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Il tramonto dell'accidente
Contenuti
Ah, e...perchè?
*
Svolgimento
Ah, e...perchè?
Cioè, perchè scrivere un (altro) libro?
Non lo so, sinceramente. Un impulso forte mi costringe a scrivere, pur
sapendo che magari sono l'unico lettore. Ma un lettore è meglio di
nessun lettore...
E poi, l'idea di scrivere dello stato del mondo usando la forma favolistica
mi è irresistibile.
Perciò...
Usare il linguaggio dei sogni in luogo del codice della realtà è idea
antica. Fa parte della saggezza buddista. Scriveva Nichiren
Daishonin nel 1279:
L'Arcobaleno di Madiba
Favola più bella difficile da trovare, nel nostro travagliato mondo.
Cosa ha fatto Nelson in Africa lo sanno tutti. Cosa ha fatto dentro di se,
probabilmente nessuno.
Chi ha passato ventisette anni di carcere duro e poi ha perdonato? Ha
considerato tutti uguali, amici e nemici, e li ha pacificati. Ha creato un
nuovo paese. Lo ha governato.
Si, anche Gandhi fece qualcosa di simile, ma i suoi anni di galera non
furono continuativi, dalla giovinezza alla vecchiaia. E poi lui aveva già
perdonato tutto, prima.
Oggi il Sudafrica non suscita la stessa speranza di quegli anni.
Ma ha fatto rivivere Patrice, Ken, Steve, e milioni di altri eroi
sconosciuti e, fin'allora, sconfitti.
L'esempio di quell'uomo resterà finchè questo pianeta avrà vita.
Storia di un'eccezione.
La coppia Banerjee e Duflo, insieme ad altri, “vinse” il Nobel per la
pace del 2019, l'ultimo prima della catastrofe planetaria, e con un
trattato prettamente economico. Come si spiega?
Il rapporto di questi ricercatori sul campo, il campo della fame,
spiegava con inedita chiarezza la facilità e insieme l'estrema difficoltà di
sconfiggere la fame. Bastano infatti pochi soldi, qualche progetto e
molta collaborazione per risollevare popoli e zone depresse. Ma
proprio su questo ultimo punto si infrangono i progetti, e i soldi
investiti, pochi o tanti, si perdono nel mare magno della bontà
occidentale.
Le genti diverse tra loro tendono a non collaborare, spesso a non capirsi
neppure, e di conseguenza a non capire che cosa stanno facendo.
Per esempio, gli autori illustrano come basti un semplice ed economico
accorgimento, la rete da letto impregnata di antizanzare, per salvare molte
vite umane; o addirittura un accorgimento praticamente gratuito: le
soluzioni fisiologiche a base di componenti naturali.
Ebbene, si perde tutto nella confusione, nella Babele delle
incomprensioni. E a chi dice che bastano 9 euro al mese
per...lasciamo perdere.
Ma qual è la morale che gli intrepidi ricercatori propongono? Semplice, ma
complessa anche questa: responsabilizzare le genti, renderle autonome,
come lo siamo noi. Almeno in parte.
Si potrebbe fare. Senza magia.
Bebop a Lula
Luiz Inacio, lo dico a scanso di equivoci, è uno dei miei eroi.
Fabula: nasce povero, come tutti i brasiliani eccezionali, sembrerebbe;
infatti da bambino è a Santos, dove un altro bambino comincia a stupire
il mondo, e poi nella capitale dello stato, SaoPaulo. Lascia la scuola per
fare il lustrascarpe (un classico) perchè la numerosa famiglia di migranti
economici (come si dice oggi) ha bisogno del contributo di tutti. Poi,
mentre fa l'operaio in fabbrica, recupera gli studi alle serali. Diventa
sindacalista, che in regime di dittatura militare non è molto salutare. Ma
ha voglia di lottare, di fare la Storia, per il riscatto dei poveri come lui.
Si sposa e la moglie muore di parto, insieme al bambino. Cosa manca a
questa storia per essere un classico?
Poi c'è la carriera politica di Lula. Fonda il suo stesso partito (dei
lavoratori) con un manipolo di coraggiosi oppositori della dittatura, tra
cui l'eroe dell'Amazonia, Chico Mendes (altra favola, ma dal finale
amaro).
Parlamentare, sfidante di diversi presidenti in democrazia (riconquistata
anche grazie a lui) fino alla vittoria, a inizio millennio. Due mandati e
otto anni di grandi riforme, che continuano con la sua successora (a suo
tempo combattente torturata dai militari) Djilma.
Praticamente è una rivoluzione. Seguita, come spesso accade, da una
controrivoluzione.
La rivoluzione si chiama “bolsa”: un provvedimento, già varato dal
predecessore Cardoso, che eroga denaro a chi non ha reddito, bilanciando il
prestito con scuola, formazione, lavoro. Più rivoluzione di questa, quale ci
può essere (quella cinese, d'accordo, ma è passato più di mezzo secolo, e la
Cina è molto avanti al Brasile adesso)? Lula e Djilma rendono la bolsa più
accessibile, la povertà si dimezza.
È un risultato accostabile al microcredito di Yunus (impropriamente, lo
so, ma scrivo favole...) però qui i numeri sono imponenti...e tra i poveri
ci sono anche gli abitanti dell'Amazonia, vessati da secoli dai
disboscatori, che uccidono chiunque si metta di mezzo, dall'iconico
Chico fino a milioni di “indios” (umiliati anche nella denominazione)
dei quali non conosceremo mai l'entità della tragedia, che fa parte della
tragedia americana e coloniale.
Il Capitale non tollera chi si mette di mezzo.
Infatti tutto questo ben di dio viene interrotto da una ignobile operazione
politico giudiziaria dal banale nome di lava jato, che richiama l'insegna di
una lavanderia a gettone di un mondo distopico e barbaramente corrotto.
Un testimone, che ha potuto incontrare Lula in carcere (un carcere fatto
costruire da Lula per i politici!) racconta di un uomo mai piegato, come
tutti gli illustri rivoluzionari che come lui sono stati imprigionati. Se no che
rivoluzionari sarebbero?
Il testimone in questione è un importante sociologo italiano. Un'altra
sociologa in visita fa innamorare di nuovo Lula, e poi se lo sposa.
La montatura giudiziaria tiene Lula fermo (e Djilma destituita) poco più
di un anno, che, ripetiamolo, non lo piega, pur privato della famiglia e
degli interessi, infamato in tutto il globo come corrotto e corruttore,
persino da infimi programmi tv e film. Finchè la cospirazione
internazionale (chi c'è dietro gli intrallazzatori brasiliani?) viene
dismessa, perchè l'insediamento di un militare neonazista e naturoclasta
soddisfa tutte le esigenze della finanza internazionale.
E, al termine della farsa, Lula torna a governare il paese più verde
del mondo, quello che ci fornisce l'ossigeno senza il quale non
potremmo vivere.
Ma noi continuiamo a baloccarci con i film holliwudiani che cantano la
gioia dello shopping e delle sparatorie. O le serie, anche non
holliwudiane, come O mecanismo, che racconta la falsità della trappola
tesa a Lula.
El tiempo hablarà, ricordava Goya.
Le benevole Eumenidi
Spesso viene posto il quesito sul bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Ho
una risposta che trovo geniale io stesso, che pure non sono un genio.
Io vedo solo un mezzo bicchiere, e se ho sete mi bevo quello e me lo
faccio bastare, grato della bevutina. A volte nella vita bisogna imparare
ad accontentarsi, mi diceva mio padre. O a rassegnarsi, come mi disse
una volta uno dei miei padri putativi.
Ma voglio fare degli esempi illustri.
Il Maestro Kung (o Kong, latinizzato Confucio) fu costretto più volte
alla fuga, all'esilio e ad altre condanne, per la sua audace azione politica.
Si narra che passò più di ottanta giorni (senza giro del mondo, bensì in
un deserto) consumando soli nove pasti (non ne conosciamo la...portata,
però!). Chissà se aveva coscienza del fatto che il suo insegnamento
avrebbe costituito la base della più longeva, popolata e a tratti più
potente civiltà terrestre. Ma secondo me un sentore ce l'aveva. Perciò
subì tutto il subibile, per la sua idea di società.
Nello stesso periodo storico fecero altrettanto i suoi colleghi laici greci e
i meno laici, i budda.
Un esempio più vicino a noi è quello del “dottore”, il reverendo Martin
Luther King. Uomo letteralmente di pace, nel senso di pacifico e quasi
pacioso, quando gli fu prospettato di guidare un movimento per la pace e
la giustizia,
sufficientemente rivoluzionario da attirare la violenza su di sé, ci ragionò
a lungo, perchè non si sentiva portato per quella parte, era un
predicatore, ma pur sempre cristiano (“porgi l'altra guancia”) e giunse
infine alla determinazione che accettare di guidare il movimento per i
diritti civili avrebbe significato morire giovane e di morte violenta (alla
stessa conclusione giunse il suo fratello parallelo, ovvero musulmano e
non così pacifico, Malcolm). E accettò. E morì a quarant'anni.
Si potrebbero tirare in ballo il karma e le scimmie di 2001 di Kubrick, solo
per esaurire la lettera k, ma sai ke “mezzo pieno”...
Il cantico di Natale
La favola natalizia dickensiana è uno dei due o tre volumi di narrativa più
venduti della storia (insieme a un altro paio di Dickens) e merita tutto il suo
successo. Anche se in genere preferiamo la versione disneyana. E i Jethro
Tull.
Come è risaputo, lo Scrooge di Dickens è l'incarnazione dell'avidità,
ossessivamente attaccato al denaro e ai possedimenti e affamatore
seriale.
Ma basta una serie di incubi anticipatori del fantasy, o seguiti del
gotico (dipende da come intendiamo prequel o sequel, pretzel o
seltzer) in sostanza della prospettiva della morte per far riflettere il
vegliardo sulla propria vita (misera!). In questo c'è tutto lo spirito
progressista di un artista spinto dall'altruismo e dall'esperienza
(Dickens era stato un orfano operaio).
E ancora una volta, come con Hugo e altri illuminati, ci viene da
mormorare “magari fosse”!
Però se è vero che ha inventato il natale, inteso come la festa
sciagurata, non so se lo perdòno.
Cappuccetto rotto
Vorrei sgombrare il campo dalla becera trivialità di certi fumetti porno, che
io, beninteso, non leggo; me lo ha riferito un amico...
Per rotto intendo il volgare rotto le...in quanto la favola reiterata diventa
inesorabilmente un tormentone, anche per i piccoli, non solo per i
genitori/cherghivers (eh?) costretti a leggerla all'infinito, o raccontarla.
Posso testimoniare che proprio raccontando più volte Cappuccetto a mia
figlia piccola, capitò, per noia e/o esasperazione, di riadattarla, così che
giungemmo alle versioni più assurde: a velocità duplicata/triplicata, slow
motion, punk, a ruoli invertiti, shakerata, ska e non ricordo oltre.
Questa fiaba presenta delle particolarità interessanti (se no non
sarebbe durata tanto), e secondo la mia impressione i Grimm bros, o
chi per loro, innestarono messaggi subliminali notevoli. Che ne
avessero consapevolezza o meno.
Vediamo i miei sospetti: Capp (se manda il mantello rosso in lavanderia
e ne mette uno scuro diventa CappCiok) è una bambina, che per quanto
in grado di coprire distanze considerevoli nella boscaglia (non
dimentichiamo che all'epoca contadini operai e artigiani potevano
iniziare a lavorare in età da scuola elementare) non era adatta a correre i
rischi che tale attraversata poteva comportare, come l'archetipo lupo
cattivo. Eppure ce la mandavano, o ce la lasciavano andare. Perchè?
Quanto al lupo, sgombriamo subito il campo: il canide non è cattivo, è
semplicemente un carnivoro predatore che, se ha molta fame, attacca e si
mangia anche gli umani. Che possa essere così astuto da indossare le vesti
della nonna e
parlare come lei, beh, questo mi pare già un pochino troppo...le abilità dei
cani addestrati dall'uomo possono essere notevoli, da rintracciare una
persona a...trovargli la droga addosso, per esempio. Ma un lupo, senza il
domesticamento secolare o millenario, senza mutazioni, senza input (tipo
salti la corda, mangi il pesce) come può ordire piani complessi, che vanno
al di là di un agguato nascosto da una frasca?
Eppure la storia va così: Capp trova il lupo travestito da nonna che se la
vuole mangiare. Quindi abbiamo umano buono (persino virginale, non so
se collegate...) (beata...bella...) e una bestia, feroce, immonda, ecc. (e pure
astuta).
Sulla bambina virginale beata e magari anche bella non avrei avuto
granchè da dire, fino alla comparsa sulla ribalta della prodigiosa Greta.
Lei si non avrebbe paura ad affrontare la foresta e neppure il lupo,
novella Francesca. Ma le bimbe contemporanee dei Grimm non
potevano neppure fiatare, altro che sit in.
Torniamo al lupo. Sulla retorica del lupo cattivo interviene un
grande poeta e filosofo, che scrive:
Non male come arringa, vero? Il lupo non è intrinsecamente cattivo, non
più delle pecore, è solo più pericoloso per noi, nella misura in cui
possiamo rappresentare cibo per lui. Ma non ci nutriamo noi delle
pecore (se necessario anche del lupo) e dunque non siamo cattivi anche
noi? Dipende dal punto di vista. L'umanità e il pianeta li stiamo
distruggendo noi, comunque, non i lupi.
Nel finale giunge il deus ex machina, un cacciatore (lo stesso che aveva
avvertito del pericolo l'avventata nonché avventurosa figliola fulva) che
spara al lupo ed estrae dalle sue viscere (miracolosamente intatte) nonna
e nipote. Che dire?
Cosa rappresenta il cacciatore? È il cavaliere, il giustiziere, John Wayne
che “spara il lupo” e salva la minore dalle fauci aguzzerrime della
nonnapaludata, che l'avean testè ingurgitata.
Come interpretare questa vicenda? Quale lettura? Ne abbiamo uno
stock. Partendo dalle meno criptiche, il grande immaginifico Rodari cita
Propp (uno degli studiosi di storie più accaniti, o allupati) nel suo
leggere in queste storie per l'infanzia i residuati (i simulacri) dei riti
perduti (avevo scritto miti, anziché riti, e non a sproposito). Ciò che
resta dell'arcaico passato “inconscio” collettivo.
Una nota su Rodari: gran narratore e fabulatore al servizio
dell'educazione, dalle invenzioni mirabili, come le favole in tavola
(febol on tebol, diremmo oggi, con aria saputa) cioè il rimescolamento
delle carte con le figure approppriate (propp così, quattro p!) o
l'intrusione dell'elicottero nel bosco di Cappy...
