Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
[BOZZA]
[PERIODIZZAZIONE]
La storia della lingua italiana indaga com’è cambiato l’italiano nel corso del tempo,
fondamentalmente la disciplina che indaga l’evoluzione della lingua nelle sue componenti
essenziali quali la grafia, la sintassi, il lessico e la morfologia e i suoni nel corso dei secoli.
Ovviamente, questa storia linguistica interna deve essere necessariamente adattata ad una
serie di eventi e circostanze storico culturali e sociali che ne hanno permesso in primis lo
svolgimento ma che in aggiunta appartengono ad una storia della linguistica esterna.
Quando ci addentriamo nell’analisi diretta dell’evoluzione di questi fenomeni e della
conseguente nascita della lingua nelle sue forme e caratteristiche, è importante non adottare
una rigida divisione cronologica in secoli poiché non corrisponde sempre all’effettivo
avvenimento degli eventi linguistici e di sopra può spezzare la continuità degli eventi stessi;
semmai va adottata una periodizzazione schematica che si basa su tre fasi principali e
significative.
[AREE DIALETTALI]
L’importanza e la vitalità dei dialetti nella storia della linguistica italiana deve essere
necessariamente correlata ad una almeno generale distribuzione areale nello spazio
linguistico italiano - di fatto i linguisti hanno individuato tre aree principali caratterizzate da
distinti fenomeni di natura sintattica, morfologica, fonetica e lessicale delimitate da due fasci
di isoglosse [che ricordiamo essere la linea immaginaria che attraverso la congiunzione di
due punti estremi permette la circoscrizione di uno spazio linguistico caratterizzato appunto
da una serie di fenomeni linguistici annessi e determinati]
- [iniziamo dalla linea La Spezia - Rimini che caratterizza al di sopra di essa i dialetti
settentrionali, appunto caratterizzati da fenomeni come la sonorizzazione delle
consonanti occlusive sorde intervocaliche; da formica a formiga; o la
degeminazione/lo scempiamento delle consonanti rafforzate; da gallina a galina e
così via. Quando parliamo di dialetti settentrionali è importante fare una suddivisione
tra dialetti galloitalici, i quali devono la maggior parte delle loro caratteristiche
linguistiche e caratteri al sostrato celtico - quindi i dialetti piemontese, ligure,
lombardo, romagnolo e emiliano - e quelli veneti; di fatto i dialetti galloitalici hanno
preservato le vocali turbate o e u, come nel caso di prova o brutto]
- [passiamo poi alla linea Roma - Ancona la quale suddivide i dialetti mediani e centrali
da quelli meridionali, che ricordiamo essere caratterizzati da fenomeni come la
sonorizzazione delle consonanti sorde precedute da nasale; da dente a dende, da
bianco a biango o da campo a cambo e così via; nonché l’assimilazione di nd in nn
come in andare>annare o mondo>monno. Ulteriori divisioni le poniamo tra dialetti
toscani e sordi, nonché i dialetti meridionali che appartengono agli estremi geografici
della penisola; la fine del tacco con l’estremità della Puglia e la punta con l’estremità
della Calabria e della Sicilia. Di parte sono le parlate del Friuli e della Sardegna che
hanno preservato una certa specificità nella lingua attraverso elementi come la s
finale del latino, le quali le rendono autonome nell’ambito delle lingue neolatine
rispetto ai dialetti italiani]
- [procedendo verso il centro e il sud si incontrano alcune piccole isole alloglotte che
risalgono ad insediamenti di epoche diverse; partiamo dai gruppi slavi in Molise in
provincia di Campobasso con circa 2000 parlanti di dialetto croato, insediatisi dalla
Dalmazia nel 15esimo secolo; albanesi che si sono insediati dal 15esimo al 18esimo
secolo con nuclei a Pescara e Campobasso, Calabria, Sicilia e Palermo con 100mila
parlanti; gruppi di origine greca insediatisi in epoca bizantina con nuclei in Puglia a
Lecce e Calabria con 20mila parlanti; galloromanzi in Puglia in provincia di Foggia e
Calabria con poche migliaia di parlanti di dialetti di tipo provenzale derivanti da
insediamenti in epoca medievale; catalani in Sardegna con 20mila parlanti ad
Alghero come risultato di un nucleo risalente alla deportazione nell’isola di coloni
catalani e infine i galloitalici in Sicilia e Basilicata con dialetti di tipo lombardo in
seguito alle colonie di popolazioni settentrionali nel 12esimo secolo]
Oltre alle minoranze di natura territoriale troviamo anche minoranze linguistiche come
risultato del nomadismo [i dialetti degli zingari] e della diaspora [i dialetti giudeo-italiani]; la
legge del 15 dicembre 1999 ha posto l’obiettivo di tutelare e valorizzare le lingue presente in
Italia da secoli che conseguentemente vengono definite storiche, quindi è una legge rivolta
ai parlanti del francese, franco provenzale, ladino, tedesco, occitano, friulano, sardo, greco,
sloveno, albanese, greco e così via. La legislazione [Gusmani nel 2002 e Bruni nel 2007]
però si è interrogata su questa eventualità mostrano delle perplessità a riguardo, non solo
non permettendo conseguentemente di tutelare le minoranze storiche e in contemporanea di
accogliere le nuove minoranze dovute ai continui flussi di immigrazione in Italia dagli anni 70
del 900 - flussi che hanno contribuito all’introduzione di lingue dai paesi nordafricani e
africani, la Cina, il Sud America, le Filippine, L’Europa dell’est, l’India e lo Sri Lanka; la cui
varietà pone un accento sulla problematica di un’inclusione multilinguistica, multietnica e
multiculturale omogenea. Il sistema scolastico italiano si è proposto di creare un ambiente
favorevole alla crescita di queste culture ed identità linguistiche con una dovuta
preparazione data anche agli insegnanti.
