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LUPUS IN TABULA

Il tramonto dell'accidente

Roberto Masuello, con la collaborazione (involontaria) di oltre cento


miliardi di umani

Contenuti

Ah, e...perchè?

Aladino e la sua lampada (tre desideri sono pochi)


Amleto: la banalità del bene e il linguaggio dei sogni
L'Arcobaleno di Madiba
L'Asino d'oro (giornalaio di successo)
Banerjee, Duflo: la fame non è acqua
Bebop a Lula
Le benevole Eumenidi
Biancaneve imprenditrice: precarii, marginali, carcerati, migranti, schiavi,
h?
Il bicchiere mezzo e basta
Il cantico di Natale
Cappuccetto rotto
Cent'anni di solitudine e confusione
Che: le armi difensive (e offensive) del capitalismo
Chi? Chi?? Bio!
Cicuta per tutti!
Complotti
Don: anticapitalismo, ecoambientalismo e pace
Edipo: mistimigranti e s/terminio
Eduardo: le vene si richiudono, la memoria del fuoco rimane
Ei fu Mattia Pascal
Era/Eva: la maledizione del frutto velenoso
Faust (boia)
F'inzioni
I fratelli Karamazov e le sorelle Materassi
Greta e Hansel: terraformazione e geoingegneria?
Johan e le tre violenze
Ma, alouf (L'insulto)
Il maestro e il Margarita
Il malato immaginato
Md YouNous: per un pugno di dollari
Mikhail lascia il trono
I miserabbili
Moby Duck
Nemesich
Noam e il Nobel
On/off
Peter Pan incontra Dorian Gray
Pinocchio, il burattino di plastica
Pollicino e i social media (fakebook)
PPP e la morte
Il processo kafkiano
I promessi spesi
Quer pasticciaccio
Il raccolto dell'uomo e il secolo beve
La ricerca del tempo perduto
Roger Rabbit per sempre
Scimmiotto: il capitalismo è figlio degli imperi
Lo scorpione e la rana: l'impero capitalista è omicida/suicida (visti dagli
altri)
Siti, riti e miti (Kolosimo)
Smigrare
The Gandhis
Triste solitario y final
Il vecchio in mare
Verità?
I versetti assennati
Viaggio al terminal della notte
La vita e le vite di scarto
La vita è un dejavu
Z, l'orgia continua
Diamo i numeri
Filmografia da favola
Sigla finale
In cerca di produttori
Sponsorizzazione
Beh, e...allora?

*
Svolgimento

Ah, e...perchè?
Cioè, perchè scrivere un (altro) libro?
Non lo so, sinceramente. Un impulso forte mi costringe a scrivere, pur
sapendo che magari sono l'unico lettore. Ma un lettore è meglio di
nessun lettore...
E poi, l'idea di scrivere dello stato del mondo usando la forma favolistica
mi è irresistibile.
Perciò...

Aladino e la sua lampada (tre desideri sono pochi)

Occorre una rivisitazione dei desideri aladiniani.


Infatti, se Aladino avesse chiesto al genio della lampada la
salute, i soldi e, mettiamo, un harem di donne (come farebbe il
maschio medio) gli sarebbe mancato qualcosa, a lungo andare.
Per esempio, una volta satollo di sesso, di ogni acquisto immaginabile, e
godendo di ottima salute, Alad (o Dino?) comincerebbe a sentire la
mancanza di qualcos'altro, che non ha. Gli amici, per esempio.
Chi ha molti soldi ha molti amici, ma non sono amicizie scevre dal sospetto
che l'amicizia sia interessata e che voglia impossessarsi di qualcosa...è
inevitabile.
Come riconoscere allora un vero amico? È quasi impossibile, perchè se è
vero che pecunia non olet, possiamo altresì affermare che pecunia sordida.
E le donne (dell'harem) non aiutano.
Questo mi ricorda una vecchia barzelletta (secondo me le barzellette sono
imparentate con le fiabe) nella quale Adamo appare insoddisfatto, pur
avendo al fianco Eva. Al che Dio gli chiede: “perchè non sei contento? Mi
avevi chiesto una cosa bella, di colore rosa, adesso ce l'hai; cosa vuoi
ancora?”.
“Dio, non mi sono saputo spiegare, intendevo la Gazzetta dello
sport...” Se il nostro Al fosse un tipo dal cuore ancora più tenero,
oltre agli amici, o maggiormente, desidererebbe avere dei figli.
Ma avere figli in un harem, con decine o centinaia di donne
bellissime in concorrenza tra loro è complicato e, probabilmente,
renderebbe la vita impossibile al figlio, per non parlare del padre
e della madre...
Che altro desiderio represso potrebbe assalire il povero Al? Potrebbe
addirittura mancargli un lavoro (non ridete, quando si va in pensione
succede); e fare l'investitore del proprio patrimonio infinito non vale, sia
perchè l'Islam proibisce l'usura, sia perchè non è valido, è troppo facile.
E poi, che lavoro è?
Si può continuare, ma la morale (della favola) è che il capitalismo,
cioè l'occidente, non concede la soddisfazione, la pienezza, la pace.
È come la morte, un sistema di vita che impone di consumare, quindi
produrre, quindi gettare via, fino alla fine. Di tutto.
Non a caso Aladino, e con ogni probabilità il suo genio (Jinn) erano
orientali.

Amleto: la banalità del bene e il linguaggio dei sogni

Amleto e il Chisciotte, secondo arguterrimi intelletti, aprono le porte


della modernità. Qualunque cosa voglia dire.
Amleto, si sa, è il mistero laico dell'occidentalità.
La storia, presa dalla Storia, narra di un principe che apprende dal
fantasma del padre che a ucciderlo è stato il fratello (lo zio di Amleto) il
quale ne ha preso il posto. E desidera vendetta, il padre. Amleto, coevo
di Don Chisciotte, si trova nella posizione tipica della modernità (ora si
può dire archetipa) cioè nella complessità che non lascia scampo, al
contrario della linearità della Storia che aveva preceduto di millenni
quel crocevia; crocevia simile a quello edipico, che però fu
rappresentato come inconscio, e poi riscoperto, non a caso, nella
modernità come dato di fatto.
Amleto, qui sta il cuore del racconto, non sa che fare, è indeciso tra
l'azione pura, cioè uccidere lo zio usurpatore, oppure lasciare che il
mondo impazzito segua il suo corso. Essere o non essere. Ma l'azione
pura, e scontata, non è più sufficiente: appartiene al passato, che sta
passando in quel preciso momento storico, insieme a tutto il ciarpame
cavalleresco, per dirla alla Chisciotte. Anche l'indifferenza sarebbe
intollerabile, sarebbe codardia.
Dunque Amleto ha un guizzo, lo stesso chisciottiano della follia, ma più
calcolato: inventa il teatro verità. Mette in scena la morte del padre, che
scatena il conflitto con lo zio e...ma non vogliamo mica spoilerare?
C'è anche la mamma di Amleto, una Giocasta differita che inasprisce
vieppiù il conflitto.
Infine, le cose vanno come vanno.
La banalità del bene consiste nella condanna assoluta del quieto vivere,
e persino della saggezza contenuta nel buon vivere quotidiano. Amleto
chiude la porta alla possibilità di continuare facendo finta di niente, ma
anche ai possibili compromessi, non solo alla vigliaccheria ma anche a
eventuali negoziati di pace.Ma anche...(chi è che diceva sempre “ma
anche”?) insomma, il principe ci condanna tutti, noi moderni, e
qualcuno tignoso aggiungerebbe postmoderni, con le nostre
consuetudini, le pratiche corrette, gli algoritmi. Ci manda un pò tutti a
quel paese, l'Affanculistan. Ed esclude il rischio di cacciarsi in un
impasse come quelli nei quali siamo impantanati (un classico: l'unione
europea) e dove tutto viene ridotto a protocollo, strada segnata,
orizzonte dipinto.
Lui sceglie il linguaggio dei sogni.
Recita il monologo: morire, dormire, forse sognare...e quali sogni?
La domanda sulla natura dei sogni, nel parallelo mondo morte/sonno è
forse retorica. L'essenziale è che la morte, come la vita, è sogno (anche
Calderon è coevo di Shakespeare e Cervantes). Per cui Amleto ha
l'intuizione di usare proprio quel linguaggio, attraverso il teatro e le
emozioni che suscita, per infrangere la spessa barriera del senso (stop
making sense!) dell'ovvio che avvolge la vita, non solo quella di corte.
L'ovvio che alcuni (come Ronald Laing) sfuggirono attraverso il
manicomio. Amleto si finge pazzo. Un pò lo è. Poi si rianima coi
teatranti e mette in scena la realtà indicibile, che si può dire col
linguaggio del sogno. Amleto è regista, come il suo padre di scena,
Shakespeare (il figlio che William perse si chiamava Hamnet,
variazione fonetica del nome danese).

Usare il linguaggio dei sogni in luogo del codice della realtà è idea
antica. Fa parte della saggezza buddista. Scriveva Nichiren
Daishonin nel 1279:

“Gli esseri viventi nei nove mondi dormono, in un’ignoranza che


accompagna ogni momento della loro vita, sprofondati nel sogno di
nascita e morte, dimentichi della condizione sveglia
dell’illuminazione originale, attaccandosi alle idee di giusto e
sbagliato del sogno, e passando da un’oscurità all’altra. Per questa
ragione il Tathagata entra in questo regno dei sogni di nascita e
morte nel quale abitiamo, parla lo stesso linguaggio di sogno degli
esseri viventi con il loro modo di pensare alla rovescia, li chiama a se
nei loro sogni e parla loro della distinzione fra bene e male così come
essa esiste nei sogni; in questo modo, poco a poco, li conduce e li
guida.
Perciò possiamo dire che, a partire dall’insegnamento del Tripitaka
fino a tutto l’insegnamento specifico, gli otto insegnamenti esposti nei
quarantadue anni della vita di predicazione del Budda sono in ogni
caso espedienti che parlano del bene e del male nel regno dei sogni.”

[Nichiren Daishonin, Raccolta degli scritti, IBISG]

Amleto, come il Tathagata (Budda) parla con la lingua del sogno,


l'espediente che occorre per condurre alla verità, scartando ciò che si usa
per rivestire il reale, per renderlo sopportabile.
Nella prima, orribile traduzione che mi capita su Wikipedia (attuale moloch
della realtà, dunque dell'ovvio, per quanto necessario) ecco la fine del
monologo:

“Così la coscienza ci rende tutti codardi, e il colore ingenito della


risoluzione rimane offuscato dalla pallida ombra del pensiero; così le
imprese di maggior polso e momento si sviano dal loro corso naturale,
e perdono il nome di azioni.”

[William Shakespeare, Amleto, Bompiani]

Dunque, questa la scelta di Amleto. E la tragedia.


Resta Orazio, il testimone richiesto dallo stesso Amleto, perchè la sua
storia venga ricordata. Come il padre aveva chiesto a lui.
E resta, sullo sfondo, Fortebraccio che, conquistata la Scandinavia
peninsulare e le terre baltiche, può annettersi la Danimarca, col
significativo consenso del principe.
L'ombra del potere non scompare mai.

L'Arcobaleno di Madiba
Favola più bella difficile da trovare, nel nostro travagliato mondo.
Cosa ha fatto Nelson in Africa lo sanno tutti. Cosa ha fatto dentro di se,
probabilmente nessuno.
Chi ha passato ventisette anni di carcere duro e poi ha perdonato? Ha
considerato tutti uguali, amici e nemici, e li ha pacificati. Ha creato un
nuovo paese. Lo ha governato.
Si, anche Gandhi fece qualcosa di simile, ma i suoi anni di galera non
furono continuativi, dalla giovinezza alla vecchiaia. E poi lui aveva già
perdonato tutto, prima.
Oggi il Sudafrica non suscita la stessa speranza di quegli anni.
Ma ha fatto rivivere Patrice, Ken, Steve, e milioni di altri eroi
sconosciuti e, fin'allora, sconfitti.
L'esempio di quell'uomo resterà finchè questo pianeta avrà vita.

L'Asino d'oro (giornalaio di successo)

Questa antica fabula viene rimessa in mezzo perchè al giorno d'oggi


vedo all'intorno troppi asini d'oro.
Le metamorfosi, di Apuleio, di primo acchito mi fa pensare a Kafka,
il che potrebbe rappresentare forse un complimento per entrambi
questi sommi sognatori.
Ma, al contrario dell'impiegato intrappolato nel corpo di un enorme
scarafaggio, la trasformazione in asino di Lucio crea tutt'altra
situazione. L'asino cerca di dimostrare non già di non essere un
mostro, una bestia, ma di essere un uomo di un certo livello. Ho
voluto ribaltare questa fabula, immaginando un asino trasformato in
un uomo, o una donna, di un certo livello.
Di buona famiglia, o magari anche trovatelli ma con le giuste affiliazioni,
questi personaggi appaiono come i professori (morti) che vengono
preferiti agli asini (vivi). Sono rispettati da tutti, come i falsi santi e
saggi del Sutra del loto.
Finiscono per fare carriera in politica, passando attraverso la cultura alta
(l'industria culturale che crea prodotti ad hoc) o più agevolmente
attraverso quelli che chiamiamo media (pronuncia midia, naturalmente).
Il loro compito è obbedire sempre a chi gli dice cosa dire e cosa fare.
Possono diffamare, infamare, distorcere la verità, reiterare falsità fino
all'inverosimile, distruggere persone, cose, organizzazioni. Se c'è da
affossare un uomo o un'idea, un movimento civile, persino un partito, se
glielo ordinano lo fanno, senza indugio.
Dai comunisti che mangiano i bambini alla bambina svedese invasata,
non ci sono limiti ai loro mandati. La bomba atomica di Saddam?
Nessuno può toglierci il diritto allo shopping? La nipote di Mubarak?
Putin cattivo e Zelensky eroe? E il Papa che osa metterlo in dubbio
sbaglia? Lo stesso Papa che ha diritto allo spazio per la messa sulle reti
nazionali, ogni domenica mattina? È davvero difficile mandar giù tutta
questa roba. Parlo di me, e forse di voi.
Per loro è uno scherzo. Per loro nulla importa. Possono vestirsi da
operai, da astronauti, fingersi poliziotti che combattono il male,
frequentare potenti arabi senza farsi problemi di coscienza, senza
che gli scappi da ridere, senza fare il gestaccio liberatorio del
portiere dell'Argentina.
Loro sono fatti così.
*

Banerjee, Duflo: la fame non è acqua

Storia di un'eccezione.
La coppia Banerjee e Duflo, insieme ad altri, “vinse” il Nobel per la
pace del 2019, l'ultimo prima della catastrofe planetaria, e con un
trattato prettamente economico. Come si spiega?
Il rapporto di questi ricercatori sul campo, il campo della fame,
spiegava con inedita chiarezza la facilità e insieme l'estrema difficoltà di
sconfiggere la fame. Bastano infatti pochi soldi, qualche progetto e
molta collaborazione per risollevare popoli e zone depresse. Ma
proprio su questo ultimo punto si infrangono i progetti, e i soldi
investiti, pochi o tanti, si perdono nel mare magno della bontà
occidentale.
Le genti diverse tra loro tendono a non collaborare, spesso a non capirsi
neppure, e di conseguenza a non capire che cosa stanno facendo.
Per esempio, gli autori illustrano come basti un semplice ed economico
accorgimento, la rete da letto impregnata di antizanzare, per salvare molte
vite umane; o addirittura un accorgimento praticamente gratuito: le
soluzioni fisiologiche a base di componenti naturali.
Ebbene, si perde tutto nella confusione, nella Babele delle
incomprensioni. E a chi dice che bastano 9 euro al mese
per...lasciamo perdere.
Ma qual è la morale che gli intrepidi ricercatori propongono? Semplice, ma
complessa anche questa: responsabilizzare le genti, renderle autonome,
come lo siamo noi. Almeno in parte.
Si potrebbe fare. Senza magia.

Bebop a Lula
Luiz Inacio, lo dico a scanso di equivoci, è uno dei miei eroi.
Fabula: nasce povero, come tutti i brasiliani eccezionali, sembrerebbe;
infatti da bambino è a Santos, dove un altro bambino comincia a stupire
il mondo, e poi nella capitale dello stato, SaoPaulo. Lascia la scuola per
fare il lustrascarpe (un classico) perchè la numerosa famiglia di migranti
economici (come si dice oggi) ha bisogno del contributo di tutti. Poi,
mentre fa l'operaio in fabbrica, recupera gli studi alle serali. Diventa
sindacalista, che in regime di dittatura militare non è molto salutare. Ma
ha voglia di lottare, di fare la Storia, per il riscatto dei poveri come lui.
Si sposa e la moglie muore di parto, insieme al bambino. Cosa manca a
questa storia per essere un classico?
Poi c'è la carriera politica di Lula. Fonda il suo stesso partito (dei
lavoratori) con un manipolo di coraggiosi oppositori della dittatura, tra
cui l'eroe dell'Amazonia, Chico Mendes (altra favola, ma dal finale
amaro).
Parlamentare, sfidante di diversi presidenti in democrazia (riconquistata
anche grazie a lui) fino alla vittoria, a inizio millennio. Due mandati e
otto anni di grandi riforme, che continuano con la sua successora (a suo
tempo combattente torturata dai militari) Djilma.
Praticamente è una rivoluzione. Seguita, come spesso accade, da una
controrivoluzione.
La rivoluzione si chiama “bolsa”: un provvedimento, già varato dal
predecessore Cardoso, che eroga denaro a chi non ha reddito, bilanciando il
prestito con scuola, formazione, lavoro. Più rivoluzione di questa, quale ci
può essere (quella cinese, d'accordo, ma è passato più di mezzo secolo, e la
Cina è molto avanti al Brasile adesso)? Lula e Djilma rendono la bolsa più
accessibile, la povertà si dimezza.
È un risultato accostabile al microcredito di Yunus (impropriamente, lo
so, ma scrivo favole...) però qui i numeri sono imponenti...e tra i poveri
ci sono anche gli abitanti dell'Amazonia, vessati da secoli dai
disboscatori, che uccidono chiunque si metta di mezzo, dall'iconico
Chico fino a milioni di “indios” (umiliati anche nella denominazione)
dei quali non conosceremo mai l'entità della tragedia, che fa parte della
tragedia americana e coloniale.
Il Capitale non tollera chi si mette di mezzo.
Infatti tutto questo ben di dio viene interrotto da una ignobile operazione
politico giudiziaria dal banale nome di lava jato, che richiama l'insegna di
una lavanderia a gettone di un mondo distopico e barbaramente corrotto.
Un testimone, che ha potuto incontrare Lula in carcere (un carcere fatto
costruire da Lula per i politici!) racconta di un uomo mai piegato, come
tutti gli illustri rivoluzionari che come lui sono stati imprigionati. Se no che
rivoluzionari sarebbero?
Il testimone in questione è un importante sociologo italiano. Un'altra
sociologa in visita fa innamorare di nuovo Lula, e poi se lo sposa.
La montatura giudiziaria tiene Lula fermo (e Djilma destituita) poco più
di un anno, che, ripetiamolo, non lo piega, pur privato della famiglia e
degli interessi, infamato in tutto il globo come corrotto e corruttore,
persino da infimi programmi tv e film. Finchè la cospirazione
internazionale (chi c'è dietro gli intrallazzatori brasiliani?) viene
dismessa, perchè l'insediamento di un militare neonazista e naturoclasta
soddisfa tutte le esigenze della finanza internazionale.
E, al termine della farsa, Lula torna a governare il paese più verde
del mondo, quello che ci fornisce l'ossigeno senza il quale non
potremmo vivere.
Ma noi continuiamo a baloccarci con i film holliwudiani che cantano la
gioia dello shopping e delle sparatorie. O le serie, anche non
holliwudiane, come O mecanismo, che racconta la falsità della trappola
tesa a Lula.
El tiempo hablarà, ricordava Goya.

Le benevole Eumenidi

Le Eumenidi, spiriti protettrici, shoten zenjin, del pantheon greco,


rivivono in questo prodigioso resoconto di guerra.
La discesa agli inferi di Max Aue è una agghiacciante trasposizione
dell’assurdità del nazismo nell’individualità di un solo uomo. Il quale
peraltro nell’inferno si trova a suo agio.
Il giovane, arrestato in una retata notturna e sorpreso in un atto
omosessuale (uno dei rarissimi tratti umani del personaggio) viene
consigliato dall’amico di tutta la vita di arruolarsi con lui nelle SS,
l’unica soluzione che garantisca l’immunità perpetua. Max accetta e si
ritrova in alcuni dei peggiori teatri dell’orrore del secolo, tra i quali la
battaglia di Stalingrado (meno lunga dell’assedio di Leningrado ma
più cruenta) e l’allestimento dei campi di sterminio. Indifferente a
ogni cattiveria e crimine, attraversa tutta la guerra incolume e infine
torna a casa e riprende il lavoro della tradizione familiare, occupandosi
di tessuti e vivendo come un rispettabile borghese.
Nonostante mi venga da ribattezzarlo Forest “nazi” Gump, molti
rimandi sembrano andare al potente mood del Voyage di Celine, anche
se probabilmente Littell jr, autore di questo bestseller, prenderebbe le
distanze, così come farebbe Houellebecq, altro esponente
dell'agghiacciante iperrealismo europeo.

Biancaneve imprenditrice: precarii, marginali, carcerati, migranti, schiavi,


h?

Biancaneve eredita le proprietà della matrigna, la cattiva. Decide quindi


di invertire la rotta e far fruttare la sua terra. Altro che aspettare principi
azzurri, che poi va a finire sempre in tribunale per comunioni di beni
improvvide, alimenti, e affini.
Naturalmente Bianca, ragazza ingenua e campagnola, non capisce una
mazza di economia, ma essendo determinata e munita di idee chiare,
cerca una consulenza. Non può rivolgersi ai Grimm, perchè detengono il
copyright e poi sono tremendamente suscettibili (what a grim!). Allora
opta per Andersen, si, quello della Sirenetta. Del resto Propp, col suo
schema, sarebbe stato troppo impegnativo, oltre che impegnato.
In sostanza il danese le fece codesto discorso: Se lei vuole mettere a frutto
la sua terra, senza capitale e senza esperienza, l'unica risorsa che può
sfruttare è la manodopera. Nel senso di a basso costo. Io non lo farei mai,
intendiamoci, ma mettendomi nei suoi panni, se vuole portare avanti
l'impresa con successo, non ha altre alternative.
Bianca chiese allora come poteva reperire manodopera a basso costo.
Le ripeto, ribadì Andersen, che io mai ho fatto né farei niente di simile,
ma trovandosi in tale frangente si può ricorrere al vasto mercato umano
che la politica del lavoro ha generato...
All'espressione interrogativa della giovane donna (non certo oca, ma
neppure aquila) Andersen seguitò spiegando: allora, sempre fuor di
giudizio, al precariato ha già pensato la società del lavoro, dal momento
che ha creato masse di disoccupati, sottoccupati, occupabili e, appunto,
precari. Costoro si trovano facilmente e a condizioni favorevoli, basta
maltrattarli un pò, legarli a contratti iniqui, brevi e soprattutto facilmente
rescindibili. Siccome essi sono abituati a essere presi e lasciati, a passare
dal lavoro al non lavoro, per non parlare del famigerato lavoro nero, non
avrà difficoltà a trovarne quanti ne vuole, a tenerli o cambiarli a
piacimento, purchè si ricordi sempre di trattarli male.
Passiamo al capitolo marginali, o emarginati, a voler dar loro un ruolo
attivo. Sono persone che sono uscite dal mondo del lavoro, se mai ci
sono entrate. Li si vedono a ogni angolo di strada, basta adescarli, dar
loro una ripulita e promettergli il paradiso, che corrisponde all'inferno,
per loro. Occorre in tal caso un robusto servizio di vigilanza attiva,
insomma dei buttadentro, nonché dei tienidentro; indispensabile se si fa
ricorso ai più lucrosi fra questi lavoratori: gli scarcerati e i migranti.
Molte leggi ne agevolano l'impiego, è però giocoforza ridurli in
schiavitù, particolarmente gli stranieri, i più ricattabili, coi metodi che
oramai conoscono anche i bambini.
Da qui otteniamo il prodotto più pregiato, cioè la servitù, che è una
definizione del codice borghese che equivale alla schiavitù, abolita come
sappiamo da tempo. Ma ciò che non entra dalla porta entra dalla finestra,
o, come dicono sempre i borghesi più scientificamente acculturati, se non
dalla bocca dal culo.
Per concludere, le menzionerò una categoria che si può nominare
solo con un accenno, qui useremo una lettera, perchè ogni termine
evocato rischierebbe di pregiudicarne la fattura. Sono quelle
persone, per così dire, che hanno delle difficoltà...degli
impedimenti...delle menomazioni fisiche, che li rendono vulnerabili
e innominabili, ma tanto, tanto utili alla causa. Credo che mi abbia
inteso, possono non sentirci o non vederci bene, non usare le gambe o le
braccia, o essere particolarmente bassi di statura...
*

Il bicchiere mezzo e basta

Spesso viene posto il quesito sul bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Ho
una risposta che trovo geniale io stesso, che pure non sono un genio.
Io vedo solo un mezzo bicchiere, e se ho sete mi bevo quello e me lo
faccio bastare, grato della bevutina. A volte nella vita bisogna imparare
ad accontentarsi, mi diceva mio padre. O a rassegnarsi, come mi disse
una volta uno dei miei padri putativi.
Ma voglio fare degli esempi illustri.
Il Maestro Kung (o Kong, latinizzato Confucio) fu costretto più volte
alla fuga, all'esilio e ad altre condanne, per la sua audace azione politica.
Si narra che passò più di ottanta giorni (senza giro del mondo, bensì in
un deserto) consumando soli nove pasti (non ne conosciamo la...portata,
però!). Chissà se aveva coscienza del fatto che il suo insegnamento
avrebbe costituito la base della più longeva, popolata e a tratti più
potente civiltà terrestre. Ma secondo me un sentore ce l'aveva. Perciò
subì tutto il subibile, per la sua idea di società.
Nello stesso periodo storico fecero altrettanto i suoi colleghi laici greci e
i meno laici, i budda.
Un esempio più vicino a noi è quello del “dottore”, il reverendo Martin
Luther King. Uomo letteralmente di pace, nel senso di pacifico e quasi
pacioso, quando gli fu prospettato di guidare un movimento per la pace e
la giustizia,
sufficientemente rivoluzionario da attirare la violenza su di sé, ci ragionò
a lungo, perchè non si sentiva portato per quella parte, era un
predicatore, ma pur sempre cristiano (“porgi l'altra guancia”) e giunse
infine alla determinazione che accettare di guidare il movimento per i
diritti civili avrebbe significato morire giovane e di morte violenta (alla
stessa conclusione giunse il suo fratello parallelo, ovvero musulmano e
non così pacifico, Malcolm). E accettò. E morì a quarant'anni.
Si potrebbero tirare in ballo il karma e le scimmie di 2001 di Kubrick, solo
per esaurire la lettera k, ma sai ke “mezzo pieno”...

Il cantico di Natale
La favola natalizia dickensiana è uno dei due o tre volumi di narrativa più
venduti della storia (insieme a un altro paio di Dickens) e merita tutto il suo
successo. Anche se in genere preferiamo la versione disneyana. E i Jethro
Tull.
Come è risaputo, lo Scrooge di Dickens è l'incarnazione dell'avidità,
ossessivamente attaccato al denaro e ai possedimenti e affamatore
seriale.
Ma basta una serie di incubi anticipatori del fantasy, o seguiti del
gotico (dipende da come intendiamo prequel o sequel, pretzel o
seltzer) in sostanza della prospettiva della morte per far riflettere il
vegliardo sulla propria vita (misera!). In questo c'è tutto lo spirito
progressista di un artista spinto dall'altruismo e dall'esperienza
(Dickens era stato un orfano operaio).
E ancora una volta, come con Hugo e altri illuminati, ci viene da
mormorare “magari fosse”!
Però se è vero che ha inventato il natale, inteso come la festa
sciagurata, non so se lo perdòno.

