’arte


2. Suddivisione degli artisti in scuole regionali
3. La distinzione e la definizione di personalità artistiche individuali con le
pratiche connesse biografia e attribuzioni
4. Il giudizio d’arte (o di qualità) coi relativi linguaggi
5. La descrizione ekfrasis di opere d’arte dalla quale solo in età recente si è
sviluppata la ricerca iconografica

3
Il termine Arte Non ha corrispettivo nè greco nè latino.

Per i Greci tekne e per i latini ars: significava ogni know how o abilità di
fare qualcosa nello specifico.

Non vi era distinzione tra arte alta e arte bassa.

Non vi fu mai l’idea dell’artisticità come valore.

Il giudizio di qualità viene a partire dalla nascita dell’estetica nel 1700.

La Storia dell’Arte non fu mai la sola modalità con cui si venne a parlare di arte.
Essa è svolta in forma scritta (poesia/letteratura) ma anche in forma orale secondo
forme e linguaggi di grande varietà tra cui ricordiamo

a) Il discorso sull’arte che si svolge entro la bottega (tra maestro e discepoli)

b) Quello fuori dalla bottega tra artista e pubblico e/o tra due osservatori
davanti un’opera.

La Storia dell’Arte come disciplina specializzata è un prodotto di questo più


generale discorso sull’arte. Da quando esiste ne influenza, ne orienta le modalità e
il linguaggio.

Storia dell’Arte nel suo sviluppo storico novecentesco

Frutto di tante diverse linee di ricerca


Inizialmente era soprattutto incentrata sull’artista, più tardi più attenta all’opera d’arte e
infine si occupa della ricezione dell’opera d’arte da parte del pubblico.
Nel XX secolo si è dedicata soprattutto alla narrazione, interpretazione e spiegazione
del cambiamento storico sia in senso stilistico che iconografico e al rapporto con la
funzione delle immagini e la loro efficacia sull’osservatore.

Nel Medioevo, l’artista è guidato da una committenza. L’opera è sempre frutto di


un patto tra l’artista e l’osservatore. Parte della loro cultura visiva è ciò che ci si
aspettava dall’opera. Gli elementi di innovazione sono guidati da un cambio socio
culturale (come l’influenza dei popoli barbari all’interno dell’impero romano).

Esempio di un pulpito: in 20/40 anni passa dall’essere


rettangolare a esser poligonale, forma portata da Nicola Pisano.
Cambiano le forme, lo stile e l’iconografia.
In quel periodo, i nuovi ordini francescano e dominicano volevano
l’orazione come momento fondamentale e attraverso una pianta
con più “facce” su questi pulpiti, luogo nei
quali veniva detta la predica dal sacerdote, si
potevano decorare maggiormente, con
sculture narrative.Vi è quindi un Barga, Duomo, Pulpito, 1235 - 1240 Guido Bigarelli
arricchimento del momento della
predicazione.

Pisa, Battistero, Nicola Pisano 4


1259-1260
L’opera incrocia quindi pratiche Questo incrocio richiede la sovrapposizione
socioculturali: quella della almeno parziale del campo di competenza
dell’artista e di quello dell’osservatore (che ha
produzione e quella della ricezione a che fare con le sue abitudini visive, in
di immagini. quanto esse determinano uno specifico
orizzonte d’attesa).


2 Marzo 2021

Il termine Medioevo viene coniato dagli umanisti del


Rinascimento (1400) e vuol dire Media etas cioè Età di mezzo.

Chiamano la loro epoca precedente in tal modo perché, per loro, aveva costituito
un’età di passaggio e loro si sentivano uomini del Rinascimento dell’antichità,
venuta prima del Medioevo.

Mentre Dante e Boccaccio fanno la rivoluzione letteraria, Petrarca diceva che


la scrittura gotica era poco chiara, difficile da leggere e la criticava.

Anche uomini del 1500/1600 criticano il Medioevo. Vasari dice “maledizione


di tabernacolini” della maniera dei Gothi\barbari. Questo idea di accezione
negativa pesa terribilmente ancora oggi.

Nel 1800 si ha invece una grande rivalutazione del Medioevo. La scoperta


dell’Arte Medievale è però segnata da una forte connotazione ideologica in
chiave nazionalistica. Le nuove nazioni che poco hanno a che fare con il
Medioevo vedono nell’Arte Medievale le proprie radici.

Al tempo, rivalutandolo, le tendenze Medievali influenzano opere e


architetture del tempo.

Esempi: 

Il parlamento di Londra è stato Il pedrocchino, ad esempio, a
bruciato nel 1834 ed è stato Padova ha le guglie e i pinnacoli
ricostruito in forme neogotiche.
dell’arte gotica.


Fine Medioevo:
✦ Per gli storici dell’Arte finisce nel ✦ Per gli storici nel 1492 con la
1400 (vedi Firenze) Scoperta dell’America

Vi sono eccezioni: diversificazioni del territorio.

Milano, Duomo di Milano 1400 (tardogotico)

Padova, Rinascimentale a metà 1400

Firenze, Rinascimentale 1430 circa

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Inizio Medioevo:
✦ Per gli storici dell’Arte ✦ Per gli storici
• alcuni IV-VI secolo, con arte tardo • 632, morte di Maometto, diffusione
antica o paleocristiana degli Arabi e cambiamento dei
• alcuni VII secolo, con lo sistemi di rapporto ed economia nel
stanziamento dei barbari in Italia e Mediterraneo
l’arte longobarda

Ci sono elementi dell’arte medievale già presenti nell’età tardoantica,

Arco di Costantino,

315 d.C.: Vittoria di Costantino su Massenzio.

Sculture riprese da opere più antiche. -> Uso dello Spolia

Riutilizzate sculture di Marco Aurelio nell’attico, i tondi Adrianei.

Fregi in bassorilievi dell’età di


Costantino: attraversano l’arco
su tutte le fronti sopra ai fornici.

- Composizione molto
schematica su schemi
paratattici

- Scene imperiali: liberalitas,


imperatore elargisce premi e doni;
oratio, discorso di insediamento in cui
l’imperatore parla al popolo

Le stesse scene in precedenza hanno una


composizione più naturalistica: esempio rilievi in età
Antonina di Marco Aurelio.

Quindi, nel Medioevo:

- Si perde la nozione dello spazio inteso in maniera tridimensionale.

- Non più interpretazione mimetica ma simbolica

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Cripta di Sant’Eusebio,
Pavia, XII secolo

Fondazione longobarda (rimaneggiata in età romanica), quindi


risale a quando Pavia divenne capitale del regno longobardo,
nel 625.

Capitelli con forme, grandezze completamente nuove e tutti


diversi dall’altro:

- Fibula Alveolata (parallelepipedo slargato all’estremità con


superfici intagliate da due file sovrapposte di triangoli incisi
con forte incasso)

- Foglie d’acqua
Sono presenti rientranze in cui si inserivano paste vitree colorate -> ricorda
molto il modo di lavorare della oreficeria Gota-Unna

Alto Medioevo: tra VI-VII sec e XI sec


Basso Medioevo: XI-XV secolo

Arte Longobarda, Carolingia, Romanico, Gotico, Tardo gotico



Ottoniana

Il Medioevo fu un periodo di enorme importanza: un periodo di elaborazione


di novità nate nel periodo precedente e che costituiranno basi ineliminabili
per il periodo seguente. Di questo gli stessi uomini colti nel Medioevo
avevano coscienza.

Giovanni di Salisbury ci lascia una frase da lui attribuito al suo Maestro


Bernardo di Chartres, XII secolo:

“Diceva che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo
vedere più cose di loro e più lontane, non certo l’acume della vista o l’altezza del
nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti”

Amore dell antico, fiducia nel contemporaneo.

Avvengono grandi migrazioni di popoli, nuova religione, distruzione di


entità politiche, cambio dell’intera geografia politica e culturale
dell’Occidente e molto altro.

Il Medioevo è ancora oggi parte della nostra vita.

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Umberto Eco:

Le rovine antiche si visitano, mentre in ciò che resta del Medioevo si abita.
STUDIARE: Pagine 2-5 del Manuale + Saggio di F. Zuliani

8 Marzo 2021

I COMMITTENTI
ALTO MEDIOEVO
Sovrani e MONACI

Commissionano, ricevono opere e a volte sono loro stessi produttori.

I monasteri sono uno dei pochissimi luoghi di cultura dell’Alto Medioevo.

San Benedetto da Norcia (480-547) fonda una comunità di


uomini che vivono per Dio, lontani dalla città.

Regola, che detta le linee guida per vivere


socialmente in comunità:

-Il Monaco doveva pregare ma anche


lavorare.

-“Se ci sono degli artigiani (artifices) nel


monastero, essi devono svolgere le loro arti
manuali con tutta l’umiltà possibile e dopo
che l’abate abbia dato loro il permesso”

Nei monasteri venivano anche ospitati


artisti laici.

BASSO MEDIOEVO
COMUNI

Le città si autogovernano attraverso un consiglio di nobili o la partecipazione


corale dei cittadini.

Esempio: Palazzo della Ragione (1218-1219) poi ristrutturato da frà Giovanni


degli Eremitani (1306-1309)

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FRATI FRANCESCANI, DOMENICANI, AGOSTINIANI
I più importanti frati nel XIII secolo. Cambiano radicalmente la società
attraverso la predicazione, il nuovo rapporto con la natura (creatura di Dio).

Vedi Giotto che ritorna all’arte mimetica.

A Padova:

Pianta di Vincenzo Dotto del 1623

- Ss. Filippo e Giacomo (chiesa degli - S. Agostino (distrutta nel XIX


Eremitani + Cappella degli secolo)

Scrovegni) vi erano gli Agostiniani


- Monastero Benedettino di Santa
- S. Antonio vi erano I Francescani
Giustina -> ora a prato della valle,
allora era fuori dalla città 


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SIGNORI DELLE CORTI

Corte e del castello del Duca Jean du Berri


(1411-1416)

Grande patrimonio di opere d’arte adespota


(ignoriamo il nome di coloro che le eseguirono).
Le opere erano considerate a gloria di Dio,
opere delle arti meccaniche e quindi l’artista
non si firma. Manca anche, infatti, la storiografia
al riguardo e vi è un numero minore di
documenti.

Le firme degli artisti aumentano nel XIV secolo con veri e propri auto elogi e
autoritratti.

Altare di Sant’Ambrogio a Milano (età carolingia, IX secolo):

sulle porte dello sportello dove erano


conservate le reliquie dei santi vi
sono quattro tondi che raffigurano
due angeli e due scene che mostrano
il committente (Angilberto) e l’artista
(Vuolvino maestro fabbro) che
vengono benedetti da Ambrogio.
Presenza dei titula.

Munster, Abbazia di Arnstein (an der Lahn),


vetrata con Mosè presso il roveto ardente (1150-1160): autoritratto di
Gerlachus maestro vetraio all’opera

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Frammento di Salterio (1240-1230), particolare del
Giudizio Universale: l’artista si ritrae mentre un
angelo lo salva perché è autore della miniatura

Sawalo Monaco di Sant-Armand: si firma in vari


manoscritti e firma anche degli oggetti di oreficeria.

Duomo di Pisa (1063 architetto Buscheto e 1118


ampliamento e facciata Rinaldo): lastra tombale
autoelogiativa sulla facciata, Buscheto si paragona
a Dedalo; iscrizione sopra al portone d’ingresso,
Rinaldo si autoelogia.

Fontana Maggiore, Perugia (1275-1278): opera laica fatta fare dal comune;
si firmano e autoelogiano Nicola e Giovanni Pisano

Maestà del Duccio di Boninsegna (madonna con bambino in trono adorata


dai santi di Siena): l’autore si firma alla base del trono con una lode alla città
ma anche all’artista.

A volte, invece, si ha il nome del committente. Il mito dell’artista,


infatti, è ottocentesco. L’artista è solo l’esecutivo materiale e il
committente è più importante.

Fonti:
documenti e materiali di cui si serve lo storico per strutturare la sua ricerca, e
possono essere monumenti, fonti scritte, testimonianze letterarie e trattati.

Esempio di fonte monumentale:

Duomo di Modena
(facciata XI-XII secolo): conosciamo i
nomi degli autori dalle firme, da vere e
proprie lastre sul Duomo stesso,
sculture e date di fondazione della
chiesa.

Una delle lastre è tenuta dai profeti


Eno ed Elia, immortali e vengono
messi lì per ricordare come anche
l’opera sarà immortale.

In un manoscritto, è raccontata la costruzione


ed è rappresentato l’architetto che comanda come costruire agli operai.

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Anche le cronache medievali, a volte, hanno al loro interno informazioni sugli
artisti:

Compilatio Chronologica di Riccobaldo da Ferrara (1312-1313): parla di


Giotto e delle sue opere fatte per i francescani ad Assisi e nella Cappella
degli Scrovegni.

9 Marzo 2021

I TRATTATI D’ARTE

Testi che parlano delle tecniche artistiche.

Heraclius, De coloribus et artibus tecniche per stendere i colori sulle


Romanorum (VIII secolo le prime tavole, i leganti. Si dice che
due parti, più tarda la terza) - Teofilo fosse un Monaco e artista,
parla anche delle tecniche il suo nome, dal greco, significa
dell’antichità romana
“amico di Dio”, identificabile forse
De coloribus et mixtionibus, mappae come Ruggero di Helmarshausen
claviculae (fine XII secolo con parti orefice e Monaco vissuto nella
più antiche)
prima metà XII secolo.

Cennino Cennini, Libro


Teofilo, Schedula diversarum dell’arte, fine sec XIV - dice di
artium (prima metà XII secolo) - essere un allievo di un allievo di
“scheda delle diverse arti”, testi Giotto (suo padre) e lega quindi le
scritti a mano che ci tramandano, sue conoscenze tecniche alla
le tecniche per creare il colore, bottega di Giotto. 


STORIA DELL’ARTE
Lorenzo Ghiberti, Commentarii: parla della Toscana nel 1500 ma anche
degli artisti del 1200/1300

Giorgio Vasari (Arezzo, 30 Luglio 1511- Firenze, 27 Giugno 1574) è stato


un pittore, architetto e storia dell’arte.

Il nome Vasari, infatti, è legato in modo indissolubile a “Le vite de’ più
eccellenti pittori, scultori e architettori” ,1550: una serie di biografie nella
quale copre l’intero canone artistico fra Trecento e Cinquecento

Le fonti sono importanti per ricostruire le opere degli artisti e i contesti.

Il lavoro dello storico dell’arte è appunto anche ricostruire i contesti.

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PDF: Enrico Castelnuovo, Artifex Bonus, introduzione.

ORIGINE E EVOLUZIONE
DELL’ARCHITETTURA CRISTIANA

Costantino
Aiuta la prima chiesa a costruire sé
stessa tramite anche una politica di
ingerenza nei suoi riguardi.

È evidente dunque un intervento massiccio dell’imperatore e della sua corte
sulle nuove costruzioni che sono non solo a Costantinopoli ma anche a
Roma sovvenzionate alla corte.

San Giovanni in Laterano: il Liber Pontificalis (raccolta di biografie dei


vescovi e papi di Roma creata agli inizi del VI sec) ne racconta la costruzione
sotto la biografia di Papà Silvestro (314-365).

Si tratta della prima grande chiesa cristiana, edificata dopo il 313, il cui
interno è stato rifatto in età barocca.

Ha una vasta aula longitudinale divisa da colonne in 5 navate, transetto sulla


fine delle navate e absidata sul lato breve opposto dell’ingresso.

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Roma, San Pietro:
quella di oggi del 1506-1512 è di Michelangelo,
ma la basilica originale paleocristiana viene
iniziata nel 320 e terminata proprio da
Costantino, dura fino al 1500.

La vediamo in diversi disegni di artisti di diverse


epoche, tra cui uno di Marteen van Heemskerck
(1498-1574)

Ha pianta longitudinale a croce a forma di T,


5 navate con transetto e 213 metri dal portale
di ingresso dell’atrio all’abside. L’atrio con
cortile, dove c’era l’ingresso, era porticato e
vi erano delle scale per accedervi, inoltre, la
facciata dell’edificio era coperta di pitture tra
cui un mosaico di Giotto. Infatti, c’era un
grande dislivello dove sorgeva la basilica, ma
si costruisce su di esso perché si crede il luogo
dove muore e viene sepolto San Pietro.

Il soffitto era a capriate lignee e il cleristorio (la


parete della navata centrale) era coperto di
pitture con memoria petri. Sopra all’altare vi era
un baldacchino con colonne tortili greche donate
da Costantino (Bernini si ispira proprio ad esse
per il suo baldacchino)

Roma, Santa Sabina, 422.

Pianta basilicale longitudinale senza transetto, tre


navate, absidata, lunga 53 metri e con 12
colonne (in marmo pedone so di spoglio con
capitelli corinzi del II sec) in ogni lato a dividere la navata centrale dalle alte.
Presente nartece all’ingresso. Mantiene la spazialità ella basilica romana, con
molta luce.

Origine Basilica Cristiana

Varie e disparate ipotesi sull’origine della basilica paleocristiana

a) Derivazione materiale da classi di b) Origine funzionale, secondo le quali


monumenti precedenti (basilica la nuova struttura architettonica
forense, casa di tipo pompeiano, trarrebbe la sua tipologia
costruzioni culturali di riti misterici, architettonica dal mutarsi del rituale
sinagoghe, costruzioni cristiane liturgico (bisogno di riunirsi)
cimiteriali)

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La cultura medio romana possedeva nel suo lessico architettonico tutti gli
elementi della basilica paleocristiana. Questi elementi vengono riassunti e
rielaborati dagli architetti del IV secolo i quali creano, pur con un lessico
tradizionale, una forma architettonica originale.

Ad esempio, prendono ispirazione dalle Aule Palatine (sale di rappresentanza


dove il signore della Domus riceveva gli ospiti) , tutte con un denominatore
comune: sono ampi vani a pianta strangolare con abside su uno dei due lati
brevi. Alcuni hanno locali adiacenti talvolta preceduti dal nartece o divisi in
tre navate.

Vedi esempi: Piazza Armerina, Palazzo di Diocleziano a Spalato, Aula


Palatina a Treviri di Costantino del IV secolo.

APPROFONDIMENTO: GLI EDIFICI DI CULTO CRISTIANI

LA BASILICA

Vasto spazio rettangolare ispirato


alle basiliche civili romane e alle
aule palatine

Lati corti: ingresso principale da


un lato e abside spesso decorata
con mosaici dall’altro con l’altare
maggiore (presbiterio rialzato,
area riservata al clero officiante)

Navate (tre o cinque) spesso


intersecate da un corpo
trasversale, il transetto, che
conferisce all’edificio una pianta
cruciforme (richiamo simbolico
alla passione e morte di Cristo)

Croce Latina: immissa con


transetto più breve delle navate a
circa due terzi dell’edificio;
commissa con transetto in fondo
a esso

Croce Greca: diffusa in Oriente,


transetto con le stesse dimensioni
delle navate e le interseca al
centro dell’edificio quindi l’edificio
è a pianta centrale

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Basiliche cimiteriali: prive di Arco trionfale: collega la navata
transetto con dietro l’abside un centrale al transetto, oppure,
corridoio anulare destinato a incornicia l’abside dietro l’altare
ospitare le sepolture
maggiore

Transetto e navata centrale: tetto Pastoforia: diaconico e protesi,


a capriate; navate laterali: tetto a due ambienti ai lati dell’abside
spiovente; abside semicircolare: destinati alla preparazione e
catino absidale, cioè cupola a vestizione del clero

quarto di sfera
Nartece: precede la basilica
Ambone o pulpito: prediche e paleocristiana con atrio
letture bibliche al lato dell’altare o rettangolare destinato i penitenti e
nella navata centrale
ai catecumeni

Matronei: gallerie riservate alle
donne

15 Marzo 2021

Edifici a piante centrali


a Roma in età paleocristiana
Battistero, Basiliche cimiteriali e mausolei cristiani

San Giovanni in Laterano e


Battistero Lateranense
Questo è il primo battistero di cui si abbia
traccia eretto da Costantino: ottagono
monospaziale coperto da cupola.

Ha una vasca centrale con anello di otto


colonne e nell’ambulacro ha volte a botte.
Attorno alla vasca vi erano statue con
animali simbolici che si abbeverano
all’acqua simbolo di fonte della vita.

Fuori dalla cinta di mura aureliane,


l’imperatore Costantino e papa
Silvestro avviarono la costruzione di
basiliche cimiteriali.

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Accanto alla basilica dei Santi Pietro e
Marcellino sulla via Casalina, fu eretto un
edificio a pianta centrale il cui rudere è ancora
visibile sulla via Casalina e venne chiamato già
nel Medioevo Tor pignattara, perché la cupola
lascia intravvedere le pignatte ovvero anfore o
pentole in terracotta inglobate nel
conglomerato in cimentizio per alleggerire il
peso delle cupole.

Formato da un cilindro a due sezioni: un anello


massiccio nella parte inferiore, sormontata da
zona finestrata, più leggera e arretrata rispetto
a quella sottostante. Si tratta del Mausoleo di Elena (329) e accoglie le spoglie di
Elena, madre di Costantino.

Roma, Santa Costanza (figlia


di Costantino), nel complesso
cimiteriale di Sant’Agnese
(350-360).

Ha pianta circolare con due


anelli concentrici: quello più
piccolo delineato con colonne
binate e quello più largo che si
apre anche con nicchie.
Nell’ambulacro ci sono volte a
botte coperte da mosaici e
all’ingresso ha un nartece.

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Altri centri dell’architettura paleocristiana:

COSTANTINOPOLI

• Capitale cristiana dell’Impero d’Oriente dal 337 al 527 grazie a


Costantino (Dal 330 capitale di tutto l’impero, ma alla sua morte viene diviso tra
i due suoi figli Costantino II in Occidente e Costanzo in Oriente)

• Si trova sul Bosforo, un tempo si chiamava


Bisanzio e oggi Istanbul

• Altri imperatori importanti: Teodosio I il grande,


Arcadio, Teodosio II e Giustiniano

Apostoleion (ai 12 apostoli), costruita da Costantino


e poi ricostruita da Giustiano, oggi non esiste più.

Pianta centrale a croce greca con 5 cupole: si pensa


che faccia da modello per San Marco a Venezia.

Santa Sofia
Nel VI secolo ricostruita da Giustiniano in soli 5 anni
(dopo la conquista dei turchi nel 1453 diviene
moschea).

Gli architetti furono Anatemio di Tralles e Isidoro


di Mileto il Vecchio.

Dopo solo 20 anni la cupola crolla e dal 562


viene ricostruita ad opera di Isidoro il Giovane.

Ora sono presenti quattro grandi torri, i minareti,


aggiunti quando la chiesa venne trasformata in
moschea.

Sophìa significa “la Sapienza di Dio”.

Pavimento e muri coperti da marmi pregiati di


diversi colori, molti mosaici: chiesa della luce.

I musulmani tolgono o coprono la maggior


parte dei mosaici. Uno dei sopravvissuti è la
Madonna con il bambino in trono tra Giustiniano
e Costantino che donano la chiesa (X secolo).

Fonti riguardanti la ricostruzione e il crollo della cupola: Procopio di Cesarea, De aedificiis e


Paolo Silenziario poeta.

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Il modello della basilica longitudinale con navate si fonde con quello
dell’edificio a pianta centrale dando luogo a un edificio a doppio involucro.

Doppio nartece d’ingresso.

Lo spazio interno si articola intorno a un quadrato ai cui vertici si innalzano


quattro pilastri che sorreggono altrettanti arconi.

I due arconi in asse con l’ingresso e con l’abside di fondo sono


completamente aperti, mentre quelli laterali sono chiusi da colonnati
sovrapposti e in alto da un muro con finestre. Questi ultimi due arconi sono i
divisori tra navata centrale e navate laterali.

Sono presenti materiali di spoglio: ad esempio, colonne di porfido egiziano


nelle esedre interne.

Cupola di 30 metri di diametro: si innalza su quattro arconi del quadrato


centrale, ma sembra ergersi dai quattro pennacchi, triangoli curvilinei che
vanno su pigliandosi verso il basso. È emisferica è attraversata da nervature;
a 40 finestre e sembra sospesa nel vuoto.

Chiesa dei santi Sergio e Bacco


(527-536), costruzione avviata
da Giustiniano e Teodora.
Esternamente è semplice, con
schema centrale quindi a pianta
quadrata entro cui si scrive un
ottagono, individuato da Otto
grandi pilastri, su cui si imposta
un’ampia cupola a 16 spicchi.
Opposta all’ingresso c’è anche
l’abside.

19
Queste costruzioni arrivano ad essere conosciute anche ad
Occidente, più precisamente a Ravenna, che lascia
testimonianze di architetture paleocristiane.

Ravenna è luogo che unisce in qualche modo oriente Occidente.

RAVENNA
Nel 402 l’imperatore d’Occidente Onorio, incalzato dai Visigoti di Alarico trasferisce il suo
quartier generale a Ravenna che diventa capitale dell’impero romano d’Occidente.

Dal 425 al 450 l’imperatrice Galla placidia, regnò in nome di Valentiniano succeduto a
Onorio.

Ravenna poi diviene capitale degli Ostrogoti di Teodorico fino al 526.

Ravenna rimane un centro importante di scambio con l’arte bizantina


anche con Giustiniano.

Battistero degli Ortodossi (458), detto anche


Neoniano dal nome del vescovo che fece
realizzare la decorazione interna. A pianta
ottagonale con quattro nicchie con le finestre.

All’interno è riccamente decorata con marmi


intarsiati (opus sectile), arcatelle con decorazioni
a stucco (impasto a base di acqua e gesso) e
cupola con mosaici (prima testimonianza di
mosaici cristiani). Al centro del mosaico della
cupola vi è un loculo con il Battesimo di Cristo da
parte di San Giovanni Battista, apparizione della
colombo e a lato il fiume giordano personificato,
con i 12 apostoli attorno e altari con i libri dei
Vangeli aperti e troni vuoti (etimasia= attesa della
venuta di Cristo dopo il giudizio universale). Il
resto dell’ornamentazione è basata su cespi,
foglie e fiori d’acanto. Al centro vasca
battesimale poligonale.

20
Sant’Apollinare nuovo, costruita da Teodorico come cappella di palazzo
per sè e per la sua corte nel 520.

La chiesa, a pianta basilicale, tre navate, colonnati reggenti e archi con


l’interpolazione del pulvino, tre absidi di cui quella centrale più grande (le
altre due fatte successivamente) che sono semicircolari all’interno e
poligonali all’esterno.

Presenza del nartece assenza del transetto.

Il soffitto era a capriate lignee e adesso a cassettoni rinascimentali.

Mosaici: la fascia alta e dell’epoca di Teodorico era figura uno dei primi cicli
riguardanti la vita di Cristo (riconoscibile dall’aureola rotonda con la croce); A
destra e a sinistra del Cleristorio, risalenti all’inizio del IV secolo, vi sono i
mosaici del palazzo di Teodorico e del porto e il centro abitato di Classe (simboli
del potere politico, militare ed economico di Teodorico). In questi mosaici
doveva apparire anche l’imperatore ma le figure vengono tolte e inserite delle
tende tra le colonne per damnatio memoriae; mosaici delle vergini e dei
martiri che portano doni alla vergine di età Giustinianea (metà VI secolo).

21
San Vitale, iniziato al tempo del vescovo Ecclesio (521-532), i lavori continuano fino al
vescovo Massenzio, completata nel 547.

Ha pianta centrale ottagonale con pilastri che sorreggono delle esedre


traforate a due piani.

È preceduta da nartece con quadriportico appoggiato a uno degli angoli del


poligono con ai lati due torri scalari per salire al matroneo (fuori asse rispetto
all’abside: per percepire l’intera spazialità).

I marmi a opus sectile sono importati


dall’oriente e simili a quelli di Santa Sofia.

I capitelli sono decorati come a pizzo a piramide


tronca rovesciata simili alla chiesa di Istanbul di
santi Sergio e Bacco. Il raffinatissimo traforo è la
conferma di una visione artistica che predilige la
bidimensionalità e la leggerezza delle forme.

I mosaici sono dell’età


di Giustiniano
nell’abside e nei pannelli
laterali imperiali con
Teodora e Giustiniano.
Anche se gli imperatori
non sono mai stati a
Ravenna, vengono
immaginati presenti
nell’abside sotto Cristo
che portano pane e vino
all’altare. Giustiniano
viene rappresentato con
l’aureola: motivo
glorificante.

22
Nella conca absidale, San Vitale viene presentato da un angelo a Gesù, il
quale, giovanile e imberbe, siede su un globo azzurro rappresentante
l’universo; dalle rocce più sotto escono i quattro fiumi del Paradiso. Gesù
allunga la mano per consegnare a San Vitale una corona: simbolo della vita
eterna. A destra, un altro angelo presenta a Gesù Ecclesio, il vescovo in
carica all’inizio dei lavori.

I colori squillanti e l’abbondanza dei motivi decorativi servivano a suggerire al fedele


di allora un ambiente paradisiaco.
Lo sguardo dell’osservatore ovunque si posava vedeva splendore delle decorazioni.

I mosaici sono dunque simbolici, non realistici, mettono al centro le figure più
importanti con anche posizioni paratattiche, con file di persone messe sullo
stesso piano e spazio.

Studiare dal manuale Settis Montanari: pp. 16-17, 22-23, 26-31 e 36-38.

16 Marzo 2021

ARTE LONGOBARDA

Entrano in Friuli nel 568 guidati da re Occupano quasi tutta l’Italia


Alboino dopo essere stati in Settentrionale, Spoleto e Benevento
Ungheria dalla zona dei paesi (Langobardia Major e Minor). Al nord
scandinavi.
capitali Verona e Pavia.


Conosciamo molto di loro grazie a “Historia Langobardorum” scritto da Paolo


Diacono presso la corte di re Desiderio e Carlo Magno (724-799).

