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I METODI ETNOGRAFICI

Nel corso della storia vi furono 3 principali metodi di ricerca etnografica: 1) l’antropologia da tavolino, 2)
l’antropologia da veranda 3) ricerca sul campo.

Nell’Ottocento la prima tipologia di antropologo era un accademico o studioso che lavorava nel proprio
studio senza esplorare luoghi lontani ma leggendo i resoconti di altri esploratori, missionari, o funzionari
dello Stato che documentavano ciò che vedevano nelle colonie per poterne avere il controllo. I resoconti
inizialmente non erano stesi da persone con una preparazione scientifica; infatti, spesso erano
accompagnati da mediatori per poter tradurre la lingua delle popolazioni per cui si nutriva interesse. Tra gli
antropologi da tavolino vi erano gli esponenti della scuola ottocentesca che si ispirava alla concezione
evoluzionista di Charles Darwin con la “Teoria dell’evoluzione”. Ma mentre lui argomentò sull’evoluzione
biologica, la selezione naturale e l’adattamento all’ambiente, gli evoluzionisti della scuola antropologica
trasportarono gli stessi concetti nell’ambito culturale. L’evoluzionismo si contrapponeva al creazionismo (gli
uomini siano stati creati così come sono, senza alcuna evoluzione)

Edward Burnett Tylor, colui che diede la definizione di cultura nel suo scritto “Primitive culture” del 1871,
fu il massimo rappresentante della scuola evoluzionista ottocentesca. Secondo Tylor l’evoluzione partiva da
una concezione vicina alla natura per poi accogliere i processi evolutivi culturali, teoria denominata
“evoluzionismo culturale unilineare”. Egli sosteneva che tutti possiedono una cultura, ma che esistano
diversi stadi di sviluppo culturale che ogni società deve attraversare per raggiungere la civiltà: 1) come
primo step si è “selvaggi”, considerato lo stadio culturale di gruppi cacciatori o raccoglitori; 2) “barbari”,
considerato lo stadio culturale di allevamento animale o coltivazione delle piante ma senza scrittura e senza
uno stato; 3) “civiltà”, ovvero una società con scrittura e organizzazione statuale. Secondo Tylor il popolo
più evoluto erano i britannici e l’Europa moderna, mentre altre culture dovevano passare attraverso i vari
step per arrivare alla civiltà moderna. Era un percorso progressivo quindi che portava all’apice
rappresentato da chi ha costruito la medesima scala progressiva. Quindi il progresso è pensato in funzione
dell’evoluzione sociale e culturale verificata in un’unica scala nel quale non si possono avere percorsi
differenti (per tale ragione è un evoluzionismo unilineare). Essendo il colonialismo il contesto storico si
ebbe un maggior interesse per i popoli incontrati, si ebbe il desiderio di legittimare la conquista coloniale
stessa affermando che il popolo conquistatore era colui all’apice del grado evolutivo.

2)antropologia da veranda: è quell’antropologia nel quale il ricercatore si recava nel luogo di interesse, ma
restava all’interno del proprio avamposto, incontrando i collaboratori per le interviste fuori dal loro
ambiente quotidiano, togliendo quindi la naturalezza alla situazione e senza poter esaminare con i propri
occhi le informazioni ricavate. Inoltre, non imparavano la lingua ma comunicavano con i collaboratori
solamente attraverso mediatori linguistici.

3)RICERCA SUL CAMPO: La ricerca sul campo è un metodo di ricerca etnografico che si è sviluppato tra la
fine dell’800 e l’inizio del 900 soprattutto nel Nord America. La ricerca etnografica sul campo è un
prolungato periodo di stretto coinvolgimento con le persone di cui l’antropologo desidera studiare i modi ti
vita. L’antropologo vive insieme al gruppo sociale di interesse per entrare in contatto con loro e raccogliere
direttamente con i propri occhi le informazioni sui loro modi di vivere. La ricerca sul campo produce buona
parte di ciò che gli antropologi riescono a conoscere delle persone che vivono in altre società.

Gli antropologi decidono già durante gli studi universitari dove e su quali tematiche desiderano effettuare le
proprie ricerche, ma ottenere dei permessi ufficiali implica persuadere l’università locale che il proprio
lavoro non verterà su questioni politicamente sensibili. Per tale ragione non tutte le ricerche riescono ad
ottenere dei finanziamenti, per cui alcuni antropologi pagano di tasca propria le loro ricerche.

