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Il teatro una delle espressioni artistiche più usate nel barocco. Si parla addirittura di teatro del mondo.

Il teatro nel
600 vuole rappresentare il mondo, la realtà. Esso rappresenta il mondo che è risultato delle rivoluzioni scientifiche,
che ha scardinato le certezze dell’ipse dixit. Ha scardinato il mondo delle regole aristoteliche. Il teatro rompe il rispetto
formale delle regole. A volte, non si capisce bene quale sia la vera realtà verità. Addirittura si parla di un teatro in cui il
ruolo fondamentale è esercitato dalle maschere, ma non soltanto perché gli attori entrano in scena il più delle volte in
maschera, ma è come se anche nella vita reale, l’uomo fosse un po’ portato ad indossare delle maschere per
camuffare la sua vera natura e realtà. Questo perché, il teatro nel 600, mette in scena i vizi e le virtù di una società
come quella del 600. Pensiamo a ciò che succede a livello politico, a livello del costume come per esempio il mondo
della nobiltà, dell’apparire. La corte diventa un luogo dell’esibizione e anche il luogo dei complotti, dell’ inganno, dell’
imbroglio. Tutto ciò che appare, è diverso da come è in realtà. Questo elemento che rispecchia il modo di pensare
viene portato in scena.
Nel 600 il teatro conosce una grande fioritura soprattutto in Inghilterra, con William Shakespeare, e in Francia, con
Moliere. Ma anche la Spagna, in misura molto minore anche l’Italia, ferma al genere della commedia dell’arte.
La commedia dell’arte è un genere antico dove a comparire sulla scena sono attori professionisti che non hanno un
copione da recitare, non hanno dialoghi da imparare a memoria. Essi hanno un canovaccio, cioè una traccia, uno
schema, una situazione indicata in maniera generica. All’interno di quello schema devono improvvisare. Quindi il
teatro nel 600 in Italia è soprattutto itinerante, queste compagnie teatrali si muovono in continuazione. Non n c’è un
autore nel 600 in Italia, perché non esiste ancora il testo teatrale così come noi lo conosciamo, con le battute e le
indicazioni di ciò che deve fare l’attore. Ciò, in Italia, arriverà solo nella metà del 700 con Carlo Goldoni, considerato il
grande riformatore del teatro italiano e soprattutto il fondatore del teatro moderno. In Inghilterra e in Francis c’è già
questo tipo di teatro.
Il teatro di Shakespeare è un grande teatro, chiamato anche teatro elisabettiano. In Inghilterra, con il Globe Theatre, si
afferma il teatro stabile, a differenza di ciò che succede in Italia che ci sono le compagnie itineranti. Shakespeare è
l’esponente di spicco di questo teatro.
In Italia possiamo dire che c’è una parte minoritaria che si chiama la tragedia. Essa è ancora quella della classicità, con
il rispetto delle regole aristoteliche. La tragedia doveva essere educativa e si fondava sul principio della Catarsi.
L’esponente di spicco del teatro della tragedia di questo periodo è Federico della Valle. Nella commedia dell’arte
c’erano questi tipi fissi, che erano le maschere, chiamati zanni. Gli zanni erano questi attori che facevano della beffa
quello che era l’elemento chiavetta della commedia. A volte, proprio per catturare l’attenzione del pubblico,
esageravamo certe situazioni. A volte non era sufficiente il solito canovaccio e quindi diventavano volgari, con
linguaggio scurrile. Per porre fine a questa degenerazione, nel 700, Goldoni cominció a scrivere i testi.
Shakespeare nacque nel 1564 a Stradford e morì nel 1616. Si sa poco di lui. Egli è stato un bravo autore e ha scritto
moltissime opere. Le sue opere più famose sono: Amleto, Romeo e Giulietta e Macbeth.
Lui anticipa alcuni aspetti degli autori del 900, come ad esempio la follia, il tema del doppio, una verità che non si
capisce bene quale sia, il rapporto tra realtà e finzione. Essi sono temi che riprenderà Pirandello. Spesso è difficile
capire la verità perché non è credibile, e anche se lo fosse, non è accetta. Ecco dunque che l’unico modo, secondo
Pirandello, per affrontare la verità, è quello di fingersi pazzi. I pazzi possono dire tutto ciò che vogliono e vengono
tollerati e accettati.
La follia è una caratteristica che caratterizza molto i personaggi di Shakespeare. Un esempio si ha nell’Amleto. Amleto
viene considerato l’eroe della tragedia, quello più moderno, più vicino alla sensibilità di noi moderni perché è un
personaggio conflittuale con il suo mondo interiore. Lui è pieno di dubbi, è tormentato, non sa quale strada prendere.
Non è l’eroe della tragedia greca che sapeva sempre cosa fare e lo faceva con una determinazione, sintomo della sua
caratteristica principale. Amleto invece sa cosa dovrebbe fare ma gli manca il coraggio e la volontà di portare avanti il
suo piano di vendetta.