Seguendo questa falsariga (perchè falsa?) possiamo approdare alla
lettura biblica che, secondo un intellettuale lisergico del secolo scorso
sta alla base di tutte le storie occidentali moderne (la applicava nel
frangente ai western di Leone...). In questo caso il cacciatore è
sicuramente il salvatore (ma il padre o il figlio?), la bimba è
evidentemente la Madonna (che era adolescente quando partorì il re dei
re), mentre mister Wolf non può essere che lo spirito santo, dal
momento che riesce a partorire senza sesso...
Un'altra lettura, più laica, diciamo marxista-lacaniana, giusto per seguire
l'altro fenomeno Ğigett, indicherebbe nel cacciatore il capitalista-
imperialista armato contro il lupo proletario e comunista (se mangia i
bambini...) mentre la compagna Cappuccetto, essendo rossa...vabbè, no, mi
sono incartato...
Fugacemente, la psicanalisi classica vedrebbe il ritorno nell'utero della
giovane (ma la nonna no, è troppo vecchia per quelle cose!) e perdipiù
rientra in utero sublimato nel corpo maschile (doppio misto!) fino
all'arrivo del cattivissimo Super Es che riporta all'ordine...e si potrebbe
continuare.
Si potrebbe allargare il discorso alle altre fiabe, con visioni e letture
postmoderne mica da ridere, come un esempio che mi suggerì un amico,
purtroppo prematuramente scomparso:
Ce n'è, Rentola? La ragazza dalla scarpa sola viene defraudata da
sosia con lo stesso numero di piede. Una grande azienda sponsorizza
l'evento.
È solo un esempio, ma non si può usare perchè nomina un marchio e lo
mette in cattiva luce. Trovatene voi altri, a casa.
Chiamiamolo Ernesto. Come tutti gli uomini che hanno vissuto tante
vite, gli hanno attribuito diversi nomi.
Che cosa ha fatto Ernesto per passare alla storia? Dopo aver studiato
medicina ed essere partito per vedere il mondo (o quantomeno il suo:
l'America latina) osservando le condizioni in cui versavano le genti,
come un Budda, un Cristo, un Gandhi, decise che avrebbe dedicato la
sua vita a cercare di liberarle dalla sofferenza e dalla schiavitù,
seguendo non so quanto consapevolmente le tracce del Libertador.
Chi non ha coscienza dell'esistenza che vivono le popolazioni americane, e
in generale coloniali (notizia: il colonialismo non è morto) possono
continuare tranquillamente a pensare che va tutto bene e che questi violenti
facinorosi disturbano la quiete (pubblica).
Io sono stato, volente o nolente, in alcuni dei luoghi “visitati” da
Ernesto. In particolare a Vallegrande, dove terminò al sua ultima
rivoluzione, e anche la sua vita.
Eravamo un gruppo autoorganizzato che portava aiuti ai bambini
boliviani sotto forma di formazione (a volte non si può evitare la
ridondanza) e di strumenti per poter acquisire capacità da spendere
socialmente. Ricordo che l'ultimo giorno cantammo delle canzoni
insieme e io proposi alcuni canti rivoluzionari, tra cui quello di
Cochabamba di Victor Jara e Hasta siempre comandante.
Con mia grande sorpresa al ritorno a casa uno dei miei compagni mi
riferì che i nostri ospiti boliviani si erano risentiti, perchè tra quei
bambini potevano esserci dei nipoti dei soldati uccisi dai rivoluzionari.
Avevano aggiunto che non era il caso di continuare a pensare a quello
che è stato, ormai il continente americano era quello che era e chi vuol
esser lieto sia...(Pinochet era ancora vivo all'epoca). Non riuscivo a
credere che un bambino potesse tornare a casa e piangere, magari
insieme a tutta la famiglia, perchè il nonno soldato dell'esercito fascista
boliviano era morto sparando a dei guerriglieri che volevano liberare il
suo popolo dal giogo, per poi consolarsi che comunque tutto andava
bene adesso, per fortuna.
Quei bambini vestivano invariabilmente pantaloncini e magliette da
calcio, infradito, e venivano al doposcuola dove eravamo ospiti più che
altro perchè c'era da mangiare. Ma non posso mettere in dubbio i loro
sentimenti per il nonno.
Questa era una favolaccia.
Colonna sonora: Masters of war di Dylan sulle note di Star spangled banner
(arrangiamento di Leon Russell)
Complotti
“Per quanto il tema del cambiamento climatico possa essere deprimente, ci sono
alcuni segnali di speranza: una più diffusa sensibilità al problema sia nei
governi sia nell’opinione pubblica; l’emergere di concrete alternative
energetiche; un crescente attivismo in tutto il mondo; e anche alcune vittorie
significative da parte del movimento ambientalista. Ma, a mio modo di vedere, lo
sviluppo più promettente è il sempre maggiore coinvolgimento di gruppi e leader
religiosi nella politica del cambiamento climatico. Papa Francesco ne è
l’esempio più evidente, ma anche hindu, musulmani, buddhisti e altri gruppi e
organizzazioni hanno dato voce alle proprie preoccupazioni.
Lo considero un segno di speranza perché mi appare sempre più evidente che da
sole le istituzioni politiche del nostro tempo sono incapaci di affrontare questa
crisi”.
Con tutto questo popò di migranti tragici, voglio buttarla sulle migrazioni. Ci
sono sempre state, le migrazioni: lo stesso sapiens (e prima di lui i vari
insapiens) non facevano altro che spostarsi, in cerca di occasioni migliori
(condizioni migliori, si direbbe oggi). Se mai l'anomalia è stata la lottizzazione
della terra e l'invenzione della proprietà. Ma lasciamo perdere. Le migrazioni
mandano ai matti governi, popoli (parti mentalmente vulnerabili di alcuni
popoli) nonché i migranti stessi. Si riveste tutta la faccenda di pseudo e meta
significati: quello che fugge dalla guerra, quello che vende accendini, gli
stupratori di massa, le guerre di religione. La realtà ultima è la fame. Ma non di
cibo. Gli affamati veri, gli ultimi rimasti nel mondo consumatore, fanno fatica a
spostarsi fisicamente, financo a deambulare. Altro è l'oggetto della fame.
Come diceva Malcolm X citando un saggio cinese (Lao?): “quelli che parlano
non sanno, quelli che sanno non parlano...”
Un indizio: il provvidenziale Ghosh scrive che il termine latino sterminare
corrispondeva non già al massacro, quanto all'estromettere, lasciare fuori dai
con fini (terminus). Dovrebbe farci riflettere quanto sia culturalmente poco
desiderabile lo sconfinamento (addirittura una condanna) e quanto possa essere
sia dolorosamente necessario, a volte, che non necessariamente doloroso.
*
Eduardo, che ne richiama un altro nel nome, ha segnato la storia come pochi. E
come tanti, è stato debitamente oscurato. Ha raccontato l'intera storia umana, con
La memoria del fuoco, e la storia della razzia dell'America, con Le vene aperte
dell'America latina. Opere talmente immense che si possono solo abbracciare o
ignorare, anche perchè la teoria delle teorie, di una limpidezza assoluta, è
semplicemente la verità dei fatti: il potere che schiaccia tutto, la guerra, la
sopraffazione di chi si trova sulla traiettoria, l'oppressione di chi non si può
cancellare del tutto (fanno i figli) e allora possono solo essere usati come schiavi
alla catena, per dare pro fitto, alimentare quella macchina di potere e guerra. E la
menzogna reiterata.
Si capisce come i più preferiscano non pensare a queste cose, ignorandole
ignorano la storia. Tanto a loro non capitano quelle cose.
A me non sono capitate. Ho solo ricevuto qualche “schizzo” (…) e però ho
voluto andare a conoscere quelle genti e quei luoghi. Così, casomai dovesse
capitarmi di trovarmi da quella parte...
Ora quelle vene si stanno lentamente chiudendo, gli ex schiavi latini, afri e “indi”
si stanno liberando, non senza enorme fatica. Ce la faranno, questo è il cammino
della storia.
La memoria rimane, deve rimanere. Non per custodire un odio o una vendetta che
hanno perso i loro soggetti originali, ma per continuare a tenere alta la memoria,
appunto, di tutti coloro che sono caduti sotto l'ingiustizia; ricordare per non
ripetere.
Lo so che è risaputo, detto e stradetto: un mantra. Ma io ripeto, da più di
quarant'anni, lo stesso mantra, molte volte al giorno, e mi da sempre molto.
Ei fu Mattia Pascal
Mattia Pascal vive molte vite, e una tipica camaleontica maschera pirandelliana.
Scappa dalla Sicilia (what else?) fa i soldi a Montecarlo, si ferma persino a
Imperia, oltre che a Roma. Alla fine conclude che e inutile tentare di scappare
dal proprio destino. Forse Camilleri l'avrebbe colorata un po': inutili fujrj, ca
tantu sempe in ... tu pigghi.
La vicenda tragica avvenne un cinque maggio, fatale anche per un celebre
gnomo con ripercussioni a strisce bluastre.
A Pirandello dobbiamo un grande dono: il personaggio che esce dalla scena e
interagisce non già col coro, con l'agorà, ma col pubblico, che fosse seduto a
teatro o nel suo salotto.
E grazie a tanti epigoni, Woody Allen per dirne uno, possiamo entrare e uscire
dalle scene, come fossimo dei tecnici o delle comparse.
Faust (boia)
F'inzioni
Le finzioni di Borges sono sublimi quanto lui era paraculo. La finzione piu
evidente e quella della cultura progressiva e umanistica. Molti intellettuali se ne
straimpipano di tutto tranne del conto in banca. O del sesso. Quanto all'Omero
di Baires, la seconda opzione pare esclusa. A meno che non fingesse...
Dove ci sono due uomini, c'è un traditore, sembra dire Borges. Il suo tema del
traditore e dell'eroe chiarisce che la linea d'ombra tra il bene e il male non è una
separazione, è un intreccio.
Le finzioni borgesiane sono tante, e ci si perde dentro. Ma la cosa che ricordo
vividamente è proprio la perdizione nella letteratura, in quella che lui chiamava
la biblioteca di Babele. Mito (moderno) che ha affascinato tanti scrittori e
lettori. Il fatto è che don Luis passò la gran parte della sua vita dentro una
biblioteca, in mezzo ai libri, immaginando (per sua stessa ammissione)
avventure, fulminee e rifulgenti.
Proprio come quell'altro vecchio, quell'altro Don, anche se non osiamo
paragonarli...
Per citare una traccia della biblioteca babeliana nella cultura pop, indelebile è il
vecchio monaco che brucia insieme ai libri ne Il nome della rosa di Eco.
Incontrai Johan Galtung negli anni 90. Parlava praticamente tutte le lingue. Di
fronte a qualsiasi pubblico, sapeva metterlo in condizione di capire la sua lezione
(ha fondato anche una università). La lezione è quella del pacifismo, che si basa
sul potere del dialogo, dell'intelligenza umana che è più forte della violenza. La
violenza, che suddivide in tre parti: la violenza diretta, quella psicologica, e quella
strutturale.
Attualmente la violenza diretta è stata ipocritamente bandita, nel senso che
l'impero si è inventato la guerra umanitaria, e quindi si può andare a uccidere per
fare il bene. Del resto è solo l'apoteosi, conservo la medaglia di mio nonno della
prima guerra, che recita: grande guerra per la civiltà...perciò ci aspetta ancora un
lungo cammino prima di liberarci di questo tumore, che ha stroncato le vite di un
numero di umani che oscilla tra l'uno e il dieci per cento (da uno a dieci miliardi)
a seconda delle stime.
La violenza psicologica sta anche declinando, soprattutto nell'occidente smanioso
di ripulirsi la coscienza: adesso non si possono dire un sacco di cose, ma sotto la
pelle resiste l'uomo violento, padre e marito, la violenza di chi porta una divisa, i
soprusi lavorativi che attendono denuncia, ma anche la violenza delle donne che
crescono i figli secondo clichè incarniti e soffocanti, e persino dei minori che si
torturano spietatamente tra loro, forse per imitazione.
La violenza strutturale è intoccabile: il potere senza volto e senza voce mantiene il
suo non-aspetto di moloch, con le porte chiuse per sempre al contadino di Kafka,
che attende sulla panca fino alla morte.
Per fortuna noi umani abbiamo una capacità rigenerativa illimitata e, se non
distruggeremo il pianeta, dovremmo riuscire a liberarci di queste mostruosità.
Amin è diventato uno dei miei autori alla prima lettura. Mi ha conquistato il suo
senso della storia, una dote rara, che è fatto di osservazione, conoscenza, di
apertura mentale ma anche di sentimento, di esperienza vissuta in questo flusso
continuo di umane vicende che chiamiamo storia. In particolare lui ha visto
cadere, dissolversi una civiltà millenaria (discendente dai fenici, tra gli altri) che
si è trovata a fare il vaso di coccio tra potenze ingombranti (come minimo) e
minacciose: il mondo arabo, il moloch anacronistico israeliano, gli americani, gli
europei, i russi...e tutto il resto del carrozzone. Il Libano è morto. Ma non è
escluso che rinasca.
Molto esemplare, come lo è sempre un'intuizione poetica (per quanto ovviamente
non esauriente l'argomento) è il film L'insulto del 2017 (Ziad Doueri) che espone
uno spaccato della surreale condizione del paese.
Vorrei trovare una favola degna per confortare un regno perduto, ma non me ne
vengono. Però il piccolo grande composito popolo libanese può guardare ai
dirimpettai greci, alla loro resilienza millenaria, al fatto che ancora oggi si
raccontano le storie dei greci, ed echeggiano parole immortali che non li fanno
dimenticare.
Il maestro e il Margarita
Non lo cito perchè adattai il testo originale per una canzone e non voglio
passare i guai, benchè l'opera sia di un secolo fa circa.
Un amico mi sottopose un'altra traduzione. Traduzione in poesia equivale a
tradimento, è risaputo. In quella traduzione invece di lampione si parlava di
torcia elettrica (sovietica di cent'anni fa...) e ciò getta una luce sinistra sulle
uscite notturne del vecchio Aleksandr...