La ricerca sul campo produce anche degli effetti sul ricercatore.Non è raro che i ricercatori si sentano
sopraffatti durante la loro permanenza sul campo, ma con il tempo cominciano ad adattarsi , imparano la
lingua , capiscono le usanze e cosi via Alcuni antropologi affermano che ciò che caratterizza la ricerca sul
campo nelle prime fasi è lo shock dell’alterità, lo shock culturale, per tale ragione alcuni raccontano di
essersi rifugiati nella lettura le prime settimane. Ad esempio il manuale racconta di come Charles e Bettylou
Valentine svolsero la ricerca sul campo in un quartiere povero del Nord america, chiamano “blackston” nel
quale vissero con un quarto del loro reddito regolare, con cibo diverso e senza acqua calda, facendoli
provare un senso di spaesamento fisico e mentale; racconta inoltre di come Philippe Bourgois , professore
di antropologia, fosse interessato al commercio di droga in un quartiere di New York City chiamato “el
barrio” e una volte lì dovette adattarsi all’ostilità della polizia e alla violenza degli spacciatori.

La ricerca sul campo produce degli effetti anche sugli informatori. Molte persone trovano inconsueta la
ricerca etnografica nel campo in quanto qualcuno spunta all’improvviso nella comunità e dichiara di essere
interessato al loro modo di vita per poi passare tutto il tempo a osservare, a parlare con le persone e
prendere appunti. Spesso inoltre la presenza e le domande dell’antropologo hanno prodotto negli
informatori nuove forme di consapevolezza. Ad esempio Paul Rabinow durante la sua esperienza in
marocco chiese al collaboratore malik di compilare un elenco delle proprie proprietà terriere nel villaggio e
accorgendosi che in confronto al sistema di classificazione di rabinow non era povero come pensava di
essere ebbe una nuova consapevolezza della propria ricchezza. o Bettylou valentine scoprì che prima della
pubblicazione dei suoi scritti alcuni collaboratori non gradivano ciò che aveva scritto su di loro, ad esempio
a una donna preoccupava che se i dati relativi alle sue attività illegali sarebbero stati pubblicate tutti i suoi
amici e parenti lo sarebbero venuti a sapere specificando che l’importante era che il libro fosse distribuito
lontano dai suoi familiari.

La ricerca sul campo è il periodo in cui gli antropologi raccolgono la maggior parte dei dati. Raccolgono i dati
effettuando interviste, osservando e somministrando sondaggi. Non basta però prendere appunti, in
quanto devono trasformarsi in note da campo, di conseguenza gli antropologi trascorrono molto tempo
davanti ai propri appunti , scrivendo annotazioni per renderla il più possibile coerente. Al giorno d’oggi
esistono manuali molto utili che gli etnografi possono consultare per trovare aiuto nell’elaborazione delle
note da campo. Quindi l’etnografo raccoglie informazioni, le mette per iscritto, ci riflette, le analizza e
riporta nuovi interrogativi per essere fare interpretazione più accurate. Per tutto il secolo scorso sono state
riviste le idee degli antropologi su come sarebbero dovute essere le etnografie: quanto dovessero essere
lunghe , quali tipi di dettagli dovessero contenere. Gli etnografi cercano modi efficaci per includere nei
propri testi una molteplicità di punti di vista oltre il proprio. Secondo Harry Wolcott ciò che rende
l’esperienza della ricerca sul campo diversa e la trasforma in etnografia non è il raccogliere dati ma ciò che
gli antropologi fanno con i dati, ad esempio produrre generalizzazioni su come l’essere umano si comporti
in un determinato luogo e società

Ma gli antropologi non si affidano solo alla raccolta di dati, infatti sfruttano l’”osservazione partecipante”.
Ovvero una tecnica di ricerca etnografica incentrata sulla prolungata permanenza e partecipazione alle
attività del gruppo sociale studiato da parte del ricercatore. Metodo reso celebre da Bronisław Malinowski.
l’osservazione partecipante infatti sembra il miglior metodo per giungere a una comprensione olistica della
cultura. Dal momento che i mondi virtuali stanno diventando sempre più popolari nel mondo gli
antropologi hanno cominciato a studiare anche loro. Uno degli studi meglio riusciti è “ coming of age in
second life” di Tom Boellstord che afferma che i mondi virtuali sono luoghi della cultura umana e possono
essere studiati nello stesso modo in cui un antropologo culturale studia qualsiasi altro luogo, attraverso
l’osservazione partecipante.

