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8 Periodico Trimestrale
GLIdeOBLò
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i viaggi
de
L’ ETERNOULISSE
Edizioni Ludica
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Maria Pia Fiorentino
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di Maria Pia Fiorentino Padre della Psicosintesi e grande
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Misteri del dopo vita, Incognite
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15 I VIAGGI DE
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RAMAKRISHNA L’ETERNO ULISSE
L’editore e la redazione ringraziano IL MISTICO PERFETTO Itinerari di viaggio per il corpo,
sentitamente i Musei, le Gallerie di Maria Giuseppina Scanziani per la mente e per lo spirito
e i Collezionisti che hanno consentito
la riproduzione di opere e documenti.
Restano comunque a disposizione
per ogni evenienza in relazione ai diritti
35
IL VIAGGIO DELL’ANIMA
L’Eterno Ulisse
PAROLE E MUSICA
Periodico Trimestrale – Anno 3 - N.8 DAGLI UNIVERSI INVISIBILI
Registrato al Tribunale di Roma n.9 di Mirella Restuccia
del 21 Gennaio 2014
www.eternoulisse.it
O ULISSE 38 I SENTIERI DELLA 87
TANGERI RIVIVE MEMORIA LA MAGIA
L’ETÀ DELL’ORO Storia e Memoria, Archeologia, Mo- DELL’AMORE
E SCRIVE LA TRAMA vimenti Letterari e Artistici, Correnti di Mauro Ruggirello
DI UNA NUOVA LEGGENDA Filosofiche
di Velia Iacovino ed Esoteriche
VITE 62
STRAORDINARIE FENOMENOLOGIA
Storie di personaggi DELL’INIZIAZIONE
che hanno cambiato il mondo E SOCIETÀ INIZIATICHE RUBRICHE
di Maria Pia Fiorentino
41 49
GRAZIA DELEDDA AFORISMI
un bambino di sesso femminile… SULL’ACQUA
di Neria De Giovanni a cura di Mara Manca
91
AFORISMI
SULL’AMORE
71 a cura di Mara Manca
LA CREAZIONE
DEL GRADO DI MAESTRO 92
LIBEROMURATORE EVENTI
PERCORSI DI di Marco Novarino FRANCO CUOMO
INTERNATIONAL AWARD
GUARIGIONE
Salute, Benessere, Culture
LA DIMENSIONE a cura di Alessandra Profilio
50 MITI
LA VIA DELLA GUARIGIONE
La salute è il risultato E LEGGENDE
dei nostri pensieri Miti, Leggende,
di Claudio Pagliara Scuole Iniziatiche, Usanze,
Tradizioni Popolari
57
VIZI E VIRTÙ 84
SALUTE E MALATTIA SAN VALENTINO
SECONDO ILDEGARDA E IL MIRACOLO DELL’AMORE Opera di Giuliano Giuggioli,
DI BINGEN di Franco Cuomo Isola delle apparenze, (2013),
di Marie Noelle Urech e a cura di Velia Iacovino cm.60x80, olio su tela
I
EDITORIALE
nnanzitutto scusate il ritardo. Fatta tale doverosa premessa desideriamo però sot-
tolineare che la nostra rivista, essendo un trimestrale a carattere culturale, può ogni
tanto sottrarsi ai criteri ferrei della periodicità; vogliamo inoltre condividere con tutti
voi il fatto che se ritardo c’è stato esso è dovuto anche agli avvenimenti incalzanti e
intensi che in quest’ultimo lungo trimestre hanno coinvolto L’Eterno Ulisse. Tante le
nuove iniziative, i libri pubblicati nelle nostre collane, gli eventi ai quali abbiamo
partecipato e, tra questi, non ultimo, il premio speciale che mi è stato conferito – con
un riconoscimento alla carriera – nella prima edizione del prestigioso Franco Cuomo
International Award. Il premio – voluto dall’associazione Ancislink, presieduta dal
professor Franz Ciminieri, e intitolato allo scrittore, drammaturgo, giornalista, scom-
parso nel 2007 – ha il fine di valorizzare nuove forme di espressione culturale, so-
ciale e umana del nostro tempo, ed in tale importante contesto L’Eterno Ulisse è stato
definito «uno dei magazine più interessanti del panorama culturale italiano, che tocca
grandi temi, percorrendo insoliti itinerari del grande mondo della conoscenza». Forte
l’emozione e la sorpresa per questo importante riconoscimento che dedico in parti-
colare a Franco Cuomo, a Velia Iacovino, a mio figlio Daniel Tarozzi e a tutti gli au-
tori e i collaboratori de L’Eterno Ulisse, che con la loro preziosa partecipazione mi
hanno consentito di intraprendere ancora una volta un’appassionante avventura edi-
toriale. Un “premio alla carriera” induce anche a rivisitare, insieme alla giuria, ogni
tappa che ha sancito il lungo percorso professionale costellato da conquiste e delu-
sioni, successi, sogni, amarezze, speranze ed entusiasmi che scorrono davanti agli
occhi insieme ai volti dei tanti collaboratori e colleghi che hanno contribuito ad ar-
ricchire il proprio patrimonio esperienziale. In questa circostanza rivedo, grata, anche
tanti amici e maestri che non sono più tra noi, e tra questi: Emilio Servadio, Alfredo
Cattabiani, Pietro Cimatti, Paolo Lucarelli, Elémire Zolla, Marcello Carosi, Giuliana
Pelliccioni, Massimo Marini e, ovviamente, il caro Franco Cuomo – al quale devo il
premio – che mi ha affiancato fin da Abstracta, la mia prima direzione di testata che
risale a circa trent’anni fa … e circa trenta, al tempo, erano anche i miei anni. Eppure
mi accorgo che il passar del tempo non ha scalfito né il mio entusiasmo né la mia in-
coscienza e, ancora oggi, talvolta mi chiedo con convinzione: “cosa farò da
grande?”. Ma … un “premio alla carriera” inorgoglisce e incoraggia, ed
oggi sono sempre più fiera di dirigere questa rivista, un po’ controcor-
rente, forse, ma così capace di stupire ogni volta per prima me stessa
che l’assemblo, numero dopo numero, e la sviscero prima di portarla
in stampa. E tutto questo grazie agli autorevoli interventi sempre esau-
stivi e coinvolgenti di ogni singolo autore. In questo numero, ad esem-
pio, il professor Emmanuel Anati ci accompagna sulla soglia della
consapevolezza invitandoci a varcarla senza indugio. Là, oltre que-
sta fatidica soglia, alberga la “Coscienza”, l’unica arma in grado
di combattere i tanti nemici dei nostri giorni. Ma, anche in questo
caso, affinché i termini “consapevolezza” e “coscienza” non si in-
frangano contro i fragili muri del sogno è utile, forse, provare a
scalzare il dubbio di avere a che fare, ancora una volta, con un
concetto utopistico e di antica memoria. Il magistrale excursus
sulla coscienza che ci propone Anati solleva grandi interroga-
tivi circa l’uso improprio di questo termine che rispecchia
l’emblematica e perenne contraddizione umana. Devo ammet-
tere che personalmente mi ha messo in crisi: io che ho sempre ri-
tenuto “consapevolezza” e “coscienza” espressioni tangibili dello
spirito, ho dovuto rivisitare le mie convinzioni alla luce delle sue
articolate considerazioni, ed alla fine sono ancora qui a chiedermi:
ma … che cos’è la “coscienza”? Esiste una chiave, una soluzione
possibile per invertire una rotta che sembra orientata verso le di-
struttive acque dell’incoscienza? Probabilmente esiste, ma quanto lavoro interiore richiede
questa inversione di rotta? A tale proposito mio figlio Daniel in una sua poesia del 2009,
dal titolo “Illuminazione” scrive:
E ora capisco meglio perché il professor Emilio Servadio, nel suo libro Passi sulla via
iniziatica, a proposito della coscienza scrive: «La coscienza può paragonarsi ad una
stanza che rimane senza luce finché non viene rischiarata,”illuminata”. (…) Conoscere
significa tendere ad assorbire e ad essere assorbiti, a superare la distinzione tra cono-
scente e conosciuto, a una finale identificazione tra “conoscere” ed “essere”. Questa
operazione ben nota a chi si trovi sulla via iniziatica, si effettua mediante una “luce” me-
tafisica, che investe l’oggetto e che su noi si riverbera. Tale luce, tuttavia, non è che una
scintilla della Conoscenza somma, ed è costantemente limitata dalla stessa “oscurità”
che contraddistingue la nostra condizione corporea. (…) La caduta della materialità ap-
pare dunque premessa del totale ritorno dello spirito a se stesso, del primo e non limitato
atto conoscitivo, senza derivazioni ed ostacoli nel mondo sensibile. L’unica e assoluta li-
bertà conoscitiva non si può avere pertanto se non nel momento della morte, vero dies na-
talis dello spirito, nel quale conoscimento è, insieme, co-nascimento». Insomma, in queste
pagine gli spunti di riflessione non mancano. Il numero 8 che vi apprestate a sfogliare
chiude un biennio e sancisce l’ingresso nel terzo anno di vita de L’Eterno Ulisse: leg-
gende, miti, dimensioni oniriche, aspetti trascendentali dell’essere, giganti dello spirito e
della letteratura, viaggi virtuali e viaggi reali, antiche sapienze e moderne ricerche scien-
tifiche, curiosità storiche e moti dell’anima – che vanno a confluire in quell’immutato ar-
chetipo che definiamo “Amore” – si avvicendano con un ritmo singolare. A causa
dell’inconsueto mix potrebbe sfuggire persino il filo conduttore intorno al quale L’Eterno
Ulisse solitamente pianifica ogni suo itinerario. Eppure, a ben guardare, il filo d’Arianna
c’è anche questa volta, ed è unico, pur conducendo, tappa dopo tappa, per vie traverse, ai
molteplici aspetti della ricerca iniziatica e ai tanti sentieri che conducono alle multiformi
dimensioni dell’anima. “Universi invisibili” che probabilmente è possibile esplorare so-
prattutto pilotando i nostri sogni, come ci suggerisce Marie Noelle Urech. Intanto, con
l’ingresso del 2015 sullo scenario del mondo – tra le macerie di millenni di storia, di
guerre, di conflitti e di contraddizioni – si fa strada, come sempre, la “speranza in un fu-
turo migliore”, ed è così che mentre si inorridisce per le minacce di un terrorismo che in-
combe, ognuno di noi si tuffa tra i sapori e gli odori della propria realtà per esorcizzare i
tanti leciti timori che investono la nostra vita e la nostra salute psicofisica. Pertanto con-
cludiamo invitandovi a scoprire la menzogna della malattia e il meccanismo perverso col
quale essa si insinua nell’anima per generare infelicità, perché, come sostiene in queste pa-
gine anche il dottor Claudio Pagliara: tutto parte dalla mente ed è lì che si condensa il
bene o il male della nostra esistenza, ed è dalla mente che il male va sradicato. Perciò …
tra i chiaroscuri di un inizio d’anno che ancora non ha una sua identità non permettiamo
all’ansia del domani di invadere i nostri spazi anche perché «La natura ricomincia sem-
pre le stesse cose: gli anni, i giorni, le ore; così si forma una specie d’infinito e di eter-
nità» (Pascal, Pensées, XXV,9), e un altro saggio aforisma recita: «L’oggi è quel domani
che ieri ti faceva tanta paura!». Buon anno a tutti!
Maria Pia Fiorentino
DIEtRO Il vElO DI mAyA
di Anna Ruggirello
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DIeTrO IL veLO DI MAyA
LA dimensione oniriCA, se espLorAtA Con oCChio vigiLe, è in grAdo di sveLArCi ALCuni enigmi
deLLA nostrA esistenzA: LA morte, i fenomeni Psi, e LA dimensione oLogrAfiCA deLLA
CosCienzA. in queste pAgine L’AutriCe Ci dimostrA Che LA fisioLogiA dei sogni presentA
unA sorprendente AnALogiA Con iL proCesso deLLA morte, LA Cui Comprensione
potrebbe indurCi A ConsiderArLA non più Come LA fine deLLA vitA mA Come un
Continuum Che, pArtendo dALL’ordine espLiCAto (visibiLe), si estende poi
neLL’ordine impLiCAto (invisibiLe). in questo AffAsCinAnte exCursus
vengono AnChe iLLustrAte Le peCuLiArità dei “sogni LuCidi” Che, se ben
piLotAti, potrebbero ConsentirCi di intervenire positivAmente neL
nostro quotidiAno e superAre persino Le nostre pAure più
profonde. LA Convinzione di essere menti sepArAte in Corpi
isoLAti gLi uni dAgLi ALtri Che imperversA neLLA nostrA
CuLturA oCCidentALe CominCiA orA A vACiLLAre …
F a parte della natura della nostra mente percepire il mondo esterno come reale. La separatezza
che avvertiamo nello spazio, fra noi stessi e gli altri, rafforza la convinzione di essere menti
separate in corpi isolati gli uni dagli altri. Tale senso di separatezza si esplicita anche nel nostro
modo di dividere il tempo in segmenti: presente, passato, futuro, così come nei vari ambiti della
conoscenza: il corpo è curato dai medici, mentre la psiche è affidata agli psicologi, come se
fossero due entità distinte! La millenaria tradizione spirituale Vedanta ci offre una visione ra-
dicalmente opposta: il nostro mondo è strutturato da una rete di connessioni invisibili in cui
tutte le parti, perfino le nostre menti, sono unite. Questa visione unitaria la ritroviamo in molte
correnti spirituali del passato e sopravvive ancora in alcune culture in Asia, in Africa, in Ocea-
nia, in America del Sud. Gli Indiani Hopi hanno preso come simbolo la tela di ragno per sim-
bolizzare questo intreccio tra tutte le cose dell’universo e tutti gli esseri viventi. Questa antica
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conoscenza della vita ha ricevuto oggi sorprendenti conferme dalla fisica quantistica e dalle
neuroscienze. Negli anni ’80, il neuroscienziato Karl Pribram di Stanford, amico di Alan
Watts1, e il fisico David Bohm dell’università di Londra, allievo di einstein e discepolo di
Krishnamurti2, proposero una teoria congiunta che rivoluzionò il modello locale della realtà
e la conoscenza attuale del cervello. Questa teoria, elaborata a partire dalle scoperte di Alan
Aspect3 sulla non-località e dalla scoperta dell’ologramma, offre un nuovo modello del fun-
zionamento del cervello e della realtà dove gli oggetti non sono più “locali”, cioè separati
nello spazio, ma sono non-locali, connessi da intrecci invisibili ai nostri sensi fisici. era nato
il paradigma olografico4 che sconvolse completamente le nostre convinzioni sulla natura
dell’universo e della vita stessa, aprendo un ventaglio di possibilità mai ipotizzate prima d’ora.
Mi soffermerò principalmente sull’ipotesi che David Bohm delineò sulla struttura olografica
dell’universo che chiamò olouniverso. Nell’olouniverso esiste un’unità oltre il mondo feno-
menico, che lui definì ordine implicato. L’ordine implicato è nascosto, e quindi “invisibile”.
esso sarebbe la matrice della realtà fenomenica, percepita attraverso i nostri sensi e i nostri
strumenti, ovvero dell’ordine esplicato. L’apparente solidità degli oggetti e la fisicità delle en-
tità che percepiamo nell’ordine esplicato è generata e sostenuta da un processo incessante di
implicazione ed esplicazione, durante il quale le particelle si dissolvono costantemente nel-
l’ordine implicato per poi palesarsi materialmente nell’ordine esplicato.
Secondo la teoria di Bohm, non esiste una reale separazione tra il mondo fenomenico perce-
pito dai nostri sensi e altre dimensioni invisibili. Questa idea di continuum potrebbe spiegare
molti fenomeni della coscienza come i sogni, le NDe, le OBe, le sincronicità, la precogni-
zione, la psicocinesi, le guarigioni miracolose, l’esperienza estatica di unione con l’universo.
Questi fenomeni sarebbero dovuti ad una sintonizzazione con l’ordine implicato, a cui è pos-
sibile accedere in stati di coscienza modificata, cioè quando la coscienza è libera dalla sua di-
pendenza dal corpo fisico, come nel caso dei sogni e delle OBe. La proiezione della coscienza
fuori dal corpo (OBe - Out of Body Experience) è un fenomeno noto a ogni civiltà e cultura,
dagli Assiri agli egizi, agli antichi Greci, ai nativi americani, agli aborigeni, alle culture asia-
tiche e africane, in ogni epoca. Questo tipo di esperienza extracorporea avviene naturalmente
ogni notte durante la fase reM, ovvero quando sogniamo. Ma può avvenire anche durante una
meditazione, oppure in condizioni estreme come una grave malattia, un incidente, un trauma
violento o ancora in vicinanza della morte.
Sognare è, quindi, un’esperienza non-locale, fuori dal corpo fisico. Mentre il nostro corpo fi- francesco queirolo,
il Disinganno,
sico giace addormentato, come privo di sensi, la dimensione energetica e invisibile del nostro (part.),
essere fa un’esperienza in altre dimensioni. Facsimile gassoso del corpo fisico, esso si proietta napoli,
fuori da quest’ultimo e viaggia in uno spazio-tempo diverso, dove può incontrare i corpi ener- cappella sansevero
getici di altre persone che sognano o che sono morte. In varie tradizioni spirituali, questo
corpo energetico invisibile viene descritto come un campo che permea il corpo fisico e lo
contiene, alla stregua di una specie di matrice. Questo campo si estende in uno spettro di
varie frequenze e sfumature che la tradizione esoterica distingue in “corpi” eterico, astrale,
mentale, causale, spirituale. A questo campo si danno vari nomi: aura,
corpo astrale, corpo del sogno, corpo arcobaleno, corpi sottili, corpo quan-
tistico ecc. esso è dotato di capacità psi: può spostarsi istantaneamente
ovunque, attraversare ostacoli fisici, acquisire informazioni dal pas-
sato o dal futuro, spostare oggetti, provare una sinestesia totale, dia-
logare telepaticamente, essere presente in due luoghi diversi,
materializzare e smaterializzare oggetti, comunicare con i defunti
e con entità spirituali … La maggior parte delle persone non ne ha
consapevolezza e ignora le sue straordinarie capacità. Tuttavia esse
lo sperimentano ogni notte! Si svegliano con la sensazione di aver
fatto un lungo viaggio, di aver incontrato esseri misteriosi o di aver
fatto cose impensabili, ma tutto poi viene ridimensionato dalla ra-
zionalità e si dimenticano delle loro incursioni in un altro spazio-
tempo, in quanto le nostre dimensioni non-fisica e non-locale sono
negate dalla nostra cultura materialista. Alcune esperienze oniriche
presentano similitudini impressionanti con le NDe (Near Death
Experiences) ovvero esperienze di fine vita. Individui dichiarati
clinicamente morti5 hanno riferito di avere avuto la percezione di
9
J. h. fussli, 1741-1825, Crimilde vede in sogno sigfrido morto
nella pag. a fianco: hieronimus bosch, 1450- 1516, Ascesa all’Empireo, (part.)
sdoppiarsi, di lasciare il corpo fisico e di fluttuarci sopra, di effettuare un viaggio in altre dimensioni
dove hanno incontrato una Luce, una fonte di amore incondizionato, altri defunti e persino Maestri
spirituali. Molti hanno vissuto esperienze trascendenti che hanno cambiato poi la loro vita. Come per
le esperienze extracorporee (OBe) e oniriche, quelle di NDe sembrano essere un fenomeno univer-
sale e olografico. Nel 1983, lo psicologo Kenneth ring (University of Connecticut) fu il primo ad af-
fermare che le NDe potevano essere esperienze olografiche e comporterebbero lo spostamento della
coscienza da un livello dell’ologramma della realtà (ordine esplicato) ad un altro (ordine implicato).
Nel 1986, lo psichiatra Stanislas Grof (Maryland Psychiatric Research Center) pubblicò un libro nel
quale concludeva che i modelli neurofisiologici esistenti del cervello sono inadeguati a spiegare al-
cuni fenomeni, e che solo il modello olografico è in grado di spiegare cose come le esperienze ar-
chetipiche, gli incontri con l’inconscio collettivo e altri insoliti fenomeni sperimentati in stati alterati
di coscienza. Nel 1967, all’incontro annuale dell’Association for the study of dreams, il fisico Alan
Wolf asserì che il modello olografico spiegava i sogni lucidi come delle visite a dimensioni parallele,
e che questo modello permetteva di sviluppare una fisica della coscienza e di esplorarne le sue di-
mensioni. Il mistero della continuità della coscienza seguita ad assillare il pensiero degli uomini e delle
donne di ogni epoca. Sebbene in passato tutte le civiltà, da oriente ad occidente, usassero una infinità
di rituali e pratiche spirituali preparatorie al passaggio ad una nuova esistenza (libro dei morti egizio,
libro tibetano dei vivi e dei morti, l’ars moriendi medievale)6, assistiamo oggi ad un fenomeno para-
dossale. Ciò che una volta veniva definito come il passare “a vita migliore” è oggi motivo di ango-
scia. Ora che la scienza di frontiera ci conferma la multidimensionalità dell’uomo e l’infinità dei
mondi, anticipata da Giordano Bruno, i casi englaro e Welby hanno gettato un mattone nello stagno
dell’opinione pubblica, rimettendo in discussione le certezze dottrinali della società e della religione.
Al di là dei dibattiti e della strumentalizzazione di tali eventi, il vero problema di fondo, mai affron-
tato né dibattuto, restano la paura della morte e l’incertezza su cosa accade dopo. La visione mate-
rialistica della Scienza ha ridotto l’equazione dell’Anima in questi termini: ciò che non si vede e non
si misura = non esiste. Così la nostra visione culturale attuale ha reso la morte una cosa così innatu-
rale che si compiono gli sforzi più assurdi per mantenere la vita del corpo, essendo i nostri corpi ri-
tenuti l’unica forma in cui la vita si manifesta! e ancora la fisiologia dei sogni presenta una
sorprendente analogia con il processo della morte: anche in questo caso il corpo si irrigidisce, le fun-
zioni autonome rallentano, mentre la coscienza si stacca dall’involucro fisico e fa esperienza in di-
mensioni altre. Questa analogia ci permetterebbe di accettare la morte non più come la fine della vita,
ma come un continuum che, partendo dall’ordine esplicato (visibile), si estende poi nell’ordine im-
plicato (invisibile). Sognare della morte o di defunti è così frequente che la psicoanalisi vi ha dedi-
cato molta attenzione. È generalmente inteso che sognare la morte ha una valenza più simbolica che
premonitoria. Secondo Jung, Thanatos (la morte) è un istinto di natura psichica e spirituale che pre-
siede a profonde trasformazioni interiori. Nei sogni di morte talvolta è difficile distinguere un caso
di premonizione da un segno di trasformazione personale in atto. Infatti, nel corso di una vita “mo-
riamo” tante volte, se consideriamo tutte le metamorfosi che costellano il nostro percorso come pie-
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tre miliari: da bambini ci trasfor- NOTe
miamo in adolescenti, da adole- 1) Filosofo inglese (1915-1973) noto
scenti in adulti. Ci sposiamo, per i suoi vasti studi di filosofia orientale
abbiamo figli, cambiamo paese, (buddhismo, zen, taoismo, induismo).
The Way of Zen fu una delle sue opere
città, casa, partner, invecchiamo più significative. Con lo psichiatra Carl
fino all’ultima trasformazione! So- Gustav Jung approfondì alcune nuove
gnare di morire o sognare della tesi sulla moderna psicologia e, negli
ultimi anni della sua vita, divenne uno
morte di altre persone va, comun- dei punti di riferimento per tutta l’area di
que, interpretato con cautela e con Controcultura.
2) Jiddu Krishnamurti (1895-1986),
una comprensione allargata del feno- Maestro spirituale indiano, iniziato alle
meno. La concezione dei sogni da parte dottrine esoteriche della teosofia da cui si
della psicologia moderna non è più quella del distaccò in seguito, divulgò i suoi
insegnamenti volti a rendere l’uomo
mondo antico, che li considerava una forma di rivelazione completamente libero, seguendo il motto:
e di oracolo. Sognare i cari defunti, per le scuole di psi- “La verità è una terra senza sentieri” e
coanalisi di stampo materialista costituisce un “feno- non la si potrà mai ottenere attraverso
nessuna organizzazione, chiesa, maestro.
meno compensatore”, ovvero una proiezione della nostra psiche Il suo pensiero influenzò in maniera
desiderosa di continuare un legame con la persona amata. Questa teoria determinante molti scienziati e noti
personaggi del XX secolo.
esclude la realtà olografica e, quindi, la continuità della coscienza e la 3) Nel 1982 un’équipe di ricerca
probabilità di un reale contatto telepatico con un defunto. Le capacità psi dell’Università di Parigi, diretta dal fisico
sperimentate nello stato di sogno sono uno dei grandi regali che la di- Alain Aspect, scoprì che, sottoponendo a
determinate condizioni delle particelle
mensione onirica ci offre. Il sogno è uno stato di coscienza equivalente subatomiche come gli elettroni, esse sono
alla medianità. Sperimentiamo ogni notte questa dimensione sensibile capaci di comunicare istantaneamente
una con l’altra indipendentemente dalla
di cui riportiamo indietro, nella coscienza di veglia, frammenti di ricordi. distanza che le separa, sia che si tratti di
Di solito, quando sogniamo, in qualche modo “subiamo” il sogno. Tut- 10 metri o di 10 miliardi di chilometri.
tavia, in alcuni casi, può accadere che ci si accorga di “stare” in un sogno Come se ogni singola particella sappia
esattamente cosa stiano facendo tutte le
con la consapevolezza divisa in due stati percettivi sovrapposti: la per- altre. L’esperimento di Aspect
cezione di essere addormentati sul proprio letto di casa e quella di spe- rivoluzionò il postulato di einstein sulla
rimentare il sogno, sapendo di sognare. Queste caratteristiche hanno velocità della luce, provando che il
legame tra le particelle subatomiche è
valso a questi sogni l’appellativo di sogni lucidi, termine coniato dallo istantaneo e quindi non-locale.
psichiatra olandese Frederik van eeden. Nel sogno lucido, il sognatore 4) Il paradigma olografico si basa sul
concetto di informazione globale che
ha la consapevolezza di stare sognando e può – con una forza cosciente, lega una parte al tutto: la parte diventa un
creativa e intenzionale – modellare il sogno a suo piacimento; ha il po- ologramma del tutto, in quanto contiene
tere di modificare i mostri in angeli, di volare, di attraversare le rocce, di al suo interno una rappresentazione
globale dell’insieme da cui deriva.
modificare i paesaggi; è in grado di interloquire con i vari personaggi in- Questo, di fatto, implica una relazione
contrati e di interagire nelle situazioni; utilizza creativamente i poteri psi informatica continua, coerente e
del suo campo energetico. egli diventa il regista e il protagonista co- dinamica tra la parte e il tutto.
