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STORIA DELL'ANTROPOLOGIA

CAPITOLO 2: L'ANTROPOLOGIA EVOLUZIONISTA NELL'ETÀ VITTORIANA

Dal 1837 al 1901 la Gran Bretagna fu regnata dalla regina Vittoria la quale diede nome a questo periodo
definito come "età vittoriana", che può essere considerato come il punto nevralgico dell'antropologia
moderna. Durante il lungo regno della regina la Gran Bretagna si impose come maggiore potenza
industriale, coloniale e politica, il suo controllo si estendeva su gran parte dell'Africa, sull'intera India,
sull'Australia e non solo, godeva del controllo anche sulla Nuova Zelanda e su gran parte dell'Oceania.

I progressi non si verificarono solo sul campo territoriale ma anche al suo interno con l'aumento dei salari, il
riconoscimento dei diritti dei lavoratori, il suffragio universale (esteso solo agli uomini) e una vasta opera di
scolarizzazione, che la resero una potenza ALL'AVANGUARDIA. Tali progressi riuscirono grazie allo
sfruttamento delle colonie, delle loro risorse e delle loro popolazioni.

I progressi ottenuti sia in campo coloniale e sociale, sia in campo tecnico-scientifico, fecero nascere una
visione ottimistica del divenire storico che si basa su PROVE EMPIRICHE fornite dall'ANTROPOLOGIA.
L'antropologia nasce infatti dalla produzione di conoscenze empiriche cumulative relative alle popolazioni
extra-europee e della stessa Europa.

LA "SCIENZA DELLE SOCIETÀ PRIMITIVE": EDWARD B. TYLOR

L'antropologia che si sviluppò nella Gran Bretagna vittoriana fu una scienza ottimista, definita anche come
"scienza del riformatore" da Edward B. Tylor, fondatore della disciplina, volta a fornire con il suo sapere un
contributo sul piano sociale, politico e culturale.

• IL CONCETTO DI CULTURA

Nel 1871 venne pubblicato "Cultura Primitiva", opera di Tylor dedicata allo studio dello sviluppo delle idee
religiose dallo stadio primitivo a quello moderno. È un libro fondamentale perché contiene la prima vera
definizione antropologica di cultura: "la cultura, o civiltà, intesa nel suo senso etnografico è quell'insieme di
conoscenze, credenze, arte e qualsiasi altra capacità acquisita dall'uomo". In questa definizione sono
contenute alcune idee importanti: 1) è che la cultura si trova ovunque, non esistono popoli con cultura e
popoli senza cultura; 2) la cultura è un insieme complesso di alcuni elementi che possiamo trovare
ovunque; 3) la cultura è acquisita; 4) la quarta idea, strettamente legata alla terza, è che la cultura è
acquisita dall'uomo in quanto membro della società e quindi gli esseri umani ricevono la cultura dalla
propria società, di conseguenza gli esseri umani sono soggetti "culturali".

L'uso del concetto di cultura non fa riferimento al singolo individuo ma all'intera umanità ed è per questo
che Tylor spostò l'uso del termine cultura da un contesto individuale ad uno collettivo mantenendo gli
aspetti semantici del termine, soprattutto quelli relativi alla crescita e alla cumulatività sostenendo che la
cultura umana appare come un patrimonio ottenuto cumulativamente e ulteriormente incrementabile.

• " LA CULTURA COME "INSIEME COMPLESSO"

Come già detto in precedenza la cultura è un insieme complesso di più elementi: azioni, simboli, oggetti,
che si trovano all'interno di una cultura e al contempo la compongono. Gli insiemi sono scomponibili nei
loro elementi ed è questo che fa sì che la cultura sia concetto chiave per l'antropologia evoluzionista.
Quest'ultima si proponeva di ricostruire, grazie ai dati forniti dalle osservazioni sui popoli selvaggi, delle
sequenze di sviluppo.
• LA CONCEZIONE "PROGRESSIVA" DELLA CULTURA

Tylor sosteneva che esistessero popoli "inferiori" e popoli "superiori", cioè che la storia umana poteva
essere ricostruita con una linea ascendente che parte da forme di organizzazioni più semplici a forme di
vita associata più complesse. Egli quindi pensava che i popoli "selvaggi" sparsi sui vari continenti
rappresentavano gli stadi precedenti della storia umana e come tali potevano illustrare le condizioni di vita
degli uomini preistorici. Inoltre in "Antropology", libro scritto con fini divulgativi, egli afferma che grazie alle
tribù selvagge e barbare è possibile spiegare i costumi dei nostri compaesani.

Tylor non escludeva in regresso culturale ma lo considerava secondario rispetto al processo cumulativo
delle conoscenze

• LA RELIGIONE E LE SOPRAVVIVENZE

Tra i temi di riflessione dei primi antropologici vi furono la religione e la parentela. La parentela suscitava un
interesse per l'evoluzione del diritto e la curiosità per lo strano modo in cui i parenti si chiamavano. Ma fu la
religione a prevalere nei vari interessi degli evoluzionisti tanto che è stato detto che l'antropologia nasce
come antropologia della religione.

Tylor dedicò gran parte della sua opera "Cultura Primitiva" allo studio evoluzionista della religione e in
particolare all'ANIMISMO, ovvero la credenza nelle anime e negli esseri spirituali. Il termine animismo,
spiegava Tylor, sta ad indicare la credenza secondo la quale gli oggetti possedevano un'anima. Egli postulò
che l'origine dell'animismo fosse riconducibile all'esperienza del sogno da cui i nostri progenitori hanno
tratto la convinzione che i fenomeni di sdoppiamento della personalità e delle apparizioni erano dovuti
all'esistenza di un "doppio", il quale poteva condurre un'esistenza indipendente dal corpo sia durante la vita
che dopo la morte. Per Tylor l'animismo era la base della filosofia della religione, e permetteva di spiegare i
fenomeni naturali e psichici con principi estranei all'indagine razionale e materialistica. Poiché il punto di
arrivo di tale percorso era rappresentato dall'affermazione del pensiero razionale si trattava dunque di
mostrare le varie modifiche che la "credenza negli spiriti" avesse subito durante le sue varie fasi. Per Tvlor
con l'accumularsi della conoscenza, e quindi con l'emergere del pensiero razionale, questa credenza era
andata restringendosi.

Al percorso di affermazione del pensiero razionale si accosta quello di SOPRAVVIVENZA. La


sopravvivenza era dunque qualunque cosa, ad esempio una pratica o una credenza, il cui significato
originario era scomparso da secoli ma che poteva tuttavia continuare a sopravvivere semplicemente
perché era esistita in precedenza. La sopravvivenza era dunque fondamentale perché rilevarla significava
risalire all'epoca in cui quell'idea o pratica (sopravvissuta) aveva un significato e quindi poter comprendere
lo stadio di sviluppo culturale precedente a quello attuale. Tylor la definisce cosi come una "miniera per
l'indagine storica"

• IL METODO COMPARATIVO

Per gli evoluzionisti l'antropologia divenne un viaggio intellettuale attraverso le culture al fine di rintracciare
tendenze, stadi, sequenze di sviluppo e idee che avevano caratterizzato la storia della cultura stessa. Per
questo motivo l'antropologia divenne un sapere comparativo poiché sua caratteristica è quella di fare della
comparazione ogni possibile conclusione tendente alla generalizzazione. Nonostante sia stata criticata in
vari momenti, la comparazione resta il metodo ispiratore dell' antropologia.

• POSSIBILITÀ DIVERGENTI

A tal proposito bisogna specificare che l'evoluzione culturale non prevede che tutti i popoli della terra
devono seguire la stessa linea di sviluppo difatti gli antropologi dell'epoca spiegarono che lo sviluppo
culturale fosse dominato dal "PRINCIPIO DELLE POSSIBILITÀ DIVERGENTI, cioè giunta a un punto
dell'evoluzione una cultura prende una via diversa rispetto ad un'altra dando inizio a percorsi diversificati in
campo sociale, politico, religioso ecc...

Tylor cercò di conferire al progetto una base statistica attraverso l'applicazione di un metodo detto delle
"variazioni concomitanti o delle "correlazioni statistiche", infatti in un suo saggio cercò di stabilire,
analizzando 350 società, la frequenza statistica con cui certe pratiche matrimoniali si trovano associate alla
presenza di discendenza patrilineare o matrilineare.

Un altro esempio è costituito dalla correlazione da lui stabilita tra la couvade, che è un comportamento
interpretato come dichiarazione pubblica di paternità da parte dell'uomo, e il tipo di discendenza
caratteristico della società in cui tale costume era presente. Egli constatò, grazie all'elaborazione statistica,
che nelle società matrilineari la couvade era assente e che quest'ultima abbia fatto la propria comparsa con
la discendenza doppia. Questa ricerca segnò la comparsa di un'idea dell'antropologia come di una
SCIENZA EDIFICABILE SU BASI STATISTICHE.

I RITI COMUNITARI E L'EFFICACIA SOCIALE DELLA RELIGIONE: WILLIAM ROBERTSON SMITH

Nella seconda metà dell'Ottocento William Robertson Smith, scozzese professore di ebraico, affrontò la
questione dell'origine della religione non come credenza ma come istituzione. Egli fu uno dei fondatori dei
moderni studi semitici (orientali). Smith effettuò ricognizioni sul campo visitando paesi come l'Egitto e la
Palestina alla ricerca di elementi della vita locale che contribuissero a confermare le sue ipotesi.

• LO STUDIO DELLA SOCIETÀ E DELLA RELIGIONE

A partire dal 1878 Smith iniziò a elaborare, sulla base dei materiali relativi all'area delle civiltà semitiche,
una teoria generale sui rapporti tra società e religione. Nelle "Conferenze sulla religione dei semiti" Smith
preferì concentrarsi, a differenza dei suoi contemporanei, sulla dimensione sociale e collettiva della
religione e in particolare sull'attività rituale. Spiegò quindi che il dato primario di ogni esperienza religiose
sono i riti e i simboli a essi correlati, i quali sono condivisi dai membri di una determinata società, i quali
nascendo li trovano già presenti e attivi. La dimensione collettiva, che Smith contrapponeva a quella.
individuale, si manifestava negli atti di devozione che coinvolgevano l'intera comunità, e cioè i RITI
COMUNITARI. Inoltre Smith, attraverso lo studio del materiale biblico, giunse a sostenere l'esistenza di
un'omologia tra attività religiosa e identità politica e sociale affermando che la religione di un uomo è un
elemento integrante delle sue relazioni politiche.

Smith cercò di fortificare le sue ipotesi attraverso lo studio del sacrificio tra i popoli semantici, il quale non
era un dono rivolto ad una potenza con lo scopo di ringraziarla, ma era un rituale di comunione che
rappresentava simbolicamente l'unità della società stessa. Quindi la religione rappresentava un fattore
regolativo dei rapporti sociali e un elemento coesivo poiché, riunendo i partecipanti a scopo rituale,
rafforzava in essi il senso di appartenenza a un unico corpo sociale.

• ISRAELITI ANTICHI E BEDUINI CONTEMPORANEI

Smith per sostenere la sua teoria dei rapporti tra la religione e la società si servì sia dello studio della
Bibbia e dei classici arabi sia delle osservazioni compiute personalmente tra i beduini d'Egitto e di
Palestina.

Influenzato dalle teorie correnti sull'evoluzione delle forme di discendenza, Smith in "Parentela e
matrimonio nell'Arabia antica", spiegò la presenza tra gli arabi preislamici di un sistema matrilineare che
con l'avvento dell'islam sarebbe stato rimpiazzato da un sistema patrilineare. Quest'opera non solo
rappresenta il primo lavoro di carattere antropologico sulla società e sulla cultura degli arabi del deserto ma
costitui anche lo sviluppo dello studio delle "società segmentarie". A Smith inoltre spetta il merito di aver
riconosciuto l'esistenza di forme di organizzazione politica prive di istituzioni centralizzate e fondate
sull'equilibrio di gruppi (segmenti) di discendenza tra loro contrapposti.
DALLA SCIENZA DELLE FORME ALLA BIOLOGIA DELL'ARTE

L'interesse per i primitivi che si sviluppò in Europa nell'800 si notava nell'organizzazione di musei e mostre
nei quali erano esibiti i prodotti della cultura materiale di questi popoli: armi, utensili, oggetti rituali, e
strumenti musicali. Tuttavia questi strumenti erano esposti senza alcun criterio preciso che ti legasse tra
loro sul piano storico e concettuale. Per questo motivo alla metà del XIX secolo, In Inghilterra, il generale
Augustus Pitt-Rivers ebbe l'idea di allestire Musei in cui gli oggetti venivano esposti in base a criteri di
classificazione che illustravano l'evoluzione dell'oggetto stesso, dalle sue forme più primitive a quelle
attuali. Pitt-Rivers divise gli oggetti per gruppi, ogni gruppo comprendeva oggetti di forma o funzione simile
provenienti dai luoghi più diversi della Terra. Inoltre egli pensava che gli oggetti seguissero delle sequenze
evolutive e che era possibile, partendo dalle forme più complesse, risalire agli oggetti più semplici e
primitivi. Un esempio di ciò è l'evoluzione di una serie di armi di offesa e di difesa (boomerang, picca,
mazza, lancia, scudo) dal semplice bastone, considerato la forma originaria da cui tutte le altre si
sarebbero sviluppate. Inoltre Pitt-Rivers riteneva chi una volta acquisita una certa idea, l'essere umano la
applicasse in maniera automatica ai suoi prodotti così i popoli più evoluti portavano dentro di sé le idee che
i loro predecessori avevano elaborato in passato. Pochi anni prima della morte di Pitt-Rivers, Alfred C.
Haddon, un biologo inglese, spiegò il progetto di una "scienza delle forme". Haddon si interessò alle
trasformazioni degli stili decorativi incise su ceramiche, tessuti, legno o pietra. Egli pensava che queste
trasformazioni fossero il risultato di un processo, mediante il quale una serie di fattori cognitivi e ambientali
incidevano sull'evoluzione delle forme degli oggetti e degli stili artistici stabilendone la nascita, lo sviluppo e
la fine. Egli stesso chiamò quest'indagine "BIOLOGIA DELL'ARTE", ovvero la storia della vita dei disegni,
precisando che Hadden non intendeva trattare l'arte da un punto di vista estetico bensì da quello
scientifico.

Nonostante la biologia dell'arte fosse un tentativo di delineare lo sviluppo delle forme culturali essa non
ebbe grande successo, solo dopo molto tempo qualche studioso ne ha rivalutato le intenzioni e intravisto i
possibili sviluppi.

DALLA MAGIA ALLA SCIENZA: JAMES G. FRAZER

La discussione riguardante l'evoluzione della cultura si rivolse prevalentemente alle tematiche della
religione, del rito e della magia primitiva. Furono alcuni i tentativi di collegare il pensiero magico a quello
religioso e questo con quello scientifico. L'impresa più notevole compiuta in questa direzione fu quella di
James George Frazer, il quale può essere considerato l'ultimo grande esponente dell'evoluzionismo
culturale e, per certi versi il più tipico.

• IL CAMMINO DEL PENSIERO UMANO

L'opera più conosciuta di Frazer è il "Ramo d'oro. Studio sulla magia e la religione". Quest'opera contiene
intellettuale dell'uomo. Frazer sosteneva che la pratica della magia, ovvero un tentativo di esercitare un
controllo sulla natura, corrispondeva a una fase dello sviluppo dell'intelletto umano caratterizzato dalla
confusione e dall'ignoranza. In un secondo momento gli uomini, anzi alcuni uomini, hanno pensato di
accattivarsi il favore delle potenze della natura: nasceva così la religione e connessa ad essa la figura del
regole che ne stabiliscono il divenire con lo scopo di conoscere la natura e dominarla a scopo pratico. Il
"ramo d'oro" è stato però interpretato come un grande repertorio di sbagli attribuito al mondo non civilizzato
e Frazer potrebbe essere definito "L'ULTIMO VITTORIANO" nel senso che la sua opera non è governata
da quell'ottimismo che sembra invece percorrere l'opera di molti dei suoi predecessori.
CAPITOLO 3: LE ORIGINI DELL'ANTROPOLOGIA AMERICANA E LEWIS H. MORGAN

In America, gli studi di carattere etno-antropologico si svilupparono durante la prima metà dell'Ottocento
per iniziativa di un gruppo di ricercatori curiosi della vita e dei costumi dei nativi americani. Tra questi
distacca Lewis Henry Morgan, il quale si interessò particolarmente agli indiani e al clima che si stabili tra
bianchi e nativi americani.

• IL "PROBLEMA" INDIANO

Quando Morgan iniziò le proprie ricerche, l'opinione pubblica americana si divideva in due opinioni
dell'Indiano, una positiva e una negativa, che erano la conseguenza del diverso modo di presentare gli
Stati Uniti agli americani stessi e agli europei. Quindi quando si trattava di questioni "interne" l'indiano era il
nemico, invece quando si trattava di opporre la liberta del nuovo mondo alla vecchia Europa l'Indiano era
invitato a sostenere, con il suo valore e il suo amore per la libertà, la nazione americana. Il "problema"
indiano quindi costituì l'esordio di Morgan come studioso di nativi americani.

MORGAN E GLI IROCHESI

Nel 1851 Morgan pubblicò "LA LEGA DEGLI IROCHESI". In questo libro Morgan forni una descrizione della
organizzazione socio-politica delle sei Nazioni della federazione irochese (Seneca, Oneida, Mohawk,
Cavuga, Onondaga e Tuscarora). Inoltre questo libro raccoglieva alcune lettere che Morgan aveva
pubblicato 4 anni prima per una causa giuridica alla quale egli aveva partecipato dando il proprio contributo
come avvocato alla difesa dei Seneca, la quale nazione rischiava di perdere le proprie terre a causa
gruppo di bianchi. Fu proprio grazie all'amicizia con un discendente di una stirpe dei capi Seneca che
Morgan si interessò alle abitudini di vita dei pellerossi.

Ne "La Lega degli Irochesi", Morgan concentrò la sua attenzione in particolar modo sul sistema di relazioni
che le stesse nazioni irochesi intrattenevano tra loro. Egli fu colpito dal fatto che ognuno di questi gruppi,
che lui chiamò nazioni, si trovava in relazione con tutti gli altri formando una complessa rete di rapporti di
parentela. Ognuna di queste nazioni era infatti divisa in tribù, ciascuna designata da un nome di animale.
Spesso capitava che c'erano tribù con lo stesso nome ma i loro membri, nonostante appartenessero a
nazioni diverse, si consideravano discendenti di un antenato comune e quindi fratelli.

Secondo Morgan tra le nazioni irochesi c'era un sistema di organizzazione sociale democratico ed
egualitario, infatti ciò che egli volle mettere in evidenzia era come un popolo considerato selvaggio avesse
saputo darsi coscientemente un ordinamento politico. Uno degli obiettivi di questo libro era quello di
sollevare, agli occhi degli studiosi e politici americani, un problema di interesse nazionale cioè il "problema
indiano". L'ultimo capitolo del libro costituisce la risposta al problema della scomparsa degli indiani con una
-politica di assimilazione progressiva attraverso l'educazione dei giovani e l'assegnazione di terre delle
quali essi potessero liberamente disporre.

I SISTEMI DI PARENTELA

Lo studio delle culture indiane venne favorito dalla creazione di istituzioni preposte alla documentazione
della vita delle popolazioni native, come la Smithsonian Institution, fonda nel 1846, e il Bureau of
American :Ethnology. Negli anni successivi alla pubblicazione della lega degli irochesi, Morgan aveva
continuato le sue ricerche presso altri gruppi di nativi americani, egli infatti aveva scoperto l'esistenza di un
sistema terminologico di parentela per molti aspetti simile a quello di questi ultimi. Il sistema terminologico
di parentela degli irochesi era particolare e si differenziava da quello dei popoli civilizzati, infatti un individuo
chiamava per esempio il fratello di suo padre "padre" e la sorella di sua madre "madre" come conseguenza
i fratelli del padre e le sorelle della madre di un individuo chiamavano questo "figlio". Morgan aveva così
compiuto dei viaggi di studio nel Kansas e nel Nebraska con lo scopo di approfondire la conoscenza di
queste terminologie.

• L'ORIGINE DEGLI INDIANI AMERICANI

In quegli stessi inoltre Morgan era interessato alla questione dell'origine dei nativi americani. Egli
sosteneva la teoria, poi rivelatasi esatta, secondo la quale gli indiani d'America erano di origine asiatica e
infatti la presenza in Asia di un sistema di parentela di natura simile costituì la prova chiave in favore di
questa teoria. Questa era un criterio più valido di quello rappresentato dalla possibilità di rintracciare delle
somiglianze sul piano della lingua poiché il linguaggio cambia il suo vocabolario e modifica col tempo
anche la sua struttura grammaticale mentre un sistema di relazioni è meno soggetto al cambiamento
poiché delle idee permanenti sopravvivono e continuano a sopravvivere anche con i cambiamenti linguistici
e con l'emigrazione del gruppo originario. Le ricerche di Morgan presero così due direzioni: da un lato la
raccolta di dati riguardanti i sistemi di parentela delle popolazioni indiane del Nord America e dall'altro
invece la raccolta di dati di Popoli extra americani.