Cappuccetto rotto

Vorrei sgombrare il campo dalla becera trivialità di certi fumetti porno, che
io, beninteso, non leggo; me lo ha riferito un amico...
Per rotto intendo il volgare rotto le...in quanto la favola reiterata diventa
inesorabilmente un tormentone, anche per i piccoli, non solo per i
genitori/cherghivers (eh?) costretti a leggerla all'infinito, o raccontarla.
Posso testimoniare che proprio raccontando più volte Cappuccetto a mia
figlia piccola, capitò, per noia e/o esasperazione, di riadattarla, così che
giungemmo alle versioni più assurde: a velocità duplicata/triplicata, slow
motion, punk, a ruoli invertiti, shakerata, ska e non ricordo oltre.
Questa fiaba presenta delle particolarità interessanti (se no non
sarebbe durata tanto), e secondo la mia impressione i Grimm bros, o
chi per loro, innestarono messaggi subliminali notevoli. Che ne
avessero consapevolezza o meno.
Vediamo i miei sospetti: Capp (se manda il mantello rosso in lavanderia
e ne mette uno scuro diventa CappCiok) è una bambina, che per quanto
in grado di coprire distanze considerevoli nella boscaglia (non
dimentichiamo che all'epoca contadini operai e artigiani potevano
iniziare a lavorare in età da scuola elementare) non era adatta a correre i
rischi che tale attraversata poteva comportare, come l'archetipo lupo
cattivo. Eppure ce la mandavano, o ce la lasciavano andare. Perchè?
Quanto al lupo, sgombriamo subito il campo: il canide non è cattivo, è
semplicemente un carnivoro predatore che, se ha molta fame, attacca e si
mangia anche gli umani. Che possa essere così astuto da indossare le vesti
della nonna e
parlare come lei, beh, questo mi pare già un pochino troppo...le abilità dei
cani addestrati dall'uomo possono essere notevoli, da rintracciare una
persona a...trovargli la droga addosso, per esempio. Ma un lupo, senza il
domesticamento secolare o millenario, senza mutazioni, senza input (tipo
salti la corda, mangi il pesce) come può ordire piani complessi, che vanno
al di là di un agguato nascosto da una frasca?
Eppure la storia va così: Capp trova il lupo travestito da nonna che se la
vuole mangiare. Quindi abbiamo umano buono (persino virginale, non so
se collegate...) (beata...bella...) e una bestia, feroce, immonda, ecc. (e pure
astuta).
Sulla bambina virginale beata e magari anche bella non avrei avuto
granchè da dire, fino alla comparsa sulla ribalta della prodigiosa Greta.
Lei si non avrebbe paura ad affrontare la foresta e neppure il lupo,
novella Francesca. Ma le bimbe contemporanee dei Grimm non
potevano neppure fiatare, altro che sit in.
Torniamo al lupo. Sulla retorica del lupo cattivo interviene un
grande poeta e filosofo, che scrive:

“Deve mangiare viole del pensiero


l’avvoltoio? Dallo sciacallo, che cosa
pretendete?
Che muti pelo? E dal
lupo? Deve da sé
cavarsi i denti?
Che cosa non vi garba
nei commissari politici e nei pontefici?
Che cosa idioti vi incanta, perdendo
biancheria sullo schermo bugiardo?
Chi cuce al generale
la striscia di sangue sui
pantaloni? Chi trancia il
cappone all’usuraio? Chi
fieramente si appende la
croce di latta sull’ombelico
brontolante? Chi intasca la
mancia, la moneta d’argento,
l’obolo del silenzio? Son molti
i derubati, pochi i
ladri; chi li
applaude allora,
chi
li decora e distingue,
chi è avido di
menzogna?
Nello specchio guardatevi:
vigliacchi che scansate la
pena della verità, avversi
ad imparare e che il
pensiero ai lupi rimettete,
l’anello al naso è il vostro gioiello
piú caro, nessun inganno è
abbastanza cretino, nessuna
consolazione abbastanza a buon prezzo,
ogni ricatto troppo blando è per voi.
Pecore, a voi sorelle son le cornacchie,
se a voi le confronto.
Voi vi accecate
a vicenda.
Regna invece
tra i lupi
fraternità.
Vanno essi
in branchi.
Siano lodati i banditi.
Alla violenza voi li
invitate, vi buttate sopra
il pigro letto
dell’ubbidienza. Tra i
guaiti ancora mentite.
Sbranati
volete essere. Voi
non lo mutate il mondo.”

[Hans Enzenberger, Difesa dei lupi contro le pecore, Feltrinelli]

Non male come arringa, vero? Il lupo non è intrinsecamente cattivo, non
più delle pecore, è solo più pericoloso per noi, nella misura in cui
possiamo rappresentare cibo per lui. Ma non ci nutriamo noi delle
pecore (se necessario anche del lupo) e dunque non siamo cattivi anche
noi? Dipende dal punto di vista. L'umanità e il pianeta li stiamo
distruggendo noi, comunque, non i lupi.
Nel finale giunge il deus ex machina, un cacciatore (lo stesso che aveva
avvertito del pericolo l'avventata nonché avventurosa figliola fulva) che
spara al lupo ed estrae dalle sue viscere (miracolosamente intatte) nonna
e nipote. Che dire?
Cosa rappresenta il cacciatore? È il cavaliere, il giustiziere, John Wayne
che “spara il lupo” e salva la minore dalle fauci aguzzerrime della
nonnapaludata, che l'avean testè ingurgitata.
Come interpretare questa vicenda? Quale lettura? Ne abbiamo uno
stock. Partendo dalle meno criptiche, il grande immaginifico Rodari cita
Propp (uno degli studiosi di storie più accaniti, o allupati) nel suo
leggere in queste storie per l'infanzia i residuati (i simulacri) dei riti
perduti (avevo scritto miti, anziché riti, e non a sproposito). Ciò che
resta dell'arcaico passato “inconscio” collettivo.
Una nota su Rodari: gran narratore e fabulatore al servizio
dell'educazione, dalle invenzioni mirabili, come le favole in tavola
(febol on tebol, diremmo oggi, con aria saputa) cioè il rimescolamento
delle carte con le figure approppriate (propp così, quattro p!) o
l'intrusione dell'elicottero nel bosco di Cappy...
Seguendo questa falsariga (perchè falsa?) possiamo approdare alla
lettura biblica che, secondo un intellettuale lisergico del secolo scorso
sta alla base di tutte le storie occidentali moderne (la applicava nel
frangente ai western di Leone...). In questo caso il cacciatore è
sicuramente il salvatore (ma il padre o il figlio?), la bimba è
evidentemente la Madonna (che era adolescente quando partorì il re dei
re), mentre mister Wolf non può essere che lo spirito santo, dal
momento che riesce a partorire senza sesso...
Un'altra lettura, più laica, diciamo marxista-lacaniana, giusto per seguire
l'altro fenomeno Ğigett, indicherebbe nel cacciatore il capitalista-
imperialista armato contro il lupo proletario e comunista (se mangia i
bambini...) mentre la compagna Cappuccetto, essendo rossa...vabbè, no, mi
sono incartato...
Fugacemente, la psicanalisi classica vedrebbe il ritorno nell'utero della
giovane (ma la nonna no, è troppo vecchia per quelle cose!) e perdipiù
rientra in utero sublimato nel corpo maschile (doppio misto!) fino
all'arrivo del cattivissimo Super Es che riporta all'ordine...e si potrebbe
continuare.
Si potrebbe allargare il discorso alle altre fiabe, con visioni e letture
postmoderne mica da ridere, come un esempio che mi suggerì un amico,
purtroppo prematuramente scomparso:
Ce n'è, Rentola? La ragazza dalla scarpa sola viene defraudata da
sosia con lo stesso numero di piede. Una grande azienda sponsorizza
l'evento.
È solo un esempio, ma non si può usare perchè nomina un marchio e lo
mette in cattiva luce. Trovatene voi altri, a casa.

Cent'anni di solitudine e confusione


Allora, ci sono questi due fratelli, Arcadio e Aureliano, che
continuano a rinascere, nel paese di Macondo, finche passato un
secolo il paese scompare.
Il plot è notevole, avvince fino alla fine, con tutti i colpi di scena
del realismo magico.
C'è solo un problema: nonostante la mia memoria fotografica
(cinquant'anni fa era ottima) e lo schema che aggiornavo in prima
pagina, ho finito per perdermi tra tutti gli Aureliani e Arcadii...

Che: le armi difensive (e offensive) del capitalismo

Chiamiamolo Ernesto. Come tutti gli uomini che hanno vissuto tante
vite, gli hanno attribuito diversi nomi.
Che cosa ha fatto Ernesto per passare alla storia? Dopo aver studiato
medicina ed essere partito per vedere il mondo (o quantomeno il suo:
l'America latina) osservando le condizioni in cui versavano le genti,
come un Budda, un Cristo, un Gandhi, decise che avrebbe dedicato la
sua vita a cercare di liberarle dalla sofferenza e dalla schiavitù,
seguendo non so quanto consapevolmente le tracce del Libertador.
Chi non ha coscienza dell'esistenza che vivono le popolazioni americane, e
in generale coloniali (notizia: il colonialismo non è morto) possono
continuare tranquillamente a pensare che va tutto bene e che questi violenti
facinorosi disturbano la quiete (pubblica).
Io sono stato, volente o nolente, in alcuni dei luoghi “visitati” da
Ernesto. In particolare a Vallegrande, dove terminò al sua ultima
rivoluzione, e anche la sua vita.
Eravamo un gruppo autoorganizzato che portava aiuti ai bambini
boliviani sotto forma di formazione (a volte non si può evitare la
ridondanza) e di strumenti per poter acquisire capacità da spendere
socialmente. Ricordo che l'ultimo giorno cantammo delle canzoni
insieme e io proposi alcuni canti rivoluzionari, tra cui quello di
Cochabamba di Victor Jara e Hasta siempre comandante.
Con mia grande sorpresa al ritorno a casa uno dei miei compagni mi
riferì che i nostri ospiti boliviani si erano risentiti, perchè tra quei
bambini potevano esserci dei nipoti dei soldati uccisi dai rivoluzionari.
Avevano aggiunto che non era il caso di continuare a pensare a quello
che è stato, ormai il continente americano era quello che era e chi vuol
esser lieto sia...(Pinochet era ancora vivo all'epoca). Non riuscivo a
credere che un bambino potesse tornare a casa e piangere, magari
insieme a tutta la famiglia, perchè il nonno soldato dell'esercito fascista
boliviano era morto sparando a dei guerriglieri che volevano liberare il
suo popolo dal giogo, per poi consolarsi che comunque tutto andava
bene adesso, per fortuna.
Quei bambini vestivano invariabilmente pantaloncini e magliette da
calcio, infradito, e venivano al doposcuola dove eravamo ospiti più che
altro perchè c'era da mangiare. Ma non posso mettere in dubbio i loro
sentimenti per il nonno.
Questa era una favolaccia.

Ma qui vogliamo provare a capire perchè un giovane (principe?) con una


professione invidiabile decide di andare a combattere in tutti i paesi
dove qualcuno cerca di ribellarsi all'oppressione. Lui aveva visto i
poveri, i diseredati, e aveva visto con quali armi gli imperi li tenevano
sottomessi. E per questo, per la sua reazione a questo, divenne un nemico
pubblico e fu in fine ucciso.
Non fu l'unico in quella stagione.
Una volta scrissi un'altra storia su un'incontro, con ogni probabilità mai
avvenuto ma “testimoniato” da un fotomontaggio, tra lui e John Lennon.
Sono convinto, come tanti altri (Gore Vidal, per dirne uno, americano e
imparentato coi Kennedy) che chi dava fastidio alla macchina
bellicommerciale prima o poi moriva in circostanze misteriose.
Tutti possono visionare in internet le immagini dell'unico filmato di 26
secondi (girato da un passante, tal Zapruder!) che riprende l'omicidio di
John Kennedy. Non è difficile notare che il presidente viene colpito
prima da dietro e poi di fronte. Il movimento del corpo è inequivocabile.
La fisica non è un'opinione.
Insomma, il re è nudo, ma non si dice. Come Calandrino, che si crede
invisibile, e gli amici lo assecondano. Ma la realtà è implacabile.
Si può, volendo, ricostruire il castello di falsità creato allora e perpetuato
per sessanta anni. Il cinquantesimo anniversario di quella ignobiltà
passò come nulla fosse, in un mondo pubblico dove si celebrano i cento
anni dalla nascita del pop corn, o si applaude ai funerali. Ma chi si
ribella è un violento, e viene ucciso.
Ernesto conobbe le armi che il capitalismo usava per tenere
incatenata la sua gente, le sostanze (nei due sensi, denaro e oppio
dei popoli), le conseguenti malattie sociali (era un medico), il lavoro
come ricatto, sempre poco, duro e sporco. Ma bisogna mantenere la
famiglia. E ancora non aveva visto l'avvento dei devices, allora
esisteva solo la tv. La menzogna veniva distribuita gratuitamente,
ogni giorno.
Lui raccolse un vasto seguito. Guerrieri, non soldati, giacchè non
combattevano per i soldi ma per la libertà, quella altrui più che altro.
E vide l'arma definitiva, l'inferno, la guerra. Fece guerra alla guerra e
nella guerra si muore.
A riprova che la miglior difesa è l'attacco, Zio Sam Scrooge da solo ha
massacrato in guerra (senza contare perciò i pregressi nativi, schiavi
africani, messicani, ecc.) milioni e milioni di persone senza colpa.
Morti causati dalla lotta americana al comunismo/terrorismo/(oggi
putinismo) ecc...
Rivoluzione russa, migliaia di morti (appoggio esterno)
Guerra mondiale, incalcolabili, pur da liberatori (atomiche sul Giappone
evitabili)
Cina (aiuti al Kuomingtang) migliaia di morti
Hellas, migliaia di morti
Pilipinas, migliaia di morti
Guerra di Corea, milioni di morti
Misr/Egypt, migliaia di morti
Italia, migliaia di morti (“terrorismo”)
Iran, milioni di morti
Guerra del Vietnam, Laos, Cambodia, milioni di morti
Guatemala, migliaia di morti
Syria, migliaia di morti
Indonesia, milioni di morti
Lebanon, migliaia di morti
Congo, migliaia di morti
Dominicana, migliaia di morti
Cuba, migliaia di morti
Brasil, migliaia di morti
Iraq, milioni di morti
Bolivia, migliaia di morti
Chile e Argentina, migliaia di morti
Guerra Afghanistan, milioni di morti
Salvador, migliaia di morti
Nicaragua, migliaia di morti
Grenada, migliaia di morti
Panama, migliaia di morti
Guerra in Kuwait, migliaia di morti
Haiti, migliaia di morti
Somalia, migliaia di morti
Guerra Jugoslavja, migliaia di morti
Palestina, migliaia di morti
Guerra di Syria, migliaia di morti
Libia, migliaia di morti
Guerra Ukraina, migliaia di morti
Yemen, migliaia di morti
Venezuela e Colombia, migliaia di morti
Mexico, droga e traffici umani, numero di morti sconosciuto
Totale 20 milioni di morti circa in 80 anni

Colonna sonora: Masters of war di Dylan sulle note di Star spangled banner
(arrangiamento di Leon Russell)

Chi? Chi?? Bio!

Il debito che abbiamo con Boccaccio, al netto del boccaccesco che


imperversò a Cinecittà, è immenso. L'autentico canzoniere del rinascimento
è il suo.
Una miriade di personaggio indimenticabili. Tra quelli che ho
comunque dimenticato non c'è Chichibio, che probabilmente deve
anche al suo strambo nome la facilità di memoria. Chichibio è un
cuoco, e un antesignano di quel personaggio contemporaneo
assolutamente fuori luogo che è lo chef.
Lungi da me dare addosso agli chef di alto rang, quelli che appaiono
in tv: lo fanno già da soli.
Piuttosto Chichibio, per assonanza, mi fa pensare a quell'enorme
mercato alternativo (uno dei tanti) che antepone a ogni nome il prefisso
bio. È certo che il biologico è una delle vie di salvezza per i poveri
umani, anche io lo ricerco in diversi modi, dalla zappa al mercato
virtuale. Ma mi vengono in mente giusto due o tre problemini legati al
bio. Il primo è quello della certificazione: chi garantisce che il prodotto
bio è bio? Non certo io! Un altro problema è quello dell'Ovvio che
uccide, che ricorre nelle fiabe e che il grande Ronald Laing condannò
come il male assoluto, e mica solo lui. Per cui dire bio pare sempre più
vicino a dire dio. E poi ci sarebbe anche un effetto collaterale: in un
mondo dove si produce bio, che ne è di tutte quelle produzioni non bio
che magari, e sottolineo magari, sono ottime?
La risposta infallibile resta il fai da te: magari anche sul terrazzo.
*

Cicuta per tutti!

Offre lui, Sokrates...ma diversamente da Atene -300, in Westworld 2000 la cicuta


non si beve più. Per non parlare di seppuku (harakiri), autodafè e altre amenità.
Ora persino le dimissioni stanno diventando un tabù. Non c'è crimine che tenga.
Per dire: alcuni politici italiani, detenuti (chissà come mai!) per avere rubato allo
stato 200 milioni accertati uno, e per aver favoreggiato la latitanza del capo della
mafia l'altro, percepiscono da dietro le sbarre o dalla villetta di convalescenza
7000 euro di vitalizio uno, e 9000 l'altro. Vitalizio vuol dire che per tutta la vita
noi pagheremo la vita da nababbo di un ladro e di un complice di omicidi e stragi.
E non mi ricordo se quando muoiono (spero presto, che Dio li abbia in gloria e
noi si risparmi) il vitalizio passa agli eredi per l'eternità. Che dire? Nemmeno nei
b movies polizieschi siculamericani si vedono simili affronti alla realtà.
A fronte di ciò, una favola talmente brutta che mi sento solo di accennarla: Julian
Assange (un altro Nobel impossibile) rischia da molti anni di essere estradato
negli Usa per essere rinchiuso a vita in carcere. Qual è il suo crimine così
efferato? Aver informato l'umanità di alcuni crimini di guerra commessi dalla
grande potenza e dai suoi alleati. Si, e per farlo ha dovuto sottrarre informazioni
da internet. Ma anche quello dei 7000 euro non sapeva quel che si faceva, o forse
lo faceva per il partito...e quello dei 9000 non sapeva, equivoco fu...
Insomma, fate voi.

Complotti

(Se questo non è un


COMPLOTTO!
...allora quale lo è?)
Se avrete la pazienza di seguirmi vi illustrerò questo complotto mondiale, forse il
complotto definitivo.
Sono nato nel dopoguerra, con l'umanità scossa da una guerra che aveva
riguardato più o meno direttamente quasi tutti i due miliardi di umani,
cancellandone in pochi anni almeno il tre-quattro per cento.
La vita stava cambiando rapidamente. Il mostruoso sviluppo industriale partito
dall'Europa (causa ed effetto di guerra) stava trasformando l'uomo da
decimillenario coltivatore stanziale a essere urbano sedentario ma,
paradossalmente, ad altissima mobilità. Solo che a muoverlo ora non era più la
trazione animale ma quella delle macchine.
Potrà riecheggiare come uno dei tanti luoghi comuni, ma il detto “una volta qui
era tutta campagna”, non fu mai più reale di così, in nessuna parte del mondo. A
una velocità straordinaria tutto ciò che non si trasformava in città sovraffollata era
o coltivazione intensiva o deserto. Ci si accanisce anche sui polmoni del pianeta,
le foreste. La respirazione diventa un problema...
Ma veniamo alla mia testimonianza diretta, che è l'unica cosa che posso certificare
come vera.
Fin da piccolo ho fatto parte di un gruppo. Spesso sono appartenuto a gruppi,
fino a oggi.
Il primo è stato, naturalmente (e per mia fortuna) la famiglia.
Poi ci furono gli amici, nel cortile, la piazza, il quartiere o il paese, se non il
cuore della città...
Fino all'approdo alla socialità ufficiale: la scuola.
Ma a legare i bambini o i ragazzi erano naturalmente i giochi, che fossero
passatempi (o hobbies, da istituzionalizzati), oppure sports che creavano
aggregazione attiva, cioè con la pratica, o passiva, col cosiddetto tifo.
Personalmente ho percorso un'infinità di queste strade: il calcio, primo in ordine di
tempo ed energia, gli sport “di gamba”, il nuoto (anche la pallanuoto, meno il
vogare, per via di una seria insolazione), e ciclismo, basket, volley, tennis, sport
invernali, e così via. La nostra grande scherma mi ha riguardato solo come
spettatore.
Più avanti, nell'adolescenza, iniziò quella particolare forma di aggregazione
binaria che chiamiamo amore. Ma per arrivarci bisognava percorrere altri sentieri,
spesso impervi, come il ballo.
La musica, a partire dalla mia generazione, assunse un significato e un valore di
massa, senza precedenti. La musica rappresentava per noi giovani se non tutto,
quasi tutto. Era il veicolo di un intrico di messaggi e codici.
Con l'età i luoghi di aggregazione si allargano a quelli consolidati dei “vecchi”: il
bar, il ristorante, il pub, ecc. Dove spesso si scambiava informazione,
commentando tv e giornali.
L'amore, tra parentesi, sfocia nel sesso, e prima o poi nella creazione di una nuova
famiglia.
Altri importanti incontri spesso avvenivano presso istituzioni universali, come le
chiese, le librerie e le biblioteche, il cinema e il teatro, l'esercito (le forze
armate, il servizio militare obbligatorio), i partiti e i sindacati...ma sto correndo,
per interessarsi ai sindacati bisognava entrare nel mondo del lavoro, il centro di
aggregazione per eccellenza.
E non c'è lavoro senza ferie che, attraverso la creazione del turismo di massa,
diventa un altro enorme veicolo di aggregazione.
Siccome tutti si mangia, la frequentazione dell'antico mercato e dei suoi derivati
(i negozi e il definitivo supermercato) sono altre tappe obbligate.
Nel tempo scoprii che esistevano forme di aggregazione probabilmente meno
ambite, almeno per me: la droga, il carcere, la comunità di recupero, la
criminalità, l'ospedale e, se non fosse più aleatoria, il cimitero!
Avrei frequentato questi mondi prevalentemente per lavoro.
Persino intorno agli animali, e ai vegetali si è creata aggregazione.
Credo però che come elenco di esempi di aggregativi possa bastare.
Grazie a questa socialità sono diventato un essere comunicativo e spesso
affettuoso, contrariamente alla mia forte introversione.
La domanda ora è: quale complotto?
Beh, io non so chi ha fatto cosa, ma ecco quello che è successo...
I gruppi: se, ipotizziamo, a quel tempo si poteva fare parte di una decina di gruppi
umani, adesso, se va bene, sono diventati uno o due al massimo.
No? provate a fare di conto.
La famiglia: quando io ero figlio, la famiglia era un'istituzione sacra e quasi
indistruttibile. Poi è cominciata la disgregazione. Quando è successo alla mia,
nella mia classe ero forse l'unico figlio di separati, se non ce n'era qualcun altro
silente. Nelle classi delle mie figlie invece, i figli di separati erano
progressivamente sempre più numerosi degli altri, dei “regolari”. Finchè un
giorno non venne fuori la battuta del secolo: “perchè i tuoi stanno ancora
insieme?”
Gli amici: questo soggetto è molto...soggettivo, e si può sempre dichiarare di
avere molti amici, non ho ragione di non crederci. Attenzione: si tratta di amici in
carne e ossa? Non sono per caso compresi gli amici di fakebook? Gli amici
immaginari? Gli amici di Maria, ecc? Facciamoci attenzione.
Il cortile: il senso che aveva questo spazio è andato completamente perduto. Se c'è
ancora un cortile, è un parcheggio senza presenza umana. Il condominio è come
un albergo.
Il quartiere: anche il quartiere perde, più che di senso, di identità. Un tempo
potevi essere riconosciuto per il quartiere di appartenenza, adesso è difficile
azzeccare la nazionalità. Lungi da me discorsi etnologici, ma un quartiere, come
una città, non hanno più un'anima. Sono considerati entità amministrative, come
municipi, o zone geopolitiche, o fenomeni turistici, ma le caratteristiche di un
quartiere (borgo, rione, barrio, city, ecc.) quelle non esistono più.
Lo stesso discorso vale per la piazza, ma è ancora più evidente. La piazza, l'agorà,
era il simbolo della polis, il cuore della città. Adesso le piazze sono accumuli di
persone e cose, vaganti, “genti diverse, venute dall'est” (e dall'ovest...) nonché
automezzi, naturalmente...e la circolazione è un problema.
Il paese (il villaggio) quasi non esiste più, venendo a mancare ciò che teneva
insieme il paese, cioè i lavoratori della terra, i mercanti dei prodotti, ecc. i paesi
sono dormitori, o sono disabitati, o sono abitati ma anonimi. Non l'ho stabilito io. E
la città è in fondo quello che è sempre stata, cioè un accumulo immensamente più
grande. Solo che questi accumuli sono diventati tutti uguali. In un improbabile
blindfold test, se ci portassero bendati nel centro di Parigi, di Berlino, di Londra,
persino di Roma, o di una città americana (nord e sud), sapremmo riconoscerla?
Forse potremmo riconoscere il continente, se la città fosse africana, o indiana, o
cinese...
Sparare sulla scuola e sulla croce rossa oramai è la stessa cosa. La nostra scuola
pubblica è stata massacrata con la complicità di tutti noi. È un delitto collettivo.
Cosa potrei aggiungere? Certo quando ci andavo io era un ambiente autoritario,
freddo, conformista e repressivo, quando non espulsivo. Io ne fui espulso dopo
anni di intemperanze comportamentali, e in seguito da privatista ottenni dei titoli,
tra cui una laurea. Tutto questo c'entra qualcosa con la maturità, quella biologica
(il cervello termina di formarsi dopo i vent'anni) e con la natura di una società che
mette al centro non le persone ma le cose (il denaro, in particolare). E non
c'azzecca per niente un obbligo scolastico pro forma.
Mi è capitato di lavorare, poco, per la scuola. Stare anche solo qualche minuto in
un'aula, con esserini dai sei a i sedici anni, ma anche oltre, è impresa eroica.
Quanto al doposcuola, cioè a giochi, hobbies e sports, l'evoluzione è evidente:
quasi ovunque lo spazio del gioco si è trasferito dalla strada (i prati dove abbiamo
passato la maggior parte del “tempo libero”), alle case, con attività sedentarie,
magari solitarie, in fine agli schermi; o alle palestre a pagamento, per chi può
permettersele. Un fatto sempre più privato e, neanche a dirlo, di consumo. Dov'è
finita la banda dei ragazzini? Ora sono delinquenti minorili.
L'amore è evidentemente un gruppo limitato a due esseri. Ma c'è una certa
differenza tra due esseri in mezzo agli altri e due esseri chiusi tra le loro mura,
soli. Forse questa differenza può avere contribuito alla definitiva crisi della
coppia.
E quanto al sesso, beh, sarebbe un discorso lungo. Con la cosiddetta liberazione
sessuale ci siamo liberati dai tabù e dalla repressione che rappresentavano
drammatiche piaghe sociali. Peccato (!) che poi il sesso si sia trasformato
anch'esso in merce, perdendo gran parte della sua magia. E anche in questo caso,
trovarsi a parlare di sesso in compagnia, che senso ha più?
Il ballo resiste. Ma, attenzione. Tra la balera dove si conoscevano i nostri genitori
(per fidanzarsi e spesso, poi, sposarsi) e la discoteca c'è uno sbalzo chimico
indicibile. Chi conosce i dati lo sa, chi li ignora non ci crederebbe.
La musica pure mantiene il suo potere aggregante e, a tratti, “rivoluzionario”. I
messaggi sono un pochino diversi. Laddove si inneggiava alla rivolta
generalizzata (che non ha portato a cambiamenti radicali) ora si inneggia a fare
soldi, consumo; ri fiuti. Immondizia...
I luoghi di ritrovo sociali classici, i “locali”, esistono ancora e, anzi, sono
probabilmente aumentati. I bar sono popolati da gente sempre più persa e
impotente (altro che drink e rimorchi dei vecchi film americani), ci si ritrova,
insomma, per disperarsi nello stesso luogo. Dei ristoranti convertiti in pretenziosi
rituali copiaincollati da un qualche sito internet archetipico (dal bar tavola calda,
alla pizzeria o ristorantino, fino alle criptoesperienze inaccessibili ai comuni
mortali) si può dire di tutto, tranne che accolgano e creino la vecchia cara
socialità. Che però si trova, senza dubbio, nei fast food, soprattutto giovanile.
Malgrado in tali luoghi, come nella discoteca, il prezzo da pagare è
l'avvelenamento, a tutti i livelli.
Il pub anglo rappresenta una felice eccezione, almeno fino a quando, verso le otto
o le nove di sera, sono tutti ubriachi. Ma perlomeno si riesce a passare dalla
routine dell'ufficio o dell'officina direttamente al mal di testa del mattino dopo.
Un tempo, si diceva, nei luoghi di ristoro si commentavano i fatti, letti sui giornali
o ascoltati alla tv o alla radio (la radio!), che spesso erano fruibili direttamente in
tali luoghi. Ora che il pensiero quasi unico ha ridotto le opinioni e persino i fatti a
un'unica megainformazione menzognera pure personalizzata, grazie alla
tentacolare rete, di cosa vogliamo discutere? Del nulla? Sarebbe già un bel
risultato, se non che quasi tutti siamo affetti da horror vacui e accumuliamo, tra gli
altri prodotti, anche info preconfezionate.
I luoghi di aggregazione più alti erano quelli spirituali. Uso il passato perchè
anche qui il tasso di socialità, e di senso (di appartenenza, ma non solo) è calato
muchissimo.
Le chiese sono sempre frequentate, ma avete dato un'occhiata, immaginate l'età
media dei frequentatori?
Le librerie falliscono, in favore dei supermercati e dei franchising; in questi luoghi
però non esiste la figura del libraio, di colui che consiglia. Senza una guida (chi
legge recensioni su quotidiani e riviste? E il passaparola, sui libri, dov'è finito?). Il
marketing finisce per uccidere il prodotto (segnatevelo!).
Le biblioteche, i sacri scrigni del sapere, sono frequentate quasi esclusivamente da
studenti, pochi volenterosi: gli insegnanti incoraggiano le loro dispense (sic) e le
fotocopie o direttamente lo schermo fanno il resto. Finiranno probabilmente come
i musei, ma senza turisti.
Il cinema si sa che fine ha fatto, a che serve parlarne? Resiste in rete, meglio se in
versione (format) seriale.
Il teatro? Neanche parlarne. Sopravvivono, come le orchestre e la maggior parte
delle pubblicazioni (e molte produzioni cinematografiche) grazie a sovvenzioni
che in Italia (non so altrove) sono gestite in circoli familistici chiusi.
Persino l'esercito (la “mia” aeronautica, la marina) erano formidabili veicoli di
aggregazione. Lungi da me tornare all'aborrita naja, che non ho fatto arruolandomi
astutamente come tecnico. Però per tanti giovani era l'unico modo per uscire di
casa e vedere un pò di “mondo”.
Il capitolo partiti e sindacati è ancora più penoso. La politica si è ridotta a un
teatrino (quindi c'è ancora del teatro!) atto unicamente a mascherare i movimenti
della finanza internazionale. Destra e sinistra, associazioni di lavoratori e
imprese, si sono ridotte a due poli interscambiabili, che hanno l'unica funzione di
oliare il meccanismo del capitale al suo ultimo atto. Si sente che è l'atto finale, e
purtroppo potrebbe calare il sipario sulla storia umana, perchè “apres moi le
deluge” non era una peculiarità del grande gnomo corso.
E veniamo al piatto forte, ciò su cui si fonda la nostra repubblica e gran parte della
società: il lavoro. Che ne è del lavoro? Ditemelo voi, io sono andato in pensione
dopo quasi mezzo secolo, senza che capissi più il senso di quello che si stava
facendo, per dirla col grande Enzo. È stato come salutare un amico in coma.
Il mercato (libero, naturalmente!) ha fagocitato tutto, lavori e lavoratori, merci,
viaggi, persino i negozi e i negozianti, i mercanti fuori tempio. Ha ingoiato tutto, e
sputato disperazione. Ma per quello ti fornisce i rimedi, merci anch'essi: sia legali
(pharma e alcol), che meno, le droghe e gli schermi ingannatori. È diventato
supermercato, il luogo di aggregazione unico e obbligatorio. Bisogna mangiare
tutti i giorni.
Ho lavorato per quasi tutta la vita a tentare di riparare i danni che questo nostro
sistema di vita ha causato in molte persone, e l'aggregazione in cui mi muovevo
era quella della cura, del “recupero”, dell'impossibile integrazione. La sanità è
diventata business come tutto il resto, la vita umana merce, senza ritegno né
redenzione.
Alla fine l'ultimo con cui si ha a che fare è il necroforo, un parassita di dimensioni
epocali, probabilmente immortale (pensate alle piramidi).
E voglio stendere un velo sugli animali di compagnia ai quali ci rivolgiamo come
fossero nostri simili, che mangiano e dormono insieme a noi...non voglio apparire
poco...umano!
In fine, dopo questa filippica, l'improbabile resiliente lettore mi chiederebbe; ”e
vabbè, anche fosse, chi ha ordito questo complotto antisociale?”
E io gli risponderei, in un coup de theatre (ancora!) grandioso: “guarda nello
specchio!”

