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Etnologia: indica studi settoriali su specifici popoli e culture in ogni parte del mondo.

Etnografia : descrizione del popolo .


Obbiettivi dell’antropologo individuazione ,descrizione, comparazione ,interpretazione e riflessione .

La parola antropologia è costituita prefisso (antropo che deriva dal greco antropos : uomo + logia sempre dal greco lo-
gos : parola/discorso ).
Nata come disciplina interna alla biologia essa studia l’uomo nella sua complessità sociale , nei suoi rapporti di parente-
la , nella sua organizzazione politica ,nel suo approccio con il sacro , usanze e tradizioni .

Sul piano istituzionale , l’antropologia si costituisce negli ultimi anni dell’800 in un periodo di grande fiducia nella
scienza e nel progresso e nei confronti di uno sviluppo capitalistico visto come inarrestabile .
L’ antropologia culturale nasce ufficialmente nel 1871 , data di pubblicazione del libro di Edward Tylor “Primitive cul-
ture”.
Mentre l’antropologia si caratterizza per lo studio dei primitivi , ovvero quei gruppi non toccati dalla modernità , l’an-
tropologia culturale è uno dei campi dell’antropologia e si caratterizza per un approccio olistico per quanto rigarda lo
studio dell’umanità . L’antropologo deve studiare tutti gli aspetti di una cultura . Nessun aspetto può essere studiato sen-
za tener conto degli altri .
Occorre imparare il linguaggio locale ,studiarne gli aspetti economici , politici ,le strutture di parentela , le pratiche re-
ligiose e così via.

Nell’ antropologia per cultura si intende , non solo i prodotti del lavoro intellettuale (arte ,letteratura, scienza) ma il
complesso di elementi non biologici attraverso i quali i gruppi umani si adattano all’ambiente e organizzano la loro vita
sociale . Ad esempio fanno parte della cultura : le istituzioni, le tecniche del lavoro , le forme di parentela ,il linguaggio.
Essa è parte integrante della natura umana poichè ogni gruppo sociale è in grado di classificare tali esperienze e trasmet-
terle.

Un tratto peculiare dell’antropologia è la ricerca sul campo , in gergo field work . Il modello classico di field work an-
tropologico si va definendo con le prime scuole , nel corso del 900 in particolare in quelle anglossassoni .
Padri fondatori del metodo furono Franz Boas e Branislaw Malinowski .
Boas fu uno dei primi antropologi a fare ricerca sul campo, tuttavia lui non viveva con gli abitanti del luogo ,bensì in
una casa posta al di fuori del villaggio dove riceveva gli uomini del posto.
Malinowski viveva in mezzo alle popolazioni che intendeva studiare e fa una vera e propria esperienza delle tradizioni
vivendole lui stesso .

Gli antropologi vittoriani ritenevano che la raccolta di dati empirici e il lavoro teorico di analisi e comparazione doves-
sero restare separati . Non svolgevano il loro lavoro sul campo, ma in biblioteca utilizzando come fonti , resoconti di
viaggiatori ,naturalisti , missionari, ovvero persone a contatto con culture lontane .
Quest’antropologia da tavolino , aveva l’inconveniente di poggiare su dati incerti , privi di attendibilità scientifica .
Nel 900 la figura dell’antropologo e quella del ricercatore si fondono per dare vita all’antropologia moderna .

Distacco scientifico.Altri strumenti metodologici molto importanti oltre l’osservazione partecipante sono gli schemi ge-
nealogici , interviste strutturate , schedatura manufatti , documentazione fotografica e la redazione di un diario di campo
Anche il modello malinowskiano non è sopravvissuto alle trasformazioni degli ultimi decenni , sono troppo diverse le
condizioni per immaginare l’antropologo come un eroe solitario che esplora una cultura nella sua autenticità .
Tuttavia anche se in forme diverse ,la ricerca sul campo continua ad essere il nucleo centrale delle discipline della DEA.

Le storie di Erodoto di Alicarnasso sono considerate nel loro complesso la prima opera storiografica della letteratura
occidentale ad esserci giunta nella sua forma completa .
Scritte approssimativamente tra il 440 a.C. e il 429 a.C. nel dialetto ionico del greco antico , le storie registrano le tradi-
zioni , l’etnografia ,la geografia , la politica , i conflitti tra le varie culture dell’Asia Occidentale ,Africa settentrionale ,
e la Grecia del tempo . L’opera scritta in vecchiaia si prefiggeva di riferire gli eventi,che dagli albori portarono allo
scoppio delle Guerre Persiane nel 499 a.C. che si conclusero con la vittoria dei Greci e la conquista di Sesto nel 479
a.C.
Storia , per Erotodo è resoconto di osservazione diretta , in prima persona , ciò che conta è la posizione critica del ricer-
catore che è in grado di distinguere il vero dal falso .
L’antropologia si dichiara indipendente dalla storia , e arriva allo status di scienza .
L’antropologo è lo studioso dell’altro , mentre lo storico è lo studioso del passato , le loro ricerche si basano quindi su
diverse fonti metodi e teorie. L’antropologia storica coniuga i due punti di vista.
La società degli osservatori dell’uomo fu fondata nel 1799 a Parigi da Jauffret che raccolse attorno a se un gruppo di in-
tellettuali che si sentivano eredi dell’illuminismo. L’associazione si occupava di questioni scientifiche, linguistiche ,
mediche,etnologiche ,di storia culturale, di pedagogia con l’obbiettivo di comprendere la persona nel suo insieme e
aspirando alla ricerca di un ordine o sistema, nel quale includere gli individui più disparati, sotto tutti i loro aspetti cul-
turali , patologici e fisiologici . Cercava per così dire una teoria unitaria delle scienze dell'uomo.
Studiano i primitivi per riabilitare la loro esperienza e attingere informazioni atte a migliorare la società francese.
Quando la società fu creata esisteva già una letteratura sui selvaggi , costituita per lo più da resoconti di missionari,
esploratori , soldati , che non possedeva nulla di scientifico. Erano letterature intrise di esotismo , stupore meraviglia e
moralismo.
Michel de Montaigne Rousseau e Volteire , furono artefici della tradizione letteraria del buon selvaggio.
Tuttavia quest’ultima costituiva per lo più una critica al potere politico e religioso e quindi alla società del tempo .
Ma non vi era un vero e proprio studio della loro cultura.
Per Joseph de Maistre l’uomo se lasciato libero di agire è di per se malvagio . Aveva inoltre denunciato l’illuminismo e
l’idea di progresso atto di sfida nei confronti dell’ordine stabilito da Dio .
La chiesa e la monarchia erano l’unico atto di saggezza . Il selvaggio era la rappresentazione della degradazione
dell’uomo , condannato a causa del peccato originale , mentre la civiltà era un dono divino. Tesi sostenuta dal vescovo
di Dublino .
Colui che per primo fece uno studio accurato di una popolazione fu il missionario francese
Latifau che nel 1724 pubblicò i costumi dei selvaggi americani , segnando la data di inizio di una nuova disciplina l’et-
nologia . Tale libro fu pubblicato dopo anni di permanenza tra gli uroni e gli iroquesi nella zona dei grandi laghi tra ca-
nada e stati uniti .
Egli sfruttò il metodo comparativo per dimostrare che in tutti i popoli fosse presente l’idea di un essere superiore .
Nel 1805 Napoleone scioglie la società.
L’Europa dopo la Restaurazione , attraversò un periodo di splendore e sviluppo in tutti i campi ,legato al progresso capi-
talista . La scienza era considerata uno strumento in grado di assicurare all’umanità un destino felice di incessante pro-
gresso .

Nel 1850 Darwin pubblicava l’origine della specie.


Mentre il creazionismo sosteneva che le variazioni della specie umana fossero avvenute per effetto di un intervento
esterno , Darwin afferma che le forme di vita si siano trasformate attraverso un lento processo di mutamento dovuto
all’influenza esercitata dall’ambiente e dalla minore e maggiore capacità di adattamento , secondo il principio della lot-
ta per la sopravvivenza ,riproducendo nella discendenza alcune caratteristiche .
L’evoluzionismo voleva smentire il creazionismo .
La società vittoriana era fiera di tutto ciò . La storia appareve quindi come il risultato di azioni umane ,un percorso
che passava attraverso stadi di sviluppo comuni a tutta l’umanità la dove i primitivi erano allo stato più remoto .
Queste teorie portarono alla giustificazione della politica coloniale .

Nasce la sociologia come studio degli effetti del progresso sulla società .
All’origine della sociologia abbiamo il darwinismo sociale del filosofo inglese Spencer .
Egli applica i principi dell’evoluzionismo di Darbwin alla società umana .
Distingue evoluzionismo inorganico ( creazione del cosmo ) evoluzionismo organico (nascita di forme di vita) evoluzio-
nismo super organico (nascita delle società). Egli sostiene che come le specie animali, subiscono un evoluzione per
adattarsi all’ambiente , seguendo il principio della lotta per la sopravvivenza (secondo cui l’essere più debole soccom-
be), anche le classi sociali si evolvono nel tempo secondo una selezione naturale .
Questo significa che le classi più forti col tempo dimostreranno la loro superiorità a discapito di quelle inferiori .
Da quest’afermazione deriva la nascita del capitalismo moderno ; a cavallo tra il XIX e XX secolo trova la sua massima
espressione negli Stati Uniti , e vede il trionfo della borghesia, come durante la bel epoque .
Per Spencer è inutile intervenire per modificare quest’evoluzione perchè ogni tentativo sarebbe inutile e pure dannoso .
Il darwinismo sociale di Spencer fu accolto con molto favore dalla ricca borghesia , poichè essa vedeva una teoria che
giustificava il suo successo .

Nell’800 tutti gli antropologi sono influenzati dal razzismo , tuttavia sono interessati allo studio della cultura intesa co-
me elemento di differenziazione tra gruppi . Ma come spiegare la diversità culturale se tutti gli esseri umani hanno ori-
gine comune? La risposta sta nell’ipotizzare un unico processo di evoluzione culturale che si muove a velocità diverse
nel mondo . Il principio uniformista spacciava per naturale un fenomeno culturale . Difatto la cultura è il prodotto delle
singole popolazioni .
Si ha un mutamento radicale nel 900 quando in antropologia si afferma un punto di vista relativista e pluralista della
cultura. Per il nuovo secolo le valutazioni negative delle altre culture dipendono soprattutto dall’incapacità di compren-
dere il funzionamento dei codici : linguistici, estetici, morali diversi da quelli che ci sono familiari . Da qui il principio
di relativismo culturale : non si possono formulare giudizi etici , estetici , secondo alcuni , neppure cognitvi al di fuori
del contesto culturale , poichè è il contesto culturale a stabilire i criteri di riferimento . Ogni tentativo di stabilire criteri
sovraculturali è etnocentrico .
Jhon Lubbok scrisse l’opera “preistoric times” 1865 , periodizza la storia in 3 fasi : età della pietrà , del bronzo e del fer-
ro . Per cui i primitivi potevano essere paragonati ai selvaggi contemporanei . Alla luce di ritrovamenti archeologici, si
deduce che esistono popoli più organizzati di altri , tanto più un popolo è organizzato + è avanti nella scala dello svilup-
po.

Edward Taylor da formalmente inizio all’antropologia culturale in quanto ricoprì ad Oxford la prima cattedra di antro-
pologia sociale ; Egli diede la prima definizione generale del concetto antropologico di cultura ,espresso in Primitive
culture .
Per Taylor la cultura non era una prerogativa della minoranza colta , e quindi del mondo occidentale , ma apparteneva a
tutti i gruppi umani .
La cultura , o civiltà intesa nel suo senso più ampio etnografico , è quell’insieme complesso , che include le conoscenze
, le credenze , l’arte , la morale , il diritto , il costume e qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall’uomo come
membro di una società .

Il termine animismo , da “anima” si riferisce alle religioni e ai culti primodiali che riconoscono la presenza di un’anima
o di un principio vitale nella realtà materiale .
Il primitivo difronte la necessità di dare significato alla morte ha elaborato una sorta di transfert rispetto all’esperienza
del sogno , arrivando a pensare che il mondo dei sogni corrispondesse all’aldilà , e quindi al mondo degli spiriti .
Le apparizioni che sopravvengono nel sonno hanno portato a credere nell’esistenza di un doppio , l’anima , che può esi-
stere senza supporto materiale del corpo . Quindi abbiamo esteso l’idea di uno spirito , distinto ma legato al corpo a tutti
gli oggetti e fenomeni naturali .
Nelle religioni tradizionali tutto è sacro ,la vita quotidiana è pervasa da una spiritualità che caratterizza ogni elemento .
Man mano che il pensiero scientifico razionale si sviluppa e dava delle spiegazioni del mondo basate sull’indagine em-
pirica l’anima si prosciugava dall’ambiente esterno . La credenza dell’anima presupposta dal cristianesimo è una so-
pravvivenza dello stadio animistico . Le sopravvivenze ci permettono di ricostruire il passato , es. portare la mano alla
bocca quando si sbadiglia per evitare che l’anima esca dal corpo.

William Robert Smith


È stato un antropologo e storico delle religioni , scozzese padre dell’etnografia.
Robertson sosteneva che il totemismo fosse la forma di religione originaria
Si mise alla ricerca della forma originaria della religione ebraica .
Cercò l’elemento tipico di quest’ultima e lo trovò nel sacrificio ( praticato fino al crollo del tempio di Gerusalemme) .
Smith derivò dalla Bibbia quest’idea di sacrificio come elemento tipico , ma nel libro sacro il sacrificio è citato come
elemento già affermato al tempo della sua scrittura e non vi sono spiegazioni della sua origine .
Per ottenere il prototipo ebraico egli effettuò delle comparazioni con le religioni palestinesi in particolare con quelle dei
nomadi.
Queste popolazioni hanno come rituale centrale il sacrificio del dromedario , seguito da un banchetto di condivisione
dell’animale. Il dromedario è un animale fondamentale per la loro sopravvivenza nel deserto ed è l’animale totemico
che rappresenta l’unità sociale del gruppo . Il dromedario non può essere ucciso da membri del gruppo presi singolar-
mente ,ma solo da tutti quanti in maniera congiunta . Una volta l’anno quindi si uccide il dromedario che viene cucinato
e servito a tutto il gruppo . Questo rituale serve come riaffermazione dell’unità e dell’identità del gruppo, ottenuta trami-
te la condivisione di una consumazione . Quando Robertson pubblicò il suo libro quindi individuò l’origine del sacrifi-
cio ebraico in quello del dromedario . Per Smith quindi le religioni sono uno stumento per garantire la coesione sociale .