• SISTEMI CLASSIFICATORI E SISTEMI DESCRITTIVI

I dati che Morgan aveva personalmente raccolto durante i suoi viaggi confermarono la presenza, sia in
America che in Asia, di sistemi di parentela simili. A questo gruppo di parentela si opponeva il gruppo che
Morgan definì come Ariani, Semitici e Uralici ovvero quello dei "civilizzati". I risultati delle ricerche di
Morgan vennero poi ordinati in "SISTEMI DI CONSANGUINEITÀ E DI AFFINITÀ DELLA FAMIGLIA
UMANA" del 1871, uno dei lavori più importanti di tutta la storia dell'antropologia. In quest'ultimo Morgan
stabili la distinzione tra due grandi gruppi di sistemi di parentela corrispondenti a due modi differenti di
designare i parenti consanguinei: quelli in relazione di sangue a cui Morgan diede il nome di sistemi
CLASSIFICATORI, e quelli dei parenti affini, o alleati, che sono invece acquisiti attraverso una relazione di
tipo matrimoniale, a cui Morgan diede il nome di DESCRITTIVI. Nei sistemi di parentela classificatori, come
abbiamo già visto in precedenza, i parenti consanguinei in linea collaterale tra (zii, cugini) non vengono
distinti da quelli in linea diretta(genitori), a differenza dei sistemi descrittivi in cui i consanguinei in linea
collaterale venivano invece distinti da quelli in linea diretta. Nonostante ciò Morgan non riuscì a trovare la
causa per cui questi due gruppi potessero essere nati ma egli avanzò l'ipotesi né "LA SOCIETÀ ANTICA",
secondo la quale i due sistemi sarebbero stati caratteristici di due distinti tipi di società: i sistemi
classificatori di un'organizzazione E sociale basata sui rapporti di parentela, quelli descrittivi di una società
fondata su rapporti di tipo politico.

Morgan ricostruì i sistemi di parentela attraverso una sequenza evolutiva, secondo cui il tipo di
organizzazione sociale fondato sulla parentela era caratteristico del periodo delle "barbarie" mentre quello
fondato su rapporti di tipo "politico" era connesso alla nascita della civiltà. Inoltre la chiave fondamentale
che permetteva di ricostruire questa sequenza evolutiva era costituita da quei termini di parentela il cui
impiego sembrava a Morgana non giustificato dalle pratiche matrimoniali esistenti ma riferibile piuttosto a
forme più arcaiche dell'istituzione familiare: una specie di SOPRAVVIVENZA.

Infine secondo Morgan i termini di parentela riflettevano la natura delle relazioni sociali poiché si tratta di
un'epoca caratterizzata dalla "poliandria adelfica", ossia l'unione di una donna con più fratelli.
MORGAN E L'EVOLUZIONE SOCIALE

Nel 1877 Morgan pubblicò "La società antica" in cui affrontò lo studio di alcune grandi tematiche e una
discussione relativa all'evoluzione della cultura e delle società umane.

Questa evoluzione secondo Morgan poteva essere compresa stabilendo un certo numero di periodi che
egli chiamo "etnici', ciascuno dei quali rappresentava una diversa condizione della società. La successione
dei periodi etnici è la seguente: selvaggio-barbaro-civilizzato; con l'aggiunta di tre sotto periodi: inferiore-
intermedio-superiore per ciascuna delle prime due fasi. Questa periodizzazione si differenzia per le varie
invenzioni e scoperte che rappresentano il diverso grado di progresso di ciascuna fase storica e sono
proprio queste ultime a costituire l'elemento espressivo di ognuna di queste fasi.

Secondo il giudizio di alcuni autori "La società antica" sarebbe il lavoro più influente nella storia
dell'etnologia, e la celebrità di questo libro deriva anche dal fatto che alcuni autori come Karl Marx e
Friedrich Engels pensarono di potervi leggere la conferma indiretta della loro concezione materialistica
della storia. D'altro canto invece quest'opera fu il principale bersaglio delle critiche rivolte all'evoluzionismo
antropologico.

DOPO MORGAN

Nell'ultimo scorcio dell'Ottocento l'antropologia si rafforzò e crebbe velocemente a livello accademico. Nel
1888 usci il primo numero dell'"American Anthropologist", cioè la rivista ufficiale dell'associazione degli
antropologi statunitensi.

CAPITOLO 4: TRA SOCIOLOGIA, FILOSOFIA ED ETNOLOGIA: LA RIFLESSIONE FRANCESE SULLE


SOCIETÀ PRIMITIVE

L'EREDITÀ DI COMTE

In Francia lo studio delle civiltà primitive non prese forma fino alla fine del XIX secolo. Questa riflessione si
sviluppò legata alla sociologia, una disciplina derivante dalla filosofia e in particolare dalla filosofia
"positiva" di August Comte. Come aveva focalizzato le proprie riflessioni sul tema della NORMATIVITÀ
SOCIALE, ossia sull'equilibrio e ordine sociale su cui applicare il sapere positivo (sociologia) in modo che
fosse allo stesso tempo conoscenza e strumento di gestione della società.

L'ideale comtiano subì uno svantaggio con la guerra civile del 1870, la quale generò domande tutt'altro che
positive e il pensiero di Comte, che attraverso la "legge dei tre stadi" (teologico, metafisico, positivo) faceva
approdare l'umanità alla fase finale ovvero trasformare la società in capitalistica-industriale, non era in
grado di spiegare i fenomeni di massa emergenti dalle mutate condizioni sociali, politiche ed economiche
della Francia del XIX secolo.

COSCIENZA E RAPPRESENTAZIONI COLLETTIVE: EMILE DURKHEIM

Colui capace di comprendere i fenomeni sociali a cui Come non dava ragione fù Durkheim. Laureato in
filosofia, Durkheim fu la guida di quella che venne poi chiamata la "scuola sociologica", destinata a
influenzare la riflessione francese sia in campo sociologico sia in quello etno-antropologico.

• LA PROSPETTIVA NORMATIVA E LA COSCIENZA COLLETTIVA

A differenza di Comte, il quale pensava che i "sentimenti comuni" erano attiva solo in società dominate da
un pensiero pre-positivo (prerazionale), Durkheim individuò il principale di questi sentimenti nella
COSCIENZA COLLETTIVA, come scrisse nella sua opera "La divisione del lavoro sociale" del 1893. Il
concetto di coscienza collettiva che per Durkheim era indipendente dalle coscienze singole e dotato di una
logica di sviluppo autonoma, era applicabile in tutte le società e di conseguenza tutte le società
possedevano una coscienza collettiva e quindi erano comparabili. La stessa sociologia, per Durkheim, era
un sapere comparativo che doveva prendere in considerazione il numero più alto possibile di società per
giunge alla conoscenza delle leggi della vita sociale.

È in questa prospettiva comparativa che Durkheim si interessa all' etnologia, traendo dagli studi etnografici
il materiale per il proprio ragionamento.

• SOLIDARIETÀ MECCANICA E SOLIDARIETÀ ORGANICA

I primi interessi etnologici si rivelarono proprio nella sua opera "La divisone del lavoro sociale". Qui
l'intensità con cui la coscienza collettiva si manifestava venne messa in relazione con il tipo di solidarietà
presente tra i membri di esse generando due tipi di solidarietà: quella meccanica e quella organica.

Quando la vita sociale occupa ogni spazio della vita del singolo determinandone scelte e sentimenti, la
coscienza collettiva genera una solidarietà di tipo MECCANICO legando tra loro i singoli individur in questo
caso l'individuo risulterebbe quasi meccanicamente guidato dalle norme sociali.

Quando invece prevale la tendenza del singolo individuo a differenziarsi rispetto al gruppo, si parla quindi
di solidarietà di tipo ORGANICO, e quindi gli individui si riconoscono nella società solo grazie ad atti
intenzionali o volontari. Qui la coscienza collettiva tende a occupare spazi più ristretti.

LA RELIGIONE E LE SUE FORME ELEMENTARI

Un'altra opera fondamentale di Durkheim è "Le forme elementari della vita religiosa". Pubblicata nel 1912
quest'opera cerca di elaborare una teoria generale della religione e della società attraverso l'individuazione
di quegli elementi che sono alla base di tutti i sistemi religiosi e sociali. Per Durkheim la religione è
universale, e queste ultime possono differenziarsi solo su funzioni elevate o meno che mettono in gioco,
ma indipendentemente dal loro grado di complessità alla base di tutti i sistemi di fede c'è un certo numero
di RAPPRESENTAZIONI FONDAMENTALI.

Durkheim cercò di individuare queste rappresentazioni fondamentali spiegando che la religione nel suo
stato originario fosse presente nelle società più semplici, così egli considerò il TOTEMISMO come il
sistema religioso più semplice al cui interno agivano rappresentazioni di natura collettiva. Il totemismo
infatti si verificò negli aborigeni australiani, i quali si identificavano con un animale, una pianta o altro che
diventava così il loro simbolo, in quanto raffigurava l'antenato da cui il gruppo credeva di discendere. Da
qui nasce il TOTEM. Gli esseri umani opererebbero una specie di "spostamento" facendo del totem un
oggetto di culto quando in realtà è la società a cui inconsapevolmente portano rispetto e adorazione.

• LA RELIGIONECOME FENOMENO UNITARIO

Le religioni, dalle più primitive alle più sofisticate, costituivano un fenomeno unitario. Cosi le immagini
associate al totem, e le nozioni più elaborate come quello di mama tra i Malanesiani che esprime un'idea di
forza associata al totem, rappresentavano la forza stessa con cui la società si imponeva agli individui. Ciò
che viene venerato attraverso il rito è la società stessa che, come scrisse Durkheim, mantiene vivo in noi il
senso di dipendenza.

Egli voleva sottolineare il dominio esercitato dalla dimensione collettiva su quella individuale. Tra l'altro il
dominio che la società esercita sugli individui si manifesta attraverso il rispetto che gli individui hanno per
essa, è un potere al quale obbediscono spesso anche contrastando i loro stessi interessi personali, come
nel caso degli individui che si sacrificano per il bene comune. Tale rispetto è quindi la conseguenza
dell'esistenza di norme e regole sociali che producono negli individui il sentimento di appartenenza ad una
società. La religione appare quindi come un sistema di rappresentazioni e riti attraverso i quali gli individui
sono partecipi misticamente e collettivamente (cioè in maniera non razionale e non-individuale).

Da Durkheim in poi i fenomeni sociali, quali la religione le norme etiche ecc..., non venivano più considerati
come il risultato di un processo intellettuale, anzi Durkheim nella sua opera "Le regole del metodo
sociologico" del 1895 considerava i FATTI SOCIALI come un insieme di azioni e rappresentazioni capaci di
esercitare una costrizione sugli individui. Essi erano quindi indipendenti dalla psicologia del singolo
individuo, avevano una vita autonoma e determinavano "dall'esterno" il comportamento dei membri di una
società.

IL "PRELOGISMO" DI LUCIEN LEVY-BRUHL

Tra coloro che contribuirono a sviluppare le idee di Durkheim vi è Lucien Lévy-Bruhl. Filosofo, professore
alla Sorbona, va a lui il grande merito di aver gettato le basi di dell'Institut d'ethologie fondato nel 1925. Il
suo primo lavoro in cui affiorano gli interessi etnologici è "La morale e la scienza dei costumi' del 1903.

Quest'opera nacque come un libro di filosofia nell'intento di rispondere a una domanda: esiste una morale
oggettiva? Per Lévy-Bruhl qualunque teoria che cercasse di fondare una morale oggettiva dovrebbe partire
dall'idea secondo la quale esisterebbe una natura umana sempre e ovunque identica. Sostiene Lévy-Bruhl
invece che la teoria non può fondare alcuna morale ma può soltanto studiarla. Studiare la morale significa
cercare di comprendere il diverso significato che l'esperienza morale può assumere in contesti sociali
differenti. È in questo testo che egli compi la sua "rivoluzione etnologica", da allora infatti il suo sguardo si
rivolgerà alle società primitive che costituiranno così l'oggetto dei suoi studi.

• LE RAPPRESENTAZIONI "MISTICHE"

In "Psiche e società primitive", pubblicato nel 1910, Lévy-Bruhl criticò la tradizione dell' evoluzionismo
inglese spiegando che le rappresentazioni collettive si imponevano agli individui attraverso la pratica
sociale e costituivano perciò modelli sociali di comportamento mentale e veri e propri fatti sociali. Per Lévy-
Bruhl non si trattava dunque di scoprire l'origine di queste rappresentazioni poiché egli vedeva questi fatti
sociali come già dati all'interno di un contesto già dato, ovvero la società. Il gruppo sociale primitivo viveva
così un'ESPERIENZA MISTICA che si realizzava nelle pratiche del culto e nell'esecuzione del rito. In
questo contesto l'individuo non aveva la possibilità di sviluppare un giudizio proprio e indipendente da
quello che gli veniva imposto dalla società, anzi gli individui mostravano un atteggiamento mentale
caratterizzato dall' "IMPERMEABILITÀ ALL'ESPERIENZA'. Quest'ultima caratteristica del pensiero dei
primitivi mostrerebbe che essi continuino a praticare la magia indipendentemente dai risultati che possono
essere realmente ottenuti attraverso essa, poiché è la rappresentazione collettiva che impedisce loro di
concentrare l'attenzione sui dati dell'esperienza oggettiva.

• PARTECIPAZIONE E PRELOGICITÀ

La mentalità dei primitivi non era solo mistica ma anche regolata da un tipo di logica mirata a coordinare le
rappresentazioni di natura mistica. Questa tendenza fu definita da Lévy-Bruhl PARTECIPAZIONE mentre la
mentalità dei primitivi venne da lui vista come dipendente da una forma di ragionamento di tipo logico. Né
"La mentalità primitiva" del 1922, il libro che rese Lévy-Bruhl noto agli antropologici, egli precisò che la
mentalità primitiva si preoccupa come la nostra delle cause di ciò che accade ma non la cerca nella stessa
direzione. Il concetto di pre-logico non designa una forma pensiero meno evoluta di quella designata dal
termine logico, esso significa a-scientifico, a-critico. Il concetto di prelogico indica quindi una differenza di
tipo qualitativo e non quantitativo tra l'attività mentale del primitivo e quella del civilizzato.
Negli ultimi anni della sua vita Lévy-Bruhl cambiò opinione riguardo l'opposizione di queste due forme di
pensiero e dal "Quaderni", pubblicati nel 1949, risultò la volontà dell'autore di attenuare la differenza tra
pensiero primitivo e occidentale, soprattutto attraverso la constatazione di come, nella società positiva e
scientifica, fosse possibile rilevare tracce di atteggiamenti "mistici" e "pre-logici"

CAPITOLO 6: L'ETNO-SOCIOLOGIA FRANCESE

L'influenza di Durkheim, con i suoi concetti di "fatto sociale" e di "coscienza collettiva", fu enorme non solo
sul pensiero sociologico francese ed europeo ma anche su quello etnologico che in Francia si stava
sviluppando lentamente. L'originalità della riflessione etno-sociologica francese risiedeva nel tentativo di
cogliere, dietro i fenomeni sociali, le "ragioni nascoste" del loro accadere.

LA MORTE, IL SACRO, IL PROFANO: ROBERT HERTZ

Lo studio delle rappresentazioni collettive fu l'ambito dentro il quale si collocò il lavoro di Robert Hertz.
Scomparso durante il primo conflitto mondiale, ci restano poche sue opere, due delle quali sono molto
importanti: "Contributo allo studio sulla rappresentazione collettiva della morte" del 1907 e "La preminenza
della mano destra. Studio sulla polarità religiosa" del 1909. Queste sue opere comparvero entrambe
sull'Année sociologique, la prestigiosa rivista fondata da Durkheim e sulla quale uscirono i lavori dei suoi
allievi etnologici. Hertz fu uno degli iniziatori dell'antropologia "Alpina" poiché compi uno studio sul
santuario di San besso anche se questa fu la sua unica ricerca sul campo. Hertz si interessò molto anche
allo studio sulla rappresentazione collettiva della morte. Egli sosteneva che le credenze dei primitivi relative
al fenomeno della morte erano delle rappresentazioni collettive, cioè processi mentali condivisi da tutti i
membri di una società e investivano le relazioni tra il singolo e la comunità.

• LO "SCANDALO" DELLA MORTE

Hertz studiò in modo particolare come la morte provochi emozioni e rappresentazioni molto differenziate
non solo nel loro aspetto culturale ma anche nel loro significato sociologico. La comunità avverte la morte
di un suo membro come una minaccia alla propria coesione così per ristabilire l'equilibrio, provocato dalla
scomparsa di un individuo, si utilizzano una serie di rituali: i riti funebri.

Inoltre l'attenzione di Hertz fu attratta da alcuni rituali messi in pratica dalle popolazioni del Borneo. Questi
rituali consistevano in due riti distinti, alle prime esequie, celebrata immediatamente dopo la morte di un
individuo, seguiva dopo un certo tempo un altro rito durante il quale veniva data una sistemazione definitiva
ai resti del defunto. Questo rito venne così chiamato "seconda sepoltura". Con l'individuazione di questo
doppio rito funebre Hertz individò il carattere fondamentale che la morte riveste presso tutte le società:
essa è pensata come una TRANSIZIONE da una condizione all'altra, dalla comunità dei vivi a quella dei
defunti. Inoltre è noto che i riti funebri assomigliavano in qualche modo ai riti della nascita e del matrimonio
poiché come questi ultimi erano atti a favorire una transizione, un passaggio, che come si può notare è
caratteristico di tutte le società e di tutte le religioni.

• DESTRA E SINISTRA: SACRO E PROFANO

L'altro importante lavoro di Hertz fu "La preminenza della mano destra. Studio sulla polarità religiosa". In
quest'opera egli riprese la distinzione, già operata da Durkheim sulla scia di Robertson Smith, tra sacro e
profano. Queste due dimensioni spingono gli esseri umani a strutturare l'universo secondo un principio
bipolare: le cose, i fenomeni naturali, gli esseri vegetali e umani sono distribuiti concettualmente tra questi
due opposti, la destra e la sinistra, identificati come sacro e profano.

Questa distinzione bipolare dell'universo tra destra e sinistra era sottolineata dalle lingue indoeuropee,
nelle quali il termine destra deriva dalla stessa radice deks, mentre il termine sinistra non aveva una
derivazione unitaria ma variava da lingua in lingua. Questa molteplicità dei termini designanti la sinistra era
forse il riflesso del fatto che la sinistra rappresentava l'opposto della destra, che è associata al positivo,
evocando sentimenti di inquietudine e avversione. In questo modo l'opposizione esistente tra la destra e la
sinistra si manifestava anche nella natura: la prima serve a esprimere concetti di forza fisica, di destrezza,
di buon senso, di integrità morale, di felicità, di norma giuridica; mentre la parola sinistra evoca la maggior
parte dei concetti contrari. L'importanza di questo lavoro di Hertz risiede nell'aver individuato un principio di
opposizione fondamentale nelle forme di classificazione tipiche del pensiero umano, il quale si traduceva in
una catena di opposizioni (maschile-femminile; chiaro-scuro) rinvianti tutte all'opposizione sacro profano.

I RITI DI PASSAGGIO: ARNOLD VAN GENNEP

Negli stessi anni in cui Durkheim inizializzò la sua scuola ci fu un autore di rilievo: Arnold Van Gennep. Egli
rappresenta il confine tra l'etnologia e il folklore, di cui può essere considerato in Francia uno dei padri
fondatori con il suo "Manuel de francais contemporain", anche se il suo lavoro rimase a lungo nell'ombra fu
riconosciuta la sua importanza solo dopo la seconda Guerra mondiale.

L'opera più celebre di Van Gennep, i "Riti di passaggio" del 1909, non venne accolta in maniera cordiale
sulle pagine dell'Année sociologique" per ragioni di scuola e di formazione siccome egli era più un
orientalista e un linguista che un sociologo. Gli allievi di Durkheim gli rimproverano di aver seguito le orme
degli evoluzionisti britannici quando invece i Durkheimiani preferivano scegliere dei fatti elementari per poi
costruire sulla base di essi una teoria generale dei fenomeni sociali.

Nel suo libro, la vita degli individui era scandita da una serie di riti che celebravano pubblicamente il
passaggio da una condizione sociale a un'altra. Egli li definì i riti di passaggio. Questa categoria di
cerimonie era utile a rendere più agevoli i cambiamenti di condizione senza traumi per la società e per gli
individui interessati. Questi riti investivano sempre più aspetti numerosi della vita individuale e collettiva.
Van

Gennep scrisse che nelle società prescientifiche il mondo appare suddiviso nelle due categorie opposte di
profano e sacro, dove il secondo termine prevale sul primo. Per questo ogni evento di interesse sociale e
rilevante per la persona, dalla gravidanza alla morte, dal fidanzamento al matrimonio, doveva essere
accompagnato dai riti di passaggio atti a scandire la transizione da uno stato all'altro degli individui
coinvolti.

• LA STRUTTURA RIPARTITA DEI RITI

Van Gennep distinse all'interno di ciascun rito di passaggio tre fasi, ciascuna caratterizzata da rituali
specifici: separazione (eventi preliminari), margine (riti liminari) e aggregazione (riti postliminari). Egli
conferì grande importanza a quella centrale poiché essa consisteva in una fase che attenuava il carattere
traumatico del passaggio dalla fase iniziale alla fase di incorporazione in un'altra categoria sociale. Inoltre
Van Gennep riconosceva a Hertz il merito di avere individuato tale fase di margine in ciò che quest'ultimo
aveva chiamato stadio transitorio, cioè il periodo di tempo intercorrente tra le due esequie.

A discapito di ciò che dissero i critici, Van Gennep voleva dimostrare l'essenza di ogni sequenza
cerimoniale e cioè la sua TRIPARTIZIONE. Con questo egli puntò decisamente sull'aspetto simbolico del
rituale precisando che erano le connessioni logiche tra le fasi del rito a dovere interessare gli etnologi.