Partendo da dati fisico-matematici, il
sciente del sogno. La peculiarità dei sogni lucidi, già nota alle antiche ci- paradigma interessa ogni disciplina,
viltà e alle culture sciamaniche, si rivela uno straordinario strumento per dalla fisica all’informatica,
alla biologia, alle teorie mediche,
migliorare la nostra vita e superare le nostre paure più profonde. Tutto sociali e psichiche dell’uomo,
quello che viene sperimentato e agito nel sogno lucido diventa un alle- alla cosmologia, estendendosi alle
namento alla vita di tutti giorni, contagiando lo stato di veglia con la con- dimensioni della coscienza. Si sviluppò
agli inizi degli anni Ottanta grazie al
sapevolezza che tutto è possibile e che non esistono limiti alla creatività contributo di vari scienziati quali David
umana. Al di là dei nuovi scenari offerti dal paradigma olografico e dalla Bohm, Karl Pribram, Fritjiof Capra,
fisica della coscienza, dobbiamo prendere atto che le esperienze di pre- Stanislas Grof, renée Weber, Itzhak
Bentov, Stanley Krippner e molti altri
morte, siano esse un reale viaggio nell’aldilà oppure un altro tipo di fe- studiosi.
nomeno non ancora riconosciuto, producono sempre effetti positivi e 5) elettrocardiogramma ed encefalogramma
piatti dai 4 ai 20 minuti. Cfr. Pim van
significativi in chi le ha vissute. La stessa cosa accade nel caso di con- Lommel, ruud van Wees, vincent
tatti con i defunti tramite i sogni. A seguito di tali esperienze, le persone Meyers, Ingrid elfferich, Near-death
vivono cambiamenti esistenziali e interiori importanti, provano pace al- experience in survivors of cardiac arrest:
a prospective study in the Netherlands, in
l’idea della morte e fiducia nella continuità della vita, in un “dopo”, ac- Lancet 2001; 358: 2039-45; Sam Parnia,
compagnata dalla certezza della realtà dell’esperienza. «Una cosa è reale Spearpoint K., Fenwick P., Near death
esperiences, cognitive function and
nella misura in cui sono reali le sue conseguenze», disse il grande Carl psychological outcomes of surviving
Gustav Jung, che dedicò molta attenzione e ricerca ai quei fenomeni. cardiac arrest in Resuscitation, 2007,
Questa è la differenza tra le nostre credenze culturali e l’esperienza. Fe- 6) Una sorta di manuale o passaporto per
accompagnare la transizione verso la
nomeni che non hanno una spiegazione attendibile secondo il nostro mo- dimensione eterna, con precise
dello di pensiero, vengono comunque esperiti e, con umiltà, vanno indicazioni date all’anima del defunto sul
accettati come reali. n come procedere nelle varie fasi.
11
DIETRO IL VELO DI MAYA
l’essere umano
e la sua speranza di eternità
Riflessioni sul tema
Benché alcuni lo neghino, la speranza di eternità è essenziale per l’animo umano. essa
è la naturale condizione e proiezione della Vita. l’uomo, essere fisicamente finito
e limitato, aspira all’infinito, all’eternità; ma l’eternità è la dimensione
autentica, assoluta e totale dell’essere in sé. l’essere umano, nella sua
limitatezza, nutre l’aspirazione all’eternità poiché attraVerso il suo
spirito è in grado di intuire l’assoluto, la Verità, l’essere nella
sua pienezza. ma un conto è concepire o intuire, altro è essere.
di qui il dramma dell’esistenza soprattutto quando la
speranza di eternità implica il superamento ideale
delle leggi fisiche della materia che ci contiene …
di Nicola Cutolo
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piano etico è il Bene, sul piano temporale e della durata è espresso dal concetto di
eternità. l’eternità è la persistenza, la permanenza, la continuità dell’essere, il che dà
sicurezza, serenità, forza.
gran parte delle religioni è fondata sulla nozione di eternità; infatti esse assicurano ai
loro fedeli l’eternità nella prospettiva dell’essere e del Bene.
la speranza di eternità è quindi essenziale all’animo umano. essa è la naturale con-
dizione e proiezione della Vita. l’uomo, essere fisicamente finito e limitato, aspira al-
l’infinito, all’eternità; ma dell’eternità si può dire che essa è, non soltanto
psicologicamente, più dell’infinito. essa è la dimensione autentica, assoluta e totale
dell’essere in sé.
l’essere umano, nella sua limitatezza nutre l’aspirazione, la speranza nell’eternità,
poiché attraverso il suo spirito è in grado di intuire l’assoluto, la Verità, l’essere
nella sua pienezza. ma un conto è concepire o intuire, altro è essere. di qui il
dramma dell’esistenza.
al di là della ricerca scientifica, che si svolge quasi esclusivamente nel mondo fisico
e psichico, bisogna tentare vie più ardue e complesse, quelle cioè più profonde e na-
scoste della psiche, per ricollegarsi all’antica sapienza dei pitagorici e dei saggi in ge-
nere, sia d’oriente che d’occidente...
sembrerà strano, ma anche l’occidente ha coltivato l’antica sapienza fondata sul-
l’essere e sull’eternità. Basti pensare a pitagora, a parmenide e, in parte, a platone. W. Blake,
L’Angelo
tutto ciò sembra sfuggire alla riflessione, spesso troppo limitante, dell’illuminismo di della
ieri e di quello contemporaneo. rivelazione, (part.)
proprio dalle macerie del relativismo assoluto, proprio dall’uomo frantumato nelle
mille etichette a causa delle ideologie e delle scienze moderne, può rinascere la
speranza di una ricomposizione organica e armonica dell’essere umano nella
dimensione dell’eternità, cioè oltre ogni caducità, oltre ogni limite di fisica im-
perfezione e di pregiudizio psicologico.
speranza di eternità vuol dire superamento ideale delle leggi fisiche della ma-
teria, leggi che chiudono l’essere umano tra le rigide sbarre delle cose
relative e soprattutto finite.
speranza di eternità vuol anche dire, per l’uomo, fiducia nella pro-
pria essenza che implica l’esistenza dello spirito; di uno spirito
cioè che, nato perfetto come idea dalla divinità, attraversa l’espe-
rienza finita e relativa della terra (cioè della vita umana con le sue
proprie, restrittive leggi) per riconoscersi sempre più e sempre
meglio come spirito, appunto; cioè come qualcosa che è già
eterno per “nascita” divina.
il fatto stesso di sperare nell’eternità, il fatto stesso di po-
terla intuire, è la prova lampante che io, come voi, come
tutti gli individui della terra, non siamo fatti soltanto di
caduca materia che passa, ma che possediamo anche uno
spirito, una forza sottile, che va oltre la materia, perché
già esso spirito vive nell’eternità!
è significativo – ad esempio – che anche nell’essere
umano più derelitto vi sia in fondo una luce che è
data da un’aspirazione all’eternità: una speranza,
una tendenza di cui egli può non essere del
tutto cosciente, ma che comunque è una
forza che, malgrado tutto, lo aiuta a vi-
vere, lo aiuta a reagire alla malasorte,
lo sorregge in mezzo alla bufera della
sua vita.
la nostra condizione umana può essere
paragonata ad una sorta di maschera fi-
sica e psichica che, finché siamo sulla
terra, nasconde la nostra vera natura spiri-
tuale, la nostra vera natura di esseri immor-
W. Blake, Creazione di Adamo
tali. come tutti sappiamo, questa nostra struttura umana tende fortemente a seguire,
quasi per inerzia, le leggi della materia, giorno dopo giorno, e molti di noi pensano al-
lora che esista soltanto la materia, in noi e fuori di noi. ma dentro ognuno le cose si
svolgono ben diversamente, e a volte basta poco per capire che in noi stessi c’è “qual-
cosa” che è al di là di queste leggi, e questo “qualcosa” è naturalmente lo spirito.
con la morte la maschera umana si frantuma e lo spirito si libera della sua prigione di
carne, della sua prigione di materia. la speranza di eternità dell’uomo diventa allora in
esso – cioè nel suo spirito – certezza di eternità, perché lo spirito vive da sempre nel-
l’eternità! non è un gioco di parole, perché il concetto di eternità è molto vicino a quello
di assoluto. lo spirito è quindi da sempre nell’assoluto, in ciò che è unico e che non
può mai finire; e il suo lavoro è quello di conoscere uno dopo l’altro (evolvendo sulla
terra e altrove) gli infiniti aspetti della realtà che formano l’assoluto, cioè – come di-
cevo all’inizio – che formano l’essere nella sua vera, infinita sostanza.
credo che da individui, da esseri umani, soltanto l’intuizione possa darci un barlume di
questa grande Verità, di questa immensa Verità. grazie a questa intuizione, anche pic-
cola e limitata, possiamo renderci conto che la nostra speranza di eternità, che la nostra
intima aspirazione, o tendenza all’assoluto, è già una realtà vivente.
se lo spirito vive già nell’eternità, noi, in quanto esseri umani, siamo così già sulla so-
glia di questa eternità.
così il nostro corpo passa, ma il nostro pensiero resta; così la nostra esistenza fisica tra-
monta, ma la nostra anima rimane; così quella parte di noi che è caduca, sparisce o
quanto meno si trasforma in tante altre cose della terra, ma quella parte di noi che pensa,
che desidera, che ha volontà e che quindi è un valore universale, questa parte scavalca
questa vita finita, imperfetta, e prosegue il suo Viaggio infinito in quella eternità che è
il suo luogo per eccellenza, il luogo dell’anima, il luogo dello spirito.
e basta questa speranza per poter continuare a vivere meglio su questa terra, per con-
tinuare a resistere ai colpi che questa vita umana, passeggera, ci riserva; basta questo per
arrivare fino in fondo al nostro tormentato percorso terreno.
la storia dell’uomo, nel mondo, ci offre infiniti esempi di questa speranza di eternità e
della forza che essa può dare a molti per poter andare comunque avanti. n
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entRonauti di ieRi e di oggi
RamakRishna
Il MIstIco perfetto
Ramakrishna Paramahamsa
sotto i suoi occhi, un fascio di luce la penetrava e di fronte ad un tale assalto, Chandramani, sconfitta,
sveniva. Al suo risveglio la preda del Signore era incinta. Suo marito, al ritorno la trovò trasfigurata.
Sentiva delle voci: portava un Dio in grembo.
Il bambino nacque il 18 febbraio 1836. Fu colui che il mondo conobbe in seguito sotto il nome di Ra-
makrishna, ma il suo gaio nome di bambino, tintinnante come un campanello, suonava Gadadhar.
I suoi genitori, Khudiram e Chandramani, riuscivano a stento a sbarcare il lunario e trascorrevano gran
parte del loro tempo in adorazione di Raghuvir, la divinità familiare che consideravano loro patrono
e protettore.
Nel villaggio, Gadadhar era molto benvoluto. Bello e naturalmente dotato per le belle arti, non aveva
però alcuna propensione per la scuola. Se qualcuno gliene chiedeva la ragione, egli rispondeva: «La
cosiddetta istruzione ha in vista soltanto i soldi; questo tipo di istruzione non mi interessa affatto».
Amava la natura e trascorreva il suo tempo con gli amici nei campi e nei frutteti del villaggio. Andava
spesso in estasi: una fila di candide gru in volo sullo sfondo delle cupe nubi monsoniche, il canto di
inni devozionali o la recita in una rappresentazione religiosa potevano facilmente mandarlo in estasi.
Gadadhar rimase orfano del padre a sette anni; tale evento lo rese più serio, ma non ebbe il potere di
fargli cambiare modi e abitudini. Infatti, continuò a rifiutare la scuola, preferendo andare dai monaci
che si adoperava per servire e che seguiva, completamente dimentico di sé.
Un giorno, quando aveva undici anni, Sri Ramakrishna stava andando attraverso i campi di grano in
direzione di Anur, un villaggio vicino Kamarpukur. Come disse in seguito a suoi discepoli, improvvi-
samente ebbe una visione di gloria e perse coscienza. La gente disse che era stato uno svenimento, ma
in realtà si trattava di una vera e propria visione di Dio.
Ormai aveva raggiunto l’età per ricevere l’investitura del sacro cordone brahmanico; i preparativi
erano quasi ultimati, quando egli dichiarò che era sua intenzione ricevere la rituale prima elemosina
da una certa donna sudra del villaggio, ossia un’appartenente a una casta molto bassa. Una cosa simile
non si era mai sentita; secondo la tradizione doveva essere una donna brahmana a dargli la prima ele-
mosina. Gli venne fatto notare, ma egli fu irremovibile. Non ci furono ragioni, preghiere o pianti in
grado di farlo desistere da tale proposito. Ramkumar, fratello maggiore e, dalla morte del padre, ca-
pofamiglia, alla fine si arrese.
Intanto le condizioni economiche della famiglia continuavano a peggiorare. Ramkumar dirigeva una
scuola di sanscrito a Calcutta e svolgeva anche funzioni di sacerdote presso alcune famiglie. Guada-
gnava davvero poco e non gli era possibile inviare con regolarità del denaro a casa. Pertanto, decise
di far venire Gadadhar a Calcutta per fargli studiare il sanscrito; inoltre, avrebbe forse potuto svolgere
qualche servizio religioso tramite cui racimolare del denaro per sé. Gadadhar arrivò da suo fratello, ma
subito disse perentoriamente che non avrebbe studiato; accettava però volentieri di svolgere servizi re-
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ligiosi, non per denaro, ma per la gioia che ne ricavava.
Nello stesso tempo, una ricca signora di Calcutta, Rani Rashmoni, fece costruire un tempio a
Dakshineswar, dedicato alla Dea Kali. Ella si rivolse a Ramkumar chiedendogli di prestare
servizio in qualità di sacerdote del tempio ed egli accettò. Gadadhar si lasciò persuadere a de-
corare la divinità. Più tardi, quando Ramkumar si ritirò, Gadadhar ne prese il posto.
Da allora veniva spesso scorto seduto per molte ore davanti all’immagine della Madre, la dea
Kali, la sposa del Signore dell’Eternità (Shiva) e la invocava incessantemente affinché gli si ma-
nifestasse. All’inizio la Dea parve non rispondere alle sue continue invocazioni, ed egli du-
rante l’adorazione era spesso in lacrime, talvolta dando libero sfogo alla sua amarezza con alte
grida. Spesso passava l’intera notte in preghiera nella vicina foresta. Un giorno, non potendo
più sopportare questa situazione del silenzio della Dea, decise di porre fine ai suoi giorni. Af-
ferrò una spada appesa al muro e stava per colpirsi quando vide onde di luce che proveni-
vano dalla divinità; la luce lo investì e lo sommerse ed egli, perduta coscienza di sé, cadde a
terra svenuto.
Ma Gadadhar non si accontentò di questo. Cominciò a pregare la Madre Kali per ottenere altre
esperienze spirituali.
Allora i suoi familiari, impressionati, predisposero in tempi brevi il suo matrimonio, sperando
che questo lo riportasse alla realtà di ogni giorno. La sua sposa, Sri Saradamani Devi, era fi-
glia di Ram Chandra Mukhopadhyaya di Jayrambati, un villaggio a sole quattro miglia da Ka-
marpukur. Al momento del matrimonio, nel 1859, lei aveva solo sei anni, mentre suo marito
ne aveva ventitrè.
Dopo il matrimonio Sri Ramakrishna ritornò nel tempio-giardino di Dakshineswar e pian piano
incominciarono a raggiungerlo molte persone alcune delle quali divennero successivamente
suoi discepoli: fra i più cari, all’inizio del 1882, arrivarono Narendra (Vivekananda), Rakhal
(Brahamananda), Bhavanath, Baburam, Nirajan, M. e Jogin.
Oltre a insegnare il fatto che “Dio può essere visto e sperimentato”, il suo grande obiettivo fu
quello di mostrare l’armonia tra tutte le religioni. Da un lato egli realizzò l’ideale indicato da la dea
ciascuna delle diverse sette della religione indù, e dall’altro l’ideale dell’Islam e del Cristia- kali
nesimo: egli ripetè in solitudine il nome di Allah e meditò su Gesù Cristo. In una visione,
egli vide Gesù in tutta la sua gloria. Nella sua stessa stanza fece mettere non solo le im-
magini delle divinità indù, ma anche quelle di Buddha e di Gesù che è rappresen-
tato mentre salva Pietro che sta per annegare, e mentre calma la tempesta.
Il suo insegnamento si protrasse per circa 15 anni tramite parabole, meta-
fore, canti e, soprattutto, con l’esempio della sua vita, e in tal modo co-
municò ai suoi discepoli e al mondo le verità fondamentali della
spiritualità.
Non proclamò né credi, né dogmi. La sua sola preoccupazione era
l’elevazione degli uomini e riteneva che in essi vi fosse un enorme
potenziale etico e spirituale che avrebbero dovuto realizzare in vita
come un dovere. Riteneva poi che le diverse religioni fossero al-
trettanti sentieri che conducono tutte alla stessa meta, cioè al
Divino.
Come molte grandi anime insegnò ai suoi discepoli a essere nel
mondo, ma non del mondo, a compiere i propri doveri al meglio,
ma a non contare troppo sui frutti delle proprie azioni perché
essi vanno offerti a Dio di cui ci si deve considerare un sem-
plice strumento.
Egli riteneva che il Divino fosse ovunque, ma si manifestasse
soprattutto nell’uomo. Quindi, servire l’uomo equivaleva ad
adorarLo.
Alla sua morte, avvenuta nel 1886, lasciò un gruppo di gio-
vani e devoti discepoli guidati dall’ormai famoso Swami Vi-
vekananda. Oggi il suo insegnamento si è diffuso, non solo in
Asia, ma anche in America e in Europa, e specialmente negli Stati
Uniti e in Inghilterra. Sri Ramakrishna non è solo l’esempio per-
fetto di entronauta, ma una delle più grandi anime che siano mai vis-
sute su questa terra. n
entRonAuti di ieRi e di oggi
RobeRto AssAgioli
padre della Psicosintesi e grande medico dell’anima
PeR tuttA lA vitA AssAgioli
hA sottolineAto il bisogno, innAto in ogni esseRe umAno,
di elevAzione sPiRituAle, di cRescitA ed evoluzione; hA inoltRe
PResentAto unA PsicologiA dellA sAlute e indicAto eseRcizi PRAtici e tecniche
PeR conseguiRe queste mete. Fu tRA i FondAtoRi dellA medicinA PsicosomAticA e
contRibuì in mAnieRA deteRminAnte Allo sviluPPo dellA PsicologiA umAnisticA e di
quellA tRAnsPeRsonAle. nAsce con lui lA Psicosintesi, che è essenziAlmente
sAggezzA soRRidente, sPiRituAlità, ARte di educARe se stessi e gli AltRi PeR
costRuiRe un mondo miglioRe.
di Paola Giovetti
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del quale c’è l’io, o sé cosciente. Questo uovo si suddivide in tre settori: in basso c’è
l’inconscio inferiore, che Assagioli definiva “cantina”, sede delle attività psichiche che
presiedono alla vita organica, alle funzioni fisiologiche, agli istinti primitivi, ai com-
plessi psichici, ai sogni e alle attività immaginative elementari. Al centro risiede l’in-
conscio medio, dove avviene l’elaborazione delle esperienze compiute, la progettazione
delle attività future e dove ha sede l’archivio della memoria. Infine c’è “l’attico”, cioè
l’inconscio transpersonale dove risiedono tutti quei contenuti di cui non siamo coscienti
e da cui provengono le aspirazioni artistiche, scientifiche, filosofiche e creative in ge-
nere, le intuizioni, gli slanci altruistici, gli stati di contemplazione, illuminazione ed
estasi, le esperienze mistiche, i poteri paranormali e supernormali.
In cima a tutto c’è la “stella”, ovvero il sé della psicologia moderna, che corrisponde al
concetto tradizionale di anima; cioè la nostra identità più profonda e autentica, intesa
non come qualcosa di ideale e irraggiungibile, bensì come una realtà sperimentabile di
cui l’io è un riflesso. L’uomo a sua volta è immerso nell’inconscio collettivo, in quel-
l’immenso serbatoio di energia universale con cui è in rapporto di interazione reciproca.
Il terapeuta che utilizza la psicosintesi esplora tutti questi aspetti, e per superare sof-
ferenze e conflitti sviluppa le riserve della persona, comprese quelle collegate all’in-
conscio transpersonale. Obiettivo dell’intervento terapeutico è la trasformazione del
sé, nel senso che la persona deve essere condotta ad assumersi gradualmente la re-
sponsabilità della propria vita impostandola più sull’essere che sull’avere, ad essere
coinvolta in un processo di trasformazione che non finisce certo con la terapia o con
il corso: è un processo che non finisce mai, che dura tutta la vita. Assagioli era per-
sonalmente convinto che il processo continuasse anche oltre: era un uomo religioso
nel senso più autentico del termine, credeva in una vita dopo la morte, amava pro-
fondamente l’uomo e gli riconosceva potenzialità che pochi sanno vedere.
Per richiamarsi ancora all’esempio dell’uovo, Assagioli sapeva bene che c’è la cantina,
ma era consapevole che esiste anche l’attico e non si stancava di raccomandare di ten-
dere a quello. A lui premeva aiutare l’uomo a diventare una personalità completa, e il libro del destino
in versi,
suo desiderio ultimo era arrivare a cambiare la società: dato che la società è costituita germania centrale
da singoli individui, se gli individui cambiano in positivo, anche la società finirà per Xiv sec.
fare altrettanto.
Tolleranza, alti ideali, sintesi tra Oriente e Occidente (non va dimenticato
che la meditazione è parte integrante delle tecniche della psicosintesi),
amore per l’essere umano: ecco gli ingredienti che fanno di Roberto
Assagioli un autentico Maestro.
Tra le qualità più gradevoli di Assagioli c’erano il buon umore
e la modestia: qualità che egli cercava di trasmettere anche
agli altri e che gli sarebbe tanto piaciuto che fossero proprie
anche e soprattutto dei politici: «Quanto sarebbe necessario
il buon umore in campo politico!», diceva. E aggiungeva:
«Se i dittatori, grandi e piccoli, avessero del buon umore,
ciò potrebbe aiutare ad evitare le guerre».
E con riferimento alla modestia che gli era propria, e al suo
leggendario senso delle proporzioni, è opportuno citare an-
cora una volta le parole stesse di Assagioli, il quale soleva
dire con molto humor che per ottenere queste qualità ci si
poteva far aiutare dall’astronomia, cioè dall’osservazione
del cielo stellato, delle costellazioni e delle galassie. E ci-
tava un aneddoto su Theodore Roosevelt, quando questi
era presidente degli Stati Uniti: «Un suo amico racconta
che non di rado la sera Roosevelt diceva: “Usciamo, an-
diamo a guardare le stelle”. Fissava una nebulosa nella
costellazione di Andromeda che si vede a malapena a oc-
chio nudo e proseguiva: “Questa galassia è formata da
centinaia di milioni di stelle, altrettanti soli, e di queste
galassie ce ne sono milioni e milioni nell’universo. Ecco,
siamo abbastanza piccoli, possiamo andare a letto!”». n
iL LiNGuAGGiO Dei siMBOLi
L’AcquA
memoria e vita
L’AcquA È L’eLeMeNtO, iNsieMe AL FuOcO, creAtO DALL’AriA Per “POLArizzAziONe”:
L’AcquA È iNFAtti, ALL’OPPOstO DeL FuOcO, “MAscHiLe”, “AttivO”, eLeMeNtO
“FeMMiNiLe”, “ricettivO”, “PLAsticO”. L’AcquA È vitA, DONO, FecONDità,
riGeNerAziONe, GuAriGiONe, MeMOriA, cOesiONe, cOMuNicAziONe. NeL suO AsPettO
POsitivO questO eLeMeNtO sciOGLie, LAvA, LiBerA DALLe iMPurità, riFLette LA Luce,
rAFFreDDA, riLAssA, GuArisce; iN queLLO NeGAtivO cOrrODe, iNONDA, ANNeGA.
NON È MAi ABBAstANzA sOttOLiNeAre L’eNOrMe iMPOrtANzA cHe L’AcquA HA DA
seMPre rivestitO iN tutte Le cuLture DeLLA terrA, Per LA sOPrAvviveNzA, MA ANcHe
cOMe sOstANzA PuriFicAtrice, AD eseMPiO Nei rituALi Di ABLuziONe e iNiziAziONe
di Mauro Ruggirello
magici donatori di immortalità sono rinvenuti in fondo al mare o ai laghi7. Anche i pozzi
sacri nuragici, veri e propri templi ipogei, testimoniano l’antichissimo e importantissimo
culto delle acque in sardegna. Presso il lago di Nemi era molto diffuso, in epoca pre–romana
e romana, il culto della dea Diana. il santuario dedicato alla dea, che si trovava presso una
sorgente sulle pendici dell’antico cratere vulcanico, era infatti visitato spesso dagli uomini
per trarne oracoli e dalle donne desiderose di avere dei figli. in caverne, nei pressi di sorgenti,
fontane, cascate, laghi o specchi d’acqua si manifestano da tempo immemorabile misteriose
fate, dee o dame bianche8 – le apparizioni sono tutte di natura femminile. ce ne parlano nu-
merosi racconti, leggende e miti del folklore di tutto il mondo9. una delle forme più frequenti
è quella di una giovane donna dalla folta chioma, seduta su una roccia vicino l’acqua o al
bordo di una fontana, che si pettina i capelli e piange, canta o si lamenta. spesso è nuda, altre
volte ha una coda di serpente o di pesce, come nella la leggenda medievale di melusina o in
quella tedesca di Loreley. Melusina sposa un cavaliere ma gli proibisce di guardarla mentre
si bagna e assume la sua vera forma, con la coda di serpente, divieto che viene regolarmente
infranto dal cavaliere, portandolo alla rovina. Loreley era un’ondina che sedeva su una roc-
cia lungo il fiume reno e attirava pescatori e barcaioli sugli scogli10. Molti di questi culti sono
sopravvissuti fino in epoca moderna, nonostante i numerosi tentativi della chiesa cattolica
di sopprimerli distruggendo le fonti stesse, demonizzando le divinità o costruendovi sopra
delle cappelle o chiese – come nel caso della cattedrale di chartres in Francia – e sostituendo
il culto dei santi o della vergine Maria a quello delle divinità acquatiche. Anche le apparizioni
della Madonna sono spesso avvenute nei pressi di sorgenti già esistenti o scaturite subito
dopo (come a Lourdes, Francia), le cui acque sono poi diventate miracolose. come abbiamo
visto, la natura dell’acqua ha quasi ovunque caratteristiche femminili. Divinità maschili as-
sociate ai mari, come il romano Nettuno (Neptūnus)11 o il greco Poseidone (Ποσειδῶν)12
sono, secondo gli studiosi, acquisizioni relativamente recenti e rappresentano piuttosto
l’aspetto aspro e violento del mare e degli oceani, con le loro tempeste13.
come nel caso di Nereo, anche in altri miti esiste una stretta associazione tra l’acqua e il ser-
pente o drago. il serpente è simbolo di rigenerazione, di fecondità, di conoscenza e di im-
mortalità. spesso custodisce l’accesso alla sacra fonte dell’immortalità. Nella mitologia
vedica vritrá (vṛtrá “l’avvolgente”) è un demone che, sotto forma di serpente (ahi) o drago,
teneva prigioniere, avvolgendole tra le sue spire, le acque del mondo, finché non venne uc-
ciso da indra con il fulmine (vajrāyudha) creato per lui da tvaṣṭṛ, il demiurgo vedico. in
india i nāgas, divinità serpente14, sono considerati spiriti della natura e protettori di sorgenti,
pozzi e fiumi. Portano la pioggia, e quindi fertilità, ma anche disastri come inondazioni e
siccità. sono generalmente considerati guardiani di tesori: i nāgas custodiscono l’elisir della
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Vishnu-ananta
25
il re Nāga mucalinda offrì riparo al Buddha coprendo- “sciogliendo” ogni forma: l’acqua che dà la vita può infatti dare
gli la testa con le sue sette teste di serpente.
17) interessante il parallelo con l’uroboro (οὐροβóρος), anche la morte. così, nella Bibbia, l’umanità corrotta viene
il serpente che si morde la coda, simbolo già egizio del distrutta per mezzo del diluvio37. Ma dagli esseri che si sono sal-
tempo ciclico. È il serpente di mare Jörmungandr o
miðgarðsormr della mitologia nordica, che circonda il
vati sull’arca rinasce un nuovo mondo, rigenerato. Analogamente,
mondo mordendosi la coda. nei riti di iniziazione mediante l’acqua, come il battesimo, il fedele
18) «Le acque sono chiamate nārāh, [perché] esse sono viene rigenerato, rinasce puro: l’acqua del battesimo è segno della
prodotte da Nāra [il primo essere]; essendo state queste
la sua prima residenza [ayana], egli è chiamato nuova vita38. Anche il bagno rituale ebraico, il mikveh, ridona la
Nārāyaṇa» Bhāgavata Purāṇa. purezza prima di ogni atto rituale. tutti i popoli si sono serviti fin
19) «La Luna scorre nelle acque, e il sole dalle belle piume
nel cielo» (candramā apsv antar ā suparṇo dhāvate dall’antichità delle abluzioni, praticate prima di entrare nei luoghi
divi) rigveda, i,105,1. L’influenza della Luna, come sacri e prima di qualsiasi atto religioso, ed hanno usato le asper-
quella del sole, non si esercita naturalmente solo sul- sioni con acqua benedetta nei riti di
l’acqua, ma quello sull’acqua è l’effetto più evidente.