[I CONFINI DELL’ITALIANO]
I confini linguistici dell’italiano sono ben diversi da quelli politici, fuori dallo Stato Italiano la
lingua italiana è lingua ufficiale solo in Svizzera, nel Canton Ticino e nei Grigioni ma nella
Confederazione elvetica troviamo altre varietà, tra cui l’italiano elvetico - che è una varietà
prevalentemente scritta della burocrazia e dell’amministrazione federale che presenta delle
caratteristiche di natura morfosintattica e lessicale [tra gli elvetismi noi ricordiamo azione
come offerta speciale o papeteria come cartolibreria] - e successivamente l’italiano di
immigrati provenienti dall’Italia, l’italiano parlato nella Svizzera germanofona nei contesti
dove lavoratori italiani comunicano con immigrati di altre nazionalità nonché le varietà
dialettali presenti rispettivamente nel confine sud orientale della Francia fino a Nizza con le
varietà italoromanze e al confine orientale con la Croazia e la Slovenia dove vi sono varietà
dialettali venete; concludiamo con la lingua ufficiale del principato di Monaco che è il
monegasco che altro non è che una varietà ligure o il corso che è stato ufficialmente
riconosciuto come lingua regionale di Francia nel 1974 e che rientra nei dialetti italiani
mediani. La questione dell’italiano diviene intricata quando intravista nella sua complessità di
lingua all’estero e lingua di emigrazione dal nostro paese ad altri dell’Unione Europea e nel
mondo, con circa 26 milioni di persone tra il 1876 e il 1976; questo perché l’evoluzione della
lingua in questo contesto ha risentito di una competenza evidente nei dialetti ma una
conoscenza passiva della lingua unitaria tramandata nei decenni, conseguentemente le forti
identità e connotazioni dialettali nel tempo hanno perso prestigio con le nuove generazioni
che hanno invece prediletto la lingua del paese ospitante. Al di fuori di ciò l’italiano è anche
lingua ufficiale e di lavoro nelle istituzioni comunitarie dell’Unione Europea, ma l’italiano della
legislazione comunitaria è comunque una lingua d’arrivo rispetto alle lingue delle
documentazioni ufficiali quali l’inglese e il francese, lingue nei quali i documenti sono redatti
e tradotti poi in altre lingue.
[ITALIANO E FIORENTINO]
La periodizzazione che abbiamo adottato ha messo in rilievo i caratteri fondamentali della
linguistica italiana, sintetizzando il tutto potremmo dire che l’italiano si è formato sulla base di
un volgare locale definito il fiorentino che ha acquisito rapidamente prestigio e
riconoscimento a seguito della grande produzione letteraria che lo ha accompagnato,
pensando ora alle famose tre corone di Dante, Petrarca e Boccaccio. Il volgare fiorentino
conseguentemente si impone durante il 300 e grazie ad una norma linguistica adottata nel
500 diviene in Italia la lingua letteraria comune senza un necessario sostegno politico.
Intravedendo le vicende storiche che hanno permesso al fiorentino di prevalere sugli altri
volgari della penisola, possiamo suddividere il tutto in circostanze - anche se il fiorentino di
principio parte in vantaggio vista la sua posizione geografica mediana
- [circostanze esterne, in vista della popolarità e prosperità di Firenze sulle altre città
della Toscana nonché la propria fortune economica e politica verso gli ultimi anni del
200; che hanno determinato la diffusione dei propri prodotti culturali]
Visti i punti di forza del fiorentino trecentesco in correlazione alle altre parlate della penisola
e perché ha visto il suo grande successo e prestigio, è importante notare quale sia la
concordanza tra l’italiano e il fiorentino trecentesco e perché si differenzia da altri esiti
linguistici appartenenti a diverse aree dialettali? Vedendone alcune
[CARATTERI DELL’ITALIANO]
Una delle marche e caratteristiche tipiche dell’italiano è la letterarietà che ne ha
caratterizzato la storia, vanno però delineati due aspetti differenti della stessa storia ossia la
differenza tra la storia della lingua poetica e la lingua della prosa - di fatto la lingua poetica e
in particolare il genere lirico appariva già stabilito ed unificato verso la fine del 300 sulla base
di un modello raffinato e circoscritto dall’ulteriore presenza ed influenza di Petrarca, che ha
mantenuto la sua essenza inalterata fino al 800; con un’ulteriore patrimonio di forme
specifiche nell’insieme della grammatica della poesia che l’hanno altamente differenziata
dalla prosa. L’unità della prosa invece che doveva assolvere ad una pluralità di funzioni si
sviluppa molto più lentamente rispetto alla poesia a livello letterario di principio, quindi ancor
più lentamente nell’adattamento nei testi pratici e tecnici. Tralasciando la prosa, dobbiamo
anche ricordare che l’italiano si è codificato ufficialmente nel 500 sulla base di modelli
letterari quali Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa ed è sicuramente divenuto
parte della cultura d’Europa, ma la controparte comprende la grande faticosità che la nostra
lingua ha incontrato negli impieghi non letterari ma pratici e scientifici - e da qui nasce una
richiesta di rinnovamento linguistico formulata verso il 700 da parte di intellettuali illuministi e
nei primi anni dell’800 avviene una constatazione; la quale occupava maggior parte delle
riflessioni di Alessandro Manzoni sulla lingua; secondo la quale l’italiano necessitava di
termini unitari per designare oggetti appartenenti alla sfera quotidiana, alla vita domestica e
a usi pratici poiché una caratteristica peculiare è proprio la presenza di geosinonimi che
sono vocaboli che designano lo stesso oggetto ma in una vasta terminologia sulla base
dell’area geografica [rappresenta appunto una conseguenza diretta della nostra storia
linguistica ma è in regresso, basti pensare alle parole ometto o attaccapanni in settentrione
ma gruccia in Toscana]
[ITALIANO E DIALETTI]
Come detto precedentemente, la storia della lingua italiana è stata profondamente segnata
dal fatto che almeno prima dell’unificazione politica sia stata prevalentemente una lingua
scritta mentre per la conversazione parlata e viva - almeno nelle aree non toscane - si
faceva ricorso ai dialetti, anche per le classi colte. Nonostante ciò in molte situazioni
venivano utilizzate delle pure forme ibride tra dialetti italianizzati e italiano, che divenivano
necessarie nel momento in cui si conversava con parlanti di regioni diverse o stranieri, dato
che l’italiano orale era il modo migliore per comunicare; di sopra, la competenza passiva
dell’italiano quindi la comprensione di testi pronunciati, letti o recitati in lingua appare oggi
ben più diffusa in passato di quanto si pensasse. Indipendentemente da ciò, solo dopo
l’unificazione politica si sono create le condizioni sociali e culturali necessarie per permettere
all’italiano poco più di un secolo a passare da lingua degli scritti a lingua parlata della
nazione. Le conseguenze inerenti alla storia della lingua italiana sono presenti tutt’ora nella
sua condizione presente, dato che rispetto alle altre lingue europee che hanno avuto
cambiamenti significativi tra età antica e moderna con un annesso e forte senso di
rinnovamento, l’italiano si è mantenuto relativamente stabile senza cambiamenti radicali e
significativi nel tempo; d'altra parte però l’italiano contemporaneo è una lingua fin troppo
frammentata e disomogenea vista la diversità e la vitalità dei dialetti - i quali erano destinati
ad una brutta sorte - il persistere del bilinguismo e le differenze regionali nell’italiano
soprattutto a livello fonetico; fondamentalmente sono queste le differenze più percettibili per
gli stranieri.