L'accentuazione dell'aspetto simbolico emerse anche in un'altra opera di van Gennep del 1920: "Lo stato
attuale del problema totemico". In questo lavoro Van Genne criticò la prima forma di religione, il totemismo,
la quale sarebbe stata l'origine di ogni forma di classificazione della realtà, sociale e naturale.

Per l'autore invece il principio classificatorio era un'istanza che precedeva qualunque altra attitudine
dell'intelletto umano. Alla luce di questa considerazione egli precisò che i riti di passaggio sono anche
l'artificio sociale attraverso il quale gli esseri umani rendono comprensibile a se stessi la transitabilità da
una all'altra delle diverse condizioni in cui è ripartito e classificato l'universo sociale.

LO STUDIO DEI FATTI SOCIALI "TOTALI": MARCEL MAUSS


Marcel Mauss fu l'ultimo allievo di Durkheim. Egli non ha mai compiuto ricerche sul terreno ma nonostante
ciò fu un grande promotore della ricerca etnografica. Filosofo, conoscitore della storia delle religioni, Mauss
insegnò all'école pratique des hautes études e poi anche all'Institut d'ethnologie, imprimendo al suo
insegnamento un carattere strettamente etnologico. La vasta produzione di Mauss spaziò dallo studio della
magia e della religione a quello dell'idea di persona, dai lavori sulle forme di classificazione della realtà
sociale e naturale a quelli sulla moneta, fino ad arrivare ad una serie di interventi sulla vita politica e
culturale della Francia del suo tempo.

• LE FORME DI CLASSIFICAZIONE E L'OMOLOGIA STRUTTURALE

Uno dei primi lavori originali e importanti di Mauss fù quello scritto in collaborazione con Durkheim, ovvero

"Su qualche forma primitiva di classificazione". Quest'opera fù dedicata allo studio delle forme primitive di
classificazione e si proponeva di mostrare come la classificazione dell'universo non dovesse essere
considerata come l'effetto spontaneo della mente umana ma il raggruppamento in categorie nasceva dal
fatto che gli esseri umani raggruppano gli oggetti in base ai loro stessi gruppi sociali. I due autori presero in
considerazione la società degli aborigeni australiani dimostrando che quest'ultima si divideva in "Classi
matrimoniali", cioè gruppi esogamici non fondati sulla discendenza ma su altri criteri di assegnazione
sociale.

Inoltre i due autori consideravano la divisione in classi matrimoniali come il sistema più semplice di
organizzazione sociale. Ad ogni classe, dotata di un nome di animale (Totem), era associata una serie di
fenomeni naturali. In tal modo il mondo era ordinato e classificato in categorie direttamente legate alle
suddivisioni della loro società

L'elemento fondamentale di questo lavoro è rappresentato da un OMOLOGIA STRUTTURALE tra la


dimensione sociale e quella simbolica.

• " IL FATTO SOCIALE "TOTALE"

L'ipotesi dell'omologia strutturale avrebbe spinto Mauss alla ricerca di quegli elementi sociali capaci di
coinvolgere i diversi livelli sociali. Egli li chiamò FATTI SOCIALI TOTALI.

Un esempio di studio dei fatti sociali totali fu fornito da Mauss nel "Saggio sulle variazioni stagionali delle
società eschimesi", in cui proprio i gruppi di questo popolo si raggruppavano o disperdevano in base alla
stagione dell'anno. Questa situazione venne analizzata nel significato totale che essa rivestiva sul piano
sociologico, quindi la tendenza che questi gruppi avevano nel separarsi durante l'estate e raggrupparsi
durante l'inverno risiedeva nel variare dell'intensità della vita sociale, infatti riti, feste, relazioni sociali
raggiungevano la loro massima frequenza durante l'inverno mentre cessavano durante l'estate, quando i
gruppi si disperdevano. Si può evincere quindi che la vita sociale degli Eschimesi presentava una natura
bipolare, la quale si rifletteva a livello simbolico, caratterizzata da "collettivismo" o "individualismo".

Mauss vedeva così nella morfologia dei gruppi sociali non qualche cosa che doveva essere spiegato ma
qualche cosa che permetteva di spiegare i diversi aspetti della vita di una comunità. Questo saggio
rappresentò quindi il primo esempio di studio di un fatto sociale totale come era appunto la diversa forma di
aggregazione che la società assumeva a seconda delle stagioni.

• LA TEORIA DEL DONO

In relazione ai fatti sociali totali distacco l'opera di Mauss "Saggio sul dono" con il sottotitolo "forma e
motivo dello scambio nelle società arcaiche". Costruito in parte sui lavori di Boas e Malinowski, il saggio
mostrava l'esistenza di fenomeni di scambio e di circolazione dei beni materiali che fino a quel momento
erano stati ignorati. In ciò Mauss vide un tipico esempio di fatto sociale totale che egli raggruppò sotto la
categoria del DONO. Essi sembravano situarsi al centro di relazioni tra individui e tra gruppi in base al
principio della reciprocità, come conseguenza del fatto che la società impone agli individui di comportarsi in
base a delle regole.

Tre erano le regole che stavano alla base del fenomeno del dono e grazie alle quali nasceva la reciprocità:
dare, ricevere e ricambiare. Questo principio era riconducibile ad una "qualità" presente negli oggetti
scambiati e che li assimilava alla persona che li aveva posseduti, di conseguenza questa "qualità"
permaneva negli oggetti anche dopo essere stati passati nelle mani di un'altra persona. La mancata
restituzione degli oggetti donati avrebbe prodotto l'interruzione dello scambio e a sua volta avrebbe
provocato un danno al trasgressore della regola.

Mauss fu profondamente influenzato dalla teoria dello "hau" presente tra i Maori in Nuova Zelanda.
Secondo questi ultimi lo hau sarebbe lo "spirito della cosa donata", ciò che pone in debito colui che riceve il
dono e lo obbliga a ricambiare per produrre una specie di "equilibrio delle forze"

Indipendentemente dalle critiche subite, il "Saggio sul dono" è molto importante non solo perché produsse
una migliore comprensione della dimensione economica presente nelle società primitive, ma anche perché
suggerì nuove prospettive nello studio della dinamica sociale e soprattutto degli studi sulla parentela.

CAPITOLO 8: LO SVILUPPO DELL'ANTROPOLOGIA NEGLI STATI UNITI E LA "SCUOLA" DI BOAS

Nell'ultimo periodo del XIX secolo negli Stati Uniti vennero condotte importanti ricerche che
approfondiranno la conoscenza delle culture dei nativi americani. Tra queste distaccano i lavori di John
Henry Powell sui miti e le lingue aborigene, di Frank Hamilton Cushing sui miti degli Zuni e di Alice Fletcher
sul rito di iniziazione degli indiani Pawnee

IL "PARTICOLARISMO STORICO" DI FRANZ BOAS

Questo grande lavoro etnografico svolto dai ricercatori del Bureau of American Ethnology stimolò alcuni
istituti di ricerca britannici a promuovere uno studio degli indiani della Costa canadese del Pacifico. Il
linguista inglese che dirigeva il progetto, Horatio Hale, decretò come etnografo il tedesco Franz Boas
destinato a divenire, nei decenni seguenti, la figura di maggiore rilievo dell'antropologia americana. Boas
quando venne chiamato a far parte del progetto aveva già lavorato tra gli eschimesi e nella costa canadese
del Pacifico. Il punto fondamentale delle sue ricerche era il fatto di concentrare l'attenzione su un contesto
culturale o areale specifico in modo da dimostrarne il particolarismo. Inoltre Boas fu anche un intellettuale
che si batté contro il razzismo infatti nel suo primo libro "L'uomo primitivo" egli sostiene la mancanza di
relazioni tra culture e razza, dimostrando come le caratteristiche culturali di un popolo non avessero alcun
rapporto con l'aspetto fisico dei suoi componenti.

• LA CRITICA DELL'EVOLUZIONISMO

I "Limiti del metodo comparativo dell'antropologia" è forse il più noto dei testi teorici di Boas. In questo libro
l'autore si schiara contro l'evoluzionismo enunciando anche i principi generali del cosiddetto metodo
storico. Quindi egli respinse l'idea secondo la quale tratti culturali simili osservabili in popoli distanti tra loro
sarebbero apparsi indipendentemente senza alcuna origine storica comune. Per dimostrare e sostenere la
fragilità del ragionamento evoluzionista, Boas produsse una serie di esempi relativi sia alla possibile origine
differente sia al diverso significato che fenomeni culturali simili potevano avere in contesti culturali diversi.

Per esempio l'origine delle associazioni tra clan e totem, cioè tra un gruppo di consanguinei e un simbolo di
natura animale o vegetale, veniva considerata una caratteristica universalmente diffusa presso i popoli
primitivi ma Boas mostrò come la formazione di un simile tipo di società poteva essere il prodotto della
scissione di tribù numerose in segmenti meno ampi, cioè clan.

• LO "STORICISMO" DI BOAS

Boas sosteneva che l'obiettivo fondamentale dell'etnologia fosse la conoscenza delle cause che avevano
determinato i tratti culturali propri di una certa popolazione. Questa considerazione costituì il principio
fondamentale del metodo storico, successivamente chiamato particolarismo storico, il cui oggetto era
rappresentato dallo studio e dalla conoscenza delle culture singole. L'insistenza di Boas sull'importanza del
particolarismo derivò anche dal clima culturale del suo paese d'origine, infatti in quel periodo il dibattito
filosofico tedesco operava la distinzione tra "scienze della natura" e "scienze dello spirito". Windelband,
Rickert e Dilthey insistettero quindi su questa distinzione e sul fatto che entrambe hanno un particolarismo
proprio. Si suppose che il particolarismo storico di Boa abbia tratto ispirazione dalla filosofia storicista della
fine dell'800.

L'ANALISI DEL POTLATCH

Tra il 1894 e il 1895 Boas condusse una ricerca tra i gruppi nativi della costa americana del Pacifico
Settentrionale, e in particolare tra i KwakiutI, avvalendosi in queste ricerche di un informatore indiano di
nome George Hunt, che lo stesso Boas addestrò nelle tecniche di rilevazione dei dati etnografici. Da
questa ricerca ne derivò l'Organizzazione sociale e le società segrete degli Indiani Kwakiut|" in cui l'autore
analizza in modo particolare un'istituzione: il POTLATCH. Il potlatch è un rituale di ostentazione comune
nelle popolazioni native della costa della Columbia Britannica e sull'isola di Vancouver che prevedeva la
distruzione di grandi quantità di beni considerati di prestigio cioè privi di un valore d'uso corrente.

Attraverso questo rituale individui dello stesso stato sociale si sfidavano in una gara distruttiva allo scopo di
affermare pubblicamente il proprio rango, di abbassare quello di qualche rivale o di riacquisirlo nel caso lo
avessero perduto. Oggi si considera il potlatch come un meccanismo attraverso il quale venivano sottratti
quei beni che se al contrario vi fossero stati immessi nella società avrebbero provocato un'alterazione del
sistema e prodotto una perturbazione nella struttura dei rapporti di potere, di fatti i Kwakiutl erano una
società fortemente stratificata. Era dunque un rituale atto a mantenere l'equilibrio del sistema. Boas
descrisse questa pratica in termini di investimento, vendita, interesse eccetera, ovvero attraverso termini
economici anche se quest'ideologia economico-etnocentrica di Boas non aveva nulla a che vedere con una
situazione del genere. L'attenzione prestata da Boas a quelle che potevano essere le azioni e le abitudini
degli individui nei confronti della loro cultura, in questo caso l'onore, il rango, il prestigio, rappresentò
comunque un passo avanti nell'analisi antropologica della cultura.

• PSICOLOGIA E CULTURA

Boas non cessò mai di ricordare che uno dei compiti fondamentale dell'etnologia era quello di determinare i
processi psicologici che permettevano lo sviluppo dei fenomeni culturali, pensiero emerso anche nel suo
lavoro "Alcuni problemi di metodo nelle scienze sociali".

Inoltre Boas pose il problema di come un individuo reagendo alla propria cultura contribuiva a riprodurre e
a modificare i modelli sociali di comportamento. Nella sua prospettiva questi processi psicologici, ovvero la
rappresentazione che gli agenti di una cultura si facevano della propria esistenza sociale, divenivano la
realtà oggettiva della vita sociale stessa quindi il criterio che permetteva di qualificare l'inchiesta etnologica
risiedeva nel grado maggiore o minore di fedeltà con la quale l'etnologia sapeva cogliere la
rappresentazione della realtà sociale che di essa si facevano i membri della popolazione studiata. Questa
prospettiva venne da Boas enunciata ma non sviluppata.

L'antropologia di Boas fu così destinata a esercitare un'influenza determinante e duratura sulla tradizione
antropologica statunitense.
LA CRITICA DELLA PROSPETTIVA CAUSALE E LO STUDIO DELLA PARENTELA: ALFRED L.
KROEBER

Alfred L. Kroeber fu il primo studente a laurearsi sotto la guida di Boas. In "Spiegazione mediante cause e
origini" Kroeber criticò le teorie sulle origini del mito che presentavano i miti come il risultato di processi di
ordine psicologico sviluppatisi da una credenza originaria. Invece per kroeber i miti si presentavano come
aggregati di una serie di tendenze le quali insieme davano luogo al mito specifico per questo il mito stesso
deve essere compreso nella sua totalità individuale e non nei suoi singoli aspetti separati.

• I PRINCIPI COSTITUTIVI DELLE TERMINOLOGIE DI PARENTELA

Un altro importante lavoro di Kroeber fu "Sistemi classificatori di relazioni" basato sulla critica al metodo
comparativo e al principio causale come spiegazione dei fenomeni culturali.

Morgan spiegava che i sistemi di parentela servivano a spiegare la natura dei rapporti e delle istituzioni
sociali, Kroeber criticava ciò spiegando che essi riflettevano la psicologia, veicolata dal linguaggio, dei
soggetti culturali. In questo caso psicologia significava il complesso delle attitudini che in ogni cultura
vengono elaborati nei confronti dei propri parenti. Detto ciò i termini di parentela venivano considerati de
kroeber come espressioni della cultura stessa così come l'economia, l'arte o la letteratura.

L'importanza di questo saggio risiede nell'aver lasciato intendere che le terminologie di parentela non
possono essere considerate solo il riferimento alle relazioni sociali ma possono essere associati anche a
domini semantici come quando usiamo per esempio i termini di "zio" o "nonno" per specificare individui che
non ci sono parenti in senso stretto. Attraverso l'analisi di 12 sistemi di parentela appartenenti ad alcuni
gruppi di nativi americani egli evidenziò 8 principi fondamentali che regolano la costituzione di tutti i sistemi
terminologici, cioè alcuni criteri utilizzati nel specificare il grado del parente.

Sono i seguenti:

1. differenza tra persone della stessa generazione di generazioni diverse;

2. differenza tra parentela il in linea diretta e in linea collaterale;

3. differenza d'età nell'ambito della stessa generazione

4. il sesso del parente; 5. il sesso di colui che parla;

6. il sesso dell'individuo attraverso il quale passa la relazione di parentela tra chi parla e colui di cui si parla;

7. distinzione tra parenti consanguinei e acquisiti per matrimonio;

8. la condizione di vita attraverso cui passa tra chi parla e colui di si chi si parla

Alcuni sistemi terminologici tengono conto di tutti i principi, altri solo di una parte di essi. Il sistema inglese,
come quello italiano, ne prende in considerazione solo 4 (1 2 4 7), mentre i sistemi di alcuni gruppi indiani
ne comprendono da sei a otto.

La scelta del livello linguistico come livello esclusivo di comprensioni delle terminologie di parentela
significava per Kroeber specificare che presso alcune società le relazioni di parentela svolgono funzioni
molto importanti che nelle società civilizzate, in cui vengono invece sostituiti da rapporti di tipo politico-
economico e di conseguenza le terminologie di parentela esprimano essenzialmente delle relazioni sociali.

LA NATURA "SUPERORGANICA" DELLA CULTURA: DA BOAS A KROEBER

Come abbiamo già visto in precedenza proprio nell'ultimo decennio dell'800 Franz Boas cominciò negli
Stati Uniti la sua lunga battaglia per sostenere tre cose: che voler ricostruire l'evoluzione della cultura
umana a partire dallo studio dei popoli primitivi era senza fondamento; che il pensiero dei primitivi era
analogo a quello dei civilizzati e che se vi erano differenze erano dovute alla specificità del contesto sociale
in cui gli individui si trovavano; e infine che natura e cultura, intese da lui come razza e cultura, erano due
cose ben distinte.

Il fatto è che Boas si trovava in un America razzista, feroce con i neri e dura con gli immigrati, infatti il
razzismo consisteva proprio nel voler collegare la razza alla cultura. Inoltre proprio alla fine del
diciannovesimo secolo nacque sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti un orientamento conosciuto come
"darwinismo sociale". Si trattava di una ideologia sociologico-politica che ipotizzava una sorta di continuità
tra l'ordine biologico e quello sociale, ovvero le stesse leggi che regolavano la selezione naturale
sarebbero state le stesse che regolavano la selezione sociale.

Il risultato di questa battaglia antirazzista e contro il darwinismo sociale fece sì che Boas e molti dei suoi
allievi dedicassero i loro sforzi a rendere autonoma la cultura ad altri aspetti della vita umana. Infatti nei
primi decenni del Novecento l'America separò le competenze scientifiche.

Fu così che nel 1917 kroeber pubblico il "Superorganico", un saggio in cui affermava la discontinuità tra i
fenomeni culturali e altri fenomeni, come la biologia o la psicologia. La tesi centrale di questo saggio era
che l'ordine dei fenomeni culturali è di natura superorganica cioè che essi sono visti come dotati di una
esistenza di tipo autonomo.

Il carattere di autonomia che kroeber attribuisce ai processi culturali spiegava che lo studio di questi ultimi
consisteva nel tentativo di comprendere i fenomeni appartenenti alla sfera della cultura nella loro assoluta
indipendenza dall'azione individuale.

L'antropologia di kroeber rappresentò quindi un grande contributo nel campo dell' etnografia degli indiani
del Nord America e della California e fu proprio nel campo delle etnografia nord-americana che egli forni
apporti teorici di rilievo come per esempio la sua teoria dei "culmini culturali" che si riferisce ai processi di
diffusione sviluppatasi negli Stati Uniti nei primi decenni del Novecento.

IL DIFFUSIONISMO NEGLI STATI UNITI

Negli stessi anni, negli ambienti antropologici statunitensi si costitui un indirizzo di ricerca che poneva al
centro la distribuzione geografica delle culture indiane, i loro contatti e i prestiti reciproci sul piano della
cultura materiale, l'organizzazione sociale e la vita religiosa. Tutto ciò avvenne poiché i dati etnografici
offerti dalle società native del Nord America erano davvero vasti e quindi si senti l'esigenza di una loro
sistemazione e catalogazione secondo criteri omogenei e coerenti fondati sulla somiglianza, il contatto e,
appunto, la diffusione.

• LA NOZIONE DI AREA CULTURALE

All'interno di questa prospettiva di ricerca ebbe un ruolo fondamentale la nozione di "area culturale" con la
quale veniva designata l'area geografica entro la quale erano presenti determinati tratti culturali come una
tecnica di cattura della selvaggina, o un istituto matrimoniale o una credenza. La nozione di area culturale
si impose nei primi anni del 900 grazie a studiosi etnografici e museografici, i quali ebbero un ruolo
fondamentale poiché mentre in precedenza l'esposizione dei reperti museali rispettava l'idea dell'
evoluzionismo secondo cui era possibile stabilire un criterio crescente indipendentemente dal luogo di
provenienza di determinate categorie di oggetti, ora l'esigenza era quella di dimostrare somiglianze e
differenze tra reperti provenienti dalle diverse culture. Di seguito il problema di fondo divenne: come si può
spiegare la distribuzione irregolare di tratti culturali tra gruppi che possiedono un numero comune di
elementi? la risposta consisteva da un lato nel concepire i tratti culturali come qualcosa che potevano
differenziarsi da una cultura ad un'altra, dall'altro lato veniva problematizzata la natura selettiva della
cultura, cioè che alcuni di questi tratti erano accolti, altri rifiutati a seconda che fossero compatibili o meno
con il nucleo della cultura ricevente.
In questo lavoro si distinse Clark Wissler. La sua esperienza museografica spinse Wissler, anch'egli
scolaro di Boas, a intraprendere un lavoro di classificazione delle culture indiane sulla base del criterio
delle loro relazioni con l'ambiente, infatti Wissler elaborò una teoria delle aree culturali come ambiti di
diffusione di tratti simili a partire da un centro di irradiazione chiamato centro culturale. In questo centro
sarebbero così presenti tutti i tratti che caratterizzavano l'aria e ciò poteva spiegare, secondo Wissler, il
fatto che popolazioni appartenenti alla stessa area culturale non erano tutte culturalmente identiche.

• LA NOZIONE DI AREA CRONOLOGICA

Wissler cercò di dare una dimensione temporale al processo di diffusione attraverso la nozione di "aria
cronologica", cioè i tratti che si trovavano più lontani dal punto di diffusione iniziali dovevano essere più
antichi e quindi appartenere al nucleo culturale originario. Le teorie di Wissler vennero criticate da
antropologici e da linguisti.

Tra questi vi fu etnolinguista Edward Sapir, il quale in uno dei suoi saggi, "La prospettiva temporale nella
cultura aborigena americana", puntualizzò la sua versione problematica della teoria della diffusione
facendo osservare come i tratti culturali non si diffondevano in maniera uniforme in tutte le direzioni e
inoltre che la diffusione non avveniva sempre con ritmi identici per cui è difficile accertare l'anteriorità e la
successione di acquisizioni di una cultura da parte di un'altra. Altri studiosi fecero infine rilevare che la
trasmissione dei tratti culturali poteva essere il risultato non solo di una semplice diffusione dei tratti stessi
ma di una migrazione dei gruppi umani.