James Frazer
insegnò antropologia sociale a Liverpool e Cambridge , autore del “Ramo d’oro, Studio sulla magia e la religione” .
Il titolo deriva da un curioso intreccio di due narrazioni molto diverse tra loro, visto che una è mitologica e tratta
dall'episodio della mitologia greca in cui Sibilla che consigliò ad Enea di procurarsi un ramo d'oro, prima di discendere
nell'Ade, per consentirgli di ritornare dagli Inferi; l'altra invece è una vicenda protostorica e riguarda il rito dell'uccisio-
ne dei re nel bosco di Nemi.
Essa è un’opera che collega il pensiero magico con quello religioso, e questo con il pensiero scientifico , nell’idea che
magia - religione - scienza siano tappe del progressivo sviluppo della razionalità umana.
La pratica della magia , volta ad esercitare un controllo sulla natura , costituiva una fase dell’esperienza intellettuale
dell’uomo in cui egli ignorava i reali rapporti causali che dominavano l’esperienza soggettiva .
Quando si accorse che la magia non aveva successo , l’uomo cercò di accattivarsi il favore della potenza della natura ,
dando luogo alle religioni . Alla fine si rese conto che il modo più profiquo per controllare la natura era la scienza , l’os-
servazione dei fenomeni e la ricerca delle leggi fisse che li determinano .
Distingue due tipi di pensiero magico :
La magia omeopatica o per similarità : cerca di produrre degli effetti per imitazione ad esempio cerca di evocare la
pioggia versando dell’acqua ( il simile produce il simile e l’effetto somiglia alla causa) .
La magia contagiosa o per contatto si basa sull’idea che le parti in contatto anche quando vengono separate rimangono
legate e possono agire l’una sull’altra . Questo spiega i feticci vodoo , o l’usanza di bruciare i capelli del nemico per uc-
ciderlo , o l’idea che la lancia dell’eroe sia migliore perchè conserva la proprietà di chi l’ha usata .
DAL PROBLEMA INDIANO AGLI STUDI DI GENERE
Con l’espressione nativi americani si intende indicare le popolazioni che abitavano il continente americano prima della
colonizzazione europea e i loro odierni discendenti . L’etnonimo indiani d’America (anche pellerossa) era utilizzato per
indicare i nativi americani ; spesso fu oggetto di discussione. Nei paesi ispanofoni dell’America Latina si usava preva-
lentemente il termine indios , mentre negli Stati Uniti si usava l’espressione indiani d’America ; denominazioni ormai
considerate politicamente scorrette .
L’uso del termine indiano si deve a Cristoforo Colombo che , in cerca di una rotta che consentisse di raggiungere l’Asia
, attraversò l’oceano atlantico ; credette di aver raggiunto le indie orientali . Gli spagnoli battezzarono il nuovo mondo
indie occidentali e solo successivamente America in onore di Amerigo Vespucci . Secondo l’ipotesi scientifica più ac-
creditata 13.000 anni fa l’uomo sarebbe migrato dall’Asia verso l’America attraversando la Beringa , una lingua di terra
che all’epoca univa i due continenti . Questi uomini si sarebbero spostati più a sud fino ad abitare tutto il continente sta-
bilendosi in migliaia di tribù . In centro e sud america i nativi americani si organizzarono in grandiose civiltà come
Maya e Aztechi nel Messico . Gli inca nella Cordigliera delle Ande . Mentre nell’America del nord i nativi americani
rimasero prevalentemente popolazioni nomadi o seminomadi .

Lewis Morgan
In America gli studi di carattere etno-antropologico si svilupparono su iniziativa di un gruppo di ricercatori curiosi della
vita e dei costumi dei nativi americani tra cui l’avvocato Lewis Henry Morgan .
Intorno al 1840 l’opinione pubblica americana era ancora divisa tra due concezioni dell’idiano , una negativa e una po-
sitiva . Quando si trattava di questioni interne , l’indiano era visto come colui che impediva all’uomo bianco di espan-
dersi sul territorio , che quest’ultimo riteneva suo in quanto capace di sfruttare razionalmente . Quando si trattava di
questioni esterne al nuovo mondo , l’indiano era chiamato a sostenere la giovane nazione americana , contro il vecchio
continente . L’ America sfruttava l’immagine dei nativi per scandire la propria identità .
Tomas Jefferson tentò in un primo momento del suo mandato a risolvere il problema indiano dal momento che gli india-
ni avrebbbero abbandonato la caccia convertendosi all’agricoltura , a questi sarebbero state riconosciute le proprietà ter-
riere e la possibilità di entrare a far parte della nazione civile americana .
I Chereoque lo fanno e vengono massacrati lo stesso , tantè che nel 1803 il governo incentiva lo sterminio dei nativi
dando inizio all’espansione coloniale verso ovest . Nel 1886 avviene la resa di Geronimo Apache , mentre il 1890 passa
alla storia come il massacro di wounded knee .
Morgan si interessò al problema indiano proonendosi capo dell'Ufficio degli Affari Indiani
Tuttavia la sua nomina fallì ,poiché l'Ufficio, in quel momento, era coinvolto in scandali di corruzione.
Morgan in una lettera del 1862 indirizzata a Licol , fa una serie di proposte per risolvere il problema indiano .
Mettere l’ufficio sotto il dipartimento di guerra.
Fare cessare ogni appropriazione di terreni dell’ovest ,destinati ai programmi indiani di agricoltura.
Raccogliere tutti gli indiani in due luoghi , 1 ad ovest , e l’altro nella parte orientale dello stato di New York .
Istituire controlli severi sui contatti tra indiani e il mondo esterno , impedendo la circolazione monetaria tra gli indiani .
Promuovere l’artigianato manuale degli indigeni.
Morgan nel 1851 pubblicò l’opera “La lega degli Iroquesi” definita come la prima descrizione scientifica di una tribù
che sia stata fatta al mondo .
L’opera raccoglie alcune lettere che Morgan aveva pubblicato in seguito ad una causa giudiziaria alla quale aveva parti-
cipato , difendendo una delle nazioni della Lega Iroquese che rischiava di perdere le proprie terre per opera di un grup-
po di uomini bianchi .
Nell’opera Morgan fornì una descrizione dell’organizzazione socio-politica delle 6 nazioni della federazione Iroquese
,sudddivisa in clan, la cui appartenenza si basava sulla matrilinearità. (sistema di discendenza per linea materna)
Periodicamente la Lega teneva un consiglio delle tribù, costituito da cinquanta capi chiamati sachem, che veniva-
no nominati dalle donne. Il consiglio non decideva a maggioranza, ma doveva discutere e mediare finché non si
raggiungeva l'unanimità, successivamente le decisioni prese dovevano ottenere il consenso della popolazione.
Dunque, sebbene la Lega avesse un governo composto esclusivamente da uomini, ciascun membro di quel gover-
no era responsabile delle sue azioni verso le donne della propria famiglia.
L’importanza delle donne donne derivava dal fatto che erano delegate alla coltivazione di diverse varietà di
mais,(alimenti soprannonminati le“tre sorelle”) ed inoltre erano le proprietarie dei terreni e delle case.
Il quadro che Morgan tracciò nell’opera fu quello di una federazione di popoli legati da valori comuni con un sistema di
organizzazione sociale democratica ed egualitaria .
L’opera aveva un obbiettivo politico , esaltare la superiorità della democrazia americana rispetto tutte le altre nel mo-
mento in cui avrebbe risolto il problema indiano .

Nell’opera formulò sistemi di parentela indiani. Ognuna di queste 6 nazioni era divisa in tribù , ciascuna disegnata da
un nome di animale . Membri di tribù con lo stesso nome , seppur appartenenti a nazioni diverse si consideravano di-
scendenti di un antenato comune e quindi fratelli .
Morgan notò che gli iroquesi chiamavano il fratello del padre “padre” e la sorella della madre madre e i loro rispettivi
figli fratelli.
Nell’opera i sistemi di consanguineità , Morgan stabilì la distinzione , tra due gruppi di sistemi di parentela.
A questi gruppi Morgan diede il nome di :
sistemi classificatori : in cui i parenti in linea collaterale non vengono terminologicamente distinti da quelli in linea di-
retta .
sistemi descrittivi : in cui i parenti in linea collaterale vengono distinti da quelli in linea diretta . Quest’ultimo sistema
in vigore presso gli occidentali .
Morgan avanzò l’ipotesi secondo cui sistemi classificatori e sistemi descrittivi abbiano distinto due tipi di società.
I sistemi classificatori hanno distinto una società basata sui rapporti di parentela , tipica del periodo delle barbarie.
I sistemi descrittivi hanno distinto una società basata sui rapporti di tipo politico , all’interno della quale i rapporti di pa-
rentela perdono funzione dominante a vantaggio dei rapporti derivati dal consenso e sulla proprietà privata.

Nel 1877 Morgan publicò “le società antiche” in cui affrontò l’evoluzione delle culture e delle società umane .
Stabilisce un certo numero di periodi detti etnici . La successione dei periodi era scandita dalla sequenza selvaggio-bar-
baro-civilizzato , a cui corrispondono 3 sottoperiodi : inferiore -medio - superiore per le prime due epoche.
Stadio selvaggio inferiore :gli uomini si nutrono di frutta e bacche
Lo stadio intermedio dello stadio selvaggio era caratterizzato dalla pesca come metodo di sussistenza
Lo stadio superiore era costituito dall’invenzione della freccia . Seguiva il periodo delle barbarie con 3 sottoperiodi.
Infine il periodo della civiltà era caratterizzato dall’invenzione dell’alfabeto fonetico . Così le invenzioni e le scoperte
erano da considerarsi indici di progresso .

All’interno di questa evoluzione , la famiglia ha conosciuto 5 tappe :


Famiglia consanguinea : il matrimonio avveniva tra fratelli e sorelle .
Famiglia punalua : in cui vigeva il divieto di matrimonio tra fratelli e sorelle
Famiglia sindiasmiana : nelle quali le coppie nascevano e si soglievano spontaneamente
Famiglia patriarcale : in cui l’autorità spettava al capo di sesso maschile.
Famiglia monogamica : basata sull’uguaglianza tra maschio e femmina che si evolve verso la famiglia nucleare .
Questi passaggi sono avvenuti a causa del succedersi delle diverse forme di economia .

Le facce false e il grande gobbo


Tra gli iroquesi le facce false sono gli spiriti della foresta , il cui leader è una figura di giagante che vive ai margini
estremi del mondo e che domina sugli altri esseri che popolano la foresta e che possono manifestarsi ai cacciatori che si
avventurano in luoghi remoti e isolati . Egli viene chiamato il grande difensore o grande gobbo . Descritto come simile
ad un essere umano , ma di grandi dimensioni con in mano un bastone costruito da un intero grande albero di pino men-
tre il suo costume consiste nella pelle di un gigantesco orso . Egli impugnava un sonaglio fatto di carapace di tartaruga
che veniva sfregato contro il bastone ( che si trova al centro della terra e dal quale trova il suo potere . Il suo volto è
rosso al mattino perchè il sole nascente lo illumina mentre diventa nero durante il pomeriggio . È uno sciamano , con-
trolla il vento e cura le malattie .

Buffalo Bill lavorava nell’esercito al tempo della costruzione della pacific Railway pony express, procacciatore di oltre
4.000 bufali , fu contattato da un impresario per essere protagonista del “Buffalo Bill wild west show” . Turneè : Stati
Uniti , Europa ,Italia .
Franz Boas
Franz Boas capostipite della corrente antropologica anti-evoluzionistica del particolarismo storico .
Insegnò alla Columbia University di New York e fu maestro di Margaret Mead e Ruth Benedict .
Nel 1883 partì per una spedizione scientifica presso gli eschimesi della terra di Baffin con lo scopo di analizzare gli ef-
fetti dell’ambiente fisico sulla società locale . Boas fece ritorno in Germania con la forte convinzione che fosse la cultu-
ra a determinare le dinamiche sociali del popolo eschimese . E con l’idea che le categorie culturali , non sono universa-
li e innate , ma variano da popolo a popolo.
Es. gli eschimesi hanno termini diversi per designare la neve , perchè è un elemento che caratterizza il loro habitat loca-
le , è quindi l’ambiente che influenza i caratteri culturali e a sua volta la cultura può influenzare la biologia.
Boas fu uno dei primi teorici dell’antirazzismo e mise in discussione la tesi allora molto diffusa di derivazione biologi-
co-darwiniana secondo cui determinato ambiente produce una certa razza con una certa cultura.
L’ambiente Europeo avrebbe determinato caratteristiche biologiche superiori alle altre.
Boas capì che la cultura pur essendo condizionata dall’ambiente esterno, può influenzare la biologia .
Questa tesi è alla base dell’approccio particolaristico di Boas e della sua critica all’evoluzionismo .
Boas smantella il paradigma dell’evoluzione unilineare .
Non è assolutamente provata la tesi secondo cui ogni popolo , sia passato attraverso stadi di sviluppo comuni a tutta
l’umanità. LE DIFFERENZE TRA GRUPPI UMANI SONO DOVUTE SOLO ALLA CULTURA E AI DIVERSI
PERCORSI STORICI , NON ALLA RAZZA.
Perciò contrappose al metodo evoluzionista comparativo un approccio storico idiografico particolaristico e non apriori-
sta ,ma empirico poichè basato sull’osservazione diretta .
Così facendo si potevano determinare le particolari cause storiche dell’origine delle diverse culture .
Quindi il compito dell’etnoantropologo era quello di andare presso i micro-aggregati per capire il punto di vista del nati-
vo nell’idea che le dinamiche sociali si potessero comprendere solo all’interno della società .
Boas è difatto considerato il padre del relativismo culturale , il principio secondo cui non si possono formulare giudizi
etici , estetici , secondo alcuni , neppure cognitvi al di fuori del contesto culturale , poichè è il contesto culturale a stabi-
lire i criteri di riferimento . Ogni tentativo di stabilire criteri sovraculturali è etnocentrico .