Nonostante queste prime datazioni rudimentali delle dirette testimonianze degli scritti in
volgare, noi già in età imperiale vediamo le prime variazioni della lingua rispetto al canone
del latino classico che conosciamo noi e per queste ragioni si diffonderanno le prime
differenziazioni e variazioni della lingua usata - vista anche la vastità della Romania che è
l’insieme dei territori dove si sono diffusi il latino e le lingue neolatine. Queste differenziazioni
possono essere suddivise in variazioni diatopiche [la variazione basata sull’area geografica
che fa sì che la lingua non diventi un’entità fissa e immutabile ma si evolva grazie agli stessi
parlanti], variazioni diastratiche [definita anche sociale è quella basata sulla stratificazione
sociale dei parlanti di una lingua, quindi le caratteristiche intrinseche dei singoli quali età,
istruzione, professione], variazioni diafasiche [che come le variazioni diastratiche tengono
conto delle stratificazioni e differenziazioni sociali ma in questo caso nei termini dei contesti
specifici in cui viene percepito il messaggio; quindi dette anche variazioni situazionali] e
infine diacroniche [che a differenza delle variazioni diatopiche sono correlate ai fenomeni
trasformativi della lingua proiettati nel tempo invece che nello spazio]. Fra i cambiamenti più
significativi che si possono attestare vi sono in primis il differente impiego del pronome
dimostrativo ille, illa, illud che ora è usato come articolo determinativo precedentemente
assente in latino [illa rosa - la rosa] e la caduta dei casi della lingua latina stessa che
costringevano i parlanti ad attenersi ad un modello prefissato dell’ordinamento delle parole
nella frase, il modello SVO [soggetto, verbo, oggetto; ma molto più significativo sarà il
passaggio dal sistema vocalico latino basato sulle lunghezza delle vocali al sistema tonalico
italico che ha 7 vocali toniche e 5 vocali atone
Di sopra, ad influire ulteriormente sulle variazioni della lingua e le evoluzioni che si sono
presentate nel passaggio dal latino al volgare vi saranno le invasioni barbariche -
fondamentalmente i popoli occupanti decisero di appropriarsi della lingua dei popoli
occupati, dei popoli indigeni per così dire, e lasciare elementi della propria lingua [questo
fenomeno è definito superstrato; la cui terminologia va a riferirsi allo strato in superficie di
una stratificazione dove invece il livello secondario è definito substrato o sostrato.
Essenzialmente caratterizza la coesistenza di due idiomi con la successiva scomparsa della
lingua più recente dopo che avrà lasciato un’impronta su quella indigena/preesistente] -
questi furono i cosiddetti prestiti longobardi. Ciò che ne risulta alla fine è una lingua ibrida
che non è il latino da noi conosciuto ma allo stesso tempo la lingua volgare da noi studiata -
si tratta di una lingua ponte che collegava il latino scritto con le scritture volgari vere e
proprie e numerose saranno, successivamente, i casi di scriptae volgari impieganti questa
lingua ponte.
questa stringa di testo è significativa poiché oltre a rappresentare una delle prime
testimonianze dirette è anche un esempio pratico di questo ibridismo della lingua ponte
poiché nella stringa, dicere richiama alla forma latina mentre sono in contemporanea
ricalcati fenomeni tipici del parlato [come il raddoppiamento fonosintattico di bboce nonché il
betacismo in esso, quindi il passaggio da v a b che è un fenomeno tipico delle regioni
mediane]. Quindi come detto in precedenza questa è la testimonianza più antica di scrittura
esposta insieme all’ISCRIZIONE DI SAN CLEMENTE dell’omonima basilica a Roma dove
viene narrato il martirio del santo che mentre veniva trasportato verso la morte da tre pagani
[Albertello, Carboncello, Gosmari] il suo corpo viene miracolosamente trasformato in una
colonna, detta:
Questo spezzone di testo è ancora rilevante per la grande attenzione posta verso il volgare
che caratterizza i dialoghi dei paesani a differenza del latino raffazzonato che si rivede solo
nella frase pronunciata da San Clemente e in una dedica della scrittura esposta del
committente [EGO BENO DE RAPIZA CUM MARIA UXOR MEA PRO AMORE DEI ET
BEATI CLEMENTI PER GRATIAM ACCEPIT - IO BENO DI RAPIZA CON MIA MOGLIE
MARIA PER AMORE DI DIO E DEL BEATO CLEMENTE PER GRAZIA RICEVUTA].
Altrettanto importante risulta essere un documento che attesta l’uso consapevole del volgare
in un documento ufficiale ed è il Placito Capuana - un testo giuridico redatto da un notaio in
sede di una diatriba di fronte al giudice Arechisi riguardante delle terre occupate secondo
alcuni in modo illegittimo da un monastero dei Benedettini; noi analizziamo una
testimonianza a riguardo
[SAO KE KELLE TERRE PER KELLE FINI QUE KI KONTENE TRENTA ANNI LE
POSSETTE PARTE SANCTI BENEDICTI - SO CHE QUELLE TERRE, ENTRO I CONFINI
DI CUI QUI SI DICE “CHE QUI CONTIENE” 30 ANNI LE POSSEDETTE IL MONASTERO
DI SAN BENEDETTO]
La trascrizione della parte orale ovviamente fa in modo che si vadano a perdere numerosi
tratti dell’oralità originale e spontanea con finanche l’aggiunta di formulari tipicamente
giuridici in latino [PARTE SANCTI BENEDICTI], latino che però non vediamo nella
strutturalizzazione della frase secondo i criteri della lingua parlata [KELLE TERRE..LE
POSSETTE..]