Ad ogni modo la corrente diffusionista che in America conobbe il momento di massima intensità tra il primo
e il secondo decennio del Novecento non propose una ricostruzione globale dei processi di diffusione
delleculture umane ma bensì propose una definizione e una distribuzione delle aree culturali indiane del
continente nordamericano.

CAPITOLO 9: LA "RIVOLUZIONE ETNOGRAFICA" IN GRAN BRETAGNA. DA RIVERS A MALINOWSI

La fine del XIX e l'inizio del XX secolo videro un declino delle teorie evoluzioniste in campo culturale che fu
dovuto ai progressi della ricerca etnografica. Questi progressi furono sia di tipo quantitativo che qualitativo,
poiché da un lato il numero degli etnografi crebbe rapidamente e dall'altro i metodi di indagine divennero
più attendibili. Gli sviluppi più significativi dell'etnografia si ebbero in Gran Bretagna dove l'impatto di questa
scienza sulla ricerca antropologica sollecitò una nuova concezione della metodologia della ricerca e
dell'oggetto di studio.

TEORIA E METODO DELLA RICERCA SUL CAMPO: WILLIAM H.R. RIVERS

William H.R. Rivers divenne antropologo sul campo partecipando nel 1898 alla spedizione di Haddon allo
stretto di Torres. Qui reverse con ricerche sulle facoltà percettive dei relativi giungendo alla conclusione che
non vi erano sostanziali differenze tra questi ultimi e i giovani inglesi per quanto riguardava il modo di
percepire immagini, colori, sapori, suoni.

• LO STUDIO DELLE TERMINLOGIE DI PARENTELA

Gli interessi di Rivers si volsero poi allo studio dell'organizzazione sociale dei popoli primitivi e alle
terminologie di parentela. Nonostante non fosse un evoluzionista egli si avvicinò alle tesi di Morgan
secondo cui le terminologie di parentela sarebbero state la conseguenza linguistica delle relazioni sociali.
In relazione a questi interessi Rivers sviluppò in un breve articolo pubblicato nel 1910 il "metodo
genealogico" nella raccolta di termini di parentela. Questo lavoro illustrava un sistema efficace di raccolta
dei dati relativi all'organizzazione sociale dei popoli selvaggi e in esso Rivers espose un nuovo punto di
vista sulla pratica etnografica che si distingueva sia dagli antropologi da tavolino, ovvero quegli studiosi che
non avevano avuto esperienza sul campo, sia dai missionari. Il metodo consisteva nel chiedere a un
individuo il nome dei suoi parenti più prossimi e il termine di parentela con cui venivano designati cioè
padre, madre, eccetera, poi nel chiedere i nomi e termini con cui venivano designati quelli via via più
lontani sia in linea diretta che in linea collaterale.

In questo metodo era quindi possibile stabilire differenze e somiglianze terminologiche tra parenti a partire
dalle quali si poteva tracciare un quadro delle relazioni sociali che vi erano all'interno di quella specifica
comunità. Inoltre fra i vantaggi di questo metodo vi era sia quello di trattare su un piano concreto problemi
astratti come le relazioni terminologiche e sia quello di superare la distanza tra ricercatore e nativo che a
giudizio di Rivers derivava non tanto dalla differenza di cultura tra i due ma dall'abitudine al pensare in
maniera teorica-astratta da parte del primo e in maniera concreta da parte del secondo. Per Rivers infatti il
metodo da lui ideato consentiva di porre il ricercatore europeo sullo stesso piano del nativo poiché per lui
era molto importante trovare un modo di comunicazione che favorisse la comprensione reciproca tra
antropologi e nativi. Inoltre tra i vantaggi vi era anche la sua praticità soprattutto a beneficio di quei
ricercatori che al contrario dei missionari non avevano la possibilità di soggiornare a lungo tra i nativi.

• LA METODOLOGIA DELLA RICERCA SUL CAMPO

Dopo il 1910 Rivers scrisse brevi ma importanti lavori di metodologia alcuni dei quali possono essere
considerati i precettori della grande rivoluzione etnografica degli anni successivi alla prima guerra
mondiale. Si tratta di lavori meno noti, di rapporti, note, relazioni spesso redatti da istituzioni scientifiche.
Nel 1913 per esempio fu incaricato da un'istituzione americana di redigere un rapporto sull' avanzamento
della ricerca antropologica al di fuori degli Stati Uniti. In questo lavoro preconizzò anche l'avvento del
ricercatore "professionale" che sarebbe prevalso poi in futuro, ovvero ricercatori addestrati che possano
dedicare tutte le loro attenzioni al lavoro etnografico. Infine Rivers sembra affacciarsi a un nuovo stile di
ricerca: la prospettiva olistica, la quale caratterizzerà l'antropologia dei decenni successivi.

Rivers non ebbe modo di sviluppare queste sue importanti intuizioni poiché durante gli anni del primo
conflitto mondiale si dedicò, in quanto medico e psicologo, alla cura e allo studio delle psicosi di guerra,
cioè dei traumi psichici da cui erano stati colpiti molti militari tornati dal fronte. Rivers morì in maniera
improvvisa nel 1922.

LA METEORA DIFFUSIONISTA IN GRAN BRETAGNA E LE TEORIE "ELIOCENTRICE"

Dopo il 1910 Rivers si interessò alla prospettiva diffusionista, spinto dalla consapevolezza dei limiti dell'
evoluzionismo. Cosi pubblicò "The History of Melanesian Society", che fu un tentativo di ricostruzione
storica della cultura locale a partire dai dati linguistici e dalla cultura materiale.

• L'IPERDIFFUSIONISMO

Nei primi anni del Novecento in Gran Bretagna divennero note le teorie di Grafton Elliot Smith e William
Perry. Questi due studiosi offrirono una versione radicale delle teorie diffusioniste, difatti il loro pensiero
venne definito "perdiffusionismo". Le teorie di Smith e Perry spiegavano che vi era un unico centro diffusore
di cultura: l'Egitto. Dall'Egitto la cultura si sarebbe diffusa all'intero Globo e cosi viaggiando gli egiziani
avrebbero trasmesso la civiltà ad altre popolazioni che non furono in grado di conservarla nel suo stato
originario. Ciò fu dimostrabile perché le culture distribuite sulla terra mostravano i resti di quella egizia, e
una delle prove fornita da Smith, medico australiano con esperienze in archeologia, fu l'esame della
distribuzione geografica della mummificazione, della presenza delle costruzioni piramidale e del culto
solare. La presenza di questi tratti nell'America precolombiana costituiva la prova che questi elementi
erano stati importati in epoche remote dalla civiltà egizia. In "Le migrazioni delle antiche culture" egli
sosteneva la tesi secondo la quale in Australia erano presenti molte usanze funerarie che potevano essere
considerate come degradazioni della pratica della mummificazione.

Inoltre le teorie di Smith e Perry furono considerate eliocentriche o eliolitiche, poiché ponevano l'accento
sulla diffusione del culto del sole e dei grandi monumenti in pietra. Il diffusionismo, soprattutto quello
radicale, in Gran Bretagna non riuscì mai ad attirare l'attenzione degli studiosi più qualificati e non ebbe
neppure una vera influenza in campo accademico, al contrario che nell'area di lingua tedesca. Infatti a
differenza dei diffusionisti di lingua tedesca, quelli britannici non erano neppure etnologi o museologi, bensì
studiosi di altre discipline che amavano compiere incursioni nel campo dell'antropologia.

LA "MAGIA" DELLE ISOLE: MALINOWSKI TRA MITO E REALTÀ

Nel 1922 un antropologo polacco trasferitosi in Inghilterra, Bronislav Malinowski, pubblicò un libro,
"Argonauti del Pacifico Occidentale", destinato a segnare un momento decisivo nella storia
dell'antropologia. Quando scoppiò la prima guerra mondiale egli si trovava in Australia e Malinowski
avrebbe dovuto essere internato dalle autorità australiane ma fu lasciato libero di compiere ricerche prima
nella Nuova Guinea e poi nelle isole trobriand in Melanesia. Malinowski non studò solo l'organizzazione
sociale economica e giuridica dietro dei Trobriand ma anche le tecniche di costruzione delle canoe, i miti, i
riti, la lingua e il comportamento sessuale, infatti scrisse su di loro un gran numero di opere.

Malinowski fece il suo ingresso in Gran Bretagna alla fine della guerra dove trovò una situazione
profondamente segnata dal conflitto e fu in quel momento che egli si impose con la sua brillantezza di
scrittore e con le sue novità in campo etnografico. Egli fu visto come un personaggio dotato di particolari
qualità che lo permetterebbero di penetrare la vita delle popolazioni studiate. Fu grazie a Malinowski che si
coniò il termine "osservazione partecipante", una nuova tecnica di inchiesta che consentiva ai ricercatori di
entrate in un rapporto empatico con i nativi. Infatti osservare partecipando voleva dire cercare di prendere
parte il più possibile alla vita degli indigeni allo scopo di cogliere il loro punto di vista e la loro visione del
loro stesso mondo.

Quando però i suoi diari segreti vennero pubblicati a 25 anni dalla morte la sua figura subì un durissimo
colpo. In effetti Malinowski risultava attraverso le pagine dei suoi diari diverso dall'individuo mimetico che si
credeva capace di adattarsi a qualunque situazione di estraneità culturali, poiché non era affatto un tipo
mite e controllato ma, al contrario, nei suoi diari avrebbe giudicato i nativi con parole volgari e avrebbe
espresso più volte il desiderio di volersi trovare altrove.

Nonostante ciò, Malinowski fu colui che ha posto, seppure in forma indiretta, quello che sarà uno dei
problemi centrali dell'antropologia di fine 900, e cioè il poter valutare le interpretazioni di coloro che
costituiscono l'oggetto di studio dell'antropologia attraverso le interpretazioni stesse degli antropologi.

UN MODELLO DI MONOGRAFIA ETNOGRAFICA: GLI ARGONAUTI

Dal 1922 al 1938 Malinowski svolse la propria attività di insegnamento alla London school of economics. In
questo periodo usciranno i suoi libri sulle popolazioni delle isole trobriand, tra cui appunto "Argonauti del
Pacifico occidentale". Argonauti non era una descrizione delle componenti della cultura delle isole trobriand
bensì partiva da un aspetto particolare della vita per poi aprirsi sugli altri. L'oggetto centrale di Argonauti
infatti era costituito da una forma di attività di scambio praticata dalle comunità stanziate su isole a volte
molto lontane tra loro ma comunque comprese entro un'area geografica circoscritta

• IL CERIMONIALE KULA
Questa forma di scambio, o "kula", veniva definita da malinowski come un fenomeno notevole poiché
occupava il posto più importante della vita tribale di questi indigeni. Malinowski quindi per affrontare questo
studio parti dall'analisi di tutti gli elementi della vita sociale connessi a questa forma di scambio.

Tra le isole abitate dai gruppi partecipanti allo scambio circolavano due tipi di oggetti, collane di conchiglie
rosse (soulava) e braccialetti di conchiglie bianche (mwali). Le prime circolavano solo in senso orario, i
secondi solo in senso contrario e ciò dipendeva dal fatto che gli oggetti appartenenti a una categoria
potevano essere scambiati solo con oggetti dell'altra categoria. Gli oggetti circolavano in continuazione
restando nelle mani del loro possessore solo per un periodo di tempo e venivano barattati nel corso di
visite che gli abitanti delle diverse isole si scambiavano periodicamente. I preparativi per la partenza e gli
scambi avvenivano secondo rituali precisi accompagnati da pratiche magiche. Durante le visite, gli scambi
kula, considerati strettamente come cerimoniali, erano accompagnati da un commercio di tipo profano
mediante il quale venivano scambiati oggetti con un valore d'uso.

• OLISMO E FUNZIONALISMO

Argonauti è presentato come il libro che inaugura una nuova epoca nella pratica della ricerca sul campo, la
cosiddetta osservazione partecipante che costituisce una delle novità metodologiche. Questo tipo di
osservazione produsse una serie di effetti rilevanti. In primo luogo la comparsa di una nuova concezione
della cultura della società come complessi di fenomeni reciprocamente correlati e ciò significava quindi
rappresentare l'oggetto di studio come qualcosa che poteva essere colto attraverso una prospettiva di tipo
olistico, cioè in maniera intera. Inoltre l'oggetto di studio dell'antropologia risultava costituito da parti tra loro
correlate anche in senso funzionale.

Argonauti sarebbe il primo studio di antropologia economica e bisogna dire che proprio perché Malinowski
si rifiutava di vedere nell'indigeno delle trobriand l'incarnazione dell'"homo aeconomicus", il suo intento era
quello di produrre un'immagine economica dotata di senso dell'agire sociale delle popolazioni oggetto di
indagine.

• IL PRINCIPIO DI RECIPROCITÀ

L'analisi condotta da malinowski sullo scambio kula la mise in evidenza l'esistenza di una rete di rapporti
tra individui, clan, tribù fondati su un principio che egli chiamò "di reciprocità". Tutte le operazioni connesse
all'economia si presentavano come regolate da una logica sociale tesa a promuovere la solidarietà e
l'organicità della società e della cultura. Questo principio costitul il tema di uno studio che malinowski
pubblico pochi anni dopo, "Diritto e costume nella società primitiva". In questo lavoro il principio di
reciprocità venne presentato come fondamentale dell'intera società trobriandese e si trattava di affermare
l'esistenza di un principio di ordine non codificato ma inerente alla pratica tradizionale e che era in grado di
svolgere una funzione strutturante dell'agire sociale.

L'ORIGINE DELLA FAMIGLIA

Nel 1913 Malinowski pubblicò "La famiglia tra gli Aborigeni australiani" in cui l'autore confutò l'idea degli
etnologi secondo cui durante le cerimonie erano consentiti rapporti sessuali con partner diversi da quelli
matrimoniali, spiegando che, al contrario, i rapporti sessuali erano soggetti a strette norme, a restrizioni e
regole.
• UNIVERSALITÀ DELLA FAMIGLIA ORIGINARIA

A partire dal lavoro sugli aborigeni australiani questa immagine della famiglia elementare come cellula
universale della società rimarrà una costante in tutti i suoi lavori successivi. In "Sesso e repressione
sessuale tra i selvaggi" l'autore presenta la famiglia come il luogo della riproduzione sia biologica sia
culturale in cui l'incesto è bandito in quanto disgregherebbe la famiglia e i rapporti che si instaurano
all'interno di essa di conseguenza la proibizione dell'incesto fu da lui concepita come risposta a una
potenziale disgregazione dei legami familiari mentre l'esogamia era un mezzo per risolvere favorevolmente
ed efficacemente la proibizione stessa.

LA TEORIA DELLA CULTURA E " DUE FUNZIONALISMI"

Nel 1944 fu pubblicato "Una teoria scientifica della cultura". I 2 saggi più importanti in esso contenuti "Una
teoria scientifica della cultura" e "La teoria funzionale" erano stati scritti nel periodo americano di
malinowski. In essi l'autore cercò di produrre un'immagine ordinata e scientifica sia del metodo sia
dell'oggetto dell'antropologia. L'immagine della società e della cultura era quella di un insieme di pratiche e
di comportamenti tra loro integrati tendente al mantenimento dell'equilibrio della società e del suo
funzionalismo, ciò potrebbe essere definito il "funzionalismo ristretto". Con gli scritti pubblicati il panorama
quindi cambiò e la concezione di funzionalismo ristretto fu affiancata da una particolare concezione della
cultura, che la definisce come un vasto apparato in parte materiale, in parte umano, e in parte spirituale
con cui l'uomo può venire a capo dei problemi che gli stanno di fronte. Ciò potrebbe essere definito invece
"funzionalismo allargato" di malinowski. L'esigenza di organizzare e mantenere la coesione tanto sul piano
sociale quanto su quello culturale è soddisfatta dai cosiddetti "bisogni secondari" o "derivati", cioè
organizzazione politica, economia, eccetera...

• LA NATURA DELLA MAGIA E DELLA RELIGIONE

Alla concezione strumentale della cultura, cioè al funzionalismo allargato, è da ricondurre anche la storia
della magia. "Magia, scienza e religione" fu un lavoro fondato in gran parte sulle osservazioni compiute da
Malinowski al tempo delle sue ricerche alle trobriand dove aveva studiato la "magia agricola" degli abitanti
di queste isole. Queste osservazione avevano dato origine alla pubblicazione di un'altra grande opera "|
giardini di corallo e la loro magia", Respinte le teorie evoluzioniste che vedevano nella magia un tentativo di
manipolare lo svolgersi dei fenomeni naturali, la magia per malinowski è costituita da una serie di pratiche
e rituali che tendono a sopperire l'incapacità dell'essere umano di controllare gli elementi della propria
esistenza concreta di conseguenza permetteva all'uomo di mantenere il suo equilibrio. Per Malinowski la
magia e la religione vanno distinte perché se la prima è un mezzo di rassicurazione di fronte al carattere
inspiegabile dell'esistenza, la religione invece è un mezzo per rassicurarsi di fronte alla prospettiva della
fine. Come si vede, l'impostazione funzionale ritorna anche in questo caso come metodo di spiegazione dei
fenomeni culturali.

• TEORIA DEL CAMBIAMENTO CULTURALE

"La dinamica del cambiamento culturale" fu un tentativo di spiegare le trasformazioni in un contesto


caratterizzato dalla compresenza di culture diverse. Questo libro costituisce uno dei primi studi di
antropologia applicata, derivante dal fatto che Malinowski ebbe l'occasione di visitare l'Africa australe dove
il contatto tra bianchi e neri si mostrava problematico. Egli poneva l'accento sulla novità dell'entità culturale
che si generava come effetto dell'incontro tra società e culture differente. Questa terza entità culturale la
riteneva essere una terza cultura che veniva ad affiancarsi alle altre due.

Questa concezione del cambiamento culturale è stata criticata dagli stessi allievi Malinowski perché un
contatto di culture come quello che avveniva in Sudafrica non poteva essere pensato solo come generatore
di un ulteriore entità culturale, ma doveva piuttosto essere studiato tenendo conto che sia la cultura Bianca
sia quella nera erano inserite in un contesto generale differente da quello originario e quindi entrambe
contribuivano a formare una nuova totalità culturale o una nuova situazione storica.
• DOPO MALINOWSKI

Malinowski ebbe un impatto assai grande sulle generazioni successive in America e altrove e influenzò i
suoi scolari e giovani antropologi con il tuo stile etnografico infatti il fascino dell'etnografia malinowskiana
consiste nel senso di incompiutezza cioè i suoi libri non danno quasi mai l'impressione di voler trasmettere
delle informazioni definitive.

CAPITOLO 10. PARAGRAFO 10.2: EDIPO ALLE TROBRIAND? LE SCOPERTE DI MALINOWSKI

Durante il suo soggiorno alle isole trobriand malinowski lesse le opere di Freud e così prese in
considerazione l'idea di verificare all'interno di un contesto culturale molto diverso da quello europeo la
validità di alcune teorie psicoanalitiche, in particolare il complesso di Edipo. Il complesso di Edipo era una
dinamica tipica della relazione madre-bambino-padre presente nella famiglia monogamica europea e
borghese dove il padre deteneva l'autorità sui membri della famiglia.

Anche presso i trobriand la famiglia era di tipo monogamico ma presentava una diversa modalità di
strutturazione dei rapporti affettivi poiché La discendenza era tracciata per linea femminile e quindi era
matrilineare. Ciò significava che l'autorità sulla prole di una coppia veniva esercitata dal fratello della madre
e quindi dallo zio materno che era colui che si occupava della trasmissione dei beni e dell'Eredità. Inoltre il
distacco dal bambino dalla madre avveniva in tempi più lunghi rispetto a quelli tipici della cultura europea
così nel suo libro sesso "Repressione sessuale tra i selvaggi malinowski" definì un complesso matriarcale
una specie di versione "spostata" del complesso di Edipo caratterizzato dal "desiderio di unirsi alla sorella e
di uccidere lo zio materno". D'altronde quest'opera generò una lunga discussione relativa all'universalità o
meno del complesso di Edipo.

CAPITOLO 12: L'ETNOLOGIA FRANCESE

L'AFRICANISTICA E MARCEL GRIAULE

Nei primi due decenni del Novecento l'etnografia era stata praticata in Africa occidentale subsahariana. I
lavori di etnolinguistica condotti da Maurice Delafosse e quelli etnologici di Louis Tauxier gettarono le basi
dell'Africanistica, il settore di studi che ha avuto maggior seguito nella tradizione francese. Per questo
motivo la conoscenza delle culture primitive divenne così in Francia molto importante ed infatti nel 1931 il
Parlamento francese votò una legge con la quale veniva istituita e finanziata la missione Dakar-Gibuti.

Compito di questa missione era quello di raccogliere dati sulle lingue e sulle culture delle regioni Africane
ma anche riportare oggetti di uso rituale comune per le collezioni del Musée d'ethnographique di Trocadéro
di Parigi che poi sarebbe stato ribattezzato Musée de l'Homme. La missione durò circa 2 anni e si concluse
con un enorme successo e fu da quel momento che l'etnologia veniva venne consacrata definitivamente in
Francia.

Direttore della missione era Marcel Griaule, un allievo di Mauss. Durante una delle tappe del viaggio
l'équipe di Griaule prese contatto con una popolazione che attira su di sé l'attenzione di varie generazioni di
ricercatori: i Dogon. Griaule i suoi collaboratori studiarono i miti e la cosmologia di questo popolo di
agricoltori abitanti nello stato attuale del Mali.