Trama:
Amleto era un principe di Danimarca, a un certo punto riceve in visita il fantasma di suo padre, il vecchio re di
Danimarca, che gli dice che è stato ucciso da suo fratello, zio di Amleto, per usurpargli il potere e poi ha sposato la
madre Gertrude di Amleto. La presenza di questo fantasma che rivela ad Amleto la verità, ha un effetto deflagrante
nella sua vita e nella sua coscienza perché a questo punto lui sente di dover vendicare la morte del padre. Allora cerca,
attraverso la pazzia e la follia, di confondere le acque e soprattutto di nascondere i suoi piani di vendetta. Deve stare
attento a non lasciare che lo zio scopra i suoi piani perché deve portare a compimento questo obbiettivo. Un giorno
finisce, alla corte di Danimarca, una compagnia di attori, di teatranti, allora approfitta di ciò per cercare di carpire dallo
zio la verità. Quindi chiede a questa compagnia di attori, di inscenare la vera storia di suo padre, quella che il fantasma
gli aveva rivelato, per vedere la reazione dello zio difronte a ciò.
A questo punto, lo zio, si sente turbato da questa rappresentazione e nasce una situazione di grande tensione. Amleto
sa perfettamente quello che deve fare, ma non riesce a capire qual è il modo e se è effettivamente giusto portare a
termine il suo piano di vendetta.Nasce dunque un intreccio di conflitti, di ostilità. Amleto era innamorato di Ofelia, la
figlia del ciambellano Molonio e a un certo punto diventa succube dei suoi dubbi. Non si fida più di nessuno, non sa
dove sia la vera realtà delle cose, non si fida più dello zio, non si fida più della madre e arriva addirittura a diffidare di
Ofelia, la donna che amava. Per sbaglio arriva ad uccidere il padre di Ofelia, perché lo aveva scambiato per suo zio. Si
scatena dunque l’ira di Laerte, il fratello di Ofelia, che vorrebbe vendicare il padre. Nasce un duello tra Laerte e
Amleto. La spada di Laerte aveva la lama avvelenata, quindi nel duello Amleto, riesce a sopravvivere ma viene ucciso
Claudio.
Addirittura la madre beve da un calice di vino, quello che pensava fosse vino, ma invece era un calice di una bevanda
avvelenata destinat ad Amleto e la madre muore. Muoiono quasi tutti, infatti è una tragedia. Ciò che è importante è la
modernità dirompente di Amleto, che ce ne fa l’emblema del dubbio e dell’eroe malinconico, infatti Amleto è sempre
cupo, afflitto, ha sempre i suoi dubbi ed è stato un punto di riferimento per moltissimi altri autori. C’è infatti anche il
detto “sono assalito da un dubbio amletico”, esso è il famoso “essere o non essere, questo è il dilemma”. Amleto
infatti è indeciso se prendere la situazione così com’è o se deve vendicare il padre. A un certo punto, da quanto è
dilaniato dal dubbio, arriva a pensare alla morte come a qualcosa che potrebbe essere la soluzione. Arriva a pensare
anche al suicido, ma poi dice “ però la vita che è afflitta da tante sofferenze e difficoltà, è communque sopportata da
molte persone e allora perché non si suicidano tutti? Cosa frena l’uomo da un gesto così estremo? ” ciò che frena
l’uomo, è l’incognita della morte, il non sapere cosa succede dopo la morte.
Amleto dice “Il paese non ancora scoperto dal cui confin nessun viaggiatore ritorna” per indicare l’aldilà. Poi conclude
dicendo “così la coscienza ci fa tutti vivi” per cui l’uomo non sa scegliere.
Amleto è l’eroe anti romantico per eccellenza, perché se noi pensiamo agli autori del 800 , come anche Foscolo, l’eroe
tormentato che non sopportava più di vivere la vita così afflitta, poteva scegliere la morte, considerata un gesto eroico
è positivo. Amleto invece non sceglie neanche il suicidio e non sa nemmeno se vendicare il padre. Il dubbio è ciò che
caratterizza di più Amleto.
Nel famoso monologo di Amleto, a un certo punto, alla fine della scena, c’è anche il dialogo con Ofelia. Questo dialogo
introduce un tema importantissimo, il tema della della finzione e della realtà. Dice che Ofelia appare bella ma non è
così convinto della sua onestà, perché secondo lui la bellezza è l’onestà non sempre vanno di pari passo, anzi insiste
molto sull’aspetto della bellezza esteriore. Dice che le donne in questo sono abili perché la donna è tentatrice anche
attraverso i “belletti”, cioè la bellezza femminile della donna che ha nel truccarsi. Ecco dunque il tema della realtà
truccata, nascosta. La donna non è ciò che appare, Ofelia sembra bella perché si trucca, quindi se gli è sempre
sembrata onesta, in realtà è un ingannatrice come tutti gli altri.
Amleto finge di essere folle ma alla fine sembra veramente che il delirio sembra il suo modo di vedere la realtà.
La tragedia più conosciuta di Shakespeare è la tragedia dell’amore impossibile: Romeo e Giulietta.
Romeo e Giulietta è la tragedia dell’amore ostacolato. Così come per molti altri testi, Shakespeare in realtà non
inventa le storie ex novo(dal nulla) ma le recupera da antiche fonti e le rivisita creando qualcosa di nuovo è
eccezionale.
Anche la trama di Romeo e Giulietta non l’ha inventata lui. C’era una versione scritta da Matteo Vandello, un
novellatore del 1500 che è di Castelnuovo Scrivia, infatti qua c’è addirittura un centro studi che si occupa delle sue
opere.
Trama:
Ci sono questi due giovani veronesi, Verona dilaniata dalle fazioni rivali, tra cui i montecchi e i capuleti. Giulietta
appartiene faceva parte dei capuleti e Romeo dei Montecchi. Un amore contrastato, se non che i due si amavano alla
follia. Romeo è costretto a lasciare la città di Verona perché in uno scontro uccide il cugino di Giulietta e quindi per
evitare di essere carcerato lascia la città. Giulietta è stat promessa sposa a Paride e lei però durante l’assenza di
Romeo è disperata perché non vuole sposare Paride.
Si intromette per aiutarli frate Lorenzo, che ebbe un ruolo di primo piano. I frati utilizzavano le erbe mediche, quindi
frate Lorenzo, crea una pozione magica che provoca una morte apparente per chi la assume. Finito l’effetto della
pozione, la persona si sveglia e sta bene come prima. Il piano era: Giulietta avrebbe dovuto ingerire questa opzione
per evitare di sposare Paride, dopo la morte l’avrebbero sistemata nella tomba di famiglia, nel frattempo bisognava
avvertire Romeo, che era lontano dallo stato di Verona, di questo piano. Lui avrebbe dovuto raggiungerla e al suo
risveglio sarebbero dovuti scappare insieme. In quel periodo c’era anche la peste quindi il messaggio ad Amleto non
arrivò e quindi Romeo non riesce a sapere del piano. Riesce solo ad arrivare a Verona e scopre che Giulietta è morta,
ma non sa che è morta per finta. Quindi quando è davanti al cadavere di Giulietta, preso dalla disperazione, prende il
pugnale e si trafigge e muore.
Dopo un po’ Giulietta si sveglia, vede il cadavere di Romeo e si uccide anche lei. È dunque una tragedia. Paride viene
comunque ucciso da Romeo prima.
Pag 128
Vi è il momento iniziale del loro amore, quando si sono conosciuti in questa festa, organizzata dai capuleti, quindi
Romeo si era intrufulato, rischiando di essere scopero e malmenato. In questa festa dunque si conoscono e rimangono
innamorati. La stessa notte, Romeo si presenta al balcone di Giulietta e scopre che in realtà Giulietta è già innamorata
di lui, perché, mentre è nascosto dietro un cespuglio, la sente invocare il suo nome mentre dice cose belle.
Sono al balcone e lei dice:”Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo?” Questo verso è famosissimo. Qua Giulietta
affronta la questione del nome, dice, io sono innamorata di lui, della sua essenza, non del suo nome. Ad essere nemici
dei miei genitori e della mia famiglia, sono i montecchi.
Se il ragazzo di cui mi sono innamorata, si chiamasse in un altro modo, non cambierebbe nulla della sua essenza.
Secondo Giulietta dunque, il vero limite è il nome. Allora comincia a parlare di questo nome e comincia a dire:
Riga 33–> “che cos’è un nome quella che noi chiamiamo rosa anche chiamata con un’altra parola avrebbe lo stesso
odore soave così Romeo se non si chiamasse più Romeo conserverebbe quella preziosa percezione che possiede
anche senza quel nome. Romeo rinunzia al tuo nome e per esso che non è parte di te prenditi tutta me stessa.” Fino a
questo punto Giulietta pensava di essere da sola, lei ha fatto questo monologo, pensando di essere da sola. Arriva
Romeo che aveva sentito tutto e dice :”chiamami soltanto amore ed io sarò ribattezzato da ora innanzi non sarò più
Romeo.” Qua poi comincia il loro dialogo.