20) Forse non è un caso che le precipitazioni più intense si purificazione.
verifichino spesso nei giorni immediatamente prece- come per il fuoco, anche i termini
denti o successivi alle fasi di luna nuova o luna piena.
21) cfr. sanscr. mās “luna, mese”, gr. μήν, μής “mese”, per acqua hanno, nelle lingue indo-
μήνη “luna”, lit. mėnuo, mėnesis “luna, mese”, ant. europee, una tradizione piuttosto
slavo mĕsęcъ “luna, mese”, got. mēna “luna”, mēnōÞs varia, e spesso acquistano i significati
“mese”, lat. mēnsis “mese”; cfr. anche sanscr. māti “mi-
surare”, gr. μέτρον “misura”, got. mēl “tempo”. di “onda, fiume, lago, mare, pioggia”.
22) Famosa, a questo proposito, la frase di eraclito: «panta L’acqua intesa come strumento è
rhei» (πάντα ῥεῖ) “tutto scorre”: non ci si può bagnare
due volte nella stessa acqua del fiume. L’acqua scorre, rappresentata in un gran numero
secondo viktor schauberger (1885 – 1958), grande stu- di lingue dal termine i.e.
dioso austriaco di questo importante elemento, con moto
cicloide spiraliforme.
*wedōr-/uden- (es. inglese water,
23) così le greche Moire (Μοῖραι), personificazione del latino unda “onda”)39. L’acqua
triplice tempo: Cloto “la filatrice” (Κλωθώ), Lachesi personificata è invece rappre-
“la distributrice” (Λάχεσις), atropo “senza ritorno”
(Ἄτροπος); le romane Parche (Parcae o tria Fata): sentata da *āp-/*akwā-, che ri-
Nona, Decima, morta; le nordiche Norne (Nornir): troviamo nell’area linguistica
Urðr “l’origine”, verðandi “il divenire”, Skuld “il de-
bito”. cfr. anche le Ore greche (Ὧραι, divinità delle sta- indoiranica, italica (lat. aqua) e
gioni, del tempo “giusto”): tallo (Θαλλώ “che dona germanica40. L’acqua di sorgente
germogli”), auxo (Αὐξώ “che favorisce la crescita”), si ritrova nel sanscrito jala, mentre
Carpo (Καρπώ “che raccoglie frutti”). Al triplice
aspetto della Dea possiamo assimilare anche le dee in- l’acqua piovana è espressa dalle ra-
diane Sarasvatī, Lakṣmī, Pārvatī risp. mogli di Brahmā, dici *wer- (es. ant. nordico ūr
vishnu e shiva.
24) La falce di luna crescente con le punte rivolte in alto è “pioggia”, lat. ūrina) e *nebh-
anche simbolicamente la coppa o calice dove si racco- /embh- (es. latino nubes “nube” e
glie la bevanda dell’immortalità. È il calderone magico imber “pioggia”)41. Nelle lingue celti-
della mitologia celtica. questo simbolo ricorre inoltre
spesso nelle raffigurazioni della Madonna, sotto i suoi che l’acqua è invece “la profonda” o
piedi. cfr. anche Apocalisse 12,1–2. “la nera” (es. gallese dwfr, bretone
25) cfr. Bṛhadāraṇyaka Upanishad 6,2,15–16; Chāndo-
gya Upanishad 5,10,1–8. v. anche Plutarco, il volto dour)42. un altro termine è quello
della luna. per “distesa, specchio d’acqua,
26) «Abbiamo bevuto il soma e siamo diventati immor-
tali» (apāma somam amṛtā abhūma) rigveda 8,48,3. il
mare”, da una radice comune rico-
soma è anche la pioggia o sperma del toro celeste che fe- struita *mari/mori (es. lat. mare)43.
conda la terra, o il latte della mucca divina che nutre il Diffuso nell’area italica, celtica, ger-
mondo.
27) L’emisfero destro del cervello umano è, in particolare, manica e slava, questo termine presenta in alcune lingue un’in-
il luogo del pensiero analogico, intuitivo, sintetico. teressante somiglianza con il termine per “madre”44. Ancora,
L’emisfero sinistro è invece caratterizzato dal pensiero
logico, consequenziale, analitico. la fonte o sorgente è spesso il luogo dove l’acqua sgorga quasi “ri-
28) cfr. gr. μνήμη “ricordo, memoria”, μιμνήσκω “ricor- bollendo, gorgogliando” come in greco e nelle lingue celtiche, ger-
dare”, μνάομαι “pensare”, sanscr. manyáte “credere, maniche e slave45, mentre il torrente o fiume è caratterizzato dallo
pensare”, manati “pensare”, manas “mente”, lat. me-
minī “mi ricordo”, mēns “mente”, tutti da una radice “scorrere” di questo meraviglioso liquido nell’area indoiranica,
*men– “pensare, ricordare”. greca, italica, celtica, germanica e slava (es. lat. rīvus)46. un altro
29) Sarasvatī è, nel rigveda, anche il nome di un fiume.
30) Da una radice indoeuropea *(s)mer– “ricordare”. cfr. termine interessante è infine quello che si ritrova nel sanscrito
lat. memor, memoria, gr. μερμαίρω, μερμηρίζω, nārāh, greco νερόν/νηρόν “acqua fresca”, νᾶρός “corrente”, da
sanscr. smarati “ricordare”. una radice *ner– che si ritrova in numerosi nomi di corsi d’acqua
31) cfr. anche il mito di tiresia: la conoscenza ha un
prezzo, ma l’occhio qui simbolizza la perdita della vista in tutta l’europa (es. Nera in umbria, Neris in Lituania)47. La
“fisica” e l’acquisto di quella “sottile, spirituale”. Molti stessa radice si ritrova probabilmente nel greco Νηρεύς (Nereo),
“veggenti” o poeti dell’antichità erano anche ciechi.
32) La frequenza della vibrazione molecolare dell’acqua antica divinità delle acque, il “vecchio del mare” secondo Omero.
cambia a seconda delle sostanze in essa disciolte, deter- Figlio di Ponto (il mare) e Gaia (la terra), Nereo può assumere
minando il diverso effetto terapeutico di acque diverse.
33) il dott. samuel Hahnemann (1755 – 1843) scoprì il co-
ogni forma48 – sebbene prediliga quella di serpente – e predire il
siddetto “principio di similitudine” (similia similibus cu- futuro. È anche il padre delle Nereidi (Νηρείδες), ninfe marine
rantur), secondo il quale il rimedio adatto a curare una spesso rappresentate come fanciulle dai capelli ornati di perle, a
26
cavallo di delfini o cavalli marini. Le più note sono Anfitrite malattia è quella sostanza che in una persona sana in-
duce gli stessi effetti della malattia; questo principio
(Ἀμφιτρίτη), sposa di Poseidone, e teti (Θέτις), madre dell’eroe costituisce il fondamento dell’Omeopatia.
Achille. come le Nereidi, anche le Naiadi (Ναϊάδες, da una radice 34) se è vero che il nostro corpo è composto dal 70 per
cento di acqua, si possono facilmente dedurre gli ef-
*(s)na– “scorrere, umidità”)49 sono ninfe delle acque (dal gr. νύμφη fetti di un atteggiamento positivo verso la vita.
“vergine, giovane donna non maritata”) associate a fontane, sor- 35) Al contrario delle acque stagnanti o “morte”, per as-
genti, cascate, pozzi e caverne. Appaiono come giovani e bellissime senza di ossigeno. cfr. Gaston Bachelard, Psicanalisi
delle acque, red edizioni, 2006, p. 133.
fanciulle dai lunghi capelli. Dotate di poteri di guarigione, le naiadi 36) Gaston Bachelard, op. cit., p. 149. Dagli esperimenti
o ninfe d’acqua sono anche fonti di ispirazione (νυμφοληψία) per condotti in America durante gli anni ’60 su soggetti
immersi in vasche di isolamento risultava che questi
gli umani50. come l’acqua sgorga dalla sorgente, così le ninfe mor- provavano un ampliamento della coscienza simile al
morano, sussurrano, ispirano. si narra che il secondo re di roma, piacere e alla beatitudine illuminata di cui ci parlano
Numa Pompilio il legislatore, avesse come sposa la i testi indiani a proposito del cosiddetto stato di sa-
madhi. Nella Bibbia l’acqua significa felicità e si-
ninfa egeria. i due si incontravano nel bosco o valle curezza (ez 47,1).
delle Camene, al limite delle antiche mura 37) «ecco io manderò il diluvio, cioè le acque (ham-
mabbūl mayim), sulla terra, per distruggere sotto il
della città51, presso una sorgente d’ac- cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla
qua, dove il re riceveva consigli e terra perirà» Gen. 6,17
ispirazione. Le camene (Camēnae o 38) «Gli rispose Gesù: in verità, in verità ti dico, se uno
non nasce da acqua e da spirito, non può entrare nel
Carmēnae) erano ninfe delle sorgenti, regno di Dio» (ἀπεκρίθη ὁ Ἰησοῦς Ἀμὴν ἀμὴν
fonte di ispirazione, come egeria e λέγω σοι, ἐὰν μή τις γεννηθῇ ἐξ ὕδατος καὶ
πνεύματος, οὐ δύναται εἰσελθεῖν εἰς τὴν
Carmenta, ma anche protettrici del βασιλείαν τοῦ θεοῦ) Gv 3,5; «Ma chi beve dell’ac-
parto (come antevorta e Postvorta). qua che io gli darò non avrà mai piú sete; l’acqua che
io gli darò diventerà in lui fonte di vita eterna» (ὃς δ’
Benché ispiratrici, le ninfe potevano ἂν πίῃ ἐκ τοῦ ὕδατος οὗ ἐγὼ δώσω αὐτῷ, οὐ μὴ
però essere pericolose o mortali se διψήσει εἰς τὸν αἰῶνα, ἀλλὰ τὸ ὕδωρ ὃ δώσω
spiate nelle ore centrali della gior- αὐτῷ γενήσεται ἐν αὐτῷ πηγὴ ὕδατος
ἁλλομένου εἰς ζωὴν αἰώνιον) Gv 4,14.
nata52. È nota la leggenda del cac- 39) Neutro con alternanza r/n da una radice indoeuropea
ciatore il quale, inseguendo una *wed- “bagnato, scorrere”. cfr. sanscrito ud- “ba-
gnato, scorrere”; cfr. inoltre sanscr. udán, greco
cerbiatta nel bosco, scopre una sor- ὕδωρ, ὕδατος, ittita watar (nom.), wetenaš (gen.),
gente o fontana nella quale si umbro utur, gotico watō, ant. nordico vatn, inglese
bagna una bellissima fanciulla – water, ant. irlandese uisce, ant. slavo voda (antica per-
sonif. femminile), lituano vanduõ (antica personif.
in realtà una dea o ninfa – che si femminile), lettone ūdens, albanese ujë “acqua”, la-
mostra nuda al cacciatore. in altre leg- tino unda “onda, acqua corrente”.
40) cfr. sanscr. āpas “le acque”, avestico āp-/ap-, per-
gende la giovane si mostra seduta sul siano āb “acqua”, lat. amnis, lit. upė, ant. irl. abann
bordo della fontana mentre si pettina “fiume, acqua che scorre”, irl. abha, gallese afon, bre-
la folta capigliatura. La vista è però tone aven “fiume”; lat. aqua “acqua”, ma got. ahwa,
ant. ingl. ēa “fiume”; cfr. anche ittita eku-/aku-, toca-
dannosa per il cacciatore, che rio yok “bere”. curiosa l’assonanza con il sumero ab
viene trasformato per punizione in “acqua, oceano, seme”.
41) cfr. per il primo il sanscr. gal- “gocciolare”, ted.
cervo, come nella leggenda di At- Quelle “sorgente”. Da *wer- abbiamo: sanscr. vār-,
teone (Ἀκταίων) che vede Artemide, vāri, tocario A wär, tocario B war “acqua”, avest. vār-
ant. nord. ūr “pioggia”, ma avest. vairi-, lit. jūra
o viene accecato, come nel mito di “mare”, e cfr. anche gr. οὖρον, lat. ūrina. Da *nebh-
tiresia (Τειρεσίας). L’indovino tiresia, figlio della ninfa ca- /embh-: sanscr. ambhas, ambu, gr. ὄμβρος, lat. imber
riclo (Χαρικλώ, “graziosa tessitrice”), aveva infatti spiato “pioggia, temporale, nuvola di pioggia”, nubes e nim-
bus “nube, nuvola temporalesca”, gr. νεφέλη “nu-
Atena (Ἀθηνᾶ) mentre si bagnava nuda in una fonte, e fu pu- vola”, sanscr. abhra “nuvola, tempo piovoso”, nabhas
nito dalla dea che lo rese cieco. in seguito all’intervento della “nuvola, cielo”.
42) cfr. alb. det “mare”, got. diups “profondo”, ant. slavo
madre, tiresia ricevette tuttavia il dono della profezia53. un altro dǔno “fondo”; cfr. anche ant. irl. dub “nero”.
mito narra come la ninfa salmace (Σαλμακίς), invaghitasi di er- 43) cfr. irl. muir, gallese e bretone mor, got. marei, ant.
mafrodito che giungeva alla sua fonte, volle unirsi a lui «come un nord. marr, ted. meer, ant. ingl. mere, lit. mãrios, ant.
slavo morje.
serpente» (ut serpens), chiedendo agli dèi di poter restare eterna- 44) vedi ad es. l’assonanza tra i termini francesi la mer
mente insieme. Gli dèi esaudirono il desiderio della ninfa, unendo “il mare” e la mère “la madre”, ital. mare e madre. La
lettera/suono nasale bilabiale m si ritrova, in molti ter-
i due per sempre in un unico corpo, ma ermafrodito maledisse la mini simbolicamente legati all’acqua, come luna (es.
fonte, chiedendo che chiunque si fosse bagnato nelle sue acque ingl. moon) e madre.
dovesse uscirne androgino (semivir)54. 45) viene naturale l’accostamento simbolico alla caldaia
o calderone magico. Da una radice *bher–/bheru–
Particolarmente interessante è il termine ebraico per acqua, mayim. /bhreu– “ribollire” (lat. fervēre, gr. φύρω “rimesco-
mayim è in realtà un plurale, le “acque”: sono le acque superiori, lare”, sanscr. bhur– “fremere, agitare”), cfr. gr. φρέαρ
“pozzo”, armeno albiur, irl. tobar, got. brunna, ant.
fecondatrici, maschili, e le acque inferiori, ricettive, femminili di nord. brunnr “pozzo, sorgente”; polacco źrόdlo “sor-
cui si narra nella Genesi55. mayim si scrive utilizzando tre carat- gente”, russo žerlo “cratere”, da *gwer– “inghiottire,
gorgogliare” (lat. gurges “gorgo, vortice”, ital. gor-
teri, due mēm (iniziale e finale) che contengono uno yōd centrale: gogliare).
mēm è, secondo la cabala, la lettera associata all’acqua e alla 46) L’acqua che scorre è simbolicamente associata al
madre, alla nascita e alla maternità, come nell’ebr. ‘ēm “madre” e tempo. Da una radice *sreu– “scorrere” (gr. ῥέω,
27
Herbert J.Draper, Ulisse e le Sirene
iam “mare”. il suono nasale bilabiale M è del resto il primo articolato dal bambino e il termine
familiare per “mamma” è molto simile in tutte le lingue del mondo. Anche la nostra lettera m de-
riva, in ultima analisi, dal geroglifico egiziano che simboleggiava proprio l’acqua con le sue
onde. Lo yōd racchiuso tra i due mēm simboleggia invece la potenza racchiusa nelle acque, nella
madre. curiosamente, anche la molecola dell’acqua è composta da un atomo di ossigeno tra due
atomi di idrogeno, secondo lo schema HOH, e nel Libro dei mutamenti (i ching, o meglio: Yì
jīng) cinese il trigramma dell’acqua (kan) è rappresentato come una linea intera (yáng, ma-
schile) posta tra due linee interrotte (yīn, femminile): è il potere creativo del fuoco (yáng), na-
scosto tra le acque (yīn)56. Non a caso nel rigveda indiano Agni, personificazione del fuoco, è
detto «parente delle acque», «nato in seno alle acque»57: egli «si nasconde in mezzo alle acque».
All’Acqua è associato, secondo il Laya Yoga, il secondo chakra, situato in corrispondenza degli
organi genitali, al livello del coccige, 5 cm circa sotto l’ombelico: Svādhiṣṭhāna, letteralmente
“situato al proprio posto”, “dolcezza” secondo un’altra interpretazione. Svādhiṣṭhāna è rappre-
sentato come un loto a sei petali di colore rosso vermiglio o arancione, secondo le diverse scuole
di pensiero58. Al centro in basso si trova una falce di luna crescente o mezzaluna bianca, splen-
dente, regno di varuna, dio vedico del cielo nuvoloso e della pioggia, che appare con in mano
un laccio (pāśa), seduto sul makara, un mitico mostro marino simile a un coccodrillo. il man-
tra seme (bīja mantra)59 è vaṃ, mentre sui petali compaiono sfolgoranti le sillabe mantra baṃ
bhaṃ maṃ yaṃ raṃ laṃ. Nel punto (bindu) sopra la sillaba vaṃ si cela vishnu, signore della
conservazione della vita, rappresentato come un giovane dalla carnagione blu con una veste
giallo oro e quattro braccia le cui mani stringono la mazza, la conchiglia, il disco affilato e il loto.
La sua cavalcatura è Garuḍa, il mitico uomo–uccello. La divinità femminile o shakti (Śakti)60
associata è rākinī, dall’aspetto terrificante, come sottolineato dai denti minacciosi e dai tre occhi
rossi; ha carnagione blu e quattro braccia nelle cui mani vi sono una lancia, un loto, un tambu-
rello e un’ascia affilata. questo chakra coincide con il plesso sacrale ed è associato all’apparato
urogenitale, alle ghiandole surrenali. corrisponde ai testicoli e alle ovaie che producono i vari
ormoni sessuali coinvolti nel ciclo riproduttivo, ma anche alla prostata, all’utero, ai reni, alla ve-
scica. A livello fisico, questo chakra governa la riproduzione, l’assimilazione del cibo, la forza
fisica e la vitalità, la sessualità. A livello psichico, Svādhiṣṭhāna governa la creatività, l’intui-
zione, la gioia e l’entusiasmo, le relazioni interpersonali, il desiderio, le emozioni, la passione,
il piacere. il buon funzionamento di questo chakra produce un rapporto equilibrato e armonioso
28
sanscr. sru– “scorrere”) abbiamo: gr. ῥευμα, ῥόος, ῥοή,
irl. sruth, ant. nord. straumr, ingl. stream, lit. srovė, lett.
strāva, sanscr. srotas, sravat, ant. pers. rauta, pers. rūd
“torrente, fiume”; da *rei– “scorrere” abbiamo invece lat.
rīvus, got. rinnō, ant. slavo rĕka “torrente, fiume”. Nelle
lingue indoeuropee la lettera/suono vibrante r si ritrova
in moltissimi termini indicanti il movimento, il fuoco, la
frizione.
47) cfr. anche i toponimi Narni (italia), Nara (fiume russo),
Neretva (fiume croato), Narva (fiume estone), Nera (ro-
mania), Narbonne (Francia), Nairn (scozia); cfr. anche
lit. narus “profondo” e nerti “immergersi”. interessante
anche l’accostamento all’ebraico nahar “fiume”. La let-
tera/suono nasale N si ritrova nelle lingue indoeuropee
in molti termini associati simbolicamente all’acqua,
come nuotare (*snā–), nave (*nāu–), guarire (*nes–),
nuovo (*newo–), rene (*negwhro–), ma anche notte
(*nekwt–), morte (*nāu–), annegare (*nek–).
48) come avviene nella lotta con ercole, quando l’eroe è
alla ricerca del giardino delle esperidi.
49) cfr. gr. νάω “scorrere”, gr. νᾶμα “acqua corrente”,
sanscr. snāti “bagnarsi”.
50 come le ninfe, anche le Muse sono divinità delle arti e
della sapienza, depositarie della memoria. con l’avvento
del patriarcato, le ninfe diventano oggetto delle violenze
Oceano e Teti, mosaico degli dèi, tra gli altri Giove, Apollo, Poseidone, Marte.
51) L’odierno viale delle terme di caracalla, tra il celio e
l’Aventino, era un tempo ricoperto di boschi, grotte e sor-
con gli altri, la fiducia in se stessi e nella vita, un atteggiamento genti
52) A mezzogiorno si evitavano fontane, fiumi e sorgenti.
positivo verso il cambiamento, l’assimilazione di nuove idee, 53) in un altro mito si narra invece che tiresia, passeg-
la salute, la tolleranza. viceversa, le disfunzioni producono con- giando sul monte cillene, vide due serpenti che si ac-
coppiavano. infastidito dalla scena, ne uccise la femmina
fusione, sfiducia, eccessi nell’alimentazione e nella vita ses- e fu tramutato in donna, vivendo in tale condizione per
suale, impotenza, gelosia, invidia, desiderio di possesso, sette anni. Dopo avere assistito ancora una volta alla
bisogno di controllare gli altri, conflitti personali o guerre. A li- stessa scena, uccise il serpente maschio e tornò a essere
uomo.
vello fisico si hanno invece problemi all’apparato urogenitale, 54) Ovidio, metamorfosi, iv, 306–312. Anche nel mito
quindi agli organi sessuali e ai reni. L’organo di senso associato degli Argonauti, ila (Ὕλας), compagno di ercole, viene
rapito dalle ninfe di una fonte, innamoratesi di lui.
a questo chakra è la lingua, sede del gusto, mentre l’organo di 55) «… e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (wərûaḥ
azione sono le mani. ’ĕlōhîm məraḥefeṯ ‘al-pənê hammāyim) Gen. 1,2; «… e
Dio disse: sia il firmamento in mezzo alle acque per se-
L’acqua presenta una stretta analogia con l’elemento etere o spa- parare le acque dalle acque» (wayyōmer ’ĕlōhîm yəhî
zio, la materia o sostanza primordiale a partire dalla quale, at- rāqîa‘ bəṯōwḵ hammāyim wîhî maḇdîl bên mayim
traverso l’azione della luce o vibrazione (il “verbo”), inizia la lāmāyim) Gen. 1,6.
56) Anche l’ideogramma cinese per acqua, 水 shui (pron.
creazione dell’universo o manifestazione, la vorticosa “danza di shuèi), è rappresentato da tre segni, tre ruscelli che scor-
shiva”.61 come l’etere, anche l’acqua, attraverso l’azione del rono verticalmente.
57) «Nato in seno alle acque, in cui si era adagiato come un
fuoco e dell’aria e con la partecipazione della terra, plasma la animale dalle membra ripiegate, [Agni] si distende, e la
vita e le dà forma. sua luce si diffonde lontano».
Nell’incontro con il fuoco essa riceve l’energia che le imprime 58) i sei petali corrispondono alle vṛtti (“vortici involutivi”)
darsi agli eccessi, spietatezza, senso di distruttività, allu-
il movimento; nell’incontro con l’aria si ripiega su se stessa cre- cinazione, disprezzo e sospetto.
ando l’onda, producendo la schiuma, generando la vita62. Le sue 59) i mantra-seme sono dei suoni rappresentanti le divinità
o poteri cosmici associati ai vari chakra. La loro
correnti formano gorghi e vortici, simboleggiati dalla spirale, il pronuncia richiama l’influenza di tali forze. La sillaba è
movimento della vita. Ma l’acqua è anche e soprattutto, secondo detta in sanscrito akshara (akṣára), che significa
Jung, «il simbolo più corrente dell’inconscio»63. Nel suo aspetto “eterna, indistruttibile”.
60) Dalla radice sanscrita śak “essere forte, potente, essere
materno, l’acqua simbolizza infatti l’inconscio, che può essere capace di”. Shakti (lett. “potenza”) rappresenta
considerato la madre o matrice della coscienza. L’acqua riflette l’aspetto femminile dell’universo nella coppia Shiva-
Shakti.
come uno specchio la nostra immagine e ce la mostra così 61) come l’etere o Akasha, l’Oceano cosmico, l’acqua è
com’è, senza maschere. Ma la superficie dell’acqua è anche il anche memoria. cfr. anche il mio articolo L’etere o aka-
sha, apparso su L’eterno Ulisse n. 4 a pag. 39.
limite tra la parte cosciente, superiore, e la parte inconscia o 62) «il mare si coprì di schiuma, e al formarsi di ciascun
“sommersa” del nostro io. immergersi in questo liquido signi- fiocco di schiuma qualche cosa prendeva forma, qual-
fica allora immergersi nella parte più profonda di noi stessi, af- cosa prendeva corpo» Jalāl al-Dīn rūmī (cit. da J. che-
valier, A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, ed. Bur,
frontare le nostre emozioni, le nostre paure, la paura soprattutto 1986, pag. 8). Dalla schiuma del mare (in greco ἀφρός)
di conoscere e affrontare il nostro lato nascosto, la nostra ombra, nasce, secondo esiodo, Afrodite (Ἀφροδίτη), dea del-
l’amore, della bellezza, della generazione e della ferti-
paura dell’ignoto, del cambiamento. così, nell’Yì jīng, l’attra- lità.
versamento della grande acqua, del “grande fiume”64, tema pi- 63) cfr. carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collet-
uttosto ricorrente di quest’opera, equivale al superamento dei tivo, Boringhieri, 1995, pag. 36.
64) «dà chuān».
nostri limiti, alla trasformazione e realizzazione di noi stessi, 65) emblematico a tale proposito è il viaggio di ulisse per
per ritrovare la nostra essenza spirituale.65 n mare, simbolo di trasformazione, saggezza, rinascita.
29
Il lInguaggIo deI sImbolI
Il vIno nell’antIchItà
da Noè a dioNiso
Il vIno come opera d’arte e l’apertura
della bottIglIa quasI una cerImonIa per gustare Il prezIoso nettare,
frutto della vIte e del lavoro dell’uomo. la storIa che conduce daI pIthoI
all’orcIo, dalla kylIx al calIce, dall’oInochòe al decanter è lunga, ma unIco
è Il protagonIsta: Il vIno, nettare deglI dèI. InIzIamo a percorrere InsIeme
le strade dI palestIna e grecIa, prIma dI approdare a roma.
un vIaggIo nel tempo, nello spazIo e nelle tradIzIonI arcaIche.
di Rigel Langella
L a vite, come del resto l’ulivo e il grano, erano e sono piante sacre nell’areale medi-
terraneo, segno di un radicamento alla Madre Terra che faceva vivere la vita non da
stranieri, ma da esseri consapevoli della stretta interazione tra macrocosmo e microco-
smo. Le antiche civiltà mediterranee, attraverso i preziosi reperti a noi pervenuti, ancora
oggi trasmettono il senso di luminosa serenità delle società agricole, contrapposte a
quelle pastorali, guerriere, maschiliste e aggressive. Così come mi è capitato di speri-
mentare a Santorini, visitando gli scavi della città minoica di Thera, da dove riaffiora la
vita quotidiana, semplice e luminosa, di una società matriarcale.