• LO STUDIO DELLA COSMOGONIA DOGON

Griaule si occupò della sua idea di una interconnessione tra simbologia, mito, rito e sacrificio Dogon
attraverso uno dei libri più letti di tutti i tempi, "Dio d'acqua". Dio d'acqua è un resoconto della cosmogonia
Dogon, costruito attraverso un dialogo con un anziano cacciatore cieco, ogotemmeli, incontrato nel corso
dell'ultima missione di Griaule in Africa. Dio d'acqua contiene il pensiero Dogon e la presentazione della
cosmologia Dogon fu l'occasione di dimostrare una teoria del rapporto tra sistema mitico e vita sociale
infatti egli pensava che l'organizzazione sociale, la vita produttiva e cerimoniale, i rapporti tra i sessi
eccetera fossero qualcosa che non poteva essere spiegato senza la conoscenza di quella complessa
cosmologia. Di conseguenza bisognava studiare il mito e la cosmologia di un popolo per poterne
comprendere l'organizzazione sociale e la vita in genere. Tuttavia alla conoscenza della cosmologia si
poteva accedere solo se iniziati cioè attraverso quella che è stata chiamata "'iniziazione di Marcel Griaule"
considerata anche come la chiave d'accesso alla cosmologia e alla società, ottenuta in una serie di
interviste con il saggio ogotemmeli.

Oggi però ci si chiede se proprio per il fatto di essere stato in contatto per così lungo tempo con
ogotemmeli e altri anziani Dogon egli non abbia scritto ciò che i Dogon volevano che lui scrivesse, si può
infatti sospettare che le autorità Dogon avessero capito l'interesse che Griaule aveva di elaborare le loro
rappresentazioni mitiche, e di conseguenza si sono sforzate di far apparire la propria cosmogonia come un
sistema coerente e il più possibile simile a una religione.

• IL METODO DELL'ETNOGRAFIA

Griaule rivendicò l'importanza e la priorità degli studi monografici su quelli comparativi, convinto che solo
una conoscenza approfondita di una società e del suo sistema di pensiero potesse contribuire alla
costruzione di un sapere completo della cultura dell'umanità, e di conseguenza la visione dell'umanità era
costituita da gruppi tra loro distinti, ognuno provvisto di una cultura fondata su principi differenti da quelli
degli altri. Per Griaule molto importante era l'atteggiamento che l'antropologo doveva avere nei confronti
del proprio oggetto ed è per questo che lo studio di sistemi cosmologici e di pensiero doveva avvenire sulla
base della coerenza interna che tali sistemi possiedono e non secondo una lettura dell'osservatore. Un suo
lavoro, "Il metodo dell'etnografia", viene pubblicato un anno dopo la sua morte sulla base delle lezioni da lui
tenute alla Sorbona. È un libro che testimonia l'acutezza di Griaule in materia. Egli considerava infatti
l'inchiesta etnografica come un'"operazione strategica" e bisogna ricordare anche che egli era un
sostenitore dell'etnografia "d'urgenza" con il compito di registrare fatti sociali e culturali destinati a
scomparire rapidamente. A ogni modo bisogna tener presente che l'inchiesta etnografica è molto lontana
dall'essere una semplice operazione di raccolta dei dati poiché implica una serie di relazioni di potere tra
etnologo e indigeno.

LE RELIGIONI E I SISTEMI DI PENSIERO AFRICANI

Griaule e la sua squadra lavorarono tra i Dogon per un lungo periodo di tempo e dopo la sua morte le
ricerche continuarono per opera di altri, tra i quali va ricordata la sua stessa figlia, geneviève Calame-
Griaule. La prospettiva di Griaule aveva il merito di rivolgere uno sguardo dal "di dentro" dei sistemi di
pensiero dei popoli africani ma questa prospettiva apparve limitata quando ci fu il periodo storico della
decolonizzazione e quindi l'attenzione di molti antropologi francesi si spostò sui problemi della
trasformazione sociale e del cambiamento culturale. Questo è il motivo per cui l'etnologia di Griaule andò
incontro a critiche simili a quelle del funzionalismo. Poiché fù accusata di "congelare" le culture e quindi i
sistemi di pensiero e le strutture sociali e di sottrarle dalle trasformazioni che segnano il divenire delle
società e delle culture.
L'OCEANISTICA E MAURICE LEENHARDT

Una figura di grande rilievo dell'etnologia francese della prima metà del 900 è quella di Maurice Leenhardt.

Egli fu il virtuale fondatore in Francia dell'etnologia oceanistica. Leenhardt era un missionario protestante
che fu inviato da giovanissimo in Nuova Caledonia, una grande isola della Melanesia a est dell'Australia. II
suo scopo era quello di trovare un metodo per evangelizzare la popolazione locale ma al contrario di altri
missionari, che tentavano di forzare o di persuadere i nativi ad abbandonare i loro culti, le loro credenze e i
loro riti, egli preferì mettersi sulla scia della tradizione locale cercando di stabilire nella cultura canak la fede
del dio Cristiano. Quindi Leenhardt si impegnò in un grande lavoro di traduzione delle Sacre scritture nella
lingua degli abitanti dell'isola.

• IL MITO E LA PERSONA

Studiando i materiali etnologici per lunghi anni, Leenhardt elaborò le idee che la cultura canak aveva del
mito e della persona. Queste idee vennero illustrare in "Do Kamo. La persona e il mito nel mondo
melanesiano". Per Leenhardt i canak erano gente animata da uno spirito profondamente religioso. Egli non
partì dall'analisi dei fatti sociali ma dalla persona ed è appunto dai fatti personali che Leenhardt affrontò
l'analisi del mito. Il mito apparve infatti strettamente legato all'idea di persona e per lui era qualcosa in
grado di dare un senso al tempo, al paesaggio e alla persona. Il mito rendeva conto della partecipazione
dell'essere umano al mondo, alla natura. Inoltre Leenhardt inaugurò una prospettiva destinata a
caratterizzare una corrente molto significativa della tradizione etnologica francese, quella che si distingue
dalle altre per privilegiare lo studio delle cosmologie indigene più come "sistemi di pensiero".

Oltre a "Do Komo", Leenhardt ci ha lasciato opere importanti come "Notes d'ethnologie néo-calédonienne"
del 1925 e "Gens de la Grande Terre" del 1937. Grazie a Leenhardt si formarono parecchi studiosi delle
culture melanesiane e di altre aree dell'Oceano Pacifico.

LA "SOCIOLOGIA MAGHREBINA" E ROBERT MONTAGNE

Intorno al 1920 la tradizione sociologica francese ebbe un'influenza orientalistica e in particolare


nordafricana, generando così quella che è stata chiamata "sociologia maghrebina", ossia la riflessione
condotta da studiosi francesi sulle società e le culture del Nord Africa. L'Algeria, la Tunisia e il Marocco
erano diventati colonie francesi per cui storici geografi, etnologi, e sociologi trovarono in queste regioni il
terreno per le loro ricerche. Quest'ultime si concentrarono sullo studio di aree ad alta e complessa
civilizzazione per questo motivo tale corrente di studi si ritrovò piuttosto lontana dall'etnologia francese
orientata verso l'Africanistica (Griaule) e l'oceanistica (Leenhardt).

• I SISTEMI POLITICI BERBERI

Tra coloro che si dedicarono agli studi delle società nordafricane del vicino Oriente, fu di rilievo Robert
Montagne. Montagne giunse come militare in Marocco nel 1918 e qui cominciò a studiare l'arabo e il
berbero e così divenne uno dei maggiori conoscitori delle popolazioni locali e della loro organizzazione
sociale e politica. Egli lavorò anche in Siria raccogliendo un importante corpus di testi epici beduini e fu il
primo a occuparsi della "sedentarizzazione" dei beduini del vicino Oriente. "La civiltà del deserto" è una
sintesi dei suoi lavori sui Nomadi. Egli fondò nel 1936 il "Centre des études sur l'Afrique e l'Asie Modernes"
dove si formarono i giovani amministratori destinati ai territori musulmani controllati dalla Francia.

• I BERBERI E IL GOVERNO

"I Berberi e il Makhzen", pubblicata nel 1930, è una delle più grandi monografie etnografiche del 900. Essa
consiste in uno studio dell'organizzazione politica delle tribù berbere dell'atlante marocchino e dei loro
rapporti con il governo (makhzen) del sovrano del Marocco. Quello che Montagne ci presenta in
quest'opera è un grande quadro della vita sociale dei gruppi installati nell'area dei Monti dell'atlante e
dell'evoluzione delle forme di organizzazione politica presenti in quest'area. I berberi di questa regione
erano da secoli in lotta con il governo del sultano arabo per salvaguardare la propria indipendenza.
L'importanza di quest'opera fu riconosciuta solo molti anni dopo la morte del suo autore, inoltre all'epoca in
cui montagne compiva le sue ricerche in Marocco l'etnologia francese guardava piuttosto all'Africa
subsahariana, all'Oceania e al Sudamerica, poiché le aree di complessa civilizzazione come appunto il
Medioriente o l'Africa settentrionale non attiravano la loro attenzione. Infine montagne si avvalse della
documentazione storica, mentre l'etnologia e l'antropologia allora tendevano a lavorare su popolazioni prive
di scrittura.

• IL MODELLO "OSCILLATORIO”

Normalmente i berberi avevano istituzioni democratiche con capi, eletti a turno tra gli uomini, alla guida
delle varie frazioni tribali. Tuttavia il potere di questi capi aumentava e si trasformava quando si riuscivano
eliminare i concorrenti. Il capo però poteva trarre vantaggio dall'alleanza con il sultano facendosi nominare
suo rappresentante locale, così il potere di questi capi diventava tirannico. Lo stato tirannico era destinato a
disgregarsi o quando il sultano moriva, o quando la ribellione della comunità poneva fine al potere del capo
per iniziativa di qualche individuo. Il sistema politico tornava allora alla sua forma originaria ma era sempre
suscettibile di trasformarsi nuovamente in tirannico, magari proprio per mano di colui che lo aveva salvato
dalla tirannia. La storia della regione sembrava così oscillare tra due estremi: una forma di governo
democratico o oligarchico da un lato, e una forma tirannica dall'altro.

Oggetto di quest'opera di montagne erano le varie fasi che il potere politico attraversava nella sua
trasformazione. Un effetto della ricerca di montagna fu quella che potrebbe essere chiamata la

"spazializzazione dell'evoluzione politica" berbera, ovvero l'evoluzione dei sistemi politici non era ovunque
uniforme ma le comunità osservabili sul territorio erano rappresentanti di questa evoluzione che andava
dalla "democrazia alla tirannia" o dalla "tirannia alla democrazia"

CAPITOLO 13: USA 1930-1950: L'INDIVIDUO NELLA SUA SOCIETÀ

A partire dalla 1920 l'antropologia comincia a interrogarsi sempre di più sui rapporti tra individuo e cultura
da un punto di vista psicologico, e soprattutto in America questa scienza cercò di dare una ragione alle
variazioni del livello di costruzione della personalità e del carattere, visti entrambi come il frutto
dell'influenza che la società e la cultura esercitavano sulla psiche degli individui.

RUTH BENEDICT E IL CONFIGURAZIONISMO

Negli anni 1920 nacque una prospettiva che porta il nome di "configurazionismo". Questo termine si fonda
sull'idea secondo la quale ogni cultura costituirebbe il prodotto dell'interazione di più modelli culturali o
configurazione, ovvero una sorta di forme espressive in cui una determinata cultura si articola: una certa
filosofia, una moda, un certo stile artistico. Su questa concezione della cultura si orientano gli studi di Ruth
Benedict, anche lei allieva di Boas. Ella rivolse le sue critiche al lavoro di quegli antropologi che si erano
interessati alla distribuzione dei tratti culturali spiegando che lo studio della diffusione dei tratti culturali
avvenisse in base alla concezione della cultura come aggregato di elementi isolati.

Invece il significato di un tratto culturale si studiava in base a come si collegava ad altri tratti venendo così
a far parte della stessa configurazione. La cultura appariva infatti come una configurazione al cui interno gli
elementi interagiscono l'uno con l'altro producendo modelli significanti. Il fatto che un determinato tratto
venisse accolto o respinto da una cultura dipendeva dall'esistenza di modelli preesistenti.

Il primo studio di Benedict nel quale emerge questa prospettiva si fondò sull'analisi della distribuzione di un
tratto culturale particolare, la "credenza nello spirito guardiano" tra indiani del Nord America. Lo spirito
guardiano era un'entità soprannaturale che assisteva un individuo nelle sue imprese di caccia o di guerra e
che gli si rivelava attraverso un sogno o una visione. Esaminando la distribuzione della credenza nello
spirito guardiano in relazione ad altri tratti culturali Benedict arrivò alla conclusione che tale credenza
assumeva una sfumatura psicologica differente da una società all'altra e quindi ogni società esprimeva una
propria "modellizzazione". Un tratto poteva avere una distribuzione più o meno ampia ma ciò che era
veramente importante era che tale tratto entrava a far parte di un modello specifico.

• I MODELLI DI CULTURA

Queste sue idee vennero sviluppate in "Modelli di cultura" del 1934. In questo lavoro venne sviluppata
l'idea secondo la quale la modellizzazione produceva un modello culturale medio che la Benedict,
attraverso la comparazione di quattro tipi di società, ottiene grazie all'utilizzo di nozioni di tipo psicologico.

La Benedict presentava le culture come complessi integrati avvicinandosi così ai pensieri dei funzionalisti
suoi contemporanei, tuttavia ella si distingueva da costoro per il modo in cui concepiva l'effetto
dell'integrazione culturale poiché per Benedict questa integrazione aveva il potere di produrre un modello
culturale riflesso nel carattere e nel comportamento sociale dell'individuo. Infatti il modello di cultura negava
la possibilità di classificare le culture per tipi.

Inoltre esso fu un best-seller per molti decenni e contribuì anche a dare un'immagine dell'antropologia
come sapere di facile accesso per chiunque. Il libro fu anche un tentativo di "relativizzare l'occidente", nel
senso che fu scritto per fare intendere al pubblico come potessero esistere forme di vita culturale molto
diverse ma altrettanto coerenti e degne di attenzione.

ETHOS, EIDOS E SCHISMOGENESI: GREGORY BATESON

Tra gli antropologi che svilupparono una visione originale dei rapporti tra l'individuo e la propria società vi è
Gregory Bateson. Si dedicò all'antropologia abbandonando gli studi di scienze naturali e fu allievo dei
maggiori antropologi britannici del tempo, compreso Malinowski. Bateson esordi con una ricerca sul campo
in Melanesia ma fu solo con lo studio tra gli iatmul della Nuova Guinea che venne consacrato come
brillante ricercatore. Con la sua opera "Naven", dal nome di un rituale iatmul, si nota una certa differenza
rispetto alle opere degli antropologi britannici della sua generazione. Partendo dallo studio di una cerimonia
l'autore ne analizzava le implicazioni psicologiche, economiche, politiche e, magico-religiose ed etiche
rifiutando la prospettiva che tendeva a considerare la società come divisa in settori, a ciascuno dei quali
corrisponderebbe una o più istituzioni e ognuna delle quali contribuisce a produrre uno stato di equilibrio.

Il Naven era un rituale di travestimento che veniva celebrato quando un giovane compiva per la prima
un'azione positiva o meglio fondamentale della cultura locale (uccidere il nemico, cambiamento di status
sociale). In questa occasione i suoi parenti di entrambi i sessi si travestivano assumendo comportamenti
che del sesso contrario. In questo rituale aveva un ruolo fondamentale il fratello della madre dell'individuo
che si travestiva da donna e parodiava la debolezza emotiva femminile mentre era fatto oggetto di scherno
da parte degli astanti. Al contrario, gli individui di sesso femminile assumevano un comportamento di
fierezza.

• ETHOS ED EIDOS

Bateson spiegò questo comportamento con la necessità di assumere i segni di una identità diversa da
parte di coloro che di solito non erano chiamati a ostentare sentimenti contrastanti con il tono emotivo
(ethos) socialmente approvato dal proprio sesso. L'ethos maschile consisteva in comportamenti fieri e
aggressivi che non includevano tenerezza ed affetto secondo l'ideale (eidos) della società locale. Al
contrario le donne non ostentavano mai un atteggiamento solenne in pubblico perché l'eidos culturale
iatmul prevedeva sottomissione modestia e atteggiamento improntato all'emotività e agli affetti.
Travestendosi da donna, il wau, cioè il fratello della madre poteva manifestare soddisfazione e affetto per il
figlio della sorella mentre travestendosi da uomini le donne della famiglia potevano mostrarsi soddisfatte e
orgogliose per le azioni di un giovane del quale si erano prese cura e che aveva oggi raggiunto un obiettivo
socialmente importante.

• LA SCHISMOGENESI

Nei capitoli centrali di Naven, Bateson sviluppò la nozione di schismogenesi da lui già proposta in un lavoro
del 1935 intitolato "Contatto colturale e schismogenesi". Partendo dalla nozione che l'ethos maschile e
quello femminile erano diversi tra gli iatmul, Bateson spiegò che dinamiche schismogenetiche, generatrici
di comportamenti divergenti, riguardavano non solo gli individui ma anche i gruppi. Tutte le società, proprio
come tutti gli individui, possiedono dei meccanismi frenanti grazie ai quali è possibile bloccare o contenere
il processo di schismogenesi che potrebbe provocare la disgregazione sociale o anche la schizofrenia ed è
infatti grazie a questi meccanismi di reazione psichica che è possibile raggiungere un equilibrio dinamico
che Bateson riteneva consistere in un aggiustamento reciproco del piano dell'ethos e del piano dell'eidos.

GLI STUDI DI CULTURA E PERSONALITÀ

Le problematiche riguardanti i processi di formazione della personalità individuale e quelle relative al ruolo
sostenuto dall' individuo nel cambiamento culturale furono sviluppati soprattutto dagli antropologi allievi di
Boas.

• ABRAM KARDINER: IL CONCETTO DI "PERSONALITÀ DI BASE"

Formatosi alla scuola di Franz Boas, Kardiner si recò a Vienna dove si recò in analisi con Freud diventando
così psicoanalista egli stesso. Egli non condusse mai ricerche sul campo e nel corso degli anni 1930 si
fece promotore, prima presso l'istituto di psicoanalisi e poi presso la Columbia University di New York, di un
seminario con lo scopo di sviluppare il tema dell'interazione individuo e società sotto il profilo psicologico. A
questo seminario diede un forte contributo Ralph Linton che non era né psicologo né psicoanalista ma
aveva una grande esperienza etnografica in Madagascar, in Polinesia e negli stessi Stati Uniti, e pertanto
fu in grado di offrire a Kardiner un eccellente materiale di riflessione per l'elaborazione delle sue teorie
basate su ciò che egli chiamò "personalità di base", teorie sviluppate nel libro "L'individuo e la sua societa"
da lui scritto appunto in collaborazione con Linton.

• ISTITUZIONI PRIMARIE E ISTITUZIONI SECONDARIE

Per Kardiner la personalità di base era una struttura, cioè un complesso di tratti tra loro correlati che si
compongono grazie alle istituzioni primarie e alle istituzioni secondarie. Le istruzioni primarie sono ciò che
contribuisce a plasmare la personalità degli individui nella fase infantile della loro esistenza. Kardiner
metteva l'accento su meccanismi di formazione di tale personalità che sono quelli della soddisfazione, della
punizione e della inibizione. Le istituzioni secondarie, d'altra parte, sono quegli elementi culturali che una
società elabora allo scopo di attenuare le tensioni derivanti dall'azione delle funzioni primarie sulla psiche
individuale. Le istituzioni secondarie sono infatti la religione, i riti, le leggende, i tabù, tutto ciò che giustifica
insomma l'ordine della società.

Fondamentale e centrale è inoltre il concetto di proiezione. L'individuo nel corso della sua infanzia, e quindi
sotto l'azione delle situazioni primarie, elaborerebbe una particolare immagine delle figure parentali e le
proietterebbe successivamente nel quadro delle istituzioni secondarie, come per esempio la sfera mitico
religiosa.

• LA DISTANZA DAL FUNZIONALISMO E DAL CONFIGURAZIONISMO

Ne "L'individuo e la sua società" Kardiner e Linton cercarono di precisare le proprie posizioni


distinguendole sia da quelle dei funzionalisti sia da quelle della Benedict. Nella sua elaborazione del
concetto di personalità di base Kardiner si distaccava però anche da Freud per il quale i fattori culturali
rivestivano un'importanza secondaria ed erano anzi il prodotto di determinate pulsioni inconsce ma sempre
attive, al di là delle situazioni storiche in cui gli uomini si trovano ad operare. La teoria della personalità di
base assumeva però un carattere di costrutto ipotetico, cioè gli unici casi che comparivano nel libro erano i
pazienti di Kardiner, mentre tutto il materiale che si riferiva ai malgasci o ai polinesiani confermava in
maniera indiretta l'idea di una personalità di base poiché quest'ultimo concetto non era costruito a partire
dai casi etnografici osservati.

MARGARET MEAD: ADOLESCENZA, CARATTERE, GENERE

Fino alla metà degli anni 1920 gli antropologi americani si concentrano sulle culture native americane. La
prima uscita dell'antropologia dal continente americano si deve a Margaret Mead, allieva di Boas. Margaret
compì la sua prima ricerca nelle Isole Samoa, un arcipelago della Polinesia, e sarebbe diventata una
specie di ambasciatrice dell'antropologia nel mondo e presso l'ONU. Mead trovò ispirazione all'interno di un
contesto sociale diverso da quello dell'antropologia di Boa, poiché gli effetti devianti prodottisi in America
negli anni del primo dopoguerra (aumento della delinquenza, emarginazione sociale, alcoolismo),
divennero uno dei problemi centrali della scienza sociale americana relativamente all'adattamento
dell'individuo ai valori espressi dalla società in cui vive.