pag 139 Macbeth


Macbeth è stato scritto dal 1606 circa.
È importante perché pone lo sguardo lucido e realistico sul mondo del potere e su ciò che l’uomo è spinto a fare pur di
avere potere. Macbeth è l’emblema della lotta senza scrupoli per il potere. Parliamo della Scozia. Macbeth era un
personaggio che prima era un ufficiale del re di Scozia, poi il re muore e lui cerca di diventare il re assoluto della
Scozia. Per impadronirsi del potere, ha bisogno di far fuori tutti gli avversari, quindi è spinto anche dalla moglie lady
Macbeth, anche lei assetata di potere, a macchiarsi di crimine per arrivare a diventare un vero e proprio tiranno. Lady
Macbeth è un personaggio che a un certo punto verrà ripreso da rimorsi, infatti la sua coscienza la tormenterà, non
riuscirà più a dormire serena la notte e si ucciderà per questo. Alla fine Machbeth deve fare i conti con una realtà che
è quella della sua solitudine, morta la moglie si rende conto che lui ha lottato invanamente. Importante è il rapporto
con le corti, con la tradizione, tutto ciò che c’è dietro all’affermazione del potere, ma anche questi due personaggi
hanno un’interiorità complessissima. Sono dilaniati dal rimorso e dal conflitto interiore. Sono personaggi che
potremmo definire estremamente moderni.
pag 145 Molier
Il suo vero nome è Gian Battist poclain e Moliere era il suo nome d’arte. È un uomo che ha vissuto per il teatro ed è
morto in scena mentre rappresentanza una delle sue commedie più famose: il malato immaginario, del 1643.
Moliere vuole portare in scena la vita, vuole rappresentare i vizi e le virtù della società, ma soprattutto i vizi della
società borghese, soprattutto la loro estrema fiducia nei confronti della scienza medica. In realtà lo scopo di Moliere
era quello di arrivare a insegnare qualcosa allo spettatore. Quindi lui esegue uno spettacolo moralizzatore o
pedagogico.
La storia del malato immaginario è molto divertente e comica.
Trama
Il protagonista è Argan ed è il malato immaginario, è ippocondriaco. Pensa di essere afflitto da tutte le malattie, quindi
lui vive in funzione dei medici e vuole essere circondato solo da uomini di scienza. Il suo medico curante si chiama
fecis, i nomi non sono un caso. Fecis lo cura a suon di purghe e lassativi. Talmente ossessionato dal guarire la malattia
che decide che sua figlia deve sposare un medico. Vuole che si sposi con il figlio del dottor Cagherai. L’intendo di
Molier è quello di ridicolizzare certi medici. Vuole ridicolizzare l’abuso della scienza medica di quel periodo, come se i
medici avessero la soluzione a tutti i mali. È interessante il confronto tra Beraldo, il fratello di Argan e Argan stesso.
Suo fratello dice che il modo migliore per guarire è quello di non consultare i medici, cioè di lasciare che la natura
faccia il suo corso. Argan invece sostiene che bisogna affidarsi ciecamente ai medici. Quindi ne una né l’altra posizione
sono condivisibili. Alla fine Argan decide, convinto dalla figlia, di lasciarla sposare con un altro giovane che è quello che
lei ama e di essere più razionale nell’uso delle medicine
AGNE
Il teatro è l’espressione più immediata della famosa poetica della meraviglia che è all criterio a chi si ispirava l’arte in
tutti i suoi ambiti. Caratterizza l’arte barocca non soltanto nella letteratura ma anche nell’arte figurativa, nel teatro in
cui è evidente questo aspetto. E nell’ambito della letteratura europea. In Italia possiamo parlare di teatro in senso
moderno con Goldoni prima metà del 700. Fondatore della commedia moderna. Prima c’era l’improvvisazione
(commedia dell’arte) non esisteva un copione con le parti scritte da studiare ma esisteva un canovaccio, cioè uno
schema di base una situazione emblematica (sempre quella più o meno, magari uno sciocco o imbroglione della
servetta). Gli attori quando entravano in scena improvvisavano.
Dal punto di visto della tragedia esisteva quella di matrice religiosa gli argomenti erano biblici. Noi abbiamo ricordato
federico della valle.
Il 1600 è il secondo d’ora per il teatro in Ingilterra (shaskpeare) in Francia (moliere) e poi anche in Spagna.
Sapere l’amleto, e poi qualcosa del Machbet e poi di Molier il malato immaginario.
Questo romanzo e considerato un monumento della letteratura Europea, considerato il primo romanzo moderno. È il
donchisciotte della mancia. Combatte contro i mulini a vento e questo modo di dire infatti è entrato nel linguaggio
corrente, vuol dire combattere contro qualcosa che non esiste e non si può fermare (battaglia persa).
L’autore si chiama Miguel de Cervantes, e poche cose sappiamo, ha umili origini, ha combattuto nella famosa
battaglia di Lepanto (la prima vera sconfitta dei turchi prima della vittoria dei cristiani.) e si era anche distino per
valore militare. Tornato in patria aveva problemi economici e si era dovuto indebitare, finì in carcere per non essere
riuscito a saldare i propri debiti e il poverino mori solitudine nel 1616. Tra l’altro una cosa che a lui procuro grande
sofferenza e dolore fu proprio il fatto che il suo valore e la fatica che aveva fatto in quella battaglia non gli fu mai
riconosciuta, e quindi visse con il senso di profonda ingiustizia. Un po’ questo trasparenne suo capolavoro perché lui
considera tutta l’esistenza come un continuo conflitto con l’ideale è il reale, con ciò che l’uomo vorrebbe riuscire e ciò
che invece la realtà gli mette di fronte. Chisciotte e proprio l’emblema di questo.
Di questo libro esistono due parti, che sono state scritte in due momenti diversi e distinti la prima parte pubblicata ne
1605, l’ultima nel 1615. Nella a prefazione aa prima parte serbante usa un espediente che è quello di ricorrere ad una
finzione letteraria cioè finge di aver trovato un manoscritto che racconta la storia di questo fantomatico
personaggio(Manzoni promessi sposi), lo fa per dare una verosimiglianza e credibilità a questa storia ma che ha molto
poco. Parliamo di un personaggio che è Don Chisciotte che è folle, la follia è proprio l’elemento che caratterizza questo
cavaliere errante. Nella realtà dei fatti apparteneva alla piccola aristocrazia terriera era un hidango, cioè un nobile in
un termine spagnolo.
Appassionato lettore ai romanzi cavallereschi, così tanto che lui trascorreva le notti le giornate a leggere le storia di
questi cavalieri erranti. (Filone del genere cavalleresco uno dei primi generi, errante che viaggia con l’inchiesta o della
donna amata o del sacro graal, il cavaliere errante deve affrontare una siete di avventure e prove) queste avventure di
eroi plagiano talmente la mente di quest’uomo che esce di sennò è quindi decide di diventare lui stesso cavaliere
errante e si improvvisa tale ridere a recuperare delle antiche amarmi appartenute alla sua famiglia, oramai arrugginite
e ammuffite anche l’armatura logorata dal tempo, l’elmo improvvisato e poi come un cavaliere che si rispetta doveva
avere un cavallo e non aveva cavalli prestanti. Egli aveva ronzini cavalli di seconda qualità (lavoro nei campi), lui aveva
ne aveva uno brutto e scheletricodecide che quello doveva a essere il suo cavallo e per essere degno dele imprese che
avrebbe dovuto affrontare gli da un nome che la dice lunga, si doveva chiamare il ronzinante, che significa primo
cavallo fra i ronzini il più importante bravo e valoroso.
Si mette in cammino perché lui deve fare il cavaliere errante (figura di una poeticità incredibile, anche quando lo
vediamo combattere contro i mulini a vento perché il messaggio che recupera anche Fernando Pessoa (la letteratura e
la confessione che la vita non basta, troppo banale scontata) la letteratura ci consente di viaggiare attraverso mondi e
viste che la vita reale non ci fa sperimentale).
Don Chisciotte dice che la vita così com’è a lui non piace. Si tratta di follia decidere di vivere la vita che ha letto nei
libri. Un cavaliere ha bisogno anche di essere investito nella sua carica di cavaliere e allora nella sua mente malata si
ferma in un’osteria, che per lui è un castello e l’oste è un imperatore. Convince l’oste-imperatore a investirlo
solennemente alla carica di cavaliere. E poi però un cavaliere errante deve avere la sua dama a cui dedicare le sue
imprese allora decide e sceglie come dama una contadina che abitava vicino al suo villaggio , una donna bellissima e
anche di facili costumi lui però decidere di trasformarla in una principessa, le da anche in nome dulcinea. Si chiamava
in realtà Aldonza Lorenzo, tra l’altro il nome Aldonza faceva parte anche in alcuni proverbi spagnoli che significano che
le donne erano di facili costumi. Aldonza diventa dulcinea del toboldo (doveva viveva questa donna) la donna non
sapeva niente delle intenzioni di Don Chisciotte. E comincia una serie di avventure quelli che vive e una distorsione
della realtà una delle sue prime avventure che , come tutte le altre finisce male è quando si imbatte in un giro po di
mercantile lui nel tentativo di lodare le virtù e qualità della sua donna, dice che era talmente bella ed onesta doveva
essere lodata da tutti. I mercanti pensando fosse un matto e lo prendono a botte. Il poverino da questa prima
esperienza viene riportato a casa dovev viveva con una governate che si occupava di lui, una nipote giovane in torno ai
20 anni e un altro domestico. Li a casa cerco no di farlo ragionare e farlo tornare in se. Lui pass qualche giorno
tranqullo perché deve aspettare che le ferite guariscono e poi si rimette in marcia. Questa folta fa qualcosa di ancora
più sfrontato non solo decide di intraprendere il percorso di cavaliere errante, non solo ma decide che, come tutti i
cavalieri erranti che si rispettino, debba avere uno scudiero. Sancio panza è un contadino (esatto opposto di Don
Chisciotte (ha la mente offuscata dalla follia, che vive di illusioni) invece Sancio ha il senso pratico delle cose che gli
sbatte in faccia la realtà un po’ il suo alter ego) quindi come mai Sancio panza decide di seguire don Chisciotte nella
sua follia. Perché Sancio panza oltre ad essere caratterizzato da questo senso pratico era anche un po’ sempliciotto
(stupidito) e don Chisciotte gli aveva promesso che grazie a questa avventura e che se le cose fossero andate a buon
fine avrebbe affidato un feudo da governare e quindi, pensando a questa possibilità decide di intraprendere questo
percorso con lui. Una delle scende più famose e quella della battaglia contro i mulini a vento. Alla fine della storia, don
Chisciotte torna a casa ferito da uno dei suoi scontri e a casa durante la convalescenza rinsavisce e recupera il senno, si
rende conto che tutto quello che vissuto e stato frutto dell’immaginazione e della follia. Ne momento in cui riacquista
la ragione si rende conto che tutto quello che aveva vissjro era semplicenfe un’illusione e che la realtà é lontana da
quelle illusioni e quindi si lascia morire.
Quello che vuole fare servantes, oltre che a parlarci della dimensione più umana di questo personaggio e raffiguarare
attraverso di lui e una forte denuncia di quel mondo (cavalleria) ormai lontana del tempo che appartiene al passato e
non ha più nulla da insegnare. Un po quello che abbiamo visto con Ariosto che tante volte ridicolizza i cavalieri perché
concepisce quel mondo come lontano.
Il riferimento ad Ariosto non è casuale perché Servantes ha tara i suoi modelli proprio lui lo stesso boiardo da chi
siamo partiti e poi romanzo picaresco. Letteratura spagnola. Picaro era il termine con cui si indicava quello
imbroglione, si ispira alla letteratura picaresca prorpio per descrivere la figura di Sancio Panza il picaro della
situazione, un contadino che vive l’esperienza di diversi arrangiare e che ricorre agli espedienti per uscire dalle
situazioni difficili. L’inizio che rappresenta l’incipit ci mettono e cuore della narrazione e ne ritratto di questo
protagonista.
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La Mancia e una regione centrale della Spagna il fatto che non ci dica esattamente come si chiama questo luogo,
sceglie di rimanere vago nella caratterizzazione geografia e temporale, ci immette subito in un racconto molto del
fiabesco e molto poco del romanzo storico. Anche se dice di aver trovato quel manoscritto che doveva aiutare a dare
una sorta di credibilità alla storia, servantes dice appetente a uno scrittore arabo cioè ad un infedele. Il fatto stesso
che decida di attribuire ad un arabo la paternità di questo manoscritto e come se mettesse sulle avvisaglie il lettore
dicendo: ho trovato questo manoscritto che non ho scritto io ma sappi che è stato scritto da un arabo quindi un
infedele prendila con le molle non so quanto sia vero.
Viva nel 600 in una Spagna che ha un atteggiamento persecutorio rispetto alla minoranze religiose.