Il loro dominio dura fino al 774, quando il Re Desiderio viene sconfitto dai
Franchi chiamati dal papa (da lì parte l’età carolingia). Quindi scompare la
Langobardia Major e la Langobardia Minor viene suddivisa tra il Ducati di
Spoleto e Benevento che restarono in vita
fino all’arrivo di Normanni (XI sec).

Erano ariani e si convertirono al


Cristianesimo: le opere che vedremo sono
tutte fatte dopo la loro conversione.

Conosciamo soprattutto i loro corredi


funerari in quanto loro erano nomadi e non
abbiamo molte testimonianze su di loro.

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- Corredo di tomba maschile della necropoli di Trezzo sull’Adda (metà VII
sec): Croce che veniva cucita nel sudario, gioielli, armi, bottoni decorati a
motivi geometrici ad intreccio anche con elementi animalistici.

Ad esempio veniva usata la tecnica della puntinatura sulle lastre d’oro.

- Guarnizioni di scudo da parata (bronzo dorato) ritrovate a Stabio, Svizzera, con


ricostruzione.

- Corredo femminile dalla necropoli di Leno (568-569).

Decorazione zoomorfe dove l’animale non è naturalistico ma schematizzato.

Nel VII secolo nei corredi si trovavano moltissime fibule/spille per chiudere gli abiti.

Stile animalistico (definizione di Salin


all’inizio del novecento):

I stile: corpo del quadrupede è risolto un


line astratte e scomposto al punto che gli
arti perdono i nessi organici con il tronco
rendendo riconoscibile l’animale.

II stile: corpo dell’animale definito da un


motivo a nastro intrecciato cui vengono
assemblate le singole membro (dopo la
metà del VI secolo).

Fibula ad arco (Nocera Umbra): È decorato


con una serie di 13 piccoli pomelli disposti
a raggiera nella parte alta, la parte intermedia, invece, la forma di arco,
presenta nodi che ricordano il profilo del numero otto. Sulle restanti superfici
si sviluppò una fittissima decorazione a intreccio, lo stile animalistico, dal
bordo della fibula, infatti, spuntano teste ferine e di uccelli.

Fibula a S e fibula a disco (Nocera Umbra e Parma)

La decorazione viene chiamata Cloisonné: loro


realizzato una serie di minutissimi alloggiamenti in
oro, entro cui ho inserito pietra di un vivace colore
rosso. La decorazione si sviluppa lungo tre corone
attorno al tondo centrale, il quale conteneva una
pietra preziosa andata perduta. La forma degli alveoli
cambia in ciascuna corona e nella seconda vi sono
anche laminette d’oro con un motivo intreccio.

Gli studiosi ritengono che queste fibule siano opera


di orafi bizantini che cercavano di soddisfare il gusto di nuovi arrivati
imitando orificeria della tradizione tardo antica e barbarica.

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Spesso inseriscono negli alveoli granati, pietre rosse o di altri colori. Le figure
a disco ci mostrano anche un po’ di rapporto con quella che era l’oreficeria
locale tardo antica: il lavoro ad intreccio e loro, l’uso dei sgranati lisci non
lavorati era locale.

Andando avanti prendono sempre più iconografie e soggetti tipici romani.

Lamina di Agilulfo (guerriero e dominus longobardo), Val di Nievole (591):


frontale d’elmo in bronzo dorato con un’iscrizione in latino che ci dice che è
sua. Le figure delle due vittorie sono tipiche romane, che tengono in mano
anche la cornucopia (simbolo di floridezza). Attorno a loro ci sono sudditi
che offrono doni al re. Al centro della scena vi è Agilulfo (re dei longobardi tra
il 591 616) siede sul trono, affiancato da due guardie armate di lancio di
scudo. Il sovrano tira una spada con la sinistra e porta la destra all’altezza
del petto, nel gesto che per tutto il medioevo indicherà una persona nell’atto
di parlare.

Un oggetto come questo mostra l’assimilazione che questo popolo


lentamente fece della cultura romana antica, in quanto l’immagine prendi
senza dubbio modello le scene di omaggio l’imperatore.

Siti longobardi patrimonio Cividale, Brescia, Castelseprio,


dell’umanità: Spoleto, Campello sul Clitunno,
Monte Sant’Angelo.

CIVIDALE

Forum Julii, al tempo importante centro romano.

Dalla cartina, si riesce a riconoscere il cardo e il decumano, le mura (sia


romane che longobarde) e il fiume che chiudono la città. Sono state trovate
sepolture in molti luoghi della città.

Duomo di Santa Maria Assunta con il battistero (ora edificio più tardo).

25
Zone: 7 Curtis Ducis, dove stava il Duca che
governava la città; 3, 4, 5 Curtis Regia, zona
destinata alla corte del Re con il Gastaldo
(rappresentante del Re che aveva una specie di
quartier generale), dove troviamo ancor oggi il
Tempietto di Santa Maria in Valle e vi era la Chiesa
di San Giovanni.

Sono state ritrovate delle crocette che


testimoniano la conversione al cristianesimo e
venivano cucite sui sudari.

Croce del cervo in stile animalistico, in lamina


d’oro: reperto rinvenuto nella tomba maschile della necropoli di Santo
Stefano in Pertica.

Altare di Ratchis e Battistero di Callisto:

sculture con iconografie cristiane ma realizzate con stile longobardo, fatti in


pietra e marmo del Carso (Istria) per la Chiesa di San Giovanni Battista
(734-744).

Lo stile dei rilievi richiama l’arte dell’oreficeria, con le immagini costruite con
“fili”.

Altare: fatto da Racthis (duca figlio di Pemmone) che la dedica al padre e vi


fa un’iscrizione su di essa per firmarsi che corre su tutte le quattro facce. Da
questa iscrizione sappiamo che fa anche una pendola (lampada) e che
l’altare era colorato.

Lo stile è grafico, disegni non molto tridimensionale e in tutte le scene i gesti


sono esageratissimi e non realistici. Lo scultore riempie gli spazi vuoti con
fiori stilizzati altri motivi vegetali.

Faccia principale: Maiestas Domini, Cristo giovane racchiuso in una


mandorla sormontata dalla mano di Dio, sostenuto da due cherubini

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(riconoscibili dagli Occhi le ali) e con attorno
angeli che lo spingono in alto, cornici con perline
e fusero il motivo ad essi.

Su una delle due facce minori: Adorazione dei


Magi, si conosce Maria con Bambin Gesù, un
angelo e San Giuseppe laterale. La scena è
decorata con cespugli e fiori stilizzati.

Nell’altra faccia minore: Visitazione della


vergine Santa Elisabetta.

Nella lastra di tergo: due croci gemmate a


bracci espansi affiancano un’apertura per le
reliquie dei santi. In quest’ultima lastra, si
vede l’autore più a suo agio con i modelli
raffigurati, in quanto prettamente decorativi.

Battistero di Callisto (766-786), patriarca di


Aquileia, il quale patriarcato viene
definitivamente trasferito a Cividale nel 737.

Il fonte è a pianta ottagonale, come già i


battisteri paleocristiani ravennati, ed è fatto in marmo
greco, sormontato da un tugurio, composto da ampi
archi a tutto sesto, sostenuto da colonne corinzie.
Linguaggio più sostenuto e aulico, di grande valore
simbolico.

Nei capitelli e negli archivolti vi sono pavoni e grifoni


che si abbeverano alla fonte e leoni che guardano
agnelli, mostri marini, immagini allusive al sacramento
battesimale e alla lotta tra il bene il male. Si credeva,
infatti, che la carne del pavone non potesse morire
mai e ciò alludeva la resurrezione di Cristo.

Nel basamento sono state murate due lastre a


bassorilievo: quella meglio conservata voluta dal
vescovo Sigualdo (successore di Callisto, 756-786) è riferibile alla medesima
bottega operante sull’altare di Racthis.

Lastra di Sigualdo: quattro simboli degli Evangelisti all’interno di nastri


decorati a foglie, Aquila di Giovanni, angelo uomo di Matteo, toro di Luca e
leone di Marco. Simboli che cominciano ad essere usati dal VI secolo. Tutte
e quattro le figure stringono un cartiglio su cui sono riportati i versi che
Sedulio, poeta latino del V secolo, aveva dedicato agli autori dei Vangeli.

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Anche in questo caso, lo scultore è alle prese con un’iconografia dalla lunga
tradizione e mostra il suo impaccio semplificando le figure, appiattendole e
trattandole come motivi decorativi.

Tempietto/Oratorio di Santa Maria


in Valle (per alcuni opera di età
longobarda e per altri di età carolingia),
attaccato alla chiesa di S. Giovanni, si
affaccia sul fiume Natisone.

Esso è formato da una aula quadrangolare


coperto da volte a crociera e da un
presbiterio a tre ambienti voltati a botte e
divisi tra loro da delle fila di colonne.

Ha preservato parte della sua decorazione (oggi c’è un coro ligneo del 1200),
nelle volte vi sono affreschi del 1300, mentre la parete che ha conservato la
sua decorazione di età longobarda e quella ovest (da cui un tempo si
entrava). Un tempo la decorazione seguiva tutte le pareti.

La volta doveva essere coperta di mosaico, ma crolla nel XIII secolo e viene ricostruita.

La parete è composta da opus


sectile di marmo, stucchi e finestre
dove si alternavano figure di Santi
guerrieri e Sante, Cristo con due
angeli e probabilmente una Madonna
con bambino.

Mettendolo in confronto con il battistero


degli ortodossi di Ravenna, si nota che è
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probabile che questo tempietto volle limitare tale ricco
edificio paleocristiano chiamando degli artefici ancora
legati a quel mondo tardo antico.

Le figure delle
decorazioni rendono
omaggio alla luce
divina che proveniva
dalle finestre, erano
vestite con vestiti tipici
romani e longobardi, le
figure dipinte, invece,
con pittura in
chiaroscuro e fissità
tipica tardo antica.

I particolari un tempo erano colorati e riempiti di


materiale vitreo colorato.

Nella zona alta della parete nord occidentale del


tempietto corrono due fregi paralleli in stucco
con fiori otto petali in cui erano inserite piccole
ampolle di vetro; i due fregi inquadrano, al
centro, una finestra con semi colonne, capitelli
corinzi e un archetto, sempre in stucco.

Tra i due fregi, in alto vi è un rilievo con sei Sante in piedi. Più in basso, sopra
la porta d’ingresso, un elaborato archivolto ancora in stucco alterna cornici
con fiorellini a un raffinatissimo fregio traforato con grappoli e foglie di vite.

Nel medioevo vi è un largo impiego di gesso e calce per facile reperibilità di materiali, basso
costo e agevole modellazione che esigeva comunque maestranze specializzate: Magistri
Cementarii.

Sì penso che sia un’opera fatta per la coppia reale di Astolfo e Giseltude e
non è un fenomeno di rinascenza ma di continuità.

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Sono maestranze colte, eredi della tradizione tardo antica che non lo
riprendono con il distacco della rinascenza ma, come maestranze qualificate
sotto il profilo professionale e tecnologico, la continua non la tramandano.

Un’architettura come questa ha senso solo per


quello che significa, per la sua funzione. È stato
costruito per ricevere la decorazione che gli dava
significato, non è un puro contenitore formale.

In seguito, ma solo dall’830, parte della Gastaldia


venne destinata al monastero femminile di Santa
Maria in Valle (di fondazione regia, destinato ad
accogliere le giovani di famiglie aristocratiche) il
tempietto divenne oratorio delle monache.

Brescia
Nello stesso periodo per Re Desiderio si erge un edificio religioso che si
chiama San Salvatore (oggi inglobato nei musei di Santa Giulia) fondata nel
753, chiesa a tre navate con tre absidi. Questo edificio sormonta un altro
edificio a navata unica con un abside centrale e due absidioli e le indagini
degli anni 80 hanno provato che la chiesa sottostante è del VII secolo.

Venne inoltre ritrovata la tomba di Ansa , moglie di desiderio, e negli affreschi


si trovano le parole “Regnantem Desiderium”, quindi questo prova la
risalenza alla fine dell’età longobarda.

Questa chiesa è un esempio di continuità tra Longobardi e Carolingi e di continuità con una
linea di tendenza aulica che rimane per secoli tipica della cultura imperiale sino agli Ottoni.

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Come nel caso di Cividale anche la chiesa di Brescia ha stucchi e affreschi
integrati in un unico sistema decorativo, disteso a ricoprire tutto all’interno
dell’edificio, con affinità di vocabolario con quelli di Cividale.

L’ampio uso nelle strutture di materiale di reimpiego di età classica di


provenienza bizantina offre una delle più significative testimonianze della
volontà di formazione del popolo longobardo. Colonne capitelli sono diversi
nel materiale nelle decorazioni, ma disposte in modo da creare una
corrispondenza tipologica tra quelli delle navate settentrionali e meridionali;
alcuni sono provenienti da spogliati di uffici precedenti mentre altri viene
realizzata appositamente.

Nel colonnato nord si distinguono in particolare due capitelli “a paniere“ di


matrice bizantina, provenienti forse da Ravenna, a seguito della conquista
della città da parte degli stessi Longobardi.

I motivi realizzati a stucco nei sottarchi


comprendono nastri ad intreccio e fiori nei
quali vennero inserite ampolline di vetro
azzurro e verde.

Gli stucchi rivestivano un’importanza


fondamentale nella decorazione della basilica,
ad esempio, con essi si nascondevano le
imperfezioni nella giunzione di elementi diversi
e si completavano le parti mancanti dei lapidei
di reimpiego.

L’arte longobarda ci ha lasciato moltissima scultura di lastre, con


un’interpretazione della natura notevolissima; vedi la lastra a bassorilievo in
marmo con pavone, probabile parte di un ambone. Tutto lo spazio attorno al
pavone viene riempito da rami di vite con grappoli e pampini, che si
dispongono lungo curve e controcurve in un ritmo regolare; in basso, invece,
il bordo è costituito dall’intreccio di quattro nastri.

Anche nel sud ci sono elementi longobardi,


dove rimane molto forte il rapporto con
l’Oriente.

Benevento, Chiesa di Santa Sofia,


completata dal genero di Re Desiderio,
duca di Benevento (760).

La dedica alla Sofia, cioè alla sapienza


divina, ricorda quella della più importante
Chiesa di Costantinopoli, ma la struttura
architettonica è del tutto originale.

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Pianta a forma stellare, con doppio giro di sei
colonne disposte ai vertici di un esagono
centrale che sorreggono archi a tutto sesto su
cui è impostata la cupola (quella originaria
venne distrutta da un terremoto nel XVII secolo
ed era spicchi e con un tiburio piramidale a sei
spioventi).

L’esagono centrale era circondato da un


deambulatorio, scandito da due colonne e otto
pilastri quadrangolari orientati come
corrispettiva parete perimetrale.

Studiare: pp. 56-57, 64-75, 78

32
22 Marzo 2021

ETÀ CAROLINGIA

Seconda metà del settecento e ottocento, Durante il regno dei carolingi.


Periodo che vede prima re e poi imperatore Carlo Magno, gli e nipoti.

Carlo Magno:

Chiamato da papa 800: incoronato Muore nel 814 e gli


Adriano nel 774 per imperatore dal papa
succede il glio, nel
scon ggere i 843 invece il regno è
longobardi
diviso nei tre nipoti


L’obbiettivo di Carlo Magno è quello di riprendere l’Impero Romano Cristiano


(prendendo come modello politico e culturale quello del regno di Costantino):
riforma culturale per uni care il suo impero che coinvolse cultura, politica,
religione, educazione e arte.

Il suo potere venne esteso sull’Italia (tranne il Meridione) grazie al favore della
chiesa di Roma. Capitale Aquisgrana.

Carlo diventa quindi il difensore della cristianità.

Immagine che mostra il mosaico che vi era nella Basilica del Laterano: si vede San Pietro,
papa Leone e Carlo Magno.

Carlo Magno fu grande promotore di


architetture di arte in tutte le zone del
suo impero c’erano testimonianze della
Roma imperiale cristiana.

Treviri: Porta Nigra, costruita in


arenaria grigia (180-200) e la Basilica di
Costantino

Eginardo architetto, profondo


conoscitore di Vitruvio e sovrintendente
di molte costruzioni promosse da Carlo,
racconta in una biogra a
dell’imperatore che nei suoi 47 anni di regno fece costruire 75 palazzi, 7
cattedrali, 232 monasteri. poche strutture si sono conservate e in gran parte
sono state rimaneggiate nel tempo.

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Cappe a Palatina di
Aquisgrana: fa parte del Palazzo
Reale fatto erigere da Carlo Magno
intorno al 786.

Il progetto è di Odo di Metz, messo in


atto prima delle 790 e terminato tra il
799 l’ottocento cinque. Il modello
simbolico a cui si ispira è il battistero
Lateranense di Costantino a Roma.

Oggi si trova inglobato all’interno di


una cattedrale, mentre un tempo era
unito al palazzo imperiale tramite una
galleria.

Presenta pianta centrale con torri

scalari e corpo occidentale


compreso tra esse che si
a accia sul cortile chiuso e
porticato. Si ispira anche, per
i suoi interni, alla chiesa di
San vitale a Ravenna.

Vi è un grande ambulacro con


pilastri che sorreggono
esedre.

L’ambiente è ottagonale e il
perimetro esterno ne
raddoppia i lati (16) e presenta
abside rettangolare.

Il nucleo centrale è sormontato da cupola a spicchi con mosaico del 1800


che riprende mosaico più antico
sull’apocalisse di San Giovanni.

L’intero edi cio è articolato su tre piani:


il piano terra posa su pilastri
monumentali e quindi otto grandi arcate
che delimitano l’ambulatorio coperto da
volte a crociera; i due piani superiori
sono ritmati da colonne antiche
sovrapposte in inglobate in un unico

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ordine di arcate che abbraccia entrambi i piani.

L’edi cio ricorda San vitale anche perché coperto di marmi di vario tipo e
colore. Il modello è interpretato con possente il materialità e vi è una grande
spaccatura tra la parte centrale e il deambulatorio, non così presente a
Ravenna.

Inoltre, colonne e marmi provenivano


da Roma e da Ravenna.

Collegato al west werk, vi è un


ambiente per l’imperatore, dal quale
trono poteva avere una visuale
completa della cappella, nella galleria
del primo piano e un ambiente in cui
si svolgevano a volte delle riunioni.

Pianta del monastero di San ga o


(ora non c’è più) inviata da Heito, abate di Reichenau (829-830), all’abate di
San Gallo Gozoberto (817-836).

In essa vediamo tutte le strutture planimetriche di un monastero: chiesa,


chiostro, refettorio, le cantine, dormitorio, edi ci per gli ospiti e gli orti, la
scuola.

La chiesa ha due absidi: quello orientale con l’altare. L’interno è diviso in tre
navate a sua volta suddiviso con tanti altari: vi era il bisogno di più spazi in
cui pregare/recitare la messa simultaneamente con funzioni a volte diverse.

Questa pianta è testimonianza di come i monasteri fossero vere proprie


cittadelle.

Corvey

Fondazione nell’820.ci rimane la parte occidentale dell’edi cio chi è


l’originale, cioè la struttura addossata al corpo delle navate della chiesa.

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La struttura è a più piani, quadrangolare,
così da costituire la facciata monumentale
della chiesa.

Si tratta del west werk, che di norma


aveva tre piani e presentava verso l’interno
della chiesa una loggia al piano intermedio
e una tribuna superiore. Mentre il piano
terra aveva colonne circolari imitative
dell’antico i grandi pilastri quadrangolari
per sorreggere i piani superiori, un
ambiente coperto a volte.

Lorsch, Torha e (porta risalente al 768-774): l’abbazia non c’è più, ma la


porta monumentale di accesso si è conservata e stava prima dell’atrio.

Si ispira alle porte delle mura delle città romane e ha i lati brevi due torri
scalari e al piano superiore una grande aula.

Presenta tre arcate al piano inferiore e nove cuspidi impostate su eleganti


paraste sormontate da capitelli in quello superiore che contengono le tre
nestre. Sotto vi erano capitelli Corinzi e sopra nelle paraste capitelli dorici
che reggono le cupsidi.

Nella sala sono rimaste delle pitture murali che ngono delle architetture e
dei marmi dipinti, quindi un loggiato con colonne e capitelli dorici.

Il rivestimento murario esterno è formato da lastrine con gioco alternato di


rossi e bianchi che alleggerisce la parete.

Un esempio di mix tra ore ceria tardo antica,


longobarda e carolingia

Altare e ciborio di Sant’Ambrogio,


Milano, datati circa all’850 con una delle
prime testimonianze di rma dell’artista.

Nella parte frontale vi sono scene della vita


di Cristo che, in trono, è racchiuso in un
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ovale con attorno la croce, i simboli dei quattro
evangelisti e dei dodici apostoli.

Nell’altra faccia con la nestrella per le reliquie dei


martiri milanesi e Sant’Ambrogio, vi sono i quattro
tondi con gli arcangeli, artista e committente e
nelle sei parti laterali la storia della vita di
Sant’Ambrogio.

Le formelle laterali presentano le gure dei santi


milanesi e di angeli che circondano croci
gemmate.

L’intero altare è formato da lamine in argento


sbalzate dorate, vengono applicati smalti con decorazioni geometriche,
piccoli lavori in oro e incastonatura e con pietre levigate. Non tutte le scene
sono state fatte dalla stessa mano.

Infatti, sulla fronte vediamo scene più tte, con gure


delineate con stile veloce e dai movimenti animati; sul
lato posteriore il linguaggio si fa più pacato e solenne,
mentre corpi oggetti acquistano un risalto maggiore.

La presenza dell’artista in uno dei tondi mentre viene


incoronato da Sant’Ambrogio fa che la gura dell’artista
assuma qui un grande inaspettato rilievo. La scritta
sottolinea le qualità di Vuolvino, lui è fabbro, possiede
perizia tecnica e manuale, ma è anche mastro, cioè
competenza artistica e può insegnarla.

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Pagine 84-92

ARTE OTTONIANA

Si svolge negli stessi territori di quella carolingia: imperatori Ottoni I, II, III, Enrico II il
Santo e Enrico III il Salico (936-1056). Continuano nelle stesse formule di produzione
artistica fatto in età carolingia
Si evolve la ricerca dell’articolazione spaziale e la funzionalità della Chiesa per
i riti religiosi.

Chiesa di Ss. Trinità di Essen è simile alla cappella Palatina.

Chiesa di San Michele a


Hildesheim, fatta da Benwardus,
vescovo che fu un uomo vicinissimo
la corte imperiale con Ottone II e
sua moglie che era principessa
bizantina. Inoltre, visita con
l’imperatore Roma dove vede edi ci
antichi, paleocristiani e carolingi.

La costruzione viene iniziata nel


1010 e nita nel 1022, posta sopra
ad una collinetta, si tratta di una
chiesa abbaziale.

Presenta una pianta longitudinale a tre navate,


con absidi occidentale con sotto la cripta e tre
absidi nel lato breve orientale, quattro torri scalari
e due transetti.

La navata centrale e quelle laterali sono divise


nettamente da un’alternanza di colonne e pilastri.
La navata centrale è più alta con so tto a
cassettoni e pitture del 1200, molto più illuminata
grazie alle nestre rispetto a quelle laterali, molto
più basse con so tto ad assi lignee. I capitelli
delle colonne sono cubici scanzonati sormontati
da una sorta di pulvino.

La veduta laterale del transetto è particolare: con


tre ordini di arcate (2; 4; 6)

Benwardus fece porre in opera anche delle porte


bronzee (1008-1015) dove vi è un’iscrizione come testimonianza. Su queste
porte viene narrata la storia della creazione dell’uomo, dove viene usato
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l’antico testamento come
profezia del nuovo (lettura
tipologica).

Assieme alle porte bronzee


anche una colonna tortile,
ispirata all’arte romana
imperiale antica ma con le
storie di Cristo al posto di
quella degli imperatori. Questa
colonna, doveva servire da
sostegno per il cero pasquale:
alta quasi 4 m, e avvolta da un
bassorilievo spirale che racconta 24 episodi della vita di Gesù.
Poche opere come questa colonna mostrano l’amore e la
riverenza con cui l’uomo medievale guardo a volte all’arte
classica.

Ciborio ne a chiesa di Sant’Ambrogio ( ne X secolo).

Questo è formato da quattro alti timpani a vela che nascondono la copertura


crociera costolonata, quattro colonne in por do di età imperiale romana di
spoglio, quattro scene a stucco incorniciate da fregi a tralcio e vegetali
ancora oggi colorati.

Nelle scene possiamo vedere: Cristo che dona il


libro a Paolo e le
chiavi a Pietro, i
santi martiri
Gervasio e
Protasio,
immagini degli
imperatori e
delle mogli che
si inginocchiano
davanti a
Sant’Ambrogio
(forse Ottone I e
II).

Croce di Verce i, Cattedrale di Sant’Eusebio


(998 con vescovo Leone).

In legno con lamina d’argento e oro e pietre


preziose, il Cristo è vivo nella croce e già risorto.

Le of cine di ore ceria lavoravano sia per l’imperatore che per la religiosità
Un esempio lo vediamo nella Corona del Sacro Romano Impero (1000).

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23 Marzo 202

Sono poche le testimonianze rimaste della pittura murale del Medioevo.

In esse vi è ripresa dei soggetti dell’Antico e del Nuovo testamento, già


protagonisti dei mosaici romani del VI secolo. Molto di usi i cicli incentrati
sui santi martiri.

San Procolo a Naturno, Trentino Alto Adige (VIII-IX) in cui San Procolo
scappa calandosi dalle mura della città di Verona. Linearismo, simbolismo e
soggetti dipinti con grandi facce irrealistiche. Vi è comunque un recupero

delle forme auliche tramite il contorno a greca prospettica. I volti i corpi sono
delineati con pochi tratti ma si riesce ugualmente a dare l’idea di una fuga
precipitosa del Santo che si cala dalle mura a cavalcioni di una specie di
altalena, mentre tre personaggi si sporgono a guardarlo. Viene usato un
linguaggio sintetico ingenuo, ma immediato ed e cace per illustrare un
aneddoto un po’ divertito e un po’ solenne. Vi è disinteresse per la
descrizione dei luoghi degli edi ci infatti, qui non ci si dilunga in accurate
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descrizioni, bensì si sceglie il momento chiave di un racconto, presentandolo
con un linguaggio schietto e diretto.

Basilica di San Vincenzo, Galliano, Cantù


Como (1073): presbiterio innalzato con sotto la
cripta. Si sono conservate le pitture murali dove
possiamo vedere ad esempio Ariberto che
o re il modello della chiesa e il profeta Geremia
dinnanzi a Cristo.

Al centro della calotta absidale si staglia una


grande gura di Cristo in piedi, circondato da
una mandorla glori cate; accanto a lui gli
arcangeli Michele e Gabriele e, più sotto, i
profeti Geremia ed Ezechiele. Negli a reschi tra
le nestre sono ra gurati episodi del martirio di
San Vincenzo, a cui la chiesa era dedicata.

Il pittore aveva assimilato sia il linguaggio della


pittura orientale sia quello dell’arte carolingia.

Dell’arte bizantina emerge un grande uso delle


lumeggiature, improvvise chiazze e lamenti bianchi,
in particolare sui volti, mentre la gura del profeta
Geremia, quasi piegato a terra nell’adorazione di
Cristo, ricorda invece il tentativo di cogliere
atteggiamenti momentanei scatti improvvisi piuttosto
ricorrente fra gli artisti carolingi.

Rispetto a Naturno, il modo di dipingere è più


attento agli e etti realistici, il colore è un po’
graduato e vi è un po’ di tridimensionalità. Attraverso
queste caratteristiche si può ipotizzare che vi fossero
stati rapporti con il mondo orientale.

Studiare: pp.94 e 99-103

LA MINIATURA

Per miniatura si intende qualsiasi illustrazione e decorazione realizzata con mezzi


manuali su un supporto destinato alla lettura
Storicamente la miniatura è essenzialmente l’illustrazione e la decorazione
del testo manoscritto.

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Il tempo del libro manoscritto fu soprattutto quello dell’antichità e del


Medioevo no all’introduzione della stampa (inventata nel 1450 e introdotta
in Italia circa nel 1470).

Esempio: The Winchester Bible (1160-1175, età romanica)

Inizialmente si usa la tecnica della stilogra a. I fogli di manoscritti erano


fatti con pelli di animali (capre/pecore), scritti a mano e poi decorati o con le
iniziali oppure con miniature a piena pagina.

Poi si passa alla xilogra a (incisione sul legno) e poi incisione riempiendo il
legno con l’inchiostro.

Il termine miniatura deriva dal pigmento minio (soldato di piombo) usato già
in epoca romana per scrivere le iniziali, i titoli, le rubriche, i segni di
paragrafo; miniare “minio describere” signi cò in origine scrivere con colore
rosso; il minio fu poi sostituito nell’XI-XV secolo con il cinabro (solfuro rosso
di mercurio naturale o arti ciale).

Il termine medievale “alluminare” è sinonimo di miniare ed è usato ad


esempio nella lingua francese inglese. Deriva probabilmente dall’allume di
rocca che si usava come legante per il colore.

“De arte illuminandi” è il maggior trattato di miniatura.

La speci cità della miniatura è di essere inscindibilmente legata a un testo e di


essere condizionato dal formato di esso e del suo supporto. Inoltre, mentre le
altre arti sono destinate ad essere esposta ad un pubblico più o meno vasto, la
miniatura è un’arte segreta, normalmente nascosta entro il libro chiuso, è visibile
all’atto di sfogliare, solo da uno da pochissime persone

Il patrimonio dei libri miniati è ancora poco noto e vi sono giacimenti ancora
inesplorati.