Tra gli esempi pratici di volgarizzazione della poesia noi ricordiamo ed introduciamo i RITMI
ANONIMI della letteratura giullaresca la quale era caratterizzata nei suoi componimenti da
metro irregolare e il costante allontanamento delle forme linguistiche fin troppo locali, in un
tentativo diretto di avvicinarsi al modello della poesia provenzale; ulteriore esempio sono le
cantiche di stampo religioso quali la CANTICA DELLE CREATURE di Francesco d’Assisi nel
1220 [sicuramente un filone poetico poco prolifico ma sicuramente significativo in vista
dell’importanza di queste laudi cantate durante le processioni religiose, e quindi
conseguentemente rappresentative di un contatto diretto con la popolazione; divengono gli
strumenti del mediatore linguistico]. Concludiamo con una poesia che si caratterizzava di
sopra con temi moraleggianti e didascalici come quella realizzata da Uguccione da Lodi - la
quale impiegava nei componimenti un volgare illustre, carico di provenzalismi e latinismi;
fondamentalmente queste sono le prime testimonianze nonché opere che hanno
caratterizzato la base della creazione della poetica italiana già dal 13esimo secolo. Il
conseguimento di questo genere e la sua strutturalizzazione attraverso questi primi esempi
è resa possibile grazie ad una scuola influente e rappresentativa come quella di Federico II
di Svevia - la scuola siciliana - che già dieci anni prima dell’avvento del monarca ha regolato
in zona un certo interesse verso la produzione poetica in volgare come testimoniato da una
trascrizione di versi di Giacomino Pugliese.
Passando alle caratteristiche principali della scuola siciliana e le ricorrenze che avvengono
con la scuola lirica provenzale troviamo dei punti di congiunzione e degli adattamenti di
stampo linguistico come l’uso di gallicismi, già nella presenza di numerosi suffissi i base
anza, enza, aggio [amistanza al posto di amicizia]; l’uso degli allotropi che per definizione
sono due o più parole che sono diverse sul piano formale e semantico ma hanno il
medesimo etimo come per esempio vizio e vezzo che entrambi derivano dal latino vitium; è
un termine che è stato inizialmente coniato nel linguaggio della chimica e fu introdotto in
linguistica italiana da Ugo Canello che lo preferì alla terminologia di doppione,
fondamentalmente si basa sulla concezione che da un’unica forma originale si possono
ricavare fino a dieci e più voci] e in aggiunta l’utilizzo di dittologie sinonimiche che sono
coppie di sinonimi a valore rafforzativo [basti pensare a difettivo e insufficiente, mondissimo
e purissimo, astratta e assoluta e così via]. L’impatto della scuola siciliana fu tale che inizio a
fomentare un processo di imitazione e trascrizione dei manoscritti siciliani stessi che causò
direttamente la nascita in alcuni territori - specialmente in quello toscano - di una società
borghese vivace e desiderosa di stimoli culturali al punto che in questo periodo vennero
pubblicati tre canzonieri di cui il più importante il VATICANO LATINO 3793. I toscani quindi si
misero in opera verso una vera e propria trascrizione delle opere della scuola siciliana ma
ovviamente, questa trascrizione comportò notevoli differenze in vista del sistema vocalico
siciliano che aveva cinque vocali toniche mentre quello toscano sette
Vista la grande differenza nella stesura delle vocali vediamo episodi significativi di
trascrizioni dove le rime imperfette prendono piede [ascoso - rinchiuso] che divennero vero e
proprio indice di una copiatura dei poeti toscani - i quali però erano conosciuti come maestri
delle rime perfette e di conseguenza trascrissero successivamente il vocalismo siciliano,
viste le nuove rime [ascusu - rinclusu]. I copisti diedero sicuramente una patina
toscaneggiante pur sempre però conservando alcuni elementi dei manoscritti come le
desinenze verbali in -ggio [come aggio tradotto in io ho e veggio tradotto in io vedo] e in -ia
per il condizionale [crederei che diviene crederia] e il risultato di queste implementazioni
linguistiche e contemporanea preservazione degli elementi originali dei manoscritti ha dato
vita ad una lingua ibrida con appunto numerosi riferimenti al volgare siciliano ma ricca di
codici toscaneggianti [intrisa di latinismi e gallicismi], con una successiva normalizzazione
delle rime imperfette che hanno caratterizzato l’unione della scuola siciliana con la poetica
toscana in un esito lessicale ben complesso e definito nei termini di una scuola di transizione
o siculo - toscana [noi ricordiamo anche che l’influenza della scuola siciliana fu tale che
venne posta a modello per le correnti poetiche che la seguirono soprattutto a seguito della
disfatta degli Svevi e della distruzione dei manoscritti della scuola; essenzialmente la scuola
siciliana in unione con la poetica toscana ha caratterizzato la base per la fondazione della
poetica italiana. Successivamente a questa fase ibrida dell’unione di due correnti linguistiche
troviamo la corrente del Dolce Stil Novo che a pari merito fu estremamente importante come
principio alla base della nostra tradizione poetica - di fatto si è incentrato questo genere sul
rifacimento di temi amorosi di stampo medievale - giullaresco e cavalleresco in chiave
moderna e uno dei suoi promotori più noti fu Guinizzelli [considerato formalmente come il
capo di questa corrente da Dante] insieme a Cavalcanti, Lapo Gianni e Dante stesso che
prenderà le redini di questo genere attraverso una sua nota opera: La Vita Nuova che fu una
raccolta delle sue rime giovanili in forma di prosimetro [un componimento misto di prosa e
versi dove sono elencate le liriche dantesche inframezzate dalla presenza di parti esplicative
di parti esplicative di tale opera in prosa]. Le caratteristiche del Dolce Stil Novo possono
essere incapsulate nella volontà diretta di intraprendere un lessico sicuramente basato sulla
corrente sicuro toscana ma gradualmente potato potremmo dire, nonché curato attraverso
un atto di nobilitazione della lingua eliminando termini troppo locali o considerati
particolaristici; questo processo anche in virtù di volontà esterne porterà i modelli toscani ad
avere una grande prevalenza nella penisola soprattutto grazie alla vantaggiosa posizione di
Firenze dal punto di vista economico e politico.
non si identifica con quello di una città italiana singola ma appartiene a tutta l’Italia; inoltre,
nel Convivio Dante affronta la questione del latino che era la lingua letterariamente più
diffusa e per quanto ne abbia riconosciuto la superiorità, rimane dell’idea che il volgare
rimanga una lingua più facilmente accessibile ad un largo pubblico.