Nell’incipit ci dice che questo cavaliere vive in questa mancia che ha un vecchio scudo, un magro ronzino e va a caccia
con questo levriero.

Il vero nome è Chesciana, poi lui decide di chiamasi Don Chisciotte, piuttosto comico il termine spagnolo da cui deriva
Chisciotte cioè armatura della coscia.
(Nel testo c’è Ironia)
La cavalleria qualcosa di dimenticato.
Molione e la celata sono delle parti del legno, un elmetto a cui mancava una parte e cerca di rimediare a questa
mancanza. E poi dopo aver recuperato le armi aveva bisogno del cavallo e infatti il ronzino. Poi bisognava cercare una
dama di cui essere innamorato, lei non lo seppe mai.
Si costruisce un mondo parallelo.

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Abbiamo l’avventura più bella quella dei mulino a vento.
Le sue imprese sono spinte d’ala volontà di liberare il mia o dal male (i giganti erano il male).
Sancio panza mette sempre davanti agli occhi di Don Chisciotte la realtà ma lui non la vuole vedere.
Sancio panza aveva il suo asino. Nonostante la visione di questi mulino a vento, che man mano si avvicinava avrebbe
dovuto realizzare che erano mulino a vento e non giganti. Don Chisciotte va vanti fino in fondo. La letteratura vince
sulla realtà, l’illusione vince contro il disincanto della vita.

Don Chisciotte di Cervantes viene considerato il primo romanzo moderno in Europa. Questo per vari motivi: il gusto
dell’intreccio e miriade di personaggi; stile realistico; capacità di mettere in luce i vizi e i difetti di una società (quella
del 600) che vedeva il tramonto degli antichi ideali cavallereschi (profonda crisi degli antichi valori). Don Chisciotte vive
di illusioni in quanto dopo una vita di delusioni decide di vivere come gli eroi dei romanzi un poeta portoghese
Fernando Fessoa del novecento definisce la letteratura è “la confessione che la vita non basta “).

Alla fine del 600 c’è una reazione contraria al barocco. Nell’ambito della poesia si afferma la necessità di tornare al
classicismo con un’esperienza che è quella dell’arcadia che è un’Accademia che si contrappone al barocco
riproponendo la poesia classica. Il termine deriva dall’antica regione della Grecia del sud nel Peloponneso e che era
l’ambientazione ideale (locus amoenus) dove i poeti della classicità ambientavano i loro scritto soprattutto quelli di
tema bucolico e campestre. I poeti si chiamavano anche con i nomi che si riferivano alla poesia classica che bisognava
ripristinare. Tra i grandi fondatori che dettano anche le linee guida dentro a questa accademia sono: Giovan Vincenzo
Gravina e Giovanni Mario Crescimbeni. Quest’ultimo sostiene il modello di Petrarca, mentre l’altro quello dantesco
(prevale però Petrarca). Gravina quindi si allontanerà dall’accademia ma lo ricordiamo perché è stato tra i maggiori
sostenitori di METASTASIO che è stato un grande riformatore del melodramma. Il melodramma è un’opera
caratterizzata dalla musica e dalla poesia (“il recitar cantando”, antenato dell’opera lirica che si fonderà nel 800). È un
genere molto diffuso nel teatro seicentesco in Italia che però vede prevalere l’aspetto musicale rispetto al testo
mentre Metastasio rivolta questo rapporto dando maggiore importanza al testo rispetto alla musica delineando la
differenza tra il recitativo (quello che è accompagnato da un solo strumento che serve per descrivere l’andamento
narrativo della storia e quindi per seguire le vicende di quella storia) e l’aria invece era il momento di massima
tensione (aspetto sentimentale quindi accompagnato dall’orchestra con una sinfonia che esaltava il sentimento).
L’opera più importante è “LA DIDONE ABBANDONATA”. Essa rievoca la vicenda di Didone amata da Enea è appunto
abbandonata dall’eroe troiana in quanto egli aveva altri missioni e compiti cioè quello di fondare la stirpe romana
secondo il racconto che ne fa Eneide di Virgilio.