La decorazione a intreccio

Una delle maggiori innovazioni dei


secoli che stiamo osservando, nel
campo dell’ornamentazione, fu
senz’altro l’introduzione alla di usione
dell’intreccio, la cui idea non è tratta
dalla natura, ma da oggetti fabbricati
dall’uomo, come i canestri realizzati
con vimini. Si tratta di un processo di
lento distacco dal mondo naturale: la
mímesis che aveva contraddistinto
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l’intera civiltà classica, viene ora


sostituita dal piacere per la decorazione
astratta. Gli uomini medievali sono
attratti dalla complessità, da quelle
forme complicate che l’artista escogita
senza guardare ormai al mondo attorno
a sè.

Gli intrecci vimini possono rivestire


qualunque oggetto e qualunque immagine.

Inoltre, la laboriosa di coltà cui è chiamato l’artista per predisporre gli


intrighi dell’intreccio e l’impegnativa fatica che deve compiere il fedele-
spettatore per penetrarne i meccanismi sono entrambi un modo per
celebrare e onorare Dio.

Nell’alto medioevo la miniatura si divide in: iberno/sassone insulare,


carolingia e ottoniana.

MINIATURA IBERNO/SASSON

Nella non romanizzata Ibernia (Irlanda) esistevano piccole comunità cristiane


già prima del V secolo ma nel corso di questo secolo che il cristianesimo
inizia a strutturarsi in chiesa locale fondata su una rete di monasteri grazie
all’opera di missionari provenienti dalla
Gallia romanizzata.

Pratica della peregrinatio (pellegrinaggio


per Cristo), i monaci di ondevano il
Vangelo tra i pagani.

Dal VI secolo vi è un fenomeno di


evangelizzazione di ritorno che investe
l’isola britannica e poi il continente.

San Colombano, uno dei primi monaci


(521-597), fonda 40 monasteri in Irlanda
tra cui quello di Durrow e, nel 593, quello
dell’isola di Iona a Ovest della costa
scozzese.

Da qui San Aidan fonda l’abbazia di Lindisfarne nel 635 e porterà avanti
l’evangelizzazione della Northumbria.

Nel contempo il monachesimo irlandese si di ondeva anche nel continente


dove San Colombano diede vita alla fondazione di Luxeuil (590) e di Bobbio
(612), mentre il suo discepolo San Gallo fondava sul lago di Costanza il
monastero omonimo.

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Testimoni importanti della miniatura insulare sono i libri dei Vangeli eseguiti
nei monasteri irlandesi e della Scozia: Vangelo di Durrow (680) e Vangelo di
Lindisfarne (698).

Inizio del Vangelo di San Marco nei Vangeli di Durrow: L’alfabeto è quello
latino con decorazioni tipiche celtiche sassoni. Le iniziali, per essere
decorate perdono quasi la loro forma, rendendoli riconoscibili a volte,
principio molto tipico di questa miniatura. La decorazione aumenta sempre
più no a diventare addirittura cornice della pagina o a riempire le intere
pagine con sempre più precisione capacità di variare i colori.

Vedi evoluzione dell’iniziale “INI” all’apertura del Vangelo di San Marco.

MINIATURA CAROLINGIA

Come era già avvenuto nei secoli precedenti, grazie libri Miniati e la loro
mobilità, in età carolingia, le immagini circolavano facilmente e, con esse,
si trasmettevano stili iconogra e. L’illustrazione dei codici potevano
servire così dal modello per a reschi, sculture, lavori e altre miniature.

Carlo Magno promuove una riforma culturale: i libri furono essenziali, sia
della religione che della cultura classica (per la Chiesa e i monasteri, per le
scuole e le biblioteche, libri per la lettura e la preghiera).

Carlo promuove e fonda degli scriptoria nella sua corte Aquisgrana ma


anche nei monasteri del suo impero.

Commissionò agli studiosi della sua corte di correggere i manoscritti.



- I testi dell’impero franco - Queste parole appaiono molte
dovevano essere “corretti“ e volte nelle fonti e la famosa nota
“uniformi“, essere “bene e editi “ex authentico libro” appare in
ed eseguiti“ con ogni possibile molti manoscritti carolingi
cura
attestanti l’autenticità della copia
non solo in codici liturgici ma
anche i trattati scolastici


Esempio della scuola di corte di


Aquisgrana: Evangelistario di
Godescalco (781-793), con copertina in
assi di legno coperte da pelle.

Questo manoscritto è scritto tutto in


caratteri d’oro ed argento su fondo
porpora, in lettere onciali (scrittura dei

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Vangeli tardo antichi) oppure in


Carolina (la scrittura dell’età
carolingia), in capitali, invece,
per i titoli più importanti, con
bellissime ra gurazioni che
riempiono la pagina.

Un poema di dedica indica che il


codice fu eseguito su
commissione di Carlo della
moglie Ildegarda dallo scriba
Godescalco dopo che erano
stati a Roma quindi dopo il 781.
Ilde Garda era ancora viva e
dato che muore nel 783, tale data è l’antequem.

Esempi di miniature al suo interno: fonte della vita, immagini degli evangelisti
prendi (prendendo come esempio le immagini a San vitale di Ravenna)
oppure perle, gemme e cammei di quell’età o più antiche. Lo stile delle gure
è lineare ma comunque abbastanza realistico, dinamico, espressivo.

In un dipinto del 1500 si può notare sull’altare un Vangelo manoscritto

I manoscritti, infatti, erano esposti in processione o su altari o troni


La Parola, trasformata in immagine, viene resa accessibile a tutti, anche gli
letterati nel pubblicum opus della liturgia.

Inoltre, mettendo sul trono il Vangelo, si


simboleggiava la gura dell’imperatore
quando era assente.

Abbiamo anche copie di


cultura laica di epoca
classica.

Miniature di scenette di
teatro illustrate, attori della commedia di Terenzio (Risalente al II secolo a.C.) e
armadio con le maschere del teatro romano.

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Quello che abbiamo ora è un codice copiato in un manoscritto di età carolingia
fatto a Corvey nell’820.

Oltre al testo, anche le illustrazioni che lo corredano furono realizzate sul


modello di un manoscritto più antico, forse risalente al III secolo. Il
manoscritto che fece da modello conteneva anche illustrazioni di alcune
scene delle commedie di Terenzio che vennero riprodotte con attenzione,
lasciando intatti gli abiti antichi e le maschere comiche e, soprattutto,
preservandone il tono umoristico e vivace.

Ci restano anche alcuni codici dedicati a ’astronomia e astrologia di


Aratea.

Esempio di copia carolingia del IX da un originale del IV con il simbolo


zodiacale del centauro in parte dipinto (le
stelle rosse formano la costellazione, sono
dipinti zoccoli, testa, preda e vestito)
mentre il corpo e tutto composto da
capitali dove leggiamo il trattato di Igino
sulle stelle “Astronomica” (II-III secolo)

Nel testo sottostante, poi, sia la traduzione


che Cicerone fa di Arato che scrive i
“Phenomena“, in origine scritto in greco
attorno al IV-III secolo a.C.

Lorena, secondo quarto IX: vignette bordate di


rosso (tipico del IV secolo) con le stelle
segnati da punti d’oro che formano
le forme delle costellazioni.

Si sostiene che la rinascenza


carolingia avvenga dunque anche
nei testi trasmigrando anche le stelle
dell’antichità (l’idea che fossero delle
gure umane, degli dei e degli eroi
del mito).

Menologio Rustico di Napoli: avere


lo stesso calendario signi cava unire
l’impero: i segni zodiacali
scandivano ogni mese.

MINIATURA OTTONIANA -
La scuola di Reichenau

Monastero costruito su un isola del Lago di Costanza,


il cui abate è quello che mando la pianta di San Gallo.

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La prima abbazia fu fondata, secondo la
tradizione, intorno al 724 dall’abate Pirminio,
forse di origine irlandese e oggi si conservano
circa 40 libri provenienti da essa.

Raggiunge importanza nel secolo successivo


con l’abate Waldo (786-806) parente di Carlo
Magno, quando vi fu accolta la regola
benedettina.

Nel IX secolo, il bibliotecario Reginberto redige


inventari che annoverano almeno 415 volumi.

Tra l’abbaziato di Eggehard (958-972) e quello


di Werner (1000-1006) furono prodotti 1000
codici.

Vangeli talvolta rivestiti in foglie d’oro e tappezzati con pietre preziose.


Esempio dei Vangeli di Aquisgrana di Reichenau (990): Ottone III incoronato
dalla mano di Dio.

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29 Marzo 2021

ARTE ROMANICA
XI-XII secolo

Il termine nasce nell’800 in Francia per indicare le lingue e letterature


romanze o neolatine sviluppatesi appunto dalla lingua latina.

Adrien de Gerville introdusse “roman” anche nel linguaggio architettonico.

Dopo l’anno 1000 c’è uno sviluppo dell’economia, demografia, migliorano le tecniche
agrarie e dal punto di vista della storia dell’arte c’è un fiorire di nuove costruzioni in pietra.

Raul il Glabro ne “Storie del Mondo” << era come se il mondo stesso,
racconta, simbolicamente tre anni scuotendosi spogliandosi della sua
dopo il 1000:
vecchiezza si rivestissero ogni parte di
un candido manto di chiese>>.


La nascita dei primi studi su romanico nel XIX secolo ha portato all’idea di
ricondurre il fenomeno a categorie nazionali, mentre al tempo non esistevano
confini geografici e denominazioni nazionali.

Caratteristiche fondamentale dell’architettura romanica in pietra (quando la


presenza di cave lo consente) sono le coperture ad arco a tutto sesto e a volte
a crociera. Quest’ultima è considerata lo sviluppo della volta botte ereditata
dall’architettura romana e premessa per la volta a crociera a sesto acuto
tipica del gotico.

La stabilità dell’edificio è anche


l’inalterabile robustezza dei principi della
fede, è la ferma adesione a tali principi da
parte della comunità dei fedeli. Procurarsi
la pietra non era affatto semplice, infatti,
si fece grande ricorso ai monumenti
romani, recuperati attraverso scavi.

Queste nuove opere sono un simbolo di


continuità con la cultura romana, e per
questo motivo si chiama arte romanica.
Gli architetti ripresero dalla tradizione
classica la soluzione delle lesene, adatte
a scompartire ordinatamente una
superficie della parete. Inoltre, animarono
spesso i paramenti murari con file di
archetti pensili (o ciechi), che a volte

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poggiano su piccole mensole figurate.

La facciata a volte è una facciata a spioventi (o a salienti) annuncia cioè


all’esterno la suddivisione interna in navata maggiore e navate laterali,
mentre, altre volte, è una facciata a capanna. Entrambi sono traforate da
aperture di vario tipo (monofore, bifore, gallerie archetti ciechi, rosoni) che
segnano con ritmo diverso la superficie.

Compattezza e saldezza sono gli obiettivi che gli architetti si prefiggono


anche all’interno degli edifici. Il mezzo più efficace per ottenerle coprire le
navate con ampie volte in mattoni o in pietra. Il sistema dei sostegni cambia
profondamente proprio perché deve reggere i
pesi più considerevoli: la concatenazione base-
colonna-capitello lascia il posto ai pilastri dal
profilo complesso (composito): a essi si
addossano, infatti, le semicolonne su cui si
scarica il peso delle volte.

Lo spazio tridimensionale definito da una volta i


quattro pilastri che ne portano il peso è la
campata: il succedersi di campate dà luogo a
volumi distinti e concatenati, uno spazio ben
diverso da quello pacato e uniforme delle
basiliche paleocristiane.

Nelle pareti interne degli edifici romanici,


invece, si hanno partendo dal basso: il livello
delle arcate dei relativi sostegni (pilastri e
colonne) poi quello delle gallerie e, più in alto
ancora, il livello delle finestre che illuminano la
navata centrale.

La scultura, inoltre si distende ovunque, tanto


all’esterno quanto all’interno.

S. Philibert a Tournus (1020) in Borgogna.

La facciata è quella tipica del romanico, in muratura


con una piccola parte in mattoni, ornata da archetti
pensili appoggiati a delle lesene in due piani, due torri e
la porta coperto da una struttura.

Vi permane l’influenza del west werk carolingio.

Ha tre navate e, la cui centrale ha copertura a botte


trasversale e le laterali a crociera, mentre l’atrio ha la

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parte centrale a crociera e quelle laterali a botte longitudinale.

Tutta la Chiesa è coperta da eccezionali volte che dividono lo spazio in


cellule-nuclei chiamati campate (che stanno tra quattro colonne o pilastri o il
muro i due pilastri o colonne). Il peso delle volte viene scaricato sulle colonne
sui muri perimetrali.

Il succedersi di campate da luogo a uno spazio articolato in volumi distinti


diverso da quell’uniforme delle basiliche paleocristiane.

Le facciate, che possono essere a salienti (centrale più alta delle laterali) o a
campana, non avevano tantissime finestre perché la muratura doveva
sostenere le volte.

Le facciate sono lavorate con colonne e lesene, archetti pensili, a volte con
portali molto ricchi e strombati (rientranti) che possono avere il protiro
sostenuto da animali come leoni (copertura), il rosone (che si affermerà di più
nel gotico) e con finestre a una o più aperture (monofora, bifora, trifora).

Il romanico è un fenomeno vasto difficile uniformarlo sia territorialmente che


cronologicamente, una realtà complessa e multiforme in dialogo con la tradizione
tardo antica e paleocristiana in continuità con sperimentazioni alto medievali.

Kubak individua delle fasi temporali per il romanico ne “Manuale di Storia


dell’Architettura”:

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• Proto romanico-fase • Romanico maturo- • Tardo romanico-
di formazione: fine fase di ultima fase:
X-prima metà XI affermazione: 1150-1190 Ile de
secolo
1050-1150
France e 1150-1250
nel basso Reno e
Italia.


Ci sono dei fenomeni che portano a costruzioni simili anche a grandi distanze per
ragioni politiche e culturali:

- Riforma monastica (cambio usi liturgici, modifica piante e spazio delle


chiese)

- Fenomeno del pellegrinaggio


- Ruolo delle maestranze (gruppi lavoratori edili che innalzano le opere e si
spostano anche in luoghi lontani)

Il duca di Aquitania Guglielmo di Volpiano nel 910 dona


all’abate Berno un vasto territorio a Cluny in Borgogna per
la fondazione di un monastero.

Questo monastero sarà direttamente sotto la giurisdizione


del papato e non sotto i vescovi conti del territorio
francese, tale privilegio era esteso ai complessi monastici
istituiti dall’abate di Cluny.

Si arriva a 1450 centri monastici dipendenti da Cluny di cui


200 di grandi dimensioni.

La chiesa di Cluny venne rifatta 4 volte ed è possibile


ricostruire idealmente queste strutture attraverso scavi archeologici e fonti.

- Cluny A con cappella ad aula unica

- Cluny I (915-927)

- Cluny II (955-981)

- Cluny III (1088-1130)

Proprio i benedettini cluniacensi danno un


impulso a un cambio di strutture. I cluniacensi
seguono la regola dell’Ora et labora ma iniziano
a elaborare nuove strategie liturgiche, dando più
importanza alla preghiera che al lavoro, destinato
spesso ai laici.

Le cerimonie sacre a Cluny dovevano avere un risalto speciale per solennità e


splendore e così la Chiesa che le ospitava.

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Cluny II (955-981) era parte di un complesso monastico con molti
elementi e addirittura chiuso da mura che si stendevano per 5 km².
Risaliamo a questa chiesa grazie a descrizioni lasciati dei monaci che lo
visitarono e dal testo ante 1042 delle Consuetudini di Farfa.

Nel XII secolo ospitava 300 monaci e molti laici.

La Chiesa aveva tre navate con absidi profonde, lunga 63 m e transetto con
due absidi orientate e due ambienti con strutturazione gradoni.

L’articolazione è a capocroce, dove si inseriscono nuovi spazi oltre il


transetto, aveva un atrio e una Galilea.

Sulla parete esterna vi erano i contrafforti che aiutavano a sostenere il peso


delle volte.

Le abbazie più piccole imitano la chiesa più grande che non abbiamo più, ad
esempio per questa, abbiamo la ricostruzione più piccola
risalente al X-XI secolo a Acqui Terme (Alessandria).

Il monaco Gunzo ebbe una visione in cui i santi (Santi


Pietro, Paolo e Stefano) gli mostrarono le misure che
doveva avere la nuova chiesa, più grande. In una miniatura
del XII-XIII secolo si vede Gunzo che
spiega le misure all’abate Ugo.

In questo stesso manoscritto si può


vedere in una miniatura la consacrazione
della chiesa alla presenza del Papa Urbano II
nel 1095 e dell’abate Sant’Ugo.

Cluny III (1049-1108) era lunga 187


m, con cinque navate (laterali con copertura crociera e
centrale a botte), doppio transetto con absidi orientate (a est)
e coro con deambulatorio. Aveva un grande atrio di
ingresso con due torri. Si presenta così grande perché
servivano tanti luoghi in cui dire messa
nello stesso momento con celebrazioni
elaboratissime.

All’interno si sviluppava verso l’alto su


tre piani: cleristorio, triforio e arcate.

Di questa struttura, che si ispira all’antica basilica di San


Pietro a Roma e all’abbazia di Montecassino ai tempi
dell’abate Desiderio (1056-1087), è rimasta solo una torre
di un transetto meridionale.

Questa torre aveva pianta ottagonale ed era detta torre


dell’acqua benedetta, a due piani, il cui piano inferiore con
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monofora e due arcate cieche e il piano superiore con bifora e cornice ad
archetti ciechi sormontata da cornice a dentelli.

Ci sono molte chiese legate a


Cluny e copiate in piccolo, come
la chiesa abbaziale di Paray-le-
Monial (1090-1110) ed aveva tre
navate, transetto con cappelle
absidate, deambulatorio intorno al
coro e cappelle radiali. Riprende
da Cluny terzo la Galilea stretta
tra due alte torri.

Presso il museo dell’abbazia di


Cluny, rimangono degli splendidi
capitelli che testimoniano come la
architettura fosse piena di

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sculture che raccontavano storie della
Bibbia. Capitelli con storie di Adamo ed Eva, il
sacrificio di Isacco, i fiumi del paradiso, le virtù, i
mestieri e anche le tonalità delle melodie.

Anche l’abbazia di San Pietro Moissac


era legata a Cluny grazie a L’abate Durando
di Bredons mandato dall’abbazia madre per
risollevare le sorti di questa dopo il
saccheggio dei normanni a fine XI secolo,
per lui nel chiostro vi è una lastra tombale.
Questo chiostro presenta colonne binate
alternate a colonne sole con capitelli
decoratissimi con episodi dell’antico del
nuovo testamento e il “ritratto“ dell’abate
Durand.

Molto importante il portale (1115-1125),


decoratissimo, ha una struttura gemina con due
porte separate da un trumeau, un pilastro centrale
scolpito con coppie di leoni e leonesse.

L’arcata, gli archi volti, la lunetta, l’architrave e


così via erano tutti scolpiti.

Gli stipiti sono di forma strana che riflette

l’influenza islamica
giunta attraverso gli
apporti mozarabici.

L’architrave è decorato
con dischi con rose
d’acanto, mentre la
lunetta è scolpita
racchiusa da tre archi
volti digradanti che
conferiscono una
leggera strombatura al
portale.

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Nella lunetta si narra il quarto capitolo dell’apocalisse di Giovanni: Cristo che
appare tra i quattro viventi inframmezzati dei simboli degli Evangelisti,
ciascuno con il libro e due angeli e i 24 vegliardi dell’apocalisse che
compaiono da un mare di cristallo.

Il pilastro centrale aveva


bestie e fiere, gli stipiti
delle porte due profeti, la
parte laterale del portale
ospitava storie varie come
il diavolo e la lussuria
oppure l’anima del ricco
che viene tormentato del
diavolo.

Il fedele, quindi, faceva un


percorso di ingresso che lo
portava all’entrata della casa
di Dio attraverso una
meditazione fatta dalla
presenza della scultura
architettonica.

A Autun, anche il portale occidentale di Saint Lazare (1120-1130) era


decoratissimo. Abbiamo la firma dell’artista Gisleberto che raffigura il
giudizio universale.

Cristo è rappresentato in mandorla con le anime dei salvati dei dannati ed


erano scolpiti anche i lavori dell’uomo i segni zodiacali. Queste sculture,
simboliche, stanno a suggerire al fedele che attraverso la fede le buone azioni ci si
poteva salvare e che l’uomo doveva offrire la sua vita legata alle stelle alle
stagioni a Dio. Su queste sculture vi sono anche i residui di colore.

Le figure sono molto emergenti dal piano di fondo e quindi molto “paurose“,
erano delle sorte di bibbie di pietra.

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IL FENOMENO DEL PELLEGRINAGGIO:

I pellegrini sono coloro che vanno a Gerusalemme, Roma e a Santiago.

Abbiamo tutt’oggi addirittura degli itinerari all’interno di manoscritti con vere


proprie mappe.

Per Roma abbiamo i Mirabilia Urbis Romae, facenti


parte della letteratura periegetica, erano
l’equivalente delle moderne guide di viaggio,
che servivano ai pellegrini che si recavano a
Roma e li guidavano per tutto il percorso.

I primi Mirabilia nascono nel XII secolo, sono


manoscritti e si manterranno fino al Barocco:
successivamente il titolo rimarrà lo stesso ma si
avranno modifiche nei contenuti.

Per Santiago de Compostela abbiamo il “Libro di


San Giacomo”, composto di 5 libri, il cui ultimo del
1140 è il “Libro del Pellegrino”, una guida in cui si
descrivono i quattro cammini per Santiago.

La tradizione vuole che a Santiago de


Compostela fosse stato ritrovato il corpo di San
Giacomo (uno dei primi apostoli) in un campo
con la presenza di una stella luminosa a
indicarne il punto.

Il percorso per arrivarci parte da Puente de la


Reina (al confine tra Francia e Spagna a nord),
dove si incontrano altri quattro percorsi che
attraversano la Francia.

Le chiese sulle strade del pellegrinaggio hanno dei tratti comuni con
prolungamento delle navate oltre al transetto e deambulatorio con cappelle
radiali, con portale non solo nella navata centrale ma anche sul transetto.

L’obbiettivo comune era quello di far fare al Pellegrino un percorso entrando


e uscendo dal transetto passando per la parte più importante, l’abside, dove
venivano conservate più spesso le reliquie dei santi.

Tratti comuni quindi in: Santiago de Compostela, San Sernin di Tolosa,


Santa Fede a Conques, San Martino di Tours e San Marziale a Limoges
(queste ultime due distrutte).

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Santa Fede a Conques
(1050-1130) è molto ben conservata
con il portale maggiore con giudizio
universale del 1124 e all’interno
classici sistemi di coperture a volte a
botte e anche a crociera e pilastri
compositi.

Nel portale maggiore vi è scolpito

Cristo giudice con attorno beati e dannati e titula che spiegano ciò che
avviene. All’interno, in un capitello, i monaci
costruttori si auto scolpiscono con in mano un
martello mentre costruiscono un muro.

Santa Fede è una Santa cristiana il quale corpo fu


trafugato da Agen e portato a Conques, dove si
poteva chiedere la sua grazia. Il suo reliquiario è
una statura dorata più volte decorata e arricchita
fino al XI secolo.

Chiesa di Santiago de Compostela


(1075-1119) fu finanziata da tre re: Alfonso
d’Aragona, re Enrico d’Inghilterra e Luigi il grosso
di Francia.

I maestri costruttori che sovrintesero la


costruzione furono don Bernardo il Vecchio e
Roberto, per cui operarono altri 50 costruttori.

Oggi la facciata è quella costruita in età barocca


con due torri e con ampia scalinata
settecentesca.

10
L’ingresso ha un grande atrio per poi svilupparsi in tre navate anche nel
transetto, campate con volte a crociera nelle navatelle e con volte a botte
longitudinale nella navata centrale, per poi terminare con l’abside con
deambulatorio e cappelle radiali.

La guida
descrive i portali
scolpiti: il portale
d’accesso
chiamato della
Gloria, il portale
della Plateria
(1103-1112,
dava accesso al
quartiere della
Plata) e la Porta
Francigena (dove arrivava la via Francigena, oggi non
c’è più).

Nel portico della Gloria il Pellegrino poteva baciare la


statua di San Giacomo (1168-1188).

Manuale: pp. 110-121

Scheda su Cluny

Scheda Pellegrinaggio e Santiago

30 Marzo 2021

BASILICHE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE

BASILICA DI SAN MARCO

Prima costruzione in età carolingia per contenere le


spoglie di San Marco, la seconda sotto il doge
Orseolo nel X secolo e la terza, quella attuale, nel
1063 sotto il doge Domenico Contarini e
terminata sotto il doge Vitale Falier (1083-1096).

Il potere dei dogi e quello religioso erano


strettamente congiunti, così che San Marco si
avviava diventare un avere propria cappella
palatina e, di conseguenza, una Chiesa di Stato.
Non a caso l’ambone sul lato destro dell’altare era
quello su cui venivano fatti salire presentati al
popoli nuovi dogi.

11
Detta chiesa romanica perchè
rivestita di marmi con guglie,
pinnacoli etc.

La basilica è connessa al palazzo


ducale, e quindi un esempio di
cappella palatina e ne abbiamo una
fonte nel “Translatio Sancti Nicolai”
redatto nel monastero di San Nicolò
di Lido agli inizi del XII secolo.

Venezia è sempre stata l’altra


Bisanzio, con commerci importantissimi con l’oriente, per questo e, la
basilica può essere messa a confronto con la Chiesa dei 12 apostoli a
Costantinopoli, la chiesa di San Giovanni a
Efeso e Santa Sofia a Costantinopoli.

La pianta è a croce greca con transetto più


breve e stretto del braccio longitudinale,
entrambi a tre navate. Al termine del braccio
orientale vi sono tre absidi, le minori sono
semicircolari all’interno e rettilinea all’esterno,
mentre quella maggiore all’esterno è
poligonale. Ha cinque cupole, uno per ciascun
braccio e una maggiore all’incrocio, con volte
a botte, navate e navatelle con divisione fatta
da grandi pilastri e file colonnate che formano
di trafori
(struttura
tipica delle
basiliche
orientali).

Aveva una facciata tipicamente romanica in


muratura con nicchie, archi lavorati e di
paramento murario. Rimane intatta la
copertura esterna romanica dell’abside
strutturata in due piani con archi
sagomati a dentelli, cornici su paramento
murario semplice e uso di mattoni a spina
di pesce nelle nicchie (elemento che si può ritrovare in diversi altri luoghi a
significare che la maestranza che li aveva effettuati a Venezia aveva eseguito
e osservato lavori anche altrove, addirittura a Istambul).

12
Si hanno testimonianze della maestranza
contariniana a Jesolo, nella basilica di Santa
Maria assunta (già in rovina nel 1800), a Padova,
dove per Santa Sofia inizia la facciata e l’abside
negli ultimi anni dell’XI secolo, sempre a Jesolo
per Santa Maria di Equilio e a Murano nei primi
decenni del XII secolo per Santa Maria e

Donato.
Anche nella cripta, romanica,
la nicchia dell’abside è fatta di
mattoni a spina di pesce.

L’interno è alzato a due piani


con tribune, grandi pilastri
quadripartiti dalle ampie
aperture su due livelli che
sorreggono le cupole su pennacchi e quindi grandi arconi che si aprono sulla
navata centrale.

È completamente coperto di marmi e mosaici preziosissimi.

I capitelli, sormontati da pulvino, sono lavorati con la tecnica a niello,


secondo la quale la pietra veniva scavata in modo da lasciar vedere i motivi
decorativi riempiti con pasta vitrea a base di ossido di piombo (colore scuro
tra il verde e nero). Questa tecnica permette quindi di dare quell’effetto di
traforo che davano i capitelli
orientali.

Mosaico= tecnica decorativa


con la quale, per mezzo di
frammenti (ordinariamente
piccoli cubi, detti tessere
Musile) applicati sopra una
superficie solida con un
cemento o con un mastice,
viene prodotto un determinato
disegno.

13
Viene utilizzato in tantissime civiltà diverse, con materiali e stili diversi.

In Italia, nel I secolo d.C. si cominciano a fare mosaici parietali adoperando


anche il vetro, di cui si hanno molti esempi a Pompei, nelle terme, nei ninfei e
nelle fontane.

Le funzioni del mosaico nel contesto di un edificio di culto sono: quella


pragmatica che restituisce la natura incorporea dello spirito e quella simbolica
che restituisce vita alle figure.

L’oro viene usato moltissimo perché fa riverberare la luce e aiuta, negli


edifici sacri, la luminosità a diffondersi. Le tessere di color oro erano fatte di
foglie di lamina d’oro all’interno del vetro. L’inclinazione delle tessere era
fondamentale per riflettere la luce.

La messa in opera:

I. LA MALTA: tre strati, due a base prospettiche, la sinopia e in


di calce e quello esterno, a seguito la pittura a fresco su cui
grana più fine, fatta con marmo verranno posate le tessere.

polverizzato
III. L’ALLETTAMENTO DELLE
II. LA SINOPIA (disegno TESSERE: L’organizzazione del
preparatorio): prevede la lavoro, aggiornate, prevedeva di
definizione del programma partire dalle parti più alte
iconografico, il calcolo la scendendo e dalle parti più
correzione delle distorsioni importanti verso quelle
secondarie.


Il programma iconografico di San marco comprende 4000 mq di mosaici


dall’XI al XVI secolo:

1. I mosaici più antichi del portale 4. Storie di San Marco

interno dell’abside (XI secolo)


5. Altri mosaici (transetto e
2. Ciclo del nuovo testamento (XII navatelle
secolo)
laterali)

3. Ciclo del vecchio testamento
(XIII secolo)

Cupola dell’Ascensione (1150-1175), maestro


bizantino: al centro della volta Cristo, seduto su un
arcobaleno in un cielo stellato retto da quattro angeli,
sale in cielo; più sotto, sempre su fondo d’oro, una serie
di alberi con esili chiome si parano l’una dall’altra le
figure degli apostoli, della vergine di due angeli.

