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IL FU MATTIA PASCAL

Nel 1903, in seguito al dissesto economico dell'azienda paterna e alla malattia della moglie, fu
costretto a intensificare il proprio lavoro, e scrisse il romanzo Il fu Mattia Pascal (1904), che segnò
l'apparizione del primo personaggio pirandelliano concepito fuori d'ogni giustificazione veristica.
Tra il 1910 e il 1915 portò a maturazione quello sconcertante dissolvimento del personaggio che
culminerà in Uno, nessuno e centomila (1925-1926). Contemporaneamente, si aprì per Pirandello
la grande avventura teatrale, che lo portò nel giro di pochi anni alla fama internazionale.

PREMESSE I E II
-Monsignor Boccamazza nel 1803 aveva lasciato in eredità al comune la biblioteca e i libri
Il consiglio di scrivere gli è stato suggerito dal reverendo amico Eligio Pellegrinotto che lo
aiuterà nella stesura del memoir.

VISIONE ASTRONOMICA <<MALEDETTO SIA COPERNICO>>: Nella premessa


seconda (filosofica) a mo’ di scusa lo scrittore siciliano fa chiaro riferimento alla crisi
segnata dopo dalle teorie copernicane spesso denominata “perdita del centro”, ovvero
perdita di quella certezza fondamentale, che aveva sostenuto l’uomo antico e soprattutto
rinascimentale, di essere al centro dell’universo e di avere pertanto una dignità
incontestabile, dignità che dava senso e fondatezza a tutte le imprese umane. Ma per
Pirandello ormai l’uomo non è più niente, è solo un puntino smarrito nell’immensità non
misurabile dell’universo, una nullità che non può vantare pretese, una nullità le cui gesta
ed azioni perdono il loro significato se commensurate con il resto della realtà.
La narrazione di tali azioni è quindi del tutto priva di senso e di utilità. Se la vita di un
uomo è nulla, la letteratura non serva a nulla. Pirandello antepone alla narrazione
vera a propria, vediamo Mattia Pascal riflettere proprio su quello che è
l’andamento riflessivo e intransitivo della scrittura, interrogandosi non tanto sullo
stile più adatto da utilizzare nel proprio memoir, quanto sulla possibilità stessa di
poter continuare a narrare qualcosa. Se la narrazione di stampo tradizionale, infatti,
presuppone la fiducia nella centralità dell’individuo e la certezza di un tempo lineare, la
scoperta del relativismo dell’esistenza e la coscienza della crisi sembrano a
questo punto inficiare la possibilità stessa dell’atto narrativo. Dal momento in
cui l’uomo ha scoperto la sua infinita piccolezza e insignificanza, che valore possono ancora
avere, si chiede Mattia Pascal rispetto a quella che è l’intera esistenza universale? Ma per
fortuna, come gli fa notare il suo amico e protettore Don Eligio Pellegrinotto, «l’uomo si
distrae facilmente», e proprio in virtù di questa «distrazione provvidenziale» che
Mattia potrà parlare di sé. L’ironia di Pirandello, in proposito, è feroce e corrosiva: l’atto
narrativo in età moderna ai suoi occhi non è altro che una scommessa basata
sul nulla, una fugace distrazione della coscienza, in grado quindi di essere cinicamente
sfruttata a proprio vantaggio.
Scrivendo, l’uomo continua ad illudersi e illudendosi si distrae e allora la letteratura ha
senso come momento di distrazione.

Capitolo V: morte delle figlie


Capitolo VI: cambia l’ambientazione> Montecarlo in cui vince una grande somma di
denaro.

Capitolo VII: MORTE DI MATTIA PASCAL - Si trova ad Alenga e compra il giornale alla
farmacia Grottanelli
albergo: locanda del Palmentino
il giornale di Miragno è il Foglietto il cui direttore è Miro Colzi chiamato Lodoletta

Capitolo IX: aspirazione alla vita> dopo il tram ritorna in albergo e spinto dalla noia
parla labiale con il canarino che pensa davvero qualcuno gli parli. D’altronde non avviene
anche a noi uomini qualcosa di simile? ovvero che la natura ci parli e che cerchiamo di
cogliere il senso nelle sue voci misteriose. Si chiede se quasi quasi stia per diventare un
filosofo a causa dell’ozio. Richiama molto il dialogo tra la Natura e un Islandese di
Leopardi.