Boas aggiunse che osservando i figli di immigrati europei in America erano fisicamente diversi dai loro antenati perchè
avevano vissuto un ambiente diverso.

Il rito del Plotlatch


Negli ultimi anni dell’800 Boas condusse delle ricerche fra i nativi americani della costa nord-ovest del pacifico , i kaw-
tiul, portando l’attenzione su una particolare istituzione il plotlatch , che era um rito iniziatico di tipo ridistributivo con-
sistente in un complesso di pratiche rituali , il cui nucleo centrale consisteva nell’offerta cerimoniale : chi organizzava il
plotlatch offriva una quantità di beni ai partecipanti al fine di esibire pubblicamente la propria posizione sociale deri-
vante dalla ricchezza per conservare e far salire il proprio rango . Secondo Boas la funzione sociale di questa pratica era
quella di definire una gerarchia fra i clan .
Infatti il plotlatch conferiva prestigio maggiore a colui che elargivala quantità maggiore di beni a partecipanti , e chi
non riusciva a ricambiare perdeva ilproprio status;
Il plotlatch con il tempo è degenerato in distruzioni di enormi ricchezze e talvolta anche nel sacrificio degli schiavi o
dei figli. A queste degenerazioni sono state date diverse spiegazioni.
Una di derivazione illuministica , chiamava in causa la presunta irrazionalità dei selvaggi che poi serviva a a giustifica-
re la dominazione occidentale .
Boas propose invece un’interpretazione di tipo psicologico-economico per cui l’impulso all’autoglorificazione e alla
conquista del prestigio divenne più travolgente .
Quest’idea venne ripresa da Ruth Benedict che descrisse i kawatiul come megalomani presi dal desiderio apertamente
dichiarato di primeggiare sugli altri .
In seguito venne data un’interpretazione storico-ecologica , tenendo conto che , i kawatiul erano stati decimati, soprat-
tutto a causa delle epdemie dovute al contatto con gli occidentali , e si erano ritrovati ad avere risorse eccessive rispetto
alle loro strette necessità.
Inoltre erano popoli molto bellicosi ai quali venne vietato di farsi la guerra perciò riversavano le loro ostilità nel plo-
tlatch.
Il rito originario non era distruttivo , serviva a mantenere la popolazione nella condizione più idonea e meglio adatta
all’ambiente.
Questa spiegazione esclude quindi la megalomania e l’ossessione per la gerarchia , che forse erano aspetti divenuti ec-
cessivi proprio per la degenerazione del fenomeno e più in generale per la crisi socio-culturale che aveva investito quei
popoli.
La società HAMATSA è la società segreta kawatiul di rango più elevato fiera di interpretare la più importante danza ri-
tuale: ovvero una cerimonia iniziatica invernale per i neofiti della società.
Questa danza dura 4 giorni ed è molto complessa .
I danzatori Hamatsa rappresentano uno spirito bakbakwalamooksiwae che vive nel cielo .
Il nome significa cannibale del confine settentrionale della terra .
Egli è invisibile e si riteneva che ciascun danzatore Hamatsa rappresenti una delle sue molte bocche.
Il primo giorno della cerimonia il neofita è posseduto dallo spirito quindi vaga per i boschi e non deve vedere nessuno
fino all’ultimo giorno della danza . Il resto della danza comprende il ballo frenetico dei danzatori Hamatsa e l’apparizio-
ne finale dell’iniziato , che interpreta una ricostruzione simbolica della prima esperienza di Bakbakwalanooksiwae . Il
ruolo del corvo hamatsa è considerato il più importante della cerimonia ed è riservato solo ai membri più anziani tra gli
hamatsa.

particolarismo storico : proedimento induttivo fondato sull’osservazione empirica di un gruppo culturale ben localizzato
e volto a metterne in luce le strutture sociali peculiari a partire dal suo specifico sviluppo storico

Boas teorizza il metodo idiografico ( ricerca per cui il fenomeno studiato è sempre un caso specifico) contrapposto a
quello nomotetico (ricerca per cui il fenomeno studiato è riconosciuto da leggi universali) praticato dagli evoluzionisti e
tendente a ricercare le leggi universali dell’agire umano.

La sequenza dal semplice al complesso non è valida per tutti i fenomeni culturali , non lo è ad esempio per la lingua ,
per l’arte o per la religione. Studi effettuati sul linguaggio dei nativi del nord America hanno dimostrato che molte lin-
gue primitive sono complesse poichè le loro strutture grammaticali e le loro forme logiche sono molto più elaborate di
quelle occidentali .

Ruth Benedict antropologa statunitense


Allieva di Franz Boas , fu una delle prime donne ad occuparsi di antropologia.
Studia e insegna alla Columbia University.

the concept of the Guardian sprit in North America 1923


Race - science and politics 1940
modelli di cultura 1960
Il cristianesimo e la spada . Modelli di cultura giapponese .

Secondo modelli di cultura è necessario che l’antropologia tenda a conoscere il temperamento dei popoli, vale a dire il
sostrato effettivo e ideologico che modella la fisionomia , le istituzioni e i comportamentidi una determinata società.
In modelli di cultura si concentra sulla comparazione 3 civiltà primitive desumendo come la cultura vada a costituire
quasi una società comune che caratterizza gli individui che formano parte di quella etnia.
Gli Zuñi del Nuovo Messico, moderati e cerimoniosi; i Dobu della Nuova Guinea, tetri e vendicativi; i Kwakiutl, india-
ni della costa nord-occidentale d'America, folli di ambizione e di mania di grandezza.
Il concetto di modello di cultura sta dunque a indicare l’insieme dei tratti e delle peculiarità che caratterizzano una de-
terminata cultura , sancendone l’individualità rispetto ad ogni altra .
I tratti di per se possono far parte di più culture, ma è la particolare configurazione a questi tratti , a rendere unica ogni
cultura. Le culture sarebbero come dei complessi integrati cioè insiemi coerenti di pensieri e di azioni caratterizzati da
certi scopi caratteristici che erano propri e non condivisi da nessun altro tipo di società . Nel 1944 Benedict utilizzò que-
sto approccio nel suo studio sugli immigrati giapponesi che vivevano negli Stati Uniti durante la seconda guerra mon-
diale, commissionato dal servizio informazioni militari interessato a sapere dippiù sulla mentalità del nemico che stava
combattendo. Studiò appunto i modelli culturali che regolavano l’esistenza dei giapponesi.
Il cristianesimo e la spada , contrappose la cultura della vergogna a quella della colpa . Fu sua assistente Margaret
Mead. Studi utilizzati per la critica al patriarcato .
Margaret Mead fu un’antropologa statunitense nata a Philadelpia nel 1901 .
Allieva di Franz Boas fu colei che aprì la strada all’antropologia di genere e quindi agli studi di genere.
Fu di fatto la prima che mise in dubbio l’assoluta divisione dei sessi e dei ruoli che vengono convenzionalmente attri-
buiti a uomo e donna , in un epoca in cui si riteneva che le differenze tra i due fossero in qualche modo proprie della na-
tura umana.
Ella al contrario fu fermamente convinta che i caratteri che distinguevano l’uomo dalla donna molto spesso erano dettati
da condizionamenti culturali .
In base a questa tesi ciò che viene considerato prettamente maschile o femminile perde valore poichè , caratteri e ruoli
che vengono attribuiti ad uno o all’altro sesso dipendono in gran parte dalla cultura d’appartenenza.
Attraverso le sue tesi ha più volte dimostrato come in società e culture diverse da quella Americana i ruoli attribuiti a
uomini e donne erano diversi.
In tal senso è l'educazione e la trasmissione culturale che determina la maggior parte delle differenze sociali.
Con le sue ricerche margaret mead si propose di smontare gli stereotipi di genere e di demolire miti e convinzioni ri-
guardanti l'orientamento sessuale e l'identità.
Ciò che rimane ed è veramente “essenziale” è il temperamento di ogni singolo individuo che nell’ottica della Mead do-
vrebbe essere lasciato libero di svilupparsi anche quando il suo comportamento non coincide con quello socialmente
previsto per il genere di appartenenza.
Questa convinzione fu frutto delle sue ricerche portate avanti nelle isole Samoa al centro del Pacifico .
Durante gli anni dell’università studiò antropologia e psicologia alla colmbia university , dove fu allieva dell’antropolo-
go tedesco F. Boas , il quale suggerisce a Mead di recarsi nelle isole Samoa .
Governate degli americani e dai neozelandesi , gli abitanti furono convertiti al cristianesimo , e fu questo a spingere la
Mead ad osservare il comportamento di quei popoli che ben presto per colpa della colonizzazione avrebbero perso gran
parte della loro cultura e delle tradizioni.
L’argomento sulla quale Margaret concentrerà le sue ricerche suggerito da Boas sarà l’adolescenza . Questo perchè in
quegli stessi anni nell’America del proibizionismo si assistette a una profonda crisi sociale , legata a quella fascia d’età
che veniva considerata terribile , confrontando la vita degli adolescenti delle isole Samoa con quella degli americani la
Mead cominciò a vedere in maniera molto critica la propria cultura di appartenenza , che non lascia espressione all’indi-
viduo nell’età evolutiva ma al contrario imprigiona la crescita degli adolescenti in piccoli nuclei familiari , chiusi ag-
grappati alle loro piccole certezze .
Per lei gli adolescenti americani erano constantemente sotto pressione, poichè dovevano ederire a modelli di comporta-
mento sessuale e sociale avrebbero avuto problemi nell’età adulta.
Gli adolescenti delle isole Samoa molto più liberi e felici , la società Samoana era meno esposta a traumi , poichè non vi
era competitività . Mentre la società americana abituata a negare tutta la conoscenza che riguarda la nascita , la vita e la
morte , a favore di condizionamenti che non lasciano libertà di espressione nell’età evolutiva.
La critica a Mead mostra come la società americana non lasciasse libertà all’individuo di scegliere di amare liberamente
come altre culture permettono .
Il risultato di queste ricerche si concentrò nel saggio intitolato Coming of Age in Samoa L'adolescenza in Samoa, che
uscì in America nel 1928 destando moltissimo successo ma anche non poche critiche. Tra i detrattori della Mead c’era
Derek friman un antropologo neozelandese che il 1940 e 43 fece dei viaggi nelle isole samoa per trovare tutte le perso-
ne intervistate dalla mead e quindi verificare i suoi scritti , per modificare l’immagine troppo libera dei Samoani .

Secondo la mead mascolinità e femminilità possono essere presenti come caratteristiche innate sia in maschi che in fem-
mine , tema che verrà svilupato nel saggio maschio e femmina , in cui sono raccolte una serie di ricerche effettuate tra il
1925 e il 1939 ricerche effettuate su 7 popoli del pacifico e cioè i samoani i Manus , gli Arrapesh , i mundu gu mor , i
chambri , gli atmul della Papua nuova guinea e i balinesi .
Fra gli arrapesh uomini e donne posseggono un carattere che potremmo considerare materno (nei confronti dei figli).
entrambi erano abituati alla collaborazione e alla non aggressività a differenza del popolo mudugumor , con una forte
carica sessuale e gli aspetti materni ridotti al minimo .
Presso i chambri la donna è in veste di partner dominante e l’uomo è in un certo senso assoggettata a lei .
Ruoli che vengono considerati femminili , vengono portati avanti anche dagli uomini .
I ruoli sessuali sono in qualche modo imposti e impartiti . Mead non mette completamente in discussione la divisione
sociale tra maschile e femminile e anche la loro complementarietà , ma insinua il dubbio che le scelte dei giochi , dei
colori , dei vestiti delle attitudini non siano naturali .
Il positivismo è un movimento filosofico e culturale nato in Francia nella prima metà dell’800 , e ispirato ad alcune idee
guida fondamentali , riferte all’esaltazione del progresso scientifico . Questa corrente di pensiero trainata dalla rivolu-
zione industriale e dalla letteratura a esso collegata si diffonde nella seconda metà del secolo a livello europeo e mon-
diale , dando vita a movimenti letterari come il verismo in Italia e naturalismo in Francia.
Il positivismo non si configura come movimento per certi aspetti simile all’illuminismo , di cui condivide la fiducia nel-
la scienza e nel progresso, per altri affine alla concezione romamtica della storia che vede nella progressiva affermazio-
ne della ragione la base del progresso e dell’evoluzione sociale.
Si caratterizza quindi per il tentivo di applicare il metodo scientifico a tutte le sfere della conoscienza e della vita uma-
na, anche alla società.
Il metodo scientifico portò Charles Darwin a formulare la teoria dell’evoluzionismo e delle sue leggi .
Cioè l’adattamento all’ambiente e la selezione naturale .
Per il positivismo è possibile analizzare scientificamente la società umana come qualsiasi organismo , per scoprire le
leggi che lo regolano .
Ed è possibile individuare attraverso la scienza le cure più adatte a superare i problemi della società .
Questa ideologia è legata al periodo storico nel quale le invenzioni e scoperte scientifiche si susseguirono con un ritmo
sempre più rapido assicurando all’uomo il dominio della natura ed il continuo sviluppo economico .
Protagonista di quest’epoca è la borghesia che si vuole imporre a tutti costi sul proletariato .

Emile Durkeim
Durkeim (1858) è stato un sociologo, filosofo e storico delle religioni francese.
Durkeim contribuì in maniera decisiva al riconoscimento della sociologia sia come scienza che come disciplina didatti-
ca . Studia il rapporto tra uomo e società. Come la società influenza l’uomo.

Durkeim sosteneva che la società fosse un’entità fondata sul generis ossia un sistema avente una vita propria, indipen-
dentemente dall'apporto delle coscienze singole.
Essa è costituita da fatti sociali .
i fatti sociali sono modi di agire , di pensare o sentire (essi sono esterni a noi) , e sono coercitivi , in quanto si impongo-
no a noi .
Secondo durkeim la coscienza collettiva , e i fatti sociali ricadono sul comportamento e sulle aspirazioni di ciascun in-
dividuo .

Ciò che più colpiva Durkeim era il fatto che la società fin dalla nascita forma gli individui secondo valori e comporta-
menti che sono propri dell’epoca in cui vive . Inoltre osserva che la società e le istituzioni che la compongono hanno
continuità . Questa cosa va al di là dell’individuo.