Sotto, tra le finestre della cupola ci sono le figure delle


14
virtù, raffigurate con linguaggio romanico ma con maestranze di Bisanzio
attraverso chiaroscuri, tondi, espressività e realismo di grande effetto tant’è
che sembra che la figura danzi. Ciascuna delle virtù è identificata da una
scritta latina e tiene in mano un cartiglio che ne illustra il carattere.

In ognuno dei quattro pennacchi è raffigurato un evangelista intento a scrivere


il proprio testo, mentre sullo sfondo sono visibili altissimi e complicati e
difficili altrettante città. Sotto di loro, vediamo invece le personificazioni dei
quattro fiumi del paradiso terrestre.

Nelle altre cupole di età gotica, il linguaggio è diverso, ma le figure non sono più
costruite attraverso una linea
simbolica ma sono molto più
arrotondate, plastiche e corpose
costruite da una modellazione meno
lineare ma più graduale di colori.
L’idea del tempo era quella di studiare
di nuovo la natura umana nella sua
naturalezza attraverso il chiaroscuro.

Cupola della Genesi: per ogni


giorno della creazione, Dio padre,
giovani e imberbe è accompagnato
da un numero di angeli
corrispondente al numero del
giorno.

15
Preghiera per il ritrovamento del corpo di San Marco (1250-1260)

I veneziani fanno
uso dello spolio in
seguito al
saccheggio di
Bisanzio, importano
diversi elementi, tra
cui la statua dei
tertrarchi e la pala
d’oro (XII-XIII) in
legno, oro, argento,
pietre preziose,
smalti con
reimpiego di opere
giunte da Costantinopoli dopo la Crociata del 1204.

Risale al XII secolo anche il vasto pavimento della basilica, interamente


rivestito di marmi colorati, ora in piccole lastre a formare decorazioni
geometriche (Opus Sectile), ora in minutissime tessere che compongono
scene figurate o elaborate decorazioni vegetali.domina la geometria: si
cercano quindi simmetrie corrispondenze tra le parti, ma si
evita la ripetizione.

Sant’Ambrogio a Milano

La struttura della basilica paleocristiana si mantenne fino al


784, quando presso la chiesa venne fondato un monastero
benedettino e si insendiò una comunità di sacerdoti. Alla
fine dell’XI secolo, dopo l’autonomia comunale, si decide di
sistemare l’area presbiteriale per raccogliere le nuove
esigenze liturgiche.

La Basilica Martirum era stata voluta da Sant’Ambrogio


per raccogliere le spoglie dei martiri Gervasio e Protasio,
ma dopo la sua stessa morte venne intitolata a lui. Di
questa Chiesa precedente si conservò la zona absidale,
basso campanile detto dei monaci non che la
conservazione dell’impianto del quadriportico d’ingresso.

La chiesa, priva di transetto, è preceduta da un grande quadriportico su


pilastri di eccezionale dimensioni il colore dominante è il rosso dei mattoni.

La facciata a capanna si innesta su un lato corto del quadriportico, cosicché


sull’ingresso si forma un atrio e, al di sopra, un loggiato; in alto, lungo il

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bordo degli spioventi, corre
una cornice di archetti pensili,
che si trovano anche nel
quadriportico nella navata
interna.

Da una parte dall’altra della


facciata si innalzano due
campanili a pianta quadrata: a
destra quello “dei monaci“ (il
più antico) e a sinistra quello
“dei canonici“.

La chiesa è divisa in tre navate con campate a crociera con rapporto di due a
uno tra centrale e laterale. Sostengono a ritmo alternato, un grande pilastro
per il peso della cupola centrale grande e uno piccolo per il peso di cupole
minori, stesso concetto viene ripetuto all’esterno per i contrafforti.

All’interno l’adozione di pilastri e volte a crociera provengono in gran parte


dall’architettura antoniana.

Alla nuova scansione dell’interno si adeguano anche i capitelli, il cui schema


complesso deriva dalla struttura articolata dei pilastri; su di esso scorre un
repertorio iconografico variegato di animali, intrecci, motivi vegetali.

La zona presbiterale è rialzata perché sotto ospita la cripta e l’apparato


scultoreo è tutto anonimo dai capitelli decorati con animali e elementi
fogliacei.

Duomo di Modena dedicato a S. Gimignano

Abbiamo diversi tipi di fonti che ricordano la costruzione della chiesa da


parte dell’architetto Lanfranco, voluta al tempo dall’intera cittadinanza.

La ricostruzione della cattedrale fu del tutto legata al corpo del santo: per gli
uomini dell’età romanica e si erano luogo del sacro, dove l’esperienza
religiosa si realizzava pienamente grazie alla santità delle reliquie presenti.
Ed era l’intensità della devozione del culto che
induceva ad affidare ad artisti della migliore
qualità, spesso itineranti, il compito di costruire le
chiese di decorarle.

La facciata risale al XI-XII secolo, da essa parte una


loggetta percorribile che corre lungo tutto il perimetro
della chiesa, a tre arcatelle racchiuse entro arcate
impostate su semicolonne.

La facciata è a salienti, ripartita da due robusti

17
contrafforti e in origine aveva solo la porta centrale
con protiro, poi vengono aggiunte quelle laterali e il
rosone.

Le navate interne sono in mattoni e coperte con grandi


travi in legno, mentre l’esterno è totalmente rivestito
da conci di pietra il Duomo assunse così un aspetto
massiccio e solenne.

Lanfranco era riuscito a recuperare marmi delle


rovine sepolte negli strati
romani della città e aveva
anche fatto venire una
grande quantità di blocchi
di pietra dalle Prealpi
venete.

Abbiamo una lastra con la


firma dello scultore, Wiligelmo.

Sulla facciata c’è una sequenza di lastre con


l’antico testamento (Genesi con storie della
creazione di Adamo fino all’arca di Noè) poste ai
lati del portale centrale e sopra alle porte laterali.

Vedere rivivere gli episodi del primo libro biblico


era per gli uomini del medioevo il mezzo per
ricordare le ragioni della venuta di Cristo e, nello
stesso tempo, per comprendere il senso dei riti
che si sarebbero svolte all’interno della chiesa principale della città.

Wiligelmo abolisce ogni secchezza, rianima la vegetazione, inserisce


animaletti, esseri fantastici e piccoli uomini che si fanno strada tra il fogliame
fittissimo. Alla base degli stipiti esterni incontriamo il Telamone (O Atlante),
un personaggio che sorregge una struttura architettonica. Il Telamone è un
corpo umano che si salda le strutture inanimate dell’edificio, la figura in cui si
realizza perfettamente la fusione tra architettura e scultura.

Negli elementi scultorei si notano dei genietti ispirati a quelli presenti nelle
lastre funerarie dei sarcofagi modenesi anche pagani.

I capitelli e le metope mostrano il mondo al di là delle colonne d’Ercole con


figure strane e bestie.
Nei portali ci sono le storie dei mesi e nella lunetta della Porta della Peschiera (XII
secolo) ci sono i cavalieri della tavola rotonda e sotto le storie di Fedro.

Queste leggende non erano ancora state fissate per iscritto nella letteratura europea
e quindi erano arrivati qui a Modena grazie racconti dei pellegrini in viaggio dal nord
Europa fino a Roma.

18
L’esterno è riflesso all’interno con arcatelle con affacci finti
(non matroneo percorribili), cioè con trifore collegate con
arcate alle pareti.

La pianta, a tre navate con sostegni alternati (pilastro


quadrilobato e colonna), tre absidi e cripta sotto la zona
presbiteriale rialzato su
un pontile (dei Maestri
Campionesi, XIII-XIV).

Verona, Abbazia di
San Zeno (1023-1035):
facciata a salienti tripartita da due
robusti contrafforti.

Il portale maggiore ha battenti lignei e


formelle bronzee (XII), protiro di Nicolò
(1135-1140) e ai lati lastre con Storie
della Genesi e storie dei Vangeli di
Guglielmo. Queste lastre sono scene
isolate l’una dall’altra, su due registri
che vanno letti dal basso verso l’alto ai
lati del portone.

In tutti i rilievi della facciata di San Zeno,


si rivela lo speciale amore di Nicolò per
la variazione uno spiccato piacere per i
contrasti. Una volta assicurata l’unità del racconto grazie alle grandi lesene
con girali di acanto che bordano le singole scene come fossero pagine di un
manoscritto Miniato, l’artista dà prova di
grande maestria variando continuamente
le forme del racconto che cattura
l’attenzione dell’osservatore (ora piccole
figure sui margini, ora grandi scene).

Sui lati degli architravi ci sono le


rappresentazioni dei mesi che sorreggono la
volta entro tre arcatelle per lato.

Nell’archivolto c’è la mano di Dio con ai lati


San Giovanni Battista e San Giovanni
Evangelista.

Nella lunetta, risalente al 1138, è


raffigurato il Santo patrono al quale

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viene consegnato il vessillo da parte di tutti i fedeli, a testimoniare come la
chiesa unisse tutti i comuni e i fedeli.

Anche l’Abbazia di Montecassino aveva grandi porte bronzee (1066) e


un ciclo di mosaici importantissimo fatti anche da maestri dall’oriente.

L’abbazia di Montecassino, uno dei centri monastici più importanti del


medioevo, sorge su un’altura di circa 500 m che in età classica era stato
l’acropoli dell’antico municipio romano di Casinum e dove San Benedetto da
Norcia aveva fondato un monastero già agli inizi del VI secolo.

Nella vicenda medievale dell’abbazia, la data chiave è 1066, quando l’abate


Desiderio prese la decisione di ricostruire la Chiesa. I bombardamenti del
1944 hanno cancellato le strutture medievali, ma ci vengono in aiuto le fonti
letterarie, redatte da testimoni oculari delle iniziative artistiche dell’abate
desiderio. Quest’ultimo fece venire maestranze da Bisanzio per fare, ad
esempio, preziosi mosaici.

Aveva tante proprietà e una di


queste è la chiesa di
Sant’Angelo in Formis (Capua,
XI secolo), ricchissima di pitture
che ci mostrano l’abate Desiderio
che offre il modello della chiesa.

La chiesa è stata costruita su


quella che era la base in blocchi di
tufo dell’antico tempio di Diana, si
tratta di un clamoroso episodio di

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reimpiego di strutture antiche, ma, nello stesso tempo, alla sostituzione di
un’antichissima divinità femminile con un culto particolarmente amato dai
longobardi, quello per l’arcangelo Michele.

L’interno della chiesa venne decorato ad affresco


con storie dell’antico del nuovo testamento.
Nell’abside centrale, Gesù in trono e circondato dei
simboli degli Evangelisti, su uno sfondo squillante
d’azzurro; nel registro sottostante San Michele in
piedi tra gli altri due arcangeli; sulla sinistra il
proprio Desiderio che gli offre il modellino della
chiesa. Al Cristo in trono dell’abside corrisponde
un altro Cristo in maestà sulla parete opposta, la
controfacciata; la scena è al centro di un grande
Giudizio Universale.

Poi, nella navata principale vi sono le storie del


Nuovo Testamento e in quelle minori dell’Antico
Testamento.

Gli affreschi di questa chiesa non sono del tutto uniformi; a tratti scorgiamo
figure solenni, eleganti, compassate rivedendo il linguaggio bizantino nelle
sue forme più colte raffinate. A tratti, invece, abbiamo come l’impressione
che è un tono “dialettale“ abbia fatto diventare più scorrevole il racconto,
rendendolo meno rigido e meno severo.

Il duomo di Pisa, la cattedrale di Santa Maria assunta

Le lunghe scritte su pietra incise sulla sua facciata si parla di guerre, le


spedizioni che le flotte dei pisani, sin dei primi anni dell’XI secolo,
condussero sul mare contro gli arabi.

In una di queste epigrafi viene descritta la conquista di Palermo e viene


ricordata, nello stesso tempo, la fondazione del Duomo (1063). Il bottino di
guerra servì proprio per finanziare la cattedrale voluta da tutti cittadini di
Pisa.

La grandiosa cattedrale divenne allora espressione visibile dell’imponente


espansione politica mercantile della città nel Mediterraneo e la celebrazione
delle imprese militari l’esaltazione dell’impresa architettonica sono perciò
tutt’uno.

Il colore bianco della Chiesa, dato dei calcari dei marmi perlopiù tratti da
edifici antichi, era proprio quello che colpiva gli uomini dell’epoca.

Attorno alla metà del XII secolo si iniziò una nuova campagna di lavori e la
cattedrale venne allargata verso ovest (cioè verso la facciata), si può
21
riconoscere facilmente per il cambio di colore la parte antica di Buscheto e
la giunta nuova di Rainaldo.

La scritta che rende un ore a Rainaldo fu realizzata in un raffinatissimo intarsi


di marmi colorati e tutta la facciata è un susseguirsi di decorazioni in pietra
compositi, di colonnine multicolori, di capitelli squisitamente lavorati, di
cornici sottilmente rifinite. Rainaldo ha comunque ripreso dall’abside di
Buscheto le arcate cieche in basso le loggette in alto.

Buscheto progettò dunque una grandiosa chiesa a cinque navate sorrette da


gigantesche colonne; alcune di esse vennero eseguite appositamente, altre
erano di spoglio come moltissimi altri elementi presenti nella chiesa
(sarcofagi, rilievi, basi, cornici presi da fabbriche classiche).

Un grande transetto, a sua volta costituito da tre navate e con absidi sulle
due testate, interrompe le cinque navate; all’incrocio tra quella maggiore il
transetto, sorge una cupola a spicchi impostata su un ottagono e di profilo
ovoidale. Alla fine delle navate più piccole, due scale monumentali
conducono i matronei, una vera e propria chiesa superiore.

Lo scultore Guglielmo fu autore della recensione presbiterale dell’ambone


dell’uomo, mentre sul fianco meridionale del Duomo incontriamo un’altra
figura di artista, l’autore dei battenti bronzi del portale detto di San Ranieri:
Bonanno Pisano (lo stesso autore della torre, 1173-1370).

Alla base dei battenti sono raffigurati 12 profeti, ciascuno separato da una
palma e sopra sono disposte 20 formelle, ciascuna con un episodio del
22
Vangelo e infine vi sono due riquadri, uno con Cristo, l’altro con la vergine in
trono tra gli angeli. Formelle riquadri furono fissate una struttura lignea
tramite chiodi, loro volta coperti da rosette.

Il Duomo di Pisa fu anche un modello da copiare. Ad esempio, tra l’11º il XII


secolo, la Corsica e la Sardegna entrarono nella sfera di influenza economica
e politica di Pisa e ne risentì l’architettura locale, che in più occasioni
assimilò elementi pisani.

L’edificio più rappresentativo è la chiesa della Santissima trinità di staccar


già, in provincia di Sassari. L’esterno è caratterizzato dall’alternanza di filari
in pietra scura in pietra chiara; sulla facciata si stagliano cerchi e losanghe
policrome visibili anche nel Duomo pisano.

Infine, verso la metà del XII secolo iniziarono anche i lavori del nuovo
battistero, proprio di fronte alla facciata del Duomo. Scavi archeologici
hanno rivelato che il battistero primitivo era di forma ottagonale
(caratteristica paleocristiana).

La nuova struttura fu modellata su quella dell’Anástasis (“Resurrezione”) di


Gerusalemme, A pianta circolare, con una serie di colonne che formano un
deambulatorio e una cupola.

L’architetto era il magister Diotisalvi che nel 1163 fece arrivare dalle cave
della Sardegna dell’Isola d’Elba otto colonne. Nello stesso tempo cercò di
armonizzare interno ed esterno del battistero con il Duomo di Rinaldo, sia
per il rivestimento in blocchi di marmo di due colori sia per la sequenza di
arcate cieche.

Studiare: pp.122-129, 132-141, 144-146, 149-160 e 198-201.

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12 Aprile 2021

ARTE GOTICA
Con il termine gotico la tradizione storico critica indica i cambiamenti delle
forme storico artistiche verificatesi negli anni 40 del XII secolo nel Ile de
France (nord della Francia nella zona di Parigi)

Il termine nasce in ambiente umanistico per la scrittura e poi gli eruditi del
Rinascimento lo usano nel XVI secolo nei trattati d’arte in accezione
negativa. Gli umanisti, infatti, ritengono che la scrittura fosse molto
confusionaria, con abbreviazioni e abbellimenti. In arte, invece, Vasari usa
questo termine per indicare il modo di costruire dei Goti definendolo un
“disastro”; lui infatti predilige le ispirazioni degli ordini classici.

Solo tre secoli più tardi l’arte gotica verrà rivalutata dalla cultura europea.
Nel secondo Settecento in Inghilterra e Germania poi in Francia e in Italia in
concomitanza con la diffusione di un vero e proprio revival di quello stile il
Gothic Revival o Neo gotico.

Edifici come ad esempio il Pedrocchi (da un lato neoclassico e dall’altro


neogotico di Giuseppe Jappelli)

Per noi oggi il gotico è un fenomeno complesso e variegato, di portata


europea, che riguarda tutti i settori della produzione artistica: architettura,
scultura, pittura, più arti minori come miniatura, oreficeria, vetrate, avori
tessuti.

Ai tempi queste forme artistiche venivano chiamate Opus Francigenum


(=modo di operare alla francese).

Abbiamo la testimonianza della cronaca di Brukard di Hall (1269), riferendosi al


coro della chiesa di Wimpfen in Tal, nel Baden.

Questa nuova opus nasce in Francia perché c’era una monarchia già forte
e stabile (capetingia), grazie anche alla stabilità economica, politica e sociale
che permette una maggiore volontà di costruire in pietra.

I capetingi favorirono l’unificazione e rafforzamento del paese a tutti livelli, compreso


quello culturale: grandi università sorsero accanto le cattedrali e vi fu una
straordinaria fioritura degli studi teologici e filosofici.
Quella zona era importantissima anche per le costruzioni romaniche.

Si ha una nuova forza, quella di superare le conoscenze tecniche,


superare la distanza tra uomo e natura.

Si riscopre Aristotele, che si è occupato di natura e ciò investe anche la


religione: Dio, infatti, ha creato la natura e lascia che l’uomo viva in armonia
1
con essa. Bisogna anche ricordare il Cantico delle Creature di San
Francesco.

La vera, grande novità è l’importanza attribuita la luce. C’è una luce reale e
una luce simbolica, l’una e l’altra segno della presenza di Dio in ogni dettaglio
del mondo, quel Creato che l’uomo può comprendere nella sua multiforme
complessità grazie alla ragione.

Perché potesse aumentare la luce


interna bisognava allargare le finestre;
ma in questo modo si indebolivano i
muri, a cui era affidato il compito di
sostenere le pesanti volte in pietra.

Gli architetti gotici e i loro


committenti, infatti, non vollero
rinunciare alle volte; esse, anzi,
diventarono ancora più grandi
rispetto a quelle delle chiese
romaniche, e sempre più proiettate
verso l’alto grazie all’impiego diffuso
dell’arco acuto, o a ogiva.

Per mezzo di grandi archi, o archi


rampanti, il peso delle volte (a
nervature, spesso quadripartite o
esapartite) e del tetto sovrastante
venne trasferito all’esterno su enormi
pilastri, i cosiddetti contrafforti fuori
dal perimetro dell’edificio.

L’ingrandimento delle finestre e


stimolò la produzione di grandi
vetrate istoriate. Si trattava di una tecnica complessa e delicata vista la fragilità
di materiali, che consentiva di realizzare grandi superfici multicolori.

Le lastre di vetro venivano ritagliate secondo il disegno prestabilito; a questo punto


si poteva ridurre l’uniformità di colori e ottenere effetti di chiaroscuro con la pittura
a grisaille: una tecnica basata sull’uso di una vernice grigiastro, ricavata dalla
macinazione del vetro, che veniva temprato a fuoco per farla aderire all’interno
delle vetrate stesse. Le diverse porzioni di vetro erano poi congiunte le une alle
altre con listelli di piombo, quindi venivano inserite entro armature metalliche, a
loro volta montate nel vano delle finestre.

Grazie a esse, esterno e interno dell’edificio sacro venivano così messi in


perpetua comunicazione: anziché a isolare il fedele entro lo spazio chiuso del

2
culto e del rito, la nuova architettura si presentava come il punto d’approdo
di un percorso di avvicinamento, e mediante squarci di luce ne conservava la
memoria.

Le chiese gotiche concentrano la decorazione solo in alcuni punti chiave:


all’esterno i portali, all’interno le vetrate delle grandi finestre. La
conseguenza è che sono le stesse strutture architettoniche diventare
protagoniste: c’è adesso, in lunghezza in altezza, una nuova grandiosità, in
cui svettano torri, pinnacoli, guglie, archi rampanti; all’interno pilastri,
pareti, volte, nervature vengono realizzati con estrema precisione, segno
di una efficientissima organizzazione del cantiere.

La prima chiesa, abbaziale, è


Saint-Denis a Parigi (un
tempo fuori città). Non tutta la
chiesa è dello stesso periodo,
la facciata e il coro sono gotici
e costruiti nel 1140.

Fatta costruire dall’abate


Suger (1081-1151), Saint-
Denis era un’abbazia
importante perché vi si conservavano le reliquie di San Dionigi e perché vi
venivano sepolti i re di Francia.

Suger guidò l’abbazia in modo assai abile sia animandone la vita religiosa sia
intrattenendo legami politici con i sovrani.

Possediamo suoi scritti che ci fanno comprendere come per lui l’arte era un
modo di accostarsi a Dio: la bellezza della casa di Dio annuncia la bellezza
della vita eterna. Questa fonte ci assicura anche
che il messaggio della costruzione in una certa
maniera è proprio quello di dare più luce alla
chiesa (anche simbolica).

La facciata ha tre portali strombati, un timpano,


una torre (l’altra non c’è più), un rosone
sovrapposto a una finestra ed enormi contrafforti.

Il coro non ha più divisione tra deambulatorio e


cappelle, le finestre ai muri perimetrali danno luce
a tutto il coro creando continuità con la zona del
deambulatorio e gli archi e le volte ogivali danno
un senso di luminosità e continuità. Inoltre, il
distanziamento di supporti (colonne verticali
slanciate) contribuiscono all’unione dello spazio.

3
Suger dice: “la corona delle cappelle, da dove la chiesa tutta intera si illumina dal
chiarore miracoloso e continuo delle splendenti
finestre”.

La tecnica delle vetrate viene descritta da Teofilo


nel XII secolo: il progetto figurativo veniva
abbozzato su una tavola di legno su cui venivano
stese lastre di vetro di vario colore per essere
intagliate nelle forme volute. Venivano aggiunte
eventuali pieghe, panneggi e tratti sonatici che erano
dipinti a grisaille, tinta monocroma ottenuta da ossidi
metallici e fissate al vetro tramite cottura. Le tessere
di vetro poi venivano contornate da fili di piombo che
venivano riunite entro i telai della finestra.

Vetrata con storie della vita


Vergine e con l’infanzia di Cristo
con Sugerio ai piedi della Vergine.

Tra primo e secondo piano c’è un sistema di scaricamento


delle volte attraverso l’arco rampante che prende il peso
delle volte e lo butta all’esterno.

I portali sono stati tutti rimaneggiati. Nelle colonne vi erano


20 statue dei re e delle regine dell’antico testamento oltre a
patriarchi e
profeti (durante
la Rivoluzione
Francese
vengono
distrutte, ci
rimangono però
alcune teste). Questi personaggi
dimostravano la lunga storia della
redenzione cristiana.

La navata era molto larga, con


succedersi di campate che ti
porta al transetto con poi
un’enorme zona presbiterale. I
pilastri avevano addossate
semicolonne nel coro e nella
navata pilastri continui. Il resto
della chiesa, infatti, viene costruito in pieno gotico (le parti più antiche, facciata
e retro quindi si definiscono in protogotico).

Chartres
Vescovado importantissimo dove il vescovo
era eletto dal re. Carlo il Calvo aveva donato
la reliquia di due parti dell’abito della Vergine
per chi già in età carolingia venne fondata
una prima Chiesa dedicata alla madre di Dio.

Fu costruita dal 1134 al 1260 (un vero e


proprio cantiere aperto) dal denaro del
capitolo dei vescovi, dei nobili ma anche
frutto della devozione popolare.

Nel 1134 un incendio distrugge la facciata


che iniziò ad essere ricostruita con le torri e il
grande portale dei Re (1150-1155), nel 1194
un fulmine incenerisce la chiesa e così si
ricostruisce la navata centrale conclusa nel 1120
e infine il coro e il transetto vennero consacrati
nel 1260.

In essa vennero sviluppate in tutta la chiesa


alcune intuizioni protogotiche che c’erano
state in Saint-Denis.

Vi è una nuova continuità, dove si tende a dare luce a tutta la chiesa,


l’uomo viene proiettato verso l’alto con doppi archi rampanti che scaricano
in grandissimi contrafforti esterni.

5
All’interno le tre navate vennero interrotte da un transetto, anch’esso a tre
navate; a sua volta il transetto si raccorda con le navatelle che bordano le
quattro campate del coro, per poi saldarsi con il doppio deambulatorio
dell’abside coronata da cappelle radiali.

La navata centrale è
spettacolare per
l’altezza, ma ancor più
per la chiarezza con cui
si offrono alla vista le
strutture
architettoniche,
ordinatamente disposte
su livelli diversi: in alto le volte costolonate, più
sotto le grandi finestre; quindi una sequenza
continua di piccole arcate (triforio), infine i grandi
archi della navata sostenuti dai pilastri.

Andando avanti le cattedrali dell’Ile de France


diventano sempre più elaborate nelle aperture della
parete della navata centrale. Il triforio e il cleristorio si aprono sempre di più
con finestre e rosoni sempre più grandi. Le vetrate sono molto importanti e
ben conservate tutt’ora e in quelle del coro ci sono i diversi commercianti
(soprattutto di vino) della città che pagano per le vetrate.

Il vino è per eccellenza un prodotto dell’uomo (perché viene fatto fermentare) e in


epoca cristiana viene eletto come simbolo del sangue di Cristo.

Le vetrate hanno sfondi rossi e blu con immagini simboliche della natura
divina del sangue (vino), simbolo dell’uomo che non ha paura della natura
ma che la indirizza, per un nuovo approccio con essa.

Vetrata laterale Nord di San Lubin


(1200-1210), un santo locale che la tradizione
dice essere stato campocantiere.

Rappresentata l’offerta dai commercianti di


vino che è posta in asse con le cantine del
capitolo. Ai lati vi sono i medaglioni a fondo
blu con storie del santo e al centro i
medaglioni a fondo rosso con temi legati al
trasporto, alla conservazione e alla simbologia
del vino con il carretto che trasporta la botte.

Vetrata nel deambulatorio di Carlo Magno


(1220) dove sono rappresentati: l’offerta dai
commercianti di pellicce, la spedizione di
Carlo Magno in Spagna, la preghiera di Carlo
prima del combattimento, la presa di
Pamplona e la costruzione della chiesa di San
Giacomo.

Lo stile, nel rappresentare le figure, è sempre più sapiente e naturalistico, con


linee fluide, sinuose, colori naturali, attenzione nella resa dei volti e non più con
singoli frammenti uniti assieme ma più con chiaroscuri e anche meglio
sistemate all’interno degli spazi.

Guglielmo Durante, Guglielmo de Mende:

“Le vetrate sono le scritture divine che recano la chiarezza del sole, cioè di
Dio, nella chiesa, cioè nel cuore dei fedeli”.

Anche la scultura si rinnova. I portali hanno lunette e archivolti figurati e


anche i pilastri sono riempiti da statue-colonne che raffigurano re e regine
dell’antichità. Fanno corpo unitario con la colonna anche se sono indipendenti
dalla colonna, con la figura addossata direttamente alla colonna. Le figure
sono più naturalistiche, con
panneggi più realistici, attenti ai
dettagli e ai particolari, I volti
guardano in avanti, le braccia non
fuoriescono dal contorno dei corpi,
le pieghe degli abiti sono fittissima
e sottili. Figure quindi dei tratti
umani, ma caratterizzate dalla
solenne immobilità delle cose
sacre.

7
Portale reale (1150-1155) con: Vergine in trono con il
bambino, Cristo giudice al centro con i simboli degli Evangelisti
e l’Ascensione di Cristo.

Nei ventiquattro capitelli che si susseguono nelle


strombatura ci sono storie della vita di Cristo. La
decorazione degli archi volti è fittissima: i 24 anziani
dell’apocalisse, le sette arti liberali, i segni zodiacali e i mesi
dell’anno. Le arti liberali sono, inoltre, affiancate da scrittori
e scienziati antichi, gli stessi che venivano studiati nella
vivacissima università attiva presso la cattedrale.

Si arriverà al portale della cattedrale di Reims ad avere


delle vere e proprie statue tridimensionali nel 1230 con
portali strombatissimi, alti, a sesto acuto e con grandi basamenti. Si
riprendono tecniche dell’antichità con scultura tridimensionale e realistica, non
più simbolica.

Le figure sono indipendenti, addossate alle colonne ma non vincolate ad


esse.

In questa cattedrale vi sono tombe con i nomi degli architetti, come ad


esempio Liberger, mostrato con la chiesa in mano, il bastone di comando e
vestito come un nobile con grande prestigio.

Bullard de Honnencourt, nel Livre de portraiture (1240) scrive 33 fogli di


pergamene con scritte e disegni. Lui stesso scrive che “in questo libro si può
trovare grande aiuto per la robustezza del costruire e sugli strumenti di
carpenteria e qui troverete il metodo migliore per il disegno, il disegno tecnico,
così come l’arte di geometria comanda e insegna”.

Racconta quindi i sistemi costruttivi delle cattedrali dell’Ile de France.