Il malato immaginato
L'unico uomo di potere moderno che ho visto invertire la tendenza (del potere) è
stato il vecchio buon Mikhail Sergeevich. Resosi conto della realtà dell'Urss,
matrigna vecchia e affamata, al pari delle figliastre limitrofe. Alle quali aveva
tolto un boccone ciascuna: Karelia suite, Kaliningrad e uno spruzzo di Baltico,
Berlino a metà, Praga e Budapest per brevi soggiorni, la cintura balcanica
superiore, il consenso bulgaro, l'Ukraina a pezzi, Caucaso e Armenia con un
assaggio di Kurdistan, insalata di Asia centrale, mongolie esterne, zuppa mancese,
Kurili e mari ghiacciati misti. L'Alaska l'avevano rubata a suo tempo gli
americani allo Zar.
Non c'era solo la miseria, sotto la patina dell'ideologia sbiadita, c'era anche un
senso di vuoto, un mal di vivere da fare invidia ai paesi più avanzati. E questo non
perchè mancassero democrazia (adesso che c'è, sai lo spasso) o libertà di difficile
gestione (slavina deriva da slavo) o non solo. All'animo russo, che Mikhail
doveva conoscere profondamente (era del sud anche lui, come tutti i suoi celebri
predecessori, fino alla mano morta, che era anche ebreo, peraltro) mancava lo
slancio, il cambiamento.
Non uso apposta aggettivi accrescitivi, perchè tutto nella vecchia Russia è eccesso
(molte favole sono russe, Baba Yaga è russa), tutto è grandiosità, la rivoluzione, il
sacrificio bellico, l'ideale protensione, oppure l'abisso: le anime morte zariste, i
pogrom e i gulag staliniani, la guerra fredda e la tirannide.
Il grande sogno del sol dell'avvenire, è solo da venire. Ma quando?
Gorby ha solo girato l'interruttore.
E dire solo è riduttivo.
I miserabbili
Moby Duck
James Last but not Liszt, la versione di Walt vede una papera che incrocia lo
sversamento radioattivo di una centrale nucleare, diventa un enorme leviatano
bianco che imbocca l'oceano e distrugge tutte le barche di legno che trova sul
cammino (allarme a Hollywood!), finchè viene speronata da una nave corsara di
Greenpeace che per errore la fa affogare.
Colonna sonora: l'assolo di batteria di Bonzo Bonham dei Led Zeppelin.
Nemesich
Una storia un po' diversa da Arpagone.
C'era una volta uno scienziato, o un filosofo della scienza se preferite, si chiamava
Ivan Illich, abbastanza tolstojano invero. Come un suo predecessore, lo
strizzacervelli Wilhelm, o il suo contemporaneo Ronnie, osò attaccare il moloch
della medicina istituzionale (occidentale). Lo fecero tanti altri, intendiamoci, ma
qui non ci stanno tutti. Si battè con tutte le sue forze contro l'aspetto letale della
medicina (una specie di omeopatia in grande) come dell'abuso della chimica, così
come contro altri aspetti controversi e contronatura del suo tempo.
Che è abbastanza vicino al nostro.
La nemesi medica, la chiamò. Eretico! Le corporazioni si lanciarono all'attacco
difensivo, come solo sanno fare le mafie umane, vale a dire come il cane col gatto,
il gatto col topo, e così via.
Lui tenne duro e dedicò la sua vita a quella che intravvedeva come verità. Contro
tutto e tutti. Oggi che la sanità pubblica di una paese come la Spagna dichiara che
quasi metà dei decessi ospedalieri sono imputabili a cause interne (infezioni
soprattutto) mi piace ricordare questo nemo propheta, che poi essendo croato
giramondo la patria non la/lo pensava proprio.
(Un piccolo esempio rivolto a chi non vede correlazioni tra i fattori di
urbanizzazione, industrializzazione, inquinamento, stress ecc. e tumori:
si stimano oltre i 10.000 casi dopo l'unità d'Italia, quasi 200.000 oggi; il grillo
parlante dice: ma la popolazione è aumentata! Certo, di 3 volte, mentre il cancro
di 20 volte. E comunque l'osservazione scientifica è fatta di dati piccoli raccolti su
campioni grandi. Sappiamo che basta un altro grado di temperatura in più-come
nel nostro corpo, da 36 a 37-per peggiorare drasticamente la vita sul pianeta, due
sarebbero fatali.)
Piccolo paradosso comparativo: negli Usa i morti per malattie tumorali viaggiano
verso i 700.000. In proporzione, il 30% in meno del dato atteso confrontato a
quello italiano. In compenso sono quasi un milione i morti per l'abuso di oppiodi
di stato.
Noam e il Nobel
A Noam non verrà mai assegnato un Nobel, come per Gandhi. Perchè? È
evidente.
Chomsky, è ebreo, è uno scienziato, e non è di destra. Attacca il sistema
americano, il sistema globale, il sistema. Ma la vera bomba (oops) è che attacca
anche Israele, il cavallo di Troja. E questo rappresenta uno scacco, un comma 22:
come si può mettere a tacere, con la scusa standard dell'antisemitismo qualcuno
che non può esserlo, dato che è semita?!
Così abbiamo questa voce libera, e tagliente, e ce la godiamo. Ben sapendo che il
pur valente scienziato non riceverà mai il premio più ambito, perchè anche gli
illuminati scandinavi hanno i loro limiti.
Citazione celeberrima:
On/off
Soprattutto a beneficio delle figlie e dei giovani che me ne chiedono conto, faccio
un bilancio su come ho trovato e come lascerei il mondo, se dovessi lasciarlo in
questo momento (ma anche no).
Parto dal dopoguerra. Per modo di dire, perchè la lunga guerra non finì nel 1945,
come scritto nei libri di storia, ma attraverso sotto altre forme gli anni 50 (in cui
modestamente “vi nacqui”) e sembrava finire alle soglie dei 90, con la caduta dei
regimi comunisti, ma in realtà non mi sembra sia mai finita. Che l'umanità sia in
guerra continua da sempre non è una mia ipotesi originale. Solo che adesso è
mondiale.
Detto questo, prendo come paletti il 1960 (abbastanza attendibile dal punto di
vista statistico) fino al 2020, stravolgimento pandemico escluso; mantenendo
come tappe intermedie il 1980 e il 2000.
Il primo dato da considerare è ovviamente quanti “ne” siamo: superati i 2 miliardi
nel 1960, giungiamo agli 8 miliardi di oggi [x4]. Con tutte le dovute
considerazioni sulle cause e sugli effetti, questo dato resta neutro, almeno finchè
non saremo in troppi a tavola per mangiare tutti. Vediamo invece alcuni dati sulla
qualità della nostra vita.
L'età mediana dell'umanità (media matematica) è passata da 20 anni a 35, un
cambio di passo straordinario [quasi x2]. Naturalmente il tasso di mortalità è
calato da 17 a 7 [oltre x2]. Sempre senza addentrarci nel dettaglio, i morti in
guerra o per le conseguenze dei conflitti superano i 50 milioni [1% ca], che è
sempre meno del centinaio del terrificante cinquantennio precedente [quasi 10%!].
Un altro dato tendenzialmente sottaciuto sono le morti causate dall'emergenza
climatica che in molti ancora negano, e che sono certamente in costante aumento.
Le sole emissioni di co2 sono passate da 10 a 35 [quasi x4]. La temperatura
globale è salita di un grado e la tendenza è in aumento. Per farci un'idea, pensiamo
al passaggio da 36 a 37 gradi nel nostro corpo, e da 37 a 38...
Invece guardando alla qualità della vita sociale, l'alfabetizzazione semplice
(lettura e scrittura) è passata da uno scarso 50% a circa il 90%[quasi x2].
Pur rappresentando un dato positivo in assoluto, questo necessita di almeno una
precisazione: il processo di alfabetizzazione primaria è stato sicuramente aiutato
dalle tecnologie che conosciamo, che oltre a non esaurire il fabbisogno culturale,
hanno appiattito l'informazione con un'incidenza sulla vita quotidiana che
valuteremo tra anni. La massima espressione della formazione, l'università, si è
senz'altro incrementata, ma con enorme disparità: si va dal picco del 75%
californiano (in Italia siamo intorno al 25%) a sacche di ignoranza coltivata,
nonchè ignorata...anche prendendola in considerazione, che valore può
rappresentare sul mercato una laurea nordcoreana o somala o haitiana? Lo stato
della cultura va fatalmente a condizionare la partecipazione sociale, che è in forte
crisi, a dispetto del progresso. O meglio, dello sviluppo.
La democratizzazione, infatti, è rimasta incredibilmente (secondo analisti
accreditati, “ufficiali”) sullo stesso livello, un terzo dell'umanità![+-=]. E questo si
riflette appunto sulla possibilità e volontà di partecipazione. Ci sono pochi dati sul
calo di appartenenza ad aggregazioni sociali come quelle religiose, politiche,
sindacali, culturali, ecc. Il culto cristiano, primo per presunti aderenti, ha visto un
calo (di presenze) di almeno il 50%. L'islam, rendendo per così dire molto
consigliato il culto, non registra cali. I culti orientali, come buddismo,
confucianesimo e induismo, prediligono la partecipazione alla vita sociale
piuttosto che alle “funzioni”, e pertanto non c'è evidenza di calo...più notevole è la
disaffezione politica (astensione) ma è indubbio che un aumento di accesso
all'informazione, alla cultura e alla formazione non ha portato a un aumento della
consapevolezza, della solidarietà, dell'azione. Ciò di cui necessitiamo. In
definitiva, quello che ci ha avvicinato, ci ha allontanato; un paradosso, una
nemesi, che dobbiamo superare, come prima cosa. Per ritrovarci e...
La nemesi è, “in my opinion”, quella del capitalismo che ci sta trascinando tutti (e
tutti consenzienti) al suicidio di massa. Lemmingcapitalismo. Ma ci si può
fermare. Se il bilancio risulterà negativo per qualcuno (l'oggettività non esiste),
posso dire che personalmente ho cercato di contribuire un poco, e questo mi ha
portato molti benefici...
Fosse oggi, Geppetto non perderebbe tutto quel tempo a lavorare il legno, ma
creerebbe il suo Pinocchio con materiale plastico, magari con una stampante 3d,
previo programmino ad hoc, un software, un'app, un sonaseg, che ti permette di
clonarti ad hoc incarnandoti, pardon, plastificandoti, in un avatar, un androide, o
come diavolo vogliamo definirlo.
Ci sono sempre vocaboli in sovrabbondanza riferiti a cose futili (per esempio tutti
i sinonimi, i nicknames per i genitali o per ciò che riguarda l'atto sessuale
volgarizzato) o anche ambigue: non credo di poter esaurire i termini indicanti le
figure religiose e i loro topoi.
Fatti i debiti prolegomeni, l'umanoide (aridaje!) Pinocchio seguirebbe un percorso
assai diverso da quello collodiano, più colloidale, vista la prevalenza plastica.
Mangiafuoco sarebbe un potente imprenditore, il gatto e la volpe due treiner,
coch, meneger, o un'altra parola inglese, il grillo parlante...ma qualcuno ha già
pensato a questi adeguamenti. La fatina, sempre bellissima.
Pinocchio, essendo sintetico e non fatto di materia viva (come il legno) sarebbe
decisamente alienato e vivrebbe la sua storia come una macchina, senza
sentimenti, e alla fine anziché diventare un bambino diventerebbe un robottino
che Geppetto chiuderebbe in uno stanzino.
Apologo finale: Gesù decide di tornare sulla terra per rivedere il suo babbo, ma
sbaglia la misura spaziotemporale, si trova in un paesino e chiede della bottega del
falegname Giuseppe, entra ed esclama: “Papà!”. E l'altro: “Pinocchio!”
Pollicino si è aggiornato. Il trucco del pane non poteva reggere a lungo. Tanto per
cominciare quanto pane puoi portarti addosso, specie in tempo di carestia? E in
giro per il bosco non si trovano panetterie, di solito. Adesso Pollicino usa la rete, i
social. Fa delle foto lungo il percorso nel bosco e le posta su fakebook. Oppure,
anche se nel bosco c'è poco campo, prova a fare dei brevi filmati e li carica su
instagram o tiktok. Un domani su whatafuck. Però questo sistema non solo non fa
ritrovare la strada a Pollicino, ma aiuta i cattivi (CIA, FBI, MOSSAD, ECC) a
rintracciarlo un decimo di secondo dopo che ha messo qualcosa sui soscial...già.
Le macchine sono onnipotenti quando vogliono. Pensiamo solo che ci sono
macchine che riescono a scannerizzare un viso, una qualsiasi traccia corporea,
distinguono le diverse banconote, non sbagliano un colpo. Mai sentito di qualcuno
che ha ricevuto più denaro da un bancomat? A questa infallibilità fa da contraltare
l'incapacità delle macchine ad aiutare chi soffre o chi è in pericolo. Quando faccio
il biglietto del treno alla macchinetta, quella strepita anzitutto di fare attenzione ai
borseggiatori (che io temo vengano attirati proprio da quell'avviso) e di rivolgermi
al personale in divisa, che non si vede più dal secolo scorso. Mai che quella
macchina infallibile possa aiutarmi captando il borseggiatore (o la borseggiatrice) e
avvertendo le forze (o i forzi) dell'ordine. Mai che gli innumerevoli video sparsi
nelle stazioni ferroviarie (che costeranno milioni e milioni dei nostri soldi) diano
una qualche informazione utile, tipo che ci sono problemi sulla linea o che so, che
sul treno i cessi sono inservibili, cosa che è molto frequente. E mi limito al mondo
ferroviario solo perchè sono appena tornato da un viaggio, e non voglio tirarla per
le lunghe.
Pollicino non va lontano, con le tracce elettroniche che lascia.
*
PPP e la morte
Il mistero della morte di Pasolini resterà mistero, come tutte le uccisioni volute dal
potere, e che rimangono catalogate nella memoria come sigle, PPP, JFK, RFK,
MLK, MX, JL, JH...per limitarci a quei misteri dei civili paesi occidentali, altrove
non c'è bisogno di mascherare le stragi.
Nel caso specifico il delitto commesso dal singolo cane sciolto non sta in piedi
dall'inizio, e a maggior ragione dopo innumerevoli dichiarazioni e riaperture del
caso. Però noi sappiamo, seguendo il percorso di chi è stato ucciso, chi può essere
l'uccisore.
Se la morte resta avvolta dal mistero, la vita ufficiale di Pierpaolo non ha segreti
per me. Ho letto, visto e ascoltato tutto ciò che ha prodotto nella sua carriera
pubblica, un'opera magnifica come l'esistenza del suo autore, un'avventura unica.
Prima di morire ebbe a scrivere: “io so i nomi...dei responsabili delle stragi...ma
non ho le prove...” e tanto bastò a condannarlo, anche se a suo carico esistevano
anni e anni di affermazioni contro il potere, di denunce, processi, e soprattutto una
popolarità che si poteva fermare solo con la morte. La dietrologia sul martirio non
era ancora evidentemente preoccupante.