L’ordine e l’integrazione sono ottenuti dall’attore sociale tramite l’assimilazione dei valori e delle norme morali domi-
nanti . Dunque la società si presenta come fenomeno morale di solidarietà collettiva che limita la spinta dell’uomo verso
uno stato di guerra universale.

Studia le motivazioni che portano al rifuto delle norme sociali che determinano lo stato di anomia .
Secondo il sociologo francese Émile Durkheim, l'anomia è uno stato di cambiamento tra le aspettative normative e la
realtà vissuta. Può essere di due tipi:
acuta: segue di solito ad un improvviso cambiamento, come la morte di un parente;
cronica: dovuta ad un continuo mutamento sociale, proprio di una moderna società industriale.

La società moderna quindi caratterizzata da un’accentuata divisione del lavoro conduce secondo Durkeim ad una produ-
zione di nuovi ruoli e nuove funzioni che è più rapida del processo di assimilazione di nuove norme e valori.
Il disintegrarsi delle regole e dei valori previgienti creano lo stato anomico , che finisce per riflettersi anche nell’indivi-
duo attraverso forme di disadattamento .

Suicidio
Durkeim ammetteche vi possa essere una predisposizione psicologica di certi individui al suicidio , ma la forza che de-
termina il suicidio non è psicologica , bensì sociale .
Distingue 4 tipi di suicidio :
suicidio egoistico si verifica a causa di carenza di integrazione sociale . In presenza di legami sociali forti (appartenenza
a comunità religiose , matrimonio)il tasso di suicidio è notevolmente ridotto . Secondo Durkeim il suicidio egoistico è
causato dalla solitudine .
il suicudio altruistico : si ha quando una persona è troppo inserita nel gruppo sociale al punto di suicidarsi per soddisfa-
re l’imperativo sociale , come ad esempio la vedova indiana che accetta di essere posta sl rogo che brucerà il corpo del
defunto marito. Il suicidio anomico : è causato dal fatto che le persone sono meno socialmente regolate. Avviene
anche perché l'individuo è troppo poco integrato nelle comunità sociali .
il suicidio fatalista : tipico di un eccesso d regolamentazione , di un eccesso di disciplina che chiude gli spazi del deside-
rio.
La corrente suicidogena , come Durkeim l’ha chiamata presuppone anche un coefficiente di preservazione.
Per esempio le donne sposate hanno un coefficiente di preservazione più alto rispetto le nubili , i cattolici hanno un
coefficiente maggiore rispetto i protestanti .
Tuttavia superata una certa età il coefficiente di preservazione diminuisce in quanto le donne in età più avanzata non so-
no più soddisfatte nell’avere un marito , quanto dall’avere dei figli .

Per Durkeim l’unico fattore che inverte la tendenza individualista nella società , è la religione
Le rappresentazioni religiose sono rappresentazioni collettive poichè il sacro implica l’esistenza di regole condivise dal-
la comunità . I valori quindi fanno da collante e favoriscono l’aggregazione tra gli individui.
Per questo Durkeim studiò il totemismo
Per Durkeim la società totemica suddivisa in clan produce la religione (totem).
Il totem (animale,pianta) ha la funzione di rafforzare l’unione dei clan a tal punto che il clan si può identificare con il to-
tem .
A un certo punto il clan crea attorno al totem il tabù .
Quindi in un primo tempo il clan crea il totem come sua espressione , in un secondo momento rende il totem sacro ,
cioè proibito .Sacro è ciò che è interdetto , probito , non commerciabile . Profano, è ciò che è commerciabile .

Dalla separazione tra sacro e profano fa nascono i miti .


I miti simbolegiano l’alterità assoluta del totem sacro , nei confronti della realtà materiale (delle cose profane).
I totem miti suscitano rispetto,venerazione , paura.
Dai miti nascono così i riti . Essi rappresentano le credenze e i rapporti che legano i membri del clan con il totem .
I riti esercitano una funzione aggregante . Essi hanno funzione disciplinare : nel rito infatti bisogna sacrificare qualcosa
di proprio , è un educazione dell’individuo alla solidarietà con il gruppo .
Altra funzione del rito , è quella ricreativa : il culto comporta feste , folklore , espressioni artistiche .
Esso riesce ad allentare le tensioni della società , in maniera tale che gli individui saranno sempre più disponibili verso
il gruppo . Infine il culto permette alla religione stessa , alla fede di ricrearsi periodicamente .

Marcel Mauss è stato un antropologo , sociologo e storico delle religioni .


Non era un ricercatore sul campo , bensì un teorico, comparativista , nonchè massimo esponente della scuola sociologi-
ca di Emile Durkeim.
X Durkeim la coscienza collettiva , e i fatti sociali hanno la meglio sulla realtà individuale.
E fu proprio Mass a sviluppare questo concetto in campo antropologico , attraverso una serie di saggi che dimostrano
l’origine storico-sociale (e non naturale o psicologica) di aspetti fondamentali di alcune pratiche umane .
Uno dei suoi primi lavori fu quello dedicato allo studio delle forme di classificazione .
Scritto in collaborazione con Durkeim tra il 1901 e il 1902 , questo saggio mostra come la classificazione in categorie
non è innata e spontanea nell’uomo ma dipende bensì dal tipo di società .
A tal proposito studiano le società australiane divise in gruppi matrimoniali esogamici .
Ne deducono che il mondo era ordinato in categorie direttamente legate alle suddivisioni della loro società . (segmenta-
zione individui in gruppi sociali )
Ciò spinse Mass alla ricerca di quei fatti , che influenzano e incidono notevolmente ogni aspetto della società.
Egli per tanto chiama fatti sociali totali , quei fatti che ci permettono di comprendere quella determinata società nel suo
complesso.

Nel 1899 scrisse un saggio sulle variazioni stagionali delle società eschimesi assieme a Henri Beuchat.
La tendenza che questi gruppi umani avevano a separarsi durante l’estate e a riunirsi durante l’inverno veniva conside-
rata in base al variare dell’intensità della vita sociale. Riti feste e tradizioni erano molto frequenti in inverno mentre ces-
savano durante l’estate quando i gruppi erano dispersi e impegnati in attività di caccia.
In tal senso la diversa disposizione morfologica degli eschimesi si rifletteva su ogni aspetto della vita sociale degli
eschimesi . Era quindi un aspetto che permetteva di comprendere quella società .

Il saggio sul dono, nasce dalla comparazione di varie ricerche etnografiche, tra le quali lo studio del rituale po-
tlach di Franz Boas e del kula ring di Bronisław Malinowski.
Il dono è un fatto sociale totale , attraverso la sua analisi si possono leggere tutti gli aspetti della società .
Moss si chiede: Che cosa spinge gli uomini delle società primitive a restituire obbligatoriamente un dono?
Alla imposizione sociale si aggiunge la spinta al dono determinata dall’animismo dei primitivi, che spiritualizzano gli
oggetti e li credono provvisti di un anima.
Gli aborigeni della Nuova Zelanda vedono negli oggetti (taonga) una forza magica, un mana
Il mana è lo “spirito” della cosa donata, che contiene la forza del donatario . Questo era chiamato hau.
L’oggetto ricevuto possiede un anima e incorpora l’identità del donatore;
chi non ricambia al dono, verrà colpito e danneggiato dall’influsso dello spirito contenuto nell’oggetto. Si deve donare
per non entrare in conflitto con lo spirito della cosa.
È come se avvenisse il peccato di furto della sottrazione di un anima. Lo hau vendica il derubato, si impadronisce del la-
dro, lo incanta, lo fa morire o lo costringe alla restituzione.
Fra le sue opere fondamentali vi è il saggio sulla natura e la funzione del sacrficio scritto con Henri Haubert .
Il libro non tratta strettamente dell’origine del sacrificio , ma indaga la dinamica e la struttura di questo rito.
Mauss parte dal concetto originario di sacrificio ,nella sua accezione etimologica : il sacrificio come sacrim facere , ren-
dere sacro , come atto religioso che comporta la rinuncia di un bene in favore di un essere sovrumano.
Tuttavia la questione che interessa i due studiosi è la finalità del sacrificio : se sia semplicemente una forma di do ut des
(io do affinchè tu dia) come sosteneva Edward Burnet Taylor , o piuttosto una forma di ringraziamento primiziale per
ingraziarsi il favore del divino come scriveva Wilhelm Schmidt , o ancora secondo quanto sosteneva Durkeim , leggitti-
mazione dell’esistenza del divino in quanto costruzione o icona del sociale.
Mauss e Hubert si limitano ad attribuire al sacrificio il carattere di mezzo per stabilire un contratto fra il sacro e il profa-
no. Di due sociologi individuano la necessità di un mediatore che faccia da ponte tra sacro e profano .
Quindi il "sacrificio" consisteva in un "dono" ad una "persona" sovrumana, rendendo "sacra" la vittima precedentemen-
te percepita come "profana".
Il contatto con il sacro,porta anche un rituale d’entrata e d’uscita, per esempio il segno della croce .

Arnold van Gennep


Etnologo e studioso di folclore. Nato in Germania (Ludwigsburg 1873) da padre tedesco di origini francesi e madre
olandese, si formò in Francia, dove visse fino alla morte, pur avendo scarsi riconoscimenti ufficiali e accademici, anche
a causa della forte innovatività di alcune sue posizioni teoriche.
Dedica tutta la sua vita all’etnologia e al folklore di cui può essere considerato in francia uno dei padri fondatori , con il
suo Manuale del folklore francese contemporaneo.
Nella sua opera più celebre : i riti di passaggio (1909) egli osserva come l’individuo dalla nascita alla morte , passa da
una condizione all’altra, la vita è scandita da movimenti di separazione e di aggregazione , ogni società si occupa che
questi cambiamenti non compromettano la stabilità sociale , vengono quindi stabiliti comportamenti che controllano
questi cambiamenti .
I riti di passaggio svolgono proprio la funzione di facilitare i cambiamenti di stato senza scosse violente per la società e
gli individui . In ogni passaggio materiale si trova sempre una linea di confine , una zona neutra , che divide i due spazi
attraverso cui avviene il passaggio . È proprio il margine che evita il passaggio immediato e quindi il turbamento indivi-
duale e collettivo .
La struttura dei riti di passaggio è : riti di separazione/preliminari riti di margine/liminari riti di aggregazione /postlimi-
nari .
Riti preliminari separano l’individuo dalla condizione precedente .
riti liminari che avvengono durante una condizione di marginalità .
riti postliminari , aggregano l’individuo ad un nuovo ambiente.
Nelle società moderne troviamo separazioni abbastanza nette solo tra società laica e società religiosa.
Tra il mondo sacro e il mondo profano c’è un’incompatibilità tale, che il passaggio tra i due mondi non può avvenire
senza una fase intermedia . Il rito di passaggio rende comprensibile a se stessi la transitabilità da una all’altra delle di-
verse condizioni .
Ne: Lo stato attuale del problema totemico (1920) , criticò l’idea di Durkeim e Mauss secondo i quali la prima religione
del mondo il totemismo sarebbe stata all’origine di ogni forma di classificazione della realtà sociale e naturale.
Per V.G il principio classificatorio era un istanza che precedeva qualunque altra attitudine dell’intelletto umano .
Anche i popoli che non conoscono il totemismo possiedono un proprio sistema di classificazione

Branislaw Malinowski antropologo e sociologo polacco naturalizzato britannico.


Nato a Cracovia Malinowski è considerato il padre della moderna etnografia , di cui ha rivoluzionato la metodologia e
l’approccio pratico . È stato insieme ad Alfred Radcliffe Brown il maggiore esponente del funzionalismo britannico .
Questa scuola di pensiero è caratterizzata da una particolare attenzione all’analisi dei fattori che contribuiscono al man-
tenimento dell’equilibrio all’interno di una società, che appunto la teoria funzionalista concepisce come un organismo
al cui funzionamento contribuiscono le varie parti .

La nozione di cultura
Egli riprende l’interpretazione Tyloriana di cultura come insieme complesso ,ma ne accentua l’aspetto organicistico ,
trasformandola in un tutto integrato , in cui ogni singola parte contribuisce al funzionamento dell’insieme .
Malinowski ritiene che ogni cultura sia costituita dall’insieme di risposte che la società da ai bisogni universali degli es-
seri umani. Tali bisogni sono di due tipi : alla base vi sono i bisogni universali (basic needs) come mangiare , domire ,
riprodursi , per cui ogni cultura fornisce le prorprie peculiari risposte ; dalla soddisfazione dei bisogni primari nascono i
secondari come l’organizzazione politica ed economica , che scaturiscono dalla necessità di ogni società di mantenere la
propria coesione interna . C’è in fine un terzo tipo di bisogno di i carattere culturale che include le credenze , le tradizio-
ni , il linguaggio .

Ogni cultura per Malinoski è un insieme complesso , la dove ogni elemento contribuisce al mantenimento dell’equili-
brio sociale, di conseguenza il comportamento dei primitivi non era irrazionale, ma ogni pratica aveva una funzione ben
precisa.
Prima di Malinowski gli studiosi (antropologi) facevano il loro lavoro in bibblioteca senza immergersi nella vita quoti-
diana dei soggetti studiati .
Nel 900 la figura dell’antropologo e quella del ricercatore si fondono per dare vita all’antropologia moderna .
Il manifesto programmatico di questa nuova figura si trova nel libro di Malinowski “argonauti del pacifico occidentale”
Pubblicato nel 1922, questo libro è il risultato delle ricerche condotte nelle isole Trobriand .
Malinowski chiarisce come sia necessaria oltre la preparazione teorica e metodologica , la diretta esperienza vissuta del-
la cultura per formare la figura dell’antropologo . Senza la preparazione non si saprebbe osservare , ne rilevare i tratti ri-
levanti di un contesto culturale ne tradurre in documenti o dati , l’esperienza vissuta . Senza l’esperienza diretta invece
il teorico non riuscirebbe ad entrare fino in fondo in empatia con quella cultura .
Con il termine osservazione partecipante intende quello stile di ricerca la dove l’antropologo vive all’interno di una co-
muninità , ne condivide la quotidianità , entra in rapporto con i soi membri e ne condivide le pratiche sociali .
l’obbiettivo della ricerca antropologica : < afferrare il punto di vista dei soggetti osservati ,nell’interezza delle loro rela-
zioni quotidiane per comprendere la loro visione del mondo .
Tale metodo implica la permanenza prolungata sul territorio non inferiore ad un anno : ciò significa tagliare i rapporti
con la propria cultura d’appartenenza e vivere un’esperienza di totale estraniamento.
Questo può provocare vere e proprie crisi esistenziali ,è il caso dello stesso Malinowki . Infatti dopo la sua morte la mo-
glie acconsentì alla publicazione del suo diario “diario di un antropologo” si trattava di appunti che lui stesso aveva pre-
so durante la permanenza nelle isole Trobriand .