Vi sono i disegni della cattedrale di Laon con sopra sculture di mucche e


tori (erano luoghi di allevamento e quindi animali simbolo di sostentamento),
8
di strutture di cori aperti e dei
disegni di scultura con figure
con panneggi lavorati in
maniera realistica.

Notre Dame, Parigi


(1150-1300), la facciata ha 2
torri, con loggia, rosone e

finestre, tre portoni di cui quella centrale


dedicato all’Incoronazione della Vergine
(1210-1220).

All’interno le volte sono altissime ed


esapartite con pareti aperte da finestre e
rosoni. Il transetto è in gotico radiante (ultima
fase del gotico) e i rosoni sono simili a
merletti fatti da Pierre de Montreul.

Quest’ultimo progetta anche la Saint


Chapelle (1246-1248) nella zona del palazzo
reale fatta costruire sull’Ile Saint Louis nella
Senna da Luigi IX il Santo. La cappella era
unita da un ambiente di passaggio proprio
alla sala del re con un sistema simile a quella
di Aquisgrana.

Essa è l’esempio più


incredibile dell’ultima
fase del gotico, il
radiante.

Gli architetti raggiunsero


la capacità di svuotare
completamente le pareti.

È uno scheletro fatta


tutta di contrafforti,
vetrate separate da
sottili pilastri e le cui
nervature proseguono
nelle volte.

La chiesa nasce come


una chiesa reliquiario
9
dove Luigi IX le fa arrivare, la cui importante, che
compra a Costantinopoli, è la reliquia della corona di
Cristo, ancora oggi conservata alla chiesa di Notre
Dame e di chi la storia viene raccontata nelle vetrate.
Questo re viene poi fatto santo e tramite questa
reliquia viene esaltata simbolicamente la monarchia
tramite l’accostamento della corona di spine di Gesù
e quella del re.

Nei manoscritti liturgici della cappella troviamo


miniature in cui re Luigi il santo trasporta la reliquia
della corona di spine.

Studiare: pp. 296-221.

ARCHITETTURA CISTERCENSE

Roberto di Molesme nel 1098 lascia la sua abbazia (di Cluny) per ritirarsi in
un luogo isolato della Borgogna Citueax (in latino Cistercium) e lì fonda un
nuovo monastero e un nuovo ordine che dal nome della località fu detto
Cistercense.

I cistercensi davano nuova importanza alla regola di San Benedetto ripresa


nel suo originale equilibrio di preghiera e lavoro ed erano in polemica contro i
cluniacensi.

Anche loro fondano delle filie.

La terza filia è Clairvaux (Chiaravalle, 1115) che diviene la culla dell’ordine


per la presenza di San Bernardo.

L’ordine viene riconosciuto dal papa nel 1119 e dal Portogallo all’Ungheria vi
sono le loro abbazie. In Italia godono della protezione del papa e
dell’Imperatore Federico II.

Dipinto di Filippino Lippi,


Apparizione della Vergine a
San Bernardo da Chiaravalle
vestito di bianco e
particolarmente venerando
della Vergine.

A questo ordine si da delle


forme architettoniche nuove, già
gotico, con arco a sesto acuto,
rosoni e molta luce.

Fenomeno parallelo alla fine

10
del romanico.

Fanno le loro abbazie fuori città.

Fontenay fondata in Borgogna nel 1119 per volere di


San Bernardo su un terreno donato dallo zio del
santo. La sua costruzione è nata sulle fonti.

Questi monaci sono dei grandi imprenditori: l’acqua


serviva a far funzionare mulini con i quali lavoravano.

Volte ad ogiva, campate quadrangolari o rettangolari


usate non solo per la chiesa ma anche per l’intero
monastero. Quindi un’unità organica basata su rapporti
proporzionali fissi regolati ad quadratum.

La
chiesa a croce latina con tre
navate, abside quadrata e
cappelle tutte rettangolari e
nella stessa direzione
dell’abside. Al loro interno
semplici e prive di ornamenti.
Archi a sesto acuto che
scaricano all’esterno su
contrafforti e i capitelli sono
cubici scantonati con a volte
decorazioni molto
semplificate.

L’ordine cistercense rinuncia


alle grandi decorazioni, ma sono dei grandissimi costruttori.

Altri esempi: Sènanque,


Thoronet in Francia.

Abbazie cistercensi in
Italia

Abbazia di Chiaravalle
a sud est di Milano, fondata
nel 1135 forse anche alla
presenza di San Bernardo. Pianta longitudinale con tre navate con transetto
con absidi rettangolari affiancati all’abside centrale anch’essa rettangolare
(1150-1160).

I frati cistercensi costruttori viaggiano nelle diverse filie.

11
L’ordine dice di usare i materiali che si trovano, dal cotto in Lombardia alla
pietra in Toscana.

Chiesa abbaziale di
San Galgano (Siena,
1218-1288) di cui è rimasto
solo lo scheletro. I pilastri
hanno semicolonne che
continuano nella parte e
nella navata centrale gli
archi sono a sesto acuto,
con la cornice marcapiano,
l’abside riempito di finestre
e con un rosone.

Era visitatissima anche in


età medievale perché vi è la
rotonda di Montesiepi dove c’è una spada inserita nella roccia, parte della
leggenda del santo Galgano che rinuncia alla guerra per convertirsi e,
inserendo la spada nella roccia, essa rimane incastrata nella roccia.

Nell’eremo di Montesiepi vi sono degli affreschi del Lorenzetti (1340) con le


storie di San Galgano, con cavalieri visti come cavalieri del XIV secolo.

A Fossanova in Lazio, si ha un’altra


chiesa cistercense. La chiesa è in
pietra e facciata a timpano, con
portale strombato, rosone, grandi
contrafforti, tiburio ottagonale (struttura
poligonale che racchiude la cupola).
Spazio interno è tutto il monastero
simile a Fontenay, pilastri con
semicolonne, cornice a marcapiano,
archi e volte ad ogiva. Tutto con
costruzioni ingenieristiche eccezionali

con volte ogivali.

Vi troviamo anche il capitello


a crochet, stilizzazione del
capitello corinzio con foglie
che si accartocciano a
palletta.

La bravura dei monaci


cistercensi come costruttori
12
è riconosciuta nella Chronica
dell’abbazia cistercense di S.Maria di
Ferrara. Nel 1224 il papa riconosce a
Federico II di usare maestranze
cistercensi per costruire ovunque ne
avesse bisogno.

Confronto tra l’abbazia di Fossanova e la


porta di Castel del Monte. I costruttori
cistercensi sono apprezzati e influenzano
i francescani e anche l’imperatore
Federico II per tipologie architettoniche
non solo religiose.

13 Aprile 2021

Federico II
(1194-1250)

Figlio di Enrico VI di Svevia e di Costanza d’Altavilla, erede del regno di Sicilia.


Nel 1215 viene incoronato re ad Aquisgrana e nel 1220 imperatore a Roma.

Già a metà del 1200 il Papa chiama gli Angiolini e Federico II viene sconfitto.

Questo imperatore vuole richiamare Augusto con le sue monete “Augustale”


in cui viene raffigurato proprio come un imperatore romano e con il simbolo
dell’impero: l’aquila.

Fu un uomo di cultura molto importante. Presso l’Università di Bologna


fece un discorso dove sottolineò l’importanza della conoscenza e dello
studio. Grazie a lui venne importata in Italia la cultura astronomica araba e
nacque la nuova poetica siciliana.

Federico II fonda l’Università di Napoli, la scuola medica salernitana (la prima


scuola che studia la sanità, il corpo umano, le piante, la natura e la scienza),
lascia testimonianza di numerosi scritti fatti presso la sua corte.

Congiungendo nella sua persona la dinastia dei re normanni


di Sicilia e la casata tedesca degli
Hohenstaufen, egli si mostrò sensibile alla
pluralità delle culture rappresentate nell’Italia
meridionale e desideroso di affermare il suo
pieno dominio sopra un territorio vastissimo,
nel quale instancabilmente si mosse per tutta
la vita.

13
Esempi di codici Miniati provenienti dalla sua corte: “La caccia con il Falconi”,
“Sui bagni di Pozzuoli”, “Libro sulla posizione delle stelle”.

In Italia Meridionale fece costruire una fitta rete di castelli, fortezze e


residenze usate anche per svago (partite di caccia). La pianta quadrata e
poligonale è molto frequente.

Castello di Augusta, Castello Ursino


a Catania e Castel del Monte (Andria,
Puglia - 1240).

La struttura è caratterizzata da una


cornice a marcia piano e portale a
timpano, bifore con finestre a sesto
acuto nei vari spazi tra le torri scalari
come ornamento

La pianta è costituita da un
ottagono regolare che ha, al centro,
un cortile a sua volta ottagonale; su
gli spigoli dell’ottagono principale si
innestano altrettante torri, anche se a pianta
ottagonale. All’interno sono otto anche le
sale del piano terra e del piano superiore,
ciascuna a pianta trapezoidale con la
copertura suddivisa in due triangoli e un
quadrato sovrastato da una volta a crociera
costolonata.

La decorazione scultorea non è particolarmente


ricca, ma molto raffinata nei capitelli e nelle
cornici delle sale interne, nelle mensole con
14
telamoni
o teste di
fauno e
nelle
chiavi di
volta.

La
scultura

decorativa
quindi sta a metà tra l’antico e il
naturalismo gotico.

All’interno si vede l’influenza della cultura


gotica francese, mentre le tubature deriva dai normanni (signori di Sicilia che
avevano fatto tesoro della cultura degli antichi greci e degli arabi).

Castel Maniace con portale con strombatura e marmi policromi. La sala


imperiale è tutta voltata a volte a crociera goti che a sesto acuto esa e
quadripartite. I capitelli sono a crochet con figure incredibili.

Porta di Capua (1233), di cui ora sono rimasti solo i basamenti poligonali
delle due torri scalari che formavano la porta urbica (ingresso del regno di
Campania dal Regno della Chiesa).

Le torri erano composte da


basi a mattoni sporgenti
poligonali e in seguito torri
circolari merlati con archetti
ciechi romanici e nella parte
centrale vi era un apparato
di scultura in nicchie che
celebrava la grandezza di
Federico II e nel suo impero.

Il tratto di muro compreso


tra una torre e l’altra era
animato da colonnine che, a
loro volta, reggevano
arcatelle e architravi,
formando una sequenza di
nicchie. Al loro interno erano
collocate sculture in marmo.

Al centro l’imperatore in trono, affiancato forse da figure allegoriche. Appena


sotto, un tondo conteneva una grande testa femminile (la personificazione
15
della giustizia), mentre i due tondi più piccoli ospitavano busti maschili (due
illustri uomini di legge consigliere dell’imperatore).

Il tema era dunque quello del potere imperiale del suo diritto a esercitare
severamente la giustizia.

Sulla porta vi era una scritta, di cui Andrea Ungaro, un nobile che viaggiava
nel 1266 con Carlo d’Angiò ne prese nota: “Per ordine dell’imperatore sono
la custode del regno. Come rendo miseri coloro che hanno trasgredito,
quando lo vengo a sapere!”.

Testimonianza di come fosse un regno giusto che si basa su fondamenti di


leggi che ordinano il buon vivere.

La scultura, al tempo, era naturalistica.

Affreschi di vario tipo: cattedrale di Atri (contrasto tra i vivi e i morti), Torre
Abbaziale di San Zeno a Verona.

Gli edifici Federiciano arrivano fino al nord, come ad esempio a Monselice il


Mastio federiciano e a Padova la Porta di Ponte Molino del XIII secolo.

Studiare: pp.230-231 e 244-249

ICONOGRAFIA

Dalle parole greche eikon+graphein, ha doppio significato:



- Scrittura delle immagini: - Lettura delle immagini:
l’iconografo, nel contesto riconoscimento e descrizione dei
bizantino, è il pittore di immagini soggetti

sacre)

Nasce come branca più specifica della storia dell’arte, nasce nell’Ottocento
e risponde all’esigenza di un approccio storico e filologico per riconoscere e
classificare i significati espressi nelle immagini.

Any Warburg sottolinea l’importanza della multidisciplinari età per la


comprensione globale di un’opera d’arte.

Una lettura iconografica (ossia il riconoscimento del soggetto di un


immagine) presuppone la condivisione di un codice culturale ed espressivo
comune tra l’artefice e i riguardanti (anche a distanza di secoli, come per noi
di fronte alle opere antiche): coloro che guardano l’immagine, per
comprenderla, devono condividere con chi l’ha prodotta delle convenzioni
relative sia al contenuto (che deve essere noto almeno in modo elementare;
poi vi possono essere vari livelli di approfondimento del significato, che

16
possono richiedere conoscenze più o meno sofisticate), sia alla forma
(linguaggio formale, ossia un certo modo di rendere quel contenuto).

Ambito religioso del cristianesimo


Le immagini sono servite e servono per vari scopi: evangelizzare,
persuadere, far ricordare e memorizzare degli eventi e dei personaggi,
illustrare una storia e attestarne la veridicità, tramandare un sistema di
significati, di dogmi, di insegnamenti morali suggerire e guidare delle
pratiche devozionali, coinvolgere emotivamente chi le guarda.

Per questo motivo, nel corso dei secoli, vari sono stati gli interventi delle
autorità ecclesiastiche per controllare le immagini, la loro produzione e il loro
uso, per esaltarle, valorizzarle, correggerle, sostituirle, aggiornarle, obliterarle
etc

Importanza della ripetitività di un’immagine, a garanzia del mantenimento


del suo senso, del messaggio da far recepire al destinatario: la continuità
della tradizione iconografica nella rappresentazione di temi sacri è essenziale
per garantire il perpetuarsi di un sistema di significati e si realizza attraverso
il rispetto, da parte degli artisti, di una, tutto sommato ristretta, gamma di
tipi, l’uso di determinati canoni espressivi e la fedeltà alla fonte di riferimento.

Le iconografie sacre si basano su testi, nascono a partire da essi: sacre


scritture, riflessioni esegetiche, scritti teologici e pastorali, testi liturgici e
devozionali, testi canonici o apocrifi, leggende e racconti, testi letterari e
poetici di argomento religioso.

LE ICONOGRAFIE CRISTIANE

GLI EVANGELISTI: spesso accompagnati dal loro simbolo che nasce


dall’apocalisse di Giovanni e da Isaia.

San Matteo con l’angelo, San marco con il leone, San Luca con il toro e San
Giovanni con l’aquila.

ANTICO TESTAMENTO

- Profeti: vengono raffigurati come degli anziani che hanno in mano i


cartigli. Portavano il messaggio dell’avvento del Messia prima che esso
fosse arrivato, possono essere maggiori o minori e ci lasciano dei testi
dove vengono narrate le loro visioni.

- Sibille: le donne dei profeti.

- La Genesi: Primo libro della Bibbia dove si narra la creazione del mondo
avvenuto in sette giorni. Altri racconti narrati sono: la cacciata dell’uomo e
17
della donna dal paradiso
terrestre, la loro vita nella
terra, la nascita di Caino e
Abele e la loro lotta fino
all’arca di Noè.

SANTI, MONACI E FRATI

- S. Prosdocimo: rappresentato con pastorale e


vaso, è il vescovo che battezza cittadini di
Padova

- S. Daniele: giovane diacono con in mano la


città il vessillo di Padova.

- S. Giustina: rappresentata con corona, palmo e coltello nel petto.

- S. Benedetto: rappresentato rasato con la


cornice tipica benedettina il vestito nero.

- S. Francesco: rappresentato con il saio, la


corda e le stigmate sulle mani sui piedi
perché lui è l’Alter Cristus perché riporta in
terra la purezza, la bontà e la dedizione agli
altri del messaggio cristiano. Promuove
una religiosità anche in sintonia con il
pensiero aristotelico e quindi in sintonia
con la natura.

- S. Chiara: rappresentata con la veste


simile a San Francesco e il cordolo

- Santi domenicani: S.Domenico e


S.Tommaso d’Aquino, S.Caterina da Siena,
rappresentati con veste bianca e manto nero e i simboli del giglio e del
libro.

NUOVO TESTAMENTO E STORIE DI CRISTO

Spesso racconti con banchetti, come:

18
- Le nozze di Cana: il primo miracolo di Cristo, con la trasformazione
dell’acqua in vino, simbolico della natura sacra del vino che poi diverrà
simbolo del sangue di Cristo

- L’ultima cena: Gesù e gli apostoli, i cui cibi e tavole cambiano molto
adeguandosi agli usi e costumi del tempo (quaglie, maiale, pesce)

Esempio del retro della Maestà per il Duomo di Siena di Duccio: storie della
passione di Cristo e sotto nella predella le Storie della vita di Cristo,
iconografie molto rappresentate.

19
19 Aprile 2021

ARCHITETTURA GOTICA IN ITALIA

Vi sono numerose differenze rispetto le chiese francesi anche quando


vengono adottate soluzioni dell’Opus Francigenum.

1. Scarto delle dimensioni planimetriche: le chiese italiane hanno navate


meno lunghe rispetto a quelle francesi inglesi

2. Nelle chiese francesi e inglesi le planimetrie sono più elaborate e


complesse, specie nella zona absidale con la presenza di deambulatori
accompagnati da cappelle radiali

3. In Italia le pareti vengono mantenute per poi essere affrescate,


mentre in Francia e in Inghilterra le pareti vengono completamente
svuotate per dare spazio alle finestre

In Italia soprattutto francescani e domenicani adottano le forme gotiche,


ma spesso seguono il modello cistercense per la zona presbiteriale con
abside quadrangolare e cappelle quadrangolari.

Basilica di San Francesco ad Assisi

Nel 1228 avviene la canonizzazioni di


Francesco e Papa Gregorio nono pone la
prima pietra di questa chiesa.

Ci sono due ipotesi per la sua


costruzione:

1. L’intera costruzione fu realizzata tra il


1228 il 1239 (con il frate Elia), mentre la
basilica inferiore era già stata finita nel
1230 quando vi fu la traslazione del
corpo del santo

2. La seconda ipotesi sposta la fine dei lavori al 1253, anno di


consacrazione fatta da Papa Innocenzo quarto e la conclusione della
basilica inferiore nel 1239

Si tratta di una basilica perché si trova sotto la


giurisdizione della Chiesa di Roma.

Gli elementi tipici gotici sono gli archi rampanti che


partono dai contrafforti all’esterno, il timpano, il
rosone, il portale e le cornici marcapiano.

All’interno le campate sono contraddistinte da


elementi architettonici schiettamente gotici (le volte
1
a crociera con profilo ogivale, i pilastri a nervature). Sotto le grandi volte si
aprono quindi da una parte dall’altra, grandi finestre archiacute provviste di
vetrate; a fianco di queste finestre, due per ogni campata, sono dipinte storia
dell’antico testamento a destra del nuovo testamento a sinistra.

Questa basilica ha la particolarità di essere due chiese


in una (inferiore e superiore), entrambe con pianta a
croce latina con transetto, abside semicircolare
inferiore e poligonale superiore. Viene sfruttato il
dislivello della collina per i due accessi differenti delle
due chiese, l’accesso di quella superiore si trova sul
fronte e quello della chiesa inferiore si trova sul lato.

Nella chiesa inferiore sono collocate le spoglie del


corpo del santo ed è una specie di cripta.

La chiesa inferiore ha quattro campate e quella


superiore cinque (La campata in più su quella superiore in quello inferiore è
un atrio d’accesso). Inoltre, nel tempo, sotto vengono aperte numerose
cappelle, cosa tipica delle chiese francescane, nelle quali borghesia e nobiltà
si faceva seppellire.

L’ambiente inferiore è coperto da volte a


crociera con costoloni e archi trasversi a
sesto acuto e le campate si appoggiano i
pilastri che ti vengono i contrafforti della
chiesa superiore.

Giotto lavora sia sopra che sotto e una


volta sotto c’era un ciclo con le storie di
San Francesco.

La navata superiore è quella più gotica,


una grande aula unica molto luminosa
grazie alle grandissime finestre bifore, campate voltate a crociera con
costoloni sottili che si impostano su un pilastro formato da semicolonne. A
un terzo dell’altezza delle mura si riducono di spessore e si forma una specie
di ballatoio che aiuta nella stabilità.

Questa stessa struttura si vede anche ad Angers, si dice quindi che siano
intervenuti ad Assisi anche maestranze d’oltralpe con influenze Francigene.

Due affreschi della terza campata della parete destra raffigurano una storia
della Bibbia tra le più celebri: la storia di Isacco dei figli Esaù e Giacobbe, le
prime dipinte da Giotto.

2
Isacco, vecchissimo e cieco, viene ingannato
dal figlio minore Giacobbe che, fingendo di
essere Esaù, riceve la benedizione dal padre e
tutti i diritti della primogenitura.

Nel secondo riquadro, Esaù si avvicina al padre con la pietanza richiesta dal
vecchio, ma il gesto di quest’ultimo non lascia dubbi: il figlio maggiore viene
respinto.

Gli affreschi di Giotto sono sulle pareti della navata, vicini ai fedeli.

Nel transetto, molto grande, vi sono le croci di Cimabue ed è attraversato da


ballatoi porticati.

Le finestre sono state fatte nell’abside da maestranze transalpine e man


mano che si viene verso la navata da maestranze italiane.

Basilica del Santo, Padova

Cronologia storica:

1238: È documentata
l’esistenza di un cantiere
per la nuova chiesa quindi
lavori sono portati avanti
anche in epoca
Ezzeliniana solo pochi
anni dopo la
canonizzazioni di
Sant’Antonio (avvenuta nel
1232).

1256: liberazione di
3
Padova dalla “tirannide“ ezzeliniana e si
realizza il primo passo verso l’interpretazione
civica della figura del santo. In questi anni
avviene l’inizio della costruzione della
facciata che finisce all’altezza del presbiterio
nel 1263, quando si trasportò nel nuovo
edificio la tomba del santo.

1265: l’autorità civile interviene con una


grossa somma annuale per la costruzione
della basilica fino alla completa realizzazione
del progetto (progetto che doveva
comprendere un ampliamento verso est
dell’edificio con la costruzione del torna coro
con le cappelle radiali e il nuovo sistema di copertura cupole).

Sant’Antonio, di origine portoghese era francescano e muore all’Arcella


(dove tuttora c’è un tempio dedicato a lui) dopo una vita santa e di miracoli.

Gli elementi gotici in questa basilica sono i seguenti: i costoloni che si


congiungono alla navata centrale, il rosone, il grande timpano (facciata a
capanna), i grandi arconi strombati a sesto acuto in facciata e la presenza di
vari altri timpani anche nel transetto. In stile romanico, invece, la loggia che
attraversa tutta la parete, gli archetti ciechi e il poderoso spessore delle
pareti.

La cupola centrale a cono imita il Santo sepolcro di Gerusalemme (la tomba


doveva stare simbolicamente proprio lì sotto come omaggio la tomba di
Cristo) e le altre cupole imitano San Marco a Venezia (per mostrare che
anche a Padova aveva una grande basilica è un grande santo come
Venezia).

Essa costituisce un esempio di parziale accoglienza dell’architettura gotica


in Italia, perché le forme gotiche sono limitate e congiunte assoluzioni di
origine romaniche e bizantine.

La chiesa ha tre navate con abside, cappelle radiali che


si aprono sul deambulatorio i grandi pilastri che
sostengono la copertura cupola.

A Padova vi era un tempo anche una chiesa


dominicana, Sant’Agostino demolita nel 1819,
fondata nel 1226 e consacrata nel 1303.

In questa chiesa si fecero seppellire i primi Carraresi


signori di Padova, che in seguito si fecero seppellire
nel battistero.

4
Si tratta di una chiesa gotica con navata centrale slanciata e le navate laterali
più basse che richiama il modo di
costruire cistercense con tre navate che
terminano nel transetto con absidi
quadrangolari.

Cattedrale di Siena (vedi sul


manuale), la facciata si ispira alle
cattedrali gotiche francesi grazie al suo
svettare con il grande rosone e i grandi
portali strombati.

Si inizia a costruire una navata più


grande che sarebbe continuata dall’altra
parte e l’attuale cattedrale sarebbe
diventata il transetto del nuovo progetto.

Duomo di Orvieto

Chiesa di Santa Croce a Firenze (francescana), non si rinuncia alla parete,


con finestre più piccole, tre navate, transetto e cappelle rettangolari allineate
con l’abside.

È soprattutto la pittura a muro che contraddistingue l’arte italiana del


1200/1300, per questo le pareti delle Chiese gotiche non vengono del tutto
svuotate, per lasciare posto agli affreschi.

Chiesa di Santa Maria del Fiore a


Firenze, la cattedrale della città, su
progetto di Arnolfo di Cambio combina
una pianta basilicale con una pianta
centrale.

Nell’ultimo decennio del XIII secolo, a


Firenze, fu stanziata una consistente
somma di denaro per rinnovare la
cattedrale di Santa Reparata. Due anni
5
dopo, nel momento in cui cominciò la costruzione, la nuova cattedrale venne
intitolata non più a una santa “minore“ come Reparata, ma Maria vergine; più
esattamente a Santa Maria “del Fiore“, con un evidente riferimento al nome
latino della città e alla sua insegna, il giglio, un fiore che nel medioevo
simboleggiava la verginità di Maria.

L’autore originario del progetto morì tra il 1302 1310 e gli succedettero
diversi capo maestri, tra i quali Giotto, che progettò nuovo nuovo campanile,
poi Andrea Pisano e Francesco Talenti.

La conseguenza più evidente delle difficoltà del cantiere fiorentino fu


l’impossibilità di concludere la costruzione: ancora gli inizi del Quattrocento la
cattedrale sarà priva della cupola, la cui costruzione verrà affidata con un
concorso pubblico nel 1418 Filippo Brunelleschi.

Un altro spazio irrisolto fu quello della facciata, a cui si continua a lavorare


anche nel secolo seguente: alcuni scultori del 400, primo fra tutti Donatello,
eseguirono infatti stato destinato alla facciata, che pure continua a restare in
completa; solo nella seconda metà dell’ottocento si decise di rinnovarla
totalmente costruendola del tutto nuova, ma adottando forme neo gotiche,
ispirate cioè all’architettura dei secoli XII-XIII.

La forma attuale di Santa Maria del Fiore


rispecchia in campo in gran parte il progetto
Arnolfiano nelle solenni dimensioni dell’edificio,
nella decorazione esterna i marmi policromi e,
soprattutto, nel rigore geometrico della pianta;
infatti, lo schema ottagonale compare nell’abside,
nei due transetti e nella crociera.

In altre parole, nel progetto di Arnolfo un edificio a


pianta centrale si combina con una pianta
basilicale, due forme fondamentali nella tradizione
architettonica tardo antica e medievale.

Ha tre navate quadrangolari, volte a crociera ogivali e nella zona absidale si


apre un “fiore” composto da una serie di cappelle che si aprono in tre grandi
absidi su un grande spazio centrale ottagonale. Su quest’ultimo, in epoca
rinascimentale (1418), venne eretta la cupola del Brunelleschi, opera di alta
ingegneria.

Il paesaggio nell’età dei Comuni: campagne e città


Nel 1200 il nostro paesaggio cambia e nascono tantissimi nuovi borghi
fortificati (chiusi e protetti), nuove città spesso con mura.

6
Cittadella, ad esempio, fondata dai padovani, ancora preserva la sua cinta
muraria.

Altri esempi sono la cinta muraria di


Montagnagna o di Castelfranco
Veneto, villenuove dove vengono
ripresi i castelli e allargate le mura.

Vengono sempre più abbandonati i


castelli per vivere nei nuovi borghi,
con un grandissimo aumento della
popolazione urbana.

Si costruiscono nuovi ponti in


muratura, ad esempio il Ponte del
Diavolo a Mozzano in provincia di
Lucca.

Nuovi palazzi civici, dedicati all’uomo/cittadino, come il Palazzo della


Ragione di Padova costruito nel 1218-1219.

Sempre più importanti i portici, per il bene comune, di utilità pubblica, tanto
che in alcune città vigevano leggi che
attestano che le case, se si voleva
costruirle, bisognava farle per forza con i
portici.

Importanti anche le fontane, come quella


delle 99 cannelle a L’Aquila costruita nel
1272 in marmo travertino, poiché l’acqua
era un bene pubblico e comune.

Vi è quindi una generale riscoperta


delle cose di pubblica utilità.

Studia: pp.226-227, 230-243, 282-283, 308-310, 335 e pianta a p.336.

Benedetto Antelami e
il Battistero di Parma

Risaliamo a questo scultore grazie a una lastra firmata con data 1178,
proveniva da vicino al Lago di Como in Val d’Intelvi, zona dove si formarono
tanti lapicidi (arte del tagliare la pietra e poi anche progettare strutture
architettoniche). Questa lastra è famosa perchè mostra un primo
cambiamento della scultura romanica, con figure più naturalistiche ed
espressive (richiamo alle colonne/sculture di Chartres), con una grande
volontà di raccontare dettagliatamente. Viene rappresentato Cristo che viene

7
deposto dalla croce, affiancato da una
parte da i buoni con sopra il sole (la
vergine, San Giovanni e le pie donne) e
dall’altra dai cattivi con sopra la luna (i
soldati e una donna bendata e
schiacciata da un angelo
personificazione della sinagoga, la chiesa
ebraica). Viene raffigurata, quindi, e la
simbolica testimonianza della supremazia
della Chiesa cristiana rispetto a quella
ebrea, infatti viene raffigurata la Chiesa
personificata con la corona e la coppa
mentre raccoglie il sangue di Cristo. La
lastra decorata con elementi vegetali e
rosette di marmo inciso, secondo la tecnica del niello per la quale la pasta
nera a base di piombo, zolfo, rame e argento, veniva inserita nell’incisioni
praticate nel marmo.