Don: anticapitalismo, ecoambientalismo e pace

Questo magnifico, imbecille (secondo Montalban), idiota (secondo Dostoevskj),


ineffabile (secondo me, ma basta!) cavaliere che stravolge tutta la storia della
cavalleria ma in compenso inaugura il romanzo (secondo Kundera...oh,
scusate!) impedisce anche qualsiasi recensione o parodia. Cervantes commette
il delitto perfetto. Non per niente muore lo stesso giorno di Shakespeare.
Ma che cosa c'entra?
Piuttosto, approfitto della disponibilità del Don per trattare un argomento
scivoloso.
Il Don inventa nemici, sfide, difende ideali quasi impossibili. Quasi. E nella sua
fantasia invincibile tutto è sogno, e quindi lui non vince realmente i suoi duelli,
tranne uno: sulla distanza il Don sconfigge ciò che imperava, già al tramonto: la
cavalleria. Dopo di lui, il mito della bellezza della guerra inizia il suo declino, già
insidiata da mitologie più consolidate (la religione, gli imperi) ed emergenti (il
denaro, la scienza, e perchè no, il romanticismo).
Il Don è un viluppo di contraddizioni, e sembra autoboicottarsi. Siccome è il
migliore, crede di non poter che vincere. E invece perde. Mi ricorda tanto la
sinistra, le sinistre.
Per fortuna, gli oppositori (all'impero capitalistico) di ultima generazione
assomigliano di più a Sancho: sono realisti, sono umili, sono concreti. E questo mi
fa ben sperare. I pacifisti e gli ambientalisti sono molto meno orientati verso il
proprio ombelico e meno inclini allo splendore della sconfitta, alla divina
catastrofe. Tutt'altro: è proprio la catastrofe più o meno divina, l'armageddon, che
vogliono evitare.
Se mi è permesso, che vogliamo evitare.
E aggiungerei un elemento purtroppo sottovalutato:

“Per quanto il tema del cambiamento climatico possa essere deprimente, ci sono
alcuni segnali di speranza: una più diffusa sensibilità al problema sia nei
governi sia nell’opinione pubblica; l’emergere di concrete alternative
energetiche; un crescente attivismo in tutto il mondo; e anche alcune vittorie
significative da parte del movimento ambientalista. Ma, a mio modo di vedere, lo
sviluppo più promettente è il sempre maggiore coinvolgimento di gruppi e leader
religiosi nella politica del cambiamento climatico. Papa Francesco ne è
l’esempio più evidente, ma anche hindu, musulmani, buddhisti e altri gruppi e
organizzazioni hanno dato voce alle proprie preoccupazioni.
Lo considero un segno di speranza perché mi appare sempre più evidente che da
sole le istituzioni politiche del nostro tempo sono incapaci di affrontare questa
crisi”.

[Passi di: Amitav Ghosh. “La grande cecità. Il cambiamento climatico e


l'impensabile”. Apple Books]

Edipo: mistimigranti e s/terminio

Presentazione di Edipo per chi non ha fatto il classico.


“Dunque, nell'antichità (quella di Freud!) avevamo il mito di Edipo, ripreso dai
greci. Come sarebbe oggi Edipo? Anzitutto si farebbe chiamare Eddy.
Eddy vivrebbe anzitutto, insieme alla madre e/o col padre. Non lo ucciderebbe
più, infatti: benchè i figli vengano ancora abbandonati, oggi nessuno si mette più
in cammino in cerca di fortuna, nessuno s fida i passanti a duello ai trivii,
nessuno sposa vecchie monarche vedove...e quel che più conta, è molto meno
probabile che un figlio maschio si innamori della madre a scapito del padre, o
che una figlia femmina si innamori del padre a scapito della madre. Il fatto è
che ci si può innamorare o meno dei genitori, ma vivendo comodamente in
famiglia fino a età avanzata. In questo modo non c'è più bisogno di uccidere
questo o quello, nè di partire alla ventura. Si può convivere! Oggi il conflitto è
più spesso questo: i figli non se ne vanno dalla famiglia, i genitori non ne
possono più di trovarseli intorno ma sono nel contempo incapaci di educarli al
distacco, alla responsabilità, all'autonomia, ecc...[non gliene vogliamo fare una
colpa: per loro c'è stata la guerra, o il dopoguerra...].
Nel frattempo, come si può desumere dal quadretto, le nascite sono fortemente
calate. Meno conflitti edipici (ed elettrici)! Se si prendono in esame recenti
studi si possono aggiungere altre conclusioni: Eddy oggi non avrebbe grandi
enigmi nè amori (forse nemmeno casalinghi: la madre lavora, il padre latita) e
neppure prospettive di carriera (si sa...).
Fa parte di un branco di individui generalmente integrati, che lavorano dal
lunedì al venerdì e che nel fine settimana si danno il diritto di "sballare".
Assumono sostanze apparentemente innocue, quasi legali, che danno una spinta
socializzante, almeno fino alla ricaduta (o al crash automobilistico, a seconda).
Subiscono dei danni mentali dei quali non si rendono conto. Le sostanze
vengono ritenute innocue (come l'alcol) o necessarie (come i farmaci).
Il branco ama riunirsi in luoghi soliti e ripetere rituali, non ama affatto la
riflessione e non accetta consigli da nessuno!
Per questo è difficile comprenderli, aiutarli. Preferiamo non vederli, o
considerarli meglio di quanto non siano, più vivi di quanto sembrino: forse
perchè ci sentiamo colpevoli? O estranei?
Non ci sono più nè sfingi nè enigmi: la scienza risponde a tutto, anzi, non ce n'è
bisogno: si va sulla fiducia. Giocasta non giocherebbe più, neppure castamente,
oggi ci sono le professioni e le specializzazioni, il divertimento è un pò bandito.
Laio non crederebbe all'idea balzana di doversi sbarazzare del figlio in quanto
minaccia. Se mai, la minaccia si rivelerebbe reale una trentina d'anni dopo: il
figlio continua a restare in casa e non sa che fare, se non sballare il sabato sera.
Una specie di principe inglese. È un bel problema.
Antigone non avrebbe bisogno di fare l'eroina e la martire, Ismene, Eteocle e
Polinice avrebbero altro per la testa che ammazzarsi.
Quanto a Tiresia, la sua funzione potrebbe essere svolta da un computer. Non
ce lo vedo, in vesti umane. Oppure si: assassinato sulla spiaggia di Ostia a metà
degli anni settanta.
Nessun Creonte usurpatore (ci sono i notai), nessun pastore più. Quanto a
Elettra: Oreste guadagnerebbe molto viaggiando (felice eccezione), e senza
rancore. Clitennestra, Agamennone ed Egisto si amerebbero "a trois" (sempre
per via dei notai), Crisotemi e Ifianassa si interrogherebbero su che razza di
nomi sono loro capitati e sul da farsi. Lavoro per psicanalisti, anche se meno
che in passato.
Variazione (deviante): figli mostri che uccidono i genitori per fuggire col loro
denaro: ma qui l'amore che c'entra?

Con tutto questo popò di migranti tragici, voglio buttarla sulle migrazioni. Ci
sono sempre state, le migrazioni: lo stesso sapiens (e prima di lui i vari
insapiens) non facevano altro che spostarsi, in cerca di occasioni migliori
(condizioni migliori, si direbbe oggi). Se mai l'anomalia è stata la lottizzazione
della terra e l'invenzione della proprietà. Ma lasciamo perdere. Le migrazioni
mandano ai matti governi, popoli (parti mentalmente vulnerabili di alcuni
popoli) nonché i migranti stessi. Si riveste tutta la faccenda di pseudo e meta
significati: quello che fugge dalla guerra, quello che vende accendini, gli
stupratori di massa, le guerre di religione. La realtà ultima è la fame. Ma non di
cibo. Gli affamati veri, gli ultimi rimasti nel mondo consumatore, fanno fatica a
spostarsi fisicamente, financo a deambulare. Altro è l'oggetto della fame.
Come diceva Malcolm X citando un saggio cinese (Lao?): “quelli che parlano
non sanno, quelli che sanno non parlano...”
Un indizio: il provvidenziale Ghosh scrive che il termine latino sterminare
corrispondeva non già al massacro, quanto all'estromettere, lasciare fuori dai
con fini (terminus). Dovrebbe farci riflettere quanto sia culturalmente poco
desiderabile lo sconfinamento (addirittura una condanna) e quanto possa essere
sia dolorosamente necessario, a volte, che non necessariamente doloroso.
*

Eduardo: le vene si richiudono, la memoria del fuoco rimane

Eduardo, che ne richiama un altro nel nome, ha segnato la storia come pochi. E
come tanti, è stato debitamente oscurato. Ha raccontato l'intera storia umana, con
La memoria del fuoco, e la storia della razzia dell'America, con Le vene aperte
dell'America latina. Opere talmente immense che si possono solo abbracciare o
ignorare, anche perchè la teoria delle teorie, di una limpidezza assoluta, è
semplicemente la verità dei fatti: il potere che schiaccia tutto, la guerra, la
sopraffazione di chi si trova sulla traiettoria, l'oppressione di chi non si può
cancellare del tutto (fanno i figli) e allora possono solo essere usati come schiavi
alla catena, per dare pro fitto, alimentare quella macchina di potere e guerra. E la
menzogna reiterata.
Si capisce come i più preferiscano non pensare a queste cose, ignorandole
ignorano la storia. Tanto a loro non capitano quelle cose.
A me non sono capitate. Ho solo ricevuto qualche “schizzo” (…) e però ho
voluto andare a conoscere quelle genti e quei luoghi. Così, casomai dovesse
capitarmi di trovarmi da quella parte...
Ora quelle vene si stanno lentamente chiudendo, gli ex schiavi latini, afri e “indi”
si stanno liberando, non senza enorme fatica. Ce la faranno, questo è il cammino
della storia.
La memoria rimane, deve rimanere. Non per custodire un odio o una vendetta che
hanno perso i loro soggetti originali, ma per continuare a tenere alta la memoria,
appunto, di tutti coloro che sono caduti sotto l'ingiustizia; ricordare per non
ripetere.
Lo so che è risaputo, detto e stradetto: un mantra. Ma io ripeto, da più di
quarant'anni, lo stesso mantra, molte volte al giorno, e mi da sempre molto.

Ei fu Mattia Pascal

Mattia Pascal vive molte vite, e una tipica camaleontica maschera pirandelliana.
Scappa dalla Sicilia (what else?) fa i soldi a Montecarlo, si ferma persino a
Imperia, oltre che a Roma. Alla fine conclude che e inutile tentare di scappare
dal proprio destino. Forse Camilleri l'avrebbe colorata un po': inutili fujrj, ca
tantu sempe in ... tu pigghi.
La vicenda tragica avvenne un cinque maggio, fatale anche per un celebre
gnomo con ripercussioni a strisce bluastre.
A Pirandello dobbiamo un grande dono: il personaggio che esce dalla scena e
interagisce non già col coro, con l'agorà, ma col pubblico, che fosse seduto a
teatro o nel suo salotto.
E grazie a tanti epigoni, Woody Allen per dirne uno, possiamo entrare e uscire
dalle scene, come fossimo dei tecnici o delle comparse.

Era/Eva: la maledizione del frutto velenoso


Premessa: gli alfabeti arabo/ebraici non hanno le vocali.
Per questa ragione si sono creati molti equivoci intorno alle storie bibliche, come
quella del cammello e della cruna dell'ago. Grazie a Ghosh (si, è l'ispiratore di
questo mio modesto scritto) che racconta il mito greco di Era, che mangia un
frutto pericoloso anche lei, mi viene il sospetto che Eva ed Era possano essere
imparentate. Entrambe al centro di una tresca (quelle greche erano inarrivabili)
fanno qualsiasi cosa per ottenere ciò che vogliono, che sia il potere, la vendetta,
un uomo...
Perchè sono donne! Sono più avanti, sempre state avanti: laddove un uomo mette
fine alla storia con un colpo di spada, o di arma da fuoco, loro la tirano all'infinito.
C'è una bella differenza, nevvero? Hai un morto in meno, e una storia più lunga.
Pertanto, viva Era! E viva Eva! Anche se ci sarebbe costata, secondo la traduzione
(greca, peraltro) il giardino dell'Eden, in luogo di questo mondo pieno di dolore.
Ma vuoi mettere, che palle trascorrere l'eternità in un giardino?

Faust (boia)

L'antica leggenda del Faust presuppone l'esistenza del diavolo. Ma Goethe e


troppo intelligente e cerca il modo di delegittimarlo, neutralizzarlo, gabbarlo.
Essendo poema in forma non “musicale” come la commedia di Dante, risulta
una lettura impossibile, ai giorni nostri così frenetici. Lo batte certamente il
Finnegan di Joyce, o quel disco di Lou Reed di soli suoni metallici (era pure
doppio, se non ricordo male). Da qui l'espressione piemontese “boia faust”.
Comunque, niente di irrisorio, il vecchio Johan Wolf è il padre della letteratura
tedesca e uno degli amanti di quella europea; checchè ne dica Bernhard, resta
un monumento di carta pressochè eterno.
*

F'inzioni

Le finzioni di Borges sono sublimi quanto lui era paraculo. La finzione piu
evidente e quella della cultura progressiva e umanistica. Molti intellettuali se ne
straimpipano di tutto tranne del conto in banca. O del sesso. Quanto all'Omero
di Baires, la seconda opzione pare esclusa. A meno che non fingesse...
Dove ci sono due uomini, c'è un traditore, sembra dire Borges. Il suo tema del
traditore e dell'eroe chiarisce che la linea d'ombra tra il bene e il male non è una
separazione, è un intreccio.
Le finzioni borgesiane sono tante, e ci si perde dentro. Ma la cosa che ricordo
vividamente è proprio la perdizione nella letteratura, in quella che lui chiamava
la biblioteca di Babele. Mito (moderno) che ha affascinato tanti scrittori e
lettori. Il fatto è che don Luis passò la gran parte della sua vita dentro una
biblioteca, in mezzo ai libri, immaginando (per sua stessa ammissione)
avventure, fulminee e rifulgenti.
Proprio come quell'altro vecchio, quell'altro Don, anche se non osiamo
paragonarli...
Per citare una traccia della biblioteca babeliana nella cultura pop, indelebile è il
vecchio monaco che brucia insieme ai libri ne Il nome della rosa di Eco.

I fratelli Karamazov e le sorelle Materassi

I fratelli Karamazov sono: Dmitri, che rappresenta la sanguigna passionalità del


padre Fedor (abbastanza comune in Russia), Ivan la completa sregolatezza
ideologica (come pensi di applicare il comunismo in un subcontinente rurale?)
che apparteneva anche a Fedor, Aliosha la vena mistica di Fedor, pure questa
diffusissima nelle russie. Quanto al fratellastro bastardo (Smerdiakov, sic) viene
sacrificato come un demone o un idiota qualunque per castigare il delitto. E il
padre, quello si chiamava direttamente Fedor.
Questa struttura dovrebbe suggerire qualcosa. A me ha suggerito che Dosto, che
era epilettico, mise in scena la pluralità di personalità che lo abitavano,
anticipando così la psichiatria clinica applicata. D'altra parte tutta la galleria di
personaggi dostoevskiani, differentemente da quelli pacificanti dell'altro gigante
Tolstoj, lascia un'inquietudine perenne, che credo l'autore vivesse in ogni
momento della sua vita.
Il grande dono che ci ha fatto è stato quello di renderci partecipi, di farci vivere
un pochino anche a noi tutte quelle vite, il patriarca, il giocatore, l'epilettico, il
rivoluzionario (prebolscevico?), il romantico, il soldato, il condannato, l'esiliato, il
deportato (in Siberia, naturalmente), il giovane, l'idealista, il satrapo, il dissoluto,
il santo, il pio...potrei continuare, perchè mi infervoro, ma poi mi dicono che
esagero.

Le sorelle Materassi le ho inserite perchè sono perfettamente speculari (e poi


suona bene). Sono quattro donne (tre sorelle più una) e il loro vizio è la debolezza
nei confronti di un uomo, che le rovina.
Peccato non siano sufficienti per riadattare sette spose per sette fratelli.

Greta e Hansel: terraformazione e geoingegneria?

La bambina Greta, senza aspettare alcun Hansel, un venerdì decise di sedersi


davanti alla scuola per far notare che stiamo distruggendo il pianeta, e di
conseguenza la stiamo privando del futuro. Dai e dai, siccome la piccola è di una
testardaggine particolare (è risaputo e ne ho trattato altrove, limitiamoci a dire che
era un bambina) ottenne un seguito sia di ciancianti midia (bla bla bla) ma
soprattutto di giovani in tutto il mondo. Un risveglio.
Naturalmente le reazioni furono le più diverse. Tornando al discorso sulle tattiche
del capitalismo, si è tentata qualsiasi dietrodietrologia su di lei, ma credo che ben
presto il potere, e il suo can-can (bau-bau) mediatico si resero conto che la cosa
migliore da fare era darle ascolto, sperando che col tempo qualcosa accadesse.
Magari crescendo (e adesso è cresciuta) sarebbe inciampata in qualche trappola,
chissà. Si può anche uccidere una bambina, ma migliaia, milioni di ragazzi di tutto
il mondo è improponibile.
Si diceva delle reazioni. Nell'era del like qualcuno disse non mi piace (il minimo),
a seguire tutta una serie di critiche basate sulla domanda “chi è questa?” e/o “che
vuole?”, fino a teorie del complotto inusitate. Tipo: la famiglia l'ha plagiata, ha
montato tutta questa storia per fare soldi. Come no! Greta è la cattiva, non la
matrigna che l'abbandona o la strega che se la vuole mangiare (ecco di nuovo
l'ombra lunga dei greci nella nella grande fame germanica e grimmesca) per non
parlare del padre che zufola vago. Greta, per i suoi detrattori, dovrebbe lasciarsi
abbandonare, giacchè i giovani sono abbandonati a un destino dal futuro incerto, o
lasciarsi mangiare, lasciarsi portare via il futuro, la terra da sotto i piedi e l'aria dal
naso. Dovrebbero questi giovani fare come noi, come la maggioranza di noi, farsi
gli affari propri e tirare a campare. Un bel campare, bisogna dire.
Diceva una canzone già quando ero bambino o ragazzo, più di mezzo secolo fa:
“guarda un poco come ci ha conciati la metropoli”. Eh si, il discorso
sull'opposizione alla morte contro la vita non è alto, non viene cantato da divi, è la
voce del popolo che si lamenta per il veleno, infatti è populismo. Che vuoi che
importi del futuro a chi ha un presente racchiuso in una enorme scatola di metallo
che lo trasporta, e che dorme in palazzi esclusi dalla vita comune, con piscine e
barche (non nelle piscine)?
No, Greta è proprio fuori luogo. Una guastafeste, anche per chi non ha villa e suv.
Per me il dato di realtà è che questa persona ne ha fatte risvegliare una
moltitudine. Invece di girare la testa dall'altra parte come fan tutte e tutti (per
sopravvivere, si capisce) e dedicarsi a cosa mettersi sulla pelle, come acconciarsi, o
a quale show insensato assistere sognando di parteciparvi, lei si sedette davanti
alla scuola, al parlamento, alle nazioni unite, senza accontentarsi delle parole di
circostanza che le venivano rivolte: bla bla bla.
Ora ci si potrà chiedere che c'entra la terraformazione, o la geoingegneria
(questo ultimo termine non va trattato, pena essere tacciati di complottismo,
antiscientismo, o come diavolo si dirà. Ci facciamo bastare il primo).
In verità il termine terraformazione, sospetto di recente conio, sta a indicare tutti
quei processi, alcuni millenari, che abbiamo messo in atto per trasformare
l'ambiente piegandolo alla nostra volontà. E spezzando chiunque si opponeva. È
ciò che ci ha portati fino al baratro che è dinanzi a noi oggi, e che abbiamo per
anni difeso o nascosto, proprio con quel bla bla bla che la giovane svedese vuole
smascherare.

Johan e le tre violenze

Incontrai Johan Galtung negli anni 90. Parlava praticamente tutte le lingue. Di
fronte a qualsiasi pubblico, sapeva metterlo in condizione di capire la sua lezione
(ha fondato anche una università). La lezione è quella del pacifismo, che si basa
sul potere del dialogo, dell'intelligenza umana che è più forte della violenza. La
violenza, che suddivide in tre parti: la violenza diretta, quella psicologica, e quella
strutturale.
Attualmente la violenza diretta è stata ipocritamente bandita, nel senso che
l'impero si è inventato la guerra umanitaria, e quindi si può andare a uccidere per
fare il bene. Del resto è solo l'apoteosi, conservo la medaglia di mio nonno della
prima guerra, che recita: grande guerra per la civiltà...perciò ci aspetta ancora un
lungo cammino prima di liberarci di questo tumore, che ha stroncato le vite di un
numero di umani che oscilla tra l'uno e il dieci per cento (da uno a dieci miliardi)
a seconda delle stime.
La violenza psicologica sta anche declinando, soprattutto nell'occidente smanioso
di ripulirsi la coscienza: adesso non si possono dire un sacco di cose, ma sotto la
pelle resiste l'uomo violento, padre e marito, la violenza di chi porta una divisa, i
soprusi lavorativi che attendono denuncia, ma anche la violenza delle donne che
crescono i figli secondo clichè incarniti e soffocanti, e persino dei minori che si
torturano spietatamente tra loro, forse per imitazione.
La violenza strutturale è intoccabile: il potere senza volto e senza voce mantiene il
suo non-aspetto di moloch, con le porte chiuse per sempre al contadino di Kafka,
che attende sulla panca fino alla morte.
Per fortuna noi umani abbiamo una capacità rigenerativa illimitata e, se non
distruggeremo il pianeta, dovremmo riuscire a liberarci di queste mostruosità.

Ma, alouf (l'Insulto)

Amin è diventato uno dei miei autori alla prima lettura. Mi ha conquistato il suo
senso della storia, una dote rara, che è fatto di osservazione, conoscenza, di
apertura mentale ma anche di sentimento, di esperienza vissuta in questo flusso
continuo di umane vicende che chiamiamo storia. In particolare lui ha visto
cadere, dissolversi una civiltà millenaria (discendente dai fenici, tra gli altri) che
si è trovata a fare il vaso di coccio tra potenze ingombranti (come minimo) e
minacciose: il mondo arabo, il moloch anacronistico israeliano, gli americani, gli
europei, i russi...e tutto il resto del carrozzone. Il Libano è morto. Ma non è
escluso che rinasca.
Molto esemplare, come lo è sempre un'intuizione poetica (per quanto ovviamente
non esauriente l'argomento) è il film L'insulto del 2017 (Ziad Doueri) che espone
uno spaccato della surreale condizione del paese.
Vorrei trovare una favola degna per confortare un regno perduto, ma non me ne
vengono. Però il piccolo grande composito popolo libanese può guardare ai
dirimpettai greci, alla loro resilienza millenaria, al fatto che ancora oggi si
raccontano le storie dei greci, ed echeggiano parole immortali che non li fanno
dimenticare.