Malinowski nel 1914 era in Australia per un congresso quando scoppiò la 1 guerra mondiale .
Essendo polacco e quindi cittadino dell’impero austro-ungarico ,dunque nemico degli inglesi egli fu trattenuto in Au-
stralia ,ma le autorità locali gli permisero di compiere alcune ricerche etnografiche , e per tale motivo passò due anni
nelle isole Trobriand in Melanesia per studiare la cultura indigena .
Malinowski si concentrò su un’aspetto importante di quella cultura il kula ring .
Esso è una forma di scambio cerimoniale che consiste in periodiche spedizioni su canoe che ogni gruppo organizza per
andare a fare visita alle comunità delle altre isole , con cui vengono scambiati i doni .
Lo scambio simbolico si basava su due tipi di doni : (collane di corallo rosso) circolano in senso orario
(bracciali di conchiglie bianche) circolano in senso anti-orario .
A questo si aggiungeva un baratto informale detto ginwali con cui venivano scambiati oggetti d’uso di ogni tipologia .
Egli giunse alla conclusione che il kula contribuiva a fare legare le persone attraverso una serie di obblighi e sulla base
di un principio di collaborazione e reciprocità .

Forma più disinteressata di profitto origine stessa del legame sociale.


Gesto primario, incondizionato e gratuito proietta l’individuo al di fuori di se stesso.
Lo lega agli altri in una rete che assicura scambio, protezione, solidarietà, guadagno
Serve a ribadire la relazione di amicizia e di collaborazione fra partner economici abituali,
rinsaldando rapporti tra gruppi e individui geograficamente lontani, ma legati simbolicamente da un vincolo importante,
il kula.
Più elevato il rango, più ampio è il numero di partner potenziali.
Ricchezza = generosità

Ernesto de Martino(Napoli 1908) è stato un antropologo, storico delle religioni e filosofo italiano .
A lui si devono un'interpretazione storicista delle manifestazioni religiose e alcune innovative ricerche nel Meridione
basate sull'osservazione partecipante e sul lavoro di équipe interdisciplinare.
De Martino aveva sviluppato tra gli anni 40 e 60 del secolo scorso una critica radicale all’etnologia positivistica .
La principale fallacia di quest’ultima consiste proprio nella pretesa di studiare le altre culture a partire dalle proprie con-
vinzioni.
Tuttavia è impossibile uscire dalla storia culturale nella quale siamo nati per De martino.
Dobbiamo partire dalle nostre conoscenze culturali . Solo il confronto con altre culture ci permette di ampliare i nostri
orizzonti storiografici. Approccio che egli chiama Etnocentrismo critico .
Alla fine degli anni 50 si dedica ad un progetto di documentazione della cultura magico-religiosa tra i ceti subalterni del
mezzogiorno d’italia . Conoscere le culture del mezzogiorno era un modo di lottare per la loro emancipazione.
Con le sue spedizioni nelle regioni povere del mezzogiorno , De Martino associava ricerca partecipante sul campo ,
metodi di rilevazione folkloristica , analisi storiche .
Dopo alcune spedizioni di ricerca in Lucania e Puglia , pubblica tre importanti monografie dedicate rispettivamente: al-
le pratiche del lutto e del lamento funebre (morte e pianto rituale 1958) alla magia cerimoniale lucania (sud e magia) e
al tarantismo salentino (la terra del rimorso 1961) .Fondamentale è l’approccio interdisciplinare poichè fu affiancato da
uno psichiatra (Giovanni Jervis), una psicologa (L. Jervis-Comba), un'antropologa culturale (Amalia Signorelli), un et-
nomusicologo (Diego Carpitella), un fotografo (Franco Pinna) e dalla consulenza di un medico (S. Bettini).
Il tarantismo è una sindrome culturale di tipo isterico riscontrata nel sud Italia, che nella tradizione popolare è collega-
ta ad una patologia che si riteneva essere causata dal morso di un ragno.
La taranta è il ragno mitico , di per se innocuo a cui si attribuiva il potere di avvelenare col suo morso le donne che ca-
devano in uno stato di catalessi .
La "cura" tradizionale è una terapia di tipo musicale coreutico, durante la quale il soggetto viene portato ad uno stato
di trance nel corso di sessioni di danza frenetica, dando luogo a un fenomeno che è stato definito un "esorcismo musica-
le"
L’ammalata danza per ore a volte per giorni a ritmo della pizzica suonata da un’orchestra locale difronte la comunità
che partecipa all’evento.
La danza , fa manifestare la taranta che la possiede fino che esausta non ne abbandona il corpo .
Le persone guarite diventano devote di San Paolo , e ogni anno si ritrovano alla festa nella Cappella di San Paolo a Ga-
latina - dove la crisi e la guarigione vengono dinuovo vissute .
per de martino il tarantismo è un vero e proprio dispositivo medico , che si presta per esprimere e risolvere le cirsi di ca-
rattere esistenziale che incombono sulla vita quotidiana dei ceti del mezzogiorno .
Il mondo povero dei contadini appare tutt’altro che irrazionale : ne mostra la natura di radicamento esistenziale e prote-
zione della presenza in un mondo dominato dall’incombere della miseria e dell’oppressione . La persistenza della magia
può essere letto come una forma di resistenza alla cultura dominante .
In una quotidianità dominata dalla minccia del negativo , rito e mito conferiscono sicurezza , premettendo di stare nella
storia come se non ci si fosse.
Il rito magico è una risposta alla crisi della presenza

Se ci chiediamo quali sono le ragioni che fanno ancora sopravvivere un’ideologia così arcaica (la magia) nella Lucania
di oggi , la risposta più immediata è che tutt’ora in Lucania un regime arcaico di esistenza impregna ancora i larghi stra-
ti sociali , malgrado la civiltà moderna . È certamente la precarietà dei beni elementari della vita , l’incertezza delle pro-
spettive concernenti il futuro , la pressione esercitata sugli individui da parte di forza naturali e sociali , l’asprezza della
fatica nel quadro di un’economia agricola arretrata , la sopravvivenza di comportamenti atti a fronteggare momenti dif-
ficili della vita.

Marielle Franco
Marielle Franco all'anagrafe Marielle Francisco da Silva (Rio de Janeiro, 27 luglio 1979 – Rio de Janeiro, 14 mar-
zo 2018) è stata una politica, sociologa e attivista brasiliana.
È stata consigliera comunale a Rio de Janeiro ed esponente del Partito Socialismo e Libertà brasiliano (PSOL). Ha pre-
sieduto il Comitato delle donne del Consiglio comunale ed è stata impegnata nella difesa dei diritti umani. È stata assas-
sinata la sera del 14 marzo 2018.
Voleva dare voce a chi voce non aveva , ( lgbt , portatori di handicap , donne madri , le faveladas ) .
Favela che fino al 2015 non erano segnalate sulle carte di Rio .
A partire dal mondiale di calcio del 2014 le favelas , sono state militarizzate con l’utilizzo di carri armati ,artiglieria pe-
sante con l’intento di toglierle al controllo dei narcotrafficanti , ma così facendo sono aumentati gli scontri e le vittime
innocenti , dovute a proiettili vaganti . Marielle si schiera contro l’intervento militare e l’occupazione dei corpi speciali
e denuncia gli interessi nascosti sul traffico di droga . Crea una rete di sostegno legale alla famiglia delle vittime , pre-
senta le sue relazioni alla commissione municipale che viene creata proprio con il suo impulso per vigilare sugli inter-
venti militari . Inizia la sua denuncia politica sugli interventi violenti e sanguinari nei confronti della comunità delle fa-
velas.
Si fa strada in lei una nuova consapevolezza , si riappropria della sua africanità e si arma politicamente contro i compor-
tamenti maschilisti che l’hanno sempre irritata , contro quel sessismo struttuarale , contro le avance che diventano mole-
stie nella vita quotidiana . Le aggressioni alle donne erano molto diffuse a Rio de janeiro.
Per 10 anni ricopre il ruolo di coordinatrice statale per la difesa dei diritti umani .
Nel rapporto redatto per la commissione di difesa dei diritti umani per cui Marielle è coordinatrice si legge :
L’invisibilità è una delle facce della discriminazione che culmina nella violenza fisica . Crediamo che rendere visibili
queste persone sia uno degli strumenti più efficaci per distruggere il pregiudizio , far cessare le violenze e trasformare la
realtà .
Nell’ottobre 2018 viene eletto presidente Bolsonaro , filoamericano , che si dichiara apertamente omofobico e razzista ,
e che promuove l’uso delle armi come soluzione alla violenza diffusa del Brasile . Vince contro il candidato della sini-
stra Fernando Haddad già ministro dell’educazione del governo lula che propone un programma di governo che punta
sull’educazione e sui progetti sociali . Con un atto vandalico , i sostenitori di Bolsonaro spezzano in due la placca stra-
dale con il suo nome , e la esibiscono come un trofeo alla folla , minacciando chi la pensa come Marielle di fare la stes-
sa fine . Dopo qualche giorno , in piazza durante una manifestazione arrivano decine e decine di pacchi , che vengono
aperti contenenti 1000 targhe identiche a quella spezzata . Sono il regalo di un sostenitore anonimo .
Nel 1911, in occasione delle celebrazioni dei cinquant’anni dell'Unità d'Italia, si decise di organizzare a Roma la
più importate mostra di Etnografia Italiana. Al termine della mostra le collezioni avrebbero costituito il nucleo
fondativo di un nuovo Museo Nazionale di Etnografia Italiana.

Lamberto Loria (colui che si occupò dell’organizzazione dell’esposizione), tra il 1908 e il 1911 coordinò una serie
di ricerche locali nelle varie regioni italiane per acquisire e catalogare nuovi manufatti della cultura rurale .
A queste indagini parteciparono non solo esponenti del mondo scientifico-accademico, ma anche personaggi loca-
li, come insegnanti, medici e sacerdoti: servendosi dell’aiuto di così tanti collaboratori, Loria riuscì a esporre nel
1911 oltre 30 000 oggetti etnografici.

L’obbiettivo di Loria era conferire uno statuto scientifico all’etnografia italiana, arricchire gli studi sul folklore at-
traverso la ricerca sulla vita materiale e tramite indagini locali, e infine promuovere il confronto interdisciplinare.
In particolare, uno strumento imprescindibile nel disegno di Loria dovevano essere le indagini a tappeto, da con-
durre con criteri scientifici e rigorosi, sia nel tempo che nello spazio, per registrare la diversità delle usanze e dei
costumi italiani, delle pratiche tradizionali, e delle varie espressioni di ritualità magico-religiosa.

Le collezioni infine vennero trasferite nel 1956 nel palazzo delle Tradizioni popolari dell'Eur, andando a costituire il nu-
cleo principale di quello che oggi è il Museo delle Arti e Tradizioni popolari.