Ma c'è un'altra particolarità, nella morte del grande poeta. Un'ipotesi lanciata dal
suo amico d'infanzia Giuseppe Zigaina, che ne ha riempito volumi e che mi ha
confermato in una conversazione telefonica.
L'incontro programmato non fu possibile a causa della sua morte (per malattia...).
La morte rituale
Chiamiamola così. Piuttosto che suicidio o omicidio su commissione, morte
rituale. Essa prevede un incredibile (ma verosimile, alla luce delle opere) piano
di Pasolini per fare della propria vita biologica il corpo della sua opera, ovvero
di concludere la sua opera con la carne. La morte sarebbe stata l’ultimo
capitolo, scritto col sangue anzichè con l’inchiostro. Opera di carne e sangue,
dunque, non di pensiero o di parole. Molti sono gli indizi che Pasolini avrebbe
seminato, e noi raccolto. Partiamo dallo stesso punto della precedente ipotesi,
“Io so”, e procediamo.
Per quanto l’ipotesi Zigaina e la teoria complottista (stato, mafia ecc.) siano
differenti, in realtà si integrano. Pasolini fu “giustiziato” dal potere. Che aveva
usato come sempre degli irregolari, sacrificabili, al suo soldo. La voce di Citti,
in questo senso (non bastasse quella dell”assassino” Pelosi) è molto chiara.
E tuttavia, sotto la luce zigainiana, è chiaro pure che Pasolini fu complice,
mandante di costoro. Li chiamò, li trasse a se, con determinazione assoluta.
Lasciò che Pelosi scendesse per telefonare in un bar, prima che se ne andassero
nel luogo del “delitto”...vediamo gli altri reperti: secondo Zigaina Pasolini
vuole morire in modo da completare la propria opera, la propria vita, sicchè
monta, cinematograficamente, o tesse, poeticamente, incastra i pezzi
concettuali, affinchè formino il disegno che desidera. Precisamente.
Non solo avrebbe dato forza e forma definitiva all’opera, l’avrebbe illuminata.
Avrebbe raccolto ciò che in vita non era più possibile aggiungere, ovvero il
senso. Pasolini scrive sull’Espresso (oggi in EMPIRISMO ERETICO) a
proposito del famoso video Zapruder, che unico riprende la morte di John
Kennedy: “finchè siamo vivi, manchiamo di senso...la morte compie un
fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i momenti veramente
significativi...e li mette in successione...solo grazie alla morte, la nostra vita
serve ad esprimerci.”
La “fontana di rustic amour” della MEGLIO GIOVENTU' diventa “fontana di
amour par nissun” nella NUOVA GIOVENTU' finale.
E poi: un disegno ritrovato tra le sue cose, un disegno su carta gialla che ripete
sempre lo stesso stilema (labbra, nuvole?) e reca una frase: “il mondo non mi
vuole più e non lo sa”.
Un’altra poesia: DI DE LA ME MUART (IL GIORNO DELLA MIA
MORTE).
Nella prima stesura il brano che parla della morte recita:
“...Avrebbe voluto dar la sua vita per tutto il mondo sconosciuto -
lui, sconosciuto, piccolo santo, granello perduto nel campo.
E invece ha scritto poesie di santità, credendo che così il cuore gli si
ingrandisse.
I giorni sono passati a un lavoro che ha rovinato la santità del suo cuore: il
granello non è morto, e lui è restato solo.”
Nella seconda stesura, trent’anni dopo, si trasforma:
“...Io cadrò morto sotto il sole che arde, biondo e alto, e chiuderò le ciglia
lasciando il cielo al suo splendore.
Sotto un tiglio tiepido di verde, cadrò nel nero della mia morte che disperde i
tigli e il sole.
I bei giovinetti correranno in quella luce che ho appena perduto, volando fuori
dalle scuole, coi ricci sulla fronte. Io sarò ancora giovane, con una camicia
chiara, e coi dolci capelli che piovono sull'amara polvere.
Sarò ancora caldo, e un fanciullo correndo per l'asfalto tiepido del viale, mi
poserà una mano sul grembo di cristallo.”
Confrontiamo. Ma quello che colpisce di più è il granello, il seme, che nella
seconda poesia non è più citato, ma che viene ben presentato dettagliatamente,
ancora in una illuminante introduzione:
«Se il chicco di grano, caduto in terra, non morirà, rimarrà solo, ma se morirà
darà molto frutto» (San Giovanni, Vangelo 12.24 – Citato da Dostoevskij)
Se colleghiamo questo al versetto 25, «Chi ama la sua vita la perde e chi odia
la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna», e a Paolo
(Corinzi): «Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore», il
concetto appare più chiaro.
In APPUNTI PER UN FILM SU SAN PAOLO (1968-1974) troviamo: “Quello
che si semina non ritorna in vita se prima non muore”. Siamo nella scena 56 del
progetto, ambientato nella «Periferia di una grande città: Roma».
Poi, insieme ai pochi, miseri, che erano venuti ad ascoltare Paolo con qualche
speranza in cuore, si erano mescolati dei giovani dalla faccia oscura e feroce.
Ed ecco che improvvisamente arriva, in un camion, una banda: sono “teppisti”,
e, tra loro, meno in vista, la solita faccia distorta dell’uomo d’ordine fanatico,
che li guida.
L’azione è rapida, come nei sogni. Tutto accade fulmineamente sotto gli occhi
distratti della polizia: l’assalto dei teppisti tra le urla di scherno e di rabbia; la
fuga della povera gente; il pestaggio a Paolo, e ai suoi due o tre anonimi seguaci
che gli stanno accanto.
Un pestaggio freddo e macabro, da cui è dissociato ogni sentimento umano.
Poi gli aggressori, fulminei come sono venuti, risalgono sul loro camion: non
senza che uno di loro, prima di andarsene, sputi sul corpo inanimato di Paolo.
Nel sole accecante, Paolo sembra morto: il suo corpo è inerte.
Visto in primo piano è una maschera di sangue: grumi di sangue e polvere:
insopportabile alla vista e irriconoscibile.
Come quello di Pasolini a Ostia all'alba del 2 novembre 1975, giorno dei morti.
Insomma, bisogna ammettere che Pasolini, intenzioni a parte, vedeva ben
lontano.
Quindi, il “non poter più essere compresi” della poesia UNA DISPERATA
VITALITA' (POESIA IN FORMA DI ROSA) si sublima nella condivisione del
seme in terra, attraverso la morte. Conditio sine qua non. Dunque il seme deve
morire, la morte può essere inutile, come nella prima versione, o realistica,
come nella seconda. La forza del passato, che vuole includere tutta la storia,
benchè più moderna di ogni moderno, doveva correre, veloce, verso un futuro
dove noi, i lettori scelti (ma non altrettanto moderni: abbiamo avuto bisogno di
anni per capirlo) dovevamo raggiungerlo.
Moravia disse al funerale che era morto “un poeta”, “il poeta” che piangiamo. A
lungo mi parve la sua una ingenerosa scarnezza. Ma se chi sa non parla però
lascia intendere, allora nella morte del poeta è la spiegazione.
In BESTIA DA STILE alla fine il poeta Jan non muore (Palach brucia solo
in effige) ma è già dall’inizio che programma il suo sacrificio, una
crocifissione simbolica, sessuale, naturale.
PETROLIO non finisce. A meno che il politico/mafioso/pregiudicato/mecenate
non conceda la lettura del testo mancante.
SALO' resta l’esca che conosciamo grazie alla ricostruzione di Citti.
(Un anonimo chiese a Pasolini di incontrarlo per discutere il riscatto di una
pellicola rubata, ma all'appuntamento trovò la morte. Le “pizze” con la pellicola
furono recapitate al cancello dell'abitazione di Zigaina giorni dopo.)
“Io so” aleggia nell’aria, e con esso la responsabilità che abbiamo voluto
ereditare. Addentriamoci infine nel buio della ri-costruzione zigainiana: il
campo di calcio di Ostia sorge(rebbe?) nell’area in cui gli antichi romani
compivano i sacrifici umani. Possibile? Qualcuno taccia Zigaina di
esagerazione. Ci sono altri significati legati al luogo (un campo di calcio!) che
andiamo a vedere: se anche i luoghi non dovessero coincidere dal punto di vista
archeologico, è comunque non lontano che si sacrificavano le vittime, o i capri, o
i nemici interni (come i fratelli Gracchi). Si ricordano molte occasioni di
sacrificio umano con spargimento di seme nella terra, come in BESTIA DA
STILE.
Infine, la morte in un verso: fa riflettere il fatto che il verso reale, l’ultimo verso
verbale di Pasolini sia stato il grido “mamma” ripetuto più volte (secondo
diverse testimonianze). Anche a questo c’è corrispondenza: nessuno dei
conoscitori di Pasolini lo crede capace di dare un tale dolore alla madre. Ormai
sola, che ha solo lui. Ma in PATMOS, famosa poesia sulla strage di Piazza
Fontana, si apre un altro spiraglio:
“...Poivenni a casa. La porta che dava sul corridoio della camera di mia
madre era aperta: da ciò arguii la sua inquietudine. Essa ha ottant'anni, l'età
di Gerolamo Papetti: e penso a ciò che deve ancora soffrire...“
[Papetti e una delle vittime della strage, che Pasolini nomina tutte nella poesia]
Che altro dire? Perchè la madre deve ancora soffrire prima di morire? O non è
già morta, forse:
“...Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni
moderno
a cercare fratelli che non sono più...”
E, nel caso, perchè è morta? Chi sono i fratelli che non sono più?
Se non gli altri morti, i sacrificati? Il fratello Guido e gli altri?
Forse abbiamo più domande che possibili risposte. Ma ecco un altro (un
ultimo) scenario.
Se non basta “Il giorno della mia morte” col suo granello di seme, se non basta
San Paolo ucciso a bastonate, a Roma o a Palermo, o a Udine o a Trieste, ecco
questi versi:
25 aprile 1962 (da POESIA IN FORMA DI ROSA)
“Quando una troupe invaderà le strade di stanotte, sarà una nuova epoca.
Perciò: goditi anche questo dolore. L'idea di fare un film sul tuo suicidio,
tuona nei millenni...si ricongiunge, indietro, a Shakespeare...è sesso, grandezza
della libidine, sua soavità. Il protagonista è macellato: una bolla d'aria gonfia
la sua pelle, potrebbe volare per il terrore. Una spaccatura gli scende dal
palato allo sterno, e irradia dei tremiti per tutto il corpo...”
Una fantasia ricorrente? Precisa come fantasia, molto precisa. Il cadavere del
poeta appariva così, calpestato dall'auto in fuga.
Può bastarci; oppure no. Potrebbero bastarci le previsioni, la preveggenza
sociale con la quale Pasolini ci mise in guardia sul futuro, sul nostro paese,
inglobando l’umanità e il mondo. Proprio come li aveva descritti, oggi ci
appaiono: la nuova preistoria, il genocidio culturale, l’omologazione, e tutto il
resto. E forse possiamo accettare le sue profezie solo accompagnate
dall’adeguato pagamento. L’unico pagamento accettato. Così come e stato per
tutti i morti profeti del passato lontano, Cristo, Sokrates, Gandhi...el
comandante...per i bonzi Palach che illuminano il nostro cammino.
Il processo kafkiano
Ormai tutti conoscono Kafka e il Processo. Molto bene. Però vale la pena di
rimembrare il prologo, che più kafkiano non si può, dove un tipo muore
aspettando di varcare una porta, che esisteva solo per lui. C'è di che meditare...
La fortuna del Processo, credo preconizzata dal genio kafkiano (termine entrato
nei dizionari) è legata alla visione onirica di grande portata, che anticipa
sicuramente le paranoie complottiste a venire, forse il nazismo (secondo me, ma
non ci sono prove), lo sfascio e l'uso improprio della giustizia (come negarlo?),
e soprattutto riporta sullo “schermo” virtuale (su quello di tela lo farà Welles)
il peccato originale. Originalissimo, in questa versione.
Il Processo è una delle storie che a me da più speranza, malgrado l'ineluttabilità
della tragedia, perchè Josef K, così come il Chisciotte continua a lottare, anche
di fronte alla sconfitta sicura. E incomprensibile.
I promessi spesi
Due tizi del lecchese vogliono sposarsi ma un personaggio che non si può
nominare glielo impedisce, essendo potente. Alla fine il potente si becca la
peste e muore, non prima di confessarsi, pentirsi e accedere al paradiso (quando
si dice le comodità!) lasciando i due liberi di sposarsi. Il tutto sotto la
dominazione spagnola, o austriaca, o tedesca, o forse francese (svizzera no,
grazie al grande gnomo corso) come fosse un campionato europeo di
occupazione.
Curiosa l'ossessione del popolo per il pane, ma quanto sarà stato buono? Marie
Antoinette provò a farci dello spirito, ma perse la testa.
Anche se coi titoli cerco di dissacrare, i testi storici che raccontano l'evoluzione
umana, oltre alle storie particolari, le leggende, i miti e i culti (e perchè no, le
favole) svolgono la funzione più alta nella narrazione.
I due storici che ho letto con più passione sono stati Arnold J. Toynbee (di gran
lunga il migliore) ed Eric Hobsbawm, che fu per me il biografo del comunismo.
Toynbee è stato importante e originale per alcuni punti nodali: il rapporto
civiltà/potere/religione, le fasi storiche legate alle sfide e alle risposte alle sfide, lo
spostamento del focus dall'eurocentrismo (che stava lentamente scivolando
nell'anglocentrismo) alla weltanschauung per così dire antropocentrica, se anche
questo termine possa essere criticato oggi. Insomma, una visione che si allarga a
tutti i meridiani e paralleli. Il titolo originale del suo “Racconto dell'uomo” è
“Mankind and mother earth”.
Il mio maestro Daisaku Ikeda, che lo incontrò più volte, racconta nel saggio “Un
altro modo di vedere le cose”, divenuto un documentario, il giovane Arnold che
viene inviato dal suo giornale sul fronte della guerra greco-turca. E che decide, a
dispetto della presa di posizione preventiva europea, di intervistare sia i greci che i
turchi (nelle rispettive lingue, per la strada) venendo tacciato di essere “amico dei
turchi”. Fu criticato e attaccato per tutta la sua vita, come capita a chi va
controcorrente. Ma il suo reportage resta un esempio di giornalismo.