SETTECENTO
Si afferma una nuova scienza che è la storiografia cioè lo studio della storia e soprattutto la narrazione della storia su
basi scientifico-filosofiche. Prima di quel momento era stata più cronistoria, quindi, raccontava la storia dei personaggi
legati alle vicende più importanti. Nasce quindi l’approccio scientifico alla storia cioè lo storico deve cercare di
ricostruire non tanto le vicende legate ai grandi personaggi ma di ricostruire, attraverso lo studio dei documenti e
delle fonti le dinamiche legate all’evoluzione della società a seconda dei periodi storici. Lo storico moderno parlando
della Rivoluzione Francese dice quando scoppia e ne cita i fondatori ma si basa soprattutto della origine di
quest’ultima. Va ad indagare le cause, gli effetti e le conseguenze dal punto di vista sociale e politico.
I grandi storiografi del 700 che fondano una storia di stampo moderno: Ludovico Antonio Muratori e Gian Battista
Vico.

GIAN BATTISTA VICO: nasce a Napoli nel 1668. Ne abbiamo poche notizie. Aveva ottenuto una laurea in diritto
canonico (civile, di stampo giuridico) e riuscì ad ottenere la cattedra della retorica all’università. Prima di morire fu
nominato storiografo ufficiale del regno di Napoli e mori nel 1744. L’opera principale che viene considerata la
fondatrice della storiografia moderna si chiama “Scienza nuova” e non è un caso l’uso del termine “scienza” per
parlare di storia. Difatti l’approccio con quest’ultima d’ora in poi è di stampo scientifico. Vico partiva da un
presupposto: l’unica conoscenza fondata e vera che l’uomo può avere è delle cose che lui stesso fa (la storia la fa lui);
quindi, può avere la conoscenza vera solo della storia. Questo principio lo affermava attraverso la formula latina
VERUM IPSUM FACTUM (la verità essa stessa, il vero sta nello stesso fare.) Questo concetto si ispira anche al clima
inaugurato dalla Rivoluzione scientifica e all’empirismo che è quella corrente di pensiero per cui si arriva a sostenere
che la vera conoscenza è quella della natura empirica cioè che parte dall’osservazione e che passa attraverso i sensi
(attraverso l’esperienza come sostiene Galilei). Nel momento in cui l’uomo è protagonista della storia sta facendo
qualcosa, la crea lui, è un vero e proprio artefice di quello stesso fatto su cui si poggia la verità della conoscenza). Vico
analizza la storia dell’umanità attraverso le dinamiche che stanno alla base dell’evoluzione dell’animo umano. Per certi
versi la storia dell’umanità riproduce l’evoluzione dell’essere umano che passa attraverso diverse fasi: infanzia,
maturità e vecchiaia. Nello studiare la storia dell’umanità egli sostiene che l’uomo ha attraversato le diverse età: degli
dei, degli eroi e degli uomini. Nell’età degli dei cioè quando l’uomo primitivo viveva a contatto con la natura in un
rapporto simbiotico vigeva l’animismo (attribuire anima e vita ad oggetti anche inanimati. Tipico dell’uomo primitivo
che si trova di fronte al fuoco che gli attribuisce un’anima come se fosse un’entità da venerare e da temere). In questa
fase l’uomo si approccia alla natura attraverso i sensi (esperienza sensibile). Come quello che succede al bambino da
piccolo che per esempio attribuisce all’oggetto in cui è inciampato un’entità (la conoscenza del bambino passa
attraverso i sensi). L’uomo primitivo era un po' così. La seconda fase è il momento in cui l’umanità comincia ad
organizzare le prime forme della società cercando un capo e delle regole si decide che ci sono delle figure all’interno
della comunità più carismatiche e importanti che potrebbero essere al capo della società come gli anziani nelle prime
forme di società. In questa fase quello che si sviluppa è l’elemento della fantasia e del mito cioè l’uomo cerca di
attribuire delle caratteristiche straordinarie ad altri uomini che hanno il ruolo di coordinare la vita del villaggio e dare
delle spiegazioni su come si sviluppi e funzioni il mondo si cominciano a farsi delle domande sull’origine del fuoco,
sull’origine della terra ecc. e nascono cosi dei miti cioè delle legende che hanno come protagonisti dei personaggi di
fantasia (che è l’elemento dominante di questa fase) attraverso i quali l’uomo cerca di darsi una spiegazione. Perché
una delle caratteristiche più importanti dell’uomo che lo distingue dagli altri esseri è la ragione e il tentativo di
spiegarsi l’universo attraverso il mito in un’epoca dove la scienza non c’era e quindi mancavano gli strumenti necessari
(sfruttando la dote della fantasia).La fase successiva cioè quella degli uomini in cui l’uomo grazie all’evoluzione passa
dall’elaborazione delle ipotesi fantasiose su come funzioni il mondo e quindi sulle leggi fisiche alla conoscenza vera e
propria attraverso l’uso della ragione. L’uomo è riuscito a conoscere la verità vera delle cose arrivando a una struttura
politica e sociale più complessa che è l’ultima fase dell’evoluzione umana. La civiltà arriva attraverso le tre tappe ad
affermarsi nella sua massima espressione.
Vito sostiene anche il principio dei corsi e dei ricorsi della storia (ciclicità degli eventi umani, avendo studiato lo
sviluppo delle grandi civiltà ha notato proprio questo: l’uomo all’inizio cera delle civiltà che arrivando al loro massimo
sviluppo e crollano. Poi si ricomincia dal capo). In questo Vito ci dovrebbe ricondurre al fatto che la storia ci dovrebbe
insegnare (come diceva Machiavelli: “la storia è magistra vitae”).

L’EUROPA DEI LUMI


Il pensiero illuminista ha influito sul governo dei maggiori paesi europei (dispotismo illuminato). Illuminismo è “l’uscita
dell’uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è responsabile è colpevole” (Kant). SAPERE AUDE (l’uomo deve
impadronirsi del coraggio di sapere in quanto ha una capacità che deve sfruttare). Il dibattito in ambito politico che
vede schierati la gran parte degli illuminati a favore della monarchia, uno solo aveva posizioni estremiste ed è
Rousseau che sosteneva la necessità di una democrazia diretta. Montesquieu ha in mente il modello inglese come
monarchia costituzionale basata sulla tripartizione dei poteri ma gli altri illuministi artavano a favore di una monarchia
illuminata (“dispotismo illuminato” che sembra un ossimoro ma così non è in quanto ha influenzato numerose riforme
di vari sovrani. I più importanti nel 700 è Maria Teresa d’Austria che promuove moltissime riforme amministrative,
legate all’istruzione non soltanto in Austria ma la sua linea politica ha delle ricadute anche in Italia (ducato di Milano
sotto il dominio austriaco). Poi anche suo figlio Giuseppe II. Un altro sovrano illuminato, amico di Voltaire, Federico II
di Prussia. Nell’ambito politico si afferma questo fenomeno ma si apre il grande dibattito di cui sono protagonisti i più
grandi illuminati (anche in Italia dove si afferma soprattutto a Milano e difatti parliamo dell’Illuminismo Lombardo di
cui i più importanti esponenti sono i fratelli Pietro e Giovanni Verri e Cesare Beccaria. Questo ultimo è l’autore
dell’opera che avrà un ruolo importante per quanto riguarda le riforme in Europa cioè “Dei delitti e delle pene”). Prima
ancora della stesura di questo trattato il dibattito era acceso da tempo. Bisognava rivedere il sistema della giustizia
soprattutto dal punto di vista degli strumenti e metodi dispotici senza guardare ai diritti fondamentali della persona
accusata. Il più antico principio garantista della storia è l’HABEAS CORPUS nella Magna Carta Libertatum che viene
rievocato anche nell’ambito del dibattito della riforma della giustizia. Si contesta il metodo della pena della tortura. Le
più importanti riforme riguardavano proprio questo, moltissimi sovrani eliminarono la tortura ma pochissimi
eliminarono invece la pena di morte (Leopoldo II, gran duca di Toscana, eliminò la pena di morte in Italia riformando il
Codice penale chiamato leopoldino, il più moderno).
Proprio sulla pena di morte Cesare Beccaria dibatte sul suo trattato ma non sulla base di una vaga filantropia (amore
nei confronti dell’umanità) ma sulla base pratica dell’efficienza in quanto sosteneva che non era utilità. L’utilitarismo
nell’Illuminismo è fondamentale (concretamente rende efficace un principio la sua utilità per il benessere della
società, conservazione della specie e felicità). Beccaria sostiene che non è utile la pena di morte in quanto è intensiva
cioè ha un effetto dirompente dal punto di vista emotivo (impatto emotivo) in quanto le esecuzioni pubbliche erano
molto spettacolarizzate con lo scoop di funzione da deterrente. Anche questo però aveva un effetto immediato ma nel
tempo svaniva perché secondo Beccaria non è l’intensità della pena ma è la sua estensione che è esemplare e che
funziona da deterrente. Per questo sostiene il carcere a vita (ergastolo) con il regime del lavoro forzato.
(Deterrente=qualcosa che deve dissuadere, se conosco le conseguenze questo mi motiva a non commettere dei
crimini).