La dialettica della ricerca sul campo è molto importante in quanto durante le conversazioni si rischia di
offendere i propri collaboratori equivocando i loro stile di vita. l’antropologo Michael Agar usa l’espressione
“punti ricchi” per definire i momenti inattesi in cui emergono problemi nella comprensione interculturale.
Per agar i punti ricchi sono la materia prima dell’antropologia in quanto grazie alle incomprensioni si può
raggiungere una nuova consapevolezza. Racconto a proposito di quando in india organizzò di spostarsi di
villaggio insieme al collaboratore che aggiunse un pezzo di carbone al suo pranzo affermando che nel
villaggio a metà giorno gli spiriti erano particolarmente attivi e che il carbone veniva considerato un
repellente . Il filosofo francese Paul Ricoevr affermò che per l’antropologo sul campo il compito
dell’interpretazione è arrivare a comprendere il se culturale passando attraverso la comprensione dell’altro
culturale .Questo processo di comprensione tra se e l’altro è ciò che paul rabinow definisce la dialettica
della ricerca sul campo

Un altro esempio di punto ricco fu Daniel bradburd e sua moglie anne sheedy che si recarono negli anni 70
in iran per vivere insieme a un popolo di pastori nomadi , i komachi, per comprendere quando e perché
decidevano di muoversi. Un giorno decisero di partire per sistemarsi più vicino al villaggio ,ma al giorno
della partenza nessuno si mosse a causa del ruz aqrab , il giorno della costellazione dello scorpione, la
costellazione. Poiché secondo i komachi portava sfortuna muoversi nei giorni in cui lo scorpione si sarebbe
congiunto con la luna nascente.

Molti antropologi pensano che il proprio motto dovrebbe essere che l’informatore ha sempre ragione. Ma
paul rabinow racconta di quando l’informatore gli chiese di accompagnarlo a un matrimonio nonostante
fosse malato dichiarando che si sarebbero trattenuti poco, ma così non fu. Al ritorno ali disse a rabinow che
se fosse stato scontento si sarebbe sentito insultato e sarebbe tornato a piedi , perciò rabinow contradetto
arrestò la macchina, pensando di aver mandato a monte la sua amicizia con ali. Ma egli riteneva che se
l’informatore avesse sempre ragione l’antropologo diventerebbe una non persona. fortunatamente dopo
delle scuse il loro rapporto oltre che ristabilito si rafforzò, apprendendo che gli uomini in marocco si
mettono alla prova perché ritengono che un uomo che accetta tutto sia debole.in definitiva gli incidenti
nella comunicazione tra gli antropologi e i loro informatori possono portare a un ampliamento della
comprensione reciproca.

La ricerca sul campo può essere anche multisituata o come la denominò Donna Haraway “posizionamento
mobile”. Molti antropologi conclusero che le loro conoscenze etnografiche sarebbero state incomplete se
avessero circoscritto la ricerca ad un unico contesto anche essendo fedeli alla prospettiva rilessiva. Per tale
ragione gli antropologi cominciarono ad integrare le loro raccolte di dati con ricerche di archivio che
consentivano loro di situare storicamente le società con cui entravano in contatto e non richiudere la
ricerca ad un solo luogo ma ampliarla per poter conoscere più punti di vista. Muovendosi da un luogo
all’altro gli etnografi sono stati in grado di sviluppare prospettive multiple sulla propria ricerca attraverso
informazioni proveniente da vari siti per poi unirli in un unico studio. Philippe Burgois uscì dal contesto
spagnolo per arricchire l’osservazione con una ricerca sulla storia di quel quartiere.

Quindi riassumendo , la ricerca sul campo consiste nell’andare a vivere nel luogo in cui vive il gruppo
umano di interesse, attraverso un osservazione diretta, convivere con loro per un lungo periodo, parlare la
lingua locale senza interpreti e partecipare alla loro vita quotidiana vivendo insieme a loro e studiando e
comprendendo tutti gli aspetti della loro cultura.(principio olistico)

MALINOWSKI

Uno dei primi a compiere un’autentica ricerca sul campo per osservare e studiare un popolo lontano fu
Bronislaw Malinowski. Branislaw Kasper Malinowski nato in Polonia, precisamente Cracovia, nel 1910 si
trasferì a Londra per studiare antropologia alla London School of Economics and Political Science. Nel 1914,
si recò a Melbourne, in Australia,per un congresso ma allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, essendo
polacco e di conseguenza cittadino dell’impero austro-ungarico, quindi nemico degli inglesi, egli fu
trattenuto in Australia. Nonostante ciò, le autorità locali gli permisero di compiere alcune ricerche
etnografiche e lui ne approfittò per passare due anni nell’arcipelago delle isole Trobriand, nella costa
orientale della Papua Nuova Guinea.
Grande svolta fu il fatto che Malinowski rimanendo a lungo nelle isole Trobriand imparò la lingua ed evitò
l’accompagnamento dei mediatori linguistici, al contrario degli antropologi da veranda che erano
accompagnati da mediatori che traducevano il pensiero di un popolo in un’altra lingua e che alle volte
richiedeva più di un passaggio di traduzione causando spesso errori nella trascrizione del pensiero del
collaboratore o nella raccolta di dati. Un’altra svolta fu il suo vivere direttamente dentro il villaggio insieme
al popolo d’interesse piuttosto che vivere distante da loro evitandone il coinvolgimento.