[Cory Taylor, Un altro modo di vedere le cose. Another way of seeing things e un
documentario del 2004 che “metteva in scena” un discorso del filosofo Daisaku
Ikeda intorno ai fatti del settembre 2001, e dove si ricorda il contributo alla ricerca
della verità storica di Arnold Toynbee.]
Hobsbawm ebbe invece l'intuizione felice del secolo breve, e narrò di quegli anni
dal 1917 al 1991, cioè dell'unico infelice tentativo di creare un'alternativa al
sistema capitalista. Giusta o sbagliata che fosse, fu pur sempre l'unico tentativo di
alternativa su scala universale.
Bevuto in un sorso.
Un fine letterato francese ottonovecentesco intinge uno dei suoi biscotti preferiti
nel te , e gli risale su tutta la vita, dall'infanzia in poi.
Comprese le note, fa un milione di caratteri, quasi quattromila pagine, sette
volumi.
Tanti autori hanno seguito, o anticipato, questo schema. Ma mi accusano di
essere un listomane (elencomane) perciò cercateveli per contro vostro.
Il supercartone vale più di mille cartoni. Primo perchè, come molti adulti, ho
abbandonato i cartoni da tempo, così come ho lasciato indietro la gran parte
dell'infanzia. E poi perchè in questo film si incontrano cartoni e umani, con un
effetto pirandelliano al cubo.
Non bastasse questo, nell'ultima scena, con un colpo che poteva riuscire solo a un
grande regista, ecco apparire, tutti insieme, i grandi eroi dei cartoni, in un finale
che, se può aver divertito un bambino, ha sicuramente precipitato un ex bambino
nello stupore totale.
C'era una volta una rana...la storia dovrebbe essere nota: la rana si fida dello
scorpione e lo lascia salire sulla sua schiena, perchè il tapino non sa nuotare, ma a
metà del guado lo scorpione lo punge, condannando entrambi alla morte. Le sue
ultime parole famose furono: “è la mia natura”.
Anche se noi occidentali (perlomeno la maggioranza, parrebbe) persistiamo a
considerare la storia come un vettore, una linea retta che viaggia all'infinito, che ci
pone nella privilegiata condizione di dominare lo spazio (il pianeta è nostro), la
natura, inclusi naturalmente i nostri simili meno allineati, e infine persino il
tempo. La scienza sta spingendo i suoi limiti sempre più in là e c'è già chi
intravede (Yuval Harari) un corpo umano “refurbished” in grado di sovravivere
centinaia di anni. Cioè, chi potrà permetterselo si farà impiantare pezzi di
ricambio e morirà, in un certo senso, solo quando dovesse diventare interamente
meccanico; a meno che non si riesca in futuro a creare coscienze meccaniche. Un
quadro fosco, che confonde, ma perfettamente plausibile.
Chi ci guarda da lontano, cioè quei popoli che vivono alzandosi presto al mattino
col pensiero di come sfamarsi, vede chiaramente nel nostro progetto la distruzione
non solo della loro ma anche della nostra esistenza. Per la semplicissima ragione
che la loro vita era legata alla natura, ai suoi cicli, ai suoi frutti, allo scambio
reciproco, mentre noi stiamo distruggendo tutto questo mondo.
Molte sono testimonianze dolorose delle genti native dei continenti (tutti, ormai)
che abbiamo ridotto a industrie estrattive pesanti. Includendo anche agricoltura e
allevamento intensivi. Loro vedono chiaramente che gli abbiamo portato via il
bene maggiore, lasciando loro catene di negozi e fast food, “armi, acciaio e
malattie”, massacrandoli dapprima, poi sfruttando il loro lavoro e infine il frutto
del loro lavoro. E, come del maiale, non sprechiamo niente. Salvo poi lo spreco
del prodotto finito e venduto, che in occidente è intorno al 50%. di nuovo un
quadro inaccettabile, per la coscienza media. Ma non è tutto.
Loro vedono anche, nella nostra prassi, la nostra fine. Sa bene, la saggezza antica
legata alla natura, che la distruzione della casa porta alla distruzione degli abitanti.
È solo questione di tempo.
Si dirà: ma loro accorrono verso la nostra parte di mondo, verso i nostri prodotti e
il nostro stile di vita. È vero, la fame corporale e mentale è più forte del messaggio
degli anziani, degli avi. Non per tutti, ovviamente, chè allora avremmo miliardi di
profughi e non milioni alle nostre porte. L'adesione e perfino l'entusiasmo degli
affamati non deve far dimenticare la criminale disparità che il nostro sistema,
basato sul potere militare e su das kapital, ha generato nel nostro povero
disgraziato mondo, e che prima o poi tutto questo dovrà finire.
Con poche righe, dal suo paso doble d'addio, come solo un grande poeta poteva:
“Essere indegno della vita. Ma il mondo, il mondo umano, non aveva sempre
oscuramente aspirato ad essere indegno della vita? Ingegnoso e feroce nemico
della vita, di se stesso...”
Ci sono alcuni miti che mi hanno colpito più di ogni altro. Uno è un mito naturale,
quello di Pachamama, che è la Madre Terra come viene chiamata in una vasta
zona andina. È un culto antichissimo che richiede non solo il rispetto per la
natura, insito in tutti gli approcci che definiamo saccentemente animisti, ma anche
dei tributi in segno di gratitudine. E allora ogni volta che si mangia, oltre ad
assicurarsi che tutti intorno abbiano di che sfamarsi, si offre un boccone alla
Madre a cui si deve tutto, il primo sorso di ogni bevanda, il primo fiore...e ogni
anno in una festa popolare si offrono i migliori piatti, che vengono letteralmente
interrati, cioè ingoiati dalla Terra. Può sembrarci sciocco (a noi, che gettiamo
metà di quello che comperiamo) o inutile, ma a livello simbolico questi gesti sono
un cambio di mentalità, di paradigma, molto potente. Sarebbe come affermare che
non siamo i padroni di tutto ciò che ci circonda. Azzardo questa formula, anche se
ammetto di non avere approfondito a dovere nei brevi soggiorni in quelle terre
“sudamericane”.
Altra potente pratica, conosciuta come il Potlach dei cugini del nord, ma diffusa
in altre forme in tutto il mondo antico, consiste nel donare tutto il surplus durante
una festa, possibilmente uno scambio con altri gruppi vicini o lontani. In questo
modo la valenza è doppia o tripla: ci si libera dell'accumulo convertendolo in
gratitudine e incrementando l'amicizia.
Tanto di cappello.
Smigrare
The Gandhis
Qual è stata la famiglia più influente del secolo, o della storia recente? Qualcuno
penserà ai Kennedy, ma dei quattro maschi del patriarca tre caddero e uno fu fatto
cadere in un fiume affinchè, come il soldato Ryan, potesse sopravvivere ma senza
farlo pesare. E anche diversi loro figli finirono male. Ricorda più una famiglia
greca, anche se il magnate greco arrivò a cose fatte. Gli sfortunati politici, ai quali
va la mia pietà, non riuscirono a cambiare l'America.
I miei favoriti sono invece i Gandhi's family. Anzitutto sono indiani, dell'India, ed
è già una discreta nemesi. Poi sono una famiglia allargata, molto allargata. Qui
menziono solo i tre che mi sembrano più legati alla storia. Del mondo, non solo
dell'India.
Il patriarca, chiamato grande anima contro la sua volontà, era un figlio di buona
famiglia che venne mandato prima a studiare legge in Inghilterra e poi a esercitare
in Sudafrica. Queste esperienze lo segnarono: all'epoca un indiano era per i
bianchi un “negro” scolorito e una potenziale minaccia. Gli inglesi infatti avevano
rubato la ricchezza dell'India (la quarta del mondo) per farsene grandi, e gli
indiani, pur non possedendo la possenza dei neri, erano quantomai abili nelle
imprese in cui si cimentavano. Fatto sta che Gandhi divenne leader dei diritti
civili dapprima in Sudafrica, poi in India, finchè il movimento di liberazione del
quale rappresentava la guida ottenne la cacciata dei britannici e l'indipendenza,
senza colpo ferire.
Dei suoi ottant'anni di vita e oltre mezzo secolo di lotta si conosce tutto.
I grandi lasciti di questo incredibile essere umano furono l'uso della nonviolenza
(quasi l'invenzione della stessa), la liberazione del suo enorme paese/continente,
molte idee rivoluzionarie e gli aneliti purtroppo disattesi della conciliazione tra
indù e musulmani e dell'abolizione delle caste.
Dovette porre fine alla sua vita un fanatico indù, che lo considerava troppo amico
dei musulmani, proprio lui che aveva passato l'intera esistenza a lottare per il suo
paese, e metà della stessa imprigionato, e che quando non digiunava si nutriva
esclusivamente di frutti e latte di capra.
La sua eredità politica venne raccolta da Nehru, il primo leader dell'India libera.
Più tardi gli successe sua figlia Indira, una “ figlioccia” di Gandhi. Indira fu una
leader di sorprendente forza rivoluzionaria, forse anche troppa. Come sempre
accade in enormi moloch come le democrazie (quella indiana è la più grande) alle
ottime intenzioni seguirono disastri epocali, per citarne un paio la guerra contro il
Pakistan, con conseguente destabilizzazione dell'area, e la disastrosa politica di
controllo forzato delle nascite.
In entrambi i casi, pur considerando la gravità delle situazioni, forse si sarebbero
potuti trovare modi (modi!) più morbidi per risolvere i problemi. Di fatto oggi la
tensione col Pakistan è sempre viva, nessuno ne ha guadagnato, e il problema
demografico è alle stelle, ma è diventato un tabù per la politica. Indira venne uccisa
dalle guardie Sikh, perchè nel suo autoritarismo li aveva danneggiati. Stessa sorte
toccò al suo successore e figlio Rajiv, un uomo brillante e dotato di tutte le migliori
intenzioni. Ma i Sikh (la guardia presidenziale è composta da Sikh, in quanto più
fidati!) avevano deciso di cancellare definitivamente i Gandhi's dalla scena.
Il vecchio in mare
Pescatore cubano non più giovane parte con la sua barchetta e aggancia il pesce
più grande mai visto. Solo che il pesce lo tira al largo per giorni, finchè non tira le
cuoia (il pesce). Il vecchio torna lentamente verso casa, ma nel frattempo gli
squali e altri predatori e parassiti fanno scempio del suo bel pesce. Quindi sbarca
in porto con la lisca più grande mai vista, che suscita comunque animazione.
E fu subito Nobel.
*
Verità?
Mezze verità, o false verità...spesso le favole non dicono...
Quando ero piccolo la cosa che contava di più era la famiglia (standard).
Quante famiglie ho visto arrivare unite alla fine naturale? Forse nessuna.
Il pericolo era il comunismo. Cosa ci ha fatto il comunismo? Direi niente.
La paura era l'atomica, nel senso di bomba. È mai esplosa un'atomica? No.
Poi la minaccia fu il terrorismo. Da chi arrivava la minaccia? Passai da Bologna,
quel 2 agosto (non in treno). Fui salvo. Anche i colpevoli sono salvi, a oggi.
La nostra vita doveva migliorare con la globalizzazione. Non direi proprio.
L'euro ci avrebbe cambiato la vita. Infatti ce l'ha incasinata e impoverita.
Inoltre l'Europa ha avuto il tempo di rafforzarsi ma non l'ha fatto, e adesso è tardi.
Appena ti opponevi ti urlavano: spread! Nessuno ha capito cosa fosse in realtà.
E poi il problema fu la nostra sicurezza. La mia non è mai stata minacciata.
Virus/vaccino: mai stato da nessuna delle parti. Timoroso (e avverso) a entrambi,
li ho accolti con pazienza ed empatia pensando agli altri otto miliardi.
Infine è tutta la vita che mi intimano di consumare, e io consumo. A forza di
consumare abbiamo consumato tutto. E adesso cosa (c. . .) consumiamo?
I versetti assennati
*
Viaggio al terminal della notte
Una grande epopea, odissea novecentesca, altro che Ulysses (con tutto il
rispetto, almeno qui si capisce cosa c'è scritto. Eccome!).
Il pazzo (realmente) visionario Celine/Destouches/Bardamu/Robinson mette in
scena tutte le sue vite e le sue ossessioni. Come solo un Dosto era riuscito a
fare. Forse solo un pazzo poteva dipingere il secolo a pennellate così forsennate
e intuitive, a-la Picasso o Dalì.
Un giovane anarchico se ne sta seduto al bar con un amico a sparlare
dell'ipocrita società della belle epoque, quand'ecco che passa un gruppo di
volontari della prima guerra mondiale, e lui che fa? Li segue!
Inizia così il viaggio al termine della notte, che attraversa tutti i continenti, gli
inferni, le professioni, le passioni, ma soprattutto la notte. Quella notte che si
porterà via anche lui (metaforicamente) nella immane follia del nazismo e della
grande guerra (altro che) da lui preconizzata.
Oggi tuttalpiù uno si aggrega a una organizzazione di contractors pagati a peso
d'oro che viaggiano in aereo e hanno pure la precedenza su tutti gli altri voli.
“Un fantasma si aggira fra gli abitanti del mondo liquido moderno e fra tutte
le loro fatiche e creazioni: il fantasma dell'esubero...La modernità liquida è
una civiltà dell'eccesso, dell'esubero, dello scarto e dello smaltimento dei
rifiuti.”
“Noi umani sappiamo di essere mortali: destinati a morire. Vivere con questa
consapevolezza è difficile. Sarebbe del tutto impossibile se non intervenisse la
cultura. La cultura, grande invenzione umana (forse la più grande di tutte: una
metainvenzione, un'invenzione che mette in moto l'inventiva e rende possibile
tutte le altre invenzioni), è un dispositivo per rendere sopportabile contro ogni
logica e ragione la vita degli umani, cioè quel tipo di vita che comporta la
consapevolezza della mortalità.”
“Rischiano di trasformarci, da un giorno all'altro, in profughi o «migranti per
motivi economici». Rischiano di ritirarci la carta d'identità o di annullarcela. E
ci rammentano giorno dopo giorno che possono farlo impunemente: quando
scaricano sulla soglia delle nostre case le persone che sono già state respinte,
costrette a fuggire per mettersi in salvo o a lasciare le proprie case per
procacciarsi i mezzi per restare in vita, derubate delle loro identità e della loro
autostima. Odiamo quelle persone perché sentiamo che quello che stanno
vivendo sotto i nostri occhi potrebbe benissimo essere, di lì a poco, la prova
generale della nostra stessa sorte.”