Il maestro e il Margarita

Altra fiaba memorabile che si svolge a Mosca e mette in scena il diavolo in


persona. Nonchè Gesù Cristo, in persona. Ce n'era abbastanza per morire
giovani, come tutti gli intellettuali sotto Stalin (poche eccezioni, tipo
Shostakovich) infatti il libro esce molti anni dopo la morte di Bulgakov, e ha
successo planetario.
Chissà se il Mikhail di Kiev, già affermato in tutte le russie, si rendeva conto di
avere un capolavoro nel cassetto, un viatico per l'eternità.
Fiaba talmente bella, con voli su Mosca e flashback nella Palestina romana, che
oggi ascriveremmo al fantasy, una delle tante in/utili categorie create
nell'anglosfera per aiutarci a usare meno il cervello ed economizzare la
fantasya...Il maestro e margherita è un capolavoro di finzione e di realtà
desiderata, agognata, dove si riconciliano, le due (realtà e finzione) e si
trascende in un oltre che, probabilmente, poteva essere lo scopo di Gesù Cristo.
Per una tale immaginifica visione forse poteva bastare qualche cocktail la sera,
o la semplice ruvida vodka. Però se non vado errato nella Russia di allora già
circolavano (tra le elites cittadine, non certo nei campi) alcune drogucce
orientali, forse persino raffinate.
Un poeta russo scriveva:

“Un malinconico riflesso


strada, lampione, farmacia
è, fu, sarà sempre lo stesso
non c'è più scampo e così sia...”

Non lo cito perchè adattai il testo originale per una canzone e non voglio
passare i guai, benchè l'opera sia di un secolo fa circa.
Un amico mi sottopose un'altra traduzione. Traduzione in poesia equivale a
tradimento, è risaputo. In quella traduzione invece di lampione si parlava di
torcia elettrica (sovietica di cent'anni fa...) e ciò getta una luce sinistra sulle
uscite notturne del vecchio Aleksandr...

Il malato immaginato

Arpagone (che ricorda onomatopeicamente Pappagone) e l'eroe preferito di


mioguggino, che fa il medico di base. Con pazienti come lui la mutua diventa
cornucopia, e il dottore e il re.
Tuttavia il geniale Moliere anticipa di secoli la farmacomania odierna, e con
risultati molto efficaci. Per chi lavora coi malati, immaginari o meno, c'è ben
poca finzione (ficcion) in questa proverbiale piece.
Il medico del nostro tempo, stritolato tra la burocrazia, il marketing e le nevrosi
sublimate subliminalmente in psycopharma (psaicofarma) sogna un tipo di
paziente che ormai non esiste più: un gentiluomo inglese (o gentildonna, of
curse) che si presenta una volta l'anno per porgere i suoi omaggi e dire che
scoppia di salute, ma che comunque, se il dottore lo gradisce, accetterebbe delle
prestazioni qualsivoglia, a sua scelta (del dottore, sa va sens dir) ma senza che
ciò implichi più di tre minuti al computer.
*

Md YouNous: per un pugno di dollari

You/nous: noi o voi? Questa domanda bilingue e del tutto incongruente mi è


venuta giocando col nome di Muhammad Yunus. Ma c'è poco da giocare: questo
signore (insignito del Nobel) ha inventato il microcredito, che ha salvato dalla
povertà assoluta milioni di persone, in Bangladesh e in tutto il mondo.
Per capire la favola, bisogna capire il contesto, il Bangladesh. Un tempo parte
della grande India, il Bangladesh (Bengala orientale, o anche per un poco Pakistan
orientale) ha smesso di spartire la disgrazia della caduta coi fratelli a ovest.
Quale caduta? La grande India era una potenza economica mondiale, quando la
presero gli inglesi. Sarebbe rientrata nel g7 o g8 dell'epoca, se fosse esistito. Gli
inglesi lasciarono, come tutti i colonizzatori, un inferno. Senza contare, anzi
contiamole, tutte le conflittualità strutturali già presenti: ricchi (pochissimi) vs
poveri (un'infinità), musulmani vs altri (indù, cristiani, buddisti...), occidente vs
terzo mondo (quasi quarto), India vs Pakistan (guerra del 1971), Cina vs India
(tensioni ai confini), guerriglia interna al Myanmar (i profughi fuggono in
Bangladesh), sistema delle caste (formalmente abolito), e infine (bat not list) la
guerra climatica che sta sommergendo e salinizzando le coste bengalesi.
E forse quest'ultima è la causa della grande migrazione che sta portando milioni
di bengalesi verso occidente. Il paese è praticamente il primo per densità di
popolazione (preceduto da una decina di stati virtuali), e a fronte di un territorio
proporzionalmente esiguo ha l'ottava popolazione del mondo, più di 170 milioni
di anime. Va considerato che le nazioni che precedono il Bangladesh in questa
graduatoria sono potenze mondiali o regionali con territori e risorse immense.
Inquadrato in tale cornice, l'azione di Yunus di istituire prestiti per favorire
l'imprenditoria famigliare sa davvero di miracolo. L'onda straborda in molti altri
paesi, e limita quell'altra ondata di giovani senza alcuna istruzione che affrontano
un viaggio a volte mortale, spendendo i risparmi della una vita di una o più
famiglie, per venire qui a vendere rose (ombrelli se piove) o, nella migliore delle
ipotesi, cucinare e lavare piatti nel retro dei ristoranti dove crediamo di mangiare
cucina italiano al 100%.
Non è una bella storia, ma io ricordo nitidamente il concerto per il Bangladesh,
quando metà Beatles, Dylan, Russell, Shankar e altri offrirono la loro musica per
mandare aiuti a gente che moriva di fame, letteralmente. Oppure I figli della
mezzanotte di Rushdie, che descrive di sfuggita gli orrori di quella guerra. Certo
che sono tutte orribili le guerre, ma quella di un popolo affamato che si vede
sparare addosso da due contendenti coi quali non hanno nulla da contendere...
Pensare che appartengono allo stesso ceppo linguistico, per cui sono in grado di
comprendersi senza problemi, da Chittagong o Cox Bazar a Karachi (o perfino
Bandar), da Gilgit a Colombo.
Per queste e atre ragioni, il pugno di dollari offerto da Yunus è un raggio di luce a
illuminare il buio, per risplendere, un giorno.
Ora mi dicono che l'economia del paese è in ripresa. A quando felici e contenti?
*

Mikhail lascia il trono

L'unico uomo di potere moderno che ho visto invertire la tendenza (del potere) è
stato il vecchio buon Mikhail Sergeevich. Resosi conto della realtà dell'Urss,
matrigna vecchia e affamata, al pari delle figliastre limitrofe. Alle quali aveva
tolto un boccone ciascuna: Karelia suite, Kaliningrad e uno spruzzo di Baltico,
Berlino a metà, Praga e Budapest per brevi soggiorni, la cintura balcanica
superiore, il consenso bulgaro, l'Ukraina a pezzi, Caucaso e Armenia con un
assaggio di Kurdistan, insalata di Asia centrale, mongolie esterne, zuppa mancese,
Kurili e mari ghiacciati misti. L'Alaska l'avevano rubata a suo tempo gli
americani allo Zar.
Non c'era solo la miseria, sotto la patina dell'ideologia sbiadita, c'era anche un
senso di vuoto, un mal di vivere da fare invidia ai paesi più avanzati. E questo non
perchè mancassero democrazia (adesso che c'è, sai lo spasso) o libertà di difficile
gestione (slavina deriva da slavo) o non solo. All'animo russo, che Mikhail
doveva conoscere profondamente (era del sud anche lui, come tutti i suoi celebri
predecessori, fino alla mano morta, che era anche ebreo, peraltro) mancava lo
slancio, il cambiamento.
Non uso apposta aggettivi accrescitivi, perchè tutto nella vecchia Russia è eccesso
(molte favole sono russe, Baba Yaga è russa), tutto è grandiosità, la rivoluzione, il
sacrificio bellico, l'ideale protensione, oppure l'abisso: le anime morte zariste, i
pogrom e i gulag staliniani, la guerra fredda e la tirannide.
Il grande sogno del sol dell'avvenire, è solo da venire. Ma quando?
Gorby ha solo girato l'interruttore.
E dire solo è riduttivo.

I miserabbili

Le maschere di Hugo sono non solo immortali. Il magno autore le esprime a


uso pedagogico e politico. Spiccano il buon redento Valjean, il poliziotto
cattivo Javert e la piccola Cosette.
Questo perchè (second my modest opinion) Hugo aveva a cuore proprio i
miserabili, i poveri, che leggendo sui quotidiani, magari all'osteria, potevano
afferrare qualcosa del sistema politico che li opprimeva, penderne coscienza
attraverso il passaparola, appassionarsi alla materia, che è la loro esistenza
stessa, alla letteratura, alla Storia...se non era questo l'intento di Hugo ho preso
una cantonata, ma se invece molti avessero seguito l'esempio suo, di Zola, ecc.
anziché buttarsi a fare gli intellettuali di regime col deretano degli altri...forse ci
saremmo evitati il nazifascismo, lo stalifascismo (par condiscion, plis)...
Il titolo, tra l'altro, si presterebbe bene a una storia della politica italiana, da
Camillo a Silvio, passando per i Savoja, il Truce, il Gobbo, le ballerine, senza
Biancaneve (anzi si, visto che nei cessi del parlamento fu rinvenuto un
quantitativo di residui di cocaina superiori al 50% di ogni altro ambiente...e del
resto anche a Westminster hanno dovuto mettere i cani...).

Moby Duck

Mito moderno, quello della balena bianca.


Mi chiamo Achab è forse l'incipit più incipitesco, a parte che Achab è un nome
astruso, o forse proprio per quello.
L'ossessione della balena è stata decodificata in svariate letture politiche. Ma a
me piace pensare che lo scontro fosse tra l'arroganza umana, la supponenza di
chi vuole piegare tutto a sé, e la natura che ti porta a fondo con Lei.
Tanto Lei, a fondo, ci sta benissimo.
La grande balena bianca (the great white wonder) è diventata il simbolo della
natura, della sua specificità, assoluta e indomita.
Tra l'altro, Pinocchio nella balena ci si è trovato bene, col babbo avevano persino
arredato, se non ricordo male.
Io cerco da molti anni di evitare la carne. Il pesce invece non riesco ad
abbandonarlo, c'è una specie di simbiosi (sono di mare) e mi sento pesce anch'io.
Tuttavia quando mangio il pesciolino penso a lui/lei con tenerezza. Certo, la
vulgata sentenzia che tanto qualcuno se lo sarebbe mangiato comunque,
possibilmente in giornata, pesci vegani non ne esistono.
(Sempre pronto a essere smentito, se qualcuno se ne esce col pesce vegano, la vita
mi ha forgiato alla sorpresa infinita.)
Insomma solidarizzo col pesce, so che ha una psiche con quel che ne consegue.
Anche se non arriva al nostro eccelso livello...non verso ipocrite lacrime di
coccodrillo (che è un anfibio) ma certamente mi dolgo e per la pesca
indiscriminata, tipo gli squali che vengono mutilati e ributtati a far plancton, e
solo perchè i cinesi hanno la fissa delle pinne in brodo. O peggio per gli
allevamenti d'acqua dolce, coi “pesci” gonfiati come tumori.
Ma non l'ho progettato io il mondo. E quando mangio i pesci mi scuso sempre
mentalmente con loro. E poi, pensiamoci, forse un carciofo, una banana, non
soffrono a essere mangiati? Questa amenità merita una riflessione. Magari fugace.

James Last but not Liszt, la versione di Walt vede una papera che incrocia lo
sversamento radioattivo di una centrale nucleare, diventa un enorme leviatano
bianco che imbocca l'oceano e distrugge tutte le barche di legno che trova sul
cammino (allarme a Hollywood!), finchè viene speronata da una nave corsara di
Greenpeace che per errore la fa affogare.
Colonna sonora: l'assolo di batteria di Bonzo Bonham dei Led Zeppelin.

Nemesich
Una storia un po' diversa da Arpagone.
C'era una volta uno scienziato, o un filosofo della scienza se preferite, si chiamava
Ivan Illich, abbastanza tolstojano invero. Come un suo predecessore, lo
strizzacervelli Wilhelm, o il suo contemporaneo Ronnie, osò attaccare il moloch
della medicina istituzionale (occidentale). Lo fecero tanti altri, intendiamoci, ma
qui non ci stanno tutti. Si battè con tutte le sue forze contro l'aspetto letale della
medicina (una specie di omeopatia in grande) come dell'abuso della chimica, così
come contro altri aspetti controversi e contronatura del suo tempo.
Che è abbastanza vicino al nostro.
La nemesi medica, la chiamò. Eretico! Le corporazioni si lanciarono all'attacco
difensivo, come solo sanno fare le mafie umane, vale a dire come il cane col gatto,
il gatto col topo, e così via.
Lui tenne duro e dedicò la sua vita a quella che intravvedeva come verità. Contro
tutto e tutti. Oggi che la sanità pubblica di una paese come la Spagna dichiara che
quasi metà dei decessi ospedalieri sono imputabili a cause interne (infezioni
soprattutto) mi piace ricordare questo nemo propheta, che poi essendo croato
giramondo la patria non la/lo pensava proprio.
(Un piccolo esempio rivolto a chi non vede correlazioni tra i fattori di
urbanizzazione, industrializzazione, inquinamento, stress ecc. e tumori:
si stimano oltre i 10.000 casi dopo l'unità d'Italia, quasi 200.000 oggi; il grillo
parlante dice: ma la popolazione è aumentata! Certo, di 3 volte, mentre il cancro
di 20 volte. E comunque l'osservazione scientifica è fatta di dati piccoli raccolti su
campioni grandi. Sappiamo che basta un altro grado di temperatura in più-come
nel nostro corpo, da 36 a 37-per peggiorare drasticamente la vita sul pianeta, due
sarebbero fatali.)
Piccolo paradosso comparativo: negli Usa i morti per malattie tumorali viaggiano
verso i 700.000. In proporzione, il 30% in meno del dato atteso confrontato a
quello italiano. In compenso sono quasi un milione i morti per l'abuso di oppiodi
di stato.

Noam e il Nobel

A Noam non verrà mai assegnato un Nobel, come per Gandhi. Perchè? È
evidente.
Chomsky, è ebreo, è uno scienziato, e non è di destra. Attacca il sistema
americano, il sistema globale, il sistema. Ma la vera bomba (oops) è che attacca
anche Israele, il cavallo di Troja. E questo rappresenta uno scacco, un comma 22:
come si può mettere a tacere, con la scusa standard dell'antisemitismo qualcuno
che non può esserlo, dato che è semita?!
Così abbiamo questa voce libera, e tagliente, e ce la godiamo. Ben sapendo che il
pur valente scienziato non riceverà mai il premio più ambito, perchè anche gli
illuminati scandinavi hanno i loro limiti.

Citazione celeberrima:

“L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione,


che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico da problemi importanti e dai
cambiamenti decisi dalle élites...
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico
di interessarsi alle conoscenze essenziali nell’area della scienza, l’economia,
la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica...
Mantenere l’attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali
imprigionata da temi senza vera importanza...
Creare problemi e poi offrire le soluzioni. Questo metodo è anche chiamato:
Problema > Reazione > Soluzione...
Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi una violenza urbana,
organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia che richieda
le leggi di sicurezza e le politiche a discapito della libertà...
Per far accettare una misura inaccettabile basta applicarla gradualmente, al
contagocce, per anni consecutivi...
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di
presentarla come dolorosa e necessaria, ottenendo l’applicazione pubblica nel
momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio
futuro che un sacrificio immediato...
Rivolgersi al pubblico come ai bambini...
Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione...
Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità...
Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità...
Rafforzare l’auto-colpevolezza. Far credere all’individuo che è soltanto lui il
colpevole della sua disgrazia. Così, invece di ribellarsi contro il sistema
economico, l’individuo si auto-svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta
uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione...
Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano. Negli anni
’50 i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le
conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti...”

[Noam Chomsky, Media e potere, Bepress]


Dylan, invece, il premio lo ha avuto (con mezzo secolo di ritardo rispetto a
quando diceva le cose che colpivano il cuore dell'impero), pur avendo sparato più
colpi di tutti, e con una audience (odiens) immensamente più vasta di qualsiasi
scienziato. E perchè questo riconoscimento, anche se tardivo, è arrivato per chi
diceva “peste e corna” (confesso che non so perchè le corna): semplice, perchè è
un poeta, e la poesia può dire di più, e meglio.

On/off

Soprattutto a beneficio delle figlie e dei giovani che me ne chiedono conto, faccio
un bilancio su come ho trovato e come lascerei il mondo, se dovessi lasciarlo in
questo momento (ma anche no).
Parto dal dopoguerra. Per modo di dire, perchè la lunga guerra non finì nel 1945,
come scritto nei libri di storia, ma attraverso sotto altre forme gli anni 50 (in cui
modestamente “vi nacqui”) e sembrava finire alle soglie dei 90, con la caduta dei
regimi comunisti, ma in realtà non mi sembra sia mai finita. Che l'umanità sia in
guerra continua da sempre non è una mia ipotesi originale. Solo che adesso è
mondiale.
Detto questo, prendo come paletti il 1960 (abbastanza attendibile dal punto di
vista statistico) fino al 2020, stravolgimento pandemico escluso; mantenendo
come tappe intermedie il 1980 e il 2000.
Il primo dato da considerare è ovviamente quanti “ne” siamo: superati i 2 miliardi
nel 1960, giungiamo agli 8 miliardi di oggi [x4]. Con tutte le dovute
considerazioni sulle cause e sugli effetti, questo dato resta neutro, almeno finchè
non saremo in troppi a tavola per mangiare tutti. Vediamo invece alcuni dati sulla
qualità della nostra vita.
L'età mediana dell'umanità (media matematica) è passata da 20 anni a 35, un
cambio di passo straordinario [quasi x2]. Naturalmente il tasso di mortalità è
calato da 17 a 7 [oltre x2]. Sempre senza addentrarci nel dettaglio, i morti in
guerra o per le conseguenze dei conflitti superano i 50 milioni [1% ca], che è
sempre meno del centinaio del terrificante cinquantennio precedente [quasi 10%!].
Un altro dato tendenzialmente sottaciuto sono le morti causate dall'emergenza
climatica che in molti ancora negano, e che sono certamente in costante aumento.
Le sole emissioni di co2 sono passate da 10 a 35 [quasi x4]. La temperatura
globale è salita di un grado e la tendenza è in aumento. Per farci un'idea, pensiamo
al passaggio da 36 a 37 gradi nel nostro corpo, e da 37 a 38...
Invece guardando alla qualità della vita sociale, l'alfabetizzazione semplice
(lettura e scrittura) è passata da uno scarso 50% a circa il 90%[quasi x2].
Pur rappresentando un dato positivo in assoluto, questo necessita di almeno una
precisazione: il processo di alfabetizzazione primaria è stato sicuramente aiutato
dalle tecnologie che conosciamo, che oltre a non esaurire il fabbisogno culturale,
hanno appiattito l'informazione con un'incidenza sulla vita quotidiana che
valuteremo tra anni. La massima espressione della formazione, l'università, si è
senz'altro incrementata, ma con enorme disparità: si va dal picco del 75%
californiano (in Italia siamo intorno al 25%) a sacche di ignoranza coltivata,
nonchè ignorata...anche prendendola in considerazione, che valore può
rappresentare sul mercato una laurea nordcoreana o somala o haitiana? Lo stato
della cultura va fatalmente a condizionare la partecipazione sociale, che è in forte
crisi, a dispetto del progresso. O meglio, dello sviluppo.
La democratizzazione, infatti, è rimasta incredibilmente (secondo analisti
accreditati, “ufficiali”) sullo stesso livello, un terzo dell'umanità![+-=]. E questo si
riflette appunto sulla possibilità e volontà di partecipazione. Ci sono pochi dati sul
calo di appartenenza ad aggregazioni sociali come quelle religiose, politiche,
sindacali, culturali, ecc. Il culto cristiano, primo per presunti aderenti, ha visto un
calo (di presenze) di almeno il 50%. L'islam, rendendo per così dire molto
consigliato il culto, non registra cali. I culti orientali, come buddismo,
confucianesimo e induismo, prediligono la partecipazione alla vita sociale
piuttosto che alle “funzioni”, e pertanto non c'è evidenza di calo...più notevole è la
disaffezione politica (astensione) ma è indubbio che un aumento di accesso
all'informazione, alla cultura e alla formazione non ha portato a un aumento della
consapevolezza, della solidarietà, dell'azione. Ciò di cui necessitiamo. In
definitiva, quello che ci ha avvicinato, ci ha allontanato; un paradosso, una
nemesi, che dobbiamo superare, come prima cosa. Per ritrovarci e...
La nemesi è, “in my opinion”, quella del capitalismo che ci sta trascinando tutti (e
tutti consenzienti) al suicidio di massa. Lemmingcapitalismo. Ma ci si può
fermare. Se il bilancio risulterà negativo per qualcuno (l'oggettività non esiste),
posso dire che personalmente ho cercato di contribuire un poco, e questo mi ha
portato molti benefici...

Il titolo on/off, originariamente, lo volevo usare per la sceneggiatura di una


animazione.
Lo schermo è circolare. Vi si vede lo spazio oscuro e una piccola esplosione che
genera dei pianeti. Uno di questi pianeti, una palla desertica e magmatica si
ricopre di acqua dapprima, poi di vegetazione. Un paesaggio.
A un certo punto (l'animazione può durare qualche minuto o anche un'ora,
dipende) esce dall'acqua un piccolo essere che inizia a strisciare sulla terra e poi
diventa un animaletto, si trasforma in anfibio, rettile, uccello, mammifero, e tutta
la terra si popola di esseri che si mangiano tra loro.
Colpo di scena (alla Kubrick): uno di questi animali, una scimmia, si eleva e
comincia a camminare eretta. Inizia la civilizzazione e poi l'urbanizzazione (non
c'è bisogno di descriverla nei dettagli, solo un ignorante ritardato non la conosce.
Oh, mi scusi lei, laggiù, non volevo offenderla. Ho sempre apprezzato la sana
ignoranza e nutro rispetto per il ritardo, godersi l'attimo presente e tutto il resto...).
Infine abbiamo lo spazio scenico (un obiettivo, in fin dei conti) riempito di una
sola enorme città che sbuffa fumo e oscura il poco di cielo rimasto.
A questo punto inizia la decrescita: la città mostro si spopola, inizia ad
autodistruggersi, cioè a cadere in rovina, bruciare, inondarsi ecc.
Rimane un paesaggio, arido. Si inaridisce sempre di più. Ritorna il deserto, il
magma. Titoli di coda.
Suono: non ci ho pensato.

Peter Pan incontra Dorian Gray

Naturalmente in un pub buio e fumoso.


Peter: hi, Dorian, come butta?
Dorian: hi, Pete, si tira a campare. E tu? Sempre in giro?
Peter: ma, sai, le isole oramai sono piene di turisti, per noi scherzi di natura è
diventato difficile girare senza essere notati. E non sono ricco come te.
Dorian: che dici? Io a forza di dissipare sono povero, rispetto alla mia classe
sociale, che come sai è la più alta.
Peter: si, invece io sono fuori casta. Mica passo il tempo a gozzovigliare a feste e
ricevimenti come te...
Dorian: in compenso voli qua e la suonando quello zufolo, e scommetto che
acchiappi più di me!
Peter: magari! Lo sai che sono bloccato nella preadolescenza, e tutte le esserine
che conosco sono praticamente asessuate. Tutta colpa della Disney.
Dorian: cattiva pubblicità, capisco. Io invece godo di ottima fama, e a volte scopro
di aver scopato anche donne che non ho mai visto. Sai come sono i tabloid...
Peter: mi dispiace che passi il tempo tra vizi e dissoluzione. Potresti essere utile al
mondo con quel tuo dono faustiano.
Dorian: lascia da parte i tedeschi. Come quel nano eterno col tamburino, un nazi
fatto e finito...
Peter: guarda che ti sbagli di grosso su Oskar, lui rifiuta di crescere proprio in
opposizione al potere, al nazismo prima come al comunismo poi, e infine alla
democrazia. Che è proprio demo...
Dorian: vabbè, adesso non buttarla sulla filosofia. Quale sarebbe la tua visione, e
quale la tua azione nel mondo, tanto per parlare?
Peter: io ho una visione della vita come infanzia infinita. Giovinezza perenne. Lo
so che tu hai un altro quadro di riferimento (ridacchia)...mentre l'azione è
continuare a essere un giovinetto e girare reclutando altri eterni giovinetti.
Secondo te dei giovincelli potrebbero mai fare una guerra o affamare gli altri?
Dorian: beh, a dirla tutta si. Le guerre le combattono da sempre i ragazzi. Quanto
ad affamare, l'occasione fa l'uomo ladro. Hai presente la storia del signore delle
mosche?
Peter: si, può darsi. Io comunque voglio un mondo puro, pacifico, gioioso.
Dorian: auguri, allora. Io continuo a dissiparmi.
Peter: almeno per una piccola cerchia, happy few.
Dorian: si, i figli dei fiori...
Oste: scusate, tra poco è l'ora di chiusura. Mi è capitato di ascoltare la vostra
conversazione e devo dire che è molto interessante. Voi dunque dite che non è
possibile cambiare il mondo, se non forse per una piccola parte. Che però mi
sembra una comunità a se stante. Ma lo spirito dei giovani è da sempre quello di
cambiare ogni cosa, e voi mi sembrate ancora giovani...
Dorian e Peter: si , sembriamo!
Ma lei, scusi, che cosa ha cambiato da giovane?
Non mettiamo in dubbio che la sua occupazione di gestire un locale alternativo
come questo sia più che degna, ma da qui a cambiare il mondo, ce ne passa.
Oste: che vi devo dire? Io faccio parte di una generazione che ha fatto cose del
tutto nuove, inedite. E capisco che voi di altre generazioni non crediate o
addirittura ignoriate la storia recente. È prerogativa appunto di ogni generazione
ignorare, disprezzare, rifiutare e magari combattere tutto ciò che ha preceduto la
loro venuta al mondo. È naturale.
Peter: si, ma dica lo stesso, cosa avete cambiato voi, nostri genitori...o nonni?
Dorian: fai nonni a questo punto. È da un po' che andiamo in giro nei panni di
giovani. Ci dica, la prego.
Oste: la nostra vita è stata diversa, dall'infanzia alla vecchiaia. Da piccoli eravamo
già spaesati e consci della precarietà della nostra esistenza, perchè si stava
sgretolando il pilastro della società, cioè la famiglia, patriarcale o matriarcale che
fosse. E con lei se ne andava l'ineluttabilità del destino, dio patria lavoro e tutto il
resto. I famosi sacrifici. Certa dietrologia ha tentato di accollare la crisi della
famiglia alla generazione delle rivolte giovanili, ma in realtà la disgregazione era
iniziata e proseguita inesorabile da prima, col trionfo del capitalismo. Da ragazzi
poi, facemmo queste famose rivolte. Ci opponemmo all'ordine costituito, che
implicava guerra, schiavitù, fame...
Dorian: e avete fermato la guerra, la schiavitù e la fame?
Oste: no. Però abbiamo fatto un'altra cosa, che fu rivoluzionare la cultura. E ciò ha
portato a interessanti effetti collaterali. Se volete ve ne parlo.
Peter: già che siamo in ballo...e poi noi non abbiamo sonno. Mai.
Oste: bene, ecco qua: la cultura alternativa che è nata da quegli anni di rivolte ha
allargato un poco l'apertura mentale media dell'umanità, ed è bastato per dare vita a
movimenti e dare morte a vecchie istituzioni. So che volete degli esempi e ve li
fornirò. Ma prima fatemi precisare una cosa: sempre la dietrologia del pensiero
pubblico gestito dal potere (vi sarete accorti che il potere è in mano a chi produce
e vende di più, immagino) accolla alla cultura alternativa che nacque in quegli
anni il peccato mortale di avere fatto mercato, cioè di averlo alimentato,
rinnovato, anziché abbatterlo come fece Cristo davanti al tempio. Ma anche in
questo caso, se non si fossero imposte le “mode” giovanili, avrebbero continuato a
vendere altri prodotti; per dirne una, se non si fosse imposta la chitarra elettrica
avrebbero continuato a vendere quelle acustiche. Noi abbiamo contribuito a creare
un altro mercato, com'era consequenziale, come hanno fatto i vegetariani o gli
animalisti, per esempio. Che pure sono figli o figliastri di quella generazione.
Però abbiamo creato un mercato culturale, sociale, globale, nuovo.
Vi faccio degli esempi: il mondo globalizzato, internettizzato, era pensabile prima
del 68? No. Infatti Microsoft è nata una decina di anni dopo (con la variante
McApple) e la rete venti, quindi a seguire Google, Facebook, Twitter, Amazon e
tutte le altre corporations che governano il mondo oggi. Non dico che sia stato un
bene assoluto, ma è andata così. Quell'altra generazione aveva insistito per fare la
corsa allo spazio e sbarcare sulla luna. E cosa ce ne è venuto a noi?
Altro esempio: l'industria culturale è decollata, ma non con la carta, il legno dei
teatri, o i transistor di tv o radio. La global music nasce dall'elettrificazione del
jazz e dalla transustanziazione di questo in rock, dopodichè qualunque voce può
essere amplificata e qualunque canzone “dubbata”, cioè costruita in studio.
Addirittura si può simulare il live in playback, come dimostrarono i “beccati”
Monkees. Per non parlare del global cinema, che a dispetto di una Hollywood
stantia, decolla con la new generation (ovunque, inclusa Cinecittà) e raggiunge gli
incassi stellari che sappiamo. Anche qui c'è da essere orgogliosi, o anche no, ma i
fatturati parlano.
Altre conquiste sono state la progressiva conversione della leva obbligatoria in
alternative civili (grazie alla propedeutica diserzione di grandi persone come
Bertrand Russell, che pur essendo di altra generazione ha patrocinato la nostra); e
ditemi se oggi si trovano facilmente dei giovani che vogliono fare la guerra...mio
padre e mio nonno l'hanno fatta da volontari, i miei figli non ci pensano proprio,
neanche dietro compenso di lusso come mercenari. E la guerra è diventata
umanitaria, un ossimoro assurdo.
La fame non è stata di certo sconfitta, ma certo grazie al movimento del
volontariato e della cooperazione internazionale è ben difficile che in qualche
angolo di mondo si muoia ancora di fame, anche se restano i problemi legati alle
disparità e allo sfruttamento iniquo.
Anche il mondo del lavoro è stato rivoluzionato, non c'è bisogno che ve lo dica,
grazie alla cultura dello sciopero e all'imposizione del welfare, che adesso è in via
di demolizione ovunque. Ma se guardate giornali e notiziari non possono
occultare il fatto che in tutte le città francesi in questo momento ci sono tre
milioni di persone in piazza per protestare conto una penalizzazione delle
pensioni, e se guardate bene, vedrete che la maggior parte sono giovani (di questa
generazione) o ex giovani (di quell'altra).
E poi c'è l'ultima fase, l'ultima frontiera: la vecchiaia. Potete constatare come la
sto affrontando io; che credevo che settant'anni fossero fantascienza. E invece ho
una aspettativa di vita di un altro decennio, forse due, magari pure tre! Vi saprò
dire.
In definitiva posso riassumere tutto citando il sommovimento che ha portato il
cambiamento più macroscopico, secondo me: l'invenzione dell'adolescenza: prima
esistevano solo gli ingombri dei bambini oppure i giovani lavoratori/soldati pronti
per il macello...
Dorian: interessante, questo suo comizio, ma in conclusione che cosa avete
cambiato di questo mondo?
Peter: non mancare di rispetto al nostro ospite che ci sta dando una lezione di
storia...
Oste: no, il signore ha ragione, bisogna andare al dunque, e noi siamo stati abituati
al confronto autentico. Cosa abbiamo cambiato? Forse niente di che, ma come
disse il coniglio alla talpa che gli chiedeva perchè tutti gli animali stessero
correndo insieme urlando: “non lo so, ma stiamo facendo un gran casino!”
Bene, oltre a un ultimo giro offerto dalla casa, voglio ringraziarvi per il vostro
interesse facendovi ascoltare questa canzone, scritta da uno dei miei eroi: Woody
Guthrie (parte la canzone di Tom Joad). Vedete, lui sulla sua chitarra aveva
scritto: this machine kills fascists. E non perchè realmente lui ammazzasse
fascisti, anzi aveva corso più volte il rischio di essere ucciso lui, da quelli a cui
dava fastidio (allora si usavano le spranghe, non i pazzi assassini solitari) ma
perchè la sua musica era davvero dedicata alla lotta contro la tirannia. Aveva
appena scritto una canzone contro Hitler, era il 1943, e molti suoi concittadini
ammiravano o quantomeno non temevano Hitler. A parte quelli al fronte. E
chiudiamo il cerchio. Buonanotte signori miei, e continuate a rimanere giovani!