Il Battistero di Parma, costruito in marmo rosa di Verona dal 1196 al


1216 circa, mentre la parte superiore viene costruita dopo il 1250 ma
sempre su progetto dell’Antelami, presenta una forma ottagonale e l’artista
lascia il suo nome nel portale principale settentrionale “della vergine“, con la
seguente frase: “Tolti due volte due anni al 1200, lo scultore chiamato
Benedetto iniziò quest’opera“.

La decisione di costruirlo era stata sicuramente frutto di un accordo tra


Comune, clero e vescovo: il rito battesimale certificava infatti l’ingresso dei
bambini nella comunità cristiana, che nel medioevo coincideva con la comunità
dei cittadini.

La pianta è quella tipica dell’architettura


Federiciana e cistercense e i loggiati architravati (sia
all’esterno che all’interno) sono romanici. La
struttura a tre portali ai lati che all’interno si
moltiplicano grazie delle nicchie (ogni lato viene
diviso in altre tre parti così che lo spazio interno
sembri quasi circolare).

Le colonne continuano congiungendosi nella


grande cupola riempita da affreschi di maestranze
greco-bizantine del XIII secolo.

Il grande impiego di sculture nei portali strombarti,


rende questa struttura gotica, ma con temi più umanizzati e figure più
8
naturalistiche. L’idea era quella di insegnare, attraverso i racconti in scultura, a
chi veniva battezzato le regole morali cristiane.

Negli stipiti del Portale della Vergine


(settentrionale) vengono raccontate storie
che vengono prima della nascita di Cristo,
l’albero di Jesse e i dodici figli di Giacobbe
(dinastia da cui deriva la Maria e Battista)
rappresentati come le radici della religione.

Vi erano anche due statue rappresentanti la


regina di Saba e Salomone, progenitori della
Vergine e di Cristo.

Sull’architrave sono narrate le storie di


Giovanni battista, a cui è dedicato l’edificio.

Nella lunetta i tre Magi si avvicinano a Maria il


bambino, mentre lì accanto l’arcangelo Gabriele convince Giuseppe a
fuggire. Sull’archivolto 12 profeti seduti sui rami di un albero tengono in mano
tondi che contengono i busti dei 12 apostoli.

Lo scultore e la sua squadra cercarono di attribuire ai personaggi una


gestualità più vivace, anche a costo di modificare le iconografie tradizionali.

Anche qui a Parma, dunque, come in alcune cattedrali gotiche francesi,


statue di profeti e di re biblici accoglievano solennemente i fedeli che si
avvicinavano l’edificio sacro.

Nel Portale del Redentore, il Giudizio


Universale viene rappresentato più umano;
nella lunetta, Cristo alza entrambe le mani
e mostra loro le ferite sul costato,
sottolineati dalla croce e dalla corona di
spine in mano gli angeli — diventa gesto di
misericordia per gli uni e di minaccia per
gli altri.

Sullo stipite sinistro sono scolpite le opere


di misericordia, cioè quelle azioni di carità
verso gli altri che Gesù dichiara necessari
per essere salvati nel giudizio finale, mentre sullo stipite destro viene
raffigurata la parabola della vigna.

Le immagini di questo portale risultavano dunque a comportarsi secondo la


carità evangelica.

Mentre nella lunetta del Portale della Vita (meridionale, da cui entravano i
bambini e i loro padrini durante il rito battesimale), viene rappresentata la
9
Leggenda Indiana dal Romanzo di
Barlaam: un ragazzo è salito su un
albero e non si accorge che, sotto,
due animali stanno rosicchiando il
tronco e che è sopraggiunto un drago;
ai due lati del tronco, due tondi
ospitano il carro del sole il carro della
luna. Questi ultimi due indicano
l’inesorabile succedersi del giorno
della notte, lo scorrere veloce del
tempo che minaccia il peccatore in
consapevole.

Attorno al battistero sono poste 75


formelle con animali, mostri e figure della mitologia classica rappresentate
con forme “ingentilite“ e più naturali, con lo scopo di fare meno paura al
fedele. Le formelle scolpite si susseguono con regolarità e vanno
impreziosire le facce dell’ottagono, a loro volta caratterizzate da
apparecchiature murarie ordinatissime e abbellite dal chiarore rosato dei
marmi.

All’interno, in alto, l’edificio è coronato da una cupola dal profilo ogivale, in


basso, ogni lato accoglie nicchie esapartite da colonne; dei capitelli si
dipartono nervature che attraversano la zona delle logge e si congiungono
all’apice della cupola, dividendolo in spicchi. Le lunette dei tre portali sono
scolpite anche all’interno, con tracce consistenti di policromia: a nord
vediamo la fuga in Egitto, a est Cristo Pantokrátor tra i simboli degli
Evangelisti, a sud la presentazione di Gesù al Tempio, a ovest Davide che
suona l’arpa tra i musicanti e danzatori.

Sono presenti anche una serie di rilievi con i


12 mesi e le quattro stagioni.

I COSMATI

Tra il XII e il XIII secolo, a Roma e in Lazio,


varie famiglie (tra cui i Costa da cui deriva il
nome) praticano il riuso dei materiali
marmorei delle rovine di Roma per
pavimenti e arredo liturgico (recensioni,
cibori, altari, cattedre, amboni/pulpiti).

Nel chiostro del Convento Benettino di


San Paolo fuori le mura, a opera di Nicola D’Angelo e Pietro Vassalletto

10
vi sono diversi esempi di questa pratica e la testimonianza si trova grazie ad
una iscrizione latina a mosaico che
corre su tre lati lungo la trabeazione.
Questa frase cita un verso del poeta
latino Ovidio, in cui si diceva che la
bravura dell’artista era superiore alla
preziosità del materiale impiegato. I
riferimenti alla cultura classica si
uniscono quindi all’esaltazione della
bellezza della vita di preghiera dei
monaci, che ha nel chiostro uno dei
luoghi deputati.

Lo stesso accade nella decorazione


architettonica, in cui elementi classici
(capitelli Corinzi, lacunari a rosoni) si uniscono a motivi del tutto nuovi come
le colonne a spirale, per di più animate da minutissimi rivestimenti a
mosaico.

Anche tanti pittori all’epoca fanno questi motivi di pezzi di pietra/marmo


attorno alle scene e questo si chiama Cosmatismo, usato anche da Giotto
nella Cappella degli Scrovegni.

Altri esempi si trovano nel pavimento della cripta di Anagni e sempre lì


anche la cattedra episcopale che ha lo schienale sormontato da una ruota
marmorea con gli inserti a marmi colorati che contraddistinguono la
produzione cosmatesco: due triangoli isoscele, intersecandosi, compongono
una stella sei punte tra le quali si inseriscono altrettanti piccoli tondi.

Nel pavimento, invece, vi sono grandi ruote


marmorea gruppi di cinque che contengono
cerchi ed esagoni variopinti, mentre nastri
colorati congiungono una ruota all’altra.sono
le rovine di Roma antica fornire materiali e
colori: porfidi rossi e verdi, marmi bianchi,
gialli e venati.

E qui, l’artista che si firma “maestro Cosma, cittadino romano“ verso il 1227
realizzò il pavimento della chiesa superiore, risistemato l’altare della cripta e,
appunto, la cattedra episcopale.

Nella cripta ad Anagni vi sono degli importanti e bellissimi affreschi con le


storie non più sacre, ma con il macrocosmo e il microcosmo con la teoria dei
quattro elementi di Galeno e Ippocrate (medici dell’antichità che cedono che
l’origine umana risieda nell’esistenza di questi elementi). Aria, acqua, terra e

11
fuoco, che vengono seguiti dalle
quattro stagioni e dalle quattro età
dell’uomo.

Studiare: pp. 250-261

20 Aprile 2021

RINNOVAMENTO DELLA
SCULTURA ITALIANA nella
seconda metà del Duecento

Protagonisti: Nicola Pisano, Giovanni


Pisano e Arnolfo di Cambio

L’arte guida del momento era la scultura e prima di tutto


passa da essa il rinnovamento dell’arte Italia del
Duecento.

NICOLA PISANO

Documentato tra il settimo e l’ottavo decennio del Duecento, ebbe nella


scultura un ruolo altrettanto incisivo di quello che, una generazione più tardi
Giotto rivestì nella pittura: l’immagine dell’uomo e la realtà del suo ambiente
terreno divennero, in una misura fino ad allora sconosciuto nel Medioevo,
degni di essere rappresentati: le tematiche neo-testamentarie giunsero a
rispecchiare i sentimenti umani con più forza di quanto non si fosse verificato
in precedenza, a partire dalla fine dell’antichità.

L’avvento di Nicolò segnò un’umanizzazione dell’arte, che fu ripresa al


principio del Trecento proprio da Giotto.

Stando alla stipula di contratto per la realizzazione del Pulpito del Duomo
di Siena da eseguirsi a partire dal primo marzo 1266, a Nicola viene
concesso di far lavorare con sè il figlio Giovanni, sebbene con una paga
giornaliera molto bassa corrispondente a 4 soldi, ovvero di soli due terzi
rispetto a quella degli altri due collaboratori Arnolfo di Cambio e Lapo, e
corrispondente alla metà dell’onorario pattuito per lo stesso Nicola.

Si deduce che Giovanni all’epoca era minorenne e quindi se Giovanni può


ritenersi nato attorno al 1250, Nicola potrebbe essere nato attorno al 1225.

12
Un’altra “documentazione” è sulla fontana di
Perugia, dove I Pisano si firmano (1275-1278) e
un altro documento che ci dice che Giovanni
rimane senza padre nel 1284 e venne nominato
“quondam magistri Nicholi”.

In verità Nicola è pugliese, ma si firma Pisanus:


quindi membro della comunità cittadina di Pisa,

In lui c’è un’eredità della ripresa della scultura


classica e naturalistica della cultura pugliese
federiciana.

È il primo a fare pulpiti e amboni di forma


poligonale. Fino ad allora erano di forma
rettangolare con un lato addossato alla parete
della Chiesa e la decorazione scultorea era
subordinata alla struttura architettonica.

In Nicola si rivela di più la scultura classica,


mentre Giovanni renderà queste sculture più
naturalistiche.

Il primo e più importante si trova dentro al Battistero di Pisa, firmato e


datato 1260. Questi pulpiti diventano una tipologia peculiare dell’arte italiana
del secondo 1200.

In esso vi sono cinque rilievi con le storie di Cristo, sopra i capitelli le virtù e
nei pennacchi i profeti e gli evangelisti, è formato da sei colonne +1 centrale
sorrette da leoni e telamoni. Inoltre i capitelli sono a doppio ordine di crochets.

Egli comincia a giocare con i materiali, creando policromia di marmi e ha


una forte capacità narrativa che riprende anche da sculture antiche.

Gli archi sono a tutto sesto con cornici a trifora.

Attraverso l’uso del trapano, inoltre, dà consistenza alle figure rendendole


tridimensionali.

Filippo Visconti, arcivescovo di Pisa, fu autore di sermoni in cui parla del


percorso necessario per arrivare a Dio e delle tante domus che il fedele
attraversa per arrivarci:

- Domus Dei Inferior con i leoni e - Domus Dei Interior Che
telamoni che corrisponde al corrisponde all’intuizione di
mondo terreno
Cristo, virtù, profeti evangelisti

- Domus Dei Exterior con le sette - Domus Dei Superior con le storie di
colonne dei sacramenti che Cristo che corrisponde al
corrispondono alla Chiesa
sacerdozio


13
La narrazione
delle storie di
Cristo, nelle
varie lastre, è la
seguente: la
Natività,
l’adorazione dei
Magi, la presentazione al Tempio, la Crocifissione e
il Giudizio Universale.

In una delle scene racconta tre storie in una, in


alto a sinistra si trova l’Annunciazione, in alto a
destra la Natività e l’annuncio ai pastori e in primo
piano davanti il bagno del bambino.

Nelle sue sculture le figure sono monumentali e


assomigliano alle figure antiche del Camposanto di
Pisa dove erano stati reimpiegati dei rilievi usati per dei sarcofagi nel 1076 e
si può notare, confrontandole, la notevole somiglianza tra la Vergine e Fedra,
oppure, come anche la somiglianza con un antico cratere dionisiaco oppure
ancora, nella lastra del Giudizio Universale, come un diavolo assomigli molto
ad putto con maschera ellenistico.

Nel pulpito della Cattedrale di Siena


(1266-1268), Nicola Pisano con i suoi allievi
e suo figlio Giovanni giovane, lo crea
ottagonale, quindi ci sta una scena in più.
Tra queste, non vi sono più colonne ma
statue, creando così un fregio unitario, nella
base della colonna centrale vi sono le
personificazioni delle arti liberali e della
Filosofia e vengono mantenuti gli archi a tutto
sesto triforati.

Essendo ottagonale viene aggiunto un


nuovo tema, la strage degli innocenti, e la
scena del giudizio universale si distende su due
parapetti. Nella strage degli innocenti, Nicola
pisano i suoi collaboratori si sforzarono di
restituire la violenza della vicenda e
cercando di evitare il più possibile le
ripetizioni, variando continuamente le pause
scegliendo più di una volta di inquadrare di
14
schiena e personaggi. In questo
turbinio di brutalità, lo scultore
riesce a trovare anche pausa
improvvise, come nella madre in
primo piano che, quasi una
piccola Pietà, piange sul figlio
disteso sulle ginocchia.

Non è minore la tensione


drammatica della scena
adiacente, la Crocifissione, è
nuovo il modo in cui ricade verso
terra la figura di Cristo sulla croce
e lo è altrettanto la si parte degli
uomini attorno alla croce e il dolente disporsi delle donne accanto alla
Vergine svenuta.

Oltre ai pulpiti, va ricordata la Fontana Maggiore a Perugia (1275-1278)


dove Nicola e Giovanni Pisano si firmano per l’opera scultoria.

Durante i lavori fu capo Fra Bevignate da Cingoli e Boninsegna esperto


idraulico da Venezia.

Essa è formata da due vasche poligonali e una conca in bronzo dove scorre
l’acqua (con re figure femminili, le virtù). La vasca bassa ha 25 lati separati da
colonnine e ogni lato ospita una coppia di bassorilievi, mentre quella alta ha 12
lati non figurati ma con 24 statue distribuite lungo gli stipiti a metà di ogni
lato.

Le lastre sono rosa, le sculture che ornano le lastre sono bianche e la


fontana spicca nella piazza per la sua posizione e perché vi sono quattro
gradini per arrivarvi.

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L’iniziativa fu quanto mai complessa sotto il profilo tecnico e quanto mai
costosa, tanto che il Comune impose tributi a chi viveva in città o nel
contado e persino la componente ecclesiastica. Tutto ciò è spiegabile con il
fatto che nel medioevo le fontane avevano una funzione pratica
fondamentale, visto che potevano assicurare a uomini e animali l’acqua
altrimenti disponibile solo costo di lunghi tragitti. La collocazione dell’opera
deriva proprio da questo ruolo pubblico: nella piazza principale, tra la sede
del Comune e il Duomo.

In questo caso c’è una iconografia ricchissima.

Iconografia bassorilievi: storie dall’antico testamento alla leggenda della


Fondazione di Roma, lavori dei mesi, personificazioni delle arti liberali, le favole di
Fedro e gli animali simboli della città, grifo e Leone.

Iconografia statue vasca superiore: profeti biblici, santi, personificazioni,


esponenti politici in carica e Eliste mitico eroe antico considerato fondatore di
Perugia.

La fontana, collocata a pochi passi dal palazzo comunale della cattedrale,


divenne così una sorta di estensione dei due edifici, l’espressione visiva della
cultura civica e dell’esperienza religiosa che in essi trovava spazio.

GIOVANNI PISANO

Il figlio, nasce tra il 1245 e il 1248 e muore a Siena nel 1318.

Viene ricordato come minorenne nel 1265 tra i collaboratori di Nicola nel
pulpito del Duomo di Siena e fino al 1284 lavorerà con lui.

Diventa autonomo dal 1284-1285 e lavora Siena alla facciata del Duomo
fino al 1297, dal quale anno fino al 1313 lavora a Pisa dove diviene Caput
Magister dell’opera del Duomo.

Giovanni, invece, a Sant’Andrea a Pistoia


(1298-1301), nel pulpito fa archi a sesto acuto con
statue a dividere le colonne, capitelli a crochets di
impronta cistercense e federiciana molto raffinati
(capacità notevole di intagliare e scavare).

In Giovanni le figure iniziano a muoversi di più, sono


molto più naturalistiche attraverso la linea e il
chiaroscuro e, rispetto al padre, sono di più e più
piccole e molto staccate dal fondo.

Non c’è dubbio che Giovanni sia affascinato dalla


scultura gotica francese, ma ciò non gli impedisce di
trovare forme del tutto nuove, specie quando si
sforza di imprimere nei movimenti l’effetto di un
16
sentimento, di una reazione emotiva, di un turbamento.

Nella Strage degli Innocenti, Giovanni


utilizza delle diagonali visive dei movimenti delle figure per condurre l’occhio
dell’osservatore a leggere la scena al meglio. Per creare giochi di luce diversi
per espressività, movimento e concitazione delle figure, usa il non finito in
alcuni casi, lasciando capelli non levigati del tutto e volti lasciati a grezzo e in
altri casi il marmo viene lavorato fino a renderlo lucido.

Pulpito della Cattedrale di Pisa


(1302-1310) che diventa quasi circolare perché
le lastre e il parapetto sono incurvati, gli archi
sono sostituiti da mensole a volute al posto della
colonna centrale e quindi un’apertura maggiore
della struttura.

Nei nove rilievi sono raffigurati ben 24 episodi


della storia di Gesù, divisi da 10 elementi angolari
con personaggi dell’antico del nuovo
testamento; più in basso, nel livello intermedio,
sono scolpite 10 sibille e, sui pennacchi, profeti,
gli apostoli e gli evangelisti. Nuovo e altrettanto
complesso è il sistema dei sostegni: al centro,
le personificazioni della filosofia e delle sette arti
liberali sostengono le immagini delle tre virtù
teologali.

L’intera struttura è sorretta anche da colonne


(Due di esse poggiano su leoni stilofori) e da
gruppi di statue: le quattro virtù cardinali sono

17
alla base della personificazione della Chiesa che, come madre, allatta due
fanciulli.

Attenzione ai materiali e alla resa cromatica di questi materiali.

Dante è ispirato dalle opere che


vedeva al tempo. Vedi Canto IX del Purgatorio 94-105 e canto XIII del
Purgatorio.

Così come Dante rinnova la lingua, anche le arti visive in quel momento
fanno un salto rivoluzionario verso l’arte mimetica.

Giovanni lavora poi alla facciata della Cattedrale di Siena, soprattutto


sulle sculture ma anche nella struttura. Qui le figure stanno a tutto tondo
fuori e dentro le nicchie, tutt’uno con l’architettura. Quindi c’è maggiore
spazio con sibille, profeti etc..

18
Un’ultima opera che poi
verrà spedirà a Padova
per la Cappella degli
Scrovegni è la
Madonna con
bambino e i due
angeli apteri (perché
non hanno le ali, ora
hanno dei buchi dietro)
risalenti all’inizio del
1300.

La Madonna è
paragonabile alle grandi
sculture del gotico francese ma in Italia persiste un substrato classico severo
che non é mai stato abbandonato.

Dalle figure emerge come lo scultore studiò il corpo umano per rendere le
sculture più realistiche con ad esempio il realismo del movimento di
arretramento della schiena o il panneggio che evidenzia i seni, non da meno
come riesce a rendere l’atmosfera di affettuosa intimità per mezzo del
movimento del bambino, che poggia il braccio sulla spalla della madre così
da incontrare il suo sguardo.

Arnolfo di cambio
(1245-1302/1310)

Nasce a Colle val D’Elsa (Toscana) e muore a Firenze. Si forma e lavora nella
bottega di Nicola accanto a Giovanni rispetto al quale è probabilmente un
po’ più vecchio). Ad un certo punto si sposta e porta a queste novità toscane
soprattutto a Roma dove lavora al servizio di Carlo D’Angiò e per Bonifacio
VIII, per poi tornare a Firenze come architetto.

In lui troviamo un grande innovatore nel ritratto e nel cenotafio a parete.

(La differenza tra cenotafio tomba è che nel primo c’è solamente l’immagine ma
non il corpo vero del morto rispetto al
secondo).

I cenotafi sono monumenti di


testimonianza della borghesia
medievale che sta scendendo
perché vengono commissionati
anche per loro e non solo per
santi, religiosi e nobili.

In questi monumenti le storie


vengono raccontate su più piani

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verso l’alto il primo fatto da quest’autore si trova
a Orvieto nella chiesa di San Domenico per il
Cardinale De Braye nel 1282, il cui vestigio che
lo incorniciava è stato tolto.

In quest’opera vi sono due


diaconi che costano le
tendine per far vedere la
scultura del corpo
dormiente del cardinale. E la
firma dell’autore si trova
sotto il trono della vergine
affiancata da San Guglielmo
inginocchiato da una parte e
San Marco dall’altra.

Si nota una resa


eccezionale nel panneggio,
nei ritratti rappresentati con
eccezionale realismo e
l’influenza della tradizione
dei cosmati nelle colonnine tortili e sfondi del
sarcofago.

La Madonna sembra essere opera di spoglio di una


statua del II secolo d.C., la quale è stata modificata e
probabilmente apparteneva ad una triade capitolina.

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Nel genere del ritratto venivano raffigurati personaggi famosi religiosi e laici,
con molta attenzione a rendere la linea e tocco di naturalismo con sempre
meno classicità.

Arnolfo rappresentò Carlo I D’Angiò come senatore romano, che fu


chiamato dal Papa per mandare via Federico II quando temette di essere
stretto tra i due regni e questo risale al 1277, mentre tra il 1295 e il 1300
ritrasse Bonifacio VIII, papa del giubileo del 1300.

Arnolfo lascia una scultura anche lui per la piazza di Perugia, una fontana
ultimata nel 1281 smontata già nel 1308. Questa probabilmente era
addossata alla parete e aveva diverse sculture come il Grifo e il leone in
bronzo, in pietra dei ritratti di “giuristi“ con grandi manoscritti in mano
mentre studiano le leggi e figure di assetati assetati che vanno a bere alla
fonte.

Altra produzione di Arnolfo è quella dei


cibori.

Il ciborio di San Paolo fuori le mura


(Roma, 1285), con quattro colonne che
copre l’altare, archi a sesto acuto, volta a
crociera con sopra un timpano, pinnacoli
e una lanterna di chiusura, tutto decorato
e policromo con quattro statue sopra le
colonne prima dei pinnacoli.

Nel ciborio per la Chiesa di Santa


Cecilia del 1293, invece di puntare al
verticale si dilata perché l’arco è ribassato
portando ad una apertura maggiore
verso lo spazio circostante, i pinnacoli
sono girati di 45° su mensole che li fanno
uscire rispetto all’asse del timpano e

anche sculture sotto che sono poste


su piattaforme emergendo fuori dalla
struttura.
Studiare: pp. 264-271 e 316-319, p.
243 e pp. 308-309

21
26 Aprile 2021

CROCI E DOSSALI NELLA PRIMA METÀ DEL DUECENTO

La pittura con Cimabue e con Giotto si rinnova


completamente.

Vengono prodotte grandi croci lignee messe o


negli altari o nelle iconostasi o nei tramezzi.

In queste croci vanno riconosciute le loro


diverse parti: la cimasa (parte superiore e
terminale) con semicerchio o tabella
rettangolare con figure, i terminali (in
corrispondenza delle mani), i tabelloni (a
fianco del corpo) e il suppedaneo (ai piedi).

Nella Croce di
Guglielmo a Sarzana del 1138, viene
rappresentato Cristo tronfiante (vivo, vincitore sulla
morte) grande 300x210 cm. Cristo è messo frontale
in maniera non realistica sulla croce e ha i chiodi,
perizoma, testa diritta e braccia poste dentro la barra
della croce.

Sui tabelloni a fianco del corpo vengono


rappresentati i due dolenti, la vergine e San Giovanni
e le storie della vita di Cristo, sui terminali gli angeli e i
simboli degli Evangelisti e sulla cimosa il giudizio con
Dio padre.

La croce serve a coinvolgere le emozioni dello


spettatore, che vede il figlio di Dio inchiodato ad assi
di legno, ma anche a narrare la storia di Gesù, che
culmina appunto nella sua morte violenta.

Si tratta di una tela che viene dipinta ed attaccata


sulla croce lignea, ma la tecnica più usata era quella della pittura a tempera
su tavola fino al Rinascimento dove poi si userà l’olio su tavola.

Ad un certo punto si predilige l’iconografia del Cristo morto su quella del


Cristo vivo.

Nei primi decenni del XIII secolo, nella croce di San Matteo Cristo viene
rappresentato sofferente, sempre posto frontale, ma con la testa inclinata gli
occhi chiusi. I piedi vengono stilizzati aperti nella
sostanziale fissità della figura.

Questa iconografia è molto legata al mondo greco-


bizantino e lo possiamo notare grazie ad un confronto
con una crocifissione dell’XI secolo in mosaico
presente nella chiesa del monastero di Hosios Lukas
in Grecia, dove si vedono quindi i dolenti, la figura di
Cristo frontale e la tipica tripartizione del costato le quali
parti vengono segnate in maniera non realistica.

Nella prima metà del 1200 si assorbiranno questi


elementi in favore di dare maggiore attenzione alla
figura crocefisso di Cristo togliendo tutto
l’apparato iconografico decorativo e lasciando solo
i due penitenti, così il fedele poteva meditare meglio
sulla crocifissione.

Si vede ad esempio in una croce di Giunta


Pisano del 1236 che si trova nella porziuncola di
Assisi.

Si comincia quindi a rappresentare Cristo nella sua


figura più umana e realistica. Il corpo si incurva,
ormai privo di energie, e la testa ricade verso la
spalla; gli occhi sono segnati da forti ombre, mentre
la bocca si piega all’in giù in un’espressione di
fatica.

Nelle chiese francescani e


domenicani vi era una parete
divisoria che divideva la parte
presbiterale dei frati dalla parte
del pubblico e le croci venivano
erette sopra ad essa, come si può vedere nell’affresco di
Giotto del Presepe di Greggio nella Basilica Superiore di
Assisi.

Altra tipologia d’opera tipica della prima metà del 1200 è il


dossale.

Buonaventura Berlinghieri rappresenta San Francesco in grande e


centrale e le storie della sua vita attorno nel 1235, seguendo la biografia
scritta da Tommaso da celano poco dopo la sua morte.

Inoltre, era molto frequente


fare copie dei dossali
originali. Ad esempio,

Giunta Pisano copia la


precedente nel 1240 circa.

In entrambe le opere San


Francesco viene
rappresentato scalzo in saio,
in piedi al centro, affiancato
da due angeli; sì due lati, una
sopra l’altra, sono descritte
sei storie del santo.

Gli stessi concetti di schema


frontale, fissità e schematizzazione avvengono nella rappresentazione
della Madonna con bambino in trono fatta, ad esempio, nel 1250 da
Margherito d’Arezzo. Qui, infatti, la madonna tiene in braccio il bambino in
maniera non molto naturale.

Già nella Madonna con bambino


in trono di Coppo di Marcovaldo
nel 1261, si nota una differenza nella
resa della naturalezza ta soprattutto
della postura della madonna, che,
voltandosi verso il bambino inclina la
testa. Comunque, la
schematizzazione delle linee d’oro è
ancora molto alla greca.

PITTURA AD AFFRESCO

L’affresco è una
tecnica di pittura sul muro così
chiamata perché realizzata a fresco,
cioè quando l’intonaco è ancora
umido. Mentre la tempera è una
pittura a secco perché viene estesa su
un supporto (muro, tela, tavolo)
perfettamente asciutto.
L’affresco rispetto alla pittura secco ha il vantaggio di durare maggiormente nel
tempo, perché si basa su un processo chimico chiamato carbonatazione:
durante l’essicazione dell’intonaco, l’idrossido di calcio (detto calce spenta)
in esso contenuto, si trasforma per effetto dell’anidride carbonica presente
nell’atmosfera in carbonato di calcio, formando sulla superficie uno strato
duro e compatto che ingloba il colore e fissa la pittura.

Questo principio di carbonatazione fa sì che questi affreschi si conservino


fino a noi pressoché intatti.

Questa tecnica va specializzandosi tra il 1200 e il 1300.

Vari strati:
- Il supporto di pietra di mattoni, - Intonaco, o “intonachino”
deve essere secco e senza composto di un impasto fatto con
dislivelli
sabbia fine, polvere di marmo,
- Arriccio, una Malta composta da calce ed acqua

calce e sabbia grossolana di - Il colore, che è steso sull’intonaco


fiume
ancora umido è di natura minerale


Sopra l’arriccio il pittore eseguiva la sinopia ovvero il disegno preparatorio


così chiamato perché in origine era realizzato con un ocra rossa importata
dalla città di Sinope sul Mar Rosso.

Il disegno sotteso può oggi essere (sinopia) reso visibile dal distacco degli
affreschi e oggi percepibile attraverso:

- La riflettografia infrarossi che - Le termografia, ovvero immagini


rende visibili elementi nascosti rilevate con tecniche che mettono
come: il disegno preparatorio in evidenza e registrano le
eventuali modifiche eseguite in differenze di temperatura e di
corso d’opera
diversi materiali.


Poiché il tonachino si asciugava in poche ore, il pittore lo stendeva solo nella


porzione di parete che riteneva di poter affrescare nel corso di una giornata
di lavoro (o poco più): infatti era pratica comune prolungare un po’ il tempo
utile tornando a inumidire l’intona chino non completamente asciutto.

Per questo motivo le varie porzioni di intonaco dipinto sono chiamate


giornate.

Inizialmente esse hanno forme regolari, di norma rettangolari, corrispondenti


ai vari livelli dei ponteggi e per questo sono chiamate pontate.

Le sovrapposizioni dei margini erano nascoste dal pittore, ma non sfuggono


a un esame ravvicinato degli affreschi effettuato ad esempio con luce
radente.