Vi sono varie fotografie di Malinowski durante questo periodo che dipingevano momenti di vita quotidiana
insieme ai cosiddetti “indigeni”. Al giorno d’oggi le stesse foto sono oggetti di studio dell’antropologia
contemporanea poiché certamente mostravano il tentativo di Malinowski di mostrare agli europei il suo
stretto contatto con quelle popolazioni, ma attraverso lo sguardo di questo secolo si può notare come da
una parte vivesse insieme agli indigeni ma dall’altra si distinguesse nettamente nel modo di vestirsi, in
quanto vestiva di bianco, nelle posture che assumeva e in altri fattori che sembravano indicare il non essere
alla pari degli altri papuani ma di appartenere ad un’altra cultura, mostrando di conseguenza livelli di
potere.

La ricerca sul campo di Malinowski era accompagnata dalla cosiddetta “osservazione partecipante”, ovvero
vivere in mezzo alla popolazione d’interesse e descrivere i loro modi di vivere partecipando ed essendo
presente nella loro vita.

Nel 1922 Malinowski, tornato in Europa e conseguito il dottorato in antropologia, iniziò l'attività di
insegnante nella stessa London School of Economics. Pubblicò, nello stesso anno, “Argonauti del pacifico
occidentale” che ebbe un successo tale da portare la fama dell'etnologo a livelli mondiali. Gli argonauti
erano un gruppo di eroi che in una famosa narrazione della mitologia greca viaggiarono a bordo di una nave
denominata Argo alla riconquista del vello d’oro (curava ogni ferita). In questo scritto illustra il proprio
metodo di ricerca, soprattutto nella parte introduttiva nel quale esplicita chiaramente i motivi della sua
ricerca, quali erano i suoi obiettivi principali e da chi desiderava differenziarsi. Raccontò di come avesse
vissuto nell’arcipelago per due anni acquisendo una profonda conoscenza della lingua senza l’aiuto di alcun
tipo di mediatore e vivendo da solo nei loro villaggi, di conseguenza avendo l’esempio diretto della vita
quotidiana degli indigeni. Nella sua prefazione si possono notare tutti gli aspetti principali della modalità
moderna di condurre ricerca sul campo, tutti elementi che mostrano come Malinowski fosse padre
dell’etnografia moderna.

L’obiettivo generale di Malinowski fu la speranza di raggiungere una nuova immagine dell’umanità


selvaggia, in quanto viveva in un’epoca nel quale si aveva una determinata idea del selvaggio che
corrispondeva all’incapacità di leggere, all’essere primitivi, governati dalle passioni e senza regole. Per tale
ragione affermò “la necessita di un lavoro intenso è urgente e il tempo è breve”. L’idea del selvaggio venne
distrutta dalla sua ricerca sul campo in quanto dimostrò che la scienza moderna mostrò che anche quei
popoli erano regolati da regole interne e che le loro istituzioni avevano delle organizzazioni precise tra cui
riti e costumi, di conseguenza niente di diverso dai popoli moderni.

Oltre a questa critica del modo di porsi all’apice occidentale e la volontà di decostruire l’immaginario degli
stati coloniali che presentano l’alterità come selvaggio solo per legittimare le proprie conquiste e i loro
metodi violenti di conquista , Malinowski nel suo libro propone un obiettivo scientifico nel quale spiega che
una elle prime condizioni di un lavoro etnografico accettabile è che tratti dell’insieme di tutti gli aspetti della
comunità: sociali, culturali e psicologici poiché ritiene che essi siano strettamente legati fra loro. Malinowski
si approccia quindi con un metodo scientifico mettendo le basi dell’etnografia moderna come scienza,
definito un approccio funzionalista, ovvero che per comprendere come funzioni una società bisogna
analizzarla in tutti i suoi aspetti. Questa metodologia era basata sul principio olistico (dal gr.Holos=tutto)
ovvero la necessità di studiare tutti gli aspetti di una cultura in quanto strettamente collegati. Il suo libro
attirò un largo pubblico al suo ritorno in quanto devastato dalla guerra l’esotico nell’immaginario comune
consentiva l’evasione da quella situazione. Venne apprezzato non solo nell’ambito antropologico ma anche
nell’ambito scientifico per il rigore nel presentare i risultati delle sue ricerche.