Le sedi della cultura illuminista sono i salotti letterali, i caffè, ma anche le accademie che sono soprattutto sedi di
divulgazione della cultura,non solo letteraria ma anche scientifica. Nasce l’editoria e quindi la cultura illuminista che la
divulgazione e l’informazione siano gli strumenti attraverso i quali l’uomo esercita il proprio spirito critico (la ragione
di cui parlano gli illuministi non è quella astratta di Cartesio (“Cosito ergo sum” —> penso quindi sono) ma è lo spirito
critico cioè l’opinione pubblica che si forma attraverso la conoscenza.

Illuminismo nasce in Inghilterra però si sviluppa soprattutto in Francia (Montesquie; Diderot e D’Alembert che
scrissero l’Enciclopedie; Voltaire che parla del concetto della tolleranza. Nel suo trattato scrive: “non sono d’accordo
con quello che dici ma lotterò fino alla morte in purché tu lo possa fare”; Rosseau è tra i primi a parlare della
cosiddetta volontà generale cioè quello che sta alla base della sovranità popolare cioè quando il popolo è il sovrano e
si esprime attraverso i propri rappresentanti. La democrazia diretta deve essere retta direttamente dai cittadini che
devono agire in nome della volontà generale cioè non pensare al bene individuale ma a quello comune. Questa
volontà si forma attraverso il sacrificio della volontà personale per la volontà generale (non è l’insieme delle singole
volontà particolari).

Questo è quello che sostiene Rousseau soprattutto quando arriva a parlare del rapporto che ci deve essere all’interno
di una democrazia (la volontà si costituisce in base a contratto sociale, un patto vero e proprio).
PAG 263 Cesare Beccaria sostiene che la tortura sia ingiusta è inutile.
“Un uomo, infatti, non può chiamarsi reo prima della sentenza dei giudici” (lui parte da un presupposto che è quello
dell’innocenza. Posso dichiara colpevole un uomo basandomi su delle prove concrete e reali. Le carceri tutt’oggi sono
piene di persone che hanno espresso un’opinione contraria rispetto al governo.) “né la società può toglierli la pubblica
protezione, se non quando sia deciso ch'egli abbia violato i patti con i quali le fu accordata. Quale è dunque quel
diritto, se non quello della forza, che dia la podestà a un giudice di dare una pena ad un cittadino, mentre si dubita se
sia reo o innocente? Non è nuovo il dilemma: o il delitto è certo o incerto; se certo, non gli conviene altra pena che la
stabilita dalle leggi, ed inutili sono i tormenti, perché inutile è la confessione del reo; se è incerto, e’ non devesi
tormentare un innocente, perché tale è secondo le leggi un uomo i di cui delitti non sono provati. “ (un innocente
rimane tale fino a prova contraria.) “Ma io aggiungo di più, ch’egli è un voler confondere tutti i rapporti (negare la
ragionevolezza) l’esigere che un uomo sia nello stesso tempo accusato ed accusatore, che il dolore divenga il crociuolo
(strumento) della verità, quasi che il criterio di essa risieda nei muscoli e nelle fibre di un miserabile. Questo è il mezzo
sicuro per assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti.” (Ci sta dicendo che la tortura serve a
niente, è uno strumento che punta sulla resistenza della persona. Se sei robusto e resistente sei innocente, nel caso
contrario non lo sei. Molte confessioni vengono estorte così.)

PAG.264 Caposaldo della sua opposizione contro la pena di morte. Dice che la pena di morte non è utile per l'esempio
di atrocità che dà agli uomini. Inoltre, sembra assurdo che siano proprio le leggi, che puniscono l'omicidio, a
commetterne uno, ordinando un assassinio pubblico. (Come si fa a punire un reato usando lo stesso reato cioè un
omicidio. In più c’è un aspetto emotivo; la gente comune usa il termine boia come dispregiativo mentre esso sta ad
indicare il vero e proprio assassino costituzionale cioè scelto dagli stati per eseguire questa pena. Un uomo non può
togliere la vita ad un altro uomo prima perché confligge con la stessa umanità dell’uomo e poi perché non è efficace).