- Con Dante, la sua Commedia; che verrà solo successivamente denotata come
Divina in seguito alla sua morte ed è risalente a Boccaccio; vediamo la piu fiorentina
delle rappresentazioni dal punto di vista linguistico ed una che crebbe di grande
fortuna e popolarità dopo la pubblicazione successiva alla morte del poeta, che fu
scritta formalmente durante il suo esilio ma che non vide luce e riconoscimento
almeno fino al 500. Il poema si diffonde nelle zone circoscritte della popolazione che
non era formalmente istruita e viene presto tramandata oralmente sia pubblicamente
che in privato e cantata dalla gente umile; la sua ricchezza espressiva è straordinaria
ed espressa direttamente dalla volontà del poeta di introdurre innanzitutto un nuovo
metro che sarà la TERZINA DANTESCA [definita anche terzina incatenata o terza
rima, sarà costituita da tre versi endecasillabi di cui il primo e il terzo rimano tra di
loro mentre il secondo rima con il primo e terzo della terzina successiva, da cui
l’attribuzione alla qualità di rima incatenata - ogni canto del poema è terminato da un
ulteriore verso che chiude la rima con il secondo verso della terzina precedente e
dividendo per tre il numero dei versi di un canto si avrà sempre il resto di uno.
Questa struttura facilita la memorizzazione della sequenza dei versi e impedisce
anche che un copista possa aggiungere o eliminare terzine perché
conseguentemente perderemmo la sequenza. Questo tipo di rima si chiama anche
terza rima in quanto tutti i versi rimangono a tre a tre tranne una coppia di versi
all’inizio quindi il primo e il terzo della prima terzina e una alla fine che è il secondo
dell’ultima terzina e il verso aggiunto alla fine che rimangono a due a due; lo schema
metrico è ABA BCB CDC UVU VZV Z. Un possibile antenato della terzina dantesca
potrebbe essere il sirventese]. Insieme alla terzina precedentemente menzionata
Dante sperimenta con una unione di stili diversi e una pluralità che si traduce in un
contesto di plurilinguismo, attingerà a svariate funzioni grammaticali del fiorentino
tardo duecentesco attingendo in contemporanea ad una serie di stili diversi tra cui
quello alto, medio, plebeo, arcaico, innovativo in modo da creare una lingua
estremamente variegata con un lessico ricco di neologismi, gallicismi, intarsi siculi,
provenzali, latini e i vari registri linguistici del toscano - in questo modo soddisfa la
necessità di una continua ricerca espressiva non soddisfatta da termini per lui a
portata di mano. La Divina Commedia ha permesso alla lingua fiorentina di affermarsi
in aree aliene a Firenze già dai primi del 300 e divenendo fin da subito un modello
linguistico.
Nel frattempo, all’infuori della Toscana l’espansione del volgare aveva gradualmente
innescato la nascita delle lingue koiné che erano lingue di commissione, eclettiche e
caratterizzate da un fondamentale afflusso di elementi linguistici vari tra cui una patina
latineggiante pressante e un avvicinamento alla lingua toscana. Dobbiamo anche specificare
che verso la fine del 15esimo secolo quando gli esponenti dell’Umanesimo iniziarono a
rendersi conto della grande forza dietro l’espansione del volgare si mobilitarono come primi
esponenti del volgare stesso e della normalizzazione di esso [quindi in sostanza
l’Umanesimo non placò realmente l’ascesa del volgare ma la favori eventualmente]. Visto
che il volgare si stava diffondendo a macchia d’olio ed era impiegato nell’utilizzo delle
scritture pratiche nonché di lingua viva e mutabile, è stata conseguentemente soggetta a
vari mutamenti e variazioni linguistiche che lo hanno suddiviso in due categorie; il volgare
aureo definito classico e un volgare argenteo che era di stampo più contemporaneo e vivo,
le cui forme linguistiche sempre estranee al volgare trecentesco delle tre corone
comprendono l’uso di el ed e al posto di il ed i, la mutazione della desinenza verbale
dell’imperfetto in o [come in amavo] e l’impiego di arei, aresti al posto di avrei e avresti. Il
400 è stato caratterizzato da una situazione linguistica particolarmente complessa - da una
parte ci troviamo dinanzi ad uno stile che pone un’estremizzazione artificiosa della prosa
umanistica con un periodare ricco di inversioni sintattiche, incisi, subordinate e un lessico
presi dal latino ma trasferiti nel sistema volgare mentre il secondo è la lingua delle
macaronee; ossia componimenti narrativi in esametri che è il metro dell’epica latina e che
trae il nome dal genere di Tifi Odasi la Macaronea ossia la storia epica degli gnocchi che
non erano di patate visto che non erano ancora arrivate in Europa ma di impasti di farina e
pane grattugiato. Nel Macaronico l’artificiosità della lingua è ottenuta inserendo parole di
volgare del settentrione/veneto nel sistema grammaticale e sintattico latino con una certa
attenzione verso temi bassi e quotidiani come sesso, cibo e sporcizia ma trattati in modo
elevato - in sintesi la lingua della prima è ottenuta inserendo lessico e sintassi latina in un
sistema grammaticale volgare che prende a modello il toscano; quella della seconda,
esattamente al contrario, colloca il lessico più municipale e concreto in un sistema
grammaticale latino [quindi, questo ibridismo seppur causò degli squilibri all’interno della
lingua permise al contempo di vedere gli interessanti esperimenti linguistici visti in
precedenza, esempio concreto fu la poesia macaronica di Odasi che poneva un intento
parodico, canzonatorio e parodico per evidenziare lo squilibrio linguistico dell’autore
contemporaneo/argenteo oppure la lingua polifilesca di Manuzio che evidenzia allo stesso
modo le tendenze linguistiche del tempo ma non in atto canzonatorio, semmai con intento
sperimentale per testare l’unione della lingua volgare con quella latina ma un volgare
nobilitato appunto dalle strutture latine. Come detto in precedenza, all’infuori della Toscana
si formano le lingue koiné che erano lingue di commistione caratterizzate da influssi locali e
regionali da cui i letterati volevano distanziarsi, una patina latineggiante e una grande
tendenza al toscano. Potremmo dire allora che queste lingue potrebbero essere le
successioni naturali delle prime scripate volgari ma non rimasero esclusivamente inerente
all’ambito pratico delle scritture, si espansero anche in ambito letterario ed esempio
lampante fu l’Orlando innamorato di Boiardo che fu scritto tenendo conto delle koiné presenti
nella corte degli Estensi di Ferrara presso cui Boiardo era poeta di corte.