MARGARET MEAD

L’antropologa statiunitense Margaret Mead fu allieva di uno dei pionieri dell’antropoogia moderna, Franz
Boas. Egli imponeva ai suoi studenti la ricerca sul campo, infatti Margaret Mead nel 1925 si recò in erasmus
a Ta'ū, isola samoana (stato insulare dell'Oceania). margaret si occupò e concentrò su un aspetto diverso,
ovvero l’adolescenza , una fase della vita che nel nord america era considerato come fortemente
complicato. La sua ricerca consisteva nel verificare se il disagio adolescenziale fosse naturale e quindi
avesse un origine biologica o fosse appreso e quindi avesse origine culturale. Margaret mead aveva
l’obiettivo di sfatare il cosiddetto determinismo biologico, ovvero il concetto che il comportamento di un
persona sia determinato dai propri geni. La mead studiando il rapporto tra la cultura e personalità, aveva
come oggetto di studio anche i ruoli di genere e come l’idea di mascolinità e femminilità fossero modellate
dalla società, infatti si chiese se la personalità di un ragazzo/a fosse strettamente legata agli schemi culturali
e se quindi anche le forme di educazione che si ricevono e il genere non fossero naturali ma una
costruzione culturale. Per tale ragione fu considerata iniziatrice degli studi sulla differenza di genere

Vivendo nelle isole di Samoa conobbe altri modelli educativi , processi di socializzazione e modi di pensare
all’uomo e la donna completamente diversi rispetto al Nord america. Scoprì che le ragazze samoane
godevano di una libertà sessuale incomprensibile per il nord america degli anni 20 . Successivamente si
trasferì nell’isola di Manus ,nuova Guinea ,alla ricerca di popolazioni che si distaccassero dai modelli
convenzionali trovandone ben tre: gli arapesh,i mundugumor e i ciambuli. Tra gli arapesh notò che
entrambi i sessi mostravano un temperamento pacifico, tra i mundugumor entrambi i sessi presentavano
un temperamento aggressivo mentre tra i ciambuli i ruoli risultavano invertiti rispetto agli standard
occidentali nel quale le donne possedevano una presunta superiorità rispetto agli uomini. Conclusione fu
che i ruoli di genere non fossero universali.

Ciò rafforzò la prospettiva del relativismo culturale, l’idea che bisogna vivere con una comunità per poterla
comprendere e che determinati modelli educativi creino determinati uomini e donne. Mead notò che la
vita sessuale e gli schemi educativi erano notevolmente differenti, e questo la portò a fare delle
considerazioni che noi oggi riteniamo scontante ma ai loro tempi sconvolse il quadro della ricerca in quanto
si riteneva che la sessualità fosse qualcosa che si aveva per natura. Per tale ragione al suo ritorno quando
pubblicò nel 1926 il libro intitolato “coming of age in Samoa “e nel 1935 “Sesso e temperamento” che
segnarono la visione dell’alterità, ci furono dei dibattiti. Ancora oggi l’opinione pubblica è divisa fra chi
supporta le idee condivise dalla Mead che confermano l’influenza del condizionamento sociale nel
plasmare gli individui e chi la critica per aver basato le proprie conclusioni su un campione limitato di
soggetti (68), una poca conoscenza della lingua e una breve permanenza. Il dibattito si insaprì quando
L’antropologo neozelandese Derek Freeman visitò le isole samoane come insegnante con lo specifico scopo
di ritrovare le persone intervistate dalla Mead e verificarne gli scritti .Freeman descrisse incongruità tra la
sua esperienza in Samoa e gli scritti della Mead, nelle sue conclusioni asserì infatti che la Mead fosse stata
ingannata , presa in giro,da alcune sue compagne sulla vita samoana, in particolare sulle esperienze
sessuali, portandola a conclusioni errate sull'influenza culturale e sul ruolo della biologia negli individui.
Freeman offri alla Mead di leggere le sue ricerche prima che venissero pubblicate, ma Margaret Mead
malata di cancro morì pochi mesi dopo aver ricevuto i documenti senza averli letti.