La sala delle colonne con esempi di ceramica, al centro il grande pomo dei fiori simbolo augurale nell'arte plastica di
Grottaglie .
Il museo custodisce migliaia di oggetti insieme a 100.000 documenti che provengono in massima parte dalle raccolte
del suo fondatore l'etnologo Lamberto Loria .
La sua finalità e la conservazione e la documentazione del patrimonio materiale e immateriale delle tradizioni popolari
italiane anche attraverso i supporti audiovisivi del suo archivio che ne custodiscono immagini e suoni.
Il salone d’onore è il più grande e imponente del palazzo .
Artisti di spicco degli anni 40 immortalarono queste tradizioni in ben 10 affreschi , alcuni dei quali rimasti per sempre
incompiuti . Corteo nuziale in Sardegna nei cartoni attribuiti a Filippo Figari.
Il tratto vigoroso del pastello bianco ocra e azzurro da realismo dinamico alla scena animata da cavalli e personaggi in
costumi tradizionali e segnata dallo sguardo fiero di una donna
Sulla parete opposta campeggia il bue di San zopito opera di Cascella , gli affreschi sono stati appena sottoposti ad un
puntuale lavoro di restauro con occhio attento alle tecniche esecutive e al recupero delle tonalità originarie .
Qui di fronte al miracolo semplice del inginocchiamento dell'animale si esprime Il rapimento della più sentita devozio-
ne popolare .
La voce del cantore contadino Giovanni coffarelli per l’incanto dei presepi napoletani.
Centinaia di figure curate fin nei più piccoli dettagli da maestri artigiani del sette-ottocento sullo sfondo del mercato co-
me viva la presentazione dell' esistenza ecco i Re Magi venuti in adorazione.
Nello scenario di una napoli 700esca vengono rappresentati suonatori , mandolinisti, venditori di frutta e verdura uno
per ogni mese dell'anno ad indicare il susseguirsi delle stagioni , il rapporto dell'uomo con il tempo effimero contrappo-
sto al valore della natività e della Resurrezione Cristiana
Scene e figure esposte per la prima volta alla mostra di etnografia italiana sono state riallestite per il museo nella sala
del ciclo della vita.
il presepe di Greccio voluto dal santo di Assisi e ricreato ad hoc sulla musica di Corelli dagli abitanti del paese Laziale
Qui in un film girato nel Natale del 2000 è conservato nell'archivio audiovisivo del museo.
La notte santa del 1223 San Francesco rievocò a Greccio la nascita di Gesù con una rappresentazione vivente .
l'episodio descritto nelle leggenda Major fu dipinto da Giotto negli affreschi con le storie del Santo nella basilca supe-
riore di Assisi .
Gli oggetti dell’iconografia cristiana sono tra i più rilevanti il museo come il quadro in ceramica della Madonna del Car-
mine del 1908 poi Gesù bambino nella culla custoditi entrambi nella teca della toscana .
In occasione delle Celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia che museo ha ideato questo par-
ticolare allestimento sulle regioni italiane .
In ogni isola contraddistinta dalla forma stilizzata della Regione figurano il costume tradizionale e i manufatti più signi-
ficativi dell'identità regionale.
Piccoli Tesori di artigianato territoriale : l'intreccio la ceramica di intaglio la tessitura e le realizzazioni dell'arte orafa ,
terracotta e ceramica che ricorrono in quasi tutte le regioni toccano alte vette in Sicilia , negli smalti colorati di Caltagi-
rone.
Borse romagnole e scarpe in fibra vegetale fatte a Cesena nei primi del Novecento anfore di terracotta e canestri in ca-
stagno intrecciato di Basilicata e Calabria .
Per la Toscana una preziosa collana di corallo del 1907
Ricca e variegata la collezione dei costumi : grembiule dal orlo ricamato per quello di Pietrasanta bustino di seta con
lacci e ampio cappello di paglia
La nuova configurazione espositiva del patrimonio regionale italiano domina ora l'ampio spazio del salone d'onore ap-
pena restaurato .
Ali di luce è il nome della macchina di Santa Rosa ideata da Raffaele ascenzi ha sfilato d'amore acceso per le vie di una
Viterbo in oscuramento rituale e adesso una parte della sua struttura riposa tranquilla in museo .
Ogni cinque anni la macchina processionale viene sostituita da una nuova costruzione che perpetua il 3 di settembre la
sfilata tradizionale .
100 Facchini che trasportano 50 quintali per 29 m di altezza migliaia di lampadine accese e oltre 800 candele a fiamma
viva
la macchina impressionante ricorda da oltre 750 anni la traslazione del corpo della Santa dalla Fossa comune al Mona-
stero delle Clarisse .
Santa Rosa Nocera Viterbo nel 1233 la città che ne custodisce letteralmente il cuore la celebra collocandola all'apice
della torre di luce .
fede fatica e senso di appartenenza portano i facchini a vivere questo evento con intensa emozione .
la macchina di Santa Rosa fa parte della rete italiana delle grandi macchine a spalla che con i gigli di Nola la Varia di
Palmi e i candelieri di Sassari è stata dichiarata dall'unesco patrimonio culturale dell'umanità.
l’ istituzione di facchini per il trasporto di strutture monumentali è comune a molti altri eventi religiosi italiani dai gigli
di Nola ai ceri di Gubbio alla Madonna del Soccorso di Sciacca
i portatori di Sciacca in Sicilia sono un centinaio di pescatori scalzi che caricano sulle spalle i 900 kg della statua in
marmo della Madonna del Soccorso protettrice dei mari .
Tutte queste feste devozionali o carnevalesche che siano affondano le loro radici nel rapporto ancestrale tra uomo e na-
tura celebrano il ciclo delle stagioni e le fasi dell'Agricoltura .
il calendario annuale delle feste molisane è descritto nel film viaggio in Molise le stagioni della festa prodotto dal mu-
seo .
un’ampia area espositiva è riservata agli oggetti della Civiltà Contadina legati alla semina e alla raccolta : aratri stru-
menti per la fienagione per piantare o per lavorare la terra frantoi canestri madie cucchiai di legno intagliato come quel-
li dell' artigianato sardo utilizzati per la farina setacci e altri oggetti inerenti alla panificazione momento topico della fa-
miglia contadina.
Nell'economia rurale all'agricoltura si coniugava l'allevamento del bestiame : collari di legno intagliato campane e cam-
panacci esprimono l'artigianato pastorale e la cura per l'animale. Le zangole e gli antichi strumenti per la fabbricazione
del burro sono esposti insieme agli abiti tradizionali dei pastori , alle fiscelle di giunco per la ricotta agli stampi di legno
intagliato dalle forme originali ai contenitori di canna per i formaggi .
il lavoro in Malga ancora praticato sulle nostre montagne .
Questo film di Gianfranco Dusmè e Giovanni kesig che è in visione al museo si segue passo passo nell&rsquo;arco di
un'intera giornata il ciclo di lavorazione del latte nella Malga mondent in provincia di Trento , anche la preparazione del
burro .
La Malga mondent si trova all'imbocco della Val di Rabbi ed è una delle ultime in Italia ad essere ancora gestita con
l'Antico sistema turnario.
Sono molti mestieri in cui si esprime La Sapienza Artigiana italiana il museo ne custodisce la cultura materiale , stru-
menti e banchi di lavoro di fabbri Bottai ciabattini e rilegatori e anche documenti filmati a testimonianza
dell&rsquo;abilità di questi maestri .
Dall'archivio di Antropologia visiva del museo la gestualità dell'esperienza artigianale italiana scalpellini , maestri
d&rsquo;ascia ,calafati , falegnami mani abilii che ripetono gesti sicuri forgiando eliche intessendo al Tombolo riparan-
do reti , costruendo sedie forgiando pietre
è la maestria delle tecniche lavorative tradizionali estrema concretezza di un sapere immateriale .
tra L'Ottocento e primi Novecento i mestieri di artigiani e commercianti erano indicati da insegne esplicitamente identi-
ficative oppure simboliche delle loro attività il museo ne espone esempi davvero interessanti .
L'angelo in legno di pioppo dorato indicava una bottega orafa della Provincia di Como attiva alla metà del diciannovesi-
mo secolo , un tabaccaio torinese faceva dipingere sulla sua insegna un bersagliere fumatore , la grande mano guantata
di rosso segnalava un guantaio dell'Ottocento , e il cuore di rame d&rsquo; argento circondato di stelle denotava l'abilità
di un artigiano dell'oro .
Nella sala dedicata al Teatro delle marionette ecco i cartelloni dedicati all'Opera dei pupi siciliani dipinti ai primi del
900 da pittori popolari su tela o carta da imballo fungevano da locandina dello spettacolo .
con senso drammatico descrivevano la scena madre come quella della pazzia di Orlando
difronte un allestimento di rari pupi Romani del XVIII e XIX secolo : il paladino ,l'uomo selvatico Il Moro sono gli
espressivi soggetti del puparo palermitano Giuseppe argento acquisiti dal museo nel 1964 .
la rappresentazione iconografica dell'Opera dei Pupi si riallaccia alla decorazione dei Carretti tradizionali siciliani im-
piegati fino a tutti gli anni 60 .
Erano carri popolari ma con la sontuosità delle Carrozze del 700 ai quali si ispiravano per le loro elaborate ornamenta-
zioni , scene tratte dalla Gerusalemme liberata o dal ciclo cavalleresco di Carlo Magno riconducibili a due stili diversi a
due diverse scuole quella catanese è quella palermitana i carretti siciliani erano vere e proprie opere d'arte ambulanti fir-
mate da abili pittori e artigiani costruttori con tanto di indirizzo
ma il carro da trasporto è stato palestra di maestria artigianale in tutta Italia.
è il ferro battuto a guarnire il carro a quattro ruote emiliano con figure di Santi Benedicenti . Putti e decorazioni Bucoli-
che lo ricollegavano alla fioritura primaverile prefigurando con la benedizione del Santo l'abbondanza del raccolto che
avrebbe trasportato.
Una madonna intarsiata proteggeva il carro bolognese dell'uva , la Lanterna illuminava Il cammino notturno del Carret-
to del vino dai castelli romani alla capitale .
questi carri con cappotta a soffietto costituivano l'unità di misura di mezza botte , invece del Santo qui ci si affida va al-
la protezione del Corno e allo scampanellio della buboliera al quale veniva attribuito il potere di allontanare gli influssi
negativi
ci sono feste popolari in cui le ruote di questi casi ancora girando come la barabbata di Marta .
Il corteo dei carri è propriamente quello delle Arti e dei Mestieri con le offerte rituali alla Madonna del Monte che ogni
categoria trasporta fin sotto l'altare del Santuario
A piedi scalzi partecipano anche i pescatori lacustri .
la sala della marineria è un omaggio alla civiltà della pesca , alla memoria secolare sapienziale di un'antropologia del
mare spiccatamente italiana di quel Italia dell'uomo circondata dal mare .
nelle teche i modelli della Navigazione a vela dell'Adriatico : ecco il trabaccolo o barchetto in due vele con gli occhi
scaccia malocchio sulla prora , il bragozzo Veneto dalla classica al terzo . Anche questa è maestria secolare che traman-
da a voce e abbraccio le sue tecniche come quelle pittoriche esclusive delle vele tradizionali marchigiane giallo ocra o
rosso terra su cui spiccano incisive grafie a segnale delle famiglie dei parò
al centro l'imbarcazione più famosa del mondo La Gondola costituita da un insieme di 280 pezzi è il risultato di una so-
lida tecnica di architettura navale tra le più sofisticate a memoria d’uomo questo esemplare splendido per la Regina
Margherita di Savoia è stato costruito da Giuseppe Casale nel 1882.
Dall&rsquo;archivio sonoro del museo le voci che raccontano il mare la memoria storica della civiltà della pesca Adria-
tica.
nella sala della musica figurano gli strumenti della tradizione italiana , strumenti musicali che accompagnano ancora
l'Italia che Sa cantare
mutos film su una forma classica di canto tradizionale sardo , il canto a chitarra dall’ultima ricercerca cinematografica
di Diego carpitella padre fondatore dell etnomusicologia scientifica e dell antropologia visiva in italia da lui promossa
attraverso il museo che ha finanziato il montaggio del documento su questa preziosa a forma di canto isolano a settena-
rio intonato.
Tra le attività del museo c'è anche il restauro di preziosi filmati realizzati dai pionieri italiani dell'antropologia visiva co-
me questo documento in bianco e nero girato dal gruppo di Annabella Rossi negli anni 70 .
Vi si scorge il giovane Roberto De Simone con microfono alla mano effettua la registrazione audio della tammurriata.
ma la più importante operazione di restauro effettuata dal museo è quella relativa al film girato in prima persona da Die-
go Carpitella .
nel 1960 durante la ricerca interdisciplinare promossa nel Salento Da Ernesto De Martino Carpitella firmava con una
delle prime 16 mm L'esorcismo coreutico musicale per liberare Maria di Nardò dal mitico morso del ragno .
si tratta del primo rilevamento in assoluto del tarantismo in Italia per anni in negativo è stato dato per disperso solo nel
1996 venne fortunosamente rinvenuto in una scatola arrugginita nei magazzini di Cinecittà dove era stato erroneamente
rubricato è mal catalogato
oggi questo supporto sottoposto ad un restauro capillare e gelosamente custodito nell'archivio audiovisivo del museo .
varcare la soglia di questo palazzo dell'EUR ha ancora il senso di quel ritrovamento , trovare il patrimonio vivo e vero
delle tradizioni popolari italiane
A memoria d’uomo

Io sono Patrizia giancotti nata a Torino da genitori Calabro napoletani


da giovane ho iniziato ad andare in Campania dove andavo per tammurriate sulle orme del maestro Roberto De Simone
o al seguito della gloriosa nuova compagnia di canto popolare e poi scendevo in Calabria a raccogliere a trascrivere le
canzoni della zia Caterina cantava per me seduta sulla sedia impagliata davanti al coci pane .
Non erano solo canzoni , erano racconti miracolosi e a me sembrava di catturarli un minuto prima che scomparissero.
Quell'approccio alla ricerca e anche quell’urgenza di raccogliere e conservare qualcosa di cui si capiva la fragilità ha
poi orientato tutti i miei studi e anche il mio lavoro di ricerca sul campo successivo che fosse tra gli sciamani
dall'Amazzonia o tra le donne di Mami wata in Africa .
Quel mondo contadino che ci stava lasciando era pieno di insegnamenti , era crudele e poetico .
Era la forza della natura che si esprimeva in quei versi dialettali , così come nelle tarantelle e nei canti , che parlavano
di amori che si potevano soltanto guardare come “ donna da li capiddi inanellati trema la terra quando li sciunditi”

Questa tarantella calabrese è stata registrata nel 1974 da Diego Carpitella uno dei padri dell’etnomusicologia scientifica
italiana con lui in quella campagna di rilevamento del Sud Italia c'era anche Alan lomax etnomusicologo texano che di-
venne mondialmente famoso proprio perché era un infaticabile collezionista di musica tradizionale era proprio un mili-
tante della conservazione musicale e così chiamò la sua raccolta sul nostro folklore tesori d'Italia.
Quello che ora ci chiediamo è che cosa rimane di questo inestimabile tesoro ? Esiste ancora la tradizione popolare Ita-
liana ? siamo stati completamente omologati ?asfaltati? oppure no?

Pasolini nella sua poesia , mette in evidenza l’importanza di conservare la propria memoria storica , poichè siamo frutto
di essa . Un uomo seza radici è un uomo senza storia , lo definisce mostruoso , e alimenta la necessità di cercare giorno
per giorno la memoria storica dei propri antichi discendenti .
(Da Poesia in forma di rosa)

In moltissimi territori della nostra provincia le feste devozionali sono ancora intatte , come le avevano studiate i padri
dell’antropolgia .
Dagli studi di Giorgio Adamo e Francesco De Melis , che hanno curato il progetto scientifico di una campagna di rileva-
mento audiovisivo sulla devozione popolare nel Lazio effettuata nel 2000 , risulta che molte di queste feste devozionali
aderiscono proprio i loro modelli originari come il pellegrinaggio di Vallepietra un pellegrinaggio molto antico che av-
viene in un punto di convergenza degli antichi percorsi di transumanza tra l'Abruzzo il Lazio .
Migliaia di Pellegrini moltissimi di questi a piedi scalzi si inerpicano cantando sui sentieri pietrosi fino al santuario che
sta a circa 1600 metri d'altezza .
Era un insediamento Neolitico già sede di antichi culti della Dea Madre al quale poi si è sovrapposto il conto della San-
tissima Trinità .
Nel film I cieli e la terra nel quale è confluita la ricerca si vedono ragazzi che che portano in processione rami d’albero
come si faceva nelle dendoforie dell’antichità classica in onore di demetra e cibele e alla fine al momento del saluto tut-
ta la folla dei Pellegrini percorre la strada al contrario per non dare le spalle alla chiesa cantando.
Se confrontiamo questo film del 2000 con quello di pozzi Bellini del 1939 uno dei primi film etnografici italiani rimar-
remo sorpresi nel ritrovare intatte molte di queste pratiche tra queste il canto che ascoltiamo adesso nella versione del
39 neanche un minuto e poi in quella del 2000 .
i fedeli cantano in onore della Santissima Trinità dicono queste tre persone sono Divine e poi lo contraggono in queste
tre pe son Divine.
Il film di pozzi bellini insieme ad altri importanti lavori del nostro cinema etnografico si trova nell’archivio audiovisivo
del nostro del Museo Nazionale delle Arti e delle tradizioni popolari all’eur insieme a migliaia di fotografie e centinaia
di costumi tradizionali circa 100.000 documenti e altrettanti oggetti della tradizione popolare Italiana tra cui addirittura
La Gondola della Regina Margherita di Savoia oppure Il Carrettino dell'acquaiolo di Palermo .