È evidente il fatto che il vino è sacro lì dove è radicato nella cultura tradizionale di un
popolo, soprattutto dove la cultura della vite è resa possibile dalle condizioni climatiche
che favoriscono un’agricoltura specializzata.
A quanto sembra sono stati i Sumeri i primi a lasciare testimonianza scritta sull’uso del
vino già nella celebre Epopea di Gilgamesh, opera
letteraria che risale al III millennio a.C. e parla
della ricerca dell’immortalità da parte del-
l’eroe di Uruk. I caratteri cuneiformi delle
tavolette di Ebla, che gli scavi italiani
hanno riportato alla luce, testimoniano
come il vino venisse usato nei banchetti,
offerto agli dèi e ai capi della comunità, in
pagamento delle tasse.
La sacralità della bevanda è sancita in particolare nel testo biblico, la tradizione religiosa
comune a ebrei e cristiani, e deriva indubbiamente dal rilievo che la vite e il vino avevano
nella letteratura dell’Antico Israele, così come per Greci e Romani.
Partiamo allora dalla Bibbia: per chi ama le statistiche sono ben 127 tra Antico e Nuovo
Testamento le ricorrenze, i brani, le pericopi in cui è citato il vino. È proprio la Sacra Scrit-
tura la fonte documentaria primaria dell’Antichità. Il testo in cui il vino è praticamente un
co-protagonista è il Cantico dei cantici, composizione dalle espressioni ardite, dal lin-
guaggio vivo che sconcerta chi non sappia penetrare la dimensione del sacro in cui l’amore
è celebrato proprio nella vigna, quasi un nuovo Giardino dell’Eden. Ovviamente, oggi,
nessuno crede più che sia stato scritto dal Re Salomone nel X secolo a.C., ma le sue espres-
sioni immortali restano alte, anche se provenienti da un ignoto, ma ben dotato scriba:
Il tuo ombelico è una coppa
che non manca mai di vino (Ct 7, 3).
Secondo la moderna esegesi il testo è più recente e risale al VI-IV sec. a.C., composto per
celebrare l’amor profano e la gioia della libagione, assurta a paragone di massima delizia.
La vigna, che fa da sfondo a questo amore, è descritta nel tempo incantato della fioritura
e della primavera, tanto da deliziare ancora, alla lettura, il nostro olfatto con i profumi
della macchia mediterranea.
Di vino si parla anche nei Libri storici, profetici e sapienziali.
Assieme alle evidenze archeologiche, che hanno restituito
attrezzature vitivinicole provenienti dal Medio Oriente, pos-
siamo dire con certezza che la bevanda era prodotta già in
epoca arcaica in diverse forme o – come diremmo oggi – se-
condo differenti disciplinari. Scopriamoli insieme. Il pro-
feta Gioele ci parla del vino novello: Io vi mando il grano,
il vino nuovo (Gl 2,19). La Genesi mette in guardia dagli ef-
fetti del vino forte: Avendo bevuto il vino, Noè si ubriacò
(Gn 9,21). Il profeta Osea parla del vino mescolato al
mosto: Il vino e il mosto tolgono il senno (Os 4,11). Infine,
è ancora il Cantico, a farci sapere che i nostri progenitori
usavano come afrodisiaco il vino speziato: Ti farei bere
vino aromatico (…) (Ct 8,2).
Sul mercato delle antiche città era, dunque, possibile ac-
quistare una vasta gamma di vini, che venivano suddivisi
principalmente in base a colore e origine: rossi di Cipro e
Frigia; rosso leggero di Sharon; vini etiopici. I bianchi più
apprezzati provenivano dalle vigne del Libano e in alcune
raffigurazioni abbiamo due uomini che portano a spalla su
una pertica un solo grappolo, come un trofeo. Da tutti questi
riferimenti incrociati non è arbitrario dedurre che il vino fosse
un importante prodotto commerciale, scambiato in tutti i porti
del Mediterraneo.
31
Arriviamo allora nell’antica Grecia: se dalla Palestina i testi che ci parlano del vino
sono essenzialmente religiosi, nell’Antica Grecia sono soprattutto poetici. Tra il X e
l’VIII secolo a.C. si possono datare i testi di Omero e di Esiodo. Le pagine immortali,
scritte secondo tradizione dal mitico bardo, ci tramandano notizie dirette sul ruolo di
primo piano che il vino aveva nella vita sociale. Per la sua conformazione il territorio
greco non ha grandi pianure, ma strette e brevi vallate, prive di grandi estensioni di
colline e terreni coltivabili. Allora il vino, prodotto pregiato e raro, diventa ornamento
delle mense dei re.
Quando nel II libro dell’Iliade l’Autore, passando in rassegna il fior fiore delle mili-
zie schierate, mette in primo piano, tra i vanti principali delle città greche, la presenza
di vigneti: aprica vitifera Istiea; Epidauro, lieta di pampini.
Ma il vino non rimase in patria e arrivò fin sotto le mura di Troia nei lunghi anni del-
l’assedio, prima che la città divenisse “fumante”. Tra i premi ambiti, offerti ai com-
battenti, non mancava il prezioso nettare, che giungeva con “molte navi” da Lemno,
inviato da Euneo, che per gli Atridi, Agamennone e Menelao, ne aveva inviato
mille misure:
Della sera allestite indi le mense
per le tende, cibar le opime carni
di scannati giovenchi, e ristorarsi
del vino che recato avean di Lemno
molti navigli; e li spediva Euneo
d’Issipile figliolo e di Giasone.
Mille sestieri in amichevol dono
Euneo manda ad ambedue gli Atridi
(Iliade, VII, 467-471, traduzione di V. Monti).
E ancora l’epopea del vino si snoda pure lungo le nuotate e vogate di Ulisse che cerca
tenacemente di tornare a casa, in quel di Itaca. Ne fa uso Circe, per i suoi incantesimi:
Per loro formaggio, farina d’orzo e miele
nel vino di Pramno mischiò:
ma univa nel vaso droghe (Odissea, X, 234-235)
a pag. 30:
simone brentana,
Ebrezza di Noè
a pag. 31:
uno dei pithoi
(restaurato) rinvenuto a santorini,
durante gli scavi di thera,
dopo la terribile esplosione vulcanica
33
Nulla è più duro
d’una pietra
e nulla più molle dell’acqua.
Eppure la molle acqua
Staccati dal mondo. scava la dura pietra. La tua mente
AFORISMI Sul’ACQuA
34
I VIAGGI DE L’ETERNO ULISSE
il viAggio dell’ANiMA
Parole e musica dagli uniVersi inVisibili
All’iNsegNA del viAggio tRA i seNtieRi dell’ANiMA – iN coMpAgNiA dei sogNi, sApieNti MessAggeRi
del MoNdo iNteRioRe che MARie Noelle URech hA MAgistRAlMeNte iNAUgURAto – si è ApeRto il
coNvegNo “il Viaggio dell’anima. Parole e musica dagli uniVersi inVisibili” teNUtosi A MessiNA
lo scoRso NoveMbRe e oRgANizzAto dAll’AssociAzioNe anthurium rosa, lA cUi iNteNsA Attività
coNiUgA ARte e spiRitUAlità. l‘eveNto hA visto coMe pRotAgoNisti MARie Noelle URech,
ANNe givAUdAN, Nicolò boNgioRNo, gAbRiele policARdo e giovANNi ReNzo. i loRo iNteRveNti,
coiNvolgeNti e iNteRessANti, hANNo ANiMAto qUello che si è RivelAto UN AppUNtAMeNto UNico
iN siciliA e Nel sUd itAliA che pRosegUiRà Nel 2015 coN UN AppAssioNANte pRosiegUo.
di Mirella Restuccia
anthurium rosa ha proseguito quindi la sua quattro giorni con la proiezione del coin-
volgente film documentario di Nicolò bongiorno: “rol. un mondo dietro al mondo”,
di cui il pubblico ha apprezzato qualità tecniche e narrative di notevole spessore.
di grande intensità e valore poetico il “Viaggio musicale nello spazio e nel tempo”
di “atlas coelestis”, concerto per pianoforte e computer del maestro giovanni Renzo,
ispirato alla ricerca di galileo galilei, tra studio delle stelle e suggestioni cinemato-
grafiche, preludio dell’incontro conclusivo di domenica 16 con Anne givaudan, ga-
briele policardo e Marie Noelle Urech.
Forte l’emozione suscitata domenica pomeriggio dalla proiezione del cortometrag-
gio di gabriele policardo “dandelion (tarassaco)” con protagonista un eccellente
paolo Ferrari, tra senso della vita e libertà dell’essere, seguito dall’affascinante in-
tervento di Marie Noelle Urech su “i sogni: viaggi negli universi invisibili”. la con-
ferenza di Anne givaudan “come entrare nel nuovo mondo e nella quinta
dimensione con serenità?” ha poi catturato l’attenzione, prima della fervida tavola
rotonda con cui si è concluso il convegno.
Anne givaudan, autrice e coautrice di 19 libri tradotti in molti paesi, è conosciuta in
ambito internazionale per la pratica del viaggio fuori dal corpo, alla ricerca di uni-
versi sconosciuti; viaggio che la givaudan ha raccontato con semplicità e forza evo-
cativa, rispondendo a tutte le domande del pubblico e illustrando il suo percorso
spirituale.
«qualcosa sulla terra sta cambiando nel profondo, a livello spirituale e interiore. ci
sono le premesse per creare un mondo nuovo, basato su valori diversi, più autentici.
il nostro lavoro di ricerca è intimamente legato alla capacità di vedere la bellezza
che esiste in ognuno di noi», ha sottolineato Anne givaudan.
Un lavoro che Anthurium Rosa ha fatto proprio, in due anni di intensa attività co-
niugando arte e spiritualità, a favore della ricerca interiore. “pensiamo che sia l’unico
possibile mezzo quello che la ricerca spirituale offre e coglie oggi, quando tutto in-
torno – paradigma di una società occidentale ormai conclusa nelle sue impostazioni
e offerte – è ormai crollato”.
Non ci sono risposte alla richiesta del senso dell’esperienza terrena ma, come scrive
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corrado piancastelli ne il sorriso di giano, «il gioco delle parti è estremamente
semplice. se si crede o si vuole credere all’esistenza di uno spirito che si in-
carna per vivere in un corpo, bisogna vivere in funzione dei bisogni di questo
spirito. Non c’è nessuna alternativa o accomodamento. la scena è questa e
credere nello spirito, vivendo regole che dello spirito non sono, significa re-
citare una parte impropria e falsa. Non siete viventi per vivere un modello pas-
sivo di vita, ma per proporre una permanente attività di ricerca esistenziale
della vostra più autentica radice interiore».
A conclusione di quello che si è rivelato un appuntamento
unico in sicilia e nel sud d’italia, anthurium rosa ha
omaggiato tutti i relatori con uno dei pezzi più sug-
gestivi e famosi della tradizione di alto artigianato
siciliano: la “matrangela”. le Matrangele, sta-
tuine porta lumini raffiguranti la mitica figura
della “Madre degli angeli”, in un tempo non
troppo lontano si donavano alle giovani spose si-
ciliane e portavano nelle case prosperità, fecon-
dità, amore, abbondanza e felicità.
il 30 gennaio e 1° febbraio anthurium rosa
continuerà il suo viaggio dell’Anima con
Marie Noelle Urech e il suo secondo semina-
rio della trilogia dei sogni “esperienze spiri-
tuali nella dimensione dei sogni” che si terrà a
Messina, e il 13/14/15 febbraio 2015 con
l’attesa conferenza e seminario“gua-
rire l’anima per guarire il corpo”
del dott. claudio pagliara, me-
dico oncologo e olistico. n
Anthurium rosA
37
I VIAGGI DE L’ETERNO ULISSE
di Velia Iacovino
getti sono tanti e molti già in corso d’opera: si restaurano antichi palazzi, terrazze e
giardini segreti nel cuore antico della medina, si bonificano le belle spiagge troppo a
lungo lasciate al degrado, si progetta la costruzione di un altro porto e di un altro molo,
si lavora all’ampliamento delle strade, al potenziamento della rete ferroviaria, alla co-
struzione di grandiose strutture alberghiere e di complessi residenziali di lusso. Ma
questa città magica e assolata non è solo crogiolo di onde. qui si è mescolato il dna
di moltissimi popoli: fenici e cartaginesi, romani e vandali, arabi, portoghesi, inglesi
e francesi. E oggi come ieri è terra di frontiera al di fuori delle metafore, con tutto ciò
che questo comporta nel bene e nel male. Oggi come ieri è crocevia di traffici, di mer-
canti di uomini e di droghe, di conquistatori e di disperati alla ricerca di nuove patrie.
E oggi come ieri insegue il sogno di una nuova età dell’oro. come quella straordina-
ria che visse dopo le rivolte berbere degli anni Venti, quando le grandi potenze euro-
pee le imposero lo status di Amministrazione Internazionale, che le garantì neutralità
e un’enorme ricchezza, e che terminò nel 1956 con l’indipendenza del Marocco. In
quel periodo a Tangeri operavano oltre 80 banche, 5 mila società finanziarie e com-
merciali, scorrevano fiumi di champagne, si consumavano feste da Mille e una notte.
La città era meta di eccentrici tycoon e intellettuali, grandi scrittori e artisti straordi-
nari. Tutti smaniosi di pagare il loro tributo a quel raro e straordinario avamposto di
libertà e creatività, dove il ‘cielo è così strano e quasi solido’. fu paul bowles, com-
positore e poeta newyorchese, il primo ad arrivarci. Il primo di una intera generazione
di artisti americani a essere abbagliato dalla luce, dai colori e dagli odori acri di Tan-
geri. Vi giunse negli anni Trenta da parigi dietro suggerimento di Gertrude stein, la
più grande talent scout del Novecento. ci tornò nel 1947 da New York e non la lasciò
mai più. qui scrisse il romanzo che gli ha dato successo e che gli ha spalancato le
porte dell’empireo della “beat generation”, The sheltering sky (1949), portato molti
anni dopo sul grande schermo da bernardo bertolucci con il titolo di Il tè nel deserto.
qui studiò i suoni e la musica della gente del Rif. qui visse, in rue sidi bouknadel,
nella casbah, dove a ricordarlo c’è oggi una targa. E qui morì il 18 novembre del 1999
all’ospedale italiano. Lo seguiranno in tanti, ma nessuno si fermerà come lui a Tan-
39
A fianco
henri Matisse,
Paesaggio di Tangeri
visto da una finestra,
sotto,
Albert Marquet,
La cittadella di Tangeri,
1913
geri per tutta la vita. Da Truman capote al celebre fotografo cecil beaton, a Gore
Vidal. Da William burroughs – che nella stanza 9 dell’hotel El Muniria, che esiste tut-
tora in rue Magellan 1, scrisse Naked Lunch, “Il pasto Nudo’’ – a Jack Kerouac, ad
Allen Ginsberg, a peter Orlovsky. Da Gregory corso a brion Gysin a Michel portman
a Tennessee Williams a somerset Maugham, a Joseph Kessel, Jean Genet, saint-Ex-
upéry. Tutti, proprio tutti i più grandi di quel momento magico e irripetibile della crea-
tività e del talento. con loro Tangeri vivrà la sua stagione migliore e insieme ai suoi
caffè affacciati su soco chico (il piccolo suk), il central, il fuentes, il Tingis, entrerà
prepotentemente nella storia della letteratura del Novecento. E anche in quella del-
l’arte e del cinema. Il matrimonio dei mari, il mito, il Rif. Una grande e straordina-
ria energia si sprigiona dall’acqua, dalla terra e dalla catena di monti. È forse questo
che ha sempre attratto gli artisti. Non solo scrittori e poeti. Anche grandi cineasti, fo-
tografi e pittori. come Eugene Delacroix che nel 1832 rimase folgorato da questa
città incantata. così testimoniano gli appunti, gli schizzi e il suo album di acquerelli.
O come henri Matisse che, affascinato dall’esperienza di Delacroix, si recò a Tan-
geri nel 1912 per ritrovare nuovi colori e scoprire nuovi azzurri. scese al Grand hotel
Villa de france, un bellissimo complesso architettonico che dopo una lunga deca-
denza è stato restaurato e, nella stanza numero 35, che Matisse occupò durante il suo
soggiorno in città, è stato allestito un piccolo museo. per Tangeri sono passati l’im-
pressionista Edgar Degas anche lui sulle tracce di Delacroix, l’architetto della sa-
grada famiglia, Antoni Gaudì, il pittore irlandese contemporaneo francis bacon, e
tanti tanti altri. persino Alexandre Dumas padre, che vi si fermò per pochi giorni nel
1846 e ne rimase conquistato al punto da dedicarle un libretto, dal titolo Scalo a Tan-
geri. E Garibaldi, che ci arrivò al tempo del suo secondo esilio dopo la caduta della
Repubblica Romana e la morte di Anita. Nella “città gioiosa”, l’eroe dei due mondi
soggiornò per diversi mesi tra il 1849 e il 1850, in una elegante palazzina ottocente-
sca al 35 dell’attuale rue hassan Ibn Al-fahrt, dove scrisse le Memorie, che proprio
Dumas padre tradurrà in francese. E oggi? Il fermento culturale di Tangeri, rimasto
a lungo sotto traccia, sta per dare nuovi frutti. Il genius loci si è risvegliato ed è co-
minciata una nuova primavera. n
40
VITE STRAORDINARIE
grazia deledda
un bambino di sesso femminile …
«Ho vent’anni e sono bruna e un tantino ancHe … brutta, non tanto però come sembro
nell’orribile ritratto in prima pagina di“Fior di sardegna”», scriveva nel 1892 al provaglio
parlando di sé. di certo l’iconograFia non l’Ha aiutata. le FotograFie più Famose la
presentano con i capelli grigi, spesso dietro una scrivania con bamboline vestite in costume
sardo; oppure con il volto più giovane ma imbronciato e severo. veniva da una sardegna
diversa per cultura e lingua, scriveva storie di amore e di vendetta, con passioni a tinte
troppo Forti per una signorina per bene … di se stessa diceva: «molti mi credono una
creatura Fantastica, strana e aristocratica, altri invece mi prendono per una maestrina in
una scuola comunale di montagna. non sono nulla di tutto questo. sono semplicemente una
signorina qualunque piena di buon senso comune. io studio e sempre molto: aspiro alla
celebrità, non lo nascondo, e spero di riuscirvi». unica donna dei sei premi nobel per le
lettere italiane, grazia deledda è tra le dieci scrittrici in tutto il mondo cHe Hanno
ottenuto il prestigioso riconoscimento.
di Neria De Giovanni
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tutte le foto Cosima quasi Grazia, in quanto Cosima era realmente il secondo nome della
di questo articolo
sono immagini Deledda.
tratte dall’album In questo libro viene narrata la passione per la lettura e la scrittura che ac-
di famiglia compagnò la giovinetta fino al suo esordio letterario e il viaggio a Cagliari,
nell’autunno del 1899, città nella quale conobbe il futuro marito Palmiro
Madesani, funzionario ministeriale, che la sposò e la portò a vivere a Roma.
Purtroppo in Cosima si legge anche della diffidenza che circondò la pic-
cola scrittrice, della maldicenza da parte soprattutto dei parenti, ma pure
della incredibile forza con cui Grazia studiò l’italiano, lingua della recente
unità d’Italia, per potersi esprimere non in sardo, lingua usata in famiglia e
in paese.
Infatti Grazia Deledda voleva poter raccontare della sua gente, del popolo
sardo, a tutti i lettori d’Italia, e pertanto usò con convinzione la lingua
italiana come fece anche il grande poeta nuorese Sebastiano Satta a lei
contemporaneo.
Di Grazia Deledda ci restano centinaia di lettere che lei scrisse a editori, di-
rettori di giornali, uomini politici e persino a nobildonne, sempre presen-
tandosi e autopromuovendo la sua narrativa.
Il primo racconto esce nel 1888 e fin dal titolo, Sangue sardo, si colloca in
un ambito che crea molta curiosità ed attesa da parte del pubblico conti-
nentale che era soprattutto femminile, visto che Grazia Deledda pub-
blicò inizialmente nelle riviste cosiddette “per signorine”.
Quando la Deledda si recò a Cagliari aveva 29 anni, era ancora nubile
ma già discretamente famosa: aveva in parte raggiunto il suo sogno
che, a differenza delle altre donne, non era quello di maritarsi bensì
quello di scrivere e pubblicare. Maria Manca, direttrice della ri-
vista cagliaritana La donna sarda, la accolse quasi fosse una
celebrità.
Come racconta nelle ultime pagine di Cosima, fu in quella
occasione che conobbe il futuro marito, Palmiro Madesani:
era un funzionario del Ministero delle finanze, uomo molto
brillante, bello e piacente, e la Deledda ne fu subito attratta.
Amava suonare il pianoforte e si intendeva di musica tanto da
aver scritto anche saggi musicali. Durante un gioco di società
fu lei che, in qualche modo, gli fece la dichiarazione. Lui le pro-
pose il matrimonio, ma lei accettò soltanto dopo aver avuto
l’assicurazione che l’avrebbe portata a vivere subito a Roma.
42
L’11 gennaio 1900 Grazia Deledda coronava il suo sogno: considerata zitella,
non bella, e con una cattiva fama in quanto donna “pubblica” perché scrittrice
pubblicata, sposava un bell’uomo che la portava via dall’amata-odiata Sar-
degna, verso Roma e le speranze di gloria.
Palmiro aveva sei anni più di Grazia e morì dieci anni dopo di lei. La loro
vita fu allietata dalla nascita di due figli, Sardus e Franz.
A Roma non fu mai un’isolata anche se il suo modo di essere “sarda” le
conferiva dignità e riservatezza poco usuale per i costumi mondano-letterari
della Capitale di inizio secolo.
Veniva da una Sardegna diversa per cultura e lingua dove, a Nuoro, ini-
zialmente, pesò su di lei il solito pregiudizio nei confronti delle donne scrit-
trici.
Nuoro non l’ha mai amata, la gente sarda non poteva perdonarle di vivere
al di fuori dei canoni della divisione dei ruoli rigorosamente sessista della
cultura barbaricina: Grazia non si dedicava ai lavori donneschi, non ambiva
al matrimonio e poi scriveva storie di amore e di vendetta, con passioni a
tinte troppo forti per una signorina per bene…
Parte per Roma con sollievo, certa di andare verso il suo destino di gloria
letteraria, portandosi la Sardegna nel cuore, ma certa anche che era il mi-
stero dell’animo umano ad interessare la sua penna.
Le fotografie più famose la presentano sempre con i capelli grigi, spesso
dietro una scrivania con bamboline vestite in costume sardo; oppure con il
volto più giovane ma imbronciato e severo. Certo
l’iconografia non l’ha aiutata.
Ma lei stessa si era presentata nelle numerosissime
lettere che andava scrivendo a tutti gli editori, gior-
nalisti, uomini politici, regine e contesse, insomma
al mondo che contava, per proporre la propria opera,
per autopromuoversi: «Le farò la mia silhouette in
due o tre righe. Ho vent’anni e sono bruna e un tan-
tino anche…brutta, non tanto però come sembro nel-
l’orribile ritratto in prima pagina di “Fior di
Sardegna”», scriveva al Provaglio nel 1892; ed al fa-
moso editore Emilio Treves: «Ad ogni modo presen-
tandomi a lei, con molta fiducia, le dirò che sono una
fanciulla, posso dire un’artista sarda, piena di molta
buona volontà, e di molta fede e coraggio».
Così la Deledda accosta sempre la descrizione della
sua fisicità al progetto culturale al quale si sentiva
destinata. In numerose lettere mette sopratutto in evi-
denza il suo sguardo e gli occhi, che altrove chia-
merà: dalla “doppia pupilla”, ricordando un famoso
bronzetto nuragico ed anche la fascinazione femmi-
nile che passa attraverso lo sguardo delle protagoni-
ste dei suoi romanzi. Sebbene proprio le donne, le
zie, fossero tra le prime a criticarla negativamente,
non v’è dubbio che il personaggio femminile è sem-
pre centrale nei romanzi di Grazia Deledda.
Non a caso nel 1916 Eleonora Duse imporrà alla pro-
duzione il romanzo deleddiano “Cenere” (1904) per
interpretare l’unico film col personaggio drammatico
e stupendo di Olì, la madre che sceglie di morire per
non disonorare il figlio.
Anche la vita e l’opera della Deledda testimoniano
una grande forza di volontà, una visione chiara e ine-
43
quivocabile del suo destino di donna, segnato dalla scrittura.
Grazia Deledda, prima voce registrata dalla radio nazionale dopo il premio
Nobel, così dichiarò: «Sono nata in Sardegna. La mia famiglia era compo-
sta di gente savia, ma anche di violenti e di artisti primitivi, aveva autorità
e aveva anche biblioteca. Ma quando cominciai a scrivere, a tredici anni,
fui contrariata dai miei».
«Molti mi credono una creatura fantastica, strana e aristocratica, altri in-
vece mi prendono per una maestrina in una scuola comunale di montagna.
Non sono nulla di tutto questo. Sono semplicemente una signorina qua-
lunque piena di buon senso comune, una piccola signorina bruna, con begli
occhi neri, così piccola e sottile e lieta da sembrare una bambina. Appar-
tengo ad una famiglia di quei principali sardi che io metto spesso nei miei
racconti, gente bizzarra, tra il patriarcale e il selvaggio che non appartiene
né alla borghesia né al popolo né alla nobiltà…Io studio e sempre molto:
aspiro alla celebrità, non lo nascondo, e spero di riuscirvi». Così Grazia
Deledda a 23 anni scriveva a Giovanni De Nava, un suo estimatore: un bel-
l’esempio di lungimiranza nel credere nel proprio destino.
Piccola (era alta m.1,54 e calzava il n.32) e non bella, senza clamori o scan-
dali, grazie al suo coraggio e ad una ferrea volontà, seppe raggiungere lo
scopo che si era prefissa, la meta intravista sognando chiusa tra i monti
della Barbagia. Unica donna dei sei Premi Nobel per le lettere italiane, Gra-
zia Deledda è tra le dieci scrittrici in tutto il mondo che hanno ottenuto il
prestigioso riconoscimento.
Fin dal suo esordio Grazia Deledda catturò la simpatia e l’interesse dei let-
tori. All’inizio erano soprattutto lettrici, poiché la Deledda, come già detto,
pubblicava sulle riviste “per signorine”, dirette dal famoso Epaminonda
Provaglio che però, caso opposto alla consuetudine, si vide, lui-maschio,
costretto a firmare la rivista con lo pseudonimo femminile di Contessa Elda
Di Montedoro. Grazia Deledda si rivolge a lui epistolarmente con molta
sincerità e gli confida le sue speranze di gloria convinta di scrivere ad una
donna. Quando viene a sapere la verità, l’amicizia tra i due è ormai
consolidata.
Alla Contessa Elda è dedicato il primo romanzo di successo
della Deledda, “Fior di Sardegna” del 1891. Presentan-
dosi al Provaglio la Deledda scriveva: «Sono una mode-
stissima signorina di provincia che ha molta volontà e
coraggio in arte, ma che nella sua vita intima, solitaria e
silenziosa, è la più timida e mite ragazza del mondo»…
Mentre il pubblico era sempre più incuriosito dal per-
sonaggio di questa giovane scrittrice che viveva in
un’isola misteriosa – e, si pensava, selvaggia, come la
Sardegna –, i critici militanti e soprattutto accademici,
erano molto diffidenti perché male interpretavano, a li-
vello stilistico, quello che invece era il riemergere della
struttura profonda della lingua materna sarda, travestita
con l’italiano letterario che la Deledda imparò quasi fosse
una lingua straniera.