Capitolo X: Trova una casa in via Ripetta a Roma e sta in una camera affittata da
Anselmo Paleari e dalla figlia Adriana.
- Anselmo Paleari era iscritto alla scuola teosofica. Era stato licenziato e adesso era
totalmente immerso nei suoi fantastici studi e nelle sue nuvolose meditazioni ,
astraendosi più che mai dalla vita.
- -Viene citato Giacomo Leopardi

Capitolo XI: riflessioni sulla libertà

Capitolo XIII: Lanterninosofia > all’uomo è toccato di sentir vivere gli altri uomini e
di considerare la realtà attorno a noi come il sentimento della vita. Questo sentimento di
vita è un LANTERNINO che ognuno porta acceso e che ci fa vedere sperduti sulla terra.
Esso ci mostra il male e il bene , poiché proietta attorno a noi un cerchio di luce più
meno ampio, oltre alla quale esiste l’ombra nera. Quest’ombra non esisterebbe se non ci
fosse il lanternino.
Esistono diversi colori di lanternini e in base al vetro si ha un’illusione diversa e soggettiva
della vita. Inoltre in base al periodo storico o di vita abbiamo la predominanza di un colore,
piuttosto che un altro. Tra gli uomini in alcune età della storia, infatti, si accorda un
sentimento che dà luce e colori ai lanternoni : verità, amore, bellezza, onore..
Ad esempio il lanternone della Virtù pagana è rosso, mentre la virtù cristiana violetto.
Il lume di un’idea comune è alimentato dal sentimento collettivo e se questo si scinde la
fiamma dell’idea comincia a indebolirsi, e questo succede nei periodo di transizione. Invece
quando avvengono delle forti ventate che li spengono, è il caos totale: chi va di qua e chi va
di là, nessuno trova la giusta via, allo stesso modo delle formiche che non trovano più la
bocca del formicaio otturata da un bambino dispettoso. Quando una lanterna manca
dell’olio sacro, molti vanno in chiesa a provvedere dell’alimento necessario per queste.
Quindi cosa è la morte? la morte non è l’estinzione della vita, ma un soffio che spegne in
noi questo lanternino. Inoltre noi abbiamo sempre vissuto con l’universo e partecipiamo a
tutte le sue manifestazioni, ma questo lanternino che ha una luce limitata, ci fa vedere solo
poco e in modo non reale perché colora la realtà a modo suo.
XV capitolo: dopo il bacio fra Adriano e Adriana, Meis si sente in colpa poiché pensa che
quel bacio sia stato dato dall’ombra di un uomo e da labbra di un morto, data la sua
situazione. Pensa di non poter rivelare ad Adriana tutto, poiché la trascinerebbe nella sua
mala sorte. Quando deve pagare il dottore, si accorge che ,mancano 12.000 lire e che
sicuramente è stato Papiano a rubarli. Ovviamente Meis non vuole denunziare per evitare
che possa essere scoperto.
Lui è morto per la vita e vivo per la morte > se fosse stato un mascalzone avrebbe
benissimo accettato la sua sorte, ovvero di vivere sul filo dell’incertezza. A un certo punto
esce da casa, guarda la sua ombra e prova a calpestare, anche se impossibile. Si chiede, chi
sia più ombra dei due.. la sua è l’ombra di un morto
In questo capitolo quindi assistiamo ad una vera e propria crisi di identità indotta
dall’autore stesso> Pirandello spinge Adriano a trovare Mattia Pascal.

XVI: Adriana rivela tutto sul furto, ma Adriano smentisce per evitare di andare alla
polizia. Dopo essersi recato a casa del marchese Giglio D’Auletta, parla con Pepita per far
ingelosire Adriana, ma subito dopo litiga con un artista e scappa. Non sapendo dove
andare, si reca sul ponte Margherita

XVII: Mattia dopo due anni a Roma torna, ma prima sosta a Pisa, per non far
corrispondere la morte di Adriano Meis con il ritorno di lui.