Maura Picciau che è la direttrice dell'Istituto centrale per la demoetnoantropologia e anche del Museo Nazionale delle
Arti e Tradizioni popolari :
L'istituto centrale per la demoetnoantropologia è un istituto centrale dello stato istituito alcuni anni fa e con i compiti di
tutela e promozione della cultura popolare materiale ed immateriale , nonchè custode del museo nazionale delle Tradi-
zioni popolari che è il più grande museo etnografico italiano .
Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari nasce dalla volontà dell'Italia giolittiana di raccontare gli usi e co-
stumi del popolo italiano prima di tutto a se stesso , poiché l'Italia unità post-risorgimentale era ancora un paese dalle
differenze culturali grandissime .
così il governo in previsione della del cinquantenario della nazione del festeggiamento per i 50 anni dell'Unità d'Italia
indisse una grande raccolta di materiale di cultura Popolare affidando questo compito molto ampio e difficile a una per-
sonalità di grande spessore e di grandissima qualità scientifica che si chiamava Lamberto Loria e possiamo dire il mag-
gior etnografo italiano tra la fine dell'Ottocento e i primi del 900.
Nativo di Alessandria d'Egitto apparteneva alla cultura ebraica Toscana era un uomo di formazione scientifica poichè
era un matematico si applicò a quello che poi è stato l’ultimo incarico della sua vita dopo aver viaggiato per tutto il pia-
neta e aver lavorato soprattutto in Nuova Guinea papu asia con ricerche imprescindibili tutt'ora
con grandissima attenzione , rispetto e ferma convenzione scientifica e metodologia allo studio dei costumi nazionali
con l'idea che soddisfava il desiderio del governo e del ministro Pubblica Istruzione di allora Ferdinando Martini di fa-
re una bellissima mostra etnografica in occasione del cinquantenario ma col patto che dopo l'esposizione i materiali rac-
colti rigorosamente con indagine sul campo sarebbero divenuti museo permanente e così è stato.

Lamberto Loria :
Nella primavera del 1905 andando per la prima volta a Circello del Sannio fui fortemente impressionato dalla diversità
delle usanze dei costumi e della psiche di quelle popolazioni meridionali.
stavo Allora organizzando il viaggio che ho poi compiuto in asssa orta e mi chiesi se non fosse invece è più conveniente
di raccogliere documenti e manufatti etnici in Italia che non in altre lontane regioni

Lamberto Loria che nel 1907 si accorge che l'Italia per la sua ricchezza per la sua diversità era interessante almeno
quanto la papuasia abbiamo visto come la collezione fondante del museo fu raccolta da Loria per l'esposizione interna-
zionale del 1911 vediamo allora com'era concepita quest’ esposizione che aveva Torino la capitale della Tecnica e a Ro-
ma la capitale dell'arte e della cultura .
fu occasione per realizzare opere permanenti come Il Vittoriano Il Giardino Zoologico di Villa Borghese lo stadio Na-
zionale progettato da Piacentini il Palazzo di Giustizia quello di Piazza Cavour il Palazzaccio e il Palazzo delle Belle
Arti da un progetto di Cesare Bazzani quello che oggi è la Galleria nazionale di arte moderna in questo palazzo fu inau-
gurata un'importantissima mostra sulla pittura contemporanea italiana in quell'occasione.
Attorno al Palazzo delle Belle Arti tutti i padiglioni internazionali erano progettati dai più importanti architetti dell'epo-
ca scelti da ogni paese , tra le opere però spiccava per arditezza il ponte Risorgimento usava una tecnologia del tutto in-
novativa con il cemento armato e aveva una gittata di 100 e faceva da collegamento strategico con una parte di Roma
che confina con la campagna dove sarebbero stati allestiti i padiglioni delle regioni italiane .
Nella mattina di venerdì 21 aprile del 1911 alla presenza del re e della regina avvene l'inaugurazione della mostra regio-
nale di etnografia alle 10:50 precise annunciata dagli squilli di tromba e preceduta da un drappello di Corazzieri .
La carrozza e arriva percorrendo il viale delle Belle Arti per poi passare il famoso Ponte fino all'ingresso ad onore lungo
120 m alto 32 con un portale e arrivava fino a questo foro delle regioni che era composto da 160 colonne di marmo co-
lorato con addirittura delle statue che simboleggavano l’avanzata del Progresso .
Di fronte c'era il Palazzo delle feste a due piani uno era destinato al cinema etnografico quindi c'erano delle proiezioni
su tutte le regioni d’Italia il secondo era un teatro .
Dopo di che c’era la riproduzione di una via Consolare percorrendo la quale si poteva visitare tutti questi gruppi etno-
grafici che erano costituiti da donne e uomini delle regioni vestiti nei costumi tradizionali che stavano all'interno di que-
ste costruzioni erano delle case che riproducevano proprio l'architettura tipica di tutte le regioni quindi i trulli le baite
delle Cascine le case di montagna i mulini i nuraghi e in più c'erano dei dei veri e propri tableau vivant regionali che ri-
producevano delle attività particolari per esempio la tessitura al telaio La Forgia Del Fabbro la panificazione perché na-
turalmente il cibo aveva un'importanza molto forte all'interno di questa esposizione internazionale per esempio si cuci-
navano le orecchiette Si preparavano le tagliatelle che venivano preparate proprio in e poi offerta ai visitatori per il Ve-
neto addirittura stato riprodotto un canale dove navigavano le gondole realizzato attraverso la costruzione di un bacino
idrico di circa 5600 metri quadri c'era anche uno Squero proprio il cantiere dove si costruivano le gondole poi delle case
tipiche di Burano di Chioggia dove dentro c'erano delle donne Venete che lavoravano i merletti Come si fa in quei luo-
ghi e poi c'era anche una casa di Murano dove dentro c'erano i vetrai che soffiavano nel vetro e facevano appunto i loro
lavori Poi c'era il gruppo napoletano che era in azione con invece i pizzaioli in maccheronari i friggitorie di pesce Paler-
mo portava invece l'opera dei pupi
Insomma era veramente un viaggio molto esotico in una Italia appena cinquantenne che ancora non si conosceva e che
quindi andava a scoprire se stessa all'interno di questa grande esposizione e poi c'erano le musiche e i canti dal Vesuvia-
na al canto tradizionale sardo quello che ascoltiamo è tratto da mutos canto a settenario intonato dall'ultima ricerca sulla
musica tradizionale Sarda fatta da Diego Carpitella nel 1991

Museo delle Arti e delle tradizioni popolari


Progettato proprio per l'esposizione delle collezioni il Palazzo delle tradizioni popolari Come si chiama fu disegnato da
tre architetti razionalisti del regime negli anni intorno a 37 e 38 è un palazzo sorprendente per le dimensioni le quote dei
Soffitti pensato per un racconto grande arioso luminoso .
Il salone d'onore e oltre 900 metri e i suoi lati corti arricchito da degli affreschi purtroppo in piccola parte incompiuti
legati al tema delle tradizioni popolari delle feste religiose .
Impressiona un salone grande come una cattedrale ritmato e intervallato da grandissime finestre
si intende Che i progettisti volessero creare degli ambienti pensati come luoghi di piazza .
il salone e è una piazza del nostro tempo perché le raffigurazioni che lo connotano sono tutte di comunità quindi sono
feste importanti di tutta l'Italia raffigurate .
la collezione che presenta oggetti spesso molto belli ma non i miei collettivi come sempre l'arte Popolare portassero die-
tro di sé intere popolazioni che quindi in questo museo che io ritengo il museo dell'identità nazionale per certi aspetti vi
fossero intere comunità idealmente presenti .
il museo ad oggi custodisce 100.000 oggetti certo sono particolarmente importanti i quei 30.000 di fondazione .
ma è noto alle comunità di tutta Italia per la ricchissima collezione di abiti di tradizione così vengono chiamati corretti
cioè costume Popolare ne abbiamo centinaia quasi Ottocento ed è solo oggi un patrimonio davvero raro è molto impor-
tante perché in tante regioni si è perso l'uso dell'abito popolare e i nostri costituiscono diciamo dei fossili e abbiamo an-
che le fotografie che Il curatore Loria si faceva mandare per farsi spiegare bene come montare correttamente l’abito e
sono documentazioni pregiatissime perché oggi tante comunità ricominciano a fare magari per le feste più importanti
l'abito di tradizione e ci scrivono chiedendo di avere la documentazione fotografica a volte chiedono di venire a vedere
come si monta .
per esempio l'anno scorso abbiamo mandato l'abito della comunità occitana del Piemonte a Ostana un paese che oggi ha
meno di 100 abitanti non avevano più notizie del loro vestito , e lo abbiamo consegnato per tre mesi, e tutta la comunità
occitana sono andati a vedere l’antico abito di ostana per ritrovare il senso della loro minoranza.
ci fa molto piacere questo dialogo e quindi pensiamo che questo enorme forziere questa cassaforte che noi abbiamo te-
stimonianze della vita quotidiana delle generazioni passate sia in realtà strettamente ancora utile nel presente è stretta-
mente ancorata all’oggi delle comunità locali in questo senso le testimonianze materiali sono tenze di patrimonio imma-
teriale ancora palpitante .

L’Archivio di Antropologia visiva lo dirige Emilia De Simoni che è anche coordinatrice scientifica del museo responsa-
bile del sito dei social network e della comunicazione web dell'Istituto centrale per la demoetnoantropologia ma soprat-
tutto è la memoria storica del museo .
Lavoro in questo museo da 30 anni mi sembra di aver attraversato notissime epoche storiche questo grazie personaggi
che ho incontrato in questo museo a partire soprattutto da Annabella Rossi la grande antropologa italiana
Mi introdusse allo studio dell'antropologia visiva e volle che io mi occupassi della cineteca che lei aveva costituito
all'interno del museo , una cineteca vastissima ma soprattutto importante per il contenuto pochè raccoglie la maggior
parte dei filmati tipici del documentarismo italiano degli anni 50-60 vale a dire film di Luigi di Gianni di Gianfranco
Mingozzi di Cecilia Mangini a molti di questi film Annabella aveva collaborato con il testo con la ricerca con la consu-
lenza scientifica .
Ricordo che me li mostrò tutti in una piccola stanza con un vecchio proiettore a 16 minuti e quindi questo per me fu il
primo approccio che segnò poi tutta la mia successiva carriera all'interno di questo museo e orientata quindi in partico-
lare verso l'antropologia visiva

Il museo e venne istituito in questa sede nel 1956 però possiamo pensare a Paolo Toschi grande studioso al grande an-
tropologo Tullio Tentori .
Già con Tullio tentori che collaborò con annabella rossi si cominciarono a fare le prime mostre e le prime rassegne an-
che di film e soprattutto cominciò un interesse particolare per la documentazione fotografica .
c’era già un fondo cospicuo relativo alla alla fotografia raccolta proprio per la mostra del 1911 quindi un archivio foto-
grafico storico ma grazie alla sensibilità di Tullio tentori e di Annabella Rossi si cominciò a costituire questo fondo di
fotografia moderna dagli anni 50 in poi che per noi rappresenta sicuramente un patrimonio incredibile non solo dal pun-
to di vista antropologico ma anche per ricostruire un po' la storia della nostra Italia attraverso i periodi dalla prima rivo-
luzione industriale ad oggi .
Questo museo non è soltanto un luogo dove si conservano e si espongono oggetti ,dovrebbe essere soprattutto un campo
di ricerca sul territorio.
D'altra parte è nato così poiché le ricerche che sono state compiute all'interno di questo museo sono ricerche fondamen-
tali come la grande ricerca fatta da Annabella Rossi relativa al carnevale che poi ha dato luogo al famoso testo dal tit-
polo “carnevale si chiama Vincenzo” firmato da annabella con Roberto De Simone testo che contiene una documenta-
zione fotografica incredibile che noi abbiamo qui nei nostri archivi .