“Parliamo compulsivamente di reti e cerchiamo ossessivamente di creare reti
(o almeno i loro fantasmi) per mezzo dello speeddating, degli annunci
personali e del magico incantesimo dei «messaggini», perché avvertiamo
penosamente la mancanza delle reti di sicurezza un tempo costituite
semplicemente, con o senza sforzo da parte nostra, dalle vere reti fatte di
simili, di amici e fratelli di destino.”
“Ed effettivamente i contatti faccia a faccia ci intimidiscono sempre più.
Tendiamo ad allungare la mano verso il cellulare e a metterci a premere
tasti furiosamente, componendo messaggi di testo, per evitare di «farci
ostaggio della sorte» e per sfuggire alle interazioni complesse, disordinate,
imprevedibili difficili da interrompere e da cui è difficile uscire con le
«persone vere» fisicamente presenti attorno a noi.”
La vita è un dejavu.
Mi capita sempre più spesso. Anzi, quasi sempre. In pratica, guardando un film,
leggendo un libro, ascoltando una musica, o persino una conversazione, penso che
mi è familiare, anzi che conosco quella cosa. “non è la prima volta!”. Poi mi
chiedo com'è possibile che non posso fare più alcuna esperienza senza
l'impressione di averla già vissuta.
All'inizio era una sensazione molto spiacevole. Poi ho cominciato a ragionare:
quanti libri e giornali ho letto? Migliaia. Quanti film o spettacoli ho visto?
Migliaia. Quanti dischi e concerti ho ascoltato? Migliaia. Quante persone ho
conosciuto, con quante ho parlato? Sempre migliaia, visto che tutti i miei luoghi
di lavoro per mezzo secolo erano affollati, anche da migliaia di persone. Le
persone è impossibile contabilizzarle (fakebook è un simulacro) e poi la qualità
delle relazioni è variabilissima. Ma le storie che ci si scambia, anche tra
sconosciuti, sono innumerevoli.
Quanto alle storie codificate, nel mio archivio digitale ho più di diecimila files, e
sono solo l'eccellenza che conservo perchè ritengo indispensabile. Su dieci opere,
almeno nove non le conservo. Ma forse anche di più, soprattutto ora che da
pensionato divoro video audio e testi come un cannibale ossessocompulsivo.
Fatti i conti mi chiedo: non è possibile che combinando tutti questi incalcolabili
elementi si possa arrivare a una specie di chiave di lettura universale, per cui si sa
già come si possono combinare gli elementi, che sono limitati, e le combinazioni
possono essere non infinite?
Con questo non intendo dire che sono un genio, come un musicista che conosce
tutte le possibili costruzioni a partire dalle sette note, penso più a un processo
inconscio, che è guidato, come un algoritmo guida una macchina computerizzata,
dallo spirito umano. Se assistiamo a una scena, dopo tanti anni di vita vissuta,
restringiamo il campo delle possibilità del suo sviluppo. E anche se la vita ci
sorprende sempre (a me, di sicuro) anche il fattore sorpresa rientra nelle
possibilità previste.
Per esempio, Antonio parte da Roma e va in Egitto. Cosa fa? Si mette con
Cleopatra, tanto per cominciare. E poi? La sua sfida a Roma non può che
concludersi con una sconfitta, e lui lo sa benissimo.
L'unica cosa che sorprende (grazie all'intercessione di Shakespeare, credo) è che
le sue ultime parole siano “muoio, Egitto, muoio”.
L'albero di natale
E ora, per concludere l'argomento “cos'è la vita” affrontiamo la decostruzione.
La mia esistenza, come tutte, è un ciclo. All'inizio ho costruito, per decenni. Il
meraviglioso decennio infantile dei sessanta (quello precedente non lo ricordo),
quello dei settanta della mia ricerca esistenziale, gli anni ottanta duri e maturi, e
poi i novanta, il fine secolomillennio infestato di illusioni perdute. Nel 2001 la
mia fase di crescita, e lo stallo, hanno curiosamente coinciso con la medesima fase
dell'umanità, a conferma che ho vissuto veramente la Storia (“il mondo al centro
di me!”).
Dopo aver creduto di poterla fare finita con la guerra, la fame, i disastri, ecco
nuove guerre, nuove crisi e nuovi disastri. Come se un velo avesse oscurato il
povero pianeta. Potrei parlare di vittoria di Satana, se ci credessi. Ma queste sono
cose risapute, prima o poi cambieranno.
La mia vita divenne piatta come un oceano realmente pacifico, e cominciai per
forza di cose a gestire la navigazione. Non che fosse molto peggio di prima, solo
un po' meno appassionante, e tutto sommato più consono all'età che avevo
raggiunto. Senonchè, e sempre per forza di cose, iniziai a spogliarmi di certi
orpelli, che quando corri, accumuli, sperperi, non ti rendi conto di avere addosso,
ma quando ti concentri profondamente sulla via che stai percorrendo, allora come
le zavorre ti pesano.
Uso una metafora, quella dell'albero di natale. L'albero è bello da fare e da mirare
quando è fatto. Non lo dico per me, ne ho sempre avuto orrore, ma è luogo
comune. Ho scoperto, nel lungo tramonto della mia vita, che è bello anche
disfarlo, l'albero. Anzi, forse è ancora più appagante.
Naturalmente tutte le feste, religiose e laiche, sono i primi festoni gabbati, e sono
incluse nel pacchetto. Le lucine, data la crisi, non dovrebbero mai neppure
essere accese.
La palla più grossa da dismettere è quella dell'amore. Non intendo l'amore come
sentimento, come energia della vita, quello che condividiamo con gli altri sotto
svariate forme, dall'innamoramento all'amicizia, dalla passione alla pietà filiale.
Mi riferisco all'ideale, a quell'insieme di costruzioni (precostituite fin dal
romanticismo europeo) che mette insieme i sogni (che son desideri), il colpo di
fulmine, la coppia, il sesso, la famiglia, la casa, l'economia domestica, la crescita
dei figli e tante altre cose, finchè non si sente il boom dell'esplosione...si, sono
stato anch'io vittima dell'amore romantico, e ho fatto tutti quei passi, cadendo a
ogni passo come quell'altro, quello che portava la croce.
Ora credo che ogni momento abbia un valore unico e a se stante, pur facendo
parte del tutto, che tutto comprende.
E che non si può dire, faccio un esempio, questa donna mi piace, tra qualche
decennio avremo pagato il mutuo, la casa sarà nostra e i ragazzi si laureeranno. E
saremo ancora più felici e contenti.
Una cosa alla volta sarebbe già un passo avanti.
Analogamente a queste forme di amore dirette ad altri esseri umani, c'è tutta una
letteratura (romantica) che riguarda gli ideali politici, l'amore per la patria, il
paese, il popolo come astrazione, partizioni dell'umanità che prediligiamo a vario
titolo. C'è anche chi ama i trenini elettrici.
Ps: l'impulso sessuale è duro a morire. Forse a cento anni, se ci arriverò, non lo
sentirò più. Ma considerarlo una specie di mistica dei poveri, o dei miserabili
(vedi squilibri demografici) è sicuramente eccessivo.
Lo stesso discorso l'ho riservato alla palla dell'odio, e di altri sentimenti negativi.
Dopo più di mezzo secolo di coinvolgimento nella politica, dal livello locale a
quello planetario, dopo avere visto (per sentito dire) crimini generalizzati e
reiterati, dove è la solita povera gente a soccombere, ho deciso di destinare ai
colpevoli non più la giusta riprovazione, ma qualcosa di peggio: l'indifferenza.
Sono infatti convinto che, molto oltre la fallibilissima giustizia umana, ne esista
un'altra, insita alla vita stessa, una specie di autoregolazione. Odiare i potenti della
terra per i loro crimini mi ha dato qualche sollievo, ma alla lunga finivo per
sentirmi pericolosamente vicino a quei mostri. Senza contare, come dice
Dragonball, che più lo colpisci, e più diventa potente (più lo diffami, e più è
votato).
Non è stato particolarmente complicato liberarmi delle palle colorate di denaro,
guadagno, lavoro, carriera (e precedentemente scuola), perchè non mi è mai
importato realmente di ciò che complessivamente possiamo definire posizione
sociale. Ho amato molto i lavori che ho fatto più a lungo, e particolarmente quello
per cui ho studiato, ho amato studiare e anche essere gratificato. Ma meno.
Anche in questo caso trovo che il proprio posto (ruolo) nel mondo, il dovere, il
diritto, la posizione, la retribuzione e tutto quel che ne consegue, andrebbero
valutate, queste palline, andrebbero vissute come fenomeni distinti, interrelati ma
non per forza di cose interdipendenti. Bisognerebbe porsi delle domande: è meglio
fare un lavoro che piace e guadagnare poco, o un lavoro di merda che arricchisce?
Meglio essere un manager che padroneggia a malapena il vocabolario, o un
laureato che pulisce un parco? Cose così.
Le palline legate alla retorica della gioventù, come i giochi, o anche i giochi per
adulti, le carte e i giochi di società, non sono stati un problema, perchè a me
lasciano il tempo che provano. Ho giocato per diversi anni, non lo nego, ma come
si dice, un bel gioco dura poco. E mi sento sempre giovane, la mia età mentale è
bloccata ai quindici anni. Molti possono testimoniare. E credo sarà così fino a che
mi rimbambirò, anzi forse sono già rimbambito.
Stesso discorso, ribaltato, vale per la vecchiaia, anch'essa minata da innumerevoli
miti. Ora che mi ci sono addentrato, al netto dei dolori cronici e del corpo che a
volte perde colpi (ma sono immune dalla performance) mi sembra un'età dell'oro,
dove si ha una comprensione delle cose che va oltre l'invischiamento con le
vicende mondane, una visione serena, profonda, lungimirante, e disincantata.
Tradizionalmente (o tipicamente, nel linguaggio tecnico) la vecchiaia, da non
confondere con l'invecchiamento, che comincia già nella pancia della mamma,
viene associata con malattia vs salute, e paura pro morte.
Niente di più confuso. Spiego il mio punto di vista: malattia e salute non sono
stati che si alternano, o addirittura si affermano; esistono sempre e
contemporaneamente nei nostri corpi, basta studiare anche solo un bignamino su
biologia o medicina. Ma qui è diverso, qui si favoleggia. Senza dubbio in età
avanzata aumentano i malesseri e i malfunzionamenti, già detto, il corpo si
affatica (si consuma) e insomma, il ciclo naturale si compie. Ma ho visto bambini
condannati a morte e centenari intatti. Quanto alla morte, certo che fa paura, ci
mancherebbe. Però un conto è la sana paura, che fa parte dell'irrinunciabile
repertorio umano, e altro è non accettare o negare quello che ci aspetta tutti, e
vivere male, vivere una finzione. Come nelle migliori favole possiamo dichiarare
che la morte non ci riguarda: quando succederà, non ci sarò.
Le arti minori sono le palline che cadono più facilmente. Posso citare come
esempio una delle mie prime passioni: i fumetti. Che adesso non si chiamano più
così, perchè bisogna periodicamente rinnovare la nomenclatura.
Ai miei tempi erano i fumetti, e divenni in breve un grande consumatore e un
collezionista prodigioso, considerato che avevo dieci o quindici anni. Dai fumetti
ho preso molto: l'introduzione alle grandi opere, perchè i fumetti pescavano da li,
Hugo o Dickens, tanto per dire, e alla fine ti spingevano verso gli originali. Poi,
un giorno, mi ritrovai con una stanza piena di albi (i giornaletti o giornalini) e
nessuna voglia di rileggerli ancora. Fu una svendita clamorosa.
Per chiudere il cerchio menziono una delle palline più recenti, anzi un grappolo: i
generi cinematografici minori. Non sarei più in grado di guardare un cartone, un
musical, un horror, un western...niente in contrario, ma non ci riuscirei, è più forte
di me. In questa particolare forma di iconoclastia minima posso ringraziare alcuni
maestri del killeraggio di genere, gente del calibro di Kubrick, Leone, Brooks,
Tarantino e altri...
Naturalmente faccio salve le storie, quelle mi interessano sempre, al di la della
forma.
Come addobbi presuntamente irrinunciabili, ho infine rinunciato a tutte le
macchine, tutti gli elettrodomestici, uno a uno, salvando solo il computer portatile,
collegato al telefono (come antenna), senza il quale non avrei un archivio (ho
disaddobbato anche tutto il cartaceo, oltre alla ostile plastica) e non potrei
scrivere, leggere, ecc. Da molto tempo vivo col minimo e ne sono felice.
Conosco già le obiezioni: la famiglia, il lavoro, l'auto...ho il vantaggio di non
dover più andare in giro tutto il giorno per il procacciamento, e le mie figlie adulte
sono sistemate (quanto al pennone, quello che si mette in cima, l'amore, ho già
detto) perciò ho potuto realizzare questo sogno, che condivido con l'umanità,
anche se l'umanità non lo sa.
Ma allora, si dirà, se abbatti tutto, cosa resta? Restano i pilastri imprescindibili di
fede (crederci sempre), pratica (vivere la realtà) e studio (voler sempre conoscere,
e se ci si diverte, è anche meglio).
In quei giorni aspettavo senza disperare che una donna mi chiamasse. Avevo
bisogno di una donna, ma non avevo bisogno del bisogno. Ormai ero giunto a
un punto in cui potevo fare a meno di tutto e soprattutto non potevo più
dipendere da nulla né restare attaccato al nulla che rappresentano le cose, e
anche le relazioni con le persone quando le carichiamo troppo, di troppi
significati che vanno persino oltre quella che è una pura e semplice, e magari
anche bella relazione umana. Così aspettavo questa chiamata, forse l'ultima?
Forse una chiamata che esisteva solo nella mia mente, perchè in realtà solo lì
esistevano le donne che avevo creato durante la mia esperienza di uomo in
questa vita, e non corrispondevano alle persone fisiche che erano state, che
erano e che sarebbero state. Io avevo inventato, ricreato, sublimato la realtà
ogni volta, costruendo storie che non coincidevano con la reale fottuta realtà
che è quella della vita biologica, degli animali (umani) che vivono, compiono
azioni corporali indispensabili allo scopo, che passano il tempo a fare cose, e
infine muoiono. Il mio mondo era diverso, era tutto particolare, originale,
unico, era il mio mondo, e sono sicuro che anche il vostro, quello di ognuno di
voi, lo è. Così aspetto questa chiamata, da un telefono coi fili staccati, o da una
versione moderna, un cellulare spento, senza carica, da una finestra murata
come un trompe l'oeil o da una porta chiusa dall'esterno. Da una voce muta. Da
un alfabeto inesistente. Un'attesa di godotiana memoria, un qualcuno che non
arriva, eppure atteso. Però invece nel mio mondo quel qualcuno, qualcosa, pur
inatteso arriva. E la chiamata, sempre arrivata, si rivela ogni volta sorprendente
e nello stesso tempo esattamente consona a come sarebbe dovuta essere, in
quella sorta di armonia universale che si può percepire esclusivamente nelle
profondità della propria vita, immersi nella solitudine, e magari in mezzo alla
natura, anziché in una scatola buia, o possibilmente in un sogno. E prima di
rompere l'incanto voglio pensare, voglio credere, che ancora e ancora arriverà
quell'attesa o falsamente attesa o inattesa chiamata, quel segnale che dice si, sei
vivo, sei vivo e sei degno di esserlo, sei giusto.