• ADOLESCENTI A SAMOA

Il primo lavoro di Margaret Mead, frutto della ricerca nelle Isole Samoa, si intitolava "L'adolescenza a
Samoa". Quest'opera inaugurò una linea di ricerca, basata su uno studio focalizzato sul periodo di vita
adolescenziale della donna samoana. In essa venivano analizzate sia il contesto sociale sia il processo
educativo che permetteva la formazione della personalità della donna durante quel periodo che veniva
considerato critico e decisivo per il successo e col quale avveniva l'adattamento di un individuo nella
società.

Questo studio mostrò come l'adolescenza in una società primitiva, che la Mead chiamò semplice e
omogenea fosse una fase meno esposta a traumi rispetto alla società occidentale e alla società americana.
Questa differenza derivava da due fattori importanti: la mancanza dei messaggi concorrenziali e produttivi
stici inviati dalla cultura all'individuo e il carattere monodimensionale, ovvero privo di alternative rilevanti,
nelle scelte che i giovani devono compiere all'età dell'adolescenza.

L'obiettivo dello studio della Mead era dunque mostrare come a valori culturali diversi corrispondessero
modelli educativi differenti. Le conclusioni a cui giunge va lo studio di Margaret Mead ebbero un effetto
notevole tanto preso gli antropologi quanto presso il pubblico colto americano. Scritto in un linguaggio
facile, il libro aveva per sottotitolo "Uno studio psicologico della gioventù primitiva a uso della civiltà
occidentale" e costituiva un elemento di rottura nei confronti della mentalità ristretta caratteristica di certi
ambienti statunitensi. Per l'antropologia americana invece l'adolescenza a Samoa rappresentava il primo di
una lunga serie di studi ispirati al tema della socializzazione e della formazione della personalità nel
contesto delle culture primitive.

• NUOVE PROSPETTIVE SUL SESSO E SUL GENERE

Margaret Mead dedicò molti suoi studi anche alla prospettiva sessuale generando infatti libri come "Sesso
e temperamento in tre società primitive" e "Maschio e femmina". In questi libri la ricerca risultava orientata
verso l'individuazione di un "tipo normale", la personalità media adattata sia tra gli individui di sesso
maschile sia tra quelli di sesso femminile in società tra loro diverse. L'idea centrale di questi lavori era che i
tratti del carattere maschile e femminile erano determinati più dalla cultura che da una predisposizione
naturale in tal modo l'autrice inaugurava in antropologia lo studio delle differenze di genere, studio iniziato a
Samoa e proseguito poi in Nuova Guinea. Mead condusse ricerche anche a Bali in collaborazione con
Gregory Bateson sul carattere dei balinesi.

È importante notare come gli studi di Mead, come quelli di Benedict, erano rivolti a un pubblico sia gli
specialisti sia gli educatori. Essi erano un tentativo di far riflettere la borghesia Nord americana sulla
diversità culturale, operazione che doveva accentuare la critica all'etnocentrismo e al razzismo.

• RELATIVISMO CULTURALE

Queste due antropologhe, Mead and Benedict, allieve di Boas, avevano posto il pubblico di fronte
all'evidenza che esistevano altrove forme culturali diverse ma non per questo meno dotate di senso. Così
le due autrici contribuirono a introdurre in antropologia il concetto di RELATIVISMO CULTURALE,
espressione che tende a spiegare che un'azione o un valore devono essere considerati all'interno del
contesto complessivo in cui si collocano per essere compresi. Infatti essere culturalmente relativisti
significa ritenere che le esperienze culturali non possano essere interpretate da chi osserva ma che
l'analisi culturale debba procedere con cautela e cercare nel contesto in cui si manifestano i fenomeni il
senso del loro esistere. Il relativismo in antropologia è un atteggiamento intellettuale che mira a
comprendere, dove comprendere non significa giustificare, bensì collocare le cose al posto giusto..

CAPITOLO 14. IL "FUNZIONALISMO STRUTTURALE" BRITANNICO: DA RADCLIFFE-BROWN A


EVANS- PRITCHARD

LA SCIENZA NATURALE DELLA SOCIETÀ: ALFRED R. RADCLIFFE-BROWN

Dopo la partenza di Malinowski per gli Stati Uniti, Alfred R. Radcliffe-Brown divenne la figura più influente
dell'antropologia britannica ed è considerato come il principale promotore della prospettiva che poneva
l'accento sulla struttura sociale (non sulla cultura) come entità funzionalmente integrata. Radcliffe-browr
compì inizialmente ricerche nell'arcipelago delle isole Andamane nei primi anni del 900 e nello stesso anno
in cui uscì Argonauti di Malinowski egli pubblicò "Isolani delle Andamane". Radcliffe-Brown era però già
profondamente influenzato da Durkheim per cui nel suo libro cercò di definire la funzione sociale dei
fenomeni mitico-religiosi. Inoltre seguendo Durkheim egli tentò di circoscrivere il campo dell'antropologia
allo studio dei fenomeni sociali in quanto tali individuando in modo più preciso l'oggetto dell'antropologia
grazie alla definizione di un metodo. Tale metodo consisteva nell'identificazione dei meccanismi che
operano all'interno delle società consentendone il funzionamento, poi nella loro comparazione e se
possibile nella formulazione di leggi generalmente valide.

La definizione del metodo e dell'oggetto dell'antropologia consentì a Radcliffe-Brown di operare la


distinzione tra l'antropologia stessa e l'etnologia, secondo cui lo studio dei popoli primitivi doveva essere
chiamato "antropologia sociale", scienza che procedeva di tipo induttivo caratteristico delle scienze naturali.
Antropologia sociale era dunque una scienza naturale della società che indaga fenomeni appartenenti a
uno specifico ordine di realtà (i fatti sociali).
• LA STRUTTURA SOCIALE

Il concetto di struttura sociale divenne centrale per l'antropologia di Radcliffe-Brown. Allo studio della
cultura che per egli rappresentava un comportamento individuale e dell'adattamento dell'individuo alla sua
società, egli oppose lo studio analitico dei rapporti sociali la cui complessità costituiva appunto la struttura
sociale. L'espressione "struttura sociale" è per Radcliffe-Brown la trama dei rapporti realmente esistenti tra
individui e tale concetto deve essere considerato in relazione a quelli di processo sociale, ovvero la
moltitudine di azioni degli esseri umani e in particolare delle loro interazioni e azione, e funzione sociale,
ovvero il rapporto tra la struttura e il processo vitale. Il riferimento a Durkheim era evidente perché la
funzione sociale che Radcliffe-Brown definisce come rapporto tra la struttura e il processo vitale, è anche il
rapporto che una forma di attività sociale, per esempio un rito, ha con la struttura sociale. Inoltre la
dimensione del cambiamento per l'autore non era nella natura della struttura anzi quest'ultima restava
identica poiché cambiavano solo i suoi contenuti quindi la dinamica sociale era concepita in termini di
rimpiazzo degli elementi della struttura. Questo concetto diventò però il bersaglio delle critiche della sua
antropologia, accusata di privilegiare la staticità a discapito del mutamento.

• LO STUDIO DEI SISTEMI DI PARENTELA

Lo studio dei sistemi di parentela, accanto a quello del totemismo, è considerato il settore al quale
Radcliffe-Brown ha fornito il contributo maggiore. Grazie alla sua esperienza tra gli aborigeni australiani,
dalla quale ne deriva l'opera "L'organizzazione sociale delle tribù australiane", Radcliffe-Brown aveva
predetto l'esistenza, in una determinata regione dell'Australia, di un particolare sistema matrimoniale, il
sistema KARIERA, il quale prende il nome da una tribù dell'Australia nord occidentale. Si tratta di un
sistema diviso in quattro sezioni in base al quale un individuo viene assegnato alla nascita ad una sezione
matrimoniale diversa da quella della madre e diversa da quella del padre. Lo stesso autore sintetizza ne
"Lo studio dei sistemi di parentela" la propria visione dell'argomento avvicinandosi molto alle posizioni di
Rivers, che vedeva nelle terminologie il riflesso delle relazioni sociali, proponendo una lettura delle
terminologie di parentela in grado di farne emergere il significato in relazione ai comportamenti sociali reali.

Radcliffe-brown enucleò così dei principi strutturali:

1. il primo di questi principi strutturali è quello della UNITÀ DEL GRUPPO DEI FRATELLI, cioè dei figli
dello stesso padre e della stessa madre senza distinzione. Questo gruppo forma un'unità sociale
che l'autore definisce solidale infatti si presenta come un insieme di individui nei confronti dei quali
un individuo che non appartiene a esso mantiene la stessa attitudine sociale a cui si rivolge
impiegando lo stesso termine. Radcliffe-brown mise dunque in rapporto diretto terminologia di
parentela e comportamento sociale affermando semplicemente l'unità funzionale di terminologie e
di comportamento sociale.

2. Un altro principio strutturale messo in evidenza da Radcliffe-Brown e quello dell'UNITÀ DI


LINGUAGGIO, il quale spiega quindi l'utilizzo di certe caratteristiche dei sistemi classificatori. Cosi
in certi sistemi africani e nordamericani si verifica il caso che un individuo chiami gli individui
appartenenti alla linea di discendenza materna distinguendoli sul piano delle entità sessuale, ma
non tenendo conto della differenza generazionale.

• LA TEORIA DEL TOTEMISMO

L'altro settore di studi al quale Radcliffe-Brown s'interessò molto fu l'analisi del totemismo, cioè la tendenza
ad associare il nome di un animale o di un vegetale a un gruppo sociale. In un saggio intitolato "La teoria
sociologica del totemismo" l'autore spiegò che l'atteggiamento rituale degli individui di un gruppo nei
confronti del loro totem veniva considerato come un'attitudine rituale da parte degli esseri umani nei
confronti della specie animale e vegetale, e inoltre osservò che tale attesgiamento esisteva anche laddove
il totemismo non era presente. Di conseguenza il comportamento rituale nei confronti delle piante e degli
animali era connesso con l'importanza che determinate specie avevano nella vita economica di certi
gruppi, quindi i totem diventavano simbolo perché erano già fatti oggetto di un'attenzione rituale in quanto
"utili" agli esseri umani. Questa interpretazione del fenomeno totemico tuttavia era solo provvisoria e anche
piuttosto fragile in quanto molte specie e varietà erano fatti oggetto di culto di attenzioni rituali senza avere
alcun ruolo nella economia di parecchie società.

• IL TOTEMISMO "STRUTTURALE"

Vent'anni più tardi Radcliffe-Brown sarebbe andato oltre questa interpretazione economica del totemismo e
ne "i metodo comparativo dell'antropologia sociale" si concentrò su due problemi. Il primo era quello del
perché solo certe specie rappresentassero simbolicamente determinate relazioni tra gruppi; e il secondo
era quello del perché si ritrovano spesso abbinate certe specie le quali, pur presentando caratteristiche
simili, sono pensate come opposte. Per esempio una metà di un gruppo australiano può essere falco e
l'altra metà cornacchia. Attraverso l'analisi di questi gruppi l'autore giunse alla conclusione secondo la
quale il mondo animale è rappresentato in termini di relazioni sociali simili a quelle della società umana e
che le coppie d'opposizione costituite dagli animali-simbolo rispettano un determinato principio
strutturale(ovvero quello dell'unione di termini opposti). In questo caso il totemismo esprimerebbe
l'opposizione di gruppi che sono comunque strutturalmente uniti in una relazione funzionale, per esempio
nello scambio matrimoniale, infatti il totemismo fa sì che la metà falco si sposi nella metà cornacchia e
viceversa.

• DOPO RADCLIFFE-BROWN

Radcliffe-brown si preoccupò in modo particolare di assegnare all'antropologia un metodo di studio. Il suo


funzionalismo strutturale costituì almeno fino agli anni 1950-1960 il punto di riferimento per quasi tutti i
ricercatori in Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda, e Sudafrica. Fu però negli anni successivi alla
conclusione del secondo conflitto mondiale che emersero i primi segni di allontanamento dalle posizioni di
Radcliffe-brown.

RAZIONALITÀ "PRIMITIVA" E ANTROPOLOGIA COME "ARTE": EDWARD E. EVANS-PRITCHARD

Il primo libro importante di Evans-Pritchard uscì nel 1937: "Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande. Gli
Azande, presso i quali egli aveva condotto ricerche, vivono in un'area compresa tra il Sudan e il Congo
attuali, e il suo scopo era quello di studiare la loro concezione della stregoneria e della magia ma la ricerca
fini per guardare la natura stessa del pensiero Azande. In un passo del suo libro Evans-Pritchard spiegò
che stregoneria, oracoli e magia costituivano un complesso sistema di credenze e di riti che acquisivano
senso soltanto se visti come parti interdipendenti di un unico complesso, complesso che ha una struttura
logica.

Infatti per gli Azande la stregoneria provocava la morte, perciò la morte costituiva una prova di stregoneria
e gli oracoli confermavano che fu proprio la stregoneria a provocarla. Il problema della razionalità, spiega
l'autore può essere compreso solo in termini di coerenza interna a ogni sistema di credenze e il fatto di
considerare la magia come un complesso coerente di idee distingueva Evans-Pritchard anche da altri
autori che trattavano la sfera della magia in connessione con altri aspetti della vita sociale e non come un
sistema di idee. Lo studio sugli Azande diede inizio a ricerche su quelli che verranno chiamati i sistemi di
pensiero e quindi da allora in poi il pensiero primitivo verrà considerato come un insieme coerente di
concetti legati tra loro da una logica propria e non come prerazionale o prelogico.
• NUER E IL MODELLO SEGMENTARIO

La fama di Evans-Pritchard è legata anche agli studi sull'organizzazione sociale e politica del Sudan, una
popolazione di allevatori di bovini e di agricoltori da lui visitata negli anni 1930. Dalle sue ricerche il lavoro
più noto è "Nuer". Tra i vari aspetti dell'organizzazione sociale Nuer l'autore dedicò un'attenzione speciale
alle dinamiche di alleanza e di conflitto poiché notò qualcosa di insolito dell'organizzazione sociale di
questa popolazione dimostrando che potevano esistere sistemi politici privi di veri e propri capi. La
dinamica politica della società Nuer consisteva nei rapporti di alleanza o di conflitto che i vari segmenti
autonomi della società intrattenevano tra di loro. Tali segmenti si univano o si allontanavano per dar luogo a
gruppi contrapposti, in modo da creare una sorta di equilibrio delle forze in lotta. L'autore così illustrò la
dinamica politica della società in un modello, il modello segmentario:

A e B sono definite da Evans "sezioni primarie" e unendosi tra loro costituiscono una tribù Nuer. Il modello
segmentario presentato da Evans-Pritchard è stato oggetto in seguito di lunghi dibattiti, tuttavia dimostrava
essenzialmente una cosa: che una vita politica complessa e articolata può resistere anche laddove non era
presente una autorità formale capace di esercitare un potere.

• L'ANTROPOLOGIA COME "TRADUZIONE DI CULTURE" E LA CRITICA DEL METODO


COMPARATIVO

In "La religione dei Nuer" Evans-Pritchard cercò di dare una ragione a certe affermazioni apparentemente
irrazionali, come la "pioggia è spirito", "i gemelli sono uccelli", ricostruendo il sistema concettuale dei popoli
che usavano queste espressioni e mostrando che considerati all'interno del sistema di pensiero specifico
tali affermazioni erano perfettamente razionali e del tutto traducibili da parte degli occidentali. Le teorie di
Evans-Pritchard subirono numerose critiche, alcune delle quali basate sul fatto che il sistema di pensiero
non può essere giudicato solo in base alla sua coerenza concettuale, ma anche in relazione al contesto
dell'utilizzazione pratica dei concetti. Ed è appunto osservando come i concetti vengono impiegati che
possibile coglierne il senso culturale specifico e quindi tradurli davvero. Evans-Pritchard contribuì a un
mutamento di prospettiva anche per quanto riguarda la concezione stessa dell'antropologia, infatti da allora
in avanti si concepì la disciplina come qualcosa di più vicino alle scienze storiche.

• LA CRITICA DEL METODO COMPARATIVO

Nel 1965 Evans-Pritchard pubblicò il metodo comparativo nell'antropologia sociale effettuando varie critiche
partendo da Frazer, il quale dimostrava delle teorie precostituite, continuando con coloro che cercavano di
classificare i tratti culturali fino ad arrivare a Radcliffe-Brown criticando la comparazione. Non per questo
però Evans-Pritchard non era d'accordo col principio della comparazione, anzi egli avanzò la proposta di
un metodo comparativo su scala ridotta che prendesse in considerazione società definite sulla base della
l'organizzazione, o situati all'interno di aree geografiche circoscritte, oppure sulla base di una scelta
tematica ristretta (organizzazione politica, economica, religiosa). Questa riduzione del metodo comparativo
spostava l'accento sulla ricerca delle particolarità piuttosto che delle uniformità.

CAPITOLO 15: ETNOLOGIA E ANTROPOLOGIA IN ITALIA NEL SECONDO DOPOGUERRA

Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale furono anni difficili per gli studi etno-antropologici italiani
ma un momento importante di rilancio fu effettuato da Ernesto De Martino.

DE MARTINO: IL PROBLEMA DEL MAGISMO E IL CONCETTO DI "PRESENZA"

Nel 1948 De Martino pubblico "Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo", in cui si
impegnava in una ricostruzione della struttura del mondo magico e tra l'altro per l'autore la comprensione di
un era magica si presentava anche come condizione per poter comprendere l'era attuale. Egli criticò la
versione e prospettiva crociana, ovvero di Benedetto croce, fondata sulla filosofia dello spirito e in
particolare sulle quattro forme dello spirito. Queste quattro forme si dividevano in filosofia o logica; arte o
estetica, ovvero conoscenza del particolare; economia, ovvero l'atteggiamento pratico con l'obiettivo di
raggiungere un fine particolare; e infine l'etica o morale, cioè la volontà di perseguire un fine universale. Si
può notare che la religione non è presente all'interno di queste quattro categorie crociane poiché è
concepita da Croce come un'aggregazione di istanze appartenenti alle categorie della speculazione, della
morale e della poesia. Il pensiero di croce ci aiuta a capire lo sforzo di de Martino a svincolare lo studio del
mondo magico da una filosofia fondata su una ripartizione categoriale dello spirito e all'interno della quale
non potevano trovare spazio atteggiamenti mentali e di conseguenza il pensiero magico. Il mondo magico
partiva da un problema, cioè quello dei "poteri magici", che si configurava come "il problema della
costruzione della realtà". Di conseguenza il distacco da Croce si fece sempre più netto poiché si
accentuava la convinzione secondo cui una realtà storica, come quella del mondo magico, non poteva
essere compresa dall'esterno e quindi da una visione ispirata dalle categorie dello spirito.

• LA PRESENZA

Al fine di comprendere l'universo magico, l'analisi della costruzione della realtà magica è fondamentale
nelle opere di De Martino il concetto di presenza. Molti pensano che De Martino sia stato influenzato dalla
filosofia di Heidegger poiché quest'ultimo si esprime con il pensiero dell' esserci. Sembra però che
l'influenza di Heidegger su De Martino sia stata più a livello lessicale che concettuale e filosofico. La
presenza è quindi per l'autore qualcosa che l'essere umano si sforza di affermare per sfuggire all'idea di
non esserci. Attraverso una serie di esempi De Martino descrive il magismo come primo tentativo da parte
dell'essere umano di affermare la propria presenza nel mondo infatti lo stregone è la figura centrale del
mondo magico, visto come spazio di pensiero e di azione in cui l'essere umano realizza la propria volontà
di esserci di fronte al rischio di non esserci.

A differenza degli evoluzionisti De Martino non pensa alla magia come una forma imperfetta di razionalità;
al contrario di Malinowski per De Martino la magia non è una risposta allo stress emotivo procurato da
situazioni dall'esito incerto; la magia è invece una lotta degli esseri umani per esistere e quindi la presenza
è qualcosa che può essere sempre rimessa in discussioni dalla crisi individuale o collettiva. Inoltre sia né "Il
mondo magico" sia in "Morte e pianto rituale" del 1958 si evidenzia il concetto di perdita della presenza e,
soprattutto in quest'ultima opera, per indicare l'evento luttuoso derivante dalla perdita della presenza De
Martino utilizza lo stesso termine utilizzato da Hertz, cioè scandalo, che quest'ultimo autore utilizzò invece
per descrivere l'atteggiamento della società di fronte alla perdita di un proprio componente.

• DESTORIFICAZIONE E MARXISMO
Un anno dopo la pubblicazione de "Il mondo magico" De Martino pubblicò un saggio dal titolo "Intorno a
una storia del mondo popolare subalterno" ed in questo contesto assume particolare rilevanza il concetto di
destorificazione, cioè quel meccanismo per cui è solo pensando al fuori dalla storia e dalla realtà che
diventa possibile sopportare entrambi, la storia e la realtà. De Martino riprende così l'idea di alienazione di
Feuerbach e su queste premesse inaugura quella che è stata definita una "antropologia del negativo", cioè
l'antropologia delle masse che non fanno storia ma che ora, nel secondo dopoguerra, irrompono nella
storia. La destorificazione riguarda quindi lo straniamento o l'esclusione dei soggetti umani dalla storia.