Pinocchio, il burattino di plastica

Fosse oggi, Geppetto non perderebbe tutto quel tempo a lavorare il legno, ma
creerebbe il suo Pinocchio con materiale plastico, magari con una stampante 3d,
previo programmino ad hoc, un software, un'app, un sonaseg, che ti permette di
clonarti ad hoc incarnandoti, pardon, plastificandoti, in un avatar, un androide, o
come diavolo vogliamo definirlo.
Ci sono sempre vocaboli in sovrabbondanza riferiti a cose futili (per esempio tutti
i sinonimi, i nicknames per i genitali o per ciò che riguarda l'atto sessuale
volgarizzato) o anche ambigue: non credo di poter esaurire i termini indicanti le
figure religiose e i loro topoi.
Fatti i debiti prolegomeni, l'umanoide (aridaje!) Pinocchio seguirebbe un percorso
assai diverso da quello collodiano, più colloidale, vista la prevalenza plastica.
Mangiafuoco sarebbe un potente imprenditore, il gatto e la volpe due treiner,
coch, meneger, o un'altra parola inglese, il grillo parlante...ma qualcuno ha già
pensato a questi adeguamenti. La fatina, sempre bellissima.
Pinocchio, essendo sintetico e non fatto di materia viva (come il legno) sarebbe
decisamente alienato e vivrebbe la sua storia come una macchina, senza
sentimenti, e alla fine anziché diventare un bambino diventerebbe un robottino
che Geppetto chiuderebbe in uno stanzino.
Apologo finale: Gesù decide di tornare sulla terra per rivedere il suo babbo, ma
sbaglia la misura spaziotemporale, si trova in un paesino e chiede della bottega del
falegname Giuseppe, entra ed esclama: “Papà!”. E l'altro: “Pinocchio!”

Pollicino e i social media (fakebook in particular)

Pollicino si è aggiornato. Il trucco del pane non poteva reggere a lungo. Tanto per
cominciare quanto pane puoi portarti addosso, specie in tempo di carestia? E in
giro per il bosco non si trovano panetterie, di solito. Adesso Pollicino usa la rete, i
social. Fa delle foto lungo il percorso nel bosco e le posta su fakebook. Oppure,
anche se nel bosco c'è poco campo, prova a fare dei brevi filmati e li carica su
instagram o tiktok. Un domani su whatafuck. Però questo sistema non solo non fa
ritrovare la strada a Pollicino, ma aiuta i cattivi (CIA, FBI, MOSSAD, ECC) a
rintracciarlo un decimo di secondo dopo che ha messo qualcosa sui soscial...già.
Le macchine sono onnipotenti quando vogliono. Pensiamo solo che ci sono
macchine che riescono a scannerizzare un viso, una qualsiasi traccia corporea,
distinguono le diverse banconote, non sbagliano un colpo. Mai sentito di qualcuno
che ha ricevuto più denaro da un bancomat? A questa infallibilità fa da contraltare
l'incapacità delle macchine ad aiutare chi soffre o chi è in pericolo. Quando faccio
il biglietto del treno alla macchinetta, quella strepita anzitutto di fare attenzione ai
borseggiatori (che io temo vengano attirati proprio da quell'avviso) e di rivolgermi
al personale in divisa, che non si vede più dal secolo scorso. Mai che quella
macchina infallibile possa aiutarmi captando il borseggiatore (o la borseggiatrice) e
avvertendo le forze (o i forzi) dell'ordine. Mai che gli innumerevoli video sparsi
nelle stazioni ferroviarie (che costeranno milioni e milioni dei nostri soldi) diano
una qualche informazione utile, tipo che ci sono problemi sulla linea o che so, che
sul treno i cessi sono inservibili, cosa che è molto frequente. E mi limito al mondo
ferroviario solo perchè sono appena tornato da un viaggio, e non voglio tirarla per
le lunghe.
Pollicino non va lontano, con le tracce elettroniche che lascia.
*

PPP e la morte

Il mistero della morte di Pasolini resterà mistero, come tutte le uccisioni volute dal
potere, e che rimangono catalogate nella memoria come sigle, PPP, JFK, RFK,
MLK, MX, JL, JH...per limitarci a quei misteri dei civili paesi occidentali, altrove
non c'è bisogno di mascherare le stragi.
Nel caso specifico il delitto commesso dal singolo cane sciolto non sta in piedi
dall'inizio, e a maggior ragione dopo innumerevoli dichiarazioni e riaperture del
caso. Però noi sappiamo, seguendo il percorso di chi è stato ucciso, chi può essere
l'uccisore.
Se la morte resta avvolta dal mistero, la vita ufficiale di Pierpaolo non ha segreti
per me. Ho letto, visto e ascoltato tutto ciò che ha prodotto nella sua carriera
pubblica, un'opera magnifica come l'esistenza del suo autore, un'avventura unica.
Prima di morire ebbe a scrivere: “io so i nomi...dei responsabili delle stragi...ma
non ho le prove...” e tanto bastò a condannarlo, anche se a suo carico esistevano
anni e anni di affermazioni contro il potere, di denunce, processi, e soprattutto una
popolarità che si poteva fermare solo con la morte. La dietrologia sul martirio non
era ancora evidentemente preoccupante.
Ma c'è un'altra particolarità, nella morte del grande poeta. Un'ipotesi lanciata dal
suo amico d'infanzia Giuseppe Zigaina, che ne ha riempito volumi e che mi ha
confermato in una conversazione telefonica.
L'incontro programmato non fu possibile a causa della sua morte (per malattia...).
La morte rituale
Chiamiamola così. Piuttosto che suicidio o omicidio su commissione, morte
rituale. Essa prevede un incredibile (ma verosimile, alla luce delle opere) piano
di Pasolini per fare della propria vita biologica il corpo della sua opera, ovvero
di concludere la sua opera con la carne. La morte sarebbe stata l’ultimo
capitolo, scritto col sangue anzichè con l’inchiostro. Opera di carne e sangue,
dunque, non di pensiero o di parole. Molti sono gli indizi che Pasolini avrebbe
seminato, e noi raccolto. Partiamo dallo stesso punto della precedente ipotesi,
“Io so”, e procediamo.
Per quanto l’ipotesi Zigaina e la teoria complottista (stato, mafia ecc.) siano
differenti, in realtà si integrano. Pasolini fu “giustiziato” dal potere. Che aveva
usato come sempre degli irregolari, sacrificabili, al suo soldo. La voce di Citti,
in questo senso (non bastasse quella dell”assassino” Pelosi) è molto chiara.
E tuttavia, sotto la luce zigainiana, è chiaro pure che Pasolini fu complice,
mandante di costoro. Li chiamò, li trasse a se, con determinazione assoluta.
Lasciò che Pelosi scendesse per telefonare in un bar, prima che se ne andassero
nel luogo del “delitto”...vediamo gli altri reperti: secondo Zigaina Pasolini
vuole morire in modo da completare la propria opera, la propria vita, sicchè
monta, cinematograficamente, o tesse, poeticamente, incastra i pezzi
concettuali, affinchè formino il disegno che desidera. Precisamente.
Non solo avrebbe dato forza e forma definitiva all’opera, l’avrebbe illuminata.
Avrebbe raccolto ciò che in vita non era più possibile aggiungere, ovvero il
senso. Pasolini scrive sull’Espresso (oggi in EMPIRISMO ERETICO) a
proposito del famoso video Zapruder, che unico riprende la morte di John
Kennedy: “finchè siamo vivi, manchiamo di senso...la morte compie un
fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i momenti veramente
significativi...e li mette in successione...solo grazie alla morte, la nostra vita
serve ad esprimerci.”
La “fontana di rustic amour” della MEGLIO GIOVENTU' diventa “fontana di
amour par nissun” nella NUOVA GIOVENTU' finale.
E poi: un disegno ritrovato tra le sue cose, un disegno su carta gialla che ripete
sempre lo stesso stilema (labbra, nuvole?) e reca una frase: “il mondo non mi
vuole più e non lo sa”.
Un’altra poesia: DI DE LA ME MUART (IL GIORNO DELLA MIA
MORTE).
Nella prima stesura il brano che parla della morte recita:
“...Avrebbe voluto dar la sua vita per tutto il mondo sconosciuto -
lui, sconosciuto, piccolo santo, granello perduto nel campo.
E invece ha scritto poesie di santità, credendo che così il cuore gli si
ingrandisse.
I giorni sono passati a un lavoro che ha rovinato la santità del suo cuore: il
granello non è morto, e lui è restato solo.”
Nella seconda stesura, trent’anni dopo, si trasforma:
“...Io cadrò morto sotto il sole che arde, biondo e alto, e chiuderò le ciglia
lasciando il cielo al suo splendore.
Sotto un tiglio tiepido di verde, cadrò nel nero della mia morte che disperde i
tigli e il sole.
I bei giovinetti correranno in quella luce che ho appena perduto, volando fuori
dalle scuole, coi ricci sulla fronte. Io sarò ancora giovane, con una camicia
chiara, e coi dolci capelli che piovono sull'amara polvere.
Sarò ancora caldo, e un fanciullo correndo per l'asfalto tiepido del viale, mi
poserà una mano sul grembo di cristallo.”
Confrontiamo. Ma quello che colpisce di più è il granello, il seme, che nella
seconda poesia non è più citato, ma che viene ben presentato dettagliatamente,
ancora in una illuminante introduzione:
«Se il chicco di grano, caduto in terra, non morirà, rimarrà solo, ma se morirà
darà molto frutto» (San Giovanni, Vangelo 12.24 – Citato da Dostoevskij)
Se colleghiamo questo al versetto 25, «Chi ama la sua vita la perde e chi odia
la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna», e a Paolo
(Corinzi): «Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore», il
concetto appare più chiaro.
In APPUNTI PER UN FILM SU SAN PAOLO (1968-1974) troviamo: “Quello
che si semina non ritorna in vita se prima non muore”. Siamo nella scena 56 del
progetto, ambientato nella «Periferia di una grande città: Roma».
Poi, insieme ai pochi, miseri, che erano venuti ad ascoltare Paolo con qualche
speranza in cuore, si erano mescolati dei giovani dalla faccia oscura e feroce.
Ed ecco che improvvisamente arriva, in un camion, una banda: sono “teppisti”,
e, tra loro, meno in vista, la solita faccia distorta dell’uomo d’ordine fanatico,
che li guida.
L’azione è rapida, come nei sogni. Tutto accade fulmineamente sotto gli occhi
distratti della polizia: l’assalto dei teppisti tra le urla di scherno e di rabbia; la
fuga della povera gente; il pestaggio a Paolo, e ai suoi due o tre anonimi seguaci
che gli stanno accanto.
Un pestaggio freddo e macabro, da cui è dissociato ogni sentimento umano.
Poi gli aggressori, fulminei come sono venuti, risalgono sul loro camion: non
senza che uno di loro, prima di andarsene, sputi sul corpo inanimato di Paolo.
Nel sole accecante, Paolo sembra morto: il suo corpo è inerte.
Visto in primo piano è una maschera di sangue: grumi di sangue e polvere:
insopportabile alla vista e irriconoscibile.
Come quello di Pasolini a Ostia all'alba del 2 novembre 1975, giorno dei morti.
Insomma, bisogna ammettere che Pasolini, intenzioni a parte, vedeva ben
lontano.
Quindi, il “non poter più essere compresi” della poesia UNA DISPERATA
VITALITA' (POESIA IN FORMA DI ROSA) si sublima nella condivisione del
seme in terra, attraverso la morte. Conditio sine qua non. Dunque il seme deve
morire, la morte può essere inutile, come nella prima versione, o realistica,
come nella seconda. La forza del passato, che vuole includere tutta la storia,
benchè più moderna di ogni moderno, doveva correre, veloce, verso un futuro
dove noi, i lettori scelti (ma non altrettanto moderni: abbiamo avuto bisogno di
anni per capirlo) dovevamo raggiungerlo.
Moravia disse al funerale che era morto “un poeta”, “il poeta” che piangiamo. A
lungo mi parve la sua una ingenerosa scarnezza. Ma se chi sa non parla però
lascia intendere, allora nella morte del poeta è la spiegazione.
In BESTIA DA STILE alla fine il poeta Jan non muore (Palach brucia solo
in effige) ma è già dall’inizio che programma il suo sacrificio, una
crocifissione simbolica, sessuale, naturale.
PETROLIO non finisce. A meno che il politico/mafioso/pregiudicato/mecenate
non conceda la lettura del testo mancante.
SALO' resta l’esca che conosciamo grazie alla ricostruzione di Citti.
(Un anonimo chiese a Pasolini di incontrarlo per discutere il riscatto di una
pellicola rubata, ma all'appuntamento trovò la morte. Le “pizze” con la pellicola
furono recapitate al cancello dell'abitazione di Zigaina giorni dopo.)
“Io so” aleggia nell’aria, e con esso la responsabilità che abbiamo voluto
ereditare. Addentriamoci infine nel buio della ri-costruzione zigainiana: il
campo di calcio di Ostia sorge(rebbe?) nell’area in cui gli antichi romani
compivano i sacrifici umani. Possibile? Qualcuno taccia Zigaina di
esagerazione. Ci sono altri significati legati al luogo (un campo di calcio!) che
andiamo a vedere: se anche i luoghi non dovessero coincidere dal punto di vista
archeologico, è comunque non lontano che si sacrificavano le vittime, o i capri, o
i nemici interni (come i fratelli Gracchi). Si ricordano molte occasioni di
sacrificio umano con spargimento di seme nella terra, come in BESTIA DA
STILE.
Infine, la morte in un verso: fa riflettere il fatto che il verso reale, l’ultimo verso
verbale di Pasolini sia stato il grido “mamma” ripetuto più volte (secondo
diverse testimonianze). Anche a questo c’è corrispondenza: nessuno dei
conoscitori di Pasolini lo crede capace di dare un tale dolore alla madre. Ormai
sola, che ha solo lui. Ma in PATMOS, famosa poesia sulla strage di Piazza
Fontana, si apre un altro spiraglio:
“...Poivenni a casa. La porta che dava sul corridoio della camera di mia
madre era aperta: da ciò arguii la sua inquietudine. Essa ha ottant'anni, l'età
di Gerolamo Papetti: e penso a ciò che deve ancora soffrire...“
[Papetti e una delle vittime della strage, che Pasolini nomina tutte nella poesia]
Che altro dire? Perchè la madre deve ancora soffrire prima di morire? O non è
già morta, forse:
“...Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni
moderno
a cercare fratelli che non sono più...”
E, nel caso, perchè è morta? Chi sono i fratelli che non sono più?
Se non gli altri morti, i sacrificati? Il fratello Guido e gli altri?
Forse abbiamo più domande che possibili risposte. Ma ecco un altro (un
ultimo) scenario.
Se non basta “Il giorno della mia morte” col suo granello di seme, se non basta
San Paolo ucciso a bastonate, a Roma o a Palermo, o a Udine o a Trieste, ecco
questi versi:
25 aprile 1962 (da POESIA IN FORMA DI ROSA)
“Quando una troupe invaderà le strade di stanotte, sarà una nuova epoca.
Perciò: goditi anche questo dolore. L'idea di fare un film sul tuo suicidio,
tuona nei millenni...si ricongiunge, indietro, a Shakespeare...è sesso, grandezza
della libidine, sua soavità. Il protagonista è macellato: una bolla d'aria gonfia
la sua pelle, potrebbe volare per il terrore. Una spaccatura gli scende dal
palato allo sterno, e irradia dei tremiti per tutto il corpo...”
Una fantasia ricorrente? Precisa come fantasia, molto precisa. Il cadavere del
poeta appariva così, calpestato dall'auto in fuga.
Può bastarci; oppure no. Potrebbero bastarci le previsioni, la preveggenza
sociale con la quale Pasolini ci mise in guardia sul futuro, sul nostro paese,
inglobando l’umanità e il mondo. Proprio come li aveva descritti, oggi ci
appaiono: la nuova preistoria, il genocidio culturale, l’omologazione, e tutto il
resto. E forse possiamo accettare le sue profezie solo accompagnate
dall’adeguato pagamento. L’unico pagamento accettato. Così come e stato per
tutti i morti profeti del passato lontano, Cristo, Sokrates, Gandhi...el
comandante...per i bonzi Palach che illuminano il nostro cammino.

[Pierpaolo Pasolini, Tutte le opere, Mondadori]

Il processo kafkiano

Ormai tutti conoscono Kafka e il Processo. Molto bene. Però vale la pena di
rimembrare il prologo, che più kafkiano non si può, dove un tipo muore
aspettando di varcare una porta, che esisteva solo per lui. C'è di che meditare...
La fortuna del Processo, credo preconizzata dal genio kafkiano (termine entrato
nei dizionari) è legata alla visione onirica di grande portata, che anticipa
sicuramente le paranoie complottiste a venire, forse il nazismo (secondo me, ma
non ci sono prove), lo sfascio e l'uso improprio della giustizia (come negarlo?),
e soprattutto riporta sullo “schermo” virtuale (su quello di tela lo farà Welles)
il peccato originale. Originalissimo, in questa versione.
Il Processo è una delle storie che a me da più speranza, malgrado l'ineluttabilità
della tragedia, perchè Josef K, così come il Chisciotte continua a lottare, anche
di fronte alla sconfitta sicura. E incomprensibile.

Esiste un luogo, cantava il mio amico Karlitos, un luogo nascosto, dove io so


entrare.
Anche io ho imparato a entrare in quel luogo, grazie a chi mi ci ha dato la
chiave di accesso. Essi sono gli storytellers, quelli che raccontano storie, che
scrivono libri, girano film, cantano canzoni...grazie a loro sono entrato in quel
magico mondo. Potrei anche viverci, e ci ho vissuto per quanto concesso. Potrei
anche morirci, sarebbe la morte più dolce. Nemmeno una morte.
Cantava sempre Karlitos, su un'aria che una volta abbiamo sfiorato entrambi per
un momento:
“Io so che la vita non ha inizio, e so che non ha una fine...
Nella vita vedo tutto bene...”
(”Ainemà!”)

I promessi spesi

Due tizi del lecchese vogliono sposarsi ma un personaggio che non si può
nominare glielo impedisce, essendo potente. Alla fine il potente si becca la
peste e muore, non prima di confessarsi, pentirsi e accedere al paradiso (quando
si dice le comodità!) lasciando i due liberi di sposarsi. Il tutto sotto la
dominazione spagnola, o austriaca, o tedesca, o forse francese (svizzera no,
grazie al grande gnomo corso) come fosse un campionato europeo di
occupazione.
Curiosa l'ossessione del popolo per il pane, ma quanto sarà stato buono? Marie
Antoinette provò a farci dello spirito, ma perse la testa.

Variante “I promessi spesi”: due sposini suggellano il vincolo matrimoniale con


l'acquisto rateale di una casa, praticamente il mutuo. E poi si finisce “per
avvocati”, magari in diretta Retequatto (tentativo di traduzione di hush hush, lo
spandimerda hollywoodiano immortalato da Ellroy).
*

Quer pasticciaccio brutto

Gadda scrive l'insuperabile italiano, un poco lingua (letteraria, dunque


artificiale) e un poco gramelotian. O affabulare. Non ci sono parole (all'altezza).
Un poliziotto, l'arguto Ingravallo, indaga sull'omicidio di una signora bene, ma
non trova colpevoli. Finche non arriva Pietro Germi con la sua Arriflex e risolve
tutto all'italiana.
Dite voi se non anticipa tutto il poliziesco moderno (giallo, nero o del colore
che preferite) e siamo in pieno fascismo! E Luchino Visconti sta per girare
Ossessione (da McCain) nel delta del Po...
Il Gadda è stato il più fine letterato della lingua italica nel suo tempo,
insuperabile soprattutto nel calembour, nelle invenzioni verbali,
nell’ibridazione con lingue dialetti onomatopee. Usò il suo talento, a parte per
produrre alta letteratura, per prendersi gioco della realtà che lo opprimeva
(borghesia, mondo accademico, militare, dirigenziale, anche internazionale,
fascismo, guerra e oltre). E in due esercizi di stile sublimi si addentro nel
“poliziesco”; ma solo Il pasticciaccio usa il genere pienamente per raccontare
la suburra delinquenziale: una donna piuttosto ricca viene trovata uccisa in
casa. Sospettati saranno dei ladruncoli. Il commissario Ingravallo, che
conosceva la vittima (e gli piaceva) si impegna al massimo seguendo quella
pista, che poco convince. Alla fine, dai e dai, tocca chiudere, e Ingravallo
arresta l’ultimo anello della catena indagatoria. Resta negli occhi l’atmosfera
unica gaddiana (che solo Gadda...) che straripa dalle sue pagine.

Il raccolto dell'uomo e il secolo beve

Anche se coi titoli cerco di dissacrare, i testi storici che raccontano l'evoluzione
umana, oltre alle storie particolari, le leggende, i miti e i culti (e perchè no, le
favole) svolgono la funzione più alta nella narrazione.
I due storici che ho letto con più passione sono stati Arnold J. Toynbee (di gran
lunga il migliore) ed Eric Hobsbawm, che fu per me il biografo del comunismo.
Toynbee è stato importante e originale per alcuni punti nodali: il rapporto
civiltà/potere/religione, le fasi storiche legate alle sfide e alle risposte alle sfide, lo
spostamento del focus dall'eurocentrismo (che stava lentamente scivolando
nell'anglocentrismo) alla weltanschauung per così dire antropocentrica, se anche
questo termine possa essere criticato oggi. Insomma, una visione che si allarga a
tutti i meridiani e paralleli. Il titolo originale del suo “Racconto dell'uomo” è
“Mankind and mother earth”.
Il mio maestro Daisaku Ikeda, che lo incontrò più volte, racconta nel saggio “Un
altro modo di vedere le cose”, divenuto un documentario, il giovane Arnold che
viene inviato dal suo giornale sul fronte della guerra greco-turca. E che decide, a
dispetto della presa di posizione preventiva europea, di intervistare sia i greci che i
turchi (nelle rispettive lingue, per la strada) venendo tacciato di essere “amico dei
turchi”. Fu criticato e attaccato per tutta la sua vita, come capita a chi va
controcorrente. Ma il suo reportage resta un esempio di giornalismo.

[Cory Taylor, Un altro modo di vedere le cose. Another way of seeing things e un
documentario del 2004 che “metteva in scena” un discorso del filosofo Daisaku
Ikeda intorno ai fatti del settembre 2001, e dove si ricorda il contributo alla ricerca
della verità storica di Arnold Toynbee.]

Il suo racconto dell'avventura umana si allarga nel monumentale “A study on


history”, e si restringe in “Mankind and mother earth”. Quanto abbiamo raccolto
da madre terra è ora abbastanza evidente, grazie al suo e ad altri contributi, come
quelli del vituperato Club di Roma, col quale pure interloquì Ikeda all'epoca.

Hobsbawm ebbe invece l'intuizione felice del secolo breve, e narrò di quegli anni
dal 1917 al 1991, cioè dell'unico infelice tentativo di creare un'alternativa al
sistema capitalista. Giusta o sbagliata che fosse, fu pur sempre l'unico tentativo di
alternativa su scala universale.
Bevuto in un sorso.

La ricerca del tempo perduto

Un fine letterato francese ottonovecentesco intinge uno dei suoi biscotti preferiti
nel te , e gli risale su tutta la vita, dall'infanzia in poi.
Comprese le note, fa un milione di caratteri, quasi quattromila pagine, sette
volumi.
Tanti autori hanno seguito, o anticipato, questo schema. Ma mi accusano di
essere un listomane (elencomane) perciò cercateveli per contro vostro.