CARLO GOLDONI
L’autore che fa da spartiacque che abbiamo già citato per quanto riguarda il fatto che nel 600 una delle l grandi
fioriture dell’arte europea è il teatro. Il teatro italiano è un po’ indietro rispetto a quello francese o inglese come
Mollier e Shakespeare (in Italia c’è sulla commedia dell’arte che si basava sull’ improvvisazione degli autori che
seguono un caravaccio e non un copione)
Goldoni è quello che scriverà la sceneggiatura delle commedie e quindi nasce con lui la commedia moderna. Egli nasce
a Venezia nel 1707. Studi giuridici ma la sua passione del teatro è precoce fin da subito tanto che scappa con delle
compagnie di autori. Si laurea nel 1731 a Padova in diritto e svolge per un certo periodo la professione dell’avvocato
però non riesce a sopprimere la sua grande passione per il teatro. Comincia ad avvicinarsi a questo mondo quando
incontra a Verona
un impresario che si chiama Giuseppe Iner con cui sottoscrive un contratto dandogli l’incarico di scrivere alcune
commedie ma all’inizio della sua carriera da scrittore per il teatro anche Goldoni si era piegato alla logica della
commedia dell’arte. Quindi nella sua prima fase della produzione teatrale non ha ancora scritto per intero le parti
della commedia, capitava che di alcuni personaggi scrivesse le battute e di altri no e quindi siamo ancora nell’ambito di
una commedia che si basa sulla capacità di un autore di improvvisare. Fa questo prima per il teatro San Samuele di
Venezia e poi di San Giovanni di è soltanto il suo primo passo, che porterà alla svolta decisiva, nel 1736 con la scrittura
di una commedia che si intitola “momolo cortesanum” (monolo=abbreviazione Girolamo) che si comincia ad
intravedere qualche novità. Per esempio, la parte del protagonista, cioè di Momolo, è scritta per intero mentre gli altri
improvvisano ancora. Ma la vera svolta avviene nel 1743 quando scrive la “Donna di garbo” che è la prima commedia
distesa cioè interamente scritta in tutte le parti per tutti i personaggi. Nel frattempo concilia l’attività di avvocato con
quella dello scrittore per il teatro a Venezia, a Pisa e poi sottoscrive un contratto con un impresario che è Girolamo ..
nel teatro veneziano a Sant’Angelo. Ed è questo il periodo, quello che va dal 1748 al 1762, che rappresenta la sua
massima produzione cioè qui Goldoni scrive i suoi più grandi capolavori. Riesce in qualche modo ad allontanarsi
dall’attività dell’avvocatura. Raggiunge una discreta fama tanto che nel 1672 si trasferisce a Parigi dove diventa il
direttore e lo scrittore della comédien italien ma purtroppo in Francia conoscerà un periodo di grande delusione in
quanto i francesi non sono abituati alle novità da lui introdotte perché essi si aspettano dagli italiani la commedia
dell’arte. Conoscono il grande teatro di mollier e non accettano che gli italiani propongono qualcosa di diverso. Le
opere di Goldoni non ricevono un’accoglienza che lui si aspettava e in qualche modo per lui è un momento di grande
difficoltà non solo emotiva ma anche economica
carlo goldoni pag 300
egli non era una personalità semplice anzi era ricca di sfumature e vontfaddizioni che ha visto un alternarsi nella sua
vita di diverse scelte professionali. lui aveva intrapreso gli studi giuridici (era nato a venezia nel 1707). anche come
allievo non era stato modello, aveva studiato a pavia ed era stato anche allontanato dal collegio nel quale studiava
perché era uno che esagerava soprattutto nella satira. lui se la prendeva principalmente con il mondo dell
istruzione(tra l altro il collegio che aveva frequentato era dei gesuiti qukndi sicuramente c’era anche una vena
polemica anticlericale). lui aveva comunque una passione sfrenata per il teatro tante che poco più che adolescente era
addirittura scappato da casa per seguire una compagnia di teatrali. riuscirà nonostante questi incidenti di percorso a
conseguire la laurea in diritto e quindi ad esercitare la professione di avvocato anzi lui alterna il lavoro alla scrittura di
opere teatrali. ad esempio uno degli incarichi più importanti che riuscita a ottenere è quello dal capocomico giuseppe
inter che gli offrirà un incarico a venezia per il teatro san samuele. siamo in una fase della sua produzione teatrale
dove lui è ancora condizionato dalla commedia dell arte perche goldoni non arriverà a scrivere direttamente una
commedia distesa (una commedia basata su un copione e sceneggiatura dov’è tutte le parti di tutti i personaggi sono
scritte) nella prima parte della produzione,dicevamo lui sarà ancora influenzato dalla commedia dell arte e scrive
questi canovacci questi schemi estremamente liberi e poco vincolanti poi gradualmente (tant e che i critici dell epoca
parleranno di una riforma moderata nel senso che lui è arrivato gradualmente a riformare il teatro) la prima opera che
rappresenta in qualche modo la svolta nella sua produzione si intitola MOMOLO CORTESAN , rappresenta la prima
svolta perché la parte di momolo che era il protagonista era scritta per intero (solo la sua tutti gli altri erano liberi di
improvvisare).nella prima fase goldoni utilizza ancora una delle figure principali della commedia dell arte che sono le
maschere (brighella arlecchino) che rappresentavano quindi non tanto dei personaggi a tutto tondo ma dei tipi fissi
che incarnavano caratteristiche umane ben precise e fisse. quando invece di comincerà a parlare di commedia distesa
noi non parliamo più di maschere ma di individui, personaggi caratterizzati a tutto tondo anche dal punto di vista della
psicologia e della personalità che sono ricchi di sfumature e di caratteri contraddittori. noi possiamo parlare della
svolta dal 1750 in avanti in modo particolare dal 1752 con la prima vera commedia che è stata considerata il
capolavoro per tanti anni che è la LOCANDIERA. (prima della locandiera c’era stata la DONNA DI GARBO 1743
considerata la vera prima commedia distesa).
che cosa rappresenta questa commedia? a pagina 312 vediamo quali sono le caratteristiche di questa
commedia:innanzitutto l ambientazione quindi la scena si svolge a firenze ed è abbastanza singolare perché in realtà
goldoni la gran parte delle sue commedie le aveva ambientate soprattutto a venezia o comunque in ambiente veneto
(una delle sue caratteristiche è quella di alternare spesso nella stesura della commedia la lingua italiana con il dialetto
veneziano. la locandiera invece è scritta in ambiente toscano la storia si svolge a firenze. la locandiera è questo
personaggio femminile che è protagonista ed è un personaggio veramente ricco di sfumature ed estremamente
complesso che rappresenta la parte più positiva della borghesia. goldoni faceva parte della classe borghese e ha
sempre avuto nei confronti di questa classe sociale un atteggiamento ambiguo e ambivalente perché da una parte
amava molto alcune caratteristiche della borghesia per esempio l intraprendenza e la laboriosità il sapersi arrangiare
in tante situazioni, dall’altra però c’è stato un periodo della sua vita e della sua produzione in qui aveva contestato
alcune abitudini e predisposizioni della borghesia soprattutto di quella più ricca cioè l abitudine borghese di
scimmiottare i comportamenti dei nobili. nella locandiera mirandolina rappresenta l aspetto più positivo della
borghesia perché mirandolina è appunto la locandiera dove si alternano e avvicendano personaggi che sono
rappresentativi del mondo e della società dell epoca ma soprattutto sono rappresentativi di una nobiltà che per certi
versi è una nobiltà ormai decaduta è in crisi. mirandolina è la titolare che deve da sola fare andare avanti le cose.è
rimasta orfana ha ereditato la locanda dal padre e si deve rimboccare le maniche che essendo anche donna è ancora
più complicato per i tempi. ospiti della locanda sono per un certo periodo di tempo il marchese di forlì popoli a cui è
rimasto solo il titolo nobiliare ma ormai è uno squattrinato, il conte di alba fiorita che è un famoso nobile di
toga(comprava il titolo) e poi c’è questo personaggio molto singolare che si chiama il cavaliere di ripafratta che è un
personaggio odioso e misogino. i due nobili alloggiano nella locanda perche sono innamorati di mirandolina e cercano
in tutti i modi di conquistare il suo amore ognuno con i propri mezzi quindi il marchese cerca di sfoderare le sue armi
seduttive ostentando in qualche modo la sua nobiltà di sangue quindi i suoi modi gentili e affabili cortesi nei confronti
della giovane donna. mentre invece il conte che al contrario del marchese magari ha modi sicuramente meno gentili
ma ha molti soldi cerca di conquistare mirandolina facendole molti regali. naturalmente mirandolina non si lascia
coinvolgere da queste more dei due nobili perché lei pensa a mandare avanti la locanda, ma sa anche che quei due
uomini li sono suoi clienti e quindi non può permettersi di trattarli male e vediamo come nel corso della commedia