FRANCIA, GRIAULE- LEVI STRAUSS

Nel contesto francese vi erano solo antropologi da tavolino fino agli anni 30 quando il governo francese
decise di finanziare una ricerca sul campo, una missione etnografica e linguistica diretta dall’antropologo
Marcel Griaule di due anni , la cosiddetta Dakar-Gibuti, in quanto cominciava nella costa occidentale dell’
africa (dakar, capitale del senegal) e terminava nell’oceano indiano, quindi dalla parte opposta (gibuti)
attraversando le colonie francesi. Questa missione nonostante fosse finanziata per l’antropologia aveva una
finalità di carattere politico economico, infatti aveva gli scopi precisi di raccogliere oggetti etnografici nei
vari villaggi per poter arricchire la collezione di un museo etnografico di Parigi. Vi sono tante informazioni di
questa missione grazie alla partecipazione dello scrittore francese Michel Leiris che scrisse un libro
intitolato “ africa fantasma” come un diario descrittivo su come operavano nel campo e sullo svolgimento
della missione.

Griaule tornò in africa varie volte , scrisse molte opere tra cui le “masques Dogons”(1938).Nella
cultura Dogon la maschera era uno strumento religioso su cui si imperniavano i riti funebri, era il supporto
per l'anima del defunto che ne assorbiva l'energia vitale per ridistribuirla nel mondo, e lo congedava prima
del suo lungo viaggio verso il regno degli antenati. Naturalmente le maschere di dogons oggi sono un
elemento folcloristico, e ironia della sorte per sapere quale fosse il loro modo di pensare all’ inizo 900
sono costretti a leggere i libri antropologici di marcel griaule, poichè essendo passato tanto tempo ne
hanno perso la memoria. Fra le opere che hanno avuto più successo vi è “dieu d’eau”(1948) (dio
dell’acqua),una vera e propria intervista a un anziano cacciatore cieco di nome Ogotemmeli che racconta
tutto sui dogons . Griaule ritenne di esser stato incluso dentro questa concezione del mondo ristretta
all’élite dei dogon , ma nonostante ciò molti studiosi si chiesero se veramente fosse una concezione dogons
, o sapendo chi fosse griaule e vedendo questo interesse cambiarono la propria versione. Quindi è
importante sapere il contesto e non vedere mai l’altro come passivo , quindi il rapporto è intersoggettivo.

Un altro antropologo francese fu Claude levi Strauss che scrisse un saggio intitolata “Tristi tropici” nel 1955
come un’autobiografia di viaggio nel quale raccontava le sue esperienze in Brasile. Egli fu padre dello
strutturalismo francese in quanto cercò di studiare la struttura che regolava i modi di vivere delle comunità
nei quali si recava, come l’amazzonia nel 1936. Egli in quest’opera si chiedeva cosa ci facesse in quella
situazione o cosa più importante chi o che cosa aveva cambiato la sua vita fino a farlo arrivare a quel punto.
Fu un’opera molto importante in quanto negli anni 50-60 finiva il processo coloniale e tutti i popoli
colonizzati si ribellavano a coloro che li avevano colonizzati. Quest’opera inoltre unisce nel titolo l’elemento
del tropico che nell’immaginario europeo rappresentava l’esotico e la tristezza della convinzione della
civiltà occidentale di essere nobilitati per portare la civiltà. Infatti strauss critica L’ipocrisia
dell’atteggiamento del mondo occidentale, soprattutto dopo l’uso di armi e violenza per il controllo delle
risorse locali e nell’ultimo capitolo autore riflette sui motivi che spingono l'etnologo a spostarsi migliaia di
chilometri lontano dalla propria cultura di formazione

ERNESTO DE MARTINO

Anche in Italia vi fu il padre dell’antropologia moderna, Ernesto de Martino di orgine napoletana che
insegno anche all’università di Cagliari. Egli non si recò in luoghi lontani ma studiò l’alterità più vicina
conducendo i suoi studi nel sud italia. Il contesto fu quello del post seconda guerra mondiale e della nascita
di una nuova repubblica per costruire una società unita. Nonostante ciò l’italia era ancora divisa tra nord e
sud .L’attenzione da parte delle scienze sociali era rivolta alle masse rurali e contadine del sud che
desideravano la fine della condizione di inferiorità nel quale si ritrovarono. Le ricerche condotte da de
martino furono per lo più a salento e lucania(regione storica che corrisponde alle vicinanze di potenza e
matera .Fra le sue opere più famose vi sono il saggio “sud e magia” del 1959 nel quale si chiede quanto la
cultura di quei luoghi sia ancora assoggettata al pensiero magico e “ la terra del rimorso”, la sintesi delle
sue ricerche sul campo.