I personaggi femminili della sua narrativa, sardi e continen-
tali, da Marianna Sirca a Regina, da Annalena Bilsini a Maria
Concezione, sono anche proiezioni letterarie di una grande scrit-
trice che, fiera del suo essere sarda, allargò la propria coscienza di
donna a tutta l’umanità, come ebbe a scrivere dopo il Premio Nobel:
«Il destino mi ha fatto nascere nel cuore della Sardegna. Ma anche se
fossi nata a Roma o a Stoccolma credo che non avrei cambiato natura
e sarei sempre stata quella che sono: un’anima che si appassiona ai
problemi della vita». n
44
PERCORSI DI GUARIGIONE
IL QIGONG
l’arte di coltivare l’energia vitale
45
sidereremo le radici formate dall’insieme delle teorie di base, tra cui: “Teoria dello
Yin e dello Yang”, dei “5 elementi”, dei “6 stadi”, degli “8 principi”, dei “4 livelli”,
dei “3 fuochi” e via dicendo. Ai rami principali, nutriti dalle radici comuni, corri-
sponderanno: l’agopuntura, la farmacopea, il massaggio ed il qigong che, nella tra-
dizione medica cinese, è considerato un ramo molto importante. L’insieme delle
pratiche racchiuse nel qigong nulla possono fare se non accompagnate da un impe-
gno personale, cioè, se non supportate da un reale desiderio di cambiamento, in grado
di pervadere l’individuo fin nei profondi recessi dell’animo e della mente, portan-
dolo a modificare volontariamente lo stile di vita attraverso la via del qigong. Ritor-
nando al nostro albero, il ramo rappresentato dal qigong presenta delle ulteriori
ramificazioni, ossia gli elementi fondamentali del qigong: la pratica, la terapia a di-
stanza, il massaggio energetico, la terapia del punto energetico e la terapia dell’ago
invisibile.
In Cina esiste un proverbio, ancora oggi molto diffuso, che recita così: “La persona
malata va prima di tutto dal medico, se il medico non riesce ad aiutarla, la persona si
rivolge al Budda, se il Budda non riesce ad aiutarla, allora la persona si rivolge al Qi-
gong.” Anche da noi in realtà esiste un detto simile ma forse più diretto: “Aiutati che
Dio ti aiuta”.
46
dica “lavoro”, quello di destra, invece, significa “forza/potenza”. Per questo il reale si-
gnificato dell’intero carattere è un “lavoro meritorio”, fatto con impegno e costanza. Il
nome Qigong, è quindi un termine molto significativo, ma, indicando delle tecniche di
pratica, anche di molto più ampio significato. Indica infatti tutto quello che può essere
fatto per operare sul Qi: dal lavoro fisico sul corpo, muscoli, giunture, organi interni, alla
regolazione del respiro, della mente e del cuore; dal lavoro fatto su se stessi, interior-
mente, a quello fatto in relazione al mondo esterno e agli individui intorno a noi. Per
questo in Cina si parla di Qigong, anche quando ci si rivolge a tecniche di cura che qui
chiamiamo massaggi, shiatsu, riflessologia, pranoterapia, cristalloterapia. Il Qigong è
stato conosciuto, prima degli anni quaranta, con molti nomi diversi attraverso la storia
cinese. In tempi antichi era chiamato “Tu gu na xin” (lett. Espellere il vecchio, assor-
bire il nuovo), “Xing qi” (lett. Muovere il Qi), “Yang sheng” (lett. Nutrire le forze vi-
tali), “Nei gong” (lett. Lavoro interiore). Ma la denominazione più comune anche in
passato era “Dao yin” (lett. Guidare e condurre), che era una contrazione di un’espres-
sione più lunga e complessa: “Dao qi ling he, yin ti ling rou” che letteralmente signi-
fica “Guidare il Qi porta all’armonia, condurre il corpo porta alla flessibilità”. C’erano
poi tutti i nomi specifici delle tecniche di pratica, come per esempio, tra i più noti an-
cora oggi, “Wu qin xi” (Il gioco dei 5 animali), i “Ba duan jin” (Gli 8 broccati), “Liu zi
jue” (I 6 suoni).
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ziali), che quindi agiscono su quello che potremo chiamare energia più
grossolana.
48
Sogni
un PortalE vErSo l’EtErnità
di Marie Noelle Urech
www.eternoulisse.it
PERCoRSI DI GUARIGIonE
52
riguarda anche gli aspetti somatici, sessuali, culturali e anche le malattie. Ven-
gono riportati casi di pazienti che presentano il diabete quando assumono una
certa personalità, e hanno la glicemia perfettamente normale quando assumono
una personalità diversa. Sono documentati anche casi in cui l’allergia appariva o
scompariva a seconda del tipo di personalità assunta dal soggetto. L’aspetto estre-
mamente interessante di questi pazienti è la dimostrazione ulteriore che un certo
modo di pensare cambia la biologia del nostro corpo. “Pensieri diversi portano a
personalità diverse e ad una biologia diversa. (…). C’è un dialogo continuo tra
il nostro cervello e tutto il resto del corpo (…)”. Grazie al notevole sviluppo del-
l’epigenetica sappiamo che l’essere umano, tramite il pensiero, ha la possibilità di
liberarsi sia dalle catene della biologia che dalle catene dell’ambiente. Queste ve-
rità vengono da molto lontano e lo capiamo se leggiamo, alla luce di quanto finora
detto, il Vangelo secondo Giovanni.
1
In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2
Egli era in principio presso Dio:
3
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
C’è un’altra verità scientifica contenuta nella bibbia: “Ed il Verbo si fece carne”.
ormai è ampiamente dimostrato che il pensiero diventa materia. Lo stesso Einstein
ha nel 1905 enunciato una nuova legge che evidenzia che l’energia si trasforma
in materia e viceversa, secondo la nota formula matematica e=mc2. fino ad allora
tutti pensavano che la materia e l’energia fossero due realtà fisiche molto diverse,
completamente separate e senza punti di contatto. In realtà sono come due facce
della stessa medaglia. L’energia (il pensiero) diventa materia e la materia diventa
energia (pensiero). I pensieri negativi diventano materia negativa, diventano ve-
leni interni … una forma di autoinquinamento. I pensieri positivi diventano po-
tenti messaggi corroboranti e veri e propri farmaci per l’autoguarigione. I pensieri
diventano emozioni, sentimenti, stati d’animo e, quindi, attraverso l’ipotalamo, il
sistema neuro-endocrino, ed il sistema nervoso neurovegetativo diventano mes-
saggi biochimici materiali che, come un interruttore, accendono e spengono al-
cuni geni del DnA di gruppi cellulari, organi ed apparati diversi, in relazione ai
tipi diversi di pensiero. Attraverso i nuovi sistemi di imaging sappiamo che i pen-
sieri modificano l’anatomia del nostro cervello, modificano anche il nostro corpo
e modificano perfino il nostro ambiente. In fisica quantistica, infatti, non si parla
più di osservatori degli eventi che si studiano, ma di partecipatori. I pensieri at-
traverso una serie di reazioni a catena creano dei campi elettromagnetici che si
possono misurare, con gli attuali strumenti di misura, ad oltre 3 metri di distanza.
Ciascun fisico sa che i campi elettromagnetici si riducono in modo esponenziale
con la distanza, ma che diventano zero solo all’infinito. Sì, ho detto bene, diven-
tano zero solo all’infinito. Tutto questo ci fa capire che non conosciamo ancora i
veri poteri ed i veri limiti che si nascondono dentro ciascuno di noi. Si aprono ve-
ramente scenari completamente nuovi ed incredibili. Per modificare a nostro pia-
cimento sia la qualità del nostro mondo interno che quella del nostro mondo
esterno, per quanto già detto, bisogna necessariamente partire dalla consapevo-
lezza del grande potere dei nostri pensieri sia sul nostro mondo interno che sul
nostro mondo esterno. Per modificare la qualità e la durata della vita bisogna
pertanto focalizzarsi sulla qualità dei propri pensieri. Si va sempre più sviluppando
un nuovo sapere medico che viaggia in parallelo con una nuova concezione del-
l’uomo che deriva, a sua volta, dalla portata rivoluzionaria dei dati provenienti
dalla ricerca nei vari settori dello scibile umano. Pensieri, sentimenti, emozioni,
stati d’animo positivi diventano messaggi biochimici ed elettrochimici positivi,
53
corroboranti ed energetici per ogni nostra singola cellula. Pensieri, sentimenti,
emozioni, stati d’animo negativi, se persistono oltre un certo tempo, si trasfor-
mano in messaggi negativi che ostacolano il buon funzionamento di ogni cellula
del nostro corpo. “La persona più sana è quella che ha i pensieri più sani”. Sem-
bra strano ma è proprio così: bisogna fare attenzione a ciò che si pensa, perché
i nostri pensieri hanno conseguenze positive o negative anche sulla nostra sa-
lute. Si può fare prevenzione, cura e riabilitazione di qualsiasi malattia interve-
nendo sul flusso dei pensieri. Spesso per far guarire un individuo bisogna curare
i suoi valori errati, le sue convinzioni sbagliate, la sua noia, i suoi obiettivi fiac-
chi o negativi, il suo modo di essere e di vivere; in sintesi, per farlo guarire, si
deve curare il suo spirito. ogni cambiamento che avviene nella mente avviene
anche nel corpo e, inevitabilmente, in modo visibile od invisibile, avviene anche
nel nostro ambiente di vita e di lavoro. La vita di ciascuno di noi non è altro che
il risultato dei propri pensieri. I pensieri più sani sono quelli a cui imputare gli
stati d’animo più produttivi. basta cambiare i propri pensieri e le proprie con-
vinzioni per cambiare la propria vita. Il vero potere è dentro … Le nostre con-
vinzioni diventano la nostra realtà. Abbiamo già visto, con l’effetto placebo, che
anche i finti farmaci, grazie alle nostre convinzioni con le conseguenti aspetta-
tive, emozioni, sentimenti e stati d’animo, possono risolvere importanti problemi
sanitari. Qualcuno ha giustamente affermato che “non sempre i farmaci sono ne-
cessari, ma lo è invariabilmente la fede nella guarigione”. Se siamo convinti di
farcela, ce la faremo, se viceversa siamo convinti che non ce la faremo, non ce
la faremo. Si tratta, come abbiamo già visto, delle profezie che si auto-avverano,
perché inconsciamente, tramite le emozioni ed i sentimenti consequenziali, ten-
diamo a comportarci in modo da fare avverare le nostre profonde convinzioni. I
nostri pensieri e, soprattutto, le nostre convinzioni, sono come una calamita che
attrae ciò che li conferma. In particolare creano le emozioni, i sentimenti e gli
stati d’animo coerenti che rendono possibile ciò in cui si crede. “Ciascuno rac-
coglie sempre ciò che semina”. Il buon umore è come una linfa vitale che for-
nisce energia benefica a tutte le cellule del nostro corpo, così come il malumore
è come un veleno che si diffonde nell’intero organismo e colpisce ogni nostro or-
gano ed ogni nostra cellula. ogni parola che riesce a modificare il nostro umore,
riesce anche a influire su ogni cellula del nostro corpo. Esistono parole che pos-
sono far ammalare e, in alcuni casi, possono anche uccidere. Esistono, però,
anche parole che possono guarire o dare vita, ed aiutare a percorrere la via della
guarigione. “Le parole modificando il nostro cervello, modificano anche ogni
parte del nostro corpo. A volte questo collegamento è diretto ed evidente, a
volte è indiretto ed invisibile, ma comunque è sempre presente”. Con
la Pet (tomografia ad emissione di positroni) si è visto che l’im-
magine del nostro cervello è diversa per pensieri diversi. ogni
pensiero diverso è associato ad emozioni e sentimenti di-
versi, e questi, con una reazione a cascata, determinano un
cambiamento simultaneo in ogni cellula del nostro corpo,
grazie ai collegamenti già visti con il nostro cervello.
niente avviene dentro di noi senza coinvolgere il tutto, e,
quindi, senza ripercuotersi su ogni cellula del nostro corpo.
Possiamo nascondere agli altri, e, a volte, anche a noi
stessi, la nostra noia, la nostra preoccupazione, la nostra de-
pressione, la nostra rabbia, la nostra invidia, ma non potremo
mai nasconderle ad ogni singola cellula del nostro corpo. “Il
nostro sistema immunitario conosce tutti i nostri segreti ed i no-
stri dispiaceri, molte volte perfino più di noi stessi”. ogni organo,
ogni cellula ed ogni punto del nostro corpo sa che esiste quello spe-
cifico pensiero con quella specifica emozione e se ne ricorda. Una
tachicardia, un’extrasistole, una colite spastica, una cefalea, un’emi-
crania, un mal di schiena, un’ipertensione arteriosa etc. possono essere
54
le tracce di pensieri, di emozioni, di stati d’animo negativi che non siamo stati ca-
paci di elaborare, di prevenire o di usare in modo produttivo. Le parole, oltre a cam-
biare il nostro cervello ed il nostro ambiente, cambiano il nostro corpo e ne lasciano
traccia.
Concludendo
“La persona più sana è quella che ha i pensieri più sani”. I pensieri sono la vera
fonte della malattia o della guarigione. La realtà che viviamo è lo specchio dei no-
stri pensieri e delle nostre convinzioni. Uno specchio di ciò che alberga nel nostro
cuore e nel nostro cervello. Solo modificando pensieri e convinzioni possiamo mo-
dificare profondamente la realtà e, quindi, la qualità della nostra vita. Se deside-
riamo cambiare veramente la nostra vita e dare un contributo per un mondo migliore
dobbiamo iniziare da noi stessi, e, in particolare, dalla consapevolezza che dentro
di noi esiste un potere straordinario: i nostri pensieri. I nostri pensieri rappresen-
tano, infatti, la vera fonte della nostra prigione o della nostra liberazione. Esistono
stati d’animo potenzianti ed esistono stati d’animo paralizzanti o che avvelenano le
nostre capacità. Il nostro corpo assorbe e metabolizza tutto ciò che vediamo, ascol-
tiamo, tocchiamo, gustiamo, odoriamo ed avvertiamo, e di conseguenza si modi-
fica il tutto grazie al collegamento con il nostro cervello. C’è chi giustamente ha
detto che tutto è cibo: i colori, i profumi, i suoni, l’amore, l’affetto che si respira etc.
L’ambiente penetra dentro di noi non solo con le bevande, con i cibi e con l’aria, ma
anche con i suoni, i colori, i profumi, gli affetti e diventa parte di noi. ogni indivi-
duo è nato per dare e ricevere gioia; se non si è in uno stato di gioia e se non si rie-
sce a diffondere benessere vuol dire che si ha bisogno di un percorso per guarire.
ogni individuo ha il diritto alla salute e alla gioia, ma ha anche il dovere d’impe-
gnarsi per imparare cosa deve fare per il raggiungimento di tale obiettivo. La salute
e la gioia sono il prelibato frutto dello sviluppo delle proprie capacità e potenzialità.
Dentro ciascun essere umano c’è un potere superiore a qualsiasi farmaco. Esiste
dentro ogni essere umano un potere superiore a quello scoperto dai fisici all’interno
dell’atomo, esiste una “scintilla divina” che rende possibile anche ciò che appare im-
possibile. Esiste una stretta dipendenza tra la nostra mente ed il nostro corpo: i pen-
sieri, le emozioni, i sentimenti, gli stati d’animo, le parole hanno un ruolo strategico
nell’insorgenza e nell’evoluzione di qualsiasi malattia. Perché alcune persone si am-
malano e altre no? E perché alcune, pur con malattie estremamente gravi, guari-
scono, mentre altre, pur con malattie molto meno gravi, muoiono in breve tempo? Studio di
La salute è sicuramente nelle mani di ciascuno di noi ed è il frutto di un’arte che si Leonardo da Vinci
può e che si deve apprendere, che si basa sull’insegnamento di un’altra arte:
l’arte di vivere. Molte volte per guarire, anche da gravi malattie, bi-
sogna curare lo spirito malato, la noia, gli stati d’animo negativi,
la solitudine, la scarsa motivazione a vivere, i valori errati, le
opinioni sbagliate, gli obiettivi fiacchi, errati e patogeni, la
mancanza d’amore, le cattive relazioni sociali e l’ambiente di
vita e di lavoro inquinati. “La vita non nega nulla, chiede solo
un prezzo da pagare, in termini di impegno e di sacrificio,
proporzionale alle difficoltà dell’obiettivo stesso”. Più luce e
conoscenze avremo e più si ridurranno gli effetti del caso e
della sfortuna. ogni malattia ha sempre delle cause ed è sem-
pre la conseguenza di errori, anche se a volte, non conoscendo
le cause, pensiamo sia dovuta al caso. La malattia è quindi la
naturale conseguenza di convinzioni, di pensieri, di emozioni, di
sentimenti, di modi di essere e di vivere errati. La battaglia de-
cisiva per la nostra salute si combatte nella nostra mente e nel
nostro cuore, ed è costituita dalla nostra capacità di coltivare i
giusti pensieri, le giuste convinzioni, le emozioni positive, i
sentimenti produttivi, gli obiettivi salubri ed appassionanti e
i valori coerenti. In sintesi, a monte del nostro benessere o
55
S. Pietro guarisce lo storpio, (part.), arazzo laurentano del XVII sec.
noTA bIbLIoGRAfICA
CLAUDIo PAGLIARA, La via della guarigione. Curare la mente per curare il corpo, curare l’ambiente per curare
l’uomo, curare lo spirito per curare il mondo. Self Publishing Pagliara Claudio
Il libro può essere reperito on-line.
www.amazon.it
oppure
www.macrolibrarsi.it
56
percorsi di guarigione
“L’uomo non si ammaLa soLtanto perché è predisposto o perché vive gLi stress
deL suo ambiente, oppure perché iL suo stiLe di vita mina La sua saLute, ma perché
ha perso iL proprio centro e La sua vita è priva di significato o di uno scopo“.
La modernità deLLa visione di iLdegarda di bingen non ci deve sorprendere.
in un’epoca tecnoLogicamente avanzata come La nostra, in cui ci iLLudiamo di
fare scoperte, di inventare e di creare cose nuove, La Luce deLLa conoscenza
rimane una costante, un fiLo conduttore. in reaLtà non facciamo aLtro
che ri-scoprire e ri-eLaborare conoscenze eterne.
60
LA CHARTA BORGIANA
E L’ILLUMINISMO A ROMA
La Charta Borgiana e l’Illuminismo a Roma, Edizioni Ludica, 2015. Il testo in
e-book (a cura di R. Langella, con un saggio di M. Capasso e lettere inedite di N.I.
Schow) sarà offerto in omaggio agli abbonati alla rivista Eterno Ulisse: un motivo
in più per abbonarsi subito .
“Un arruffato scherzo del destino”: così è stata definita la complessa vicenda della
Charta Borgiana, il primo papiro greco d’Egitto, portato in Italia, donato al cardinale
Stefano Borgia, tradotto e pubblicato da un Danese a Roma e oggi conservato al
Museo Archeologico di Napoli. Un aspetto poco conosciuto della grande tradizione
culturale italiana, che mostra il grande spirito di apertura e collaborazione tra Nord
e Sud, Cattolici e Protestanti, filologi laici e cardinali di Santa Romana Chiesa, nel
Secolo dei Lumi, che può sembrare impensabile. La vicenda, ricostruita scientifi-
camente con documenti inediti, risulta però appassionante come un giallo storico.
L’insolita avventura della Conoscenza, che offre sempre scenari imprevedibili e
curiosi, è offerta in e-book omaggio agli abbonati 2015 de L’Eterno Ulisse, grazie
alla collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Borgiani.
per abbonarti:
Vai sul sito: http://www.eternoulisse.it/p/abbonamento/
fEnomEnologIa dEll’InIzIazIonE
E SOCIETÀ INIZIATICHE
ChE CoS’è l’InIzIazIonE E pErChé un IndIVIduo SEntE la nECESSItà dI EntrarE a far
partE dI una SoCIEtà InIzIatICa? ChE CoSa lo SpIngE ad affrontarE una dImEnSIonE
ChE lo allontana dal Suo abItualE QuotIdIano? In ChE CoSa CambIa la Sua VIta dopo
ESSErE Stato “InIzIato”? fInChé l’InIzIazIonE, VISta da profanI, VIEnE analIzzata In
ChIaVE antropologICa Va tutto bEnE, ma SE proVIamo ad affrontarE QuESto tEma da
altrE angolazIonI SI CorrE Il rISChIo dI rImanErE InVISChIatI nEI tortuoSI SEntIErI
dEll’IrrazIonalE, doVE SI annIdano Cultura dEll’InCultura, fantaSIoSE VISIonI E
IngannI dI ognI gEnErE. EmblEmatICa In tal SEnSo è una dEllE pIù notE SoCIEtà InI-
zIatIChE, la maSSonErIa, Sulla QualE tutto SI può dIrE trannE ChE Sul Suo prE-
Sunto opErato VI SIa SErEnItà dI attEggIamEnto. proVIamo dunQuE a farE un Salto
IndIEtro E a ChIarIrE fondamEntalmEntE CoSa ImplICa un rItualE dI InIzIazIonE E
CoSa Comporta l’ESSErE InIzIatI.
Diploma di Maestro rilasciato dalla Loggia “Universo” all’Oriente di Roma (1882), archivio G.O.I.
62
conda nascita”». In tutte le civiltà l’iniziazione implica una “morte”, una trasfor-
mazione, un passaggio dalla condizione profana2 a quella finalizzata alla ricerca del
sacro, che conduce a una “rinascita” psichica e spirituale. oggi, invece, col termine
“esoterismo”, o “esoterico”, purtroppo usato sempre più a sproposito, si suole indi-
care il mondo dell’occulto, dei fattucchieri e dei ciarlatani. prima di inoltrarci nel
senso profondo che l’iniziazione di per sé comporta, vogliamo soffermarci breve-
mente su un tema che su queste pagine è spesso presente proprio perché è una delle
espressioni più note della cosidetta scelta iniziatica: la massoneria. perché dedi-
chiamo alla massoneria uno spazio fisso in quasi ogni numero de L’Eterno Ulisse?
Questa è la domanda che ci hanno rivolto espressamente alcuni lettori ai quali, evi-
dentemente, sono sfuggiti i primi numeri della nostra rivista in cui è stato più volte
ribadito che avremmo dedicato un’intera serialità alla “vera” storia della massone-
ria per due motivazioni: la prima riguarda lo stesso progetto editoriale che mira ad
esplorare i “grandi temi dell’avventura umana”, scardinandone, laddove fosse ne-
cessario, i pregiudizi, gli errori, le dimenticanze, o i vuoti voluti; la seconda moti-
vazione è connessa ai grandi interrogativi umani in cui si imbatte, prima o poi, ogni
autentico ricercatore/ricercatrice a cui si rivolge in prevalenza l’Eterno ulisse: Chi
siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? le risposte a queste “eterne” domande
dell’anima sono conservate, con certezza, in quelle affascinanti terre della memoria
– custodite dal simbolismo, dal mito, dalla leggenda – dove ancora risiedono le più
profonde radici dell’essere umano e i segreti della sua controversa origine. tra i sim-
bolici “guardiani” di certe verità considerate di “ordine spirituale” vi sono le reli-
gioni e le scuole iniziatiche; queste ultime, a rigor di storia, sono ancora più antiche
delle prime, perché si rifanno ai primi passi della ricerca umana, quella nata dal pri-
mitivo rapporto magico e superstizioso con la natura, confluita poi in una più razio-
nale e articolata relazione col sacro. dallo sciamano al maestro, alla scuola iniziatica:
le tappe sono chiare, ed è proprio nella ricostruzione di queste fasi evolutive
– al confine tra storia, filosofia e metafisica – che si inserisce la mas-
soneria. In questo contesto iniziatico sembrano confluire, infatti,
miti, leggende, riti e simboli di tutti i tempi e di tutti gli ordini
Iniziatici sia occidentali (ad esempio le Scuole misteriche, i pi-
tagorici, i templari, i rosacroce) che orientali (a partire dai
culti misterici della grande madre Cibele con attis dall’asia
minore, quelli di Serapide, Iside ed osiride della mitologia
egizia, e quelli di mitra dalla persia che permearono la facies
religiosa della cultura romana imperiale, che vide il prolife-
rare di templi, isei e mitrei in tutto il mondo allora cono-
sciuto, per approdare al tantra, allo Yoga, ecc.). Secondo la
tradizione, infatti, la massoneria è l’equivalente di un
grande recipiente che custodisce un patrimonio universale
che, al di là delle sterili polemiche, non si può disconoscere,
e che ha ancora molto da insegnare all’uomo moderno a patto
che i massoni, quelli autentici, sappiano tuttora trasmettere l’an-
tica tradizione3 dei padri, e che l’uomo contemporaneo sia in grado
di recepirne il messaggio. per tutti i nuovi lettori, dunque, abbiamo
scelto di tornare sull’argomento partendo proprio dall’iniziazione; prima
però facciamo ancora un sintetico focus sulla Massoneria: tutto si può dire
tranne che su questo argomento vi sia serenità di atteggiamento. Quel che non si co-
nosce o ci sfugge appare sempre misterioso e incute paura. del resto, sui libri di
scuola certamente non si parla di Massoneria e di Società Iniziatiche e, al di là della Rito di iniziazione
cultura corrente, che spesso diviene cultura dell’incultura, le uniche nozioni che eleusina
giungono alla massa provengono dai comuni canali d’informazione: carta stampata,
internet ed emittenti radio-televisive, che sicuramente non contribuiscono a fare chia-
rezza. abbiamo provato a fare recentemente un piccolo sondaggio dal quale è emerso
che per i più la Massoneria è un’associazione pericolosa, alla stregua della mafia e
della camorra; per altri è un club d’élite al pari dei lyons o dei rotary e, per altri an-
cora, uno strano gruppo di esaltati che si dedica a pratiche magiche e stregoneria; al-
cuni infine intravedono in essa una copertura dei Servizi Segreti. pochi coloro che
hanno ammesso di non saperne abbastanza o che si sono limitati a un “non so”. Il ri-
sultato di questo sondaggio ci ha indotti all’amara constatazione che in Italia sem-
63
pre più vale il detto cinese: «una persona dice una cosa falsa e cinquanta la ripetono come
vera». la nostra tuttavia non vuole essere una difesa ad oltranza né dei massoni né della
Massoneria, come qualcuno ha insinuato, volendo a tutti i costi intravedere occulti soda-
lizi e misteriose connivenze. per provare a fare un po’ di chiarezza in più cerchiamo di ca-
pire innanzitutto perché la massoneria si definisce una Società Iniziatica; ma ancor prima
è bene forse chiarire che cos’è una Società Iniziatica e come, quando e perché un indivi-
duo sente il bisogno di farne parte.
per dare un senso al rito di iniziazione e al suo intrinseco significato bisogna ricomporre
il mosaico che ci conduce all’arcaico passato dell’umanità, quel passato al quale tutti i
miti d’origine fanno risalire un fatidico incidente di percorso lungo la fase della sua evo-
luzione: una sorta di “errore”, di “caduta” o di “perdita” dell’Eden, del paradiso terrestre
o dell’Età dell’oro… molti studiosi e ricercatori concordano comunque sulla tesi che in-
dividua, in questo evento primordiale, l’inizio di un processo abnorme dell’evoluzione
umana cui secondo alcuni manca un anello, quel famoso “anello mancante” sul quale an-
cora oggi si interrogano tanti ricercatori. C’è chi parla di un’accelerazione evolutiva do-
vuta ad un’intrusione – un quid che induce l’essere umano a passare da una fase animale
(orizzontale) ad una improvvisa verticalizzazione anche della sua postura. Questa la tesi
portata avanti anche in 2001: Odissea nello spazio, un film di Stanley Kubrick del 1968
basato su un soggetto di arthur Clarke, nel quale un monolite artificiale è responsabile di
una sorta di accelerazione nella evoluzione della specie. C’è poi chi azzarda l’ipotesi di un
errore genetico. fantascienza? Certo che fantascienza sembra anche la tesi “intraletta” nei
libri di Enoch, in gilgamesh, nel mito di osiride e persino in un passo della Bibbia che a
ben guardare concorda con molti altri miti della creazione e che fa riferimento ad un pro-
cesso abnorme del cammino evolutivo, o alla nascita di un ibrido in perenne conflitto tra
bene e male: un figlio, insomma, frutto di un errore o di una disobbedienza.