Quindi è un luogo dove ancora si può ripercorrere questa questa memoria .


non si può ripercorrere ma nel presente perché il collegamento deve essere sempre al presente e allora come si fa ad at-
tuare questo collegamento Diciamo che l'ansia così di perdita ha attraversato tantissime epoche cioè comincia da Lam-
berto Loria come abbiamo visto con la necessità di raccogliere delle tradizioni che si stanno perdendo a causa dell'indu-
strializzazione continua questa ansia sempre più forte con Pier Paolo Pasolini e con la sua ricerca verso le tradizioni del
passato .
però le tradizioni non muoiono si adattano al presente devono sempre essere riformulate da coloro che le che le vivono
che sono portatori di questa tradizione e forse il nostro il nostro museo da l’opportunità persone che non conoscono que-
sta varietà culturale , dà l'opportunità queste persone di di sapere che ci sono altre storie che ci sono altri modi di vivere
che ci sono delle comunità che non sono omologate dalla cultura planetaria e quindi la creatività umana e la capacità di
elaborare nuove forme culturali sono ben rappresentate all'interno di questo luogo.
Questi oggetti anonimi . Quante mani Mi avranno avranno toccato questi oggetti con quante mani avranno cercato di
realizzarli Quante storie ci sono sotto Quante vite vite che ci appartengono perché noi veniamo da queste vite Non a ca-
so poi all'interno del museo via una frase di Cristina Campo che dice poi che tutti viviamo di stelle spente

i modelli culturali che ci sovrastano schiacciano tutte le tradizioni popolari Anzi c'è da stupirsi che alcune siano rimaste
intatte .
in molte zone dell'Italia c'è una vera e propria ecatombe una tabula rasa .
Nel volume di Roberto De Simone son Sei sorelle che raccoglie rituali e Canti della tradizione in campagna il maestro
che è un profondo conoscitore della tradizione partenopea parla a proposito del revaival modaiolo cadaveri culturali di
decomposizione con consenso cortigiano in particolare della festa di Piedigrotta :
sono un involucro vuoto si legge privo di identità sono il riciclaggio di presuntuosi fantasmi senza memoria
Poi però nell' articolo successivo che si chiama il canto della madre pubblicato dal mattino di Napoli De Simone descri-
ve così le donne che cantano alla processione di Montemarano :hanno la Sapienza di attivare il suono giusto quel suono
in risonanza con il Cosmo con il mondo celeste con l'alito divino mosso dal battito cardiaco delle stelle degli astri o si
ha un ritmo del quale vibra il microcosmo del corpo umano del nostro vivere del nostro pensare in consonanza con la
natura con le nostre 24 ore quotidiane allora il varco per ritrovare questa consonanza è ancora aperto è aperto da mi-
gliaia di voci di corpi e anche corpi molto giovani che ritroviamo sotto il peso delle macchine processionali a Sciacca a
Gubbio a Sassari a Palmi a Viterbo a Nola ai piedi del Cristo Morto di Fiuggi oppure nel clangore ipnotico dei campa-
nacci di Mamoiada sono tutti sistemi per attivare il collegamento , per attraversare un varco che è ancora aperto verso il
mistero per sconfinare e ritrovarsi per così dire dall'altra parte a domani
Il culto del Candomblè di origine africana, gestito soprattutto dalle donne, sta avendo una nuova fortuna e costituisce a
Salvador de Bahia un importante strumento di integrazione sociale .

“coloro che si prendono cura del culto degli dei-orixas sono le Signore di Bahia, una più bella e sapiente dell’altra, prin-
cipesse e regine, le iya, le madri del popolo” Jorge Amado

Città moderna di circa tre milioni di abitandi, con un centro commerciale avveniristico di cristallo e acciaio e un cuore
antico vibrante di tamburi, Salvador ha 365 chiese e 4.000 luoghi di culto afro-brasiliani.
Fino alla fine dell’ottocento la capitale afro del Brasile ha offerto le sue spiagge bianche all’approdo delle navi negriere
che hanno scaricato là milioni di africani: “la Forza che ha salvato il Brasile dalla tristezza del fado”, secondo lo scritto-
re Jorge amado.
Polo propagatore di questa forza tradotta in musica, danza e poesia è la religione del candomblé, collante portentoso
della diaspora nera.
Scampato alle sanguinose persecuzioni, il candomblé non solo è sopravvissuto, ma prospera e si espande vitalmente nel-
la Bahia di oggi. Tra i motivi di questa espansione c’e senz’altro anche la predominanza dei ruoli femminili in un pano-
rama religioso dominato dal maschio come dio e come intermediario.
Al contrario il candomblé pone al centro la figura della donna che cura, nutre e interpella gli dèi.
Una gran quantità di divinità femminili dalle caratteristiche variegate e affascinanti affollano gli altari di queste sacerdo-
tesse-madri supplementari, sempre prodighe di consigli e benedizioni. E ancora sono in maggioranza le donne che dan-
zando “ricevono” gli orixàs nella trance, ne vestono gli abiti, ne brandiscono le insegne spade o specchi, serpenti di fer-
ro o arco e freccia.
Nel candomblé certo esistono ruoli maschili. Anzi, suonatori, dignitari oga e axogum, possono essere solo di sesso ma-
schile ed anche al massimo livello della gerarchia esistono moltissimi sacerdoti-pai de santo.
Ma l’atmosfera che si respira nel terreiro tra il roteare delle immense gonne, l’arte della preparazione del cibo per gli
orixàs, l’atteggiamento in ogni caso materno, di conforto e consiglio dell’officiante, sono tutti al femminile. È il regno
delle iyàlo-rixàs, madri degli orixàs in lingua yoruba, maes de santo nel portoghese di Bahia.
Così doveva sembrare anche alla sociologa della Columbian University Ruth Landes che nel 1947 titolava il suo libro
su Salvador de Bahia “la città delle donne”. E si chiedeva: “crederanno negli Stati Uniti che esiste un paese dove le don-
ne amano gli uomini, si sentono sicure e a pro-prio agio con loro senza temerli?”. Definendo il terreiro – il luogo di cul-
to del candomblé – “un tempio matriarcale in cui gli uomini anche se necessari, non sono che semplici spettatori” si
spinse oltre affermando che “se gli uomini vogliono accedere alle alte cariche lo possono fare solo rinunciando alla pro-
pria virilità, imitando il comportamento delle donne.
All’epoca la tesi di Ruth Landes fu liqui-data da eminenti studiosi come “femminista” e subito sepolta dalla comunità
dei ricercatori. Era invece una giusta intuizione, anche se mancava effettivamente un riscontro scientifico.
Il culto del candomblé era ufficialmente vietato fino al 1946, anno in cui lo scrittore Jorge Amado, allora parlamentare
comunista, propose la legge per la libertà di religione, tuttora vigente in Brasile. La repressione aveva lasciato però un
senso di autoprotezione e di chiusura. Aperto nella rappresentazione e nella festa il popolo del candomblé è tuttora ser-
rato in se stesso per quelli che si chiamano fundamentos e non disponibile a svelare i segreti della sua gestione interna.
La nascita del Candomblé
Mi interessava la forza intrinseca di questo culto che aveva resistito alla schiavitù e alla repressione spietata ed i motivi
che avevano portato le donne ad esserne le esperte rituali per eccellenza.
Prima di affrontare il lavoro sul campo per appurare una effettiva preponderanza femminile ai vertici del culto, volli
consultare il Grande Vecchio degli studi afrobrasiliani. L’etnologo francese Pierre Verger: aveva all’epoca ottantasei an-
ni e ne aveva passati quaranta a studiare i rapporti tra l’Africa e Bahia. Nel suo ampio abito africano, faceva saettare gli
occhietti az-zurrissimi e mi scoraggiava energicamente «Per il loro splendore le donne nel candomblé eclissano gli uo-
mini, ricercatori poco attenti possono confondere appariscenza con posizione gerarchica concludendo affrettatamente
per una maggiore importanza delle donne. E già stato dimostrato che gli uomini sacerdoti sono anche più numerosi».
Pensai di cambiare strada, ma poi scoprii che esisteva un organo preposto al censimento dei luoghi dì culto e dopo un
anno riuscii ad avere accesso ai dati e a fare io stessa una ricerca sul terreno.
Le donne erano il 68%, non solo «appariscenza».Vivendo con loro capii che avevano fatto del terreiro un luogo di riu-
nione quotidiano sorretto da una sorta di sorellanza di mutuo soccorso in una società che spesso relega le donne a ruoli
di subordinazione.
Le donne, le uniche capostipiti possibili in tempo di schiavitù, ebbero il compito di adattare i precetti tradizionali al
nuovo mondo e quello di fondare i primi luoghi di culto.
Secondo Basil Davidson nei duecento anni della tratta arrivarono alle coste del Brasile circa cinque milioni di africani.
Per quelle navi stipate di «merce umana» Bahia fu il porto d’arrivo.
Nell’ultima fase della tratta, che in Brasile fu decretata fuori legge, almeno sulla carta, il 13 maggio del 1888, approda-
rono a Bahia molti africani del ceppo linguistico yoruba (presente in vari stati dell’attuale Nigeria, Kwara, Bende!,
Ogun, Ondò, Oyo, del Benin e del Togo).
Tra questi discendenti di Keto, Ljexà, Egbò, Oyo c’erano principi, sacerdoti e dignitari; tra le donne, che secondo i do-
cumenti dell’epoca costituivano solo il 10%, 15% del carico, vi erano «madri di palazzo» e sacerdotesse personali del re
di Oyo.
Sebbene fossero arrivati a Bahia verso la fine del commercio di schiavi, gli yoruba furono tra i primi a liberarsi senza
aver avuto il tempo di dimenticare i precetti religiosi lasciati da poco tempo, contribuendo a rifondare l’istituzione reli-
giosa e sociale che doveva adattarsi alla nuova situazione.
Il ruolo delle donne nella gestione del culto
Questo compito spettò alle donne.
La prima, intorno al 1830, fu Iyà Nasso, schiava liberta, madre spirituale del re di Oyo, addetta al culto di Xango dio
della giustizia, del fulmine e del fuoco, orixà capostipite della dinastia reale. Secondo la tradizione Iyà Nasso piantò in
terra brasiliana l’axé, la forza sacra yoruba, il principio vitale che pervade gli orixàs, gli esseri viventi e tutte le cose del
creato e che si trasmette attraverso mezzi simbolici. Nacque il terreiro llé lyà Nasso Lngenho Velho – Casa Branca an-
cor oggi uno dei più attivi e prestigiosi della città.
«lyà Nasso non era sola – scrive l’etnologa brasiliana Juana Elbein -con essa è venuto Xango, da lei “ricevuto” e perso-
nificato, dio della giustizia regale, principio dell’organizzazione sociale e politica che porta con sè l’axé, il potere realiz-
zatore».
Le fanno eco con un canto celebratico gli adepti odierni del candomblé, per i quali lyà Nasso rappresenta l’origine e
l’emanazione del principio sacro:
«lì figlio discende dalla Madre Poderosa
lì figlio è l’immagine della Madre
Siamo i figli di Xango Afonjà
Siamo qui!
La guerra ha portato la madre
Lei non teme la battaglia
Perché la Madre ha perso la paura
Chiediamo agli orixàs che l’allegria si allarghi sul mondo»
Ma non potrebbe essere solo il ruolo di prestigio rivestito in Africa dalla prima fondatrice a favorire la gestione del cul-
to da
parte delle donne.
Il minor valore sul mercato delle schiave femmine, che costavano un terzo dei maschi, fu per una volta un vero vantag-
gio.
Mentre gli uomini tagliavano canna da zucchero o raccoglievano cacao nelle piantagioni, le donne lavoravano in città,
in famiglia, come domestiche, balie, amanti o vendendo in strada cibi cotti e manufatti per conto del padrone che lascia-
va loro un piccolo guadagno. Quando, nel 1871, con l’articolo 4 della legge 2.040, cosiddetta del «ventre libero», fu
possibile «ricomprare» la propria libertà le
donne poterono riscattarsi molto più facilmente liberandosi molto prima o in maggior numero.
Libere di agire e di incontrarsi si riorganizzarono socialmente attorno all’axé.
lì gruppo della diaspora si consolidava così a partire dai nuovi avi in terra straniera:
le Madri fondatrici dei terreiros, nuove capostipiti e antenate della comunità.
Alla famiglia tradizionale disgregata si offriva il riscatto della familia de santo, una
rete di rapporti di parentela basati sulla iniziazione rituale, con a capo una madre.
Il Candomblé
Oggi il culto degli orixas, rabilitato, ha mantenuto il suo importante ruolo di integratore sociale ed ha allargato il cer-
chio dei suoi adepti e simpatizzanti a fasce sociali sempre più ampie. I frequentatori degli oltre tremila luoghi di culto,
tra loto liberi professionisti, uomini politici, artisti, scrittori, sono attratti dal ricchissimo patrimonio simbolico del can-
domblé.
Dalle feste per gli orixas che sono vere e proprie celebrazioni della vita, dalla musica rituale dalla quale non smette di
sgorgare ispirazione per tutta la musica popolare brasiliana, dalla danza, dal senso di appartenenza al gruppo che coin-
volge tutti i presenti, dal carisma delle maes de santo, sorta di madri supplementari sempre pronte al conforto, al consi-
glio, alla benedizione.
Il comune denominatore non è più necessariamente l’origine africana. Forse il grande Pierre Verger, non più in questo
mondo dal maggio ’96, conoscendo molto bene la situazione in Nigeria e Benin, stentava ad accettare che qualcosa fos-
se cambiato nella traversdata e che il potere religioso, più maschile in Africa, fosse qui in mano alle donne. A Bahia il
culto africano è diventato qualcosa di diverso. Inglobando divinità indigene e santi cattolici, superava il recinto della
schiavitù, prescindeva dal colore della pelle e dalla nazionalità diventava una religione per tutti. Le divinità legate alla
discendenza patrilineare diveniva divinità personali, sorta di alter ego divini.
Il nome candontié designava anticamente l’apparato musicale, strumenti e ritmi, che accompagnavano le cerimonie de-
dicate agli dei africani oixàs. Col passare del tempo passò ad indicare il culto vero e proprio ed anche il luogo in cui si
svolgono le celebrazioni, altrimenti detto terreiro. La festa dì candomblé ha per gli adepti lo scopo di mettere in comuni-
cazione l’essere umano con il suo alter-ego divino. Ciò si ottiene mediante lo scrupoloso susseguirsi di ritmi e danze
che “richiamano” gli orixas sino al loro manifestarsi nella trance degli adepti.
Gli orixàs hanno una personalità ben precisa che si esprime anche attraverso la danza, sempre riconoscibile. Questi dèi
formano un vero e proprio olimpo africano dove il creatore supremo è un dio lontano dagli uomini, Olorum, che manda
i suoi intermediari sulla terra. In Africa queste divinità erano venerate in luoghi diversi, ma in Brasile il luogo di culto è
stato unificato. Gli stessi orixàs che in Africa erano divinità familiari tramandate per via paterna, e sparse su tutto il ter-
ritorio diventano in Brasile divinità personali, raccolte in un unico luogo. La divinità personale è stabilita dalla sacerdo-
tessa o dal sacerdote – mae de santo, pai de santo – mediante una seduta divinatoria. Si consultano gli dèi utilizzando
delle conchiglie-cauri. Una volta stabilito l’orixà, l’esperta rituale prepara una collana di perle di ceramica con i colori
associati alla divinità in questione. Dopo il trattamento il filo di perle diviene, per l’adepto, un prezioso oggetto persona-
le che protegge e guida chi lo indossa partecipando dell’axé, la forza del dio al quale è stato consacrato.

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