E non dev'essere una donna per forza.
Z: l'orgia continua
“Allora io prendevo fiato, esitavo, svuotavo la mente e alla fine dicevo: ecco le
mie profezie. Vladimir Majakovskij verso il 2150 tornerà di moda. James
Joyce, nel 2124, si reincarnerà in un bambino cinese. Thomas Mann diventerà
un farmacista ecuadoriano nel 2101. Marcel Proust entrerà in un lungo e
disperato oblio a partire dal 2033. Ezra Pound sparirà da alcune biblioteche
nel 2089. Vachel Lindsay diventerà un poeta di massa nel 2101. César Vallejo
verrà letto nei tunnel nel 2045. Jorge Luis Borges verrà letto nei tunnel nel
2045. Vicente Huidobro diventerà un poeta di massa nel 2045. Virginia Woolf
si reincarnerà in una narratrice argentina nel 2076. Louis-Ferdinand Céline
entrerà in purgatorio nel 2094. Paul Éluard diventerà un poeta di massa nel
2101. Metempsicosi. La poesia non scomparirà. Il suo non potere sarà visibile
in altro modo. Cesare Pavese diventerà il Santo Patrono dello Sguardo nel
2034. Pier Paolo Pasolini diventerà il Santo Patrono della Fuga nel 2100.
Giorgio Bassani uscirà dalla tomba nel 2167. Oliverio Girondo troverà il suo
posto come scrittore per ragazzi nel 2099. Roberto Arlt vedrà tutta la sua
opera sul grande schermo nel 2102. Adolfo Bioy Casares vedrà tutta la sua
opera sul grande schermo nel 2105. Arno Schmidt risorgerà dalle ceneri nel
2085. Franz Kafka sarà di nuovo letto in tutti i tunnel dell’America latina nel
2101. Witold Gombrowicz godrà di grande reputazione nei dintorni del Río de
la Plata verso il 2098. Paul Celan risorgerà dalle ceneri nel 2113. André
Breton risorgerà dagli specchi nel 2071. Max Jacob smetterà di essere letto,
cioè morirà il suo ultimo lettore, nel 2059. Nel 2059 chi leggerà Jean-Pierre
Duprey? Chi leggerà Gary Snyder? Chi leggerà Ilarie Voronca? Ecco cosa mi
domando. Chi leggerà Gilberte Dallas? Chi leggerà Rodolfo Wilcock? Chi
leggerà Alexandre Unik? Nicanor Parra, però, nel 2059 avrà una statua in
una piazza del Cile. Octavio Paz, nel 2020, avrà una statua in Messico.
Ernesto Cardenal, nel 2018, avrà una statua, non molto grande, in Nicaragua.
Ma tutte le statue volano via, per intervento divino o più comunemente per la
dinamite, come è successo alla statua di Heine. Perciò non confidiamo troppo
nelle statue. Carson McCullers, tuttavia, continuerà a essere letta anche nel
2100. Alejandra Pizarnik perderà la sua ultima lettrice nel 2100. Alfonsina
Storni si reincarnerà in un gatto o in un leone marino, non saprei precisarlo,
nel 2050. Il caso di Anton Čechov sarà un po’ diverso: si reincarnerà nel
2003, si reincarnerà nel 2010, si reincarnerà nel 2014. Alla fine ricomparirà
nel 2081. E poi mai più. Alice Sheldon diventerà una scrittrice di massa nel
2017. Alfonso Reyes sarà definitivamente assassinato nel 2058, ma in realtà
sarà Alfonso Reyes ad assassinare i suoi assassini. Marguerite Duras vivrà nel
sistema nervoso di migliaia di donne nel 2035. E la vocetta diceva che strano,
che strano, alcuni degli autori che nomini non li ho letti. Per esempio?,
domandavo io. Quell’Alice Sheldon, per dire, non ho idea di chi sia. Io ridevo.
Ridevo per un bel po’. Di cosa ridi?, diceva la vocetta. Di averti preso in
castagna, tu che sei così colta, rispondevo io. Colta, colta, proprio colta non lo
so, diceva lei …”
E poi penso che Pablo Neruda è stato avvelenato, una commissione di esperti
internazionali lo ha appena confermato. Così come Emile Zola, ma allora non
c'erano ancora le commissioni di esperti internazionali.
Penso a Lovecraft che gettò uno sguardo in un'altra dimensione, L'ombra calata
dal tempo, o a Saramago che immaginò una elezione dove votavano solo il 18%
degli aventi diritto (perlopiù schede bianche) e la democrazia scoppiava, oppure
una mattina in cui si svegliano tutti ciechi, come in quella valle di
Wells...insomma: quante storie ancora avrei potuto rispolverare...
Ringraziamenti a Jeff Sachs (non quello di Risvegli) e non ricordo più perchè...
Diamo i numeri
1984/1Q84
Il mondo di oggi, immaginato quasi 80 anni fa, e ambientato quasi 40 anni fa.
Le sole differenze sono il fatto che il potere non ha bisogno di enormi schermi
bidirezionali per controllarci, e che non è così pacchiano da mostrarsi come un
incrocio folkloristico tra Hitler e Stalin.
Murakami, il Nobel per la letteratura più mancato della storia, rielabora il
soggettino rititolando con un astuto escamotage (qu, oltre a somigliare alla cifra
9, vuol dire nove in giapponese) e gli da un tocco romantico (i protagonisti si
amano e si ritrovano in ogni differente dimensione. Così è svelata anche la
trama fantasy...). Quanto al potere, è rappresentato, sempre astutamente, da una
setta new age rivoluzionaria, il cui leader spirituale, oltre che carismatico
sembra possedere poteri paranormali...e così ecco svelato tutto!
Nel 1984 reale non succede un granchè, ma poteva. Un giovane e onesto politico
russo (per quanto può esserlo) subentrato ai sovietsauri nella genealogia
staleniana, parte con l'intenzione di cambiare l'Urss (e di conseguenza il
mondo). Ma, come quasi tutti quelli che vogliono cambiare il mondo, finisce
per fare peggio.
L'ottimismo? Forse in una delle dimensioni alternative di Murakami...
*
Filmografia da favola
Brian di Nazareth
El topo
Fahrenheit 451
Film
Frankenstein junior
Freaks
Freaks, spericolato e visionario film degli anni 30 diretto da uno che si chiama
come una pistola (Browning) ma non è un pistola, mette in scena il suggestivo
backstage di un circo, dove tutti sono esseri bizzarri o deformi, tranne la bella
Cleopatra, che in compenso e perfida e progetta di uccidere un piccolo clown che
fa l'elfo o il folletto, per ereditarne il denaro. Scoperta, viene orrendamente
mutilata dai compagni, in una notte di pioggia, e finisce come donna-gallina.
La condanna e l’esecuzione della donna da parte dei mostriciattoli (freaks) è
estremamente impressionante, e questo film è considerato un capolavoro del
genere, insuperabile, in quanto nessuno oggi potrebbe più girare quelle scene.
Il duo comico per eccellenza per una volta alle prese con un copione. Stannie e
Ollie si fingono in viaggio per ingannare le mogli e partecipare alla più idiota
delle goliardate, e poi...
La storia è incentrata su un doppio rapporto coniugale e sulla solidarietà tra i
due mariti che cercano di ingannare le mogli, e infine soccombono (spoiler!).
I sette samurai
I samurai sono sette, ma non sono nani, come ebbe a imparare Leone, che ne
fece tesoro.
La loro missione e liberare un villaggio di contadini dalla banda di predoni che
li opprime. E ci riescono. Magari funzionasse cosi anche la realtà.
Il Messaggio Dell'Autore è comunque il seguente: i contadini sono i veri eroi
(dice il capo dei samurai). Perchè i contadini rimarranno a lavorare la terra per
sfamare il popolo, mentre loro andranno a fare i mercenari per qualche altra
causa. Casomai. I sette casomai...
Rashomon, invece, è la storia di un solo samurai, ma ripreso da sette punti di
vista distinti...
I soliti ignoti
Wenders colloca gli angeli nella no man's land tra le due Berlino. Cosa può
succedere? Che uno di loro decide di tornare umano. Non una novità.
Invenzione strepitosa l'ex angelo caduto Falk/Colombo.
Gli angeli che vegliano su di noi sono affascinanti. Aggiungere che essi si
sentono tormentati per i destini umani cui assistono, e che vorrebbero
intervenire, partecipare. Si finisce per rivedere l'essenza umana attraverso
l'ultraterreno.
L'uso del bianco e nero alternato al colore è magistrale, e del resto Wenders era
nel periodo di massima ispirazione.
Il (grande) dittatore
Il film. Uno che si prende gioco di Hitler mentre quello sta invadendo l'Europa
(e per quanto se ne sapeva allora, il mondo intero) e di Mussolini (peccato
manchi il nipponico) è puro genio, e puro rischio, che infatti pagherà.
Hitler fu eletto dal popolo, e sia Roosevelt che Stalin che Churchill gli
strizzavano l'occhiolino all'inizio. Chissà se si fosse comportato “bene”...la
lezione di Charlot è che fascismo e guerra sono dentro casa. Ma anche
pace&amore.
Quanto al prezzo pagato da Chaplin per le sue simpatie operaie (Tempi
moderni) in un paese ferocemente antisindacalista e ancora schiavista, o
presunte socialiste (basta essere contro Hitler per diventare sospetti) in un paese
ferocemente anticomunista (vedi sopra), pochi ricordano che dopo la guerra fu
ostracizzato, fino alla cacciata dal paese che aveva contribuito a fare grande.
Hollywood infatti nasce dalla United Artists (fondata da Chaplin, Griffith,
Fairbanks e Pickford) e diventa la spina dorsale della colonizzazione culturale
americana.
Se ne va a morire in Svizzera, il re del cinema, come un altro grande, Polanski
(ancora vivo però) il quale era andato a pestare un'altra merda americana,
quella del puritanesimo, avendo avuto rapporti sessuali con una minorenne
(spacciatasi per maggiorenne, va detto) e condannato da un tribunale. Ma
scontata la pena, avendo saputo che il giudice avrebbe continuato a perseguirlo,
via dal paese della morale. Ed esilio in un paese forse veramente libero. Risate.
Curioso notare il filo che lega questi geni del cinema in una specie di catena:
anche Welles, che aveva avuto contatti con Chaplin, e Kubrick, che ne aveva
avuti con Welles, si autoesiliano in Europa a causa di censure e soprusi che i
veri artisti non tollerano. Quelli di regime invece si, a volte con entusiasmo (il
quarantesimo presidente di quel paese era un attore di western di serie b, ma
sapeva ripetere a meraviglia la parte che gli ordinavano).
Tornando a Charlot, lui che si fingeva ebreo per dare tutto il suo sostegno a quei
perseguitati, fu uno dei pochi “intellettuali” a prendere posizione contro il
massacro degli innocenti. Come eravamo messi!?
Il settimo sigillo
La casa de papel è la serie che spacca, la serie serie che batte anche gli anglo.
Un uomo geniale organizza nientemeno che la rapina alla zecca di stato
spagnola, e lo fa non solo per i soldi (miliardi! Come spenderli?) ma per dare
una dimostrazione di forza (ostinata e contraria) al “sistema”! Il vecchio
sistema, chi se lo ricordava più? La banda si compone di elementi di grande
presenza scenica, ognuno con un nome di città. Purtroppo Casalpusterlengo era
già preso da un'altra serie.
Il divertimento e il mistero sono assicurati. Non svelo il finale, ma certo che con
tutti quei soldi, come faranno a spenderli?
E poi, bella ciao!
Prima scena. Due bambine giocano con le bambole. Si legano per tutta la vita,
l'una geniale e irrequieta, l'altra riflessiva fino all'introversione e futura
scrittrice. Passano gli anni dalla fine della guerra fino a oggi. L'amica geniale
scompare, letteralmente, e alla scrittrice sorge il dubbio di essere lei l'amica
geniale.
Straziante e straniante come le due gemelle virtuali inglobino nella loro
simbiosi gran parte del paese (Italia) e del corso della Storia. Ferrante,
chiunque sia (un po' Manzoni, un po' Morante, per me) merita il tributo
massimo.
Comunque, il romanzo italiano del duemila, tradotto in venti lingue almeno.
Mica ciceri.
La corazzata Potemkin
La cagata pazzesca, è in realtà un capolavoro assoluto, e Villaggio/Fantozzi lo
sapeva benissimo. L'epica lotta del popolo per liberarsi dalla tirannide, ecc. ecc.
Brian DePalma che rifà la scena della scalinata, che ha folgorato migliaia di
registi. Gli attori che non sono attori. La vita.
Eisenstein si rivela al mondo, e ci lascerà, morendo giovane (toh, anche lui!) il
folgorante Que viva Mexico.
Tutte belle rivoluzioni.
Peccato, poi...
La dolce vita
Giornalista calato a Roma dalla provincia vive giorni e notti dissolute tra il
belmondo (non JeanPaul) e la plebe. Finale interno notte: passerella col mambo
di Puente e le piume dei cuscini in controluce. Finale esterno giorno, alba
spiaggia: qual è il senso della vita? Basta chiedere a Dante. Alighieri, non
Cruciani. Anche se...
Grande affresco della Roma e dell'Italia che furono. Un amen. Fellini stella
mondiale. Pasolini consulente. Mastroianni attore simbolo del cinema.
Variazione sul tema: il diario di un diabetico.
Per gli americani otto e mezzo (io) per gli europei (noi) la dolce vita.
Ladri di biciclette
Il film più premiato, dice la locandina. Non c'è che dire, se sfondi a Hollywood
puoi campare di rendita. Il fatto è che l'omino a cui hanno rubato la bici e il suo
figlioletto fregnone annunciano la data di scadenza di Hollywood e la nuova
stella che sorge: Cinecittà, neorealismo, scuole nazionali.
