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Mediazione e Interculturalità
a.a. 2019-2020
docente: Barbara Ghiringhelli
CULTURA
In antropologia, diversamente dal linguaggio comune, parlando di cultura non si intendono soltanto
gli alti prodotti del lavoro intellettuale, come l’arte, la letteratura e così via; si intende piuttosto il
complesso degli elementi non biologici attraverso i quali i gruppi umani si adattano all’ambiente e
organizzano la loro vita sociale. Fanno parte ad esempio della cultura gli attrezzi e le tecniche del
lavoro, le istituzioni sociali, le forme della parentela, il linguaggio e i modi della comunicazione, le
conoscenze, i valori e le credenze, i gesti e le più piccole pratiche quotidiane, e così via. Di fatto, è
impossibile definire la cultura attraverso un elenco: del concetto sono state proposte numerosissime
definizioni.
Il concetto “scientifico” di cultura si sviluppa e diviene di uso comune nella seconda metà
dell'Ottocento, contemporaneamente all'affermarsi dell'antropologia culturale come autonoma
disciplina di studi. Gli antropologi intendono per cultura non solo gli "alti" prodotti dell'intelletto,
come arte, letteratura o scienza, ma l'insieme di tutte quelle pratiche, usi, consuetudini e
conoscenze, per quanto banali e quotidiane, che una comunità umana possiede e attraverso le quali
si adatta all'ambiente e regola le proprie relazioni sociali. Gli antropologi ottocenteschi, sebbene
tutti in qualche misura influenzati dalle teorie razziste, tengono fermo il presupposto della
fondamentale unità intellettuale dell'intero genere umano, e sono interessati allo studio della cultura
(singolare) come elemento di differenziazione tra i gruppi. In termini evoluzionistici, la cultura è
l'insieme degli elementi non biologici o somatici di adattamento all'ambiente. Pur non facendo
ETNOCENTRISMO
E’ la tendenza a considerare la propria cultura come migliore e a giudicare il comportamento e le credenze
dei popoli culturalmente diversi in base ai propri standard.
Se ne ha una prima celebre definizione da parte del sociologo americano William Graham Sumner,
ai primi del novecento: "Il punto di vista secondo il quale il gruppo a cui si appartiene è il centro del
mondo e il campione di misura cui si fa riferimento per giudicare tutti gli altri, nel linguaggio
tecnico va sotto il nome di etnocentrismo [...] Ogni gruppo esercita la propria fierezza e vanità, dà
sfoggio della sua superiorità, esalta le proprie divinità e considera con disprezzo gli stranieri. Ogni
gruppo pensa che i propri costumi (folkways) siano gli unici ad essere giusti, e prova soltanto
disprezzo per quelli degli altri gruppi, quando vi presta attenzione”.
W.G. Sumner, Folkways, Boston,. 1906, trad. it. Costumi di gruppo, Milano, 1962, p. 5
Questo atteggiamento è per così dire naturale e universale, e anche utile alla coesione di un gruppo
sociale, ma porta facilmente, dice Sumner, a "esagerare, ad accentuare i tratti particolari che
appartengono ai propri costumi e che distinguono un popolo dagli altri". Quando ciò accade, il
naturale atteggiamento etnocentrico si trasforma in pratiche discriminatorie verso gli altri.
L'etnocentrismo sarà teorizzato in termini assai simili da altri importanti antropologi, quali fra gli
altri l'americano Melville Herskowitz e il francese Claude Lévi-Strauss. Anch'essi riconoscono
l'universalità dell'atteggiamento etnocentrico, ma vedono un segno distintivo del progresso culturale
nella capacità di tenerlo sotto controllo, di combatterlo nelle sue forme esasperate, promuovendo
non la contrapposizione ma la tolleranza e il dialogo tra le diverse culture.
Il lessico antropologico, che interpreta la diversità tra gruppi umani in termini di culture autonome
e distintive, e la sensibilità ai temi dell'etnocentrismo e del relativismo culturale, si diffondono e
divengono senso comune nella seconda metà del novecento. Tale diffusione avviene anche come
reazione al lessico e alla sensibilità razzista, screditati definitivamente dagli esiti cui erano stati
condotti dal nazismo.
RELATIVISMO CULTURALE
E’ la posizione secondo la quale i valori e gli standard delle culture differiscono e meritano rispetto.