La tecnica dell’affresco per la modalità di esecuzione non consentiva


modifiche una volta terminato il lavoro. Se l’effetto finale non era quello
desiderato, il pittore poteva solo intervenire con ritocchi a secco di norma
realizzati a tempera, tali ritocchi, però, non durano nel tempo ed erano
destinati a sfarinarsi a cadere a terra.

Studia: pp. 274-277

IL RINNOVAMENTO DELLA PITTURA

Il primo rinnovare la pittura è Cimabue.

Il Vasari indicò Cimabue come il primo pittore che si discostò dalla “scabrosa
goffa e ordinaria [...] maniera greca”, ritrovando il principio del disegno
verosimile “alla Latina”.

Cimabue è anche citato da Dante nel XI canto del Purgatorio e dice che
comunque Giotto lo superò.

Ghiberti, invece, nel suo Commentarii disse che “tenea la maniera greca” e
“aveva preso con sé Giotto fanciullo dopo averlo scoperto mentre ritraeva su
un sasso una pecora tra gregge e paterno“.

Il suo vero nome era Cenni di Pepo, nato verso il 1240 a Firenze, ebbe le
sue prime commissioni in ambito domenicano e francescano a Firenze e a
Pisa. Sappiamo che nel 1272 era Roma per
assistere a un atto notarile mentre è molto
dibattuto il periodo in cui lavoro ad Assisi, sotto
Papa Niccolò quarto francescano che fu colui che
fece affrescare la basilica superiore. In ogni caso
fu ad Assisi tra gli anni 80-90 e morì tra il 1301 e
il 1302 a Pisa.

Croce lignea di San Domenico ad Arezzo


(1265-1268), fatta a tempera, aveva i tabelloni
vuoti e sicuramente si ispirò Giunta Pisano. Forse
qui usa già il pulviscolo luminoso che rende un po’
più veritiero il disegno soprattutto del costato.

Già dopo il soggiorno romano del 1280 si nota un


cambiamento, nella Santa Croce di Firenze del
1280 circa, infatti, il costato è meno segnato, il
perizoma è un velo sottile che fa vedere meglio la
linea delle cosce e usa piccole pennellate
luminose per creare maggiore naturalezza.

Se si confrontano questi ultimi due crocifissi, si


notano profondi cambiamenti. In quello di Arezzo,
il corpo di Cristo a come una durezza metallica, il
drappo rosso che copre la nudità è percorso da
striature durate tipiche bizantine, mentre in quello
di Santa Croce assume toni più delicati, con il
colorito grigiastro più adatto a restituire l’idea
della sofferenza e della morte, la stoffa quasi
trasparente che lascia intravedere il corpo e i
colori che vanno spegnendosi, in un’atmosfera di
maggiore solennità davanti al dramma in atto.

Le stesse piccole
attenzioni per la
naturalezza si
possono notare nella
Maestà per la
chiesa di San
Francesco a Pisa
del 1285 (oggi
conservata al Louvre),
con il viso luminoso
realistico, panneggi
con molte pieghe e
con un maggiore
senso della
corporatura della
madonna che offre
l’appoggio del
ginocchio per il bambino. persistono ancora stile greco-bizantini.

Dieci anni dopo ne fece un’altra simile dove si nota la maturità nel gestire la
naturalezza ed ora è conservata nelle Gallerie degli Uffizi, dedicata alla
Chiesa di Santa Trinita a Firenze.

In questa Maria è seduta con il bambino in braccio su un grande trono,


elegantissimo per le decorazioni che lo rivestono in ogni punto; otto angeli
dalle ali variopinte affiancano il trono da una parte dall’altra. Come se si
trattasse di una grande architettura, il trono in basso ospita tre arcate, in cui
si affacciano quattro profeti,
ciascuno con in mano un cartiglio su
cui si leggono frasi dell’antico
testamento che annunciano
l’incarnazione di Gesù.

27 Aprile 2021

BASILICA DI ASSISI

Cimabue, nella Basilica di Assisi,


lavorò nella basilica superiore nel
transetto e nelle volte del transetto,
dopo il suo soggiorno a Roma.

Probabile che a chiamare Cimabue


sia stato Nicolò IV, primo papa
francescano (1288-1292). Egli fece
una bolla nei primi giorni del suo pontificato in cui si
disponeva che l’ordine francescano utilizzasse le elemosine raccolte ad
Assisi per “ornare la basilica“.

Nella basilica inferiore le pareti


della navata furono dipinte con le
storie di San Francesco dal
maestro di San Francesco tra il
1253 e il 1263 con ancora
influenze greco bizantine.
Quest’opera a parti mancanti per l’apertura delle cappelle ai lati. San
Francesco viene rappresentato con la barba e giovani e le sue storie sono
rappresentate come gli aveva
narrate Tommaso da celano
come un santo spirituale, asceta
che parlava con la natura.

Nella basilica superiore l’opera di


Cimabue è stata rovinata dal
terremoto e da alterazioni di
colore. Avviene lo sfaldamento
dell’intonaco con inversione dei
valori tonale grazie al quale il
bianco di piombo viene
trasformato in nero.

Egli dipinge le storie della


vergine, nelle volte i padri
della Chiesa, gli
evangelisti e due grandi
crocifissioni.

C’erano già stati attivi vari


maestri, ad esempio, nelle
vetrate e parte del transetto
settentrionale, operarono
maestri oltrealpini con
elementi tipici gotici nel 1270
circa.

Cimabue, infatti, comincia


dal transetto meridionale
e dipinge figure di angeli
arcangeli grandi

monumentali che non stanno dentro le nicchie.

Prendendo come riferimento la crocifissione di sinistra, risalente circa il


1290, possiamo notare come sia una crocifissione corale con tanto pathos e
capacità descrittiva. Attorno alla figura di Gesù crocifisso volano tanti angeli,
Maria ai suoi piedi volge le braccia al cielo e sotto alla croce vi è San
Francesco piegato in preghiera. Una grande novità sta nella rappresentazione
dell’umanità delle figure grazie anche alla nuova espressività e la gestualità
che assume un’importanza del tutto nuova servendo sia a descrivere lo
svolgimento delle azioni sia a spiegare gli stati d’animo dei personaggi.

Studiare pp. 278-281

Dal transetto si passa dipingere la navata (sempre con Nicolò quarto), tutte
le parti alte tra le finestre sono fatte da maestranze romane, tra cui anche
Jacopo Turriti, con storie dell’antico testamento.

Ad un certo punto, nella terza campata ovest, due scene sono


incredibilmente più moderne, con un nuovo spazio tridimensionale.

Giotto qui dipinge per la prima volta delle specie di “stanze” dentro la
parete che è sfondata, considerata bidimensionale, deve essere quindi
superata e per farlo il pittore si inventa questa struttura architettonica simile
a una casetta, parallela alla cornice dell’affresco nel lato lungo.

Dentro queste “stanze“ ci sono oggetti figure che stanno nello spazio
digradando in profondità.

Qui vi sono le storie di Isacco che benedice e dà la primogenitura al


secondo genito Giacobbe per inganno (i suoi due figli non sono figli della
stessa donna) ed è poi dalla stirpe dello stesso Giacobbe che nacque Gesù.
(Vedi lezioni prima).

Per la prima volta la luce è pensata e il pittore immagina che la luce entri
dalla finestra illumini la scena da sinistra a destra. I volti dipinti superano gli
stile lineari bizantini.

Vi è certezza che questo pittore è il giovane Giotto grazie ai confronti che


vengono fatti con i terminali della croce a Firenze paragonando le figure di
San Giovanni con Giacobbe.

La vita e le opere di Francesco vengono proposte ai fedeli come un


momento cruciale nella storia della Salvezza. Non si era mai visto prima,
infatti, un così grandioso ciclo dedicato a un santo oltretutto un santo
“moderno”.

Le fonti, al tempo, lodano


la modernità di Giotto.

Gli vengono poi affidate


le storie basse con la vita
di San Francesco, storie
raccontate inserendole
sempre in riquadri di
strutture architettoniche
(1290-1297).

Ognuno dei 28 riquadri


sono posti tre a tre per
campata fra colonnine
tortili dipinte e hanno cornici superiore e inferiore decoratissime a mensole
aggettanti che mano a mano che si arriva al centro si raddrizzano per
renderle realistiche facendole muovere con ombra e luce. Sotto queste
scene si trova, dipinto, un arazzo appeso con chiodi con l’idea che la tenda
si abbassi fra un chiodo e l’altro.

Le storie di San Francesco poi non saranno quelle scritte da celano, ma


seguiranno la biografia scritta da Bonaventura dove Francesco è un santo
meno “ribelle“ perché è schierato dalla parte della Chiesa. In queste il santo
non ho più la barba e strabilia per i suoi atteggiamenti ma viene anche
mostrato il lato della Chiesa che aiuta l’ordine.

Gli affreschi ripercorrono la vita di Francesco sin dalla giovinezza,


cominciando da episodi in cui si manifestavano i primi segni della sua
santità; poi le immagini raccontano le tappe della conversione, della
predicazione, dei miracoli, dell’approvazione del
nuovo ordine religioso, fino ad arrivare a un
momento cruciale, quello in cui Francesco riceve
sul proprio corpo le stimmate, i segni della
Passione di Gesù.

Sotto ogni riquadro, lunghe scritte in latino, oggi


in gran parte illeggibili, spiegavano il contenuto
della scena.

Negli affreschi di Giotto vengono raffigurati


personaggi ambienti riconoscibili, come ad
esempio nell’omaggio dell’uomo semplice viene
raffigurata la città di Assisi con il tempio di
Minerva, il palazzo con la torre etc.. Le figure
sono rappresentate con abiti che sembrano veri e
L’architettura resta sempre in relazione con l’occhio
dell’osservatore e delle figure dipinte.

In questo esempio, la testa del santo cade giusta


l’incrocio delle due montagne, attirando l’occhio
dell’osservatore e conducendo le personaggi
protagonisti. Anche la natura è nuova, non stilizzata ma
rappresentata con attenzione al dato reale.

Il tutto viene realizzato a buon fresco eseguito con la


tecnica a giornata e con grandi differenze di mani perché ad Assisi sono
presenti più maestri (a Padova sarà più unitario).

Nella predica davanti a Onorio, Giotto dipinge


l’architettura in stile gotico con volte a crociera
ogivali.

Nel miracolo dell’assetato le rocce seguono il


movimento delle figure in rappresentanza della
natura che si piega per porre l’attenzione alla scena.
Inoltre, vi è un’unificazione della fonte luminosa e
del modellato delle figure.

Nella croce per Santa Maria


novella, documentata già nel
1312 e già copiata nel 1301, si
può dedurre che è stata fatta
attorno al 1297, si può notare come la croce stessa è il
fissato in un monte che si trova sotto i piedi del corpo di
Cristo, rappresentato molto realisticamente appeso alla
croce da corpo morto.

Confrontando le maestà di Giotto e Cimabue, si può notare


come Giotto utilizzi una struttura molto più gotica per
l’altare e le figure non sono più una sopra l’altra come in
Cimabue ma scalate in profondità una dietro l’altra.

Giotto poi lavora per i francescani del Santo a Padova,


nella sala capitolare che si affianca ci sono dei chiostri,
dipinge San Francesco che riceve le stimmate.

Sempre a Padova, tra il 1300 tra il 1305, con documenti


che attestano il suo incarico, dipinge la Cappella degli
Scrovegni.

Studiare: pp. 284-293, 298-299 e 306-307


3 Maggio 2021

LA PITTURA A SIENA NEL TRECENT

Periodo di grande sperimentazione


• Duccio di • Simone Martini, dal • Ambrogio
Boninsegna, di cui 1285 circa al 1335 a Lorenzetti dal 1319
si hanno notizie dal Siena e poi a al 1348

1278 al 1318
Avignone no al
1344

Siena dal 1269 è città guelfa (appoggio al papa) legata alla corte agioina
(Francia, Napoli e papato). Al tempo (dal 1286 al 1355) era un comune retto
da una oligarchia di mercanti e banchieri retta dal consiglio dei Nove. In
questo comune non si instaurò mai una Signoria.

Vive un periodo molto orido con quindi molte committenze artistiche e qui è
sentito molto di più il gusto dell’opus francigena rispetto a Firenze.

DUCCIO DI BONINSEGNA

Madonna Ruce a

Commissione ricevuta nel 1285 dalla compagnia dei


Laudesi per la Chiesa di Santa Maria Novella a
Firenze.

Il trono di questa Madonna con bambino è persino


più intagliato di quello di Cimabue, con angeli in volo
uno sopra all’altro. Questo trono è testimonianza di
come questo artista fosse sensibile all’eleganza delle
forme gotiche, come possiamo vedere dal velario che
lo riveste, che ha la trasparenza di una vetrata
colorata.

Mentre Cimabue crea panneggi formati da molte


pieghine e utilizza molto il pulviscolo luminoso,
Duccio lavora più a colore unito e ci da il senso della
gura attraverso le linee di contorno, mosse e
sinuose, rimanendo comunque interessato nella
forma dei corpi.

In alcune opere si vede la sua conoscenza per le opere di Giotto.

Nella Madonna con bambino chiamata Madonna Stoclet, lei viene


rappresentata aldilà di una balaustra, testimonianza del suo interesse anche
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per lo spazio. Inoltre, le mensole che compongono la


balaustra sono dettagliate con luci e ombre realistiche
per dar l’idea di una vera struttura a tre dimensioni.

In quest’opera si vede anche come fosse attento


all’esprimere i sentimenti dei personaggi, con il
bambino che tocca il viso della madre mentre lei si cala
verso di lui con a etto.

Duccio è anche il pittore u ciale del Duomo di


Siena.

Qui disegna le vetrate dell’abside tra il 1287 e il


1290, con le tre storie de a Vergine: la morte,
l’assunzione e l’incoronazione su un grande trono
della Vergine. Ai lati vi sono i quattro evangelisti
intenti a scrivere i vangeli con vicino il loro simbolo
e i quattro santi patroni della città: San Bartolomeo,
S. Anzano, S.Crescienzio e S.Savino.

In certe scene si possono notare delle a nità


strettissime tra la vetrata e altri dipinti di Duccio.

La Grande Maestà commissionata a Duccio nel 1308 e condotta in


processione dalla sua bottega no al Duomo nel 1311.

Viene rappresentata la classica Madonna con bambino accerchiata da molti


angeli e santi. Il trono è rmato alla base dall’artista.

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“O Santa Madre di Dio, sii fonte di tranquillità per Siena, sii vita per Duccio
poiché ti ha dipinto così

I quattro santi inginocchiati in primo piano che la pregano sono Ansano,


Savino, Crescenzio e Vittore, per i quali nelle cappelle laterali vi erano altari
dedicati a ognuno con opere di altri grandi artisti senesi del tempo.

Questa pala era formata da due parti unite assieme, retro e fronte, (ora divise)
e montata su una specie di macchina lignea che permetteva alla pala di
roteare.

Sul retro vi sono le storie della Passione di Cristo, suddivisa in 25 scene. La


lettura di queste scene avviene a zig-zag prima dalla fascia bassa arrivando

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poi alla fascia alta, dall’ingresso di Cristo a


Gerusalemme (domenica delle palme) no ad arrivare al
Cristo risorto che appare alla Maddalena.

I pannelli sono formati da due storie ciascuno, apparte


la scena più grande centrale della Croci ssione dove
Duccio inserisce anche i due ladroni.

Duccio, ad esempio nella lavanda dei piedi, si ispira alla


iconogra a bizantina dandogli un nuovo realismo. Mentre
nell’esempio bizantino del IX secolo la scena è piatta e
l’architettura non tridimensionale, l’artista trecentesco
unisce alla spazialità tridimensionale un notevole
preziosismo dei colori e linearismo.

Un altro “tocco“ e tipico bizantino è l’uso dei panneggi ri niti d’oro.

Vedi complesso programma iconogra co

In ne, bisogna sottolineare come anche lui, come Giotto, fu un grande


descrittore delle città e degli ambienti interni con particolare attenzione alla
resa tridimensionale.

Lorenzo Ghiberti, nel


suo Commentarii
ricordò Duccio e la
sua opera
sottolineando come
egli “tenne la maniera
greca”.

La pala, in origine, era


formata anche da
cuspidi e predelle
segati in seguito alla
ne del 700; le due
parti vennero messe
in due cappelle
diverse, predella e
coronamento tagliato
in tavolette, alcune
delle quali nirono in
diversi musei europei e
americani mentre altre sono ancora a Siena.

Il collezionismo, in particolare quello anglosassone, adora queste opere e


dopo le soppressione di epoca napoleonica dell’unione d’Italia, opere come
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questa vengono vendute
(arrivando no anche al
mercato americano)
provocando un grande danno
per il patrimonio artistico del
nostro paese.

Nella tavoletta di Gabe a


del 1483 attribuita a Pietro di
Francesco Orioli si vede
molto bene come la pala
stessa è nell’abside del
Duomo chiusa da una macchina lignea, essa era cuspidata e sopra vi era un
fastigio cuspidato, un baldacchino in ferro e legname contende angeli in
legno scolpito dipinto.

Essa viene mostrata anche nel Sano di Pietro nelle storie di Sant’Antonio
abate con veduta della maestà nella tribuna dalla parte retrostante.

Studiare: p.281, 309-315

SIMONE MARTINI (1285


circa no al 1335 a Siena e poi si
sposta Avignone no al 1344, dove
muore il tempo c’era la corte
papale).

Probabilmente fu allievo di Duccio e


iniziò a lavorare al suo anco ma
forse follie vuoi anche di altri
maestri oltre a lui.

Lavorò a Siena soprattutto nel


palazzo pubblico, ma anche in
altri contesti divenendo il
pittore di riferimento delle
commissioni pubbliche dopo
Duccio e prima di Ambrogio
Lorenzetti.

Dipinse ad Assisi nella basilica


inferiore di San Francesco e in
altri centri come ad esempio
Pisa e Napoli.

Ad Avignone probabilmente fu
seguito dal cardinale Jacopo
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Stefanieschi o Napoleone Orsini.

Gli viene commissionata la Maestà per il palazzo pubblico per


testimoniare come anche il Comune fosse fedele alla vergine che è la
padrona della città.

Questa maestà ad a resco viene posizionata nella Sala del Mappamondo,


nita nel 1315, fu poi ritoccato nel 1321.

La madonna siede con il bambino sotto un baldacchino come in un tipico


torneo medievale (ambiente laico).

Attraverso quest’opera, la madonna dà una serie di messaggi al popolo,


comunicando che i cittadini verranno aiutati da lei solo se si comporteranno
bene. Inoltre, lei gradisce le cose che le vengono o erte ma soprattutto
gradisce la giustizia e il buon governo. Questa, infatti, è un’importante
testimonianza di arte pubblica religiosa e del fortissimo connubio tra potere
religioso e potere politico che ha dei valori morali di comportamento
pubblico.

Nella cornice in basso vengono posti i sigilli del Comune con una lode a
Siena, alla vergine stessa, alcuni versi che citano dei e miti antichi e la rma
dell’artista.

“[...] Correva l’anno 1315; la primavera era molto avanzata poiché Diana
aveva fatto sbocciare tutti i ori e Giunone (giugno) stava per rivoltarsi
(ossia stava per entrare nella seconda metà del mese)“.

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Anche in questo caso sappiamo grazie a Ghiberti nel suo Commentarii che
fu Simone a svolgere quest’opera.

Simone crea un’opera di enorme ricchezza con lamine d’oro, argento e pezzi
di vetro che brillano alla luce, l’omaggio più grande che potesse essere fatto
alla Vergine in un luogo pubblico.

Mettendo a confronto l’opera di Duccio e di Simone, si può notare come


quest’ultimo infonde più naturalezza con i volti più rosati e usa anche lui
suggestioni spaziali con cornici tridimensionali.

Inoltre, vi sono dettagli notevolissimi che mostrano ad esempio le aureole


decoratissime in lamenti d’oro, il trono gotico decoratissimo con riferimenti
allo stile francese con molta ricchezza, fastosità e preziosità.

In ne, questa Maestà fu anche copiata da Lippo Memmi nel 1317 per il
Palazzo Pubblico di San Gimignano.

Tra il 1316 e il 1317 circa, Simone dipinge gli a reschi


della cappe a di San Martino nella Basilica inferiore
di San Francesco d’Assisi tramite lascito del Cardinale
Gentile Partino da Monte ore, rompendo il ciclo più
antico delle storie di San Francesco che vi erano sulla
navata.

Dettaglio di San Martino che benedice il cardinale sotto


ad una struttura gotica e altri riquadri con le storie di
San Martino (vicende ambientate come se fosse nel
Medioevo. Questo santo era un nobile quindi inserisce
scene di palazzi, corti e battaglie con impronta
cavalleresca, elementi incredibili di realismo e
ricchezza.

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A Napoli, invece, nel 1317 fa la pala per la Chiesa
di San Lorenzo di San Ludovico di Tolosa
commissionato da re Roberto d’Angiò (il fratello, che
quindi viene benedetto dal fratello che prese i voti
francescani). Qui Simone si rma nella predella e
unisce insieme spazio e decorazioni, creando una
testimonianza più vera alle azioni di scelta di povertà
e spiritualità di Ludovico (che invece sopra appare
molto ricco).

Sempre nella stanza del mappamondo, nel 1330 viene


ingaggiato dal Comune di Siena per la pittura dei
caste i di Montemassi e Sassoforte.

Questi erano castelli che furono occupati dai senesi


dopo un lungo assedio e in questo a resco si riesce a

vedere bene il paesaggio, con anche le coltivazioni di vite attorno alla città e
Guidoriccio da Fogliano a cavallo.

Si pensa che questa parte fosse dedicata a mostrare le vittore del governo
senese.

Anche in questo a resco il pittore dimostra di saper usare (facendoli


sapientemente interagire) due registri linguistici di erenti: l’eleganza della

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gura del cavaliere e la minuzia
minuzia descrittiva con cui viene
analizzato il paesaggio maremmano.

Nel Duomo di Siena, nell’altare di


Sant’Ansano, dipinge
l’Annunciazione con
Sant’Ansano e Santa
Margherita assieme a Lippo
Memmi e altri artigiani e maestri.

Simone viene celebrato per la sua


bravura da Petrarca nel Canzoniere e ci rimane anche
una miniatura su pergamena, un’a egoria Virgiliana
del 1338) che apparteneva al poeta contenente opere di
Virgilio.

In questa miniatura si vede il poeta Virgilio steso con una


penna che guarda la natura, un signor che lo indica e
dischiude una tenda (Servio, personi cazione delle
Georgiche), un guerriero (personi cazione dell’Eneide) e
un pastore (personi cazione delle Bucoliche).

Studiare: pp.320-323, 328-331, 334-335

AMBROGIO LORENZETTI, attivo dal 1319 al


1348, fa nel Duomo di Siena, nella cappella di San
Crescenzio la Presentazione al tempio e, nel palazzo
pubblico di Siena dipinge nella Sala dei Nove tra il
1338-1339 le A egorie del Buono e Cattivo
Governo.

In questa sala si riunivano i 24 consoli del comune, e gli viene


commissionato uno dei
primi paesaggi della pittura
europea.

Attraverso la Giustizia, il
governo è giusto ed è
capace di tenere la
sicurezza. Si vede
nell’allegoria del Buon
Governo il bene comune in
trono con attorno le
personi cazioni delle virtù
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Sapienza, Giustizia e
Concordia. Il paesaggio è
molto dettagliato di una città
orente, con botteghe,
cantieri, mura, campi e in alto
la gura allegorica della
sicurezza nuda alata. La
natura, tenuta bene, porta al
benessere dei prodotti e del
mercato.

Se il governo è cattivo,
invece, in volo c’è il
timore e al potere c’è la
tirannide rappresentata
molto brutta con le
personi cazioni di
Avarizia, Superbia e
Vanaglora con ai piedi la
Giustizia rappresentata
dalla bilancia spezzata.
Nella città del governo cattivo, rappresentata di notte, non si è più al sicuro,
le case si sgretolano, le mura sono chiuse e ne escono un gruppo di armati.

Egli ci o re molto di più che una veduta generica. Ogni dettaglio — sia che si
tratti della natura sia delle opere degli uomini — ha concretezza di forme, di
dimensioni, di gesti. Nello stesso tempo, tutti questi dettagli non si riducono a
un semplice elenco: sono le idee espresse nell’allegoria accanto a metterli in
armonia l’uno con l’altro, a spiegarli, a rivelarne il valore. La stessa
rappresentazione del paesaggio del suo rapporto con la città (mediato, ma
non interrotto, dalle mura) assume l’eloquenza di un manifesto politico.

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Studiare: pp.324-326

LA PITTURA A PADOVA NEL TRECENT

Studiare:

L. Bellosi, Giotto — pp.31-59

D.Banzato, M.Masenello, G.Valenzano, Giotto e i cicli pittori del Trecento a


Padova — pp.39-118

Fatti importanti per la pittura padovana del Trecento:

1) Presenza di Giotto a Padova (3 metà degli anni 70 Guariento


cicli: Santo, Cappella degli (Cappella Carrarese e Abside
Scrovegni e Palazzo Comunale)
degli Eremitani) e anni 70-80
2) Giottismo (Maestro del Coro pittori forestieri chiamati alla
Scrovegni - i Riminesi)
corte e da famiglie ad essa
3) Dal 1350, con l’avvento dei legate (il neo-giottismo)

Carraresi, Arte di Corte con a

Importanti:

• Giusto de Menabuoi • Altichiero e Iacopo • Altichiero (Oratorio


(Battistero e Avanzi (Cappella di di San Giorgio al
Cappella Belludi al San Giacomo al Santo)

Santo)
Santo)

Giotto viene citato da:



- Riccobaldo da Ferrara nella Michiel (1550)

Compilatio Chronologica - Vasari

(1312-1313)
- Dante, Purgatorio XI

-Michele Savonarola - Petrarca

(1440)
- Boccaccio, Decameron VI, 5

-Marcantonio - Cennini, Trattato della Pittura 


Egli ha un nuovo linguaggio estremamente moderno perché


sradica le consuetudini duecentesche alla bizantina e
tradizionali. Probabilmente era arrivato a Padova per il
tramite dei francescani.

Dipinge dapprima nella Sala del Capitolo San Francesco


che riceve le stigmate imitando una scena che aveva già
dipinto ad Assisi e nella prima cappella del tornacoro del
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Santo a destra (Cappe a di Santa


Caterina), i suoi dipinti furono
coperti, ma nel sottarco si vedono
ancora
le
teste
dei
santi
da lui
dipinti.

Cappe a Scrovegni nei giardini dell’Arena,


intitolata a Santa Maria della Carità.

Giotto la dipinse dal 1303 al 1305, due primavere e due estati (in autunno e
in inferno era di cile dipingere poiché Padova è una città molto umida).
Sappiamo per certo che il 25 Marzo 1305 il grande ciclo di a reschi era
completato.

Cronologia:

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• Il 6 febbraio 1300 Enrico Scrovegni compra il palazzo Delesmanini e il
terreno, comprendente i resti dell’antica Rina romana, su cui viene
edi cata la cappella comunicante con il palazzo (in seguito distrutto)

• Nel 1302 il vescovo di Padova Ottobono Razzi da il permesso a Enrico di


costruire la cappella.

• Nel 1304 il Papa concede un’indulgenza ai fedeli che avessero visitato la


chiesa della beata Maria vergine della carità dell’arena, pertanto doveva
essere stata ultimata almeno nelle sue strutture murarie.

• Nel 1305 vi fu una protesta da parte dei frati agostiniani del vicino
monastero degli Eremitani a continuare i lavori in maniera diversa da
quanto concesso in origine dal vescovo preoccupati dell’importanza che
questo luogo stava raggiungendo.

• La consacrazione u ciale avvenne nel giorno della festa


dell’annunciazione del 1305.

La costruzione è in semplice muratura, mattoni, un po’ romanica con archetti


ciechi e lesene e la forma timpanata.

Formata da una aula unica, è dipinta dappertutto, sulla volta, nell’arcone


trionfale, nella controfacciata (dalla quale si trova una volta, ora si entra da
dove una volta si entrava dal palazzo, di anco).

Sulla parete dove una volta il palazzo proteggeva la cappella dall’umidità


l’a resco si è molto rovinato, come anche sul Giudizio universale, rovinato
anch’esso dall’abbattimento di un vecchio portico esterno.

Sulla volta a botte è


dipinto il cielo stellato
con dei tondi che
racchiudono Cristo, la
vergine, gli evangelisti, i
profeti e grandi fasce
cosmatesche e con
dentro cornici
mistilinee e teste di
santi e altri.

Tutte le pareti sono


dipinte, da una parte
vi sono sei nestre e
dall’altro no, ma
Giotto riesce non far
percepire la
di erenza con un
senso di grande
unità, dando molta importanza allo sguardo dell’osservatore e facendo
continuare le fasce decorative no allo zoccolo dove non vi sono le nestre.

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Partendo dalla prima fascia in alto a destra, si hanno le storie di
Gioacchino e Anna, genitori della Vergine, poi le storie di quest’ultima sulla
parete opposta.

Sull’arcone viene dipinto Dio padre su tavola lignea che manda l’angelo
Gabriele ad annunciare a a vergine la nascita di Cristo. Questa tavola
lignea si poteva aprire come una porta.

Nella seconda fascia vi sono prima le storie di Cristo bambino e i suoi


primi miracoli della vita pubblica e tutte le storie della sua vita.

Ai lati dell’arcone vi è Giuda che vende Cristo per tre denari.

Nella terza fascia vi sono le storie de a passione di Cristo.

Nella fascia bassa o zoccolo vi sono le virtù e vizi con le loro allegorie
insiemi scultura intervallate a specchi marmorei che Giotto stesso aveva
visto a Roma e che quindi imita. I vizi sono rappresentati dalla parte
dell’inferno rispetto al giudizio universale e le virtù dalla parte dei beati.