Innovativo nelle ricerche di De Martino fu l'approccio multidisciplinare, che lo portò a non condurre le sue
ricerche da solo ma a costituire un'équipe di ricerca etnografica formato da uno psichiatra, una psicologa,
un'antropologa culturale, un etnomusicologo, un fotografo e dalla consulenza di un medico. Ernesto de
martino affermava di entrare nelle case dei contadini pugliesi come un cercatore delle umane dimenticate
istorie e per essere partecipe nella fondazione di un mondo migliore in cui i migliori erano tutti.
Durante questo periodo di interessò particolarmente al fenomeno del tarantismo pugliese, dal termine
tarantola che a sua volta prese il nome dalla città di Taranto , poiché secondo le fonti storiche erano insetti
particolarmente diffusi nella città .Era un fenomeno legato secondo la tradizione pugliese a una puntura di
una tarantola che comportava una patologia (tarantismo) considerata come forma di isteria il quale
antidoto era un rituale di tre giorni ben preciso composto da un gruppo di persone che suonavano
strumenti musicali e danzavano la tarantella, ovvero l’imitazione del ragno ,costringendo il ragno a danzare
sino a stancarlo, schiacciandolo con il piede che percuote violentemente il suolo come se lo si stesse
schiacciando il ragno.

Ernesto de martino viene ricordato inoltre per il suo etnocentrismo critico : ovvero lo scandalo o
paradosso dell’incontro etnografico è che costringe alla duplice tematizzazione ,sia della storia propria che
di quella altrui . di conseguenza l’incontro etnografico costituisce l’occasione per un radicale esame di
coscienza .cioè l’antropologo incontra un modo di vivere diverso entrando addirittura in crisi , e costretto
per potere comprendere l’altro a riflette sui proprio schemi , modelli culturali e quindi attraverso l’altro
guardare se stesso , diventa uno specchio attraverso il quale poter riflettere su se stessi e per poter arrivare
a una comprensione anche dei propri modelli culturali .Quindi la diversità si può trasformare in una risorsa,
diventa un processo riflessivo che l’individuo occidentale attua su di sé, criticando per l’appunto la propria
visione

LA DECOLONIZZAZIONE E LA SVOLTA RIFLESSIVA

L’etnocentrismo critico riconduce alla decolonizzazione e la svolta riflessiva fra gli anni 60-80, nel quale i
popoli colonizzati pian piano riescono ad ottenere la propria indipendenza e l’antropologia affronta uno
stravolgimento dei metodi di ricerca.

La prospettiva positivista era il metodo tradizionale per studiare tra il 19/20 e aveva l’obiettivo di osservare
e studiare scientificamente il mondo. Una caratteristica del positivismo è la convinzione secondo cui si
possa usare un unico metodo scientifico per investigare qualsiasi aspetto della realtà unificando tutta la
conoscenza scientifica in una “teoria del tutto”. La prospettiva positivista desiderava produrre una
conoscenza oggettiva della realtà per ogni epoca o luogo. l’etnografia positivista esigeva che gli antropologi
scrivessero sugli esseri umani come se non fossero persone scrivendo come se fossero degli osservatori
invisibili limitati a registrare fatti oggettivi su un modo di vita in cui non erano personalmente coinvolti.

Ma con il tempo gli antropologi cominciarono a scrivere etnografie che mettevano in luce i modi in cui il
loro coinvolgimento con gli altri sul campo aveva contribuito alla crescita di conoscenze diverse sulla stessa
società. Ad esempio Anette Weiner svolse una ricerca sul campo nelle Isole trobriand negli anni 70, molto
tempo dopo quella di Malinowski. La weiner e Malinowski lavorarono in villaggi e periodi diversi. Mentre
Weiner prestò attenzione alla vita delle donne trobriandesi mentre malinowski non scrisse niente a
riguardo. Perciò essi si focalizzarono e analizzarono aspetti diversi.

Gli antropologi iniziarono a considerare i propri informatori come esseri umani a tutti gli effetti, cosi come
iniziarono a vedere se stessi e non più come registratori impersonali. Per questa ragione molti etnografi
contemporanei non usano più la parola informatori ma usano collaboratori. La maggior parte degli
antropologi direbbero che la ricerca sul campo è un dialogo tra gli etnografi e i collaboratori in quanto si
impegnano in conversazioni che sono tentativi collaborativi per capire e classificare le cose e metterle
insieme con criterio. il risultato è una nuova comprensione del mondo che sia antropologo che
collaboratore possono condividere. Perciò i dati raccolti sul campo non sono soggettivi ma intersoggettivi,
sono il prodotto di dialoghi. Per tale ragione al centro della ricerca sul campo vi è la gamma di significati
intersoggettivi che gli informatori condividono.