«L’uomo sente periodicamente il bisogno di riacquistare, sia pure per un istante, la con-
dizione dell’umanità perfetta, nella quale i sessi coesistevano, come coesistono, accanto
a tutte le altre qualità e a tutti gli altri attributi, nella divinità» scriveva mircea Eliade nel
suo Trattato di storia delle religioni, ma riconquistare questa condizione edenica non è
certo così facile come potrebbe apparire a chi non ha compreso sino in fondo cosa signi-
fichi divenire “perfetto”... e non è detto, peraltro, che tutti coloro che accedono ad una
Scuola Iniziatica abbiano essenzialmente questo fine.
Senza voler apparire blasfemi o tendenzialmente eretici, non possiamo esimerci dal fare,
in questa sede, un riferimento al senso iniziatico del battesimo. Il battesimo cristiano, che
nei primi tempi veniva definito «illuminazione», considera l’acqua il veicolo del soffio
vitale dello Spirito Santo. a tale proposito lo pseudo-dionigi riferisce che, dopo aver pro-
nunciato i voti ed essere stato battezzato con l’acqua dello Spirito, il nuovo cristiano, nato
alla vera vita, indossava «abiti di un bianco abbagliante perché, sfuggendo agli attacchi
delle passioni con una salda e divina costanza e aspirando con ardore all’unità, fa rien-
Rito di iniziazione trare nell’ordine ciò che era sregolato, abbellisce ciò che era difettoso, e risplende della
egiziana luce di una vita santa e pura».
«Il frutto del Battesimo o grazia battesimale
è una realtà ricca che comporta: la remis-
sione del peccato originale e di tutti i peccati
personali; la nascita alla vita nuova me-
diante la quale l’uomo diventa figlio adottivo
del Padre, membro di Cristo, tempio dello
Spirito Santo (…). Il Battesimo segna il cri-
stiano con un sigillo spirituale indelebile
(carattere) della sua appartenenza a Cri-
sto. (…) Conferito una volta per sempre, il
Battesimo non può essere ripetuto»4.
«Il termine iniziazione non si trova nella let-
teratura biblica e non appartiene neppure ai
primi secoli cristiani. Tuttavia il battesimo
cristiano equivaleva fin dalle origini a una
vera e propria iniziazione, poiché modificava
radicalmente l’esistenza del battezzato, integrandolo in una comunità di “eletti e santi” (rm
1,6; Ef 1,1; fil 1,1)»5.
peraltro, rené guénon, definito dagli studiosi di esoterismo “testimone della Tradizione”,
insiste molto sulla primigenia valenza esoterica del Cristianesimo (vedi L’Esoterismo Cri-
stiano e San Bernardo” di rené guénon, Ed. arktos) e fa notare «come la tradizione isla-
mica consideri il Cristianesimo delle origini una “tarīqa” cioè una via iniziatica piuttosto
che una “shari’a” cioè una legislazione di tipo sociale rivolta a tutti. Il passaggio del Cri-
stianesimo a mera religione di ordine essoterico è stato definitivamente sancito con il Con-
cilio di Nicea (325 d.C.) mediante il quale viene inaugurata l’era delle formulazioni
dogmatiche»6.
Sotto il profilo etimologico Cristo (dal greco Χριστός, Christòs) è la traduzione greca
del termine ebraico mašíaḥ, l’“unto”, il consacrato, l’iniziato per eccellenza, il Cristo che
ha scelto di immolarsi per la salvezza dell’umanità; per riscattare gli uomini dal peccato
di origine.
ripristinare, quindi, una condizione perduta, o riconquistare uno stato dell’essere che è se-
polto in ognuno di noi è un processo complesso che esige una fase simbolica di morte7 e
resurrezione, ma soprattutto una lunga fase di purificazione dal precedente stato fisico e
mentale che richiede una ferrea disciplina. l’uomo/donna vecchio/a deve morire per
lasciare il posto al nuovo uomo o donna che riprende il proprio cammino alla luce della
conoscenza. l’individuo, però, non può “iniziarsi” da solo, come sottolinea lo stesso ter-
mine che deriva dal latino initium, “principio”, e per estensione “entrata”, cioè ingresso in
una via già tracciata. l’iniziato è dunque colui che è «messo sul cammino» da un’organiz-
zazione iniziatica che sostiene di essere depositaria della Tradizione. da qui il carattere so-
ciale dell’iniziazione.
tuttavia per Tradizione non si intende un bagaglio di conoscenze teoriche che vengono tra-
mandate all’atto dell’iniziazione, ma, come già detto, si intende soprattutto il “passaggio” di
un bagaglio esperienziale che viene trasmesso «da bocca a orecchio», attraverso i riti, i sim-
boli e l’esperienza diretta che deve condurre a un’operatività finalizzata alla trasformazione
dell’individuo. l’iniziazione, dunque, implica l’”azione” e per questo è definita una via at-
tiva – razionale (detta secca dagli alchimisti), contrapposta alla via passiva dei mistici, la via
della fede (umida in alchimia).
Infatti, mentre il “mistico” perviene di colpo alla pienezza dell’intuizione del sacro, affi- Guido Reni,
dandosi a un dio al di fuori di lui, l’iniziato acquista la conoscenza e accede alla Tradizione Battesimo
di Cristo,
solo progressivamente, dopo aver percorso attivamente una strada lunga e laboriosa. pertanto (1623)
l’iniziazione rimane solo virtuale se l’individuo non vi coopera in seguito
con tutto il suo essere.
oswald Wirth scrive a proposito dell’iniziazione massonica: «Non pene-
trerete nello stato massonico se non avrete trovato voi stessi».
Ecco perché le Scuole Iniziatiche prevedono sempre una gerarchia scan-
dita da “gradi” che corrispondono ad una crescita progressiva.
l’iniziazione, come abbiamo già detto, è sancita da riti che consistono es-
senzialmente in “prove” fisiche e morali che mirano ad agire sulla psiche
dell’individuo.
In ogni caso, come scrive J. boucher: «I riti agiscono quasi impregnando
il subcosciente cui danno una potenza ed una efficacia reali». le fasi del-
l’iniziazione riprodurrebbero simbolicamente quelle della nascita
dell’universo (processo cosmogonico): l’uscita dal caos per mezzo della
luce. Secondo g. persigout l’iniziazione prevede quattro fasi lunghe e la-
boriose: «La prima fase è costituita dalla Iniziazione stessa che segna il
processo destinato a realizzare psicologicamente nell’individuo il pas-
saggio da uno stato reputato inferiore dell’essere, ad uno stato superiore:
la trasformazione del “profano” in “iniziato”. La seconda fase prevede la
Purificazione dell’essere che “muore” ai suoi desideri profani per di-
venire una creatura perfetta: è la grande opera degli alchimisti. La terza
fase consente di accedere all’Illuminazione che dà il modo di ritrovare la
“parola perduta” e di pervenire alla Conoscenza che i nostri antenati
hanno smarrito. La quarta fase implica infine la Reintegrazione sim-
bolica nei privilegi che l’individuo possedeva all’origine, prima del-
la caduta».
tutte le iniziazioni, come tutte le Società Iniziatiche, dovrebbero avere
65
dunque, come scopo comune, la rigenerazione dell’uomo, la ricerca della perfezione, la
reintegrazione e comunione con il principio divino. Si tratterebbe in tal caso di un’unica
Tradizione che, pur esprimendosi in modo diverso, farebbe presumibilmente parte di un
tronco comune. Come scrive g. persigout: «I riflessi della conoscenza brillano nel cuore
degli uomini, ma sotto l’aspetto di uno specchio spezzato, la cui deformazione si accresce
per il fatto che i pezzi sparsi sono presi ognuno come un tutto».
nel corso dei secoli le Società Iniziatiche si sono ramificate su tutto il pianeta, assumendo
via via particolari configurazioni e rituali, a seconda della latitudine in cui esse andavano
manifestandosi. accomunate dall’intento di studiare e tramandare il significato della
Tradizione, esse hanno mantenuto integra la matrice di base, anche se espresse ritualmente
da gesti e parole diverse.
nell’aderire ad una società iniziatica, tuttavia, non è facile individuare una dinamica omo-
genea, poiché le strade possono essere innumerevoli. Solitamente questa esigenza diviene
palese in colui che, disturbato da eventi improvvisi e dolorosi, o da delusioni, comincia a
chiedersi che senso abbia la propria esistenza. Sembra che in tal senso il processo sia ab-
bastanza comune; chi non si accontenta di vivere in funzione delle necessità primarie, e
avverte una profonda insoddisfazione, comincia prima o poi a chiedersi: Chi sono? da
dove vengo? dove vado? E ammesso che le domande non vengano espresse in questi ter-
mini, l’interrogativo di base è sempre legato all’estensione di queste domande esistenziali.
Chi individua nella propria vita dei vuoti profondi, desidera in qualche modo colmarli, ed
istintivamente è portato a cercare risposte in istanze superiori. Egli, pertanto, o si affida pas-
sivamente ad una religione nella speranza di trovare una sorta di protezione in qualcosa al
di fuori di sé, o si pone alla ricerca di risposte consapevoli che possano appagare il suo
bisogno di conoscere. In questo ultimo caso è facile imbattersi in esperienze sbagliate nel
tentativo di trovare la “via” che conduca alla presunta verità. Va però detto che, secondo
certi saggi, l’individuo che cerca con convinzione estrema finisce, prima o poi, per incon-
trare l’autentico maestro.
Emilio Servadio, nel suo libro Passi sulla via iniziatica, scrive: «Il non iniziato non tanto
“vive” quanto “è vissuto”. L’uomo che vuol cominciare veramente a “vivere”, sottraendo
mano a mano il suo Io alla schiavitù dell’“essere vissuto” deve
in primo luogo passare simbolicamente attraverso la “morte”:
ossia sottrarre, per lo meno virtualmente al non-Io (ossia al
corpo), all’inconscio e ai modi abituali di esperienza, la loro, in
sostanza, usurpata “primarietà”».
ma coloro che si pongono in cammino alla ricerca di risposte
razionali sono già usciti da una modalità passiva per abbracciare
la “scelta attiva” che caratterizza la via dell’esoterismo. l’uomo
o la donna che giungono a questo punto sono pronti a sottoporsi
al rito di Iniziazione vero e proprio, che sancirà il loro ingresso
in una Società Iniziatica, sempre che siano riusciti a trovarne una
autentica che conservi ancora il prezioso bagaglio dell’antica
conoscenza.
66
“morto” deve comportarsi come fosse realmente tale. Presso molti popoli si ricorre a calci,
percosse, punture, per assicurarsi della realtà della sua finzione. I Poro legano allo sto-
maco del ragazzo una vescica piena di sangue di pollo che poi trafiggeranno facendone
sgorgare il sangue; gli imbrattano il viso con creta bianca, il colore dei morti. Presso la
setta Barakanzi (Congo) il candidato viene fatto girare su se stesso finché, preso dal ca-
pogiro, non stramazza su di un giaciglio di foglie; dopodiché il “padrino” lo richiama in
vita sfregandogli sul petto misture magiche. L’elenco degli esempi sarebbe lunghissimo.
L’essenziale è separare l’adolescente, con un avvenimento “limite” quale la morte, dal
mondo profano (l’infanzia, la non-conoscenza, le donne), prima di accoglierlo nel mondo
degli adulti. Feticci di antenati e visite ai recinti dei morti caratterizzano questa fase del-
l’iniziazione. Essi introducono al regno del “sacro”, gettano un ponte tra la “vera” vita,
la verità e l’incoscienza.
La morte simbolica è l’espediente che fa conoscere al candidato il rapporto tra l’espe-
rienza umana e la sfera del divino; è il “ponte” tra il sacro e il profano. Profano perché
l’uomo ne è partecipe, sacro perché la morte è il fattore “imponderabile” per eccellenza
della vita umana. Chi ha conosciuto la morte, conosce la verità. Dopo la “resurrezione” il
ragazzo deve dimostrare di essere degno di entrare nel mondo degli adulti. (...) A volte, nel
periodo delle prove, i ragazzi vengono svegliati e picchiati senza alcun motivo (...) Di-
mostrazioni “visibili” di aver superato le prove iniziatiche, di essere un “vero uomo” sono
in uso presso tutti i popoli primitivi: tatuaggi, circoncisioni, subincisioni, avulsioni dei
denti, perforazione dei padiglioni auricolari ecc. Generalmente viene praticato soltanto
un paio di queste operazioni. Gli aborigeni dell’isola di Sunday (Australia) sono i più so-
lerti: le praticano tutte, e l’iniziato nel subirle compie una vera e propria ascesa iniziatica
i cui gradi sono caratterizzati da un termine preciso. (...) Dopo questa fase, cruenta e a
volte fatale, l’uomo viene istruito dagli anziani sui metodi di caccia e di guerra, sulle
tradizioni, sul culto degli antenati e dei totem. In certi casi l’Iniziato, essendo “rinato” ac- Casa
della Farnesina,
quisisce un altro nome; quindi può ritornare alla sua famiglia, non più bambino ma adulto». stucco con scena
In questa dettagliata descrizione di mario anesi, relativa al passaggio dalla pubertà al di iniziazione
dionisiaca
mondo degli adulti, abbiamo incontrato tutti gli elementi che caratterizzano l’iniziazione in
senso lato: la scelta, il rito, il simbolo, le prove ed infine
l’accesso ai segreti: la Tradizione. nelle Società
Iniziatiche più evolute il rituale è sicuramente meno
cruento; tuttavia il valore profondo e sottile rimane, in
ogni caso, identico e immutato per tutte le scuole
iniziatiche, anche se rivestito da concettualità filosofico-
spirituali apparentemente diversificate tra loro. In tutti i
casi, e sempre, per “realizzarsi” bisogna prima autodi-
struggersi; per rinascere bisogna prima morire. «Il capo-
volgimento iniziatico è ora completo. Al “corpo” vol-
gare è succeduto il “corpo magico” o “corpo di
resurrezione” ossia, in termini alchemici, il piombo è
stato totalmente trasmutato in oro. Se nell’uomo comune
l’Io si appoggiava sul corpo, nel perfetto iniziato il
corpo si appoggia sull’Io, che lo plasma con la stessa
naturalezza con cui il pensiero plasma la parola. Ancora
nel linguaggio alchemico, la “pietra morta” è diventata
“pietra filosofale”» scrive Servadio nel già citato Passi sulla via iniziatica.
l’uomo, attraverso la morte, si fa uomo nuovo. le difficili prove che tuttavia questo uomo-
iniziato deve superare sono molteplici, così come narrano in chiave simbolica le più note
leggende allegoriche e i miti di ogni tempo: le celebri “fatiche di Ercole”, la ricerca del
graal, la spedizione degli argonauti, gli itinerari di ulisse e così via... e non è sempre detto
che egli arrivi in fondo alla via dopo averle superate tutte... Qualcuno può perdersi per
strada, qualcun altro può scegliere di fermarsi all’improvviso; una cosa però è certa: chi è
stato iniziato non può più tornare indietro...
andando a ritroso nel tempo troviamo, presso ogni gruppo etnico, tracce di comunità iso-
late formate da uomini “saggi” – oggi diremmo maestri o sciamani – i quali, capaci di os-
servare l’esistenza senza affanno, fungevano da “lanterna” per coloro che tendevano a
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smarrirsi lungo i tortuosi sentieri del vivere quotidiano. Si presume che tra queste co-
munità, alcune, essendosi reimpossessate del ricordo ancestrale di un’armonia perduta,
grazie al contatto con autentiche fonti di saggezza cui spettava il ruolo di ri-trasmettere
oralmente conoscenze dimenticate, sono riuscite ad istituzionalizzarsi in vere e proprie
Società Iniziatiche, per far sì che altri uomini/donne potessero accedere all’antica
conoscenza, l’unica in grado di consentire all’individuo il ripristino della coscienza,
dell’armonia dei primordi, per accedere all’immortalità se non del corpo, almeno del-
l’anima... la “memoria” di un’armonia “perduta” o di un “errore di origine” è, come già
detto, alla base di tutti i riti di iniziazione, sia religiosi che esoterici.
Queste Società Iniziatiche si perfezionarono sempre più sino a costituire un modello in
miniatura per l’umanità intera; un collegio superiore di uomini inserito nella Scuola
della natura; un angolo del pianeta in cui vivere in assoluta libertà, tra uomini e donne
liberi da preconcetti e dogmi intellettuali, alla luce di una totale fratellanza e
uguaglianza.In seno a queste società venne istituita una scala di livelli conoscitivi che
corrispondono ancora oggi ai gradi iniziatici ai quali gli adepti possono accedere in re-
lazione alla maturità individuale acquisita, ed in funzione del superamento delle “prove”
che ne sanciscono la idoneità. per quanto possa sembrare assurdo, è proprio questa sud-
divisione gerarchica a tutelare la libertà di ciascun individuo il quale, in un contesto
iniziatico, vive in ugual misura diritti e doveri, ed è nell’osservanza collettiva di questi
ultimi che viene garantita la crescita e il progresso individuale. ognuno, infatti, vigila
sui fratelli di grado inferiore ed è a sua volta vigilato da quelli di grado superiore. non
a caso le Società Iniziatiche non ammettevano e non ammettono il proselitismo, in con-
trapposizione alle organizzazioni religiose di ogni genere. l’accesso all’iniziazione è
riservato infatti a coloro che mostrano particolari doti morali e intellettuali nell’osser-
vanza di un principio espresso dallo stesso Cristo: «non gettate le perle ai porci».
alcune di queste antiche Società Iniziatiche sono ancora vive e operanti in molte parti
del pianeta e pare abbiano mantenuto, grazie all’isolamento necessario, la loro integrità;
altre, pur essendo ancora attive, nel contatto con la società profana hanno subito una
sorta di deleteria contaminazione che ha fatto loro perdere, via via, l’originaria natura
o, quantomeno, parte di essa; non si contano poi le Società Iniziatiche che si spacciano
per tali, ma che nulla hanno da proporre sul piano spirituale, se non una serie di biechi
pretesti per acquisire proseliti paganti. ma per non perdersi nella babele di proposte
esoteriche o pseudo tali, è possibile rifarsi a dei precisi canoni che consentono di sta-
bilire l’identità-tipo della Società Iniziatica:
1) una società iniziatica, per essere tale, deve essere depositaria di una tradizione che
Edmund Blair Leighton, manifesti un continuum ininterrotto di valori morali e conoscitivi;
The accolade 2) una società iniziatica, per essere tale deve, dunque, essere un’organizzazione
tradizionale regolare, avente qualità per conferire l’iniziazione, per
trasmettere cioè quella “influenza spirituale” senza il cui ausilio
sarebbe impossibile per l’iniziato liberarsi dalle limitazioni e dagli
ostacoli del mondo profano;
3) una società iniziatica non può essere il prodotto di una fantasia in-
dividuale, né può essere formata alla stregua di un’associazione pro-
fana per iniziativa di alcune persone che decidono di riunirsi prendendo
ispirazione da riti tradizionali;
4) in assenza di una filiazione regolare, la trasmissione dell’influenza
spirituale è inesistente e dunque l’iniziazione è da reputarsi nulla;
5) l’iniziazione di per sé implica la presenza di tre condizioni essen-
ziali: a) la “qualificazione” dell’adepto, rappresentata da una incli-
nazione naturale dell’individuo alla ricerca spirituale vera e propria;
b) la “trasmissione” tramite un collegamento ad una reale organiz-
zazione tradizionale; c) il “lavoro interiore” che l’individuo dovrà fare
su se stesso con l’ausilio di “cooperanti” o di “appoggi” che lo soster-
ranno, di gradino in gradino, attraverso i diversi gradi della gerar-
chia iniziatica, per condurlo alla “Liberazione” o all’“Identità
Suprema”;
6) una Società Iniziatica custodisce ed esprime la tradizione di cui è
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depositaria attraverso i suoi simboli, le allegorie, le leggende, i rituali, i segni e le pa-
role di passo;
7) i simboli, le allegorie, le leggende ed i rituali racchiudono in essi gli insegnamenti
adeguati al grado di appartenenza dell’adepto;
8) una Società Iniziatica non apre indiscriminatamente le porte del Tempio alle masse,
ma riserva tale privilegio a coloro che se ne mostrano degni al di là dell’estrazione so-
ciale, razza o religione;
9) una Società Iniziatica, prima di accettare al suo interno un nuovo membro, si accerta
che questo sia animato da veri propositi etici e spirituali e valuta che la “scelta” sia con-
sapevole e attiva;
10) per accedere all’iniziazione, l’adepto deve essere prima “accettato” dai rappre-
sentanti autorizzati dalla tradizione cui si riferisce;
11) l’ingresso in una Società Iniziatica è sempre sancito da un rito di iniziazione che ha
lo scopo di risvegliare l’individuo ad un piano superiore dell’essere attraverso prove
simboliche ed il sottile contributo dell’officiante;
12) il rito è l’elemento essenziale per la trasmissione dell’influenza spirituale, senza il
rito non vi è in alcun modo iniziazione; la sua efficacia è garantita dalla “ripetizione”
immutata della gestualità, delle parole e dei simboli che lo caratterizzano. Il rito, quindi,
ripetuto costantemente, nel tempo, acquista forza e crea un ponte e un continuum tra
passato e presente;
13) i riti in generale hanno sempre lo scopo di mettere l’essere umano in rapporto di-
retto o indiretto con qualcosa che trascende la sua individualità, e che appartiene ad
altri stati di esistenza, tramite una serie di modalità che agiscono sui piani sottili del-
l’individuo. Essi sono il veicolo che rende possibile il lavoro interiore che si svolgerà
con l’ausilio dei simboli che saranno compresi in misura della maturità acquisita;
14) il rito porta sempre in se stesso la sua efficacia, a condizione che sia compiuto in
conformità alle regole tradizionali che ne assicurano la validità, e al di fuori delle quali
sarebbe solo un vano simulacro;
15) il lavoro dei membri di una Società Iniziatica si svolge in un luogo simbolico al ri-
paro dalle interferenze del mondo profano per facilitare l’astrazione temporanea dagli
affanni quotidiani e dalle esigenze di ordine materiale che turberebbero, per loro natura,
la serenità dei lavori;
16) la struttura a carattere piramidale, diretta in linea strettamente gerarchica, prevede Disegno manoscritto,
“Piano del Tempio
l’ingresso di qualsiasi suo membro a patto che mostri di essere pronto ad accedere ai adottato
gradi successivi; dal Grande Oriente
d’Italia
17) una Società Iniziatica trasmette ai suoi membri la conoscenza tradizionale in fun- sedente
zione della maturità acquisita dall’iniziato e pertanto prevede, all’interno, diversi gradi a Milano” (1805),
di apprendimento e di esperienza iniziatica; archivio G.O.I.
18) gradi o livelli, comunque, non possono in alcun modo creare discriminazioni tra gli
adepti che, al di là dei lavori nel Tempio, godono degli stessi diritti e
rispondono agli stessi doveri;
19) una Società Iniziatica pratica l’assoluta fratellanza tra i suoi mem-
bri che si riconoscono tra loro mediante segni e parole convenzionali;
20) una Società Iniziatica esprime nel mondo profano i principi che la
animano attraverso l’esempio operativo dei suoi membri che sono tenuti
a lavorare per il bene dell’intera umanità mettendo in pratica il prin-
cipio della solidarietà;
21) una Società Iniziatica non cerca in alcun modo di dissimulare la
propria esistenza, salvo che non sia perseguitata. Conservano un
carattere di segretezza soltanto le cerimonie ed i riti preclusi ai pro-
fani e i “segni” che consentono agli affiliati di riconoscersi tra loro;
22) il “segreto iniziatico”, che caratterizza in genere le società
iniziatiche regolari, è tale poiché non può non esserlo, consistendo
essenzialmente nell’“inesprimibile” che di conseguenza è di per sé
“incomunicabile”. Esso, dunque, non può essere tradito poiché è
inafferrabile e inaccessibile ai profani. La sua conoscenza è, infatti,
la conseguenza stessa dell’iniziazione. L’iniziazione, peraltro, non
può essere infranta per nessun motivo; essa è indelebile e sussiste
anche se l’individuo dovesse interrompere il suo rapporto diretto
con l’organizzazione iniziatica che ha proceduto alla sua iniziazione.
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bIblIografIa
70
I SentIerI della memorIa
di Marco Novarino
note
della massoneria speculativa. altro argomento che sarebbe inte-
ressante approfondire è la conoscenza del ruolo che l’apprendi- 1) JosePh gabrieL FindeL, Histoire de la
franc-maçonnerie, vol. 1, Paris, Libraire inter-
sta aveva nel mondo operativo dove, almeno agli inizi, era privo nationale, 1866, p. 186 (consultabile sul sito del
di uno status giuridico. Quindi non appartenendo legalmente alla centro di ricerche sulla Libera-Muratoria,
www.crsl-m.org).
corporazione, egli non veniva coinvolto nella conoscenza esote- 2) robert Freke gouLd, A concise history
rica che era a totale appannaggio dei Fellows of Craft, e il giura- of Free Masonry, London, gale and Polden
mento – come si può riscontrare nel Poema Regius, risalente alla Ltd., 1904, pp. 304-24 (consultabile su
www.crsl-m.org).
fine del XiV sec.6 – oltre ai contenuti amministrativi-legali (fe- 3) a. g. Mackay, The History of Free Masonry,
deltà al re, al nobile committente e al responsabile della corpo- vol. iV, new york and London, Masonic hi-
story company, 1898, pp. 926-1022 (consulta-
razione) prevedeva la lettura al candidato delle antiche leggende bile su www.crsl-m.org).
sulle origini della muratoria e soprattutto gli Antient Charges, 4) John Lane, Masters’ Lodges, “ars Quatuor
giuramento che era l’unico previsto negli statuti dell’epoca. coronatorum”, Vol. i, 1886-1888, pp. 167-78;
William James hughan, The Three Degrees and
con molto acume giuridico Luigi sessa pone la questione della the M.M.’s Ceremony, Vol. X, 1897, pp. 127-
differenza semantica tra il termine livello o classe (in inglese 150; g.W. speth, Two Degrees Theory, Vol. Xi,
1898, pp. 47-82; gould, r. F., The Degrees of
grade), indicante il grado di specializzazione professionale, e il Pure and Ancient Freemasonry, Vol. XVi,
termine grado (degree) che nel nostro specifico caso si adatta 1903, pp. 28-64.
meglio, in quanto si otteneva dopo «una cerimonia riservata e 5) eugène gobLet d'aLVieLLa, Des origi-
nes du grade de Maitre dans la Franc-maçon-
perciò esoterica, di ammissione o di avanzamento, che include la nerie, Mémoire couronné au concours du
comunicazione di particolari distinte parole, segni, toccamenti, o Grand Orient de Belgique, bruxelles, 1907
(consultabile su www.crsl-m.org) (trad. italiana,
altro, che debbano essere celati al grado (degree) più basso»7. Le origini del grado di maestro nella libera mu-
La figura e il ruolo dell’apprendista mutarono radicalmente a ratoria, roma, edizioni ignis, 1947 e poi suc-
cessiva ristampa anastatica, carmagnola,
partire dalla fine del XVi secolo e in quello straordinario scena- arktos, 1989 . sulla sua figura cfr. alain dier-
rio che fu il secolo successivo, in cui si produssero i più impor- kens ed., eugène goblet d'alviella, historien et
tanti cambiamenti culturali, ritualistici e organizzativi, imposti franc-maçon, in "Problèmes d'histoire des re-
ligions" vol. 6, éd. uLb, bruxelles, 1995.
dalla sempre maggiore presenza dei cosiddetti Accepted Free 6) Il poema regio, traduzione di gaetano Fioren-
Masons, che introdussero elementi rosacruciani, alchemici, er- tino, roma, erasmo, 1989; Il Regius: il Poema
Regius, introduzione, trascrizione, traduzione e
metici e cabbalistici. note di giuseppe M. Vatri, cosenza, brenner,
La riforma ‘gradualistica’ che portò alla nascita del grado di Mae- 2002.
stro iniziò in quel periodo e si concluse solo nel 1738, come 7) Luigi sessa, La massoneria. L’antico mi-
stero delle origini, Foggia, bastogi, 1997,
avremo occasione di vedere nella prossima puntata. n p. 169.