Infine, date tali premesse sulle due posizioni in merito al destino e all’attribuzione del volgare
fiorentino trecentesco, Bembo nella sua trattazione cercherà di collocarsi a metà strada fra
le due correnti - disdegnerà le teorie cortigiane per supportare la fiorentinità della lingua, ma
nello stesso tempo metterà da parte il volgare argenteo supportato dalle teorie fiorentiniste,
dando invece alla lingua un’impostazione classicista. Come detto precedentemente questo
trattato di Bembo si interpone nelle vesti di un dialogo tra Carlo Bembo, fratello di Pietro, che
supporta il volgare aureo, Giuliano De Medici, il figlio di Lorenzo De Medici, che supporta il
volgare argenteo e infine Ercole Strozzi che supporta il latino - in questa trattazione vengono
trattati tre principi che sono la comparazione e la nobilitazione del volgare rispetto al latino, il
riconoscimento dell’origine del volgare con la teoria di Biondo Flavio secondo cui il volgare è
una forma di latino imbastardito a seguito delle invasioni barbariche e viene riconosciuto il
Trecento come periodo storico in cui il volgare subisce un ingentilimento tale da poter essere
impiegato nella letteratura. Bembo, inoltre, pone come modelli assoluti della letteratura le
figure e le opere di Petrarca (per la poesia) e di Boccaccio (per la prosa), mentre la figura di
Dante è messa da parte, a causa del fondamentale plurilinguismo proprio della Commedia.
Come detto prima, Bembo darà alla lingua un’impostazione classicheggiante: il motivo per il
quale vengono messe da parte le influenze moderne che hanno dato vita al volgare
argenteo [secondo Bembo, la lingua, intesa nei suoi aspetti scritti, retorici e letterari, deve
essere un’entità facente parte di uno spazio atemporale; deve quindi essere distaccata dal
presente e dall’uso]. Nell’opera Bembo si muoverà analizzando le categorie stilistiche e
letterarie delle opere delle tre corone per poi muoversi verso un’analisi di tipo grammaticale
e così facendo creerà un modello normativo analitico della lingua volgare rendendo
conseguentemente la sua opera uno strumento pratico di regolamentazione e unificazione
linguistica
Il suo viaggio a Firenze nel 1827 subito dopo l’uscita dei Promessi Sposi gli permise di
immergersi nel fiorentino e ricercare la vitalità della lingua non nei libri o vocabolari ma
nell’uso vivo di essa come elemento comunicativo di una società reale di parlanti, di fatto
ricerca in amici e conoscenti l’impatto diretto con questa fiorentinità della lingua viva
[ricordiamo Emilia Luti] - poi vedremo la sua riflessione diretta sull’uso di questo fiorentino in
concomitanza al milanese e al francese, suoi altri linguaggi di possesso, specialmente in
correlazione alle opere Sentir Messa e il Della lingua italiana iniziato dopo il 1830 dove lui
elabora in tre decenni ben 5 edizioni [definendolo un lavoro eterno]; questi sono documenti
dove lui si pone nell’ottica di una riflessione della filosofia del linguaggio del 700 e del 800
arrivando alla conclusione che fosse necessario trovare nella lingua comune ideale e
unificata il fiorentino toscano vivo di cui una parte, che rappresenterà la parte letteraria,
poteva essere usata per dare via all’unificazione così come in Francia il dialetto di Parigi ha
caratterizzato la lingua nazionale. Fatta questa premessa della sua grande riflessione
teorica, si mette all’opera per la correzione e conseguente pubblicazione della seconda
edizione dei Promessi Sposi dove l'attenzione è passata da una necessità di uniformità della
scrittura ad una necessità di unificazione sociale e nazionale; quindi a partire dal 1838 lui
avvia la correzione ma senza necessariamente aderire al suo programma - di fatto lui
cercherà più una lingua moderna che una lingua basata sul puro fiorentino, una lingua che
potesse essere scarna dei vari dialettismi o lombardismi e darle un’impronta più moderna e
in uso con gli scritti ottocenteschi, tra le correzioni vediamo l’eliminazione dei lombardismi
quindi da un zucchero a uno zucchero; l’introduzione di fiorentinismi vivi come gioco per
giuoco, move per muove, io avevo per io aveva, gote per guance ecc; l’abbassamento del
tono letterario per favorire forme più correnti come giungendo per giugnendo, cambiando per
cangiando, vedo per veggio, bambini per pargoli e piccolo per picciolo e infine l’eliminazione
di doppioni come il tra/fra lasciando solo tra per dare più uniformità. In breve vi è la ricerca
della semplicità che viene assorbita nel romanzo dagli usi dell’oralità quotidiana che
pervadono sia i dialoghi che la narrativa attraverso esclamazioni, frammentazioni, il
linguaggio dei gesti che colora la psicologia della comunicazione non verbale e così via. I
narratori posteri o coevi a Manzoni non procederanno secondo la stessa linea d’azione ma
semmai tenteranno di procedere secondo l’ibridismo che ha caratterizzato la prima bozza
dei Promessi Sposi, quindi una lontananza dal monolinguismo e la medietà espressiva sua,
nonché la marcata differenziazione tra personaggio e narratore nel proseguimento della
storia. Il miscuglio eterogeneo che vede unire dialettismi per colorare il carattere locale della
narrazione, toscanismi, forme colloquiali e arcaizzanti caratterizza autori come Niccolò
Tommaseo e Ippolito Nievo la cui scrittura si rifà effettivamente alla prima bozza dei
Promessi Sposi. Le poetiche del realismo e l’esigenza del vero durante l’età postunitaria si
porranno il problema del vero narrativo e linguistico, con la questione dialetti che
rappresentano la lingua vera e viva e l’italiano medio comune ancora poco diffuso - a cui la
soluzione sembra essere la vera finzione secondo Cletto Arrighi, cioè il tentativo di
riprodurre l’oralità rifacendosi a forme colloquiali e italianizzate o ricalcate nel proprio dialetto
ma pur sempre versanti su una base narrativa tradizionale e caratterizzerà autori, oltre a
Arrighi, del mondo regionale toscano come Giuseppe Mezzanotte o Matilde Serao che si
porranno nell’ottica di una grande sensibilità verso la realtà di un repertorio nazionale che si
fa sempre più ricco ed elaborato - affianco ai dialetti troviamo l’italiano regionale parlato da
alcuni personaggi o le commistioni stesse di dialetto o italiano regionale.