Questo modo di riflettere è conosciuto come riflessività. Una ricerca sul campo riflessiva continua a tener
conto della raccolta di informazioni ma presta anche attenzione al contesto etnico politico, al retroterra
culturale degli informatori, prende in considerazione una gamma di informazioni contestuali più vasta
rispetto alla ricerca positivista. La conoscenza etnografica, modellata dalla riflessività dell’etnografo va
dunque concepita come disse Donna Haraway una “conoscenza situata”. Situata nel senso che l’etnografo
rende chiaramente esplicita la sua identità ( nazionalità, genere) poiché nonostante sembrino fattori
irrilevanti sono proprio queste tipologie di fattori a definire le modalità di interazione che gli etnografi
saranno in grado di intrattenere con i loro informatori . la riflessività promuove l’esplicito riconoscimento
che qualsiasi resoconto etnografico deve essere concepita come una conoscenza situata. La riflessività
genera ciò che Sandra Harding chiama “oggettività forte” che essa contrappone all’oggettività debole
prodotta dagli approcci positivisti. Di conseguenza vi è una grande differenza tra la prospettiva positivista e
la svolta della prospettiva riflessiva:1) la prospettiva positivista riteneva di poter avere una conoscenza
oggettiva, vera e unica nel quale il campo veniva visto come laboratorio dello scienziato e si pensava
all’antropologo come una presenza invisibile e neutrale che osservava fatti oggettivi; 2) mentre la
prospettiva riflessiva riteneva di avere una conoscenza contestuale e intersoggettiva, frutto di una
relazione dialogica tra soggetti, da un reciproco coinvolgimento nel quale il campo era considerato come un
luogo di costruzione, manifestazione di relazioni sociali e di potere nelle quali è coinvolto sia l’antropologo
che il collaboratore

Vi furono due opere testimoni di questo cambiamento:l’opera di Frantz Fanon “i dannati della terra” del
1961 (nel quale prende conoscenza del significato universale delle rivoluzioni dei popoli coloniali e del loro
avvento come protagonista della nuova storia)e l’opera di Malinowski “ a diary in the strict sense of term”
del 1967. L’opera di Malinowski venne considerata come una sorta di diario segreto in quanto fu un diario
che venne pubblicato in seguito alla sua morte. Questo diario sconvolse il mondo antropologico in quanto
malinowski scriveva le sue opinioni più profonde, mostrava tutte le debolezze che non mostrava in altre
opere, era più autentico e sincero con espressioni etnocentriche.

Ci si chiede se quelle che scrisse nelle altre opere fosse finzione e proprio in questo momento avvenne la
cosiddetta svolta riflessiva. Clifford geertz a tal proposito affermo” il mito dello studioso sul campo simile ad
un camaleonte perfettamente in sintonia con l’ambiente che lo circonda, un miracolo vivente di empatia e
pazienza venne demolito dall’uomo che forse aveva fatto di più per crearlo”. Con questo intendeva che lo
shock etnografico esisteva e non andava nascosto. Questa fu la novità della svolta riflessiva, l’evitare di
nascondere le proprie debolezze e insicurezze, in quanto non esiste l’uomo che può recarsi ovunque senza
averne. A questo punto nacque un dibattito sul fatto che tutte le opere precedenti fossero finzione e venne
messa in discussione la neutralità dell’antropologo in quanto essendo una persona che vive in un
determinato luogo, tempo, classe sociale e con determinate esperienze di vita non possa essere
completamente neutrale, venne enfatizzato al contrario il renderlo esplicito.

George Marcus e James Clifford, antropologi statiunitensi, scrissero a riguardo “Writing Cultures” nel 1986 ,
nel quale si chiesero se la scrittura rifletteva inevitabilmente il contesto istituzionale e politico di chi se ne
avvale e se fosse possibile rappresentare fedelmente e autenticamente culture e realtà diverse dalla
propria? Con quale diritto e quale autorità?. Quindi quest’opera aveva lo scopo di svelare il carattere di
“finzione” dei testi etnografici, in quanto “costruzione letterarie”. Considerando anche le scritture di
malinowski impersonali. Ciò vuol dire che in nessun ambito di ricerca lo sguardo dello scienziato può essere
definito “neutro” in quanto la neutralità è un’illusione ingenua.

Quindi la ricerca sul campo si compie a diretto contatto con le realtà che si studiano: attraverso la
permanenza di lunga durata dell’antropologo sul terreno di ricerca, attraverso l’immersione e condivisione
di pratiche sociali e attraverso il rapporto diretto e il dialogo con le persone che sono protagoniste.

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