Le idee di De Martino sull'irruzione nella storia di masse "prive di storia" erano viste con diffidenza sia dagli
storicisti con vene idealista sia dai marxisti, poiché i primi pensavano che il negativo, cioè il primitivo, non
poteva essere oggetto di storia in quanto non era l'agente; per i secondi le idee demartiniane erano
inaccettabili poiché erano un turbamento della prospettiva ideale che vedeva nelle masse un potenziale
proletariato.

• ETNOCENTRISMO CRITICO

Lo studio dei fenomeni magico-religiosi nel mezzogiorno d'Italia, e soprattutto le esperienze di ricerca
etnografica di De Martino, aprirono una riflessione sul tema dei rapporti tra l'oggetto conoscente (l'etnologo)
e l'oggetto della conoscenza, cioè le comunità e gli individui studiati. Questa riflessione sfocerà
nell'umanesimo etnografico", ciò che poi verrà chiamato "etnocentrismo critico". È nelle note di De Martino,
raccolte e pubblicate dopo la sua morte, che troviamo le riflessioni sul tema del rapporto tra soggetto
conoscente e oggetto di conoscenza. De Martino era consapevole che il rapporto osservatore-osservato
non era neutro e che l'etnologo tendeva a interrogare la cultura altrui attraverso una griglia interpretativa
costituita dai propri parametri e pregiudizi culturali. Il rischio per De Martino era appunto quello di
presentare in maniera dogmatica, e quindi indiscutibile, l'esperienza culturale altrui. La soluzione risiedeva
in un continuo confronto fra la storia di questi comportamenti e la storia culturale occidentale, facendo si
che si trovi un punto di incontro tra "noi e gli altri" a partire dal quale le due rispettive storie si sono
separate. L' etnocentrismo critico è quindi una continua ridiscussione delle proprie categorie analitiche,
discussione che mira a produrre nell'etnologo la consapevolezza di osservare una cultura aliena attraverso
delle categorie "storicamente determinate" di cui tuttavia non può fare a meno.

La prospettiva di De Martino coincide con ciò che potremmo chiamare "antropologia dell'antropologia". Gli
osservati, cioè il primitivo, il mago, il posseduto, stanno per l'autore in un rapporto di pura passività e non
concorrono a determinare, con le proprie interpretazioni della realtà vissuta, le interpretazioni
dell'osservatore quindi l'incontro etnografico per De Martino si limita a suscitare un'autocritica da parte dell'
etnologo nel contesto di un Umanesimo etnografico. Il periodo dell'Umanesimo etnografico è però il
relativismo culturale.

ALTRE TENDENZE NELL'ITALIA DEL SECONDO DOPOGUERRA

Negli anni successivi alla metà del secolo gli studi etno-antropologici ripresero lentamente il successo
soprattutto grazie alla storia delle tradizioni popolari, o demologia. A partire dagli anni 1950 nacquero nuove
e varie tendenze grazie ad un'apertura sui vari aspetti della disciplina.

• LE RICERCHE DEMOLOGICHE DI GIUSEPPE COCCHIARA

Continuatore delle ricerche demologiche fu Giuseppe Cocchiara. Cocchiara subì le influenze esercitate
dallo storicismo crociano e, essendo stato anche allievo di Marett, fu influenzato anche da quest'ultimo.
L'influsso di Marett si manifesta nel considerare le sopravvivenze come elementi attivi di un pensiero "che li
accoglie", mentre quello di Croce è visibile nella prospettiva che fa della storia passata sempre una storia
contemporanea. Il lavoro di Cocchiara si concentra essenzialmente su questioni di folklore e in varie opere
egli analizzò sia aspetti dell'immaginario popolare sia di quello culto. Egli fu autore anche di una assai nota
"Storia del folklore in Europa", opera unica nel suo genere e apprezzata a livello internazionale, nella quale
si ripercorre la storia di questo settore di studi.
• UNA PLURALITÀ DI ISTANZA

Gli studi "demoetnoantropologici", così chiamati in Italia tutti i filoni facenti parte dell'antropologia
umanistica, si caratterizzano per i diversi modi di intendere questo genere di studi. In questo campo alcune
figure di studiosi occupano un ruolo rilevante. Tra questi c'è Lanternari, che fu il primo a prendere in
considerazione i movimenti religiosi revivalisti e sincretici nati presso le popolazioni del Terzo Mondo
coloniale. Seguiamo con Bernardi che ha rappresentato l'apertura verso l'antropologia di ispirazione
britannica. Poi si distingue Tentori, il quale si adoperò dagli inizi degli anni Cinquanta per l'introduzione in
Italia dell'antropologia culturale intesa come studio delle "società complesse". Tullio-Altan si è concentrato
soprattutto sui cambiamenti dei valori nell'Italia contemporanea. Infine Giorgio G. Cardona fu il maggior
promotore degli studi etnolinguistici nel nostro paese e a lui si deve anche l'introduzione in Italia delle
principali tematiche dell'etnoscienza.

CAPITOLO 17: L'ANTROPOLOGIA STRUTTURALE DI CLAUDE LÉVI-STRAUSS

L'intera opera di Claude lévi-strauss potrebbe essere considerata come uno sviluppo dell'etnologia
francese di ispirazione Durkheimiana. Nell'esperienza di lévi-strauss vengono descritti soprattutto temi
estranei alla tradizione etnologica francese Ed Europea. Dopo aver compiuto varie missioni di ricerca in
Brasile tra il 1934 e il 1939, in seguito all'occupazione della Francia da parte dei tedeschi egli si rifugiò negli
Stati Uniti, e durante il suo soggiorno in America entrò in contatto con gli etnologi della scuola di Boas e
con esponenti della linguistica strutturale. Fü infatti l'influenza esercitata dallo strutturalismo linguistico a
caratterizzare molte delle opere dell'autore, e costituisce un elemento centrale per la comprensione di gran
parte del suo lavoro. Accanto ad una produzione etnografica e teorica esiste anche un versante di Levi
Strauss estetico e filosofico che spesso si mescola all'etnografia. Egli è l'autore dell'importantissimo libro
"Tristi tropici", nel quale troviamo una meditazione sull'antropologia e sul mestiere dell'antropologo, ma
anche sulla condizione di un pianeta e di una specie, ovvero quella umana, che non sembra mai stata
capace di entrare in armonia con le altre.

LO STUDIO DELLA PARENTELA

La prima opera di rilievo è "Le strutture elementari della parentela" in cui egli espone una teoria della
proibizione dell'incesto, delle origini della cultura e dello scambio matrimoniale.

• PROIBIZIONE DELL'INCESTO E PASSAGGIO DALLA NATURA ALLA CULTURA

Il primo tipo di spiegazione riguardante la proibizione dell'incesto fù fornito da Morgan, il quale vedeva nella
proibizione dell'incesto il mezzo per prevenire i possibili esiti dannosi dell'Unione tra individui consanguinei.
La seconda spiegazione fornita Westermark è di tipo psicologico e considera la proibizione come risultato
della repulsione istintiva nei confronti di quegli individui coi quali esiste una forte familiarità Viene infine la
spiegazione fornita da Durkheim, il quale sosteneva la proibiziome come una conseguenza dell'esogamia

Per lévi-strauss la proibizione dell'incesto è una regola che possiede il carattere dell'universalità, dove per
universalità si intende il fatto che il divieto è sempre presente in tutte le società. Appartenente alla sfera
della cultura in quanto regola, la proibizione dell'incesto segna, secondo l'autore, il passaggio dalla natura
alla cultura. Lévi-strauss però vede nella proibizione dell'incesto un aspetto positivo ovvero quello di
precludersi l'accesso alle donne del proprio gruppo rendendole disponibili per i membri di un altro gruppo in
modo da stabilire un rapporto di comunicazione fondata sul principio dello scambio reciproco. È in questa
riflessione che lévi-strauss introduce "l'atomo di parentela", che è l'unità minima parentale cioè l'elemento
irriducibile secondo il quale non potrebbe essere pensabile ne lo scambio matrimoniale ne l' esogamia e
quindi la parentela stessa. L'atomo di parentela si compone di quattro individui: la madre, il padre, il figlio e
il fratello della madre. Quest'ultimo detiene sul figlio della sorella e sulla sorella un'autorità inversamente
proporzionale a quella esercitato dal padre nei confronti del figlio e della moglie, cioè se i rapporti tra padre
e figlio e tra marito e moglie sono improntati sulla confidenza e sull'affetto sarà maggiore l'autorità dello zio
materno sul figlio di sua sorella e su quest'ultima.

Questo pensiero, successivamente definito come "teoria generale della parentela", e accanto al quale c'è
una teoria ristretta della parentela che è la parte più tecnica di questo lavoro, da una spiegazione sia della
presenza dello zio materno nel sistema parentale e conferisce anche un ruolo più importante rispetto a
quello della consanguineità nel processo di costruzione delle strutture parentali.

• STRUTTURE ELEMENTARI E STRUTTURE COMPLESSE

Nell'opera "Le strutture elementari della parentela" Levi Strauss spiega che le strutture elementari sono
quei sistemi che prescrivono il matrimonio con un certo tipo di parenti, ossia sistemi che pur definendo tutti
i membri del gruppo come parenti li distinguono in due categorie: coniugi possibili e coniugi proibiti. Al
contrario invece le strutture complesse sono quei sistemi di parentela, come per esempio il nostro, che si
limitano a proibire determinati individui senza indicare a quale categoria o gruppi di individui appartenere.

La struttura più elementare è rappresentata dal matrimonio tra coniugi incrociati, ovvero tra figli di fratelli di
sesso differente, poiché questa struttura esprime al meglio il principio di reciprocità. Un altro esempio di
struttura elementare è offerto dai bororo dell'Amazzonia, un gruppo di indios brasiliani a cui l'autore ha
dedicato numerosi lavori. Presso i bororo i matrimoni tra cugini incrociati si accompagnavano con il modello
dualista, cioè loro avevano villaggi divisi in metà esogamiche abitate da clan matrilineari. Gli uomini,
quando si sposavano andavano ad abitare nella metà del clan della moglie ed è per questo che si crea un
modello dualista, secondo il quale tutti i membri del Clan della metà est devono sposarsi con i membri del
Clan della metà Ovest e viceversa.

IL CONCETTO DI STRUTTURA

Lévi-strauss parla di strutture di parentela, elementari e complesse, ma egli fu anche il fondatore di ciò che
chiamò "strutturalismo antropologico" o "antropologia strutturale", termine che ruota attorno a una
concezione particolare del concetto di struttura. Già precedentemente Radcliffe-Brown utilizzò il termine
strutturale per indicare una serie di relazioni concrete tra individui, gruppi, istituzioni. Ma lévi-strauss
sollevò, in un articolo intitolato "Il concetto di struttura in etnologia", il problema dello statuto ontologico
della struttura sociale. Per l'autore La struttura è una categoria dello spirito umano, cioè il pensiero
funziona grazie all'opposizione tra termini come alto/basso, destra/sinistra, crudo/cotto, che sono
opposizioni "prive di contenuto" che servono a ordinare il mondo dell'esperienza naturale e sociale al fine di
farne un oggetto del pensiero. Le strutture sociali sono appunto modellate da queste strutture nascoste che
si manifestano nei modelli, come possono essere il matrimonio tra coniugi incrociati o l'organizzazione
dualista.

• IMODELLI, UNA VIA PER LE STRUTTURE

I modelli sono costruiti a partire dalle strutture nascoste nella mente umana e quindi il compito dell'etnologo
è appunto superare la soglia delle apparenze e cogliere i modelli inconsci. Prendendo ad esempio il caso
già citato dell'organizzazione del villaggio bororo possiamo esprimere che il modello dualista è il modello
che gli stessi bororo presentano della loro società ma un attento esame dei dati etnografici mostra che
questo è un modello incompleto. Infatti i dati ci dicono che ogni clan è costituito di tre sezioni: una
superiore, una media e una inferiore. Le unioni matrimoniali prescrivono che i membri di un clan devono
sposarsi con quelli di un altro clan, ma oltre a ciò obbligano i membri di una sessione superiore a sposarsi
con quelli di un'altra sezione superiore e così con le altre due sezioni. Quest'ultimo dato svela l'esistenza di
una struttura tripartita dove gli scambi matrimoniali si svolgono a tre livelli non comunicanti.

• INCONSCIO STRUTTURALE

Sostiene lévi-strauss che le strutture oltre che prive di contenuto e sono anche inconsce, come il principio
di reciprocità che è all'origine del passaggio dalla natura alla cultura. La natura inconscia del principio di
reciprocità trova espressione nella nozione di INCONSCIO STRUTTURALE. Con Levi Strauss non si tratta
più di distinguere il pensiero logico dal pensiero prelogico o quello razionale da quello mistico ma si tratta
invece di definire le leggi del pensiero che in entrambi i casi sono le stesse, sono le stesse poiché sono
identiche le strutture grazie alle quale il pensiero si articola. L'attenzione rivolta da lévi-strauss agli studi
degli etnolinguisti americani e del fonologo russo Roman Jakobson aprirono il suo pensiero verso quella
che egli considerò la scienza sociale, la quale stabiliva una analogia tra linguaggio e cultura. Il linguaggio è
comunicazione e anche la cultura lo è, poiché è frutto di un passaggio (dalla natura) reso possibile appunto
da un atto comunicativo, quindi la proibizione dell'incesto e l'esogamia sono entrambi fondati sul principio di
reciprocità e di conseguenza su una disposizione allo scambio che è per definizione comunicazione tra i
gruppi.

TOTEMISMO E PENSIERO SELVAGGIO

Come abbiamo visto, il concetto di struttura non ci consente più di stabilire una differenza tra pensiero
logico e pensiero prelogico ed è per questo che molte delle interpretazioni relative alla simbologia sacra dei
popoli primitivi devono essere riviste.

• IL TOTEMISMO E LE CLASSIFICAZIONI TOTEMICHE

in un libro del 1962, il totemismo oggi, lévi-strauss offre una interpretazione nuova del fenomeno totemico.

Il totemismo consiste nell'associazione da parte degli individui o un gruppo di individui con un simbolo
animale o vegetale, e malinowski sosteneva che gli animali e i vegetali erano fatti oggetto d'attenzione
rituale o simbolica perché "buoni da mangiare". Lévi-Strauss invece propone una reinterpretazione del
totemismo che vede in esso un semplice sistema di classificazione quindi la presenza di specie animali o
vegetali nei sistemi totemici non è la conseguenza del fatto che essi sono utili bensì del fatto che sono
"buoni da pensare". Ciò significa che i fenomeni della natura offrono agli esseri umani un repertorio da cui
formare le loro classificazioni, opposizioni, relazioni. Il pensiero primitivo quindi non è diverso da quello
civilizzato e la sola differenza è che esso si esercita su cose concrete piuttosto che astratte. sulla base di
queste considerazioni il pensiero primitivo e quello scientifico non risultano più essere in un ordine di
successione come avevano ritenuto alcuni, ma sono più piuttosto due strade parallele che conducono al
reale. Il totemismo è quindi il frutto di un atteggiamento mentale che prende i dati dall'esperienza sensibile
per costruire dei sistemi di classificazione di relazioni.

• SISTEMI DI TRASFORMAZIONE

il totemismo può essere considerato come un codice che si presta a fare da tramite a messaggi convertibili.

i sistemi di trasformazione individuano appunto le analogie, i parallelismi che presentano sistemi di


classificazione e la possibilità che il pensiero avrebbe di passare dal proprio ad un altro sistema e al codice
relativo a ciascun sistema. Egli prende d'esempio il sistema delle caste in India e le società totemiche
australiane. Entrambe muovono dagli stessi principi ma applicati in senso opposto. Infatti il sistema castale
divide gli uomini tra loro a partire da una distinzione culturale, il mestiere di ciascuno, e considera questa
distinzione come se fosse naturale. All'opposto una società totemica divide la sua popolazione in gruppi per
mezzo di simboli del mondo naturale e percepisce questa differenza come da un lato culturale poiché da
essa dipendono i principali scambi tra gruppi. Entrambi sono due modi di classificare e dare ordine alla
realtà e in quanto tali intercambiabili attraverso un sistema di trasformazione.

L'ANALISI DEI MITI

Nell'analisi dei miti non è più l'opposizione originaria natura-cultura a fare da sfondo al discorso teorico di
lévistrauss, bensi l'analogia che assimila le grandi unità costitutive del mito (mitemi) alle unità della lingua
(fonemi).

• MITEMI

I mitemi sono grandi unità costitutive del mito e il loro significato viene concepito come dato solo in virtù dei
rapporti di correlazione che le oppongono agli altri mitemi. Ciò significa che se per esempio il sole è
considerato l'astro del giorno preso in sé per sé il mitema "sole" non ha alcun senso ed è solo dai rapporti
di correlazione e di opposizione che esso ha un significato all'interno del mito. I miti quindi si prestano a
una lettura di tipo formale e la stessa costituzione dei miti appare come risultato di un continuo farsi e
disfarsi degli aggregati mitemi ci che li compongono.

• IL MITO COME ATTIVITÀ SPECULATIVA DEL "PENSIERO SELVAGGIO'

Il mito precedentemente era interpretato come un tentativo di spiegare la realtà naturale, ora invece come
una forma di giustificazione della realtà sociale. Così il mito, diventa accanto al totemismo l'altro grande
campo di attività del pensiero selvaggio. Lévi-strauss produceva un immagine del sapere primitivo come un
attività orientata verso la comprensione del mondo della natura e nelle "Mitologie" egli cerca di conferire la
stessa coerenza logica a quello che potrebbe essere definito l'aspetto puramente speculativo, quindi
astratto e opposto alle scienze pratiche, del pensiero selvaggio.

IL VIAGGIO E LA MEMORIA: LA "TRISTEZZA" DEI TROPICI

L'esperienza di scrittura di Levi Strauss trova due ispirazioni. Da un lato quella più scientifica che mira a
fondare un modello di scienza etnologica capace di andare aldilà dei fenomeni, dall'altro un'ispirazione di
tipo estetico filosofico che fa da sfondo a una riflessione più autobiografica e morale. "Tristi tropici" è l'opera
compiuta nell'intimità della memoria personale dell'autore e che procurò un enorme fama al suo autore. Il
libro è un viaggio in un duplice senso poiché parla di viaggi compiuti da Levi Strauss dal Brasile al Pakistan
ma è anche un viaggio nella memoria, alla riscoperta delle motivazioni personali che hanno determinato un
destino professionale. Tristi tropici è poi un libro pieno di meditazioni sul senso della civiltà umana e sul
destino di essa e inoltre in questo libro lei Lévi-Strauss esprime idee molto generali sulle società studiate
nell'antropologia, cioè le società primitive. L'immagine della società primitiva contenuta in tristi tropici è
quella di una società più vicina allo stato di natura rispetto a quella occidentale.

La riflessione di lévi-strauss sulle società primitive produce una distinzione tra "società fredde" e "società
calde". Le società calde, sono quelle come la occidentale, cioè società che dai propri disequilibri interni trae
energia per produrre un'innovazione in senso culturale ma anche per bruciare il mondo che la circonda.
Diversamente le società fredde non producono disequilibri interni e quindi energia capace di alterare
l'ambiente. Le società calde hanno rotto l'equilibrio che le legava al mondo. Le espressioni servono
all'autore per produrre un discorso sulla perdita tra universo naturale e universo sociale che ha
caratterizzato l'esistenza dell'intero genere umano. Inoltre questo libro evoca sia il senso di perdita sia è un
atto di denuncia, difatti perdita e denuncia si riflettono nel titolo stesso di quest'opera. I tropici, che la
letteratura di viaggio aveva dipinto come luogo di straniamento e di evasione, con Lévi-Strauss diventano
tristi e la loro tristezza è frutto della devastazione portata da una civiltà, quella occidentale, che non rispetta
la natura e le altre società.

CAPITOLO 20: L'ANTROPOLOGIA E I PARADIGMI DELLA CONTEMPORANEITÀ

A partire dagli anni sessanta l'antropologia ha vissuto una "crisi della rappresentazione etnografica".
Questa crisi ha riguardato il modo in cui l'antropologia aveva parlato degli "altri" senza tenere conto del
modo in cui questi "altri" potevano essere rappresentati all'interno di un testo etnografico. Così dal 1970 in
avanti sono emerse nuove prospettive di ricerca che hanno contribuito a modificare gli oggetti
dell'antropologia e a favorire la nascita di nuovi paradigmi.

LA CRISI DELLA "RAPPRESENTAZIONE GRAFICA"

Il tema della crisi della rappresentazione etnografica fu associato a quello della scrittura e alla questione
della funzione della scrittura, ma questo soprattutto grazie alla pubblicazione di un libro destinato a fare
storia: "Scrivere le culture" del 1986 di James Clifford e George Marcus, con sottotitolo "poetiche e politiche
dell'etnografia". Questo libro fu un effetto tardo della cosiddetta french theory, ovvero l'opera di un gruppo
di pensatori francesi, tra i quali Jean Paul Sartre e Simone de beauvoir, che vennero adottati dalla filosofia
e dalle scienze umane americani. Scrivere le culture fu tanto il portavoce quanto il promotore di una serie di
istanze critiche già presenti nell'antropologia di lingua anglosassone. Questa opera tendeva a
problematizzare in termini di rappresentazione (scritturale) il disagio diffuso tra gli antropologi nei due
decenni precedenti. La fine del mondo coloniale e le mutate condizioni di lavoro dei ricercatori fecero
nascere alcuni nuovi paradigmi e nuovi oggetti di indagini. La French Theory portò in America una diversa
sensibilità in campo filosofico e letterario fondendosi da un lato con i cultural studies e gli studi di genere e
dall'altro con la prospettiva interpretativa promossa da Clifford geertz.