A volte Pirandello cita gli alberghi in cui è stato realmente, quindi i riferimenti sono scelti
appositamente > la geografia ritorna. Dal punto di vista fisico torna come nuovo,
l’operazione agli occhi aveva anche aggiustato il problema all’occhio.

Quando incontra il fratello Berto, incredulo di vederlo, gli viene comunicato che Rominlda
si è risposata con Pomino. Questo suscita un riso amaro. Allo stesso modo di don Fabrizio
che ride dinanzi gli eventi. Lui è disposto ad affrontare la nuova realtà, a rinunciare alla
moglie e alla suocera. Inoltre la moglie ha avuto un’altra figlia. Le nuove nozze però non
valgono perché lei risulta essere ancora sposata con MP.

XVIII
Ritorna al paese> una sensazione malinconica alla vista del luogo natio. Ritorna ad abitare
a casa di zia Scolastica e grazie a don Eligio scrive la sua avventura. Dopo alla fine del libro,
si reca alla tomba di Mattia pascal per portare i fiori.Quando qualcuno gli chi chiede chi
sia, lui risponde : IL FU MATTIA PASCAL (Struttura circolare: il testo comincia con
Io sono MP e finisce con io sono il fu MP)

L’occhio di Mattia
Nel romanzo, la condizione di inettitudine, del sentirsi impreparati e inadeguati alla vita, è
chiaramente espressa dall’occhio storto di Mattia Pascal che, oltre ad evidenziare la
problematica del personaggio ai margini della società che si vede vivere, si giudica e, capito
il gioco, non riesce più ad ingannarsi, accentua, per questo, la differenza soprattutto
psicologica con gli abitanti del suo paese. Sin dall’inizio del romanzo, l’occhio storto di
Mattia che “guada più che mai altrove, altrove per conto suo”, “dove più gli piace”, mette in
risalto il suo desiderio di libertà, la “sua diversità e la sua mancata appartenenza al piccolo
mondo di Miragno” (ibidem).
Ed anche quando Mattia, fuggito dalla situazione familiare sempre più insostenibile e divenuto
Adriano Meis, camufferà il suo aspetto per divenire difficilmente riconoscibile, l’occhio storto “così
in estasi” farà costantemente riaffiorare nel suo animo il triste ricordo del suo passato.
UMORISMO: AVVERTIMENTO E SENTIMENTO DEL CONTRARIO

Dalla visione relativistica della realtà nasce la poetica dell’umorismo, ovvero


l’attitudine a cogliere la frattura tra realtà e apparenza, a penetrare oltre la
forma per mostrare l’Io diviso, a cogliere il “sentimento del contrario”.
Per Pirandello l’avvertimento del contrario corrisponde al comico e nasce dal
contrasto tra l'apparenza e la realtà. Nel saggio. Pirandello ci fornisce un esempio
molto chiarificatore:«Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di
qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi
metto a ridere."Avverto" che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile
signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa
espressione comica. Il comico è appunto un "avvertimento del contrario”»
Invece, l'umorismo, o il "sentimento del contrario", deriva da una considerazione
meno superficiale e da una riflessione più attenta dei fatti. Infatti, Pirandello scrive a
questo proposito:
«Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non
prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa
soltanto perché pietosamente, s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le
canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non
posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto
andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo
avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è
tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico»
La comicità provoca la risata che deriva da una situazione contraria al senso
comune, mentre l’umorismo nasce da una riflessione che genera un
sentimento di compassione che, a sua volta, genera comprensione per le
debolezze e le fragilità altrui.