Ma detto oggi, a chi può importare?
*
La ricotta
Metropolis
Novecento
Pulp fiction
*
Roma città aperta
Fa il paio con Ladri di biciclette. Solo che racconta la liberazione di Roma, con
veri partigiani, veri soldati e veri nazisti e americani (era appena successo).
Pellicola troppo carica (cattivi cattivi e buoni buoni) ma giustificata da guerra e
occupazione, dalla maestria di Rossellini, e da attori enormi come Magnani e
Fabrizi (...)
Uccellacci e uccellini
Se oggi dicessi a dei ggiovani che una volta uscì un film coi titoli di testa cantati
da Domenico Modugno, recitanti che: Alfredo Bini produceva, Pierpaolo
Pasolini dirigeva, Totò e Ninetto interpretavano (senza far ridere), Ennio
Morricone musicava, ecc., un film che trattava della vita di San Francesco e
della morte di Palmiro Togliatti...ci crederebbero?
*
2001 odissea nello spazio
Una missione parte alla volta di Giove, o di Saturno (differenze libro/film) alla
ricerca del misterioso monolite che invia segnali, lo stesso ritrovato sulla luna e
che, durante la preistoria, aveva risvegliato le scimmie a una vita più eretta (e
carnivora). Purtroppo si mette di mezzo il computer impazzito, e alla fine
l'ultimo astronauta superstite giunge a destinazione e...beh, se si vuole capire
bisogna leggere il libro di Clarke che sta alla base del film.
Tutti i seguiti ignobili di 2001 (Kubrick non c'entra minimamente) e le
macchine assassine, si sprecano. C'è scelta.
Però Blade runner, nella variante macchina antropomorfa, non è male.
E “Matrix”? Chiedere a Ğig ett, e prepararsi a una risposta lunghissima e
articolatissima.
Sigla finale
*
Aida
La principessa Aida, rapita dagli Egizi agli Etiopi, sta per essere liberata da un
blitz di suo padre, senonchè si è innamorata proprio di Radames, che viene
nominato comandante delle truppe per respingere l'invasore...un bell'inizio, non
c'è che dire.
Poi la trama si confonde con quella di Giulietta e Romeo, o Romeo e Giulietta.
I giovani Capuleti e Montecchi muoiono d'amore insieme, fra trucchi orditi in
abbondanza, ma senza faraoni e piramidi.
La stessa vicenda, gia sfruttata nel Nabucco, ma con gli ebrei, si ripete
(presumibilmente senza amanti segreti) nel blitz delle forze speciali israeliane a
Entebbe, del 1976.
Da menzionare l'Inno delle nazioni, che Toscanini andava a suonare in giro per
il mondo durante la seconda guerra mondiale, assemblando gli inni nazionali e
le arie suaccennate; il climax finale era costituito dal colpo gobbo dell'inno
americano e dell'Internazionale alternati!
Mack the knife cantata da Satchmo è impagabile. E il vecchio Berti Brecht che
lotta tutta la vita contro i suoi stessi mecenati, è un Mackie Messer anche lui.
Vista in un teatro di legno di Berlino est, un teatro che lui gestiva, un anno
prima della caduta del muro.
Dicesi di ogni opera di poco valore; ma va da se (e va per tre).
Lo schiaccianoci
Miles smiles
Questa fiaba non la conosce nessuno, perchè è la mia storia personale, resa
fiabesca dalla realtà, che com'è noto, supera abbondantemente la fantasia.
Non l'ho mai raccontata perchè è difficile, difficile da rendere e da comprendere,
poiché il linguaggio del filo conduttore di questa storia non è fatto di parole,
ma di suoni. Pertanto interpretabili e, a seconda dell'interpretazione,
difficilmente credibili. Ma non esiste un metodo scientifico di decodifica.
Abbiamo accoppiato certi significati a musiche celebri: le prime quattro note
della Quinta di Beethoven sono considerate universalmente “la morte che bussa
alla porta”. La marcia di Mendelsohn è diventata la marcia nuziale ufficiale, e
nessuno si sogna di schiodarla da li. Persino il motivetto degli auguri di
compleanno è stato codificato, e anzi la leggenda vuole che si debba rispettare
(ergo, pagare) il copyright, ma il gran narratore Elio ha sfatato la bufala.
Tornando alla mia storia, proverò a raccontarla cercando di essere chiaro,
comprensibile, e sforzandomi di avanzare radente alla realtà; è un tentativo,
perchè la tastiera mi porterebbe ad allontanarmi.
Ero un quindicenne come tanti. Come tanti, ebbi delle epifanie, a quell'età.
Ascoltavo il rock, erano gli anni dell'esplosione del rock. Questa musica, come
altri vettori di cultura popolare, adagio e subdolamente mi condusse verso altre
forme musicali più difficili, ma anche più interessati: a partire dai parenti del
rock, il jazz, il blues, il folk (la musica popolare angloamericana) e infine alla
musica “classica”, vale a dire la sinfonica e, in casi rari, la lirica. Devo
ringraziare, per la mia introduzione alla musica “alta” (se non altro sono alte le
pile di spartiti, non certo i budget) artisti molto disinvolti, che erano poco più
vecchi di me. In alcuni concerti ascoltai Keith Emerson che non solo suonava
Mussorgskj e Copland, ma citava Bach (mutuato da Dylan!), Chaikovskj,
Sibelius, Monk, Lewis e molti altri. Ian Anderson suonava Bach anche lui, su
un flauto (ma non di grondaia). Alcuni gruppi si facevano accompagnare da
orchestre sinfoniche, e nacquero nientemeno che le opere rock.
Anche il cinema fece la sua parte. Stanley Kubrick è responsabile del più
abbagliante risveglio che sperimentai (insieme ad altri artisti minori, Rivera,
Riva, Domingo e Bonimba) perchè nei suoi film si suonavano brani
immortali
di Strauss, Ligeti, Beethoven, Rossini, Elgar, Brown, a volte arrangiati da un (')
artista geniale, che prima si chiamava Walter Carlos e poi Wendy Carlos.
Queste musiche cominciarono ad aprirmi il cervello come un apriscatole,
insieme a un'infinità di altri suoni che ingurgitavo da onnivoro poliassuntore.
Finchè qualche tempo dopo incontrai un tipo di musica, e di suono, del tutto
particolare.
Già mi ero imbattuto nel jazz, quello classico. Mio padre aveva una collezione
di dischi passepartout (così come i libri. Non esistendo ancora supporti per
conservare i film, certi giorni andavamo in due cinema di seguito) e alcuni
trattavano di jazz, cosicchè conoscevo già il re Satchmo, o Duke, o Count, e via
tutta la nobiltà. Ricordo il refrain di Walkin, di Miles Davis, una sonorità che
sembrava venire dal vento, dal vuoto, dal buio, e volare verso il cielo.
Fu proprio la musica di Miles, o per meglio dire della scuola che aveva
inaugurato, che mi colpì in certe notti. Accadde di notte perchè ero militare, e
mi toccavano dei turni di guardia. Non immaginavo che avrei passato altre notti
sveglio, a lavorare per quasi cinquant'anni. All'epoca esistevano un paio di
canali tv e un paio radio (tutti nazionali e statali, ovvio) e la notte (“ma la
notte...”) e solo la notte anziché trasmettere le solite canzonette e pubblicità
c'erano i diggei che mettevano su rock, jazz, classica e altre prelibatezze. Se
non eri ricco non avevi altre chances per sentire la musica “difficile”. Sicchè
iniziai a sentire questi suoni per me inauditi, a parte qualche eco, il già fu Jimi
Hendrix e poco altro; spesso ricorreva il nome di Miles Davis, oppure di gruppi
che poi scoprii essere dei suoi figliocci: Weather report, Headhunters, Return to
forever, Mahavishnu e altri. Quel suono mi parlava, mi risvegliava nuove
epifanie, e tutto questo mi spingeva verso la ricerca di qualcosa che non
conoscevo ancora. Naturalmente quella musica non comunicava significati
intellegibili, non aveva testi come le canzoni, niente slogan né manifesti
programmatici. Suono nudo e puro.
Il fenomeno continuò a presentarsi, come un promemoria universale
personalizzato. Comprai tutti i dischi di Miles e figli (ormai guadagnavo un lauto
stipendio). L'eco delle epifanie veniva amplificato dagli ascolti, scoprii Monk,
Bird, Trane...mi iscrissi a una scuola di musica e la musica era quella. Una sera
mi chiamarono, ero al bar che arrotondavo dando una mano, e il mio insegnate
mi trascinò sul palco dove stava suonando un'orchestra fantastica, mi indicò gli
strumenti e mi fece suonare. Watermellon man di Herbie Hancock.
E un giorno mi trovai di fronte a una rivelazione. Erano passati dieci anni
dall'esordio epifanico, avevo venticinque anni e in tutto quel tempo avevo
sperimentato una serie spropositata di cose, eventi, incontri, meditazioni
profonde...troppe per tentare un elenco. Quel giorno venni messo di fronte a una
pergamena, a ripetere un mantra. Benchè mi sembrasse una cosa folle, provai,
per diverse ragioni.
La prima era che quelle persone che mi avevano invitato erano degne di
massimo rispetto e fiducia.
La seconda era che, a supporto delle loro sorprendenti teorie, che mi si
rivelarono come buddismo, fornirono delle letture di un maestro che loro
chiamavano Sensei. E queste letture mi sorpresero ancora di più, perchè era
come se riassumessero tutto il senso della mia ricerca di quei dieci anni, nonché
il senso che volevo dare alla mia esistenza.
La terza era che questi giovani amici musicisti che mi avevano introdotto al
buddismo erano stati introdotti da
tre musicisti americani che vivevano in Italia,
loro da altri musicisti americani e...
...in cima alla catena c'erano Herbie Hancock, Wayne Shorter e Buster
Williams.
Due figli di Miles e un figliastro.
Poco dopo Miles tornò sulle scene dopo un lungo periodo (e comunque avevo
sentito buona parte dei suoi eredi) e potei ascoltarlo molte volte. In una
occasione successe un fatto inconcepibile. Per fortuna ho un amico che può
testimoniare. Un'auto entrò sul prato dello stadio (!) e andò dietro al palco a
caricare il gruppo per portarli in albergo. L'auto fendette il mare di folla che
defluiva e, arrivata alla mia altezza un finestrino si abbassò e una mano ne uscì
per stringere la mia, e solo la mia. Come allora, non ho parole.
La mia vita decollò per un viaggio fantastico che dura ancora oggi. E non ho
rimpianti. E...
“Negli anni '60 Herbie Hancock si trovava sul palco a suonare il piano nel
quintetto di Miles Davis.
A un certo punto, sbagliò un accordo.
Per lui era un disastro e si sentì come se avesse rovinato l'intero concerto.
Tuttavia, Herbie racconta:
«Miles si ferma per una frazione di secondo, quindi suona delle note che non so
come, per miracolo, fanno sembrare giusto il mio accordo.
In quell'attimo, credo proprio di essere rimasto letteralmente a bocca aperta.
Che razza di stregoneria era? Da lì Miles spiccò il volo, sfoderando un assolo
che portò il brano in una direzione nuova.
Mi ci vollero anni per capire cos'era successo sul palco in quel momento.
Non appena suonato l'accordo, l'avevo giudicato: nella mia mente era
l'accordo "sbagliato".
Miles invece non l'aveva giudicato: gli era capitato di sentire quel suono e
immediatamente l'aveva raccolto come una sfida: "Come posso inquadrare
quell'accordo in ciò che stiamo facendo?"»”
La storia immortale degli schiavi che anelano ad affrancarsi resta impressa nel
firmamento cinemusicale. Anche se, per dirla tutta, Black lives matter sta a
dimostrare che c'e ancora un sacco di lavoro da fare.
I fratelli transfughi russi (come migliaia) Gerschwin trasfigurano nella vicenda
degli schiavi neri tutte le schiavitù e gli oppressi della Storia. E Satchmo, Miles,
e generazioni di musicisti si cimenteranno con classici intramontabili, grazie a
questa partitura.
Quale opera di Dylan può essere presa come esemplare, dal momento che è
fatta di attimi, di poesia, di voce roca, di protesta negata e verità
espropriate...allora prendiamo questo tour che comincia un giorno di tanti anni
fa, costretto come da famiglie da mantenere (siano benedette) e che finirà un
altro giorno, nel futuro, forse con la sua morte, credo.
Il disco dei Beatles, l'ultimo capolavoro, inaugura il concept, imitato poi dagli
Stones e parodiato da Zappa. Gli Who se ne usciranno con l'opera rock.
Difficile parlarne. Ascoltarlo e sufficiente.
I quattro “baronetti” sono ancora, e forse per sempre, inarrivabili.
Purtroppo, dovrei aggiungere.
*
Storia di un impiegato
Opera maledetta, perchè dice la verità, che è indicibile. Il terrorismo non era
soluzione, vero. Ma neppure stare a guardare, o nemmeno quello, come oggi.
Insomma, Faber è immerso nella retorica e lontano dalla musica alta di Creuza.
E pagherà questa simpatia con mesi di prigionia.
Si, certo, che c'entra il bandito sardo col governo italiano? Ah ah ah! Così anche
quegli altri sono morti per caso, quelli che rompevano le palle in America,
contro la guerra? Certo, ah ah ah!
Tommy
Opera rock, disco, concerto, film, icona. Townsend un grande autore, Entwistle
un grande arrangiatore, Daltrey un grande attore, oltre che cantante. Moon un
grande casinaro. Sono gli Who, i chi, eterni ragazzi, non illuminati come i
Beatles, non ricchi e famosi come gli Stones. Ma erano e sono ancora incazzati.
In senso buono. Parlarono a nome di una generazione (teenage wasteland!) che
li ricambia con attenzione.
In cerca di produttori
Sponsorizzazione
Pubblicità progresso: date 9 euri al mese a chi vi capita a tiro, e starete meglio.
Beh...e allora?
Una cosa bella delle favole è l'ottimismo finale: e tutti vissero felici e contenti. Fin
troppo ridondante, non ho mai capito perchè non bastasse felici o, al limite,
contenti. Ma più è, meglio è!
E quindi vado a concludere, con l'inevitabile morale della favola.
È venuto il tempo di fermarsi e non uccidere più altri esseri umani, altri animali,
la natura stessa.
È venuto il tempo di smetterla di tollerare il peggio solo perchè è consolidato.
È venuto il tempo...
È venuto il tempo?
Foto di copertina dell'autore
World patchwork (up on a wall) 2020
Roberto Masuello
masuellor@gmail.com
sito: masuellor.wordpress.com