mirandolina mette un po’ in campo alcune caratteristiche che sono tipiche delle donne e soprattutto delle donne
astute. mirandolina è molto astuta e intraprendente e cerca di far buon viso a cattivo gioco, in alcuni momenti viene
anche fuori questo aspetto civettuolo della donna. in realtà dovrebbe essere la promessa sposa del cameriere fabrizio.
fabrizio quando il padre di mirandolina è morto aveva chiesto alla figlia e ha fabrizio di unirsi poi in matrimonio per
condurre insieme la locanda. al momento i due non hanno ancora un fidanzamento ufficiale anzi fabrizio e piuttosto
preoccupato in alcuni momenti per la situazione che si crea con i contendenti ma mirandolina lo rassicura o è frivola.
goldoni con questa figura femminile ci fa vedere la complessità dell animo femminile conferendo a mirandolina la
caratteristica di essere un personaggio estremamente moderno perché c’è tutto della donna in quella protagonista c’è
la sobrietà, il senso pratico ma ce anche questo aspetto più frivolo e leggero che fa parte della femminilità di
qualunque donna. questo aspetto è forse anche quello che più piace a goldoni è quello che lei cercherà di sfoderare in
una specie di sfida personale con se stessa nei confronti del cavaliere di ripafratta il quale fin da subito si dimostra
odioso bei suoi confronti continuando a dire che lui odia le donne e che non sa che farsene di una donna e
mirandolina decide di sfidare la sorte facendo innamorare di se il cavaliere di ripafratta e alla fine ci riesce con le sue
arti ammaliatrici. lui perderà la testa e sarà disposto a fare qualunque cosa anche uccidere per lei. finalmente ai suoi
piedi e lei disdegna tutti mandandoli tutti al diavolo. alla fine di questa commedia prevale il buon senso e il senso
pratico che è quello che aveva ereditato dal padre e si sposerà con fabrizio lasciando tutti i corteggiatori a bocca
asciutta. questa è sicuramente una di quelle commedie dove è più evidente l aspetto della commedia di carattere
(primo esempio locandiera) nel senso che la protagonista ha un carattere a tutto tondo ricco di sfumature a volte
contraddittorie e quindi da questo punto di vista è un personaggio estremamente moderno.
Ha inventato la commedia moderna e il teatro moderno in italia.perche invece se dobbiamo parlare di teatro nel
senso vero del termine a livello internazionale Il 600 è considerato il secolo d oro del teatro in francia con moliere e
inghilterra con shakespare .in Italia nel 600 il teatro è ancora fermo alla commedia dell’arte caratterizzata
dall’improvvisazione e dal canovaccio (schema sempre uguale) ingresso in scena delle cosiddette maschere
goldoni aveva questa passione viscerale per il teatro(era scappato più di una volta a seguito delle compagnie di comici)
pur avendo svolto il mestiere di avvocato poi il richiamo del teatro fu talmente forte che si dedicò alla scrittura delle
commedie. parliamo di riforma di goldoni e quindi cambiamento nel mondo del teatro non possiamo parlare subito di
riforma ma è un approccio graduale .
1 fase fino al 1748
collaborazione con questo capo della compagnia giuseppe inter (siamo sempre a venezia) comincia in qualche modo
ad avvicinarsi alla commedia scritta. il primo tentativo si intitola mommolo cortesan. non era ancora una commedia
distesa ma solo il personaggio protagonista era un personaggio a tutto tondo.
(noi parliamo di commedia distesa dal 143 con la donna di garbo).
arriviamo a quella che è considerata la fase dei capolavori qukndi seconda fase
arriviamo a quella che è la prima commedia di carattere che è il grande capolavoro di goldoni LA LOCANDIERA di
queste commedie che rappresentano la fase più produttiva oltre alla locandiera ricordiamo anche la bottega del caffè
terza fase
quella che va dal 1753 al 1761 noi ricordiamo un opera che si intitola la trilogia della villeggiatura, è importante
perché sono tre commedie che hanno tutte e tre gli stessi protagonisti e lo stesso tema che è la villeggiatura. la prima
commedia si intitola le smanie per la villeggiatura, le avventure della villeggiatura è il ritorno dalla villeggiatura.
quando abbiamo parlato della locandiera abbiamo anche detto che goldoni è in qualche modo molto vicino alla classe
borghese della quale ammira la laboriosità lo spirito di intraprendenza e sacrificio tant’è che mirandolina è la
proprietaria della locanda e quindi si da da fare e è una donna imprenditrice. in questo goldoni si può definire
decisamente illuminista perché noi abbiamo sempre parlato dell illuminismo come quel movimento culturale filosofico
che era un po’ il riscatto e l espressione della classe borghese in questo amore che goldoni ha nei confronti della
borghesia possiamo dire che la sua passione è di matrice illuminista.
nella terza fase inizia a criticare certi aspetti e atteggiamenti della borghesia quando i borghesi in un certo senso
tradiscono loro stessi cercando di emulare i nobili per esempio nella moda della villeggiatura cioè nelle vacanze (le
famiglie nobili avevano il palazzo in città e poi la casa in campagna)per imitarli i borghesi arrivavano addirittura a
indebitarsi per seguire quello stile di vita tradendo quindi se stessi. goldoni infatti prende in giro questi borghesi nella
trilogia ma è un prendere in giro molto amaro perché alla fine la conclusione scontenta tutti i protagonisti di questa
commedia . si avvicina quindi ai ceti meno abbienti in particolare ai pescatori e allora noi dobbiamo ricordare anche di
questa fase LE BARUFFE CHIOZZOTTE baruffa=litigio dove vengono coinvolte tante persone
chiozzotte=relativo a chioggia dove si svolge la baruffa (vicino a venezia non è un caso che ci troviamo in veneto
perche questa commedia è scritta proprio in dialetto veneziano. la storia rappresentata è una storia quasi
incosistente: c’è questo gruppo di pescatori ci sono delle donne che sono in attesa dell arrivo dei loro uomini che sono
andati a pescare e a un certo punto per motivi di gelosia perché un pescatore si azzarda a fare un omaggio a una
giovane donna che era già impegnata con un altro viene fuori un battibecco e litigano tutti perché poi il borgo è
piccolo e gli uni prendono le parti degli altri e quindi c’è questo caos generale. finiscono a un certo punto davanti alla
cancelleria dove tra l altro aveva lavorato anche goldoni facendo l avvocato. la cosa si risolve con il notaio criminale
che li aiuta a riappacificarsi e ritorna l equilibrio iniziale.
della 4 fase dobbiamo ricordare solo che dal 1762 goldoni lascia l italia per andare a parigi addirittura alla corte di luigi
16 dove sarà insegnante delle figlie il problema però è che rimane molto deluso da come accolgono le sue opere i
francesi perché in realtà loro non erano abituati ad assistere a quelle cose lì perché avevano associato agli italiani l
idea della commedia dell arte con arlecchino brighella ecc quindi goldoni va in contro ad un vero e proprio fiasco in
francia tant è che questo lo amareggia ed è costretto per certi versi a ritornare . goldoni è uno che ha sempre cercato
il consenso del pubblico e ha sempre cercato di accontentarlo qukndi ritorna alla vecchia commedia dell arte sta di
fatto che gli ultimi suoi anni della sua vita li passa in una situazione pesante anche economicamente perché aveva
potuto godere di una pensione molto importante per cui lui viveva di quello . quando scoppia la rivoluzione francese
nel 1789 la pensione gli viene revocata è il poverino morirà nel 1793 in miseria.
nella seconda fase della produzione fa la bottega del caffè una commedia scritta in tre atti è ambientata a venezia ed
ha come protagonisti il titolare della bottega del caffè il protagonista ovvero il titolare che si chiama ridolfo l altro è un
giovane piuttosto ingenuotto ma che con il vizio del gioco e si mette spesso nei guai. si chiama eugenio gioca e perde
in una bisca clandestina gestita da un personaggio losco perde molti soldi contro leandro (rivale). ridolfo cerca di
riportare eugenio sulla retta via. in questa situazione tra eugenio e leandro si creano poi delle altre situazioni per cui si
intromette la classica figura del ficcanasò che spesso e volentieri faceva parte della commedia dell arte (don marzio)
che è anche maldicente cioè mette in giro delle voci per cui svela praticamente all amante di oleandro che era sposato
ma aveva anche una storia clandestina con isaura che non sapeva che leandro fosse sposato. il tema centrale è il vizio
del gioco si unisce anche un intrigata vicenda amorosa per cui lisaura lo molla. su tutto prevale alla fine il buon senso
per cui si conclude con eugenio che alla fine riesce a mettere la testa a posto il losco personaggio viene arrestato e
don marzio viene cacciato è allontanato dalla comunità. anche qui emerge l aspetto più positivo dei borghesi che sono
quelli che si concentrano sul lavoro sulla famiglia e che non si lasciano coinvolgere più di tanto nonostante gli incidenti
di percorso.

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