Alla ricerca del tempo pennuto (versione disneyana)


Paperino intinge il biscotto nel te e ritorna nel passato, dove cerca di capire
come mai nella sua famiglia esistono solo zii e nipoti (tra l'altro con improbabili
nomi latini, come Qui Quo e Qua - che è l'unico che c'azzecca col papero).
Cerca di farsi finanziare i viaggi da (zio) Paperone, il quale non sgancia denaro,
e allora Paperino gli ruba il primo cent dalla piscina (va a sapere come l'ha
riconosciuto) che vale una fortuna ed è assicurato per una fortuna. Ciò causa
una catena di eventi che porta alla caduta della casa dei Duck, e alla fine
dell'intero sistema capitalistico (per un centesimo!).
Paperino non scopre l'arcano, ma si rende conto che dietro alle parentele
trasversali e alle razze disneyane (Pippo e Pluto sono entrambi bracchi, ma solo
uno parla, si veste, e cammina eretto...) potrebbe celarsi un enorme complotto
mondiale...

Roger Rabbit per sempre

Il supercartone vale più di mille cartoni. Primo perchè, come molti adulti, ho
abbandonato i cartoni da tempo, così come ho lasciato indietro la gran parte
dell'infanzia. E poi perchè in questo film si incontrano cartoni e umani, con un
effetto pirandelliano al cubo.
Non bastasse questo, nell'ultima scena, con un colpo che poteva riuscire solo a un
grande regista, ecco apparire, tutti insieme, i grandi eroi dei cartoni, in un finale
che, se può aver divertito un bambino, ha sicuramente precipitato un ex bambino
nello stupore totale.

Scimmiotto: il capitalismo è figlio degli imperi


Ho conosciuto lo Scimmiotto nell'adolescenza, grazie ai fumetti...
Il viaggio a occidente iniziò per la ricerca di testi sacri. Così racconta Wu
Chengen rispetto a mille o duemila anni fa (dipende dalla datazione del
manoscritto e dalla vicenda storica realmente avvenuta).
Il viaggio a occidente o Lo scimmiotto e uno dei romanzi più lunghi e articolati
della classicità (cinese) difficilmente sintetizzabile.
Il viaggio inizia con la nascita di una scimmia destinata alla ricerca
dell’immortalità. Lo scimmiotto si mette subito all’opera e affronta come
allievo tutte le discipline religiose e filosofiche disponibili, finchè decide, pur
mantenendo uno spirito scettico e irridente, di scortare il monaco Tripitaka fino
in India nel viaggio (realmente avvenuto) alla ricerca dei sacri sutra (testi
buddisti) da diffondere in Cina. Compagni di viaggio sono alcuni altri esseri
magici, un po’ umani e un po’ bestiali, e un nugolo di demoni che cercano di
impedire che l’impresa si compia. Lo scimmiotto, che deve anche gestire il
regno delle scimmie, delegando il potere ogni volta che si allontana, è un
paladino delle arti marziali, ma anche della risata. Insieme a lui non ci si annoia
mai.
Versione a fumetti di Manara. Ricolloca il classico nella cornice marxista degli
anni settanta. Oh già.

Lo Scimmiotto, curioso come tutti i primati, dapprima indaga su tutti i culti


dell'epoca alla ricerca di quello più soddisfacente, ma osserva e analizza anche il
potere politico dei regni (da quelli reali, come il Celeste Impero, fino a quelli
fantastici che si incontrano durante il viaggio) e diventa lui stesso un regnate, il
Re delle Scimmie. L'opera colossale di Wu mostra una serie di innumerevoli
affreschi dell'epoca (contemporanei allo sviluppo dell'Impero Romano d'oriente
dopo la caduta di Roma, e vicino all'Egira), un tempo di cambiamenti profondi. E
già si possono notare le strutture di potere degli imperi, come il più longevo,
quello cinese appunto, che costituiva una fondamenta stabile per qualsiasi
ristrutturazione futura. Perchè il Confucianesimo, il Taoismo e il Buddismo
avevano conferito al popolo cinese uno spessore che poteva assorbire ogni
cambiamento, che fosse mongolo, comunista o capitalista. Così come fu per
Roma-(via Hellas)-Europa.
E la base di ogni futuro sviluppo troverà terreno fertile nell'umanità civile, colta,
consapevole che regge le grandi civilizzazioni.

Lo scorpione e la rana: l'impero capitalista è omicida/suicida (visti dagli altri)

C'era una volta una rana...la storia dovrebbe essere nota: la rana si fida dello
scorpione e lo lascia salire sulla sua schiena, perchè il tapino non sa nuotare, ma a
metà del guado lo scorpione lo punge, condannando entrambi alla morte. Le sue
ultime parole famose furono: “è la mia natura”.
Anche se noi occidentali (perlomeno la maggioranza, parrebbe) persistiamo a
considerare la storia come un vettore, una linea retta che viaggia all'infinito, che ci
pone nella privilegiata condizione di dominare lo spazio (il pianeta è nostro), la
natura, inclusi naturalmente i nostri simili meno allineati, e infine persino il
tempo. La scienza sta spingendo i suoi limiti sempre più in là e c'è già chi
intravede (Yuval Harari) un corpo umano “refurbished” in grado di sovravivere
centinaia di anni. Cioè, chi potrà permetterselo si farà impiantare pezzi di
ricambio e morirà, in un certo senso, solo quando dovesse diventare interamente
meccanico; a meno che non si riesca in futuro a creare coscienze meccaniche. Un
quadro fosco, che confonde, ma perfettamente plausibile.
Chi ci guarda da lontano, cioè quei popoli che vivono alzandosi presto al mattino
col pensiero di come sfamarsi, vede chiaramente nel nostro progetto la distruzione
non solo della loro ma anche della nostra esistenza. Per la semplicissima ragione
che la loro vita era legata alla natura, ai suoi cicli, ai suoi frutti, allo scambio
reciproco, mentre noi stiamo distruggendo tutto questo mondo.
Molte sono testimonianze dolorose delle genti native dei continenti (tutti, ormai)
che abbiamo ridotto a industrie estrattive pesanti. Includendo anche agricoltura e
allevamento intensivi. Loro vedono chiaramente che gli abbiamo portato via il
bene maggiore, lasciando loro catene di negozi e fast food, “armi, acciaio e
malattie”, massacrandoli dapprima, poi sfruttando il loro lavoro e infine il frutto
del loro lavoro. E, come del maiale, non sprechiamo niente. Salvo poi lo spreco
del prodotto finito e venduto, che in occidente è intorno al 50%. di nuovo un
quadro inaccettabile, per la coscienza media. Ma non è tutto.
Loro vedono anche, nella nostra prassi, la nostra fine. Sa bene, la saggezza antica
legata alla natura, che la distruzione della casa porta alla distruzione degli abitanti.
È solo questione di tempo.
Si dirà: ma loro accorrono verso la nostra parte di mondo, verso i nostri prodotti e
il nostro stile di vita. È vero, la fame corporale e mentale è più forte del messaggio
degli anziani, degli avi. Non per tutti, ovviamente, chè allora avremmo miliardi di
profughi e non milioni alle nostre porte. L'adesione e perfino l'entusiasmo degli
affamati non deve far dimenticare la criminale disparità che il nostro sistema,
basato sul potere militare e su das kapital, ha generato nel nostro povero
disgraziato mondo, e che prima o poi tutto questo dovrà finire.

Con poche righe, dal suo paso doble d'addio, come solo un grande poeta poteva:

“Essere indegno della vita. Ma il mondo, il mondo umano, non aveva sempre
oscuramente aspirato ad essere indegno della vita? Ingegnoso e feroce nemico
della vita, di se stesso...”

[Passi di: Leonardo Sciascia. “Il cavaliere e la morte”. Apple Books]


O, addirittura, l'”Each man kills the thing he loves” del magno Oscar.

Tutto perchè come lo scorpione non sappiamo sempre trattenerci, e ci vorrebbe un


tutore (“Sono forse il guardiano di mio fratello?”) come tentarono di fornirci,
invano, i creatori di dei.

Siti, riti e miti (Kolosimo)

Lungi da me considerare l'opera di Peter Kolosimo, che leggevo da ragazzo con


passione, come scientifica (non credo che cose come Atlantide esistano, ma d'altra
parte chi sono io per negarlo?) ma neppure come saggistica romanzata o
romanzata saggistica, come suggeriscono i saggi Jia Ming. Del resto se qualunque
Giacobbo può avere una rete nazionale a disposizione per raccontare cose
simili...Kolosimo lo faceva pubblicando ricerche sue e riportando ricerche altrui.
Per un ragazzo alla perenne ricerca del mistero, era una vera manna.
Prescindendo dagli alieni, esistono nel nostro pianeta una quantità di siti che
hanno almeno un paio di caratteristiche inspiegabili: sono enormi, e quindi hanno
richiesto un lavoro di anni da parte di una miriade di uomini, e non è chiaro il
motivo per il quale sono stati eretti.
Le piramidi sono tombe, d'accordo, ma non sarebbe bastato un bel cimitero
monumentale, senza bisogno di colossi dall'ingegneria ignota e oltretutto allineati
col sole nascente? Ma le piramidi le conosciamo tutti. Altri siti invece, in
America (latina) e in Asia, lasciano perplessi sia sull'estrema difficoltà del lavoro
messo in opera su alture estreme, sia per la simbologia che rimanda a riti
immaginifici che, in mancanza di una spiegazione, fan pensare a un eventuale
rapporto con divinità o visitatori extraterrestri. La similitudine con le segnalazioni
delle basi di atterraggio non è peregrina.
Questo fa parte del piccolo mondo antico. Il complottismo si è evoluto molto da
allora e Atlantide, gli alieni in visita e l'area 51 o altri triangoli rappresentano
ormai innocue favolette.

Ci sono alcuni miti che mi hanno colpito più di ogni altro. Uno è un mito naturale,
quello di Pachamama, che è la Madre Terra come viene chiamata in una vasta
zona andina. È un culto antichissimo che richiede non solo il rispetto per la
natura, insito in tutti gli approcci che definiamo saccentemente animisti, ma anche
dei tributi in segno di gratitudine. E allora ogni volta che si mangia, oltre ad
assicurarsi che tutti intorno abbiano di che sfamarsi, si offre un boccone alla
Madre a cui si deve tutto, il primo sorso di ogni bevanda, il primo fiore...e ogni
anno in una festa popolare si offrono i migliori piatti, che vengono letteralmente
interrati, cioè ingoiati dalla Terra. Può sembrarci sciocco (a noi, che gettiamo
metà di quello che comperiamo) o inutile, ma a livello simbolico questi gesti sono
un cambio di mentalità, di paradigma, molto potente. Sarebbe come affermare che
non siamo i padroni di tutto ciò che ci circonda. Azzardo questa formula, anche se
ammetto di non avere approfondito a dovere nei brevi soggiorni in quelle terre
“sudamericane”.
Altra potente pratica, conosciuta come il Potlach dei cugini del nord, ma diffusa
in altre forme in tutto il mondo antico, consiste nel donare tutto il surplus durante
una festa, possibilmente uno scambio con altri gruppi vicini o lontani. In questo
modo la valenza è doppia o tripla: ci si libera dell'accumulo convertendolo in
gratitudine e incrementando l'amicizia.
Tanto di cappello.

Mito più complesso è quello del Simurgh. In questa antichissima “favola”


caucasica si narra degli uccelli, che un giorno si incontrano, convergendo da tutto
il mondo, per discutere, deliberare e decidere di cercare il loro dio. Per gli uccelli è
semplice viaggiare per il pianeta, e anche viaggiare così in alto da sfiorare
“l'altissimo”.
Gli uccelli stabiliscono che per trovare dio devono attraversare luoghi misteriosi e
pericolosi, e salire sulle vette più alte, fredde e impervie, fino al punto più alto.
Partono e il loro viaggio è come un'odissea, pieno di scoperte di luoghi dal sapore
metaforico o allegorico, una specie di viaggio nella coscienza (flusso di
coscienza?) dove molti di loro si perdono, per rinuncia, perchè si perdono o
soccombono. Alla fine solo trenta uccelli riescono a raggiungere la cima del
mondo, il luogo, o la cosa, o l'essere il cui nome è Simurgh. I superstiti si
stringono in attesa della rivelazione suprema, e continuando a guardarsi
reciprocamente giungono a una consapevolezza sorprendente: il dio che
cercavano sono loro stessi, i trenta uccelli che hanno osato sfidare tutti i pericoli
per conoscere la verità.
Trenta uccelli in farsi si dice Simurgh.
E questa divinità autorivelata non può essere singola, oltre che disgiunta dal
viaggio nella vita, ma può essere solo plurale, immanente. La scienza del tempo
formulò 3x10, cioè uni(ci)tà per deci(sio)ne.
Cifre molto care anche al non lontano buddismo mahayana.

Smigrare

Tesi: la massiccia circolazione incontrollata (o diversamente controllata) di


persone porta, oltre che innegabili vantaggi economici e culturali, grossi problemi
sociali nell'immediato e probabilmente nel futuro.
Nel libro Smigrare. Il mondo capovolto, raccoglievo impressioni e storie legate al
mio decennale lavoro con gli stranieri. Fondamentalmente analizzavo il
comportamento di noi “buoni” accoglitori e operatori sociali, benintenzionati
volontari e votanti di sinistra, ecc. nonché, attraverso molte storie, il flusso
umano che attraversa il nostro paese ponte, flusso che qualcosa, qualcuno,
trattiene.
Quello che trascuravo erano le cause a monte e le estreme possibili conseguenti (a
valle, ovviamente).
Alla fine si ottiene comunque un popolo senz'anima.
Le ambientazioni (le lochescio) delle storie sono state: scuole, caserme, alberghi,
comunità, ospedali, carceri, agorà. Oltre ai ben noti centri di concentrazione...
Premetto che ho consapevolezza dell'ineluttabilità storica e che per giungere
all'unità tra tutti i popoli umani occorra una qualche forma di uniformazione (non
omologazione!).
Pertanto passi che ci siano superficiali uniformità a livello (per es.) linguistico
(l'inglese), economico (il libero mercato), politico (democratizzazione), geografico
financo (frontiere labili). Ma intendiamoci: posso continuare a parlare il dialetto
che parlano quattro vecchi su una montagna, con dignità di lingua. Posso
utilizzare l'acqua piovana senza che arrivi una multinazionale americana
controllata dal vicepresidente (!) che impone una legge che vieta la raccolta di
acqua piovana (è accaduto nel 2001 a Cochabamba in Bolivia, quando la
popolazione si è sdraiata sulle strade bloccando il paese, e col modico prezzo di
sette vite umane, uccise a casaccio dalla soldataglia, infine il governo ha dovuto
cancellare la legge, ma solo per la forza maggiore del paese bloccato). Posso
continuare a farmi governare da un Re col piumaggio (tipo Swazi, con rispetto)
oppure da un prete fanatico: se questa è la volontà popolare, non ci possono
mandare i bombardieri e i carrarmati da un paese straniero...Se la frontiera è
libera, è libera per tutto e tutti sempre, non che me la chiudi quando arriva
un'ondata di qualche migliaio di migranti, in spregio agli accordi che regolano
l'unione, e poi mi fai pure la morale (della favolaccia)...
Quello che non voglio, pur nell'accettazione di una moderata uniformizzazione,
sono le vittime collaterali. Quali vittime? Senza scomodare gli “indiani d'america”
o gli “afroamericani”, le più grosse bestialità della storia umana (mi riferisco a
numeri di vittime e civiltà cancellate), quello che abbiamo sotto gli occhi è
un'Europa (dopo un'America...) di nuovi poveri, frutto di impoverimento di poveri
e non poveri europei, a fronte di un modico disimpoverimento di africani e asiatici
approdati con mezzi di molta fortuna...questo è il brodo di coltura ideale (altro che
melting pot) per avere un mercato del lavoro a bassissimo costo e qualità, un altro
bassissimo mercato e basta (i poveri spendono sempre tutti i loro soldi, se sono
pochi meglio, così non creano risparmio stagnante) e infine una povertà che molti
occhi cecati negano: l'analfabetismo strutturale, culturale, civico,
ideologico...insomma, non è certo questa la sede di un sì impegnativo trattato
antroposociologico, ma chi ha visto il cambiamento della popolazione europea
degli utlimi 50/60 anni, o di quella americana di poco antecedente, può rendersi
conto dell'entità del problema. Si può sempre far finta di niente e dedicarsi al
grande fratello (povero Orwell, massacrato da intellettualoidi di sinistra: a
Mediaset sono quasi tutti di sinistra, che quelli di destra creano? E forse siamo
anche oltre Pasolini, che ci ha regalato diverse amare profezie, e tutte purtroppo
realizzate, anzi scrisse una poesia intitolata proprio Profezia:

“Alì dagli Occhi Azzurri


uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su
navi a vela e a remi.
Saranno con lui migliaia
di uomini coi corpicini e
gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i
bambini, e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di
Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a
Palmi, a milioni, vestiti di stracci
asiatici, e di camicie americane.
Subito i Calabresi diranno,
come da malandrini a
malandrini:
”Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e
formaggio!” Da Crotone o
Palmi saliranno a Napoli, e da
lì a Barcellona, a Salonicco e
a Marsiglia, nelle Città della
Malavita.
Anime e angeli, topi e
pidocchi, col germe della
Storia Antica voleranno
davanti alle willaye.
Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre
colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per
implorare, essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero
come banditi in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al
cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo di Dio,
essi che cantavano ai
massacri dei re,
essi che ballavano
alle guerre borghesi,
essi che pregavano
alle lotte operaie…”

[Pierpaolo Pasolini, Alì dagli occhi azzurri, Garzanti]


A parte la rotta Algeri–Krotone (o Palmi), che andrebbe aggiornata (Zuwara–
Krotone, ma piu spesso Lampedusa) e tagliato il pirotecnico finale col Papa e
Trotzky, ci siamo.

The Gandhis

Qual è stata la famiglia più influente del secolo, o della storia recente? Qualcuno
penserà ai Kennedy, ma dei quattro maschi del patriarca tre caddero e uno fu fatto
cadere in un fiume affinchè, come il soldato Ryan, potesse sopravvivere ma senza
farlo pesare. E anche diversi loro figli finirono male. Ricorda più una famiglia
greca, anche se il magnate greco arrivò a cose fatte. Gli sfortunati politici, ai quali
va la mia pietà, non riuscirono a cambiare l'America.
I miei favoriti sono invece i Gandhi's family. Anzitutto sono indiani, dell'India, ed
è già una discreta nemesi. Poi sono una famiglia allargata, molto allargata. Qui
menziono solo i tre che mi sembrano più legati alla storia. Del mondo, non solo
dell'India.
Il patriarca, chiamato grande anima contro la sua volontà, era un figlio di buona
famiglia che venne mandato prima a studiare legge in Inghilterra e poi a esercitare
in Sudafrica. Queste esperienze lo segnarono: all'epoca un indiano era per i
bianchi un “negro” scolorito e una potenziale minaccia. Gli inglesi infatti avevano
rubato la ricchezza dell'India (la quarta del mondo) per farsene grandi, e gli
indiani, pur non possedendo la possenza dei neri, erano quantomai abili nelle
imprese in cui si cimentavano. Fatto sta che Gandhi divenne leader dei diritti
civili dapprima in Sudafrica, poi in India, finchè il movimento di liberazione del
quale rappresentava la guida ottenne la cacciata dei britannici e l'indipendenza,
senza colpo ferire.
Dei suoi ottant'anni di vita e oltre mezzo secolo di lotta si conosce tutto.
I grandi lasciti di questo incredibile essere umano furono l'uso della nonviolenza
(quasi l'invenzione della stessa), la liberazione del suo enorme paese/continente,
molte idee rivoluzionarie e gli aneliti purtroppo disattesi della conciliazione tra
indù e musulmani e dell'abolizione delle caste.
Dovette porre fine alla sua vita un fanatico indù, che lo considerava troppo amico
dei musulmani, proprio lui che aveva passato l'intera esistenza a lottare per il suo
paese, e metà della stessa imprigionato, e che quando non digiunava si nutriva
esclusivamente di frutti e latte di capra.
La sua eredità politica venne raccolta da Nehru, il primo leader dell'India libera.
Più tardi gli successe sua figlia Indira, una “ figlioccia” di Gandhi. Indira fu una
leader di sorprendente forza rivoluzionaria, forse anche troppa. Come sempre
accade in enormi moloch come le democrazie (quella indiana è la più grande) alle
ottime intenzioni seguirono disastri epocali, per citarne un paio la guerra contro il
Pakistan, con conseguente destabilizzazione dell'area, e la disastrosa politica di
controllo forzato delle nascite.
In entrambi i casi, pur considerando la gravità delle situazioni, forse si sarebbero
potuti trovare modi (modi!) più morbidi per risolvere i problemi. Di fatto oggi la
tensione col Pakistan è sempre viva, nessuno ne ha guadagnato, e il problema
demografico è alle stelle, ma è diventato un tabù per la politica. Indira venne uccisa
dalle guardie Sikh, perchè nel suo autoritarismo li aveva danneggiati. Stessa sorte
toccò al suo successore e figlio Rajiv, un uomo brillante e dotato di tutte le migliori
intenzioni. Ma i Sikh (la guardia presidenziale è composta da Sikh, in quanto più
fidati!) avevano deciso di cancellare definitivamente i Gandhi's dalla scena.

Triste solitario y final

Grande viaggio nel passato, dove si incontrano l'immortale Marlowe di


Chandler, Stan e Ollie, Chaplin, Sinatra e un altro milione di personaggi.
Soriano crea una grande storia, la vive (nella sua fantasia) e ci fa rivivere un
mondo. Risate e lacrime, spanglish e lunfardo.
Il mondo di Soriano esplode in questo romanzo d'esordio, che esce in piena
dittatura. Esule anche lui, vagabonda per Europa e mondo come tanti
compadritos traditi. In attesa di un futuro che el Libertador disperava di vedere
nelle terre redente.
Durato troppo poco, Osvaldito.

Il vecchio in mare

Pescatore cubano non più giovane parte con la sua barchetta e aggancia il pesce
più grande mai visto. Solo che il pesce lo tira al largo per giorni, finchè non tira le
cuoia (il pesce). Il vecchio torna lentamente verso casa, ma nel frattempo gli
squali e altri predatori e parassiti fanno scempio del suo bel pesce. Quindi sbarca
in porto con la lisca più grande mai vista, che suscita comunque animazione.
E fu subito Nobel.

*
Verità?
Mezze verità, o false verità...spesso le favole non dicono...

Quando ero piccolo la cosa che contava di più era la famiglia (standard).
Quante famiglie ho visto arrivare unite alla fine naturale? Forse nessuna.
Il pericolo era il comunismo. Cosa ci ha fatto il comunismo? Direi niente.
La paura era l'atomica, nel senso di bomba. È mai esplosa un'atomica? No.
Poi la minaccia fu il terrorismo. Da chi arrivava la minaccia? Passai da Bologna,
quel 2 agosto (non in treno). Fui salvo. Anche i colpevoli sono salvi, a oggi.
La nostra vita doveva migliorare con la globalizzazione. Non direi proprio.
L'euro ci avrebbe cambiato la vita. Infatti ce l'ha incasinata e impoverita.
Inoltre l'Europa ha avuto il tempo di rafforzarsi ma non l'ha fatto, e adesso è tardi.
Appena ti opponevi ti urlavano: spread! Nessuno ha capito cosa fosse in realtà.
E poi il problema fu la nostra sicurezza. La mia non è mai stata minacciata.
Virus/vaccino: mai stato da nessuna delle parti. Timoroso (e avverso) a entrambi,
li ho accolti con pazienza ed empatia pensando agli altri otto miliardi.
Infine è tutta la vita che mi intimano di consumare, e io consumo. A forza di
consumare abbiamo consumato tutto. E adesso cosa (c. . .) consumiamo?

I versetti assennati

Se un libro ti costa la condanna a morte, e ultimamente qualche coltellata, va


preso sul serio, molto sul serio. Ma non troppo. Almeno è opera alta, e non
vignette suicide.
I versetti costano a Rushdie la fama eterna e la solidarietà degli scrivani
perseguitati. Col Saviano post Gomorra diventano fratelli a distanza.
Dietro al clamore degli atti criminali resta la volontà e anche la capacità di dire
ciò che si pensa, ciò in cui si crede. Costi quel che costi.

*
Viaggio al terminal della notte

Una grande epopea, odissea novecentesca, altro che Ulysses (con tutto il
rispetto, almeno qui si capisce cosa c'è scritto. Eccome!).
Il pazzo (realmente) visionario Celine/Destouches/Bardamu/Robinson mette in
scena tutte le sue vite e le sue ossessioni. Come solo un Dosto era riuscito a
fare. Forse solo un pazzo poteva dipingere il secolo a pennellate così forsennate
e intuitive, a-la Picasso o Dalì.
Un giovane anarchico se ne sta seduto al bar con un amico a sparlare
dell'ipocrita società della belle epoque, quand'ecco che passa un gruppo di
volontari della prima guerra mondiale, e lui che fa? Li segue!
Inizia così il viaggio al termine della notte, che attraversa tutti i continenti, gli
inferni, le professioni, le passioni, ma soprattutto la notte. Quella notte che si
porterà via anche lui (metaforicamente) nella immane follia del nazismo e della
grande guerra (altro che) da lui preconizzata.
Oggi tuttalpiù uno si aggrega a una organizzazione di contractors pagati a peso
d'oro che viaggiano in aereo e hanno pure la precedenza su tutti gli altri voli.

La vita e le vite di scarto

Il vecchio Zygmunt ci ha lasciato alla grande, con un messaggio come al solito


lucido e preciso. Dice in “Vite di scarto”:

“Un fantasma si aggira fra gli abitanti del mondo liquido moderno e fra tutte
le loro fatiche e creazioni: il fantasma dell'esubero...La modernità liquida è
una civiltà dell'eccesso, dell'esubero, dello scarto e dello smaltimento dei
rifiuti.”
“Noi umani sappiamo di essere mortali: destinati a morire. Vivere con questa
consapevolezza è difficile. Sarebbe del tutto impossibile se non intervenisse la
cultura. La cultura, grande invenzione umana (forse la più grande di tutte: una
metainvenzione, un'invenzione che mette in moto l'inventiva e rende possibile
tutte le altre invenzioni), è un dispositivo per rendere sopportabile contro ogni
logica e ragione la vita degli umani, cioè quel tipo di vita che comporta la
consapevolezza della mortalità.”
“Rischiano di trasformarci, da un giorno all'altro, in profughi o «migranti per
motivi economici». Rischiano di ritirarci la carta d'identità o di annullarcela. E
ci rammentano giorno dopo giorno che possono farlo impunemente: quando
scaricano sulla soglia delle nostre case le persone che sono già state respinte,
costrette a fuggire per mettersi in salvo o a lasciare le proprie case per
procacciarsi i mezzi per restare in vita, derubate delle loro identità e della loro
autostima. Odiamo quelle persone perché sentiamo che quello che stanno
vivendo sotto i nostri occhi potrebbe benissimo essere, di lì a poco, la prova
generale della nostra stessa sorte.”
“Parliamo compulsivamente di reti e cerchiamo ossessivamente di creare reti
(o almeno i loro fantasmi) per mezzo dello speeddating, degli annunci
personali e del magico incantesimo dei «messaggini», perché avvertiamo
penosamente la mancanza delle reti di sicurezza un tempo costituite
semplicemente, con o senza sforzo da parte nostra, dalle vere reti fatte di
simili, di amici e fratelli di destino.”
“Ed effettivamente i contatti faccia a faccia ci intimidiscono sempre più.
Tendiamo ad allungare la mano verso il cellulare e a metterci a premere
tasti furiosamente, componendo messaggi di testo, per evitare di «farci
ostaggio della sorte» e per sfuggire alle interazioni complesse, disordinate,
imprevedibili difficili da interrompere e da cui è difficile uscire con le
«persone vere» fisicamente presenti attorno a noi.”

[Passi di: Zygmunt Bauman. “Vite di scarto”. Apple Books]

Che altro si può aggiungere?

La vita è un dejavu.