74
LA DImENSIONE umANA
di Emmanuel Anati
75
psichiatria, coscienza è la funzione psichica capace di intendere e definire l’io. per le scienze so-
ciali è capacità di valutare e riconoscere la propria volontà nella relazione tra se stesso e il mondo
esterno. per le scienze umane è la funzione cognitiva mediante la quale si acquista consapevo-
lezza della propria visione di ciò che si definisce realtà. vi sono diverse dimensioni della co-
scienza sia come coscienza morale (in inglese Conscience), sia come coscienza
cognitiva (in inglese Consciousness).
per l’antropologia, “coscienza” è la capacità di conformarsi o opporsi, nel pensiero
e nel comportamento, a canoni convenzionali. è parte dell’essere. è effetto di un
processo di acquisizione, in parte “biologica”, derivante da consuetudini culturali
e sociali e, pertanto, si adatta a condizionamenti socio-culturali. è questo aspetto
della coscienza che vorremmo qui considerare. La coscienza è effetto d’indottri-
nazione della memoria, di quella ereditata e di quella acquisita. A scanso di equi-
voci diciamo subito che, contrariamente a certi luoghi comuni, non è un fattore
statico e non ha valori universali.
I popoli primari hanno piena coscienza della coscienza. per gli aborigeni austra-
liani, che tuttora conservano lo stile di vita di cacciatori-raccoglitori, la coscienza
della propria identità è ciò che determina il comportamento e le relazioni tra l’in-
dividuo e l’esterno, ha canoni precisi e definiti. Ogni individuo ha una coscienza
diversa che viene definita visualmente tramite i simboli della loro “scrittura
ideografica”. è espressa graficamente dal churinga, un oggetto di modeste di-
mensioni, in legno, osso o pietra, sul quale sono incisi o dipinti ideogrammi,
che sintetizza l’identità dell’individuo in base ai suoi ascendenti e alle sue re-
lazioni ataviche, note fin dalla nascita. Nel definire la coscienza prestabilita
dell’individuo rientrano anche aspetti della volta celeste e della luna il giorno
della sua nascita ed altre considerazioni che richiedono l’esperienza e il sapere
dei saggi Karadji.
La coscienza è l’identità dell’individuo fin dalla nascita, ma è acquisita cosciente-
mente con i riti di passaggio nei quali viene rivelata al giovane la sua identità tote-
mica, l’identità degli spiriti ancestrali dei quali è la reincarnazione, il tutto indicato
dagli ideogrammi del suo churinga. Tali conoscenze definiscono la sua coscienza, il suo collo-
camento nella società, i suoi totem, la sua relazione con gli uomini, gli animali, la vegetazione,
il paesaggio, il suo mondo, i suoi canoni di comportamento.
Come ho mostrato nel volume sulla “ricerca d’identità” (2012), vi sono testimonianze ar-
cheologiche che indicano la presenza di oggetti simili ai churinga in varie parti del mondo,
già nel periodo paleolitico, molti millenni addietro. Il churinga, carta d’identità in legno o
in pietra, è stato uno strumento di definizione della coscienza individuale fin dai primordi.
un fatto rilevante è che il churinga dice all’individuo in cosa consista la sua coscienza, in
termini netti, senza sfumature. Altro fatto è che l’individuo non stabilisce la propria co-
scienza. gli ideogrammi che la definiscono sono associati e combinati dai saggi anziani,
i Karadji, alla sua nascita. Egli ne scopre i contenuti quando tra i 12 e i 14 anni, durante
il rito d’iniziazione, questi gli vengono rivelati. fin dalle società primarie, l’acquisizione
della coscienza è un rito di passaggio, la si acquisisce formalmente a una età determinata.
riti di passaggio analoghi si praticano in quasi tutte le religioni, incluse quelle monotei-
stiche recenti. L’acquisizione della coscienza segna il passaggio del giovane allo stato di
adulto. In buona parte del mondo tribale, coscienza è ciò che si apprende nelle fasi pre-
paratorie all’iniziazione. I miti di origine, la conoscenza delle vicende degli spiriti ance-
strali, l’identità dello spirito del quale il giovane è la reincarnazione, determinano il sapere
che condiziona il comportamento. Il rito di passaggio che trasforma l’adolescente in adulto
sancisce l’acquisizione della coscienza. prima di essere accolto nella società degli adulti, si
ritiene che l’adolescente non abbia coscienza. L’acquisizione della coscienza è anche ac-
quisizione di responsabilità. Tale concetto ha radici primarie.
Secondo la mitologia biblica, il serpente ha indotto Adamo ed Eva a nutrirsi del frutto della co-
noscenza del bene e del male. questa metafora sembra implicare l’idea che l’acquisizione della
Esemplari
di churinga coscienza è la prima azione autonoma dell’uomo, il “peccato originale” che lo rende adulto.
Secondo la narrazione biblica, s’intende che l’uomo avrebbe errato acquisendo coscienza,
avrebbe dovuto continuare a vivere nel giardino dell’Eden, cibandosi di frutti spontanei, senza
porsi problemi di coscienza che sarebbero l’origine di tutti i mali. Così hanno fatto le scimmie,
76
ma oggi sappiamo che anch’esse hanno problemi di coscienza. quanto all’uomo, non ha mai più
cessato di nutrirsi dei frutti della conoscenza. Non è chiaro se ciò abbia migliorato o peggiorato
la sua coscienza.
COSCIENZA E ISTINTO
poniamoci il quesito, se ogni atto o concetto di coscienza sia necessariamente legato ad espe-
rienza, ammaestramento, sottomissione o rifiuto di essa. vi sono anche istinti che portano alla
coscienza. Il termine “istinto” richiederebbe ulteriore riflessione, malgrado i numerosi trattati di
tale termine da Sigmund freud in poi. La classificazione dei vari livelli freudiani dell’istinto, se
pur in termini diversi, porta verso le stesse considerazioni delle recenti ricerche sulle manife-
stazioni di coscienza che si esprimono nell’arte preistorica e tribale, che variano da epoca ad
epoca nel corso di millenni. Nell’evoluzione della specie, vi sono varie tappe di acquisizione
degli istinti che si ricollegano a vari stadi di coscienza. La coscienza ha livelli di accumu-
lazione, paralleli a quelli dell’istinto, e non è sempre facile separare tra istinto e co-
scienza o definire quale dei due anticipi l’altro. Come la coscienza, l’istinto è
eredità di condizionamento, di assimilazione di esperienze e di conseguente
auto-ammaestramento. vi sono anche istinti che ci portiamo dietro fin dalle
origini della vita, come quello dettato dallo spirito di sopravvivenza o
quello che spinge alla riproduzione.
Anche certi archetipi sono inclusi nello stesso processo di acquisi-
zione di coscienza tramite l’eterno processo di auto-condiziona-
77
mento. Non tutti gli archetipi risalgono all’inizio della vita, molti si sono formati nel corso del-
l’accumulazione concettuale. Sono dunque effetto della dinamica evolutiva. Consideriamo che
nel comportamento umano come in quello animale, nulla sia statico, che vi siano sempre pro-
cessi di aggiornamento e adattamento che ci accompagnano fin dalle prime forme di vita. Co-
scienza e istinto sono due aspetti di una medesima facoltà, seguono canoni costanti ed
hanno regole che determinano elementi di variabilità. L’esempio che porterò più avanti il-
lustrerà questa asserzione.
La coscienza varia e si modifica anche in un medesimo individuo, a seguito d’indottrinamento
o di esperienza. La coscienza si aggiorna costantemente. Ho in memoria un giovane studente
amante dei piaceri e delle relazioni intime che decide di farsi prete e associarsi a un ordine reli-
gioso: velocemente modifica la propria coscienza adattandola al suo nuovo status. modifica
anche quella che era stata la colonna portante della sua coscienza, quella di esaltare la propria
virilità tramite le relazioni intime. La coscienza virile dell’ambito maschio di successo ha subito
una modifica drastica. quale istinto lo ha spinto a modificare i canoni della propria coscienza?
Oppure, quale coscienza lo ha spinto a modificare i canoni del proprio istinto?
è stato già detto che gravidanza e maternità influenzano la coscienza delle giovani donne mu-
tando il loro atteggiamento e comportamento. Ciò avviene nella società occidentale, ma ancor
più nel mondo tribale, come evidenziato da margaret mead e altri ricercatori. La gravidanza
cambia la coscienza del proprio essere.
Anche la coscienza collettiva può variare drasticamente quando cambiano le condizioni del con-
testo, passando ad esempio da tempi di pace a tempi di guerra, o da stato democratico a regime
totalitario e viceversa, o da condizioni di opulenza a quelle di carestia, o dalla condizione di di-
pendente a quella di dirigente.
possiamo postulare che: “La coscienza include sempre l’adattamento o il disadattamento
dei valori all’istinto di sopravvivenza”.
Se si volesse dare al termine “coscienza” un generico significato moralizzante secondo i canoni
della cultura occidentale, sorgerebbe l’esigenza di comparare tra coscienze, ad esempio la co-
scienza di integralisti religiosi, a confronto con la coscienza laica o la coscienza dei contestatori
a confronto con la coscienza dei rispettosi sudditi di regime. La diversità dei comportamenti è
dovuta a impostazione diversa della coscienza, anche all’interno di una medesima popolazione.
per la coscienza di un certo tipo di integralisti è non solo morale, ma anche meritorio, far sal-
tare il grattacielo delle due torri a New York; è una benedizione avere ucciso 3.000 persone d’un
solo colpo, “con l’aiuto di Dio”. è morale, anzi meritorio, lapidare una donna ritenuta di aver
avuto rapporti sessuali non sanciti dal matrimonio; è morale violentare o schiavizzare bambine
non musulmane. è morale e ambito istituire regimi di califfati teocratici. però è immorale non
pregare 5 volte al giorno o non conoscere a memoria i versetti della sacra scrit-
tura; è immorale non imporre il proprio modo di credere e di vivere
a chi ti è vicino. è immorale sopportare il diverso e accettare rela-
zioni amichevoli con infedeli.
Chi critica tale compagine di valori morali, ovviamente ha una co-
scienza diversa da chi la pratica. Da una parte e dall’altra si giudica se-
condo i valori acquisiti della propria coscienza. Le coscienze variano in
base all’indottrinamento. La coscienza laica occidentale è giudicata e cri-
ticata dagli integralisti islamici non meno severamente di quanto i laici
occidentali criticano la coscienza degli integralisti.
In ambiente integralista, in certi regimi del vicino Oriente o del-
l’Africa, i laici possono in coscienza ritenere morale convertirsi, sottostare
a regole diverse e contrastanti da quelle della propria matrice culturale;
essi hanno la scelta di non sottostare e di subirne le conseguenze; hanno
la facoltà di seguire il proprio istinto, adeguando la propria coscienza
alla convenienza, oppure mantenendo i canoni della consuetudine di
sottomissione alla tradizione della propria indottrinazione primaria.
per gli “infedeli” ovvero gli adepti di altra religione o di altra setta,
o per i non credenti, i problemi di coscienza possono essere anche
problemi di sopravvivenza. La coscienza è variabile secondo la ra-
zionalizzazione degli istinti. E gli istinti possono variare perché co-
niugati alle esigenze.
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COSCIENZA DELL’INESISTENTE
quasi tutti i popoli della terra hanno coscienza di “realtà” la cui esistenza è determinata da una
fede riservata a specifiche entità etniche o culturali e non condivisa da altre. Nessuna coscienza
indotta da tradizioni, da religioni, da ideologie o da fedi politiche, ha valenza universale. gli stre-
goni delle tribù congolesi, gli sciamani siberiani, gli ideologi di una setta, gli imam musulmani
o i preti cristiani, i rabbini ebrei o i monaci buddisti, esprimono coscienze di realtà diverse,
anche se tutte si presentano come “coscienza della verità”. La coscienza dell’inesistente o delle
“verità variabili”, già menzionata da freud, è la maggiore causa di conflitto tra esseri umani. gli
scontri e le guerre, tra hindi e musulmani in India e pakistan, tra musulmani e cristiani in molti
paesi d’Africa e d’Asia, o tra cattolici e protestanti in Irlanda, sono scontri tra coscienze con-
fessionali diverse.
Il passato storico indica questi scontri di coscienza come maggiore movente di estremizzazioni
di espressioni di coscienza e di stragi, dai roghi alle streghe del medioevo, alle inquisizioni di
Spagna, alle guerre tra cattolici e protestanti, ai pogrom in polonia e russia, agli stermini raz-
ziali nelle camere a gas del regime nazista, alla pulizia etnica a danno dei cristiani nei paesi
arabi, alle lotte tra sunniti e sciiti nel medio Oriente, alle guerre tra
etnie tribali in vari paesi dell’Africa. Coscienza è identità, e iden-
tità è un patrimonio per il quale gli esseri umani sono disposti a
morire, perdendo in tal modo coscienza e identità. La coscienza
dell’inesistente è un movente comportamentale che rivela l’iden-
tità stessa della variabilità della coscienza. Inesistente è la fede degli
altri, non condivisa.
Nel mondo tribale la coscienza, come già detto, è imposta dalla forma-
zione dei giovani in occasione dei riti di passaggio. è la coscienza del-
l’identità tribale ed etnica che si esprime attraverso la visione delle origini, dei
miti che accomunano l’entità che li pratica e che definiscono la relazione tra i com-
ponenti, e tra loro e il mondo esterno. è la coscienza dell’identità di ogni singolo in-
dividuo nel gruppo e delle prassi dei rapporti sociali, è la coscienza della propria
identità che definisce lo specifico nell’essere. La coscienza nel mondo tribale con-
cerne anche il patrimonio mito-etico, riguarda l’identità e i poteri degli spiriti
ancestrali, la visione della creazione del mondo e degli esseri umani, la mito-sto-
ria della propria tribù o del proprio popolo, le regole imposte da mitici esseri su-
periori invisibili, ma immaginati e raffigurati nell’arte dei popoli per millenni.
L’arte rupestre in vari continenti mostra immagini di esseri soprannaturali, spiriti o divinità,
figli dell’immaginazione umana, immortalati, divenuti oggetto di culto e d’identità tribale, sim-
boli di riferimento, impressi sulle rocce e nelle grotte sacre. questa coscienza determina l’iden-
tità del gruppo: la coscienza dell’inesistente è, per gran parte dell’umanità, nelle varie epoche
storiche e preistoriche, un fattore fondamentale di ciò che è definito coscienza. Come già men-
zionato e come vedremo più avanti, la coscienza comprende anche altri aspetti d’indottrina-
mento e di formule d’identità dell’individuo e del gruppo. Le formule della coscienza variano,
i canoni restano costanti. usa te stesso come esempio. Che cosa ti dice la coscienza?
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a morte. Il rischio è prevedibile in un territorio di difficile coesistenza tra villaggi musulmani
e villaggi cristiani.
Le urla di disperazione che avevano rotto il silenzio al momento del rapimento, si sono trasfor-
mate in pianti silenziosi e mugolii di rabbia senza soluzioni. riprendersi le ragazze violentate e
convertite all’islam, anche se loro malgrado, faceva prevedere problemi sociali ben più difficili
di quelli di una sopravvivenza senza il fardello. una generazione di ragazzine è stata abbando-
nata al proprio destino.
3. La coscienza delle ragazzine, le vittime, è dettata dalla fisica esigenza di sopravvivere, ag-
grappandosi ad ogni spiraglio di magre speranze. La bambina è stata donata al guerriero, è di-
venuta sua proprietà, è stata violentata, sottomessa, asservita. Se accetta la propria condizione
e obbedisce, ha migliore possibilità di sopravvivenza. Se riesce a sedurre il suo padrone con le
proprie grazie, può avere vita più facile. Se si oppone è destinata ad ulteriori angherie e puni-
zioni. La coscienza della sopravvivenza impone di superare il trauma e accettare la propria
condizione. L’alternativa è la perdita del controllo di se stessa dovendo poi subirne le conse-
guenze. Il rifugio nell’incapacità mentale, apparentemente soluzione facile, porterebbe inevita-
bilmente a un peggioramento della propria condizione per cui interviene il processo di
auto-terapia che la conduce ad adeguarsi, accettando la nuova condizione, cercando di trarne pos-
sibili vantaggi.
questo è un caso emblematico del conflitto di varie coscienze collettive, che avviene oggi, sotto
i nostri occhi. Casi analoghi, se ci pensate, possono avvenire ogni giorno in ogni società, anche
in casa nostra, quando imposizioni o violenze conducono al confronto tra coscienze diverse.
Nel caso enunciato vi sono tre società che hanno tre coscienze diverse:
1. I Jihadisti del boko Haram e le comunità islamiche che aderiscono ai loro fini, cantano vit-
toria. Hanno sconfitto una generazione di cristiani locali, hanno contribuito all’islamizzazione
della zona, hanno condotto un atto di rivincita verso la cultura occidentale. Hanno umiliato e sot-
tomesso coloro che avevano aderito alla cultura boko. Ed hanno dato una giusta ricompensa ai
loro guerriglieri. Le loro coscienze esultano.
2. La cultura occidentale ha avuto un risveglio delle coscienze, uno sdegno per un comporta-
mento considerato anti-morale secondo i propri canoni, un atto di violenza che ha condotto a
qualche manifestazione e si è assopito. I cartelli “riportate a casa le nostre ragazze”, forse sono
petizioni rivolte agli spiriti ancestrali che si sono limitati a osservare, forse sorridendo, dal loro
limbo. è cresciuto nelle coscienze il desiderio di vendetta. “Dobbiamo fargliela pagare…”.
Anche il perverso desiderio di vendetta fa parte della coscienza; ma nulla si è fatto concretamente
per ristabilire l’etica occidentale e punire le “malefatte” dei Jihadisti che loro considerano “be-
nefatte”, opere di carità confessionale che garantiscono loro l’accesso al paradiso delle baia-
dere dai sette veli.
3. Le famiglie della popolazione cristiana colpita, sono confrontate da due coscienze contrap-
poste. quella di accettare, di pagare e riprendersi le ragazze non più vergini e in più convertite
all’Islam, o quella di lasciarle al proprio destino. Non è chiaro quale delle due soluzione sa-
rebbe auspicabile per le ragazze stesse. Tuttavia le loro famiglie sono ancora nell’incertezza di
cosa decidere, e intanto i mesi passano.
Il caso ha scosso l’opinione pubblica occidentale rimasta impotente. ma principalmente ha vio-
lentato, non solo le bambine, anche un nucleo sociale di diversi villaggi, alcune migliaia d’in-
dividui, in un’area sperduta dell’Africa. per una o due generazioni questa società non sarà più
la stessa e probabilmente il caso è destinato a cambiare loro la vita, i valori e le coscienze. Il caso
che ha violentato le coscienze occidentali e gratificato quelle dei Jihadisti mostra il senso rela-
tivo del termine “coscienza”.
CONCLUSIONE
Ho portato il caso del “ratto delle bambine” da parte dei boko Haram ad esempio della tesi
esposta sulla struttura della coscienza come strumento di condizionamento sociale. Coscienza
ed anche istinto si adattano velocemente a imperativi culturali o sociali.
La coscienza è indotta dalla società, è un condizionamento permanente di acculturazione.
è un fenomeno sociale che porta l’individuo a dipendere dalla prassi o a contrapporsi ad essa.
In conclusione possiamo ripetere quanto già enunciato: “La coscienza ha origine dal condi-
zionamento sociale e ha struttura, pesi e ruoli diversi, secondo il carattere della società
che ne detta le regole”. Che cosa ti dice la coscienza? n
83
MITI E LEGGENDE
San ValenTino
E iL MirACoLo DELL’AMorE
Chi era San ValenTino? Quale Tradizione lo Vuole Come il maggiore
rappreSenTanTe della “feSTa degli innamoraTi”?
riSponde a QueSTe domande – in un arTiColo, Che ripubbliChiamo
per il Suo parTiColare Taglio SToriCo – franCo Cuomo,
SCriTTore e giornaliSTa SComparSo nel 2007.
un inTelleTTuale al Cui riCordo “L’EtErno ULissE”
è parTiColarmenTe legaTo.
lunga e inTenSa è STaTa la Sua Collaborazione profeSSionale
Con le TeSTaTe firmaTe dalla direTTriCe reSponSabile
de“l’eTerno uliSSe” Con la Quale perSiSTe
un fil rouge Che non Si è mai inTerroTTo. (Velia iacovino)
di Franco Cuomo
degli uccelli. È dunque plausibile che nel costume celtico questa festa dell’amore ve-
nisse celebrata intorno alla metà di Febbraio, quando il manto di neve ancora occul-
tava i semi prossimi alla fioritura, in uno dei giorni dedicati ai riti della fertilità.
Rientra nella comune prassi liturgica che con l’avvento del Cristianesimo nuovi Santi
venissero ad occupare spazi riservati un tempo a spiriti e divinità in estinzione, la-
sciando però immutato il senso di certe solennità sacromagiche care all’immaginario
popolare. Toccò così a Valentino (letteralmente “colui che sta bene”, ma anche “che
vale”) raccogliere l’eredità gentile di questa ricorrenza, per la carica di amore dimo-
strata nella sua opera di evangelizzazione, sorretta da un potere di seduzione spirituale
talmente irresistibile da mettere in crisi perfino le difese dell’imperatore Claudio il
Gotico, persecutore di Cristiani. Sembra che Valentino fosse buon amico di Claudio
e, quando venne accusato di proselitismo cristiano, nel 288, l’imperatore volle inter-
rogarlo personalmente, forse nel tentativo di salvarlo. Valentino era accusato di pra-
ticare una fede quasi contagiosa, riuscendo a convertire con la simpatia un gran
numero di pagani. Doveva inoltre rispondere di essersi introdotto nelle carceri, av-
valendosi probabilmente dell’autorità che gli derivava dall’amicizia dell’imperatore,
per confortare i cristiani in attesa del martirio. Riporta l’agiografia che Claudio l’in-
terrogasse molto affabilmente «che è ciò – gli chiese – che tu non usi la nostra ami-
stade, Valentino, acciocché adorando li nostri dei tu possa cacciare via le vanitadi e
la tua soperchianza?», «Perché le vostre divinità sono fallaci» –- gli rispose con ferma
cortesia Valentino – profondendosi in una dettagliata spiegazione delle ragioni per le
quali, a suo avviso, la sola rivelazione autentica di verità era quella del Cristo. Ed
erano così ben congegnate le sue argomentazioni, così amabilmente esposte, che alla
fine l’imperatore parve convinto, tanto da esclamare: «Romani, sentite come parla sa-
viamente quest’uomo!». Ma i cortigiani, a questo punto, temendo gli effetti della stra-
ordinaria forza di persuasione di cui Valentino era capace, richiamarono l’imperatore
ai suoi doveri verso le divinità di Roma facendogli rilevare quale scandalo avrebbe
rappresentato una sua conversione proprio nel corso di una delle sue più feroci per-
secuzioni contro i Cristiani, molti dei quali erano già stati messi a morte. Pur conve-
nendo, quindi, sulla necessità di allontanare Valentino dalla corte, l’imperatore non
volle condannarlo, ma lo affidò ad una famiglia patrizia perché lo custodisse con ogni
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riguardo. Viveva in questa casa una nobile fanciulla cieca, di rara bellezza e sensi-
bilità che, cedendo al fascino delle parole di Valentino sulla fede, si convertì. Su di
lei Valentino operò il primo dei miracoli attribuitogli dalle cronache religiose, re-
stituendole la vista. Il che potrebbe anche voler essere, come spesso si è detto per le
guarigioni evangeliche della cecità, una metafora della luce iniziatica, propria del-
l’accesso ad una nuova condizione spirituale. Fu questo prodigio, in ogni caso, per
l’intensità del rapporto di puro amore che sottintendeva tra il santo e la miracolata,
ad accreditare più che mai Valentino come protettore degli innamorati. Anche per-
ché su tale episodio si compie il suo destino. Insieme alla ragazza, infatti, abbrac-
ciò la fede cristiana l’intera famiglia e questo fu fatale a Valentino che, per la sua
pertinacia, venne condannato a morte per decapitazione; sentenza tutto sommato
mite rispetto agli atroci supplizi solitamente inflitti ai cristiani. Fu sepolto sulla Via
Flaminia, ma solo di recente, all’inizio di questo secolo, scavi archeologici condotti
sotto l’antica basilica che porta il suo nome, hanno consentito di ritrovare il corpo,
dando certezza storica alla leggenda. L’ipotesi che sia esistito un secondo Valentino
in quegli stessi anni nasce dall’arrivo a Roma, cinque anni dopo la morte del primo,
quindi verso il 273-274, di un vescovo di tale nome, proveniente da Terni. Anche lui
si dedicò ad un’intensa opera di proselitismo, convertendo tra gli altri il filosofo
Cratone. Venne per questo incarcerato e poi decapitato. Si dice che convertisse prima
di morire l’intera famiglia del suo carceriere. S’intuisce da questi scarni elementi che
i due Valentino possano in realtà essere stati la stessa persona: furono entrambi degli
abili propagatori religiosi, entrambi convertirono il proprio carceriere con tutta la sua
famiglia, entrambi vennero decapitati. I tempi delle loro esistenze, a parte uno scarto
di pochi anni, coincidono. Ed è significativo che il secondo giunga da Terni, quindi
dalla Via Flaminia dove il primo era stato sepolto. Divenuto popolare come santo
degli innamorati, Valentino è anche protettore degli epilettici. Per quanto possa ap-
parire strano, non deve stupire. Né significa che si debba cercare ad ogni costo un
nesso, che pure con qualche sforzo di fantasia si potrebbe trovare, tra epilessia e in-
namoramento. È frequente nel calendario cattolico l’attribuzione ad un medesimo
santo di più mansioni protettive, rivolte a specifiche malattie o condizioni umane,
professioni, attività lavorative d’ogni genere, senza che vi sia in molti casi alcuna
connessione apparente. Sant’Anna, per esempio, è protettrice delle sarte, dei com-
mercianti di biancheria, ma anche delle partorienti; però Raimondo protegge le oste-
gustave moreau, triche. Cosma e Damiano proteggono i medici ma anche chi è specificamente malato
Edipo e la sfinge, di calcoli renali; Bartolomeo è protettore dei macellai e dei rilegatori di libri, ma
(part.)
pure di chi soffre di malattie della pelle; Elmo protegge i marinai e al tempo stesso
chi è soggetto ai mali di stomaco; Vito protegge i ballerini e chi è afflitto dall’in-
sonnia; Lucia gli elettricisti e chi ha problemi di vista; Girolamo i traduttori e in
particolare i miopi, che però rientrerebbero comunque nella giurisdizione di Lucia.