Manzoni con la sua Relazione sull’unità della lingua e i mezzi per diffonderla si inserisce in
un quadro generale e socioculturale molto complesso in vista delle difficoltà che hanno
caratterizzato l’Italia post unitaria tra cui la dialettofonia predominante e l’analfabetismo, il
quale pochi anni dopo l’Unità aveva raggiunto il 70 per cento ma che, grazie ai
provvedimenti ministeriali, potè ridursi del 40 per cento già per il 1911 - si può intravedere
una grande differenza nei primi anni del 900 nel momento in cui l’italiano parlato e familiare
inizia a inglobare la popolazione dal ceto borghese in su; l’unica problematica comprende il
sud, le isole e il nord est del paese dove la dialettologia era predominante in vista di una
discontinuità con la frequentazione della scuola elementare. Noi ricordiamo che la scuola
era il punto nevralgico della riforma manzoniana che attuava delle correzioni ed esercizi
quali traduzioni attive dal dialetto all’italiano o correzioni degli scritti, ma la vera e propria fine
della dialettologia la si vedrà con l’avvento fascista che sradicherà molti esoterismi presenti
nel nostro lessico [da chaffeur passiamo ad autista, da parquet a tassellato ed epurerà le
giovani generazioni dalla malerba del dialetto. Sorprendentemente, la posizione
antidialettale del dopoguerra fu tale che già negli anni 70 si riconobbe la forza culturale e
sociolinguistica dei dialetti a seguito della loro coincidente scomparsa - quindi si cambia
tendenza e gli stessi libri di grammatica da mera elencazione di cosa fosse giusto o meno
passano a divenire manuali di riflessione linguistica e delle importanti varietà della lingua
stessa.
In sintesi, dagli anni dell’Unità fino ad oggi si è verificata una radicale evoluzione degli usi
linguistici dato che si passa da una situazione complessa di sola dialettofonia, nei termini di
un monolinguismo preoccupante in vista della necessità di un italiano standardizzato, ad una
dialettofonia passiva all’italiano in modo da giungere al fenomeno del bilinguismo con
diglossia [ossia, la maggioranza degli italiani è composta da italofoni che hanno una
competenza di dialetto, che viene però percepito come un codice basso e usato a situazioni
e contesti limitati] - la tendenza di fatto sarà quella dell’italiano e le sue varietà regionali che
si espandono e il dialetto che viene usato con più cautela, ma questi sono pur sempre dati
molto approssimativi dato che derivano dalle autovalutazioni degli interessati allo studio.
Analizzando le varianti troviamo
- [l’italiano che si sta progressivamente insinuando sia nell’uso familiare che al di fuori
in parallelo al decentramento del dialetto che perde parlanti - questo è evidente nelle
zone Centro Nord e Nord Ovest della penisola; nel Sud, nelle Isole e nel Nord est
continuando a resistere i dialetti d’uso quotidiano e infine troviamo da una parte una
popolazione che si trova ad essere di base bilingue con un bilinguismo italiano
dialetto che spesso produce fenomeni d’alternanza di codice - quindi si parla in
dialetto a casa e con gli amici e in italiano nei contesti più formali - o di cambio di
codice, dove si passa dal dialetto all’italiano il quale può avvenire come
commutazione di codice; quindi il cambio dal dialetto all’italiano nella conversazione
o di mescolanza di codice nei termini di un insieme di dialetto ed italiano all’interno
della frase. Poi troviamo una fetta di popolazione interamente italofona che parla
quindi solo italiano o possiede una conoscenza molto passiva del dialetto - questa
proprietà cresce molto nei centri urbani e nelle nuove generazioni]
- [SOTTO I PIOPPI DELLA DORA, DOVE L’ONDA È PIÙ ROMITA, OGNI DI, SU
L’ULTIMA ORA, S'ODE UN SUON DI DOLOR; E CLARINA, A CUI LA VITA
RONDON L’ANSIE DELL’AMOR. POVERETTA! DI GISMONDO PIANGE I STENTI,
A LUI SOL PENSA. FUGGITIVO, VAGABONDO, PENA IL MISERO I SUOI DI,
MENTRE ASSISO A REGAL MENSA RIDE IL VIL CHE LO TRADÌ]
- [una linea centrale che rappresenta l’adesione all’italiano medio ancora in formazione
durante l’800 e il 900 per poi divenire realtà sempre più comune a partire dal
secondo dopoguerra; e poi una linea che rifiuta la medietà della lingua per
promuovere invece un piano più alto di essa anche attraverso le idee di
espressionismo e sperimentalismo che si rifanno di ingegni linguistici quali i dialetti,
le varietà regionali fino a scendere alle varietà basse del repertorio]
Più avanti vedremo la storia di questa trasformazione, ovviamente non per creare un canone
o inquadrare una storia ben più ampia di quello che viene riportato.
Il discorso libero indiretto è uno strumento stilistico sintattico che Verga utilizzerà anche nel
suo successivo lavoro, Il Mastro Don Gesualdo, dove lo scrittore mette a punto un ulteriore
procedimento espressivo che è la scomposizione analitica della tematica espressa dalla
proposizione principale, ricorrendo quindi allo stile nominale [c’era donna Giuseppina Alosi,
carica di gioie; c’era il marchese Limoli, con la faccia e la parrucca del secolo scorso e così
via]; questa tecnica sarà largamente impiegata ed utilizzata dalla narrativa novecentesca, si
tratta fondamentalmente di uno strumento stilistico sintattico che si rivede anche delle
influenze della psicoanalisi freudiana in vista della dimensione del monologo interiore,
nonché elementi affini alla produzione dell’Ulisse di James Joyce. Successivamente a
Verga, sarà Luigi Pirandello con il suo Il Fu Mattia Pascal del 1904 a sperimentare nuove
tecniche narrative ed espressive cercando ancora di più di allontanarsi dalla
regionalizzazione della lingua marcata geograficamente e socialmente, per la ricerca di una
lingua neutra che sia opposta agli sperimentalismi stilizzati ed estetizzanti di D’Annunzio - in
un insieme linguistico intessuto di monologhi interiori, una forma del parlato scritto e moduli
dell’oralità [naturalmente caratterizzanti di interrogative, ripetizioni, esclamative, sintassi] che
Pirandello naturalmente usa nel suo teatro. Lui prosegue con questa scelta anche nella
traduzione in italiano nel 1928 della sua commedia Liolà, originariamente in siciliano
d’Agrigento, per offrire un’opzione deregionalizzata ma vivificata comunque dal parlato; oltre
a Pirandello anche Svevo sarà protagonista di questa dottrina di pensiero sull’unificazione
della lingua come neutra e slegata dalle implicazioni della mera localizzazione dei dialetti,
soprattutto in vista della sua posizione di autore di confine che possiede l’anima viva dei
dialetto e del tedesco, in contrapposizione alla natura più libresca dell’italiano - le quali gli
hanno permesso di avere una scrittura tendente al colloquiale e al quotidiano che, seppur
composita, ha ricevuto la critica dei contemporanei che hanno accusato Svevo di scrivere
male; viste le incertezze date dall’interferenza del tedesco con il dialetto come da quartierino
ad appartamento, è male abbastanza per dire fa male, usi impropri delle preposizione come
in rinunciava di levarla e un generale uso sbagliato di ausiliari, tempi e modi verbali.