Mi capita sempre più spesso. Anzi, quasi sempre. In pratica, guardando un film,
leggendo un libro, ascoltando una musica, o persino una conversazione, penso che
mi è familiare, anzi che conosco quella cosa. “non è la prima volta!”. Poi mi
chiedo com'è possibile che non posso fare più alcuna esperienza senza
l'impressione di averla già vissuta.
All'inizio era una sensazione molto spiacevole. Poi ho cominciato a ragionare:
quanti libri e giornali ho letto? Migliaia. Quanti film o spettacoli ho visto?
Migliaia. Quanti dischi e concerti ho ascoltato? Migliaia. Quante persone ho
conosciuto, con quante ho parlato? Sempre migliaia, visto che tutti i miei luoghi
di lavoro per mezzo secolo erano affollati, anche da migliaia di persone. Le
persone è impossibile contabilizzarle (fakebook è un simulacro) e poi la qualità
delle relazioni è variabilissima. Ma le storie che ci si scambia, anche tra
sconosciuti, sono innumerevoli.
Quanto alle storie codificate, nel mio archivio digitale ho più di diecimila files, e
sono solo l'eccellenza che conservo perchè ritengo indispensabile. Su dieci opere,
almeno nove non le conservo. Ma forse anche di più, soprattutto ora che da
pensionato divoro video audio e testi come un cannibale ossessocompulsivo.
Fatti i conti mi chiedo: non è possibile che combinando tutti questi incalcolabili
elementi si possa arrivare a una specie di chiave di lettura universale, per cui si sa
già come si possono combinare gli elementi, che sono limitati, e le combinazioni
possono essere non infinite?
Con questo non intendo dire che sono un genio, come un musicista che conosce
tutte le possibili costruzioni a partire dalle sette note, penso più a un processo
inconscio, che è guidato, come un algoritmo guida una macchina computerizzata,
dallo spirito umano. Se assistiamo a una scena, dopo tanti anni di vita vissuta,
restringiamo il campo delle possibilità del suo sviluppo. E anche se la vita ci
sorprende sempre (a me, di sicuro) anche il fattore sorpresa rientra nelle
possibilità previste.
Per esempio, Antonio parte da Roma e va in Egitto. Cosa fa? Si mette con
Cleopatra, tanto per cominciare. E poi? La sua sfida a Roma non può che
concludersi con una sconfitta, e lui lo sa benissimo.
L'unica cosa che sorprende (grazie all'intercessione di Shakespeare, credo) è che
le sue ultime parole siano “muoio, Egitto, muoio”.

L'albero di natale
E ora, per concludere l'argomento “cos'è la vita” affrontiamo la decostruzione.
La mia esistenza, come tutte, è un ciclo. All'inizio ho costruito, per decenni. Il
meraviglioso decennio infantile dei sessanta (quello precedente non lo ricordo),
quello dei settanta della mia ricerca esistenziale, gli anni ottanta duri e maturi, e
poi i novanta, il fine secolomillennio infestato di illusioni perdute. Nel 2001 la
mia fase di crescita, e lo stallo, hanno curiosamente coinciso con la medesima fase
dell'umanità, a conferma che ho vissuto veramente la Storia (“il mondo al centro
di me!”).
Dopo aver creduto di poterla fare finita con la guerra, la fame, i disastri, ecco
nuove guerre, nuove crisi e nuovi disastri. Come se un velo avesse oscurato il
povero pianeta. Potrei parlare di vittoria di Satana, se ci credessi. Ma queste sono
cose risapute, prima o poi cambieranno.
La mia vita divenne piatta come un oceano realmente pacifico, e cominciai per
forza di cose a gestire la navigazione. Non che fosse molto peggio di prima, solo
un po' meno appassionante, e tutto sommato più consono all'età che avevo
raggiunto. Senonchè, e sempre per forza di cose, iniziai a spogliarmi di certi
orpelli, che quando corri, accumuli, sperperi, non ti rendi conto di avere addosso,
ma quando ti concentri profondamente sulla via che stai percorrendo, allora come
le zavorre ti pesano.
Uso una metafora, quella dell'albero di natale. L'albero è bello da fare e da mirare
quando è fatto. Non lo dico per me, ne ho sempre avuto orrore, ma è luogo
comune. Ho scoperto, nel lungo tramonto della mia vita, che è bello anche
disfarlo, l'albero. Anzi, forse è ancora più appagante.
Naturalmente tutte le feste, religiose e laiche, sono i primi festoni gabbati, e sono
incluse nel pacchetto. Le lucine, data la crisi, non dovrebbero mai neppure
essere accese.
La palla più grossa da dismettere è quella dell'amore. Non intendo l'amore come
sentimento, come energia della vita, quello che condividiamo con gli altri sotto
svariate forme, dall'innamoramento all'amicizia, dalla passione alla pietà filiale.
Mi riferisco all'ideale, a quell'insieme di costruzioni (precostituite fin dal
romanticismo europeo) che mette insieme i sogni (che son desideri), il colpo di
fulmine, la coppia, il sesso, la famiglia, la casa, l'economia domestica, la crescita
dei figli e tante altre cose, finchè non si sente il boom dell'esplosione...si, sono
stato anch'io vittima dell'amore romantico, e ho fatto tutti quei passi, cadendo a
ogni passo come quell'altro, quello che portava la croce.
Ora credo che ogni momento abbia un valore unico e a se stante, pur facendo
parte del tutto, che tutto comprende.
E che non si può dire, faccio un esempio, questa donna mi piace, tra qualche
decennio avremo pagato il mutuo, la casa sarà nostra e i ragazzi si laureeranno. E
saremo ancora più felici e contenti.
Una cosa alla volta sarebbe già un passo avanti.
Analogamente a queste forme di amore dirette ad altri esseri umani, c'è tutta una
letteratura (romantica) che riguarda gli ideali politici, l'amore per la patria, il
paese, il popolo come astrazione, partizioni dell'umanità che prediligiamo a vario
titolo. C'è anche chi ama i trenini elettrici.
Ps: l'impulso sessuale è duro a morire. Forse a cento anni, se ci arriverò, non lo
sentirò più. Ma considerarlo una specie di mistica dei poveri, o dei miserabili
(vedi squilibri demografici) è sicuramente eccessivo.
Lo stesso discorso l'ho riservato alla palla dell'odio, e di altri sentimenti negativi.
Dopo più di mezzo secolo di coinvolgimento nella politica, dal livello locale a
quello planetario, dopo avere visto (per sentito dire) crimini generalizzati e
reiterati, dove è la solita povera gente a soccombere, ho deciso di destinare ai
colpevoli non più la giusta riprovazione, ma qualcosa di peggio: l'indifferenza.
Sono infatti convinto che, molto oltre la fallibilissima giustizia umana, ne esista
un'altra, insita alla vita stessa, una specie di autoregolazione. Odiare i potenti della
terra per i loro crimini mi ha dato qualche sollievo, ma alla lunga finivo per
sentirmi pericolosamente vicino a quei mostri. Senza contare, come dice
Dragonball, che più lo colpisci, e più diventa potente (più lo diffami, e più è
votato).
Non è stato particolarmente complicato liberarmi delle palle colorate di denaro,
guadagno, lavoro, carriera (e precedentemente scuola), perchè non mi è mai
importato realmente di ciò che complessivamente possiamo definire posizione
sociale. Ho amato molto i lavori che ho fatto più a lungo, e particolarmente quello
per cui ho studiato, ho amato studiare e anche essere gratificato. Ma meno.
Anche in questo caso trovo che il proprio posto (ruolo) nel mondo, il dovere, il
diritto, la posizione, la retribuzione e tutto quel che ne consegue, andrebbero
valutate, queste palline, andrebbero vissute come fenomeni distinti, interrelati ma
non per forza di cose interdipendenti. Bisognerebbe porsi delle domande: è meglio
fare un lavoro che piace e guadagnare poco, o un lavoro di merda che arricchisce?
Meglio essere un manager che padroneggia a malapena il vocabolario, o un
laureato che pulisce un parco? Cose così.
Le palline legate alla retorica della gioventù, come i giochi, o anche i giochi per
adulti, le carte e i giochi di società, non sono stati un problema, perchè a me
lasciano il tempo che provano. Ho giocato per diversi anni, non lo nego, ma come
si dice, un bel gioco dura poco. E mi sento sempre giovane, la mia età mentale è
bloccata ai quindici anni. Molti possono testimoniare. E credo sarà così fino a che
mi rimbambirò, anzi forse sono già rimbambito.
Stesso discorso, ribaltato, vale per la vecchiaia, anch'essa minata da innumerevoli
miti. Ora che mi ci sono addentrato, al netto dei dolori cronici e del corpo che a
volte perde colpi (ma sono immune dalla performance) mi sembra un'età dell'oro,
dove si ha una comprensione delle cose che va oltre l'invischiamento con le
vicende mondane, una visione serena, profonda, lungimirante, e disincantata.
Tradizionalmente (o tipicamente, nel linguaggio tecnico) la vecchiaia, da non
confondere con l'invecchiamento, che comincia già nella pancia della mamma,
viene associata con malattia vs salute, e paura pro morte.
Niente di più confuso. Spiego il mio punto di vista: malattia e salute non sono
stati che si alternano, o addirittura si affermano; esistono sempre e
contemporaneamente nei nostri corpi, basta studiare anche solo un bignamino su
biologia o medicina. Ma qui è diverso, qui si favoleggia. Senza dubbio in età
avanzata aumentano i malesseri e i malfunzionamenti, già detto, il corpo si
affatica (si consuma) e insomma, il ciclo naturale si compie. Ma ho visto bambini
condannati a morte e centenari intatti. Quanto alla morte, certo che fa paura, ci
mancherebbe. Però un conto è la sana paura, che fa parte dell'irrinunciabile
repertorio umano, e altro è non accettare o negare quello che ci aspetta tutti, e
vivere male, vivere una finzione. Come nelle migliori favole possiamo dichiarare
che la morte non ci riguarda: quando succederà, non ci sarò.
Le arti minori sono le palline che cadono più facilmente. Posso citare come
esempio una delle mie prime passioni: i fumetti. Che adesso non si chiamano più
così, perchè bisogna periodicamente rinnovare la nomenclatura.
Ai miei tempi erano i fumetti, e divenni in breve un grande consumatore e un
collezionista prodigioso, considerato che avevo dieci o quindici anni. Dai fumetti
ho preso molto: l'introduzione alle grandi opere, perchè i fumetti pescavano da li,
Hugo o Dickens, tanto per dire, e alla fine ti spingevano verso gli originali. Poi,
un giorno, mi ritrovai con una stanza piena di albi (i giornaletti o giornalini) e
nessuna voglia di rileggerli ancora. Fu una svendita clamorosa.
Per chiudere il cerchio menziono una delle palline più recenti, anzi un grappolo: i
generi cinematografici minori. Non sarei più in grado di guardare un cartone, un
musical, un horror, un western...niente in contrario, ma non ci riuscirei, è più forte
di me. In questa particolare forma di iconoclastia minima posso ringraziare alcuni
maestri del killeraggio di genere, gente del calibro di Kubrick, Leone, Brooks,
Tarantino e altri...
Naturalmente faccio salve le storie, quelle mi interessano sempre, al di la della
forma.
Come addobbi presuntamente irrinunciabili, ho infine rinunciato a tutte le
macchine, tutti gli elettrodomestici, uno a uno, salvando solo il computer portatile,
collegato al telefono (come antenna), senza il quale non avrei un archivio (ho
disaddobbato anche tutto il cartaceo, oltre alla ostile plastica) e non potrei
scrivere, leggere, ecc. Da molto tempo vivo col minimo e ne sono felice.
Conosco già le obiezioni: la famiglia, il lavoro, l'auto...ho il vantaggio di non
dover più andare in giro tutto il giorno per il procacciamento, e le mie figlie adulte
sono sistemate (quanto al pennone, quello che si mette in cima, l'amore, ho già
detto) perciò ho potuto realizzare questo sogno, che condivido con l'umanità,
anche se l'umanità non lo sa.
Ma allora, si dirà, se abbatti tutto, cosa resta? Restano i pilastri imprescindibili di
fede (crederci sempre), pratica (vivere la realtà) e studio (voler sempre conoscere,
e se ci si diverte, è anche meglio).

Ppss: frammento onanirico

Canto del vecchio nello specchio

In quei giorni aspettavo senza disperare che una donna mi chiamasse. Avevo
bisogno di una donna, ma non avevo bisogno del bisogno. Ormai ero giunto a
un punto in cui potevo fare a meno di tutto e soprattutto non potevo più
dipendere da nulla né restare attaccato al nulla che rappresentano le cose, e
anche le relazioni con le persone quando le carichiamo troppo, di troppi
significati che vanno persino oltre quella che è una pura e semplice, e magari
anche bella relazione umana. Così aspettavo questa chiamata, forse l'ultima?
Forse una chiamata che esisteva solo nella mia mente, perchè in realtà solo lì
esistevano le donne che avevo creato durante la mia esperienza di uomo in
questa vita, e non corrispondevano alle persone fisiche che erano state, che
erano e che sarebbero state. Io avevo inventato, ricreato, sublimato la realtà
ogni volta, costruendo storie che non coincidevano con la reale fottuta realtà
che è quella della vita biologica, degli animali (umani) che vivono, compiono
azioni corporali indispensabili allo scopo, che passano il tempo a fare cose, e
infine muoiono. Il mio mondo era diverso, era tutto particolare, originale,
unico, era il mio mondo, e sono sicuro che anche il vostro, quello di ognuno di
voi, lo è. Così aspetto questa chiamata, da un telefono coi fili staccati, o da una
versione moderna, un cellulare spento, senza carica, da una finestra murata
come un trompe l'oeil o da una porta chiusa dall'esterno. Da una voce muta. Da
un alfabeto inesistente. Un'attesa di godotiana memoria, un qualcuno che non
arriva, eppure atteso. Però invece nel mio mondo quel qualcuno, qualcosa, pur
inatteso arriva. E la chiamata, sempre arrivata, si rivela ogni volta sorprendente
e nello stesso tempo esattamente consona a come sarebbe dovuta essere, in
quella sorta di armonia universale che si può percepire esclusivamente nelle
profondità della propria vita, immersi nella solitudine, e magari in mezzo alla
natura, anziché in una scatola buia, o possibilmente in un sogno. E prima di
rompere l'incanto voglio pensare, voglio credere, che ancora e ancora arriverà
quell'attesa o falsamente attesa o inattesa chiamata, quel segnale che dice si, sei
vivo, sei vivo e sei degno di esserlo, sei giusto.
E non dev'essere una donna per forza.

Pppsss: analizzare l'espressione (credo la più usata) Mio Dio.

Z: l'orgia continua

L'orgia del potere continua, ma non per molto, credo...


Prima o poi tutto finisce, tutto cambia. Si, anche l'uomo, l'umanità. Guardando il
cielo che già rispecchia il futuro, oltre al passato, mi viene in mente una
graziosa profesia, cioè una profezia della madre dei poeti:

“Allora io prendevo fiato, esitavo, svuotavo la mente e alla fine dicevo: ecco le
mie profezie. Vladimir Majakovskij verso il 2150 tornerà di moda. James
Joyce, nel 2124, si reincarnerà in un bambino cinese. Thomas Mann diventerà
un farmacista ecuadoriano nel 2101. Marcel Proust entrerà in un lungo e
disperato oblio a partire dal 2033. Ezra Pound sparirà da alcune biblioteche
nel 2089. Vachel Lindsay diventerà un poeta di massa nel 2101. César Vallejo
verrà letto nei tunnel nel 2045. Jorge Luis Borges verrà letto nei tunnel nel
2045. Vicente Huidobro diventerà un poeta di massa nel 2045. Virginia Woolf
si reincarnerà in una narratrice argentina nel 2076. Louis-Ferdinand Céline
entrerà in purgatorio nel 2094. Paul Éluard diventerà un poeta di massa nel
2101. Metempsicosi. La poesia non scomparirà. Il suo non potere sarà visibile
in altro modo. Cesare Pavese diventerà il Santo Patrono dello Sguardo nel
2034. Pier Paolo Pasolini diventerà il Santo Patrono della Fuga nel 2100.
Giorgio Bassani uscirà dalla tomba nel 2167. Oliverio Girondo troverà il suo
posto come scrittore per ragazzi nel 2099. Roberto Arlt vedrà tutta la sua
opera sul grande schermo nel 2102. Adolfo Bioy Casares vedrà tutta la sua
opera sul grande schermo nel 2105. Arno Schmidt risorgerà dalle ceneri nel
2085. Franz Kafka sarà di nuovo letto in tutti i tunnel dell’America latina nel
2101. Witold Gombrowicz godrà di grande reputazione nei dintorni del Río de
la Plata verso il 2098. Paul Celan risorgerà dalle ceneri nel 2113. André
Breton risorgerà dagli specchi nel 2071. Max Jacob smetterà di essere letto,
cioè morirà il suo ultimo lettore, nel 2059. Nel 2059 chi leggerà Jean-Pierre
Duprey? Chi leggerà Gary Snyder? Chi leggerà Ilarie Voronca? Ecco cosa mi
domando. Chi leggerà Gilberte Dallas? Chi leggerà Rodolfo Wilcock? Chi
leggerà Alexandre Unik? Nicanor Parra, però, nel 2059 avrà una statua in
una piazza del Cile. Octavio Paz, nel 2020, avrà una statua in Messico.
Ernesto Cardenal, nel 2018, avrà una statua, non molto grande, in Nicaragua.
Ma tutte le statue volano via, per intervento divino o più comunemente per la
dinamite, come è successo alla statua di Heine. Perciò non confidiamo troppo
nelle statue. Carson McCullers, tuttavia, continuerà a essere letta anche nel
2100. Alejandra Pizarnik perderà la sua ultima lettrice nel 2100. Alfonsina
Storni si reincarnerà in un gatto o in un leone marino, non saprei precisarlo,
nel 2050. Il caso di Anton Čechov sarà un po’ diverso: si reincarnerà nel
2003, si reincarnerà nel 2010, si reincarnerà nel 2014. Alla fine ricomparirà
nel 2081. E poi mai più. Alice Sheldon diventerà una scrittrice di massa nel
2017. Alfonso Reyes sarà definitivamente assassinato nel 2058, ma in realtà
sarà Alfonso Reyes ad assassinare i suoi assassini. Marguerite Duras vivrà nel
sistema nervoso di migliaia di donne nel 2035. E la vocetta diceva che strano,
che strano, alcuni degli autori che nomini non li ho letti. Per esempio?,
domandavo io. Quell’Alice Sheldon, per dire, non ho idea di chi sia. Io ridevo.
Ridevo per un bel po’. Di cosa ridi?, diceva la vocetta. Di averti preso in
castagna, tu che sei così colta, rispondevo io. Colta, colta, proprio colta non lo
so, diceva lei …”

[Passi di: Roberto Bolaño. “Amuleto”. Apple books]

E poi penso che Pablo Neruda è stato avvelenato, una commissione di esperti
internazionali lo ha appena confermato. Così come Emile Zola, ma allora non
c'erano ancora le commissioni di esperti internazionali.

Penso a Lovecraft che gettò uno sguardo in un'altra dimensione, L'ombra calata
dal tempo, o a Saramago che immaginò una elezione dove votavano solo il 18%
degli aventi diritto (perlopiù schede bianche) e la democrazia scoppiava, oppure
una mattina in cui si svegliano tutti ciechi, come in quella valle di
Wells...insomma: quante storie ancora avrei potuto rispolverare...

Ringraziamenti a Jeff Sachs (non quello di Risvegli) e non ricordo più perchè...

Diamo i numeri

1984/1Q84

Il mondo di oggi, immaginato quasi 80 anni fa, e ambientato quasi 40 anni fa.
Le sole differenze sono il fatto che il potere non ha bisogno di enormi schermi
bidirezionali per controllarci, e che non è così pacchiano da mostrarsi come un
incrocio folkloristico tra Hitler e Stalin.
Murakami, il Nobel per la letteratura più mancato della storia, rielabora il
soggettino rititolando con un astuto escamotage (qu, oltre a somigliare alla cifra
9, vuol dire nove in giapponese) e gli da un tocco romantico (i protagonisti si
amano e si ritrovano in ogni differente dimensione. Così è svelata anche la
trama fantasy...). Quanto al potere, è rappresentato, sempre astutamente, da una
setta new age rivoluzionaria, il cui leader spirituale, oltre che carismatico
sembra possedere poteri paranormali...e così ecco svelato tutto!
Nel 1984 reale non succede un granchè, ma poteva. Un giovane e onesto politico
russo (per quanto può esserlo) subentrato ai sovietsauri nella genealogia
staleniana, parte con l'intenzione di cambiare l'Urss (e di conseguenza il
mondo). Ma, come quasi tutti quelli che vogliono cambiare il mondo, finisce
per fare peggio.
L'ottimismo? Forse in una delle dimensioni alternative di Murakami...
*

Filmografia da favola

Brian di Nazareth

Cosa succede se un povero disgraziato viene scambiato per un messia e


inseguito da una folla adorante? Che i romani lo crocifiggono, e anche se alla
fine canta in coro “guarda al lato positivo”, gli autori si chiedono, sui titoli di
coda:
“potremmo farlo morire e poi, dopo tre giorni risorgere...”;
“ma dai, chi vuoi che ci creda?”.
Il capolavoro dei Monty Pithon.

El topo

El topo e un pistolero a cavallo, vestito di nero e con in braccio il figlioletto


nudo come l’ha fatto mamma, che tra l’altro si ignora chi e cosa ne sia.
Come inizio, si ammetterà, è notevole. In seguito El topo si sente in dovere di
affrontare i quattro maestri pistoleri del deserto, e per farlo deve abbandonare il
figlio. Sconfitti i maestri, egli si sente sconfitto a sua volta, perchè la morte non
è mai un premio. A quel punto, ferito, viene soccorso da un popolo di esseri
deformi che vivono nel sottosuolo perchè perseguitati dagli abitanti, sadici
assassini, del paese vicino. Una volta ripresosi El topo addestra i mostriciattoli
(evidente richiamo a Freaks) a difendersi e poi iniziano tutti a scavare un tunnel
per fuggire dall’altra parte della montagna.
Ma irrompe il figlio di El topo, che adesso è uguale al padre (vestito nero, pistola,
cavallo) mentre il babbo si è progressivamente convertito al monachesimo
buddista, se non altro nell’abbigliamento. Quando il popolo deforme riesce a
sortire si trova schierati gli abitanti sanguinari ad attenderli per massacrarli.
A quel punto El topo imita i bonzi in Vietnam...
Ma forse qualcuno riuscirà ancora a vedere questo capolavoro poco ricordato,
perciò torniamo indietro a prima che dei bonzi...
El topo è Alejandro Yodorowsky.

Fahrenheit 451

Altro che Orwell e Huxley, in questo piccolo gioiello troviamo alcune


invenzioni fulminanti: i pompieri che bruciano i libri, gli uomini libro (ognuno
ha imparato a memoria un testo e lo recita a richiesta) e tanti altre.
Bradbury e Truffaut fanno a botte, ma alla fine si abbracciano ubriachi al bar.
Un vecchio professore ormai obliato, diceva che la metafora degli uomini libro
valeva per loro (lui e i suoi allievi) che, pur ignorati o denigrati dal sistema
(nello specifico socio-sanitario, ma è universalmente valido, per estensione...)
un giorno sarebbero stati cercati per il loro sapere dagli stessi che li avevano
confinati nel (sotto)bosco della svalutazione.

Film

Il celeberrimo (per chi l'ha visto) cortometraggio del babbo di Godot


rappresenta per una mezzoretta il vuoto esistenziale, interpretato da un vecchio
Keaton (Buster) quasi morto. Negli anni, a chi mi ha detto che nel riflesso il
vecchio vedesse se stesso (la morte piu che la vita) ho sempre risposto: “ce la
vedo”.
Naturalmente un film che si chiama film può apparire pretenzioso, un pò come
un libro che si chiama libro (oops). Ma al grande ermetico gaelico, scampato a
Joyce, tutto si perdona.
Aspettando Godot (bonus): due clochardes (plurale) aspettano Godot, che non
arriva mai. Siccome sono disperati, si propongono spesso di suicidarsi, ma poi
non lo fanno. La vita, insomma.

Frankenstein junior

Il più potente sberleffo ai clichè dell'orrore di cui si abbia conoscenza. Un


piccolo grande capolavoro della banda Brooks.
Alcune battute diventarono proverbiali.
Sogno un sequel dove si incrociano Dracula e gli zombies.

Freaks

Freaks, spericolato e visionario film degli anni 30 diretto da uno che si chiama
come una pistola (Browning) ma non è un pistola, mette in scena il suggestivo
backstage di un circo, dove tutti sono esseri bizzarri o deformi, tranne la bella
Cleopatra, che in compenso e perfida e progetta di uccidere un piccolo clown che
fa l'elfo o il folletto, per ereditarne il denaro. Scoperta, viene orrendamente
mutilata dai compagni, in una notte di pioggia, e finisce come donna-gallina.
La condanna e l’esecuzione della donna da parte dei mostriciattoli (freaks) è
estremamente impressionante, e questo film è considerato un capolavoro del
genere, insuperabile, in quanto nessuno oggi potrebbe più girare quelle scene.

I figli del deserto

Il duo comico per eccellenza per una volta alle prese con un copione. Stannie e
Ollie si fingono in viaggio per ingannare le mogli e partecipare alla più idiota
delle goliardate, e poi...
La storia è incentrata su un doppio rapporto coniugale e sulla solidarietà tra i
due mariti che cercano di ingannare le mogli, e infine soccombono (spoiler!).

I sette samurai

I samurai sono sette, ma non sono nani, come ebbe a imparare Leone, che ne
fece tesoro.
La loro missione e liberare un villaggio di contadini dalla banda di predoni che
li opprime. E ci riescono. Magari funzionasse cosi anche la realtà.
Il Messaggio Dell'Autore è comunque il seguente: i contadini sono i veri eroi
(dice il capo dei samurai). Perchè i contadini rimarranno a lavorare la terra per
sfamare il popolo, mentre loro andranno a fare i mercenari per qualche altra
causa. Casomai. I sette casomai...
Rashomon, invece, è la storia di un solo samurai, ma ripreso da sette punti di
vista distinti...

I soliti ignoti

Il canovaccio originale di decine di film con la banda di sfigati. Però unico e


irripetibile. Ripercorriamo la galleria dei personaggi: Er pantera, pugile suonato
balbuziente, Tiberio/Marcello il fotografo, Mario il bravo orfano, il maestro
Dante Cruciani (l'immenso Totò), Carmelina la pudica, Michiele Ferribotte,
Capannelle l'eterno fantino, l'autista Piedamaro (nel secondo film), ecc.
Una galleria di assi che all'epoca nessuno possedeva.
Perchè quello che serviva ai neorealisti non erano i divi (pure alcuni di loro
diverranno stelle mondiali) ma la fantasia, quella che si trova per strada, nei bar,
negli angoli ignoti, e soliti, di ogni città e borgo preomologazione.
Qualcuno obietterà, e perchè post no? Certo, ma il genio di Monicelli e degli
amici suoi è rimasto là.
*

Il buono il brutto e il cattivo

Il triello è la massima invenzione leoniana. Fare il western meglio dei detentori


(non che fosse impossibile...) è uno sberleffo storico. Tuco è il latino infido,
praticamente un napoletano. Il biondo è l'eroe dei due mondi, nel senso che
lotta al soldo dei potenti ma per aiutare i perdenti, è Arlecchino servitore di due
padroni, è Yojimbo, è Ringo (non Starr), è David. Sentenza incarna la nemesi,
speculare al tossico Volontè.
Alla fine vincono i belli, i simpatici che scappano col bottino.

Il cielo sopra Berlino

Wenders colloca gli angeli nella no man's land tra le due Berlino. Cosa può
succedere? Che uno di loro decide di tornare umano. Non una novità.
Invenzione strepitosa l'ex angelo caduto Falk/Colombo.
Gli angeli che vegliano su di noi sono affascinanti. Aggiungere che essi si
sentono tormentati per i destini umani cui assistono, e che vorrebbero
intervenire, partecipare. Si finisce per rivedere l'essenza umana attraverso
l'ultraterreno.
L'uso del bianco e nero alternato al colore è magistrale, e del resto Wenders era
nel periodo di massima ispirazione.