Ma le competenze dei santi sono spesso caratterizzate da vistose analo-
gie, diversificate per sfumature minime. Se Biagio preserva dal mal di
gola, per la pertosse bisogna rivolgersi ad Albino e per i raffreddori
a Mauro; Aldegonda difende dai tumori, ma Agata da quelli del
seno; Camillo infine protegge ogni genere di infermi, e gli infer-
mieri. Anche per quanto riguarda l’amore, dunque, e gli stati sen-
timentali o semplicemente anagrafici ad esso contigui, la rete dei
ruoli è intricata. Se Valentino protegge gli innamorati “tout court”,
e più specificamente i fidanzati, altri santi operano con uguale au-
torità nei dintorni. Ermanno protegge gli scapoli e Nicola le nubili,
ma Antonio in particolare le ragazze da marito, Monica le vedove e
Rita le donne desiderose di prole. Altri ancora sovrintendono alle at-
tività indispensabili perché, in termini pratici, il gioco dell’amore possa
esprimersi: sono ben protetti i fiorai da Santa Dorotea, i gioiellieri da
Eligio, i profumieri da Maria Maddalena, i poeti da Davide, e natural-
mente i postini dall’Arcangelo Gabriele, portatore di notizie felici. Si
può ben dire, a conti fatti, che nella cura degli innamorati Valentino
non sia solo. n
86
MITI E LEGGENDE
LA MAGIA DELL’AMORE
Amore, attrazione, desiderio, nostalgia: comunque lo si chiami, questo irresistibile richiamo del
cuore che ci fa sospirare e anelare verso qualcuno o qualcosa, questo meraviglioso sentimento che
colma la nostra vita di gioia, è imprescindibile dalla vita stessa, è la forza di coesione dell’Universo.
I termini per indicare questa forza primordiale sono, in varie tradizioni linguistiche, costruiti su
radici esprimenti appunto gioia, nostalgia, slancio, energia vitale...
di Mauro Ruggirello
“L’ amor che move il sole e l’altre stelle”1 recita il Poeta: in questa frase è espresso il con-
cetto dell’Amore universale, dell’Amore Divino, che fa muovere tutto l’Universo. È
l’amore del Padre Celeste e della Madre Universale, che si manifesta nel Creato e che lo governa.
Ma è anche la legge di attrazione universale, che tiene insieme atomi e molecole, sole e pianeti,
stelle e galassie. È l’unione degli opposti, le Nozze Mistiche (Ierogamia), il loro ricongiungimento
nell’unità, nel centro, il fine ultimo del vero amore. Ma vediamo come è stato immaginato l’amore
nelle antiche tradizioni.
Nella cosmogonia orfica, secondo la quale l’Universo è generato dalla Notte e dal Vuoto, l’Amore
nasce da un uovo partorito dalla Notte, l’Uovo Cosmico. Esiodo narra invece che in principio era
il Caos, l’abisso, poi Gaia, la Terra dall’ampio petto, e Tartaro nebbioso, quindi Eros, «il più bello
fra gli dèi immortali, che doma il cuore ed il saggio volere nel petto di tutti gli dèi e di tutti gli
uomini2.» Il termine greco Eros (Ερως o Ερος) aveva originariamente più il senso di desiderio,
passione amorosa, come dimostra la presenza della consonante “R” della radice. La “R” esprime
infatti, secondo Platone (Cratilo), l’idea del moto, l’impulso verso il movimento; compare tra l’al-
87
tro in termini come “correre, tremito, urtare, rompere”, mentre nella tradizione indiana
essa rappresenta la frizione, l’energia, il fuoco.
Secondo altri autori Eros è considerato figlio di Afrodite e di Hermes e per Platone vanta
una duplice natura: se figlio di Afrodite Pàndemos, la “popolare”, quella di desiderio
brutale; di amore spirituale se invece originato da Afrodite Uranìa, la “celeste”3.
La leggenda narra che “l’aurea” Afrodite, la “luminosa” dea dell’amore, sia nata dalla
spuma del mare, in greco aphros (αφρος), quando Crono vi gettò il membro amputato
di suo padre Urano.
Secondo Omero (Odissea) la dea sarebbe originaria dell’isola di Cipro, dove, special-
mente nella città di Pafo, le era dedicato un grandissimo culto. Incarnazione della lussuria
e protettrice delle prostitute (Afrodite Porne), nonché dea dell’amore ideale (Afrodite
Uranìa), sono molti gli elementi che accostano Afrodite al culto della divinità babilonese
dell’amore e della fertilità, Ištar-Astarte, corrispondente alla sumera Inanna, soprattutto
il duplice aspetto già menzionato, di amore spirituale e ardente passione, ma anche quello
di guerriera fredda e crudele.
Così la bella Afrodite, la dea al cui passaggio le nubi minacciose fuggono via, la terra di-
venta un tappeto fiorito e le onde si mettono a ridere, pos-
siede anche un’altra natura, “passionale e bellicosa”. Ella
è infatti all’origine della guerra di Troia, provocata dalla
promessa che la dea aveva fatto a Paride: concedergli
l’amore di Elena se egli le avesse offerto la palma della
bellezza. In un altro mito4 si racconta come ella fosse stata
colta dallo sposo Efesto (Vulcano) in flagrante adulterio
con Ares, dio della guerra, e con questi incatenata ed espo-
sta allo scherno degli altri dèi dell’Olimpo. I due “aspetti”
legati l’uno alla guerra, l’altro all’amore passionale, sep-
pur adultero, già nominati da Platone, compaiono un po’
in tutte le tradizioni, dai Sumeri e Babilonesi ai Celti e
vengono spesso associati alla duplice immagine della dea:
stella del mattino, fredda e crudele, e stella della sera, casta
e lasciva ad un tempo. Ma c’è ancora un mito che dob-
biamo ricordare, quello di Afrodite e Adone, rappresenta-
zione probabilmente del ciclo annuale di fertilità della
terra. Il termine Adone è mutuato dalle lingue semitiche
dell’Asia Minore, in cui significava “Signore”. Non solo,
ma lo stesso mito si ritrova tale e quale in quello sumero-
Tiziano, babilonese di Inanna-Ištar e Dumuzi-Tammuz. In esso si racconta che il dio Adone era
Venere e Adone
così bello che la dea Afrodite si innamorò di lui, e per nasconderlo allo sguardo degli
Nella pag a fianco: dèi, lo affidò a Persefone, regina degli Inferi. Non appena questa lo vide, però, a sua
Jacopo Tintoretto,
Venere Vulcano volta se ne invaghì, rifiutandosi di restituirlo ad Afrodite. Chiamato ad arbitrare la di-
e Marte, 1545-1550 sputa, Zeus allora stabilì che per un terzo dell’anno Adone sarebbe rimasto da solo, per
un terzo con Persefone, e per l’ultimo terzo con Afrodite. Ma Adone concesse alla dea
dell’amore anche la propria parte.
La romana Venere rappresenta l’incontro e la successiva assimilazione, nel III sec. a.C.,
del culto di Afrodite con un’antica divinità italica: l’etrusca Turan (la “Signora”), l’osca
Herentas (da una radice indoeuropea *gher- esprimente il concetto di “amore e deside-
rio”) e l’etrusco-latina Frutis (adattamento del greco Afrodite). Il nome Venere (in lat.
Venus) pare sia stato sviluppato a partire da un più antico termine astratto *uenos, che do-
veva originariamente indicare l’atteggiamento degli umani verso gli dèi, come è testi-
moniato dal verbo latino venerari “venerare”. Sia Venus che venerari possono essere
ricondotti infatti a una radice indoeuropea *wen-, col significato di “desiderare, cercare
di ottenere”, come ad esempio nel sanscrito van- “cercare, desiderare, ottenere”, nel got.
wēns “speranza”, ma anche nell’anglosassone wyn “gioia, felicità” e nell’inglese wish
“desiderio”, win “vincere, guadagnare”5. La dea fu, in particolare, venerata sotto diversi
nomi, come Venus Felix, Venus Victrix e Venus Genetrix. Nei primi due possiamo scor-
gere un parallelo con il summenzionato duplice aspetto della dea. Alla terza invece, Ve-
nere Genitrice, Giulio Cesare fece costruire, nel 46 d.C., un tempio di marmo e d’oro nel
88
suo Foro6. Sempre a Roma si svolgeva, ogni primo di aprile, il culto di Venus Verticor-
dia (“colei che volge i cuori”), invocata per favorire il matrimonio. Lo stesso nome del
mese, in latino aprilis, viene fatto derivare, secondo un’antica leggenda, da aphrilis, a
sua volta collegato al nome di Afrodite e al termine greco aphros “spuma”. In realtà il
termine è strettamente legato al verbo aperire “aprire” e richiama alla mente l’idea di
“aprirsi” riferita allo schiudersi primaverile della natura.
Il greco Eros trova invece un parallelo nel latino Amore e, a proposito di quest’ultimo,
Apuleio (autore latino del II secolo d.C.) narra nella sua opera l’Asino d’oro la bellissima
favola di Amore e Psiche. Di quest’ultima si scorge subito il vero significato: in greco
Psiche, o meglio Psychē rappresenta l’anima. Per quanto riguarda invece Amore, o me-
glio Amor, possiamo dire che la sua etimologia, come quella dei termini latini imparen-
tati amare, amicus, è secondo alcuni riconducibile, assieme al nome etrusco di
Eros-Amore, Aminth, a una radice onomatopeica *am-, essendo infatti *am- una delle
prime sillabe pronunciate dai bambini (amma, mamma). Certo è che la labialità della
consonante “M” invita a pensare alle labbra protruse in cerca del capezzolo o delle lab-
bra della propria amante: rappresenta il sentimento della nostalgia (dal greco = “soffe-
renza per il desiderio di far ritorno a
casa”). Un altro nome di Amore è Cu-
pido, la cui radice indoeuropea *kup- si-
gnificava originariamente “ribollire di
passione” (conservata ad esempio nel-
l’italiano concupire e nel sanscrito ku-
pyati “ribollire di rabbia”).
Pur essendo molto bella, Psiche, la mi-
nore delle tre figlie di un re, non riesce a
trovare uno sposo. Interrogato, l’oracolo
di Mileto risponde che la fanciulla deve
essere condotta, vestita a nozze, su una
rupe altissima e colà abbandonata in at-
tesa di un mostro, suo promesso sposo.
Rapita però da Zefiro e condotta su un
prato fiorito, la fanciulla si addormenta;
al risveglio entra in un palazzo bellis-
simo, dove ogni notte riceve la visita di
un invisibile amante, Amore. Ma perché
duri l’incantesimo, ella non deve mai
guardarlo in viso. Tornata in visita presso la sua famiglia, Psiche viene convinta dalle so-
relle invidiose a illuminare il volto del suo amante, disobbedendo così all’ammonimento.
Questi le appare allora in tutta la sua bellezza, ma subito fugge via. Nascono così varie
disavventure, specialmente provocate da Venere, gelosa e indignata per la disobbedienza.
Ma alla fine è Amore, sempre ardente di passione per la sua bella amata, a salvarla, in-
tercedendo presso Giove, che concede loro di sposarsi, ottenendo dunque l’immortalità.
Una favola bellissima, dunque, in cui è rappresentata simbolicamente la ricerca del-
l’anima, il suo desiderio di “illuminare” e conoscere il volto dell’amore, che invece
“sfugge” al lume della ragione; l’espiazione ed il successivo ricongiungimento e riap-
pacificazione con il proprio “lato” celeste, spirituale: una “discesa” agli inferi e una “ri-
salita” al paradiso, dunque.
Eros o Amore viene spesso rappresentato come un fanciullo alato, nudo, armato di arco
e frecce, o di una torcia, simboli, rispettivamente, del carattere “spirituale” dell’amore
vero, della nudità o verità di ogni autentico sentimento, e della capacità di colpire o in-
fiammare gli animi, sotto forma di passione o desiderio; più di rado Amore regge in
mano un globo, simbolo del suo potere universale.
Alla greca Afrodite ed alla romana Venere corrisponde, nel panteon nordico, la dea
Freyja7. Il suo nome, che significa letteralmente “Signora” (cfr. il nome etrusco della
dea), deriva da una radice *priyo-/priyā con il significato originario di “favorevole, pro-
pizio”, “caro”, e quindi “sposo, sposa”, usata per indicare la persona a noi più vicina, più
cara appunto, e che ritroviamo ad esempio nel sanscrito priya- “caro; sposo, sposa”, prī-
89
“piacere, propiziare”, ma anche in termini indicanti nelle varie lingue concetti In basso:
Sandro Botticelli,
come “amico”, “amore”, “pace” e “libertà”. Figlia di Njörðr8 e sorella di La Primavera,
Freyr9, appartenente alla stirpe divina dei Vani10, di lei si narra che piangesse (part.)
lacrime d’oro per le assenze del suo amato sposo Óðr (forse Odino stesso11,
ma è forte qui il richiamo al mito di Afrodite e Adone) e che avesse a sua volta
due figlie, Hnoss e Gersimi (entrambi: “gemma, gioiello”). La sua dimora era
detta Folkvangr, cioè “campo del popolo o di battaglia”, là dove ella sceglieva
ogni giorno con Odino i caduti in battaglia, volando nel suo travestimento da
falco. In tale aspetto della dea si possono scorgere dei paralleli con la sume-
rica Inanna, nonché, come vedremo, con la Morrígan celtica. Dea dell’amore,
spinto fino anche alla lussuria (di lei si dice che avesse giaciuto con tutti gli
dèi, e persino con suo fratello Freyr), Freyja viene spesso accostata ad animali
prolifici o sensuali come il cinghiale o le cagne, anche se i suoi animali pre-
feriti sono i gatti, e infatti sono proprio due di essi a trainare il suo carro. La
sua preferenza per i gatti la mette inoltre in connessione con la magia, di cui
Freyja è maestra. La sua magica collana, Brísingamen, è infine al centro di al-
cuni racconti in cui si narra di numerosi tentativi compiuti dai giganti, rap-
presentanti le forze del male, per impadronirsene e rappresenta forse
simbolicamente il potere della dea di “legare” con la sua “magia dell’amore”.
Nell’ambito celtico, l’unica figura accostabile a quelle già esaminate è quella
della dea Morrígan, la “Grande Regina”, che appare nei racconti mitologici
irlandesi però più in veste di “guerriera” che di seduttrice; dei due aspetti della
dea visti finora viene perciò posto l’accento sul primo. Di lei si narra che com- NOTE
batté a fianco dei Tuatha Dé Danann (“popolo della dea Danu”) contro i Fir- 1) Dante Alighieri, Divina
bolg (“popolo del sacco”), due delle mitiche stirpi succedutesi sul suolo Commedia, Paradiso, 33:145.
irlandese, nella prima battaglia di Mag Tured e che, avendo offerto il proprio 2) Esiodo, Teogonia, vv. 116-122.
3) Platone, Convito.
amore a Cú Chulainn, il grande eroe delle saghe irlandesi, e ottenuto da que- 4) Omero, Odissea, VIII, vv. 267-
sti solo un rifiuto, lo affrontò prima in forma di serpente acquatico e poi di 366.
5) A questa radice appartiene anche
lupa. Un mito del tutto simile a questo lo ritroviamo nell’epopea di Gilga- il nome dei Veneti, l’antica
meš, l’eroe sumero-babilonese, in cui Ištar, ottenuto un rifiuto da parte del- popolazione italica, e quindi
l’eroe, lo affronta con l’aiuto del Toro del Cielo, concessogli da suo padre anche il nome della città di
Venezia.
Anu, ma Gilgameš riesce a sconfiggere il terribile animale. Ma l’aspetto sotto 6) Com’è noto, Giulio Cesare
cui la dea Morrígan si presenta più di frequente, soprattutto sul campo di bat- riconduceva le proprie origini,
per il tramite di Iulo ed Enea,
taglia, era quello di corvo, e in ciò troviamo un parallelo con la germanica alla mitica dea dell’amore.
Freyja, di cui abbiamo detto poc’anzi. 7) Sanscrito prīyate “è contento,
La Morrígan è stata identificata con la Fata Morgana del ama”, prīti- “gioia”, preman-
“amore”, priya- “caro”; gotico
ciclo arturiano, e inoltre, a causa del suo triplice aspetto, frijōn “amare”, frijaÞwa
con le Modron, le Madri della mitologia cel- “amore”, frijōnds “amico”, freis
“libero”, antico norreno friðr
tica, il che ci conduce a considerare “amore, pace”, tedesco Friede
piuttosto tre aspetti della dea del- “pace”, inglese friend “amico”,
free “libero”; gallese rhydd
l’amore, invece che solo due: e infatti “libero”; ant.slavo prijati
nel Medioevo e soprattutto nel Ri- “essere favorevole, volere
nascimento la dea dell’amore bene”, prijatel’ “amico”; lettone
prieks “gioia”.
viene rappresentata nel triplice 8) Antichissima divinità germanica
aspetto delle Grazie: Castitas, della terra e della fertilità, già
citata da Tacito, nella sua opera
Pulchritudo e Voluptas, rispet- La Germania, con il nome di
tivamente Castità, Bellezza e Nerthus.
Voluttà, che nella famosa Prima- 9) Divinità della fertilità, governa
la pioggia e lo splendore del
vera del Botticelli danzano in cir- sole. Il suo nome è la forma
colo tenendosi per mano: “Amor maschile di quello di Freyja,
con il significato dunque di
Nodus Perpetuus et Copula “Signore”, come il greco Adone
Mundi”, affermerà il grande (Αδονισ).
poeta e filosofo rinascimentale 10) Anch’esso da una radice *wen-,
quella di Venere.
Marsilio Ficino (De Amore, III, 11) Il nome di Óðr e Óðinn
III): “L’Amore è un Nodo risalgono infatti alla medesima
radice con il significato
Perpetuo, l’Anello di Con- originario di “furioso, invasato”.
giunzione del Mondo”. n
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La vita è il fiore Rifiutarsi di amare Se amate qualcuno
per il quale l'amore per paura di soffrire per la sua bellezza,
è il miele. è come rifiutarsi di vivere non è amore
Victor Hugo per paura di morire. ma desiderio.
Jim Morrison Se amate qualcuno
Amami o odiami, per la sua intelligenza,
entrambi sono a mio favore. Dubita che le stelle non è amore
AFORISMI SULL’AMORE
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“Franco cUomo international award”
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gazzina. il padre della scrittrice era un grande comme- di un’area, il Medio oriente, molto calda e molto inte-
diografo e insieme a cuomo ha scritto un testo teatrale ressante, di cui Franco ha tanto scritto ma in chiave
dal titolo “Hotel Lux” sulla tragedia degli italiani che si storico letteraria attraverso i suoi romanzi dedicati ai
lasciarono conquistare dal mito dell’unione sovietica. templari. passato e futuro che si ritrovano”.
“di lei Franco ha letto e ha apprezzato i primi romanzi, tra le premiate con targa speciale Giovanna monta-
e in particolare Vita, il libro che ha vinto il premio naro, sociologa e ricercatrice, che ha studiato la cri-
strega”, racconta Velia Iacovino, giornalista, direttore minalità organizzata, in particolare di tipo mafioso, e il
editoriale di Futuro Quotidiano, e moglie di cuomo, fenomeno del pentitismo. poi c’è irene Pivetti, la più
presidente, insieme al figlio Alberto, del “Franco giovane presidente della camera della storia d’italia.
Cuomo international Award”. “sono stata molto felice oggi presidente di only italia, una rete di imprese ita-
che la giuria abbia deciso di premiare Melania – dice liane che hanno avuto la grande intuizione di coniu-
– Franco rimase fin da subito molto colpito dalla stra- gare le azioni di commercializzazione con la
ordinaria trama della sua scrittura, dalla magia e dalla promozione della cultura italiana all’estero, a comin-
poesia che scaturivano dal modo semplice in cui la ciare dalla cina. a lei e alla sua only italia è andato il
Mazzucco racconta”. premio speciale di ancislink, l’associazione no-pro-
“bravissime anche le altre premiate”, aggiunge. fit, che ha organizzato il “Franco Cuomo internatio-
“maria Pia Fiorentino, alla quale è andato il premio nal Award”.
speciale, è una giornalista straordinaria e coraggiosa. ecco gli altri vincitori: Giovanni Floris per la sezione
Franco è stato tra i suoi collaboratori, quando dirigeva Letteratura - valorizzazione di nuove esperienze cul-
indimenticabili riviste come Abstracta. da oltre un turali. emilio Gentile per la sezione saggistica;
anno ha dato vita a ‘L’Eterno Ulisse’, uno dei maga- marco Giorgetti per la sezione teatro; il “teatro pal-
zine più interessanti del panorama culturale italiano, ladium” per la sezione teatro-valorizzazione di nuove
che tocca grandi temi, percorrendo insoliti itinerari del esperienze culturali. a selezionare i premiati è stata una
grande mondo della conoscenza”. “Maria pia Fioren- giuria di grande prestigio, composta da intellettuali
tino, giornalista e saggista, direttore dell’Eterno Ulisse, ed esponenti del mondo della cultura: Otello Lottini,
rivista dedicata alla storia, ma anche al mito, al simbo- docente del dipartimento di Lingue Letterature e cul-
lismo e alla spiritualità, viene premiata da ancislink – ture straniere dell’università Roma tre che ne è il pre-
si legge nelle motivazioni – con un riconoscimento sidente; il regista Maurizio Scaparro; il presidente del
alla carriera, per il continuo e intelligente lavoro di di- gruppo gmg e direttore dell’agenzia adnkronos Giu-
vulgazione dei grandi temi e dei grandi interrogativi seppe Marra; Emilia Costantini, giornalista del cor-
della conoscenza umana, svolto sempre con professio- riere della sera, critico teatrale e scrittrice; Alessandro
nalità e competenza e con originali metodiche inter- Bianchi, urbanista docente all’università Mediterra-
pretative. nea di Reggio calabria; Giancarlo Bosetti, direttore
Maria pia Fiorentino ha ideato e diretto alcune tra le della rivista reset; Giampiero Mele, imprenditore e
più qualificate testate di approccio metafisico e storico- saggista; Emanuele Lelli, ricercatore all’università La
culturale ai temi e ai misteri della conoscenza, quali Ab- sapienza; Paolo Acanfora, docente di storia contem-
stracta e MagicaMente, oltre che autrice di numerosi poranea alla iulm di Milano e alla Lumsa di Roma.
saggi, tra i quali Psicologia del volto e Giuseppe Cal- il premio ha ottenuto il patrocinio del senato della Re-
ligaris, precursore di una nuova era”. pubblica - presidenza del consiglio dei Ministri – Mi-
“azzurra meringolo, che ha vinto per la sezione sag- nistero dei beni culturali ed ambientali e del turismo.
gistica – valorizzazione di nuove esperienze culturali – partners: Reset doc, Futuro Quotidiano, istituto pan-
prosegue velia iacovino – è una giovane collega che fa theon technology & design. con la collaborazione di
in maniera nuova il mestiere di giornalista. e si occupa unicredit s.p.a.
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In BIBlIoteca
Sapienza indigena:
ricchezza Simbolica e metafiSica
a cura di Rigel Langella
U n vero miracolo editoriale, una scelta coraggiosa della Marsilio la ristampa dell’Opera
omnia di E. Zolla, curata con passione e acribia critica da Grazia Marchianò, ricostituita
nel segno di una cultura italiana del tutto originale e soprattutto partecipe, ben rara tra gli espo-
nenti di quella che, con un certo sarcasmo, l’Autore definiva “truppa accademica”.
Il testo, apparso per la prima volta nel 1969 e subito tradotto in francese e inglese, ebbe una
grande risonanza negli Stati Uniti, tanto da costituire un punto di svolta negli studi di america-
nistica: non un saggio dotto e pedante, bensì la cronaca ragionata
di una “disfatta intellettuale”, che è andata in parallelo con la di-
scriminazione, prima, e la distruzione, poi, delle popolazioni au-
toctone di interi continenti, da parte dei colonizzatori europei. Non
una storia lineare, ma un procedere a cerchi concentrici, come
nella migliore saggistica zolliana, al contempo scientifica ma in-
tessuta pure di preziosi riferimenti sapienziali, di brani di alto va-
lore letterario o poetico, che conquistano il lettore attento e
partecipe per condurlo, ma senza alcun intento pedagogico, in un
labirinto di meraviglie e di orrori.
Terribile l’analisi disincantata degli eventi: mentre l’occidente si
apriva a nuovi metodi di ricerca, mentre si andava affermando
l’etnologia scientifica, i nativi d’America andavano al contempo
perdendo la loro sapienza millenaria, dimenticando quell’ance-
strale retaggio culturale, capace di collegare profondamente mi-
crocosmo e macrocosmo.
Nel suo peregrinare, alla ricerca di tracce labilissime, Zolla in-
contra e descrive vecchi sciamani rimasti ormai soli a ripetere ri-
tuali che nessuno vuole più imparare, mentre al razzismo, che
portò al genocidio sistematico, si sostituisce nell’Occidentale un
tardivo sentimento di compassione, altrettanto deleterio.
Una citazione da Emerson, definito epigono dello spirito puri-
tano, esemplifica benissimo l’intento chiarificatore di Zolla: «L’uomo della foresta ben può
attrarre la compassione dei coloni. La sua figura dritta e perfetta, benché mostrasse qualche
irregolare virtù, era congiunta a un’anima sminuita». Non ci si meravigli, dunque: la defini-
zione di Thomas Hooker aveva fatto scuola: the ruins of mankind. I “musi rossi” erano la ro-
vina dell’umanità …
A leggere queste riflessioni si può ritenere che il saggio raccolga il groppo della coscienza nera
dell’occidente, ma non è questo l’intento degli scritti. Zolla si accosta a ogni argomento senza
preclusioni ideologiche e senza la pretesa di distillare scontati giudizi morali.
“Sfida alla mediocrità”, dunque, registrando le tracce della sconfitta ma non scomparsa cultura
sciamanica passata, talora quasi inconsciamente, nella migliore letteratura americana. Ci fa co-
noscere idee e fatti, nascosti nelle pieghe della storia dei vinti, storia dimenticata. Al contempo
sciorina storie di vite esemplari, di singole personalità che hanno saputo opporsi ai pregiudizi
della massa indottrinata e ideologizzata, forti come salmoni capaci di risalire la corrente del
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fiume della storia. Basti citare, nel capitolo dedicato a La letteratura della reverenza, la mente il-
luminata di Mary Austin, che visse a fianco dei nativi della California meridionale, derisa in vita,
sebbene proprio a lei si deve la storia della letteratura americana aborigena, accolta nella Cam-
bridge History of American Literature. Senza dimenticare John Neihardt, che pubblicò le memo-
rie del mitico capo Alce Nero, tramandandoci i messaggi provenienti dal Tuono, o Ida Halpern,
emigrata nel 1940 da Vienna nella Columbia Britannica, dove ebbe l’incontro fatidico con un in-
digeno che le insegnò canzoni iniziatiche con un’incredibile varietà di note “stranamente situate”.
Infine, Zolla si accosta pure, con grande libertà intellettuale, al controverso universo dischiuso
alle generazioni hippies da Carlos Castaneda, alle prese con il maestro yaqui che nei deserti del
Nuovo Messico lo inizia al potere magico, senza demonizzazioni o beatificazioni, fanatismi o re-
pulsioni, che hanno caratterizzato la critica recente.
L’impresa di realizzare la ristampa del saggio zolliano intercetta una domanda crescente di senso,
che è come un fiume carsico nella società contemporanea, tra alienazione individuale e omolo-
gazione collettiva, perdita di senso e massificazione. La soluzione ai problemi dell’umanità, se-
condo la prassi seguita da Zolla, può essere ricercata nella cultura, nei testi classici sapienziali, nella
tradizione, nella conoscenza delle scienze madri dell’umanità, compreso il sapere sciamanico,
perché la metafisica non è nei libri, ma nella vita. Non arida conoscenza intellettuale ma esperienza
catartica e palingenesi.
Infine, non si può citare Zolla senza ricordare Grazia Marchianò, custode devota della memoria
e ricercatrice profonda della materia, che è riuscita, grazie alla sua indomabile tenacia, nell’im-
possibile: non solo la ristampa accurata per i tipi di Marsilio dell’opera omnia, un’impresa edito-
riale dalla quale, ormai, ogni stampatore rifugge, come ricordato in apertura, ma soprattutto
tentando, in tempi difficili e ostili, di perpetuarne non tanto la memoria bensì la lezione, con la fon-
dazione dell’AIREZ (www.elemirezolla.org).n
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Prosegue il viaggio
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