In queste allegorie vi sono esempi di buoni


comportamenti e di cattivi comportamenti,
per quindi un messaggio etico politico: la
giustizia e possente e molto bella, mentre
l’ingiustizia è un uomo seduto su un trono
che si sta sgretolando.

Alla ne dell’arcone, due ambienti


architettonici nti visti da una balaustra
in prospettiva testimoniano ancora una
volta la piena consapevolezza di Giotto
degli spazi tridimensionali.

Nella controfacciata vi è il Giudizio


Universale.

A Padova rispetto ad Assisi si assiste ad


un approfondimento della ricerca dei valori
spaziali plastici assieme a un modellato più
morbido grazie a più graduali passaggi di luce, a un accordo più intonato dei
colori giocati su gambe più calde e una più sapiente articolazione delle
scene.

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La gura di Gioacchino seduto, ad esempio,
è una evoluzione di una gura di Assisi con
un uso migliore del chiaro-scuro e quindi
del pulviscolo luminoso con la luce che
invade la forma.

Anche delle gure di bambini che salgono


sugli alberi si evolvono in maniera più
sapiente con un panneggio più
monumentale saldo. In ne, le scatoline
spaziali sono le stesse, ma sono messe
meglio dentro la scena e tangenti in
diagonale.

Gli ambienti architettonici nti sono visti in


prospettiva, con una piena consapevolezza
degli spazi tridimensionali e molto spesso
sono
gli
stessi
visti
da
altri
punti di vista.

Le gure sono sempre più realistiche e si


comincia anche a vedere il pro lo di
esse che no ad allora, soprattutto quelle sacre, dovevano essere frontali,
inserite e messe in stretta relazione con la natura e le architetture.

Fattori di ulteriore realismo sono le piante riconoscibili


nelle loro specie e le lacrime visibili grazie al trucco nella
strage degli innocenti.

Nel Giudizio Universale vengono riposti tra le anime dei


beati probabilmente Giotto e sicuramente Enrico
Scrovegni (mentre o re la cappella alla Vergine, ritratto
molto verosimilmente), il vescovo di Padova che la
concesse e o Altegrado di Treccani/Alberto da Padova
frate che aiutò Enrico e Giotto nel progamma
iconogra co.

Sopra ad esso ci sono due angeli che arrotolano il cielo e


aprono il cielo della Gerusalemme celeste, spegnendo sole
e luna.

Inoltre, la tomba di Enrico Scrovegni si trova nell’abside.

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Il programma iconogra co è molto sapiente, oltre per la disposizione delle
scene anche perché fra un ripiano e l’altro ci sono analogie concettuali.

In ne, vi era anche una croce da tramezzo quando che divideva lo spazio di
fedeli/pubblico dalla parte della famiglia, ora conservata nel museo a anco.

Giotto aveva anche dipinto anche nella volta nel Palazzo de a Regione, le
dodici gure dello zodiaco, i sette pianeti e le loro proprietà. Dato che Giotto è
a Firenze nel 1314-1315 e tra i 1318-1320 la Critica pensa ad una
esecuzione del ciclo e ad un secondo soggiorno di Giotto a Padova tra il
1315 e il 1318.

Distrutto in un grande incendio nel 1420. All’interno di questa sala si svolgeva


il tribunale e si pensava che gli astri avessero proprietà sull’animo umano.

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10 Maggio 202

GIOTTO E I CICLI PITTORICI DEL TRECENTO A PADOV

Durante gli anni in cui Giotto lavorò a Padova, quest’ultima era comune, con
varie famiglie che gestivano il governo, no al 1318, quando si a erma la
Signoria.

Un’assemblea generale conferisce il potere nelle mani di Iacopo da Carrara


appartenente ad una delle nobili famiglie della città.

Il nuovo regime non salva la città, che nel 1328 viene conquistata da
Cangrande della Scala (Verona), rimanendo in soggezione no al 1337.

La stabilizzazione del potere si ha alla metà del 1300, con l’avvento di


Francesco I da Carrara che prima regna con lo zio Jacopino dal 1350 al
1355 e poi da solo.

Quindi dal 1355 al 1405 (quando Padova cade sotto Venezia), i Carraresi
dominano la città. Lo stato è forte, prospero e ordinato in grado di misurarsi
con il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia anche sul piano del
prestigio artistico.

Il numero di abitanti è addirittura superiore a quello di Parigi e vi è una


grande e improbante Università.

Le mura che oggi vediamo nella


circonvallazione della città sono quelle
carraresi poi rimaneggiate dai Veneziani
circa negli stessi punti.

Dal 1388 al 1390 la città viene occupata


dai Visconti di Milano e Francesco il
Vecchio viene imprigionato e ucciso.

Dopo la soggezione viscontea diviene


signor Francesco Novello che cerca di
potenziare la Signoria sia nei confronti di
Milano che nei confronti di Venezia.

Nel 1405 la Signoria Carrarese è


costretta a capitolare di fronte alle armi
veneziane. Padova entra quindi a far
parte della Repubblica di Venezia.

Durante questo periodo culturale felice è presente a Padova anche il poeta e


scrittore Francesco Petrarca, già amico di Jacopo II da Carrara che, nel

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1349, gli apriva la sua reggia e lo faceva canonico della cattedrale con un
bene cio annuo notevole e una casa nei suoi pressi. Tornerà poi in città tra il
1363 e il 1374, quando, anziano, si ritirò ad Arquà Petrarca.

A Padova scrisse “De viris illustribus”, dedicata a Francesco Vecchi, uno dei
primi esempi di opera storica in cui viene rappresentato l’uomo è le sue
scelte, in questo l’artista ridà importanza all’azione dell’uomo nella storia.

Dal 1350 inizia a svilupparsi un’arte di corte con diversi artisti attivi:

• Guariento nella Cappella Carrarese ( metà anni 50) e nell’abside della chiesa
degli Eremitani (anni 60)

Dagli anni settanta arrivano di pittori forestieri chiamati dalla famiglia


Carrararese e dalle famiglie ad essa collegate:

• Giusto de Menabuoi (Battistero e cappella Luca belludi al Santo)

• Altichiero da Zevio (cappella di San Giacomo al santo e nell’oratorio di


San Giorgio al santo)

• Jacopo Avanzi (cappella di San


Giacomo al Santo)

Tutti sono coinvolti nella decorazione


della Reggia Carrarese, complesso di
edi ci, del quale è rimasta una
loggia in via Accademia e la Sala
dei Giganti (sopra alla biblioteca
Liviana) che un tempo era la Sala
degli Uomini Illustri che ancora
conserva un pezzettino di a resco
con l’immagine di Francesco
Petrarca.

Fonte: Michele Savonarola, “Libellus de magni cis ornamentis regie civitatis


Padue” che dice che i pittori di Padova del Trecento “totalmente conobbero i
lineamenti delle gure e le proiezioni dei raggi, da essere di gloria alla scienza
prospettica (...) così da assicurare alla città di Padova il vanto di chiamarsi mater
perspectivae picturae”.

Disegna, mettendoci anche gli artisti, una arcatella doppia in cui sono dipinte
le varie persone che hanno fatto l’importanza della città di Padova.

C’è certamente un paesaggio di “testimone” e pensieri da Padova a Firenze,


dove questi artisti si trasferiranno e si svilupperà ulteriormente con il punto di
fuga centrale.

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GUARIENT

Nacque a Piove di Sacco attorno al 1310 e muore tra il 1368-1370.


Sappiamo che nel 1341 è residente al Duomo e vi sono numerosi atti
testamentari che attestano la sua fama come grande pittore e che lui è
presente come testimone in diversi atti notarili.

Lo sappiamo in contatto con i frati francescani del santo e anche con i frati
Agostiniani degli Eremitani.

Attivo nel palazzo dei Carraresi almeno dal 1351, poi lavora a Bolzano nella
Chiesa di San Nicolò, ma anche al Palazzo Ducale a Venezia terminando là la
sua carriera facendo un paradiso che non possediamo più perché viene
coperto da Tintoretto, distrutto anch’esso.

La sua prima opera è del 1333, una croce da


tramezzo che stava nella Chiesa di San Francesco di
Bassano, rmata dall’artista con anche il nome della
donatrice, suora Maria de Bovolini (domenicana).

Già qui Guariento imita Giotto anche per


conoscenza di altri pittori giottiani attivi al tempo,
qui riesce a rendere sempre di più la realtà della
croce e dello spazio.

La croce è posta in uno spazio che sembra reale e


d’oro, in tridimensione, i chiaroscuri e la forma dei
tabelloni dà questo tipo di idea. Anche nella cimasa
il Cristo si distacca dalla croce e alle forme
quadrangolari polibate sostituisce una forma a tre
archetti gotici polilobati ed ampli ca lo spazio e l’espansione del volume
delle gure.

Quello che lo Rende pittore famoso è


l’incarico nella reggia dei carraresi.

La Reggia Carrarese è il complesso di edi ci


che i Carraresi fecero costruire all’interno
della cinta medievale della città come sede di
governo. La Reggia fu iniziata al principio del
XIV secolo e completata nel 1348
(soprattutto sotto Ubertino, 1338-1348).

Ne rimangono attualmente pochi resti: La


Loggia dei Carraresi, attuale sede
dell’Accademia Galileiana, mentre l’attuale

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Piazza Capitaniato era l’antica piazza d’armi della Reggia.

Si tratta di un palazzetto con un loggiato su due piani con


capitelli crochet che nel 1780 viene dato all’accademia
patavina.

Questa mantiene la struttura esterna, ma dentro vengono


apportate delle modi che. In una stanza del secondo
piano vengono buttati giù alcuni muri e vengono aperte
alcune nestre per creare una sala riunioni e purtroppo
così vengono persi parte della decorazioni di quella che
era la cappella privata della famiglia Carrarese.

Questa cappella fu tutta decorata da Guariento e nita


sicuramente prima del 1354 quando Carlo IV, imperatore
di Boemia, visita Padova e a erma quanto questa
cappella era bellissima (in Ungheria poi vorrà che sia
imitata).

Ambiente di 10x5 metri con quattro pareti a rescate.

Secondo la ricostruzione di Irene Hueck nel 1994, doveva avere delle tavole
nel sof tto agganciate alle pareti e forse un pochino inclinate, poi vendute e
asportate.

Tutta la cappella fu dedicata al tema degli angeli e ora abbiamo solo la


parete sud e qualcosa dei lati brevi.

Nello zoccolo Guariento allude architetture dipinte in tridimensione e in


seguito altri nti marmi e mensole come faceva Giotto.

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Le storie, che hanno delle iscrizioni,
sono continue e rappresentano
interventi degli angeli a sostegno
degli uomini.

Opere di grande qualità; l’artista


crea gure meno plastiche, più
allungate e morbide dipingendo
addirittura le occhiaie nei volti, più
naturalistiche variando le loro pose e
i loro incarnati. Pone anche molta
attenzione alla melanconia dei
personaggi e le loro espressioni
nell’a darsi a Dio.

Alcuni degli a reschi sui muri che


furono abbattuti
vennero strappati: la
cacciata dal paradiso
e Giuseppe che
interpreta i sogni del
faraone.

Qui è notevole la resa


del nudo dei corpi,
plastici grazie al
chiaroscuro.

Sul so tto vi erano


quattro tondi di tavole
lignee di cui ne
abbiamo solo due.
Uno con la Madonna
con bambino (forse
messa al centro) e
attorno i quattro
evangelisti di cui ci
rimane San
Matteo, custoditi al
Museo Civico di
Padova.

Nella tavola di San


Matteo si nota la
qualità della resa

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dello spazio grazie alla cattedra su cui siede e scrive Il
santo, molto realistica con tocchi di luce che danno il senso
della tridimensionalità.

Su tutte le altre tavole si hanno le schiere angeliche, gli


angeli che stanno accanto a Dio e che appariranno il giorno
del giudizio universale. Queste entità sono create da Dio,
alcune dello stesso spirito e materia di Dio e mano a mano
sempre più vicini all’uomo. Ad esempio, Arcangeli e angeli
sono i più vicini all’uomo e sera ni e cherubini i più vicini a
Dio.

Questa è una
teoria spirituale discussa da molti padri della Chiesa, tra cui ad esempio
Gregorio Magno, ma ad esempio gure di santi come San Dionigi (teologo
medievale).

Le tavole hanno forme anche triangolari oltre che rettangolari, per stare negli
angoli inclinati del so tto.

Questi angeli riusciamo a riconoscerli e distinguerli grazie a confronti


iconogra ci da altre opere in cui magari tengono in mano cartigli con il loro
nome.

Ad esempio, l’angelo che pesa le anime è la “Dominazione”, le “Potestà”


schiacciano il diavolo tenendolo al guinzaglio, i “Principati” sono guerrieri
come anche gli arcangeli, le virtù intervengono negli incidenti agendo
aiutando il destino dell’uomo, mentre gli Angeli che tengono in mano l’anima
sono quelle che le prendono al momento della morte.

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Guariento si confronta anche con Paolo Veneziano, che lavora a Venezia ed
è attivo tra il 1333 e il 1358, giottesco, dà una interpretazione naturalistica,
preziosa, lineare e gotica del linguaggio di Giotto, con ancora in uenze e
ra natezze Orientali che si possono notare nella sua Madonna con il
Bambino e angeli.

Notevoli anche i pomelli delle gote, il prezioso muoversi della gura, l’abito in
tessuto d’oro e le tantissime decorazioni in lamina d’oro.

Chiesa degli Eremitani, frati agostiniani.

Il primo edi cio era già concluso nel 1264 ma nel 1306 frate Giovanni degli
Eremitani (che lavorò anche nel Palazzo della Ragione) interviene con la
copertura a carena di nave e la pseudo loggia in pietra a cinque archi in
facciata e tre nell’angolo sud. Si tratta di un edi cio in mattoni, gotico ma
con molte forme romaniche.

Nel 1944 bombardano


l’edi cio e la chiesa viene
danneggiata in particolare
nell’abside dove aveva dipinto
Guariento.

Ora è sopravvissuta un’unica


parete.

Guariento aveva dipinto tra il


1361 e il 1365, dopo aver
lavorato per i Carraresi.

[Vicino viene distrutta anche la


Cappella Ovetari di Andrea
Mantegna bombardata di cui viene
fatta una ricostruzione.]

Vediamo grazie alle fotogra e


pre-guerra che il ciclo raccontava
la fondazione de ’ordine con
ad esempio la consegna della
regola di Sant’Agostino agli
eremitani.

Nell’unica parte rimasta abbiamo delle storie di santi tra i quali Sant’Agostino
e San Filippo.

Guariento immagina la parete in un cielo con strutture architettoniche sempre


più illusionistiche, in cui sono inseriti due evangelisti e storie che mostrano
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architetture
e spazi molto complessi e scene dentro
riquadri di edi ci religiosi.

Nello zoccolo viene fatto un omaggio a


Giotto, facendolo in marmo con un ciclo
di gure emblematiche del rapporto tra
astronomia/astrologia e vita umana.

Secondo questo concetto, ogni


pianeta ha un’in uenza sull’età
dell’uomo. Ad esempio, la luna ha
in uenza sui bambini piccoli.

Il fatto che dallo zoccolo dove vi


erano rappresentati questi rapporti
astronomia/uomo poi si vada verso
l’alto al cielo in cui compaiono le
storie dei santi, fa che questi siano
quindi il modello consapevole del
rapporto tra uomo e divino da
seguire e ammirare.

11 Maggio 202

GIUSTO DE’ MENABUO

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Di famiglia Fiorentina ma attivo a Milano come documentano le sue opere


negli anni 1350 (Viboldone), 1363 (polittico per suor Isotta Terzaghi; polittico
di Londra (1367).

Non sappiamo con precisione quando giunse a Padova, ma già doveva


essere passato per la città quando opera nel tiburio della chiesa di Viboldone
a Milano verso il 1350 dove cita il Cristo giudice di Giotto, gli angeli e i santi.

Nel frattempo Giotto muore nel 1337 dopo aver lavorato a Milano alla corte
di Azzone Visconti, ad Assisi, Firenze, Napoli.

Come modo di dipingere Giusto è un giottesco ormai maturo, quindi che


nasce dall’insegnamento tardo di Giotto (molto gotico).

Nel 1370 eseguì la sua prima


commissione padovana nella
cappe a laterale a destra della
chiesa degli eremitani di Padova
per Tebaldo Corte ieri, un
illustre giurista. Di questa ci
rimane poco perché è stata in
gran parte distrutta e si vedono
ancora immagini delle virtù, arti
e Gloria di Sant’Agostino.

Qui Fina Buzzaccarini (moglie


di Francesco il Vecchio da
Carrara) lo vede e gli
commissiona la decorazione
del battistero al quale opera almeno dal 1373, quando un documento lo
dice residente in zona Duomo, nendolo sicuramente entro il 1378.

Nella Chiesa di Viboldone, in ciò che dipinge Giusto nel 1350, sono
evidenti gli scambi dalla cappella degli Scrovegni di Giotto nella posa di
Cristo in mandorla, negli angeli che svolgono il cielo chiudendo quello
naturale aprendo quello della Gerusalemme celeste, nelle anime dei beati
messi in schiera e così via.

Questo testimonia che già nel 50 Giusto conosceva la cappella degli


Scrovegni.

Anche un trittico ci fa capire che già conosceva Giotto.

Quest’opera ha le Storie della Vergine a polittico chiuso e l’Incoronazione


della Vergine alla presenza dei santi a polittico aperto ed è datato 1367.
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L’artista è quindi capace di una
spazialità notevole: nella scena
dell’incoronazione della vergine vi è
rappresentato un pavimento tutto a
quadretti in prospettiva quasi perfetta, vi
sono scene simili a quelle di Giotto, con
gure salde e monumentali, posizionate
in schiera per rendere la profondità della
scena e, in ne, il trono è molto gotico.

Mostra in particolare il suo stile maturo


nel battistero di Padova, di origine
romanica dedicato a San Giovanni
Battista, in origine mausoleo della famiglia carrarese.

Al centro del battistero vi è la fonte battesimale, un’opera trecentesca con


sopra una statua più tarda.

Tutte le pareti del battistero sono dipinte e sormontate da una splendida


cupola dipinta che si imposta su dei pennacchi con gli evangelisti.

L’abside contiene il Giudizio Universale, delle scene dell’apocalisse di San


Giovanni Battista con sopra un grande a resco con la Croci ssione.

In questa nicchia, prima della conquista Veneziana, giacevano le spoglie di


Fina Buzzaccarini.

Nelle pareti vi sono Storie di Cristo, una grande immagine di Fina


Buzzaccarini presentata dinnanzi alla Vergine (a ovest) e storie di San
Giovanni Battista (a sud).

Sulla cupola, in ne, c’è Cristo giudice al centro, angeli, santi e la vergine
in schiere concentriche attorno a lui e nel tamburo storie dell’antico
testamento (in particolare della genesi).

L’evoluzione rispetto a Giotto si vede molto bene nella grande abilità di


dipingere le architetture che ngono spazi che non ci sono.

Molto evidente anche la capacità di creare cerchi concentrici che sembrano,


in qualche modo, muoversi. Ciò è dovuto al modo in cui sono dipinte le
gure, messe su delle piattaforme scalate.

L’artista ha una maniacale precisione nel rendere i santi tutti perfettamente


riconoscibili con i loro attributi e nel rappresentare gli oggetti e le architetture
con estrema minuzia.

Il colore arriva a dei cangiantismi (cangiare=cambiare) per rendere la


profondità e la luce, intridendo il colore di luce attraverso altri colori, creando
anche una policromia notevole.

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Fina viene presentata alla Madonna da
San Giovanni alla presenza di San
Daniele, San Prosdocimo, San Antonio,
San Francesco, Santa Giustina,
dipingendo oltre i limiti dell’architettura
sull’arcone.

Sopra a questo vi è un arco a mensole


scolpite, che l’artista aggira sapientemente dipingendo angeli adoranti.

Le storie della genesi partono dalla scena sotto la


Madonna che mostra la creazione del mondo con
Cristo benedicente seduto su un gruppo di angeli
(7 come i giorni dalla creazione). Viene
rappresentato il mondo con la terra, dipingendo un
vero e proprio mappamondo con intorno
l’oroscopo oltre le schiere angeliche.

Nel tamburo Giusto usa sia scene continue sia


riquadri con una grande abilità di passaggio da una
all’altra.

Le gure sono gotiche anche per il modo di gestire


la loro postura. In ne, pone attenzione a connotare
non solo lo spazio ma anche il tempo, facendo
cambiare le scena a seconda del prima e del dopo,
ma mantenendo le stesse strutture.

Alcune scene: la cacciata dei progenitori, le vedute di


Sodoma e Gomorra, la Torre di Babele (durante i lavori di costruzione, con
addirittura degli incidenti), l’ospitalità di Abramo, Isacco con Giacobbe e
Esaù.

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Nella nascita di
Giovanni Battista
vengono
addirittura dipinte
Fina con le tre
glie che
assistono
all’evento.
Attenzione
dettagliatissima
anche alla resa
delle Nozze di Cana come in un
vero banchetto medievale.

La croci ssione è enorme e corale.

Nella Cappe a di Luca Be udi al Santo per


la famiglia Conti lavora tra il 1382-1383.

I Conti Naimiero e Ildebrandino si fanno


rappresentare in ginocchio mentre vengono
presentati alla Vergine da Santi francescani.

Da un lato, nella Cappella, vengono narrate le


storie di san Giacomo e in una lunetta che
rappresenta il martirio del Santo, è dipinta una

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grandiosa veduta della


città in prospettiva
non solo gli edi ci ma
anche con le gure che
scalano. Inoltre, anche
nella scena di San
Filippo croci sso si ha
una notevole veduta
della città e della
campagna.

In ne, viene celebrato


anche il beato Luca
Belludi, francescano, al
quale appare San
Antonio che gli dice
che Padova diventerà
una grande città
prosperosa, dunque nella scena viene rappresentata la città con numerosi
edi ci e dettagli reali come il Palazzo della Ragione, le Mura e il Castello dei
Carraresi.

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17 Maggio 202

La Padova Carrarese alla ne del XIV secol

Cappe a di San Giacomo Maggiore (poi San Felice)

Qui vi fu la stessa idea di venerare un santo che fa miracoli post mortem che
porta pellegrinaggio, come stava già avvenendo a Padova per Sant’Antonio
e quindi Santiago in Spagna.

La cappella sta di fronte a quella dell’arca del


Santo, prima dell’abside sulla destra. La
fronte ha cinque grandi arcate a sesto acuto
sormontate da un secondo ordine cuspidato
realizzato in bianco e rosso dove ci sono
delle nicchie con statue di santi. L’architrave è
del 1500 quando viene rifatta la cappella
dell’arca di Sant’Antonio per creare maggiore
simmetria tra le cappelle.

Le colonne e il pavimento sono in marmi


rossi, i capitelli dorati, quindi vi è molta
policroma.

Fu voluta da Bonifacio Lupi di Soragna,


condottiero a servizio dei Carraresi che poi
diventa consigliere di Francesco il Vecchio e
fu
molto
amico del segretario di Francesco
Petrarca, Lombardo dalla Seta. Il
contratto fu fatto proprio da
quest’ultimo in nome di Bonifacio,
nominando architetto Andriolo De
Santis (scultore veneziano).

Fu costruita tra il 1372 e 1379, nel


1376 avviene la consacrazione e
poi venne a rescata, quindi in pieno
trionfo del Regno Carrarese.

La parete di ingresso si ri ette nella


parte di fondo: le cinque arcate
della loggia di ingresso vengono
riportate nella parete di fondo.

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Bonifacio si rivolge a Altichiero da Zevio (veronese) e Jacopo Avanzi


(bolognese), riconosciuti soprattutto per via stilistica negli a reschi,
tipicamente neogiotteschi.

Non abbiamo il loro contratto ma solo due documenti del 1377 e del 1379 che
testimoniano le spese sostenute per l’abbassamento delle impalcature e il
saldo dell’intera
decorazione
devoluto al solo
Altichiero,
probabilmente
per la morte di
Avanzi.

Vi è un profondo
rapporto tra
scultura,
architettura e
pittura, evidente
in tutta la
cappella.

Sulle pareti vi
sono le storie di
San Giacomo, su
tre arcate una grandissima Croci ssione corale (di Altichiero) e sulle altre
due arcate vi sono i sarcofagi con le
tombe di famiglia.

Sopra ad un sarcofago, che è una vera


e propria scultura, appoggiato su dei
mensoloni retti da dei leoni, viene
rappresentata la Pietà, Cristo morto che
viene tirato fuori dal sepolcro da
Giovanni e le due Marie, a resco che
sembra che fuoriesca dal sarcofago
stesso.

L’altare non è più quello originale, che


era ricoperto da tante sculture che
coprivano anche un po’ gli a reschi.

La pittura è più che mai capace di


inventare spazi illusionistici. Vi è
addirittura un pilastro che il pittore usa
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per giocare con la prospettiva nell’a resco del sogno e concilio di Carlo
Magno.

Nella Cappella c’è anche l’a resco votivo alla Madonna con bambino in trono
molto gotico (con guglie e pinnacoli) con Caterina (capo penitenziale) e
Bonifacio (vestito da guerriero), con dietro San Giacomo che riconosciamo
perché ha il bastone da Pellegrino e Santa Caterina. La tipica immagine di
santi che accompagnano e presentano i loro protetti alla Vergine.

Jacopo Avanzi termina di dipingere nel 1376, quando vengono abbassati i


ponteggi e subentra a lui Altichiero.

Il primo è autore sicuramente di una delle tre volte a crociera e di otto delle
lunette del piano superiore, mentre il secondo fa le altre due volte, due
lunette (al di sopra dell’ingresso) e le pareti.

Nelle volte vi sono ra nate decorazioni sui costoloni e dei tondi sui cieli stellati
con profeti e santi, mentre nelle pareti il racconto inizia dalla parete sinistra.

In quest’ultima si parte quindi con una grande


lunetta con la disputa tra San Giacomo e Fileto,
che viene convertito dal primo e le Magie del
Mago Ermogene.

Sotto a queste Altichiero dipinge le storie di


Carlo Magno.

Avanzi invece dipinge il Martirio di San Giacomo


dove si vede il santo uscire dalla città,
compiere miracoli anche quando sta andando
ad essere ucciso decapitato.

Questo pittore si caratterizza soprattutto per il


neogiottismo, l’uso degli scorci, la
monumentalità salda delle gure, la vivacità
espressiva dei gesti
e dei volti.

Sappiamo che è lui a


dipingere per
confronti con altre
opere come una croci ssione rmata che si trova a
Roma e la strage degli ebrei idolatri del 1366 a
Bologna.

Un’altra scena è l’arrivo del corpo di San Giacomo al


Castello della regina Lupa che lo salva e lo nasconde
(il corpo), molto favolistica e molto equilibrata nelle
gure. Qui si nota la bravura di Avanzi nel
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descrivere scene di azione, un po’ meno nel riprodurre architetture.

Dall’altra parte, nella parete di ingresso, per mano di Altichiero, vi è


l’inseguimento dei seguaci di San Giacomo e la loro salvezza, trasporto del
corpo della regina Lupa e il battesimo della regina lupa.

Altichiero viene da vicino a Verona, dove prima ha lavorato nel palazzo degli
Scaligeri (signori di Verona) e varie altre cappelle a Verona per aristocratici
veronesi.

Nelle storie di Carlo Magno che vince una battaglia contro gli arabi (di
Clavijo) guidato da San Giacomo che lo
visita nella notte viene dipinta la corte
dei carraresi e sono presenti anche
Francesco il vecchio e Francesco
Petrarca.

Riconosciamo i due pittori grazie al


modo di disegnare l’architettura:
Jacopo dipinge architetture fantastiche
e la gura è l’elemento principale,
mentre Altichiero fa un’architettura
molto pensata a ponderata e le gure
ci stanno dentro in una maniera più
credibili.

Oratorio di San Giorgi

Fu voluto da Raimondino Lupi di Soragna (guerriero al servizio dei


carraresi) sul sagrato della Chiesa del Santo e realizzato tra il 1377 e il 1384.

Nel 1379 Altichiero fu ingaggiato per gli a reschi.

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Esternamente la cappella è semplice, in mattoni con due
lesene, a capanna e con archetti romanici.

All’interno è tutta ricoperta di a reschi, con una forte


assimilazione alla Cappella degli Scrovegni, vi sono dipinte
le Storie di Cristo e dei Santi Giorgio, Lucia e Caterina.

In origine doveva
esserci
un’enorme
tomba di cui ci
rimangono solo
alcuni pezzi: il
sarcofago con
busti di guerrieri. Riusciamo a costruirla perché dei frati francescani hanno
lasciato testimonianza. Il sarcofago aveva sopra
una struttura architettonica sormontata da dieci
sculture che nascondeva e colloquiava con le
pitture.

Vi è dipinta una scena dove la famiglia di


Raimondino Lupi viene presentata dai santi
protettori dinnanzi alla Vergine.

Nella controfacciata sono dipinte le Storie di


Gesù bambino, nella parete dell’abside
l’Incoronazione della Vergine e la Croci ssione con i
due ladroni. Tutte le nestre sono decorate e
vengono create architetture illusorie attorno
ad esse. Ai lati della croci ssione l’artista illude
colonne tortili con sopra busti di imperatori.

Come in Giotto nelle scene vengono replicate le


ambientazioni, anche spostando sapientemente
la veduta dell’osservatore.

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In ne, nella scena di San Giorgio che
battezza Re Sevio (che dovrebbe
rappresentare Francesco il vecchio)
gioca con le architetture,
notevolmente riprodotte nella loro
costruzione.

Con questo Oratorio si arriva


all’apice della storia della pittura
ad a resco padovana.

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