Il (grande) dittatore

Il film. Uno che si prende gioco di Hitler mentre quello sta invadendo l'Europa
(e per quanto se ne sapeva allora, il mondo intero) e di Mussolini (peccato
manchi il nipponico) è puro genio, e puro rischio, che infatti pagherà.
Hitler fu eletto dal popolo, e sia Roosevelt che Stalin che Churchill gli
strizzavano l'occhiolino all'inizio. Chissà se si fosse comportato “bene”...la
lezione di Charlot è che fascismo e guerra sono dentro casa. Ma anche
pace&amore.
Quanto al prezzo pagato da Chaplin per le sue simpatie operaie (Tempi
moderni) in un paese ferocemente antisindacalista e ancora schiavista, o
presunte socialiste (basta essere contro Hitler per diventare sospetti) in un paese
ferocemente anticomunista (vedi sopra), pochi ricordano che dopo la guerra fu
ostracizzato, fino alla cacciata dal paese che aveva contribuito a fare grande.
Hollywood infatti nasce dalla United Artists (fondata da Chaplin, Griffith,
Fairbanks e Pickford) e diventa la spina dorsale della colonizzazione culturale
americana.
Se ne va a morire in Svizzera, il re del cinema, come un altro grande, Polanski
(ancora vivo però) il quale era andato a pestare un'altra merda americana,
quella del puritanesimo, avendo avuto rapporti sessuali con una minorenne
(spacciatasi per maggiorenne, va detto) e condannato da un tribunale. Ma
scontata la pena, avendo saputo che il giudice avrebbe continuato a perseguirlo,
via dal paese della morale. Ed esilio in un paese forse veramente libero. Risate.
Curioso notare il filo che lega questi geni del cinema in una specie di catena:
anche Welles, che aveva avuto contatti con Chaplin, e Kubrick, che ne aveva
avuti con Welles, si autoesiliano in Europa a causa di censure e soprusi che i
veri artisti non tollerano. Quelli di regime invece si, a volte con entusiasmo (il
quarantesimo presidente di quel paese era un attore di western di serie b, ma
sapeva ripetere a meraviglia la parte che gli ordinavano).
Tornando a Charlot, lui che si fingeva ebreo per dare tutto il suo sostegno a quei
perseguitati, fu uno dei pochi “intellettuali” a prendere posizione contro il
massacro degli innocenti. Come eravamo messi!?

Il settimo sigillo

La partita a scacchi con la morte e indimenticabile. Il tipo cerca di barare, ma è


come correre fino a Samarcanda. O fino a Stryj...
Mai Bergman è stato, oltre che profondo, più spettacolare e avvincente come
in questa storia, dove la morte danza coi suoi “ricercati”, un balletto eterno, per
la verità.
*

La casa di carta (superserie)

La casa de papel è la serie che spacca, la serie serie che batte anche gli anglo.
Un uomo geniale organizza nientemeno che la rapina alla zecca di stato
spagnola, e lo fa non solo per i soldi (miliardi! Come spenderli?) ma per dare
una dimostrazione di forza (ostinata e contraria) al “sistema”! Il vecchio
sistema, chi se lo ricordava più? La banda si compone di elementi di grande
presenza scenica, ognuno con un nome di città. Purtroppo Casalpusterlengo era
già preso da un'altra serie.
Il divertimento e il mistero sono assicurati. Non svelo il finale, ma certo che con
tutti quei soldi, come faranno a spenderli?
E poi, bella ciao!

L'amica geniale (serie)

Prima scena. Due bambine giocano con le bambole. Si legano per tutta la vita,
l'una geniale e irrequieta, l'altra riflessiva fino all'introversione e futura
scrittrice. Passano gli anni dalla fine della guerra fino a oggi. L'amica geniale
scompare, letteralmente, e alla scrittrice sorge il dubbio di essere lei l'amica
geniale.
Straziante e straniante come le due gemelle virtuali inglobino nella loro
simbiosi gran parte del paese (Italia) e del corso della Storia. Ferrante,
chiunque sia (un po' Manzoni, un po' Morante, per me) merita il tributo
massimo.
Comunque, il romanzo italiano del duemila, tradotto in venti lingue almeno.
Mica ciceri.

La corazzata Potemkin
La cagata pazzesca, è in realtà un capolavoro assoluto, e Villaggio/Fantozzi lo
sapeva benissimo. L'epica lotta del popolo per liberarsi dalla tirannide, ecc. ecc.
Brian DePalma che rifà la scena della scalinata, che ha folgorato migliaia di
registi. Gli attori che non sono attori. La vita.
Eisenstein si rivela al mondo, e ci lascerà, morendo giovane (toh, anche lui!) il
folgorante Que viva Mexico.
Tutte belle rivoluzioni.
Peccato, poi...

La dolce vita

Giornalista calato a Roma dalla provincia vive giorni e notti dissolute tra il
belmondo (non JeanPaul) e la plebe. Finale interno notte: passerella col mambo
di Puente e le piume dei cuscini in controluce. Finale esterno giorno, alba
spiaggia: qual è il senso della vita? Basta chiedere a Dante. Alighieri, non
Cruciani. Anche se...
Grande affresco della Roma e dell'Italia che furono. Un amen. Fellini stella
mondiale. Pasolini consulente. Mastroianni attore simbolo del cinema.
Variazione sul tema: il diario di un diabetico.
Per gli americani otto e mezzo (io) per gli europei (noi) la dolce vita.

Ladri di biciclette

Il film più premiato, dice la locandina. Non c'è che dire, se sfondi a Hollywood
puoi campare di rendita. Il fatto è che l'omino a cui hanno rubato la bici e il suo
figlioletto fregnone annunciano la data di scadenza di Hollywood e la nuova
stella che sorge: Cinecittà, neorealismo, scuole nazionali.
Ma detto oggi, a chi può importare?
*

La guerra lampo dei fratelli Marx

Il capolavoro dei grandi fratelli. La presa del potere e la dichiarazione di guerra


allo stato nemico, oltre alla miriade di gag concentrate in poco più di un'ora ne
fanno il classico della comicità, che tiene dopo oltre un secolo. Freedonia e
dove tutti vorremmo vivere.
Groucho che prepara il negoziato di pace è una pagina immortale. E anche il
finale, in cui i fratelli bombardano l'insopportabile soprano anziché il nemico, è
memorabile.

La ricotta

L'apice dell'opera cinematografi ca pasoliniana: cinecittà al massimo splendore,


Welles (fuggiasco da Hollywood) e la sua poesia, cristianesimo e marxismo,
affreschi viventi.
Plot: un povero cristo che deve fare la comparsa sulla croce accanto a Gesù,
muore (in croce) di indigestione, perchè gli hanno offerto da mangiare un sacco
di robba (e lui già ciaveva la ricotta), cosicchè diventa l'incarnazione del
martirio moderno. Ma alla fine, come da copione, non importa a nessuno.
E questo è il punto. Cristo dopo Cristo.

Metropolis

Il primo film di fantascienza, distopico, sociale, marxista (chiedo Ğigett se è


d'accordo) e grandioso affresco dell'epifania industriale europea.
Indimenticabile, anche la trama, dove succede che...oddio, ho un vuoto...ma si,
la donna dei topi e tutto il resto!
Oltre alla struttura già di per se prodigiosa, per essere gli anni venti del
novecento, l'intento che sottosta all'opera, quello di una possibile pacificazione
tra le classi, è il grande contributo di Lang al consesso umano. La sua fuga dalla
Germania nazista e l'esilio americano gioveranno alla sua sopravvivenza, non
alla creatività.

Novecento

Bernardo, il fu grande Bernardo, tentò una storia d'Italia, e insieme, un film


lungo, epico, spettacolare, un Pellizza da Volpedo in movimento. Audace!?
Beh, ci è riuscito. Eccome. Il fascismo come non l'avete mai visto!
E la scelta degli attori non è da meno. Bertolucci fa da anello di congiunzione
tra il neorealismo (nel quale si è formato, con Pasolini e altri) e il grande
cinebusiness internazionale. Sarà suo il primo film non americano a portarsi a
casa una decina di oscar. Per quello che posso significare...

Play it again Sam (Provaci ancora Sam)

Consacrazione di Woody, che si infila dentro Casablanca, dialogando con


Bogart e Bergman. Idea pirandelliana che genera infiniti spunti, tra i quali il
collage “Il mistero del cadavere scomparso”, gustosissimo pastiche di qualche
anno successivo.
Comunque alla fine Woody vuole, come tutti, che Diane gliela dia, e quando
alla fine ingrana, cominciano i guai, come sempre. Però suona la carica per tutti
gli imbranati del pianeta!
Infatti fu lui a instillarmi il dubbio che un adolescente imbranato potesse avere
delle chances (delle ciancie) nella vita. In effetti da allora mi feci molto più
loquace e alleniano. Se non altro mi sono divertito a crederci, anche se ho preso
qualche schiaffo.
*

Pulp fiction

Tarantino se ne esce come un fulmine a ciel sereno e impone la narrazione (non


credo l'abbia creata, sarà stato frutto di un lungo processo) schizofrenica
flahbackforwardiana, che influenza registi scrittori dislessici dementi e
compagnia bella.
Praticamente impossibile da raccontare, succedono un sacco di cose e sono
quasi tutti criminali, poliziotti, spesso indistinguibili.
Da allora, abbiamo visto decine di opere rimontate alla Tarantino, che lascia
così un contributo non indifferente a un cinema e un pubblico a volte
indifferente.

Quarto potere (Citizen Kane)

Il manifesto del nuovo cinema americano. Infatti, al film successivo Welles


scappa da Hollywood, perchè allergico all'idiozia di quel mondo. Ma questo
film, fatto tutto da lui, a venticinque anni, beh, signori...
Trattasi della vita di un magnate americano (che orrore, bistecche e uova!) che
alla fine stira i gambini e comprende nell'ultimissimo afflato che l'unica cosa
che gli importava era la sua infanzia. Dei miliardi non gliene fregava niente.
Parabola amara e anche un pò irritante.
Welles incontrò il vero magnate a cui si ispirava in un ascensore, e quello lo
avrebbe sicuramente ucciso per quanto era incazzato, ma non potè, perche una
segretaria gli stava facendo un pompino.
Pompino non si poteva neanche dire, per inciso, e infatti Lenny Bruce veniva
arrestato ogni volta che lo diceva. Poi l'arresto finale (cardiaco) grazie a
un'overdose risolse la spinosa questione.

*
Roma città aperta

Fa il paio con Ladri di biciclette. Solo che racconta la liberazione di Roma, con
veri partigiani, veri soldati e veri nazisti e americani (era appena successo).
Pellicola troppo carica (cattivi cattivi e buoni buoni) ma giustificata da guerra e
occupazione, dalla maestria di Rossellini, e da attori enormi come Magnani e
Fabrizi (...)

Simon del deserto

Grande apologo bunueliano, va in culo al clericalismo come solo lui poteva


fare, avvelenato dal franchismo e dall'esilio (per quanto prolifico).
Finale immaginifico: lo stilita a New York con la Demonia.
Di tutte le visioni bunueliane, inclusa casa e chiesa dalle quali non ci si può
allontanare, la più vivida, la più amara.

Uccellacci e uccellini

Se oggi dicessi a dei ggiovani che una volta uscì un film coi titoli di testa cantati
da Domenico Modugno, recitanti che: Alfredo Bini produceva, Pierpaolo
Pasolini dirigeva, Totò e Ninetto interpretavano (senza far ridere), Ennio
Morricone musicava, ecc., un film che trattava della vita di San Francesco e
della morte di Palmiro Togliatti...ci crederebbero?

*
2001 odissea nello spazio

Una missione parte alla volta di Giove, o di Saturno (differenze libro/film) alla
ricerca del misterioso monolite che invia segnali, lo stesso ritrovato sulla luna e
che, durante la preistoria, aveva risvegliato le scimmie a una vita più eretta (e
carnivora). Purtroppo si mette di mezzo il computer impazzito, e alla fine
l'ultimo astronauta superstite giunge a destinazione e...beh, se si vuole capire
bisogna leggere il libro di Clarke che sta alla base del film.
Tutti i seguiti ignobili di 2001 (Kubrick non c'entra minimamente) e le
macchine assassine, si sprecano. C'è scelta.
Però Blade runner, nella variante macchina antropomorfa, non è male.
E “Matrix”? Chiedere a Ğig ett, e prepararsi a una risposta lunghissima e
articolatissima.

2046/In the mood for love

Fantastico doppio film, nel senso che il regista ne gira due


contemporaneamente. Col pretesto di raccontare il passaggio di HongKong dai
britannici ai cinesi nel 2046, in realtà racconta storie d'amore strepitose, come
strepitosa è la colonna sonora, prevalentemente Nat King Cole in spagnolo.
In ogni caso, la cinematografia cinese (hongkonghiana) si riprende dalle
infamie di quel tipo col nome inglese che volava con le mani protese
mugolando, che non solo è morto giovane: anche suo figlio (che aveva seguito
le sue orme) muore giovane. E così la dinastia dovrebbe essersi estinta. Si
spera.
Valgono anche i filmati delle continue rivolte nelle strade di HongKong.

Sigla finale
*

Aida

La principessa Aida, rapita dagli Egizi agli Etiopi, sta per essere liberata da un
blitz di suo padre, senonchè si è innamorata proprio di Radames, che viene
nominato comandante delle truppe per respingere l'invasore...un bell'inizio, non
c'è che dire.
Poi la trama si confonde con quella di Giulietta e Romeo, o Romeo e Giulietta.
I giovani Capuleti e Montecchi muoiono d'amore insieme, fra trucchi orditi in
abbondanza, ma senza faraoni e piramidi.
La stessa vicenda, gia sfruttata nel Nabucco, ma con gli ebrei, si ripete
(presumibilmente senza amanti segreti) nel blitz delle forze speciali israeliane a
Entebbe, del 1976.

Buenavista social club

La favola dei poveri cubani tornati alla ribalta.


Quando negli anni novanta Ry Cooder e Wim Wenders vanno a Cuba per girare il
documentario sui vecchi musicisti cubani (alcuni novantenni) sopravvissuti a tutto
il sopravvivibile, trovano un giacimento di idee musicali, melodie e ritmi, sonorità
quasi dimenticate (da noi) e sentimenti che riconciliano vecchie inutili ruggini, tra
miliardari mafiosi, governanti fantoccio, gendarmi corrotti e lustrascarpe
sorridenti.

Inno alla gioia

Pur non essendo esattamente un allegrone (anche se nel secondo movimento ci


infila una tarantella para para) il buon vecchio grande Ludovico Van scrive il
coro perfetto, la colonna sonora d'Europa.
Purtroppo per la Champions non ce la fa.
Fritz Schiller gli fu complice, non so quanto volontariamente.
Notevole il fatto che durante la prima il Maestro, completamente sordo, non si
rese ben conto delle reazioni del pubblico, all'inizio ostili, ma che a lungo
andare sancirono il suo trionfo.
Senz'altro più allegre e meno impegnative altre liriche, su tutte Così fa tutte del
folletto di Salzburg, il Barbiere di Rossini, le arie pucciniane...

Da menzionare l'Inno delle nazioni, che Toscanini andava a suonare in giro per
il mondo durante la seconda guerra mondiale, assemblando gli inni nazionali e
le arie suaccennate; il climax finale era costituito dal colpo gobbo dell'inno
americano e dell'Internazionale alternati!

L'opera da tre soldi

Mack the knife cantata da Satchmo è impagabile. E il vecchio Berti Brecht che
lotta tutta la vita contro i suoi stessi mecenati, è un Mackie Messer anche lui.
Vista in un teatro di legno di Berlino est, un teatro che lui gestiva, un anno
prima della caduta del muro.
Dicesi di ogni opera di poco valore; ma va da se (e va per tre).

Lo schiaccianoci

Lo schiaccianoci fa pensare erroneamente a qualcosa di pesante, ma in realtà il


balletto è la stella polare ciaicoschiana (non il suo canto del cigno), ed è una
musica immortale.
Perchè esiste musica mortale, direte? Voglio sperarlo!
Tra le prime sconvolgenti versioni della mia gioventù ho impressa nota per nota
la End Nutrocker di Keith Emerson, uno che faceva innamorare dei classici (per
esempio l'ostico Bach, ostico per un quindicenne ribelle).
Quanto alla trama non saprei, è in russo.

Miles smiles

Questa fiaba non la conosce nessuno, perchè è la mia storia personale, resa
fiabesca dalla realtà, che com'è noto, supera abbondantemente la fantasia.
Non l'ho mai raccontata perchè è difficile, difficile da rendere e da comprendere,
poiché il linguaggio del filo conduttore di questa storia non è fatto di parole,
ma di suoni. Pertanto interpretabili e, a seconda dell'interpretazione,
difficilmente credibili. Ma non esiste un metodo scientifico di decodifica.
Abbiamo accoppiato certi significati a musiche celebri: le prime quattro note
della Quinta di Beethoven sono considerate universalmente “la morte che bussa
alla porta”. La marcia di Mendelsohn è diventata la marcia nuziale ufficiale, e
nessuno si sogna di schiodarla da li. Persino il motivetto degli auguri di
compleanno è stato codificato, e anzi la leggenda vuole che si debba rispettare
(ergo, pagare) il copyright, ma il gran narratore Elio ha sfatato la bufala.
Tornando alla mia storia, proverò a raccontarla cercando di essere chiaro,
comprensibile, e sforzandomi di avanzare radente alla realtà; è un tentativo,
perchè la tastiera mi porterebbe ad allontanarmi.

Ero un quindicenne come tanti. Come tanti, ebbi delle epifanie, a quell'età.
Ascoltavo il rock, erano gli anni dell'esplosione del rock. Questa musica, come
altri vettori di cultura popolare, adagio e subdolamente mi condusse verso altre
forme musicali più difficili, ma anche più interessati: a partire dai parenti del
rock, il jazz, il blues, il folk (la musica popolare angloamericana) e infine alla
musica “classica”, vale a dire la sinfonica e, in casi rari, la lirica. Devo
ringraziare, per la mia introduzione alla musica “alta” (se non altro sono alte le
pile di spartiti, non certo i budget) artisti molto disinvolti, che erano poco più
vecchi di me. In alcuni concerti ascoltai Keith Emerson che non solo suonava
Mussorgskj e Copland, ma citava Bach (mutuato da Dylan!), Chaikovskj,
Sibelius, Monk, Lewis e molti altri. Ian Anderson suonava Bach anche lui, su
un flauto (ma non di grondaia). Alcuni gruppi si facevano accompagnare da
orchestre sinfoniche, e nacquero nientemeno che le opere rock.
Anche il cinema fece la sua parte. Stanley Kubrick è responsabile del più
abbagliante risveglio che sperimentai (insieme ad altri artisti minori, Rivera,
Riva, Domingo e Bonimba) perchè nei suoi film si suonavano brani
immortali
di Strauss, Ligeti, Beethoven, Rossini, Elgar, Brown, a volte arrangiati da un (')
artista geniale, che prima si chiamava Walter Carlos e poi Wendy Carlos.
Queste musiche cominciarono ad aprirmi il cervello come un apriscatole,
insieme a un'infinità di altri suoni che ingurgitavo da onnivoro poliassuntore.
Finchè qualche tempo dopo incontrai un tipo di musica, e di suono, del tutto
particolare.
Già mi ero imbattuto nel jazz, quello classico. Mio padre aveva una collezione
di dischi passepartout (così come i libri. Non esistendo ancora supporti per
conservare i film, certi giorni andavamo in due cinema di seguito) e alcuni
trattavano di jazz, cosicchè conoscevo già il re Satchmo, o Duke, o Count, e via
tutta la nobiltà. Ricordo il refrain di Walkin, di Miles Davis, una sonorità che
sembrava venire dal vento, dal vuoto, dal buio, e volare verso il cielo.
Fu proprio la musica di Miles, o per meglio dire della scuola che aveva
inaugurato, che mi colpì in certe notti. Accadde di notte perchè ero militare, e
mi toccavano dei turni di guardia. Non immaginavo che avrei passato altre notti
sveglio, a lavorare per quasi cinquant'anni. All'epoca esistevano un paio di
canali tv e un paio radio (tutti nazionali e statali, ovvio) e la notte (“ma la
notte...”) e solo la notte anziché trasmettere le solite canzonette e pubblicità
c'erano i diggei che mettevano su rock, jazz, classica e altre prelibatezze. Se
non eri ricco non avevi altre chances per sentire la musica “difficile”. Sicchè
iniziai a sentire questi suoni per me inauditi, a parte qualche eco, il già fu Jimi
Hendrix e poco altro; spesso ricorreva il nome di Miles Davis, oppure di gruppi
che poi scoprii essere dei suoi figliocci: Weather report, Headhunters, Return to
forever, Mahavishnu e altri. Quel suono mi parlava, mi risvegliava nuove
epifanie, e tutto questo mi spingeva verso la ricerca di qualcosa che non
conoscevo ancora. Naturalmente quella musica non comunicava significati
intellegibili, non aveva testi come le canzoni, niente slogan né manifesti
programmatici. Suono nudo e puro.
Il fenomeno continuò a presentarsi, come un promemoria universale
personalizzato. Comprai tutti i dischi di Miles e figli (ormai guadagnavo un lauto
stipendio). L'eco delle epifanie veniva amplificato dagli ascolti, scoprii Monk,
Bird, Trane...mi iscrissi a una scuola di musica e la musica era quella. Una sera
mi chiamarono, ero al bar che arrotondavo dando una mano, e il mio insegnate
mi trascinò sul palco dove stava suonando un'orchestra fantastica, mi indicò gli
strumenti e mi fece suonare. Watermellon man di Herbie Hancock.
E un giorno mi trovai di fronte a una rivelazione. Erano passati dieci anni
dall'esordio epifanico, avevo venticinque anni e in tutto quel tempo avevo
sperimentato una serie spropositata di cose, eventi, incontri, meditazioni
profonde...troppe per tentare un elenco. Quel giorno venni messo di fronte a una
pergamena, a ripetere un mantra. Benchè mi sembrasse una cosa folle, provai,
per diverse ragioni.
La prima era che quelle persone che mi avevano invitato erano degne di
massimo rispetto e fiducia.
La seconda era che, a supporto delle loro sorprendenti teorie, che mi si
rivelarono come buddismo, fornirono delle letture di un maestro che loro
chiamavano Sensei. E queste letture mi sorpresero ancora di più, perchè era
come se riassumessero tutto il senso della mia ricerca di quei dieci anni, nonché
il senso che volevo dare alla mia esistenza.
La terza era che questi giovani amici musicisti che mi avevano introdotto al
buddismo erano stati introdotti da
tre musicisti americani che vivevano in Italia,
loro da altri musicisti americani e...
...in cima alla catena c'erano Herbie Hancock, Wayne Shorter e Buster
Williams.
Due figli di Miles e un figliastro.
Poco dopo Miles tornò sulle scene dopo un lungo periodo (e comunque avevo
sentito buona parte dei suoi eredi) e potei ascoltarlo molte volte. In una
occasione successe un fatto inconcepibile. Per fortuna ho un amico che può
testimoniare. Un'auto entrò sul prato dello stadio (!) e andò dietro al palco a
caricare il gruppo per portarli in albergo. L'auto fendette il mare di folla che
defluiva e, arrivata alla mia altezza un finestrino si abbassò e una mano ne uscì
per stringere la mia, e solo la mia. Come allora, non ho parole.
La mia vita decollò per un viaggio fantastico che dura ancora oggi. E non ho
rimpianti. E...

Una piccola citazione:

“Negli anni '60 Herbie Hancock si trovava sul palco a suonare il piano nel
quintetto di Miles Davis.
A un certo punto, sbagliò un accordo.
Per lui era un disastro e si sentì come se avesse rovinato l'intero concerto.
Tuttavia, Herbie racconta:
«Miles si ferma per una frazione di secondo, quindi suona delle note che non so
come, per miracolo, fanno sembrare giusto il mio accordo.
In quell'attimo, credo proprio di essere rimasto letteralmente a bocca aperta.
Che razza di stregoneria era? Da lì Miles spiccò il volo, sfoderando un assolo
che portò il brano in una direzione nuova.
Mi ci vollero anni per capire cos'era successo sul palco in quel momento.
Non appena suonato l'accordo, l'avevo giudicato: nella mia mente era
l'accordo "sbagliato".
Miles invece non l'aveva giudicato: gli era capitato di sentire quel suono e
immediatamente l'aveva raccolto come una sfida: "Come posso inquadrare
quell'accordo in ciò che stiamo facendo?"»”

[Herbie Hancock, Lisa Dickey, Possibilities, Minimux fax]


*

Porgy and Bess

La storia immortale degli schiavi che anelano ad affrancarsi resta impressa nel
firmamento cinemusicale. Anche se, per dirla tutta, Black lives matter sta a
dimostrare che c'e ancora un sacco di lavoro da fare.
I fratelli transfughi russi (come migliaia) Gerschwin trasfigurano nella vicenda
degli schiavi neri tutte le schiavitù e gli oppressi della Storia. E Satchmo, Miles,
e generazioni di musicisti si cimenteranno con classici intramontabili, grazie a
questa partitura.

The rolling thunder revue, or the neverending tour

Quale opera di Dylan può essere presa come esemplare, dal momento che è
fatta di attimi, di poesia, di voce roca, di protesta negata e verità
espropriate...allora prendiamo questo tour che comincia un giorno di tanti anni
fa, costretto come da famiglie da mantenere (siano benedette) e che finirà un
altro giorno, nel futuro, forse con la sua morte, credo.

Sgt Pepper's lonely hearts club band

Il disco dei Beatles, l'ultimo capolavoro, inaugura il concept, imitato poi dagli
Stones e parodiato da Zappa. Gli Who se ne usciranno con l'opera rock.
Difficile parlarne. Ascoltarlo e sufficiente.
I quattro “baronetti” sono ancora, e forse per sempre, inarrivabili.
Purtroppo, dovrei aggiungere.
*

Storia di un impiegato

Opera maledetta, perchè dice la verità, che è indicibile. Il terrorismo non era
soluzione, vero. Ma neppure stare a guardare, o nemmeno quello, come oggi.
Insomma, Faber è immerso nella retorica e lontano dalla musica alta di Creuza.
E pagherà questa simpatia con mesi di prigionia.
Si, certo, che c'entra il bandito sardo col governo italiano? Ah ah ah! Così anche
quegli altri sono morti per caso, quelli che rompevano le palle in America,
contro la guerra? Certo, ah ah ah!

Tommy

Opera rock, disco, concerto, film, icona. Townsend un grande autore, Entwistle
un grande arrangiatore, Daltrey un grande attore, oltre che cantante. Moon un
grande casinaro. Sono gli Who, i chi, eterni ragazzi, non illuminati come i
Beatles, non ricchi e famosi come gli Stones. Ma erano e sono ancora incazzati.
In senso buono. Parlarono a nome di una generazione (teenage wasteland!) che
li ricambia con attenzione.

In cerca di produttori

Lo scacco del barbiere


Qual e la trama di questo libro? In un paesello incantato, probabilmente
nell’Italia di metà novecento, sparisce nel nulla il barbiere. Tutti si interrogano
sul mistero, quando ecco che altri misteri si affastellano e progressivamente la
realtà sfuma nel nulla indotto da Auregliano, un ragazzo disabile che capisce
ogni cosa, può ogni cosa, ma come fosse un gioco.
Ridotta a sceneggiatura, questa fantastica storia non ha ancora un produttore
che la colga.

Sponsorizzazione

Pubblicità progresso: date 9 euri al mese a chi vi capita a tiro, e starete meglio.

Cioè, qualcuno starà sicuramente meglio...magari anche voi!

Beh...e allora?

Una cosa bella delle favole è l'ottimismo finale: e tutti vissero felici e contenti. Fin
troppo ridondante, non ho mai capito perchè non bastasse felici o, al limite,
contenti. Ma più è, meglio è!
E quindi vado a concludere, con l'inevitabile morale della favola.
È venuto il tempo di fermarsi e non uccidere più altri esseri umani, altri animali,
la natura stessa.
È venuto il tempo di smetterla di tollerare il peggio solo perchè è consolidato.
È venuto il tempo...
È venuto il tempo?
Foto di copertina dell'autore
World patchwork (up on a wall) 2020

Roberto Masuello

just an human being

masuellor@gmail.com

sito: masuellor.wordpress.com

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