L’antropologia è caratterizzata da un relativismo di tipo metodologico piuttosto che morale: per comprendere
appieno un’altra cultura, gli antropologi cercano di comprendere le motivazioni e le credenze dei suoi
membri. Il relativismo metodologico non preclude tuttavia la possibilità di esprimere giudizi morali o di
scendere in campo per prendere posizione contro pratiche ritenute disumane o comunque lesive della dignità
umana.
Voce Glossario volume C.P. Kottak, Antropologia culturale, seconda edizione, edizione italiana a cura di
Laura Bonato, McGraw-Hill, Milano, 2012
INCULTURAZIONE
Il termine, dall’inglese culture, cultura, deriva, per traduzione, dal termine inglese inculturation che indica
l’assimilazione, da parte dell’individuo, di contenuti, pratiche e valori della tradizione culturale del gruppo di
appartenenza, al cui interno realizza la sua esperienza educativa. L’acquisizione della cultura da parte del
soggetto sociale è un processo che gli antropologi hanno studiato con particolare attenzione per legittimare
l’assunzione teorica “antirazzista” secondo la quale, tenendo costante ogni altro fattore al di fuori della razza,
trattamenti inculturativi simili avranno come risultato repertori socioculturali simili. Come ricorda Harris
(1971, p. 179), “anche se non è possibile dimostrare che tutti i maggiori raggruppamenti di Homo sapiens
hanno la stessa capacità di apprendimento per tutti i tipi di risposte, è fuori discussione che la maggior parte
del repertorio di risposte di qualsiasi popolazione umana può essere appreso da ogni altra popolazione”. La
parola è stata introdotta nelle scienze sociali da M.J. Herskovits (1948) per indicare l’interazione complessa
dell’individuo con la sua cultura di riferimento e di cui egli è, allo stesso tempo creatura e creatore. E’
evidente, infatti, che la trasmissione dei modelli culturali da una generazione all’altra non è mai riproduzione
ripetitiva, ma sempre è sottoposta a successive aggiunte e innovazioni. Margaret Mead ha definito questo
fenomeno, decisamente accentuato nella società industriale, divario generazionale (1972, pp.33-34).
Secondo Herskovits il processo di inculturazione dura tutta la vita, ma varia durante i successivi stadi del
ciclo dell’esistenza: per cui è opportuno differenziare la fase dello “stadio infantile” (in cui è imposta e
arbitraria), dalla fase dello “stadio adolescenziale” (in cui è orientata verso l’integrazione sociale, a
cominciare dalla socializzazione nei gruppi informali dei coetanei), e dalla fase dello “stadio adulto” (quando
l’inculturazione è una forma consapevole e critica di accettazione o di rifiuto dei valori e delle scelte del
gruppo). Tra gli antropologi italiani, Tullio Tentori (1990, pp. 141-147) e Matilde Callari Galli hanno
proposto un orientamento che considera complementari l’inculturazione e la socializzazione (1993, pp. 183-
192). L’inculturazione, nella prospettiva psicoantropologica che è stata proposta, viene a indicare un percorso
segnato da momenti e tappe insieme consci e inconsci, pianificati o spontanei, che l’individuo attraversa in
un processo continuo che inizia con la nascita e cha va avanti, con variazioni di intensità, per tutta la vita.
(G.H.)
Callari Galli, M. 1993, Antropologia culturale e processi educativi, La Nuova Italia, Firenze.
Voce estratta dal Dizionario delle diversità. Le parole dell’immigrazione, del razzismo e della xenofobia, a
cura di G. Bolaffi, S. Gindro, T. Tentori, Liberal Libri, Firenze, 1998.
ACCULTURAZIONE
Scambio di caratteristiche culturali risultante dal contatto diretto e continuativo tra gruppi di individui; gli
schemi culturali di ogni gruppo possono essere modificati, ma i gruppi conservano un carattere distinto. Voce
Glossario volume C.P. Kottak, Antropologia culturale, seconda edizione, edizione italiana a cura di Laura
Bonato, McGraw-Hill, Milano, 2012
Nell’attuale società multietnica, interculturale e plurireligiosa, gli individui si distinguono per “livelli di
acculturazione” reciproci, realtà direttamente collegata al marketing delle identità.