Col tempo acquisì grande spazio la dimensione della riflessività, cioè del pericolo che un'analisi critica ha
sulla costruzione dell'oggetto stesso della ricerca. Questo tema si dispiegò nel cosiddetto "sperimentalismo
etnografico" e per molti ricercatori "far parlare l'altro" nel testo etnografico divenne una missione finalizzata
al coinvolgimento di coloro che erano oggetto della ricerca. All'osservazione partecipante si sostituisce
l'osservazione della partecipazione. La forma dialogica o polifonica, cioè a più voci, del resoconto
etnografico era il frutto di un accordo e di una riscrittura oggettiva della parola altrui. Gli oggetti
dell'antropologia non vennero più considerati come delle entità nascoste che necessitavano di essere
portati alla luce con un procedimento osservativo ma qualcosa che nasceva dall'accordo che si instaurava
tra il nativo e l'antropologo. Tuttavia accanto a questi temi sono andate sviluppandosi nuove sensibilità
tematiche che cercarono di rilanciare in maniera positiva il compito dell'antropologia sotto il profilo
scientifico, etico e politico.

LA "SVOLTA INTERPRETATIVA"

Per antropologia interpretativa si intende una prospettiva di ricerca di analisi affermatasi in America a
partire dalla fine degli anni 1960. Questa prospettiva nasce ufficialmente con la pubblicazione di
"Interpretazione di culture" di Clifford geertz. Questa prospettiva è tuttavia parte di una corrente più
generale di studi nota come antropologia simbolica. Nella antropologia simbolica confluiscono stili filosofici
e intellettuali come lo strutturalismo, la linguistica, la semiotica, ma al tempo stesso contiene anche filoni
particolaristi sviluppatisi sotto l'influenza di Boas. Tutte le correnti che confluiscono in questa prospettiva
hanno consentito di sviluppare una riflessione su tre grandi telematiche: a) la considerazione del cosiddetto
punto di vista del nativo, b) una discussione dei processi comunicativi che si instaurano sul campo tra
l'etnografo e il suo informatore, c) il tema di come questo incontro possa essere trascritto in un testo
etnografico. Avanza poi la questione dei mezzi che consentono di raggiungere la conoscenza e infine il
problema della trasmissibilità di tale traduzione a un pubblico. Per comprendere l'antropologia interpretativa
bisogna partire dal fatto che la base di questa tendenza è il punto di incontro dell'osservatore e
dell'osservato, il quale è costituito da alcune pratiche che consistono in comportamenti che sono parte di
un contesto più ampio. Tali pratiche sono di natura intersoggettiva, cioè non sono puramente riducibili agli
stati psichici individuali o alle credenze personali. Un altro punto su cui poggia la prospettiva interpretativa
è quello della vita sociale culturale come sistema aperto, vale a dire che una cultura non può essere
studiata in laboratorio o al riparo da influenze esterne poiché in antropologia non esiste quel distacco tra
osservatore e osservato o tra scienziato e oggetto della ricerca che si può avere in altri campi di studio, ma
bensì c'è una circolarità ermeneutica tra i soggetti, ciascuno dei quali è produttore di significati. Inoltre gli
esseri umani sono animali autointerpretanti e autodefinitori e ciò costituisce una netta differenziazione da
Guelle prospettive che si fondano su una semplice osservazione o anche da quelle che si illudono di poter
usare un linguaggio neutro per descrivere i dati. Al contrario, questi due presupposti, oggettività
dell'osservazione e neutralità del linguaggio, sono fondamentali nelle scienze umane perché il contesto
stenificativo, costituito dall'interazione dialogica tra antropologo e informatore, è un dato primario.

• CULTURA COME TESTO, DESCRIZIONE DENSA E PUNTO DI VISTA DEL NATIVO: CLIFFORD
GEERT

Clifford Geertz, una delle figure di maggior rilievo dell'antropologia contemporanea, compi lavori sul campo
concernenti il mondo musulmano: l'Indonesia e il Marocco. Egli ci da l'idea di una cultura come testo, idea
che trae origine dalla ermeneutica filosofica contemporanea. In "Interpretazione di culture" espose i Principi
direttivi di una "teoria interpretativa della cultura" anche se i suoi critici non furono molto d'accordo con il
suo pensiero e per questo definirono "l'indeterminatezza della teoria interpretativa". Per cogliere la verità,
secondo Geertz, si trattava di sfogliare uno a uno i significati stratificati la cui trama costituisce il testo della
cultura. Il significato non è un fatto privato anzi al contrario è soggettivo e pubblico quindi per l'autore la
cultura era costituita da azioni simboliche e da una ragnatela di significati, le qualisi configurano proprio
come un testo o un insieme di testi che l'antropologo tentava di leggere. Quando l'antropologo cerca di
comprendere una cultura si affida al concetto di "descrizione densa", che consiste in un metodo di indagine
e di organizzazione dei dati.

Inoltre si noterà che Geertz parla spesso di oggetto dell'etnografia e non dell'antropologia perché
l'etnografia è antropologia (e viceversa) in quanto è nel momento stesso in cui l'antropologo de-stratifica Le
strutture significative che egli "fa dell'antropologia". Il momento etnografico quindi è un momento teorico
interpretativo nel quale risiede gran parte della portata esplicativa dell'antropologia. In questo contesto si
nota la vocazione particolarista dell'antropologia interpretativa, una vocazione data da Boas. Il
particolarismo di Geertz costituisce uno dei principali motivi delle critiche a lui rivolte poiché i suoi critici gli
riconoscono il merito di aver prodotto studi non interpretativi o comunque condotti in una prospettiva di tipo
comparativo ed è per questo che lo accusano di aver trascurato questo genere di lavori e di aver
privilegiato quelli interpretativi proprio al fine di affermare la validità scientifica dell'antropologia e addirittura
la superiorità della prospettiva interpretativa su tutte le altre.

In un'altra importante opera di Geertz, "Dal punto di vista dei Nativi", egli offre tre modi di costituzione
dell'idea di persona in tre contesti culturali distinti: Giava, Bali e una cittadina del Marocco, i quali sono i tre
luoghi della ricerca sul campo di Geertz. Egli non intende capire in che modo sia concepita la persona in
questi tre posti dando così per scontato che essa sia qualcosa provvisto di caratteristiche emotive, morali e
razionali. Si tratta invece di vedere quali siano le esperienze dei giavanesi, dei balinesi e dei marocchini
all'interno del loro quadro concettuale. Lo spunto di questo lavoro è fornito dalle reazioni che si ebbero tra
gli antropologi alla pubblicazione dei diari di Malinowski, da cui emergeva un'immagine ben diversa da
quella che era fatta di costui.
Anche se nessuno se ne era reso conto, attraverso i diari di Malinowski, Geertz pose un problema di tipo
epistemologico: come poter conoscere un'altra cultura se è impossibile capire l'altro per empatia?! La
soluzione a questo quesito porto l'autore a ritenere che il processo conoscitivo in antropologia si articola
attraverso due tipi di concetti: quelli vicini e quelli lontani dall'esperienza del nativo. I primi sono quelli che
chiunque può utilizzare per definire ciò che lui e suoi colleghi vedono, sentono, pensano e che
comprenderebbero quando utilizzati in modo simile da altri: i concetti lontani dall'esperienza sono invece
quelli con caratteristiche contrarie. La conoscenza antropologica quindi oscilla tra questi due poli ed è in un
continuo tentativo di traduzione controllata dei concetti vicini nei concetti lontani e di controllo nella gestione
di questi ultimi per interpretare i primi. Se infatti adottassimo una prospettiva utilizzando solo i concetti vicini
all'esperienza del nativo saremo cosi dentro alla cultura dell'altro e non avremo il distacco sufficiente per
poterla analizzare. Se invece adottassimo solo i concetti lontani Dall'esperienza rischieremmo di
allontanarci dalla vita di coloro che studiamo al punto di perdere di vista la specificità di essa.
L'utilizzazione e l'analisi dei concetti vicini all'esperienza e un continuo confronto con quelli lontani
appaiono a Geertz come le operazioni necessarie per tentare una comprensione del punto di vista del
nativo.

L'antropologia di Geertz mostra di aderire alla vita concreta delle popolazioni studiate e consiste più
nell'esplorare il punto di vista nel nativo e non le relazioni sui matrimoni o sugli scambi di mercato eccetera.
Egli non è né il solo né l'ultimo rappresentante dell'antropologia interpretativa ma sulla scia del suo lavoro
si è sviluppata una corrente di studi che ha accentuato l'elemento ermeneutico e dialogico del rapporto tra
antropologi e informatori.

L'ANTROPOLOGIA DELLA CONTEMPORANEITÀ

Geertz contribuì a stimolare la costruzione della rappresentazione etnografica ed infatti è proprio a partire
da questioni prima considerate tecniche e secondarie, quali il dialogo tra antropologo e informatore, che
l'antropologia ha potuto riconsiderare il rapporto con il proprio oggetto in termini di contemporaneità. Fare
antropologia della contemporaneità significa studiare le culture oggi e nel loro ambiente globale prendendo
in considerazione il rapporto che tali culture hanno con il proprio passato e sulla base del quale esse
costruiscono il proprio presente.

• IL PARADIGMA DELL'INCORPORAZIONE: DA BORDIEU A CSORDAS

Tra coloro che hanno contribuito a una revisione dei metodi e dei paradigmi antropologici, vi è il sociologo
francese Pierre Bordieu, che compi ricerche tra i berberi d'Algeria al tempo della Guerra di Liberazione
algerina dal colonialismo francese. Così Bordieu elaborò una prospettiva teorica che si fondava sulla
TEORIA PRASSIOLOGICA DELLA CONOSCENZA e sulla TEORIA DELL'HABITUS. Nei "Lineamenti di
una teoria della pratica" Bordieu riprese i suoi studi di etnografia Berbera esponendo quella che è la
prospettiva più corretta, a suo giudizio, da adottare nel corso di una ricerca socio-antropologica. La
conoscenza prassiologica si distingue da quella fenomenologica e da quella oggettivista. La prima è quella
che si produce nell'osservazione del mondo così com'è, cioè è una teoria spontanea della conoscenza che
mira a descrivere i gesti, gli atti e i comportamenti così come li registra l'occhio dell'osservatore. La
conoscenza oggettivistica è invece quella adottata quando gli antropologi sulla base delle osservazioni
collegano fenomeni tra i quali vi è una certa familiarità allo scopo di fare generalizzazioni. Invece la
conoscenza prassiologica consiste nell'osservare le pratiche sociali cogliendole con lo sguardo di chi sa
che tali pratiche sono connesse con le strutture colte dalla conoscenza oggettivistica. È in questo aspetto
che rientra la nozione della habitus, che è il modo in cui ciascuno di noi esprime attraverso il
comportamento il pensiero e gli atteggiamenti. Bordieu vuole precisare che il nostro "modo di essere nel
mondo" è condizionato dalle strutture esterne che sono appunto quelle studiate dalla conoscenza
oggettivistica come le relazioni economiche, sociali, politiche, ideologiche, ma questo nostro stesso modo
di essere tende a dare una forma al mondo esterno. Ciò significa che il comportamento individuale può
essere visto come qualcosa che è modellato dalla realtà sociale ma al tempo stesso contribuisce a
modellare quest'ultima. La nozione di habitus spiega che il corpo è visto come un mezzo grazie al quale gli
esseri umani entrano in rapporto con il mondo e noi comprendiamo il mondo che ci circonda perché il
nostro corpo è stato esposto fin dalla nascita alla regolarità del mondo, nozione che Bordieu chiama
conoscenza attraverso il corpo. Si tratta di una forma di conoscenza meglio definita "incorporata"

A partire da Bordieu gli antropologi hanno insistito molto sull'idea di incorporazione come nozione capace
di descrivere il nostro essere nel mondo. Tra questi vi è l'antropologo Thomas Csordas, il quale con il suo
lavoro "Incorporazione di esperienza. Il fondamento esistenziale della Cultura e del se" l'autore ha
contribuito a teorizzare il paradigma dell'incorporazione. Secondo Csordas la nozione di incorporazione
dovrebbe permettere di andare oltre quelle che sono alcune delle opposizioni dell'antropologia classica
(mente/corpo, individuo/società) e della stessa tradizione di pensiero occidentale e l'incorporazione debba
costituire un paradigma-guida della ricerca antropologica derivante dal fatto che il corpo non è solo un
oggetto di studio ma è anche il soggetto della conoscenza e quindi della produzione culturale. In sintesi la
cultura stessa appare come il prodotto di un'esperienza inter-corporea tra soggetti.

• VIOLENZA E SOFFERENZA STRUTTURALE

Paul Farmer, esponente di primo piano dell'antropologia medica, antropologo e medico lui stesso, è lui che
ha imposto l'espressione "violenza strutturale". In "Patologie del potere: salute, diritti umani e la nuova
guerra sui poteri" Farmer illustra le nozioni di violenza e sofferenza strutturale applicandole al caso di Haiti
dove ha condotto ricerche sulle malattie e la povertà. Per violenza strutturale Farmer intende uno stato di
sofferenza di cui non è possibile individuare una sola causa ma che invece il prodotto dell'insieme di più
fattori, infatti la violenza è strutturale perché dipende da una congiunzione di fattori che rende Ancor più
difficile poter uscire dalla propria condizione. Una violenza strutturale genera di conseguenza una
sofferenza altrettanto strutturale, la cui caratteristica è che essa viene incorporata dai soggetti e si scrive
nel loro modo di vivere, di essere e di non-progettare la propria vita. La sofferenza strutturale è generatrice
di un'altra violenza che a sua volta porta un aumento della sofferenza stessa. L'analisi delle nozioni di
violenza e sofferenza strutturale hanno portato Farmer a ridiscutere l'idea secondo cui la sofferenza
sarebbe frutto di una cultura incapace di gestire determinati problemi. E quest'idea, dice Farmer, è una
giustificazione degli squilibri esistenti tra paesi, economie e società ed è anche un modo per non
intervenire laddove invece si potrebbe per cercare di cambiare le cose. Quella di Farmer è così una
denuncia alle agenzie internazionali e governi di tutto il mondo.

Strettamente legato a questo pensiero c'è il lavoro dell'antropologa e medico americana Nancy Scheper-
Hughes, nota per i suoi studi sul genere, sul corpo, sulla malattia mentale e sulle emozioni. In "Morte senza
lacrime: la violenza della vita quotidiana in Brasile" l'autrice studia la dinamica della violenza e della
sofferenza tra i poveri brasiliani e i comportamenti di resistenza e rifiuto nei confronti del potere espressi
dall'incorporazione della violenza e della sofferenza stessa. Un altro importante aspetto del lavoro
dell'autrice è la sua ricerca sul mercato degli organi e in un celebre articolo, "Il traffico di organi sul mercato
globale", ella dà un quadro crudo degli squilibri che favoriscono il commercio di organi umani tra nord e sud
del mondo, e sono notevoli gli effetti che il commercio degli organi ha sulle dinamiche interne a questa
comunità, i cui membri sempre più spesso vendono un organo del proprio corpo per sopravvivere o tentare
di emigrare.

• IL DIBATTITO SULLA CULTURA: DAGLI STADI CULTURALI ALLA "SURMODERNITÀ"

Dagli anni 1960 in avanti l'interesse per la dimensione culturale si diffuse un po' ovunque. Molti degli
insegnamenti universitari in precedenza chiamati etnologia, folklore o, come in Italia, storia delle tradizioni
popolari, cominciarono in questi anni a cambiare il loro nome in "antropologia culturale". Mentre in Gran
Bretagna il nome restò "antropologia sociale". Questi cambiamenti nell'ambito delle denominazioni
accademiche furono la conseguenza del fatto che il tema della cultura divenne sempre più centrale non
solo nei discorsi delle Scienze Umane e Sociali ma anche della politica e dei media. Inoltre la grande
popolarità che 'antropologia ebbe nella seconda metà del Novecento si deve anche alla diffusione del
concetto di cultura nel linguaggio delle discipline limitrofe, oltre all'utilizzazione che di tale concetto è stata
fatta dai cosiddetti studi culturali nati in Gran Bretagna dopo il 1960.

L'espressione studi culturali si deve a Herbert Hoggart, un sociologo studioso della cultura popolare inglese
che nel 1964 fondò a Birmingham il Centre for Contemporary Cultural Studies (CCCS). I ricercatori che
afferivano al CCCS tentavano di comprendere una realtà come quella britannica di allora dove questioni
come le differenze etniche e quelle basate sul colore della pelle si aggiungevano ai problemi posti dalla
crisi del movimento operaio, dalle accentuate differenze di classe e dalle nascenti discussioni sul genere e
l'identità sessuale.

In questa prospettiva diventa centrale la nozione di "agency", ovvero agentività, utilizzata da Stuart Hall.
Questa nozione sintetizza la capacità che gli individui hanno di dare significato a eventi e rappresentazioni,
accogliendoli o rifiutandoli per adattarsi o resistere nel momento stesso in cui promuovono una propria
forma di soggettività. Negli anni 1970-1990 grazie soprattutto a partire dagli sviluppi nell'uso del concetto di
cultura molti antropologi svilupparono una critica di questo concetto poiché per questi ultimi il discorso sulle
culture era diventato una specie di mosaico culturale irrigidito nelle differenze, mentre invece la realtà si
presentava assai più fluida di quanto si pensasse. A questo cambiamento nel modo di considerare la
cultura e le culture hanno concorso fenomeni come le migrazioni e la diffusione dei media che hanno
messo in comunicazione le culture come mai era avvenuto prima nella storia dell'umanità. L'uso del
concetto di cultura è diventato così più problematico di un tempo e ciò è avvenuto in relazione alla
frequenza sempre maggiore con cui essa compare nei discorsi dei media, della politica, oltre che nel
linguaggio di tutti i giorni. Un tempo questo concetto era utilizzato per rendere riconoscibili modi di pensare
e di comportarsi, e per dare loro così una specie di consistenza, oggi invece il concetto è soprattutto usato
per indicare una mentalità, una moda, dei gusti alimentari, lo stile di vita dei giovani.

Ancora più deludente è stato l'uso politico che di questo concetto si è fatto poiché alcuni politologi e analisti
hanno cercato di individuare nelle culture la tesi del ritardo e del sottosviluppo di certe aree del pianeta.
L'uso diffuso del concetto di cultura ha indotto molti antropologi a ritenere che questo concetto abbia
esaurito il suo compito, almeno in campo antropologico, tuttavia fare a meno di questo concetto
significherebbe rinunciare al concetto cardine su cui l'antropologia ha costruito il proprio discorso sul
genere umano, quindi oggi gli antropologi continuano a parlare di cultura ma come conseguenza di questo
disagio sono emersi nuovi concetti attraverso cui l'antropologia tenta di sfumare il concetto stesso e
renderlo adatto a comprendere e a descrivere le nuove realtà del mondo attuale.

• "CULTURA" O "CULTURALE"? ARJUN APPADURAI

Tra coloro che hanno dibattuto sull'idea di conservare o meno il concetto di cultura ci fu l'antropologo
americano di origine indiana Arjun Appadurai. In "Modernità in polvere" Appadurai ha sostenuto che il
termine cultura deve essere usato nella sua forma di aggettivo (culturale) unito a un sostantivo. Allo scopo
di individuare gli aspetti del mondo contemporaneo su cui è possibile condurre un'analisi culturale.

Appadurai coniò espressioni come ETNO-RAMA, per riferirsi ai nuovi paesaggi umani che si creano per
effetto dello spostamento di popolazioni nelle varie parti del pianeta, come i migranti, rifugiati o i turisti;

MEDIO-RAMA per indicare flussi di immagini e informazioni generati dai media; VIDEO-RAMA per riferirsi a
quelle idee che grazie ai media e agli spostamenti di essere umani viaggiano da un capo all'altro del
mondo incontrandosi con le tradizioni locali dando origine a nuovi modi di intendere quelle stesse idee.
Queste espressioni sono quelle che ci consentono di parlare in maniera più appropriata di tutti quei
fenomeni culturali che siamo soliti interpretare come effetti della "globalizzazione

• LA "CONDIZIONE SURMODERNA": MARC AUGÉ


Marc Augé, antropologo francese africanista, si pose il problema di come le culture contemporanee
riformularono alcuni dei loro fondamenti come conseguenza di ciò che egli chiama SURMODERNITÀ. Con
questo termine Augé indica una modernità in eccesso e precisa essenzialmente tre fenomeni tipici del
mondo contemporaneo: l'accelerazione della storia, Il restringimento dello spazio e l'individualizzazione dei
destini. Questi tre fenomeni sarebbero effetto rispettivamente: a) un eccesso di eventi di cui siamo
quotidianamente informati e che rende la storia difficilmente pensabile; b) un eccesso di immagini che
tendono a riportare a noi lo spazio del mondo; c) un eccesso di riferimenti individuali che si traduce in una
solitudine dell'individuo e la fine delle ideologie, ossia delle grandi teorie sociali caratterizzate da
uguaglianza, ordine, giustizia sociale eccetera. Questi sarebbero i tratti caratteristici della surmodernità e
della globalizzazione.

Augé, antropologo con una lunga esperienza di ricerca in Africa occidentale ritiene che le società europee
e nordamericane di oggi stiano per alcuni aspetti vivendo ciò che i popoli africani sperimentarono con la
colonizzazione: cambiamenti sociali, fine delle religioni tradizionali e istruzione di beni materiali sino allora
sconosciuti. Tutto ciò dovette fare in modo che gli africani si ritrovassero disorientati in un mondo diventato
privo di punti di riferimento certi, come privo di riferimenti sicuri appare oggi il mondo a molti occidentali.

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