RELATIVISMO PIRANDELLIANO:

Il relativismo di Pirandello nasce dal contrasto tra vita e forma e riguarda da una parte
il rapporto interpersonale tra individuo e gli altri e dall'altra il rapporto tra individuo e se
stesso. Nascendo in una società precostituita, l'uomo si trova a vivere secondo una parte a
lui assegnata, da cui non può sottrarsi. Ciascuno è costretto a seguire le regole e i principi
che la società impone, solo il caso può portare l'individuo a liberarsi, come accade a Mattia
Pascal nel romanzo di Pirandello, ma a costo di dover rinunciare alla vita, alla forma
precedente. L'uomo, inoltre, indossando una maschera, o recitando una parte assegnata,
non può essere capito e capire gli altri, dal momento che dietro la maschera si nascondono
personalità e individualità molteplici e complesse. Questo porta all'incomunicabilità tra
individui, dal momento che ognuno possiede un proprio modo di vedere la realtà,
credendo in una propria verità. Questo provoca un senso di solitudine nell'individuo e di
esclusione dagli altri, come da se stessi.
La forma è la “parte fissa” che l’uomo è costretto dalle convenzioni sociali a “recitare” e
per mezzo della quale egli s’inserisce nelle relazioni sociali che, prese nel loro insieme,
appaiono come un complesso e gigantesco “gioco delle parti”. La vita invece è un fluire
continuo e dinamico della nostra coscienza. L’individuo è portato, dal “vizio” del
raziocinio, a fissare il fluire continuo della vita in forme stabili, quali i valori mortali, gli
ideali, i concetti, gli assiomi, le convenzioni e i ruoli e tutte le altre costruzioni della mente
che però si rivelano fittizi.
La forma “uccide” la vita perché pretende di fissare ciò che è mobile, mutabile, fluido,
perché tende a dare un valore assoluto a ciò che è relativo. Così l’individuo s’illude,
calandosi in ognuna di queste “forme”chiuse che sono i ruoli imposti dal suo relazionarsi
sociale, di aver realizzato il meglio di sé; ma, una volta assunta la “forma”, una volta
calatosi nella parte, l’uomo non può liberarsene, la società non glielo permetterebbe.

IL DRAMMA DI VEDERSI VIVERE - ADRIANO TILGHER

Il suo teatro inscena il dramma di vedersi vivere; è la vita allo specchio, l'io che si separa
dalla sua vita e la vede dall'esterno, riflessa. «Conoscersi è morire» dice lo stesso
Pirandello in una sua novella, La carriola. Il conflitto tra Forma e Vita è alle origini
del suo drammatico relativismo. Da una parte, essa è obbligata a darsi Forma, ad essere
questa vita, così determinata, dall'altra, in quanto Vita, essa è anelito perpetuo a spezzare
ogni Forma ed a slanciarsi nel regno di una pura assoluta infinita libertà. Un
personaggio che si vede vivere è perciò un personaggio che, d'improvviso,
percepisce i limiti sempre angusti, meschini, asfissianti in cui scorre o, a dir
meglio, stagna la sua vita, e il fatto stesso di percepire quei limiti prova la più
cocente nostalgia di una vita tutta ebbrezza di libertà assoluta.

La Carriola
Il protagonista di questa novella è un illustre avvocato e professore di diritto. E' un uomo
stimato e rispettato, al quale tutto il paese di residenza si rivolge per consigli e
suggerimenti. La famiglia è la società considerano l'avvocato come un uomo perfetto,
incapace di commettere errori. L'avvocato, quindi, per non rovinare le aspettative è
costretto a rivestire il ruolo dell'uomo perfetto.Il protagonista è un avvocato che si rende
conto di non potersi liberare della forma che gli altri gli hanno dato; perciò manifesta la sua
ribellione compiendo in gran segreto, tutti i giorni, un particolare atto. Prende la sua
cagnetta per le zampine posteriori e le fa compiere la carriola. Essa dopo questa "tortura"
fissa il proprio padrone con paura e rappresenta lo sguardo della società.

TEMA DEL DOPPIO


Nelle opere di Pirandello il tema del doppio è presentato sempre in maniera diversa: nel Fu
Mattia Pascal si esprime attraverso l’interazione tra le due esistenze del protagonista.
E' un “fantasma senza volto” costretto a vivere di quella identità che gli altri gli hanno dato.
La sua vita gli è ormai stata tolta per sempre. L’esperienza di Mattia Pascal mette in
evidenza l’incapacità umana di liberarsi dalle maschere che la società impone all’uomo
(l’apparenza) e l’immobilità della propria condizione. Mattia Pascal è un uomo del passato,
e per la società la sua esistenza rimane circoscritta ad essa: continua ad esistere per se
stesso, ma senza riscontro al di fuori di sè. In lui resta l’attaccamento alla vita sociale, alla
“trappola”, che lo costringe a vivere estraniato. La sua condizione è quella di un “forestiero
della vita”, costretto ad essere consapevole di non essere più nessuno. Mattia Pascal è un
uomo scisso, sdoppiato, che sente di essere solo uno spettatore estraneo della vita. Il
tentativo di crearsi un nuovo volto risulta fallimentare. La scelta di Mattia Pascal di
diventare Adriano Meis gli impedisce di vivere non meno della sua identità precedente. La
sua essenza è “sospesa”, come è detto da lui stesso in un passo del libro “io non saprei
proprio dire ch’io sia”.

A questo schema ternario si abbina, in tutto il testo, un continuo gioco di “doppi”: coppie di termini, ripeti- zioni,
opposizioni, antitesi, chiasmi ecc. Il culmine è l’immagine finale: la testa di un’ombra, e non l’ombra di una testa, con
accumulo di ripetizione, antitesi, chiasmo.

Nel secondo momento il protagonista riscopre e rivendica comunque la sostanza del proprio essere (avere un cuore,
possedere denari, avere una testa), nonostante l’impossi- bilità di dare ad esso una consistenza normale e ufficiale (il
cuore non poteva amare, chiunque può rubargli i denari, la testa può solo capire di appartenere ad un’ombra). Dunque,
ciò che manca all’uomo-ombra Adriano Meis è soltanto la forma dell’esistenza, non la sua sostanza: l’ombra in realtà è
cosa viva. Perciò, con un sentimento di profonda pietà, si riconcilia con la propria ombra: sente ora il dolore che
precedentemente le hanno provocato il cavallo, il carro, i passanti calpestandola; non vuole lasciarla più lì, esposta, per
terra (ri- ghe 35-36): la porta via salendo sul primo tram che passa.

SCAPIGLIATURA 1860-1880: A partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento nasce in Italia, in


particolare a Milano e Torino, un movimento artistico e letterario contraddistinto dal nome
di Scapigliatura. Gli autori di questo movimento si caratterizzano per una reazione al
Romanticismo italiano (individuato nelle opere di Leopardi e Manzoni), e una ribellione contro la
cultura risorgimental-borghese, e, più in generale, contro i conformismi e le ipocrisie della società
ufficiale. Questo rifiuto si concretizza per gli "scapigliati" - termine che designa appunto il loro
aspetto trasandato e ribelle. Così Cletto Arrighi (pseudonimo di Carlo Righetti, 1830-1906),
autore del romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio (1862), collega il movimento a un
modello esistenziale ed estetico basato sul termine francese “bohème”, cioè di una vita
disordinata e sregolata. La vicenda del romanzo si svolge nei giorni tra il 3 e il 6
febbraio 1853.

VERISMO (1875-1895): Il Verismo è una corrente letteraria nata all'incirca fra il 1875
e il 1895 ad opera di Giovanni Verga e Luigi Capuana. Il Verismo nasce a Milano sotto
influenza del clima positivista, quell'assoluta fiducia nella scienza, nel metodo
sperimentale e negli strumenti infallibili della ricerca che si sviluppa e prospera dal 1830
fino alla fine del XIX secolo. Inoltre, il Verismo si ispira in maniera evidente al
Naturalismo, un movimento letterario diffuso in Francia a metà ottocento. Per gli scrittori
naturalisti la letteratura deve fotografare oggettivamente la realtà sociale e
umana, rappresentandone rigorosamente le classi, comprese quelle più umili, in ogni
aspetto anche sgradevole; gli autori devono comportarsi come gli scienziati analizzando gli
aspetti concreti della vita. Il Verismo deriva dal Naturalismo francese ma presenta anche
dei caratteri diversi e originali. Tutte e due le correnti sono basate sul vero, e gli autori si
propongono di raccontare la realtà, così com’è e senza abbellirla. Mentre nel Naturalismo
gli autori si occupano di descrivere le condizioni del proletariato urbano , il Verismo, che si
sviluppa soprattutto nel sud Italia, si occupa degli ambienti rurali, quindi ai contadini (nel
sud non sono presenti industrie).

Caratteristiche letterarie del Verismo: la fotografia della realtà: gli scrittori devono
descrivere la realtà così com’è, senza alterarla;
- il pessimismo: le opere dei veristi esprimono una concezione pessimistica della vita;
l’unità nazionale non ha cambiato le sorti delle classi più povere;
- l’impersonalità: gli autori non devono commentare la realtà, e devono descriverla in
modo oggettivo (Giovanni Verga, nelle sue opere, cerca di rimanere imparziale; i critici, in
seguito, leggendo le sue opere, diranno che non è rimasto imparziale);
- il linguaggio: viene utilizzato un linguaggio dialettale, semplice e diretto al pubblico
perché i protagonisti delle opere sono le classi povere.

FUTURISMO 1909: Futurismo significa “arte del futuro”. Fu un movimento


artistico- letterario d’avanguardia, nato in Italia e fondato da Filippo Tommaso
Marinetti che pubblicò il Manifesto del Futurismo nella Gazzetta dell’Emilia di
Bologna il 5 febbraio 1909 e nel quotidiano francese “Le Figaro” nel 1909. Il
futurismo proclama la rottura completa col passato, la distruzione delle biblioteche, dei
musei e delle accademie e la liberazione dell’Italia da professori, archeologi, antiquari…Al
passato contrappone la moderna civiltà della macchina, la bellezza e l’ebbrezza della
velocità. Altra notevole caratteristica del Futurismo fu la sua aggressività, la sua
esaltazione della violenza, che portava a dichiarare: “noi vogliamo esaltare il movimento
aggressivo...lo schiaffo ed il pugno”, fino ad arrivare alla glorificazione della violenza
estrema, cioè la guerra.

La poetica futurista è chiaramente indicata nel Manifesto tecnico della letteratura futurista
(1912).
Essa, per quanto riguarda le forme, parte dall’idea che bisogna “liberare le parole…dalla prigione
del periodo latino” che è lento, razionale, incapace si esprimere il dinamismo della vita
contemporanea. Bisogna perciò distruggere la sintassi tradizionale; bisogna usare il
verbo all’infinito per rendere il senso della continuità della vita, abolire l’aggettivo,
l’avverbio e la punteggiatura che rallentano il discorso, abolire la metrica. Bisogna
usare l’analogia, al posto della metafora,. L’abolizione del periodo attraverso l’abolizione dei nessi
sintattici, dei segni di interpunzione, degli aggettivi qualificativi e degli avverbi.

LE AVANGUARDIE
Sono movimenti intellettuali e artistici totalizzanti, ovvero che si occupano di tutto, nati in risposta ai
movimenti del Decadentismo e Naturalismo con lo scopo di ricercare una nuova arte, un nuovo
stimolo. Gli artisti d'avanguardia negano, la tradizione, la memoria, il gusto e i valori soprattutto
della società di massa. Sostenevano invece un'arte che esprimesse l'inconscio, la  rottura col
passato e l'accelerazione verso la modernità. L'insuccesso dei movimenti d'avanguardia fu dovuto
alla forte contraddizione che era alla base di ognuno di essi. I gruppi di avanguardie infatti
disprezzavano il gusto della massa, del pubblico ma allo stesso tempo ricercavano in loro
l'approvazione della loro arte e del loro pensiero.
I principali movimenti d'avanguardia furono: l'Espressionismo, il Futurismo, il Dadaismo e il
Surrealismo.

VERGA
La prima fase comprende le opere del periodo preverista ed è ispirata a temi
storico-patriottici, e alle poetiche del romanticismo e della scapigliatura.
- La seconda fase coincide con l'adesione al verismo e comprende le sue opere
principali.
- La terza fase include le ultime raccolte di novelle e alcuni lavori teatrali

Fase preverista: Una peccatrice, storia di una capinera. eros, Eva e tigre reale

primi romanzi della fase romantico-patriottica sono caratterizzati dalla ricerca di effetti,
dall’artificiosità dell’intreccio, da un esasperato patriottismo. Lo stile è improntato a toni
enfatici e alla ricerca di tinte forti. I temi e le situazioni descritti sono di gusto tardo
romantico, o suggeriti dalla letteratura d’appendice francese contemporanea: impetuose
passioni, spesso contrastate o vissute in modo drammatico, lussuriose e bizzarre donne
fatali dalla conturbante bellezza, la ricerca del piacere e della ricchezza, il mondo del teatro
e figure di giovani artisti in cerca di successo.

Dopo aver scritto romanzi riguardanti temi romantici e scapigliati, Verga (a partire dal
1874) si dedicò alla lettura dei principali autori realisti e naturalisti, che già l’amico Luigi
Capuana stava contribuendo a far conoscere in Italia grazie ai suoi articoli pubblicati sul
Corriere della Sera. Alcuni critici considerano “Nedda” il primo testo verista di Verga per
la scelta di un soggetto legato al mondo degli umili, ma in realtà la novella anticipa solo i
temi del verismo ma non ne possiede le tecniche narrative poiché ancora compare la figura
del narratore onnisciente in terza persona che commenta le vicende dei personaggi. Sarà
poi “Rosso Malpelo” ad inaugurare la stagione della produzione verista dato che, anche
in questo caso, il protagonista appartiene al mondo degli umili, ma cambia il punto di vista
della narrazione perché si passa dal narratore onnisciente al narratore impersonale.

Impostazione filosofica: Sul piano filosofico Verga rivela un’impostazione di tipo


positivistico, materialistico e deterministico. È positivistica perché parte dal presupposto
che la verità sia oggettiva e scientifica. È materialistica perché il comportamento umano è
assimilato a quello di ogni altro animale ed in dipendenza dall’egoismo individuale e
deterministica perché nega la libertà del soggetto, il quale è determinato dall’ambiente,
dalle leggi e dal condizionamento ereditario.
Scrittore-scienziato: Sul piano letterario Verga avvia una poetica antiromantica
escludendo l’idealismo e la soggettività dell’io narrante. Nell’opera non si devono vedere né
i sentimenti né l’ideologia dell’autore, il quale deve comportarsi come uno scienziato, deve
solo mostrare i rapporti causa-effetto.

Eclissi dell’autore: L’autore deve sparire dalla propria opera, senza lasciarvi tracce della
propria personalità. È anche esclusa la presentazione dei personaggi da parte del
narratore. Lo scrittore deve annullarsi assumendo la prospettiva culturale e linguistica dei
personaggi.
La regressione:Dal momento che l'autore si eclissa, il narratore deve appartenere al
mondo rappresentato, quindi per assumere il punto di vista dei personaggi di una
determinata realtà sociale si utilizza l'artificio della regressione:cioè il narratore regredisce
al livello sociale e culturale dei personaggi per meglio rappresentarli.
Lo straniamento: Consiste nel rappresentare come strano ciò che non lo è, in modo da
aumentare il divario tra la visione del mondo del narratore e dei personaggi della storia e
quella dell'autore e dei lettori che invece sono esterni alla vicenda.

CAPUANA: E' stato, insieme a Giovanni Verga, il principale diffusore del modello
naturalista in Italia, che ha posto le basi alla nascita del Verismo.
Durante gli anni milanesi fu divulgatore del Naturalismo francese e contribuì con Verga a
elaborare la poetica del Verismo italiano. Lavorò a Milano per il Corriere della Sera.

Fornito di capacità critiche superiori alle sue doti inventive, Capuana fu propugnatore del metodo
impersonale nell'arte, diffondendo in Italia il verbo naturalistico. Negli Studi di letteratura
contemporanea (1879-82) sostenne la necessità di un tipo di romanzo che fosse “documento”
della realtà e ne indagasse gli aspetti con metodo scientifico.
Nel romanzo Giacinta (1879) domina un'attenzione esclusiva per il “documento umano”; mentre
in Profumo (1890) imperversa l'interesse per la fisiologia e la patologia e, nelle novelle
Appassionate (1893), prevalgono temi di complessa casistica psicologica. Diversa è l'ispirazione
delle Paesane (1894), novelle che ricordano motivi verghiani nella rappresentazione del paesaggio
rusticano, ma che sono viziate da eccessive concessioni al documento e al folclore. Fa in parte
eccezione, nella produzione di Capuana, il romanzo Il marchese di Roccaverdina (1901), che
costituisce il suo esito più alto, fondendosi in esso in una sintesi felice gli elementi realistici,
fantastici, psicologici affiorati frammentariamente nelle opere precedenti.

SCIASCIA
Si dedicò sempre alla scrittura e a un’intensa attività culturale, attraverso la collaborazione con
riviste e case editrici. L’opera che lo portò alla notorietà fu, nel 1961, Il giorno della civetta,
romanzo che denunciava il problema della mafia, portandolo all’attenzione dell’opinione pubblica
nazionale. Ne Il giorno della civetta, considerato tra i capolavori dello scrittore, emerge la
drammatica realtà della mafia, protetta da una fitta e salda rete di omertà. Secondo le parole dello
stesso Leonardo Sciascia, «la mafia è un “sistema” che contiene e muove gli interessi economici
e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si
sviluppa nel “vuoto” dello Stato, ma “dentro” lo Stato. La mafia insomma altro non è che una
borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta».
impegno morale e civile, denunciò i mali che maggiormente minano lo Stato e le sue istituzioni: la
mafia, la connivenza politica, la corruzione.

ITALO CALVINO

La fase neorealista:
Nel Neorealismo lo scrittore propone di educare il lettore attraverso la descrizione cruda della
realtà che gli appartiene.
Le tematiche del Neorealismo sono: la guerra, il dopoguerra e il nichilismo di quegli anni.
Con letteratura neorealista si intendono quelle esperienze letterarie da cui viene fuori quello stato
d’animo collettivo,quell’impegno e soprattutto quella fiducia nel rinnovamento che sono proprie di
quegli anni. Gli intellettuali infatti si sentono gli unici interpreti dei problemi e dei veri bisogni del
popolo,sentono l'impegno politico e sociale rivolto alla ricostruzione materiale e spirituale della
società contemporanea.
-Come molti altri scrittori della sua generazione, anche Italo Calvino esordisce come autore di
guerra, raccontando l’esperienza della Resistenza. Si può dunque individuare una prima fase
neorealista, anche se già si notano caratteristiche originali. Ad esempio nel primo romanzo, Il
sentiero dei nidi di ragno o ultimo viene il corvo, Calvino decide di far vedere la Resistenza
attraverso gli occhi di un bambino.
Il sentiero dei nidi di ragno, è il romanzo di esordio di Calvino e viene pubblicato nel 1946. Racconta la
storia di Pin, un bambino che vive in mezzo agli adulti, che lo coinvolgono nel furto della pistola a un nazista;
per questo Pin viene arrestato, salvo poi essere liberato dal partigiano Lupo Rosso. In seguito Pin entrerà in
una banda di Partigiani, vivendo da vicino le guerra ma anche le contraddizioni e le debolezze di quegli
uomini.
-Dagli anni Cinquanta, Italo Calvino opera una svolta verso le letteratura fantastica, che si
concretizza nella trilogia I Nostri Antenati. Qui Calvino mescola elementi fantastica
all’ambientazione storica. I romanzi che compongono la trilogia sono:    
Il visconte dimezzato (1952)
Il barone rampante (1957)
Il cavaliere inesistente (1958)
Al filone della letteratura fantastica si possono riportare anche i racconti pubblicati in Le
Cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1967).

-A partire dalla seconda metà degli anni Settanta si apre una nuova fase, quella considerata più
originale, in cui Italo Calvino scrive i suoi romanzi più noti. La notorietà di queste opere è dovuta
alla loro carica sperimentale, ossia nella volontà di allargare i confini della letteratura verso nuove
esperienze, che rompono con gli schemi del passato. le opere sono Città invisibili,Il castello dei
destini incrociati.

SENTIERI DEI NIDI DI RAGNO: Come Calvino stesso riconobbe, nella celebre Prefazione del 1964 alla
nuova edizione del romanzo, lui come tanti suoi coetanei avvertiva la responsabilità che un evento
d’importanza storica come la guerra affidava all’uomo di lettere, protagonista e allo stesso tempo interprete
di