Nonostante queste incertezze linguistiche Svevo non si è mai fermato dal sperimentare un
profondo rinnovamento della scrittura narrativa a partire dai suoi romanzi Una Vita e Senilità,
nonché il più significativo di essi che è stato non solo caratterizzato da queste peculiarità
testuali e novità linguistiche e stilistiche ma anche dal grande influsso sulla psicanalisi nella
Coscienza di Zeno del 1923. In sintesi, vediamo in questo periodo un progetto ben
riconoscibile della lingua narrativa media e uniforme non segnata da particolarità o
specificità geografiche, locali o sociali e come delineava Alberto Moravia nel suo primo
romanzo Gli Indifferenti del 1929 - lui ritrae in modo negativo l’ambiente e la psicologia della
classe borghese; ma in generale il lessico di questo tempo è ricco ma non ricercato, ma
ricco di aggettivizzazioni quali un disgusto meschino e fastidioso, un sorriso goffo e buffo ecc
mentre la sintassi è ben più semplificata, caratterizzata da frasi brevi e il frequente ricorso di
strutture nominali prive di verbo [il cielo era grigio, poca gente passava, una automobile,
ville, giardini ecc in questa consecuzione di nomi e sostantivi]
A questa medietà caratterizzata dall’assorbimento della lingua parlata nello scritto vediamo
una consecutiva opposizione da parte di molti scrittori verso il dialetto che lo rifiutano,
nonostante fosse mezzo espressivo privilegiato nella narrativa del dopoguerra di ispirazione
neorealista. Un esempio pratico della volontà di voler superare il dialetto è espressa da
Cesare Pavese nel suo diario Il Mestiere di vivere dove afferma che il dialetto ormai è sotto
storia, bisogna correre il rischio di utilizzare la lingua ed elaborare in successione un gusto,
uno stile e una retorica; le scelte di Pavese e Vittorini saranno anche influenzate da modelli
di narrativa americana di cui furono traduttori, la lingua di Conversazione in Sicilia del 1938
preservava un’aura aulica e simbolica di cui è composto interamente il romanzo ma allo
stesso tempo erano presenti brevi dialoghi con rapidi scambi di battute, o alla dialettalità che
caratterizza i Paesi Tuoi vediamo subentrare un italiano colloquiale e andamento sintattico
frammentato. Similmente a loro vediamo un’ulteriore serie di autori che ricercano la stessa
semplicità della lingua contro l’artificiosità e ingegno della lingua dialettale e saranno autori
noti quali Natalia Ginzburg Giorgio Bassani, specialmente la Ginzburg nel suo Lessico
Famigliare cercherà quella semplicità e omogeneità stilistica di una sintassi scarna e
sintetica, elementare ed essenziale; quindi un allontanamento dalla letterarietà dell’italiano
per ricercare la banalità e immediatezza della lingua colloquiale [come nelle espressioni a lui
gli piacciono tanto i preti; mia mamma, le piacevano i bambini], quindi strumenti linguistici
portati a rappresentare una lingua secca e immediata, quanto più asciutta possibile, che
avesse lo stesso impatto di uno schiaffo. Nel 1963 vengono pubblicati La Giornata di uno
scrutatore di Italo Calvino e la Tregua di Primo Levi che sono entrambi linguisticamente
importanti per la scrittura narrativa dell’italiano e il suo destino nella penisola; entrambi si
immettono nella linearità sintattica e medietà del tessuto linguistico del tempo, adottando le
classiche caratteristiche di esso quali i tratti morfosintattici del neostandard [lui, lei, loro
soggetto, gli al posto di le] e l’uso di terminologie del linguaggio tecnico e scientifico per
concretezza e precisione; questa ricerca però continuerà anche in età contemporanea
portando però a risultati stilisticamente originali citando Veronesi e De Carlo che però
peccano di banalità sciatteria espressiva ma gli stereotipi utilizzati e la correlazione alla
letteratura di consumo hanno permesso un successo immediato - ne sono esempio gli autori
più recenti della nostra contemporaneità come Federico Moccia nel suo Ho Voglia di Te o
Scusa ma ti chiamo amore del 2007. Lui nei suoi romanzi recupera molti trattati della
narrativa rosa attualizzandoli per un pubblico fortemente influenzato dalla televisione, quindi
nella base molto vicino al parlato giovanile [la frequenza di espressioni come gaggio, una
cifra, fichissimo ecc] che però preserva comunque dei lessemi della tradizione liricheggiante
[nuvole tinte di rosa si lasciano attraversare]
Con il progredire del tempo dell’ascesa diretta dell’italiano come lingua d’uso parlato, il
dialetto può diventare da una parte una ricerca memoriale e ricreazione mitica come nei
primi romanzi di Cesare Pavese e dell’altra può continuare ad essere riserva d’espressività
per la narrativa italiana recente come in Silvia Ballestra o Camilleri che nel suo fortunato
ciclo giallo del commissario Montalbano usa dei richiami al dialetto siciliano, slittando
dall’effetto mimetico alla deformazione ironica e parodistica. invece, le varianti dialettali
giovanili sono mezzi di ribellione per autori come Tondelli che ha ispirato una generazione di
autori cannibali quali Aldo Nove o Niccolò Ammaniti che si ispirano al pulp americano
[essenzialmente Quentin Tarantino] che all’apparenza può sembrare richiamare la letteratura
più bassa dell’industria di consumo ma in realtà è una narrativa molto consapevole che
miscela leggibilità, ironia, patetismo, horror e comicità. Noi diciamo cannibali e lingua
cannibale perché pesca i suoi materiali oltre che nel parlato giovanile, dialettale e delle
varietà basse anche nelle lingue speciali e alte o nei media [basti pensare al parlato
cinematografico e delle fiction americane o la musica rock] - d’altronde questi sono i nuovi
modelli e protagonisti della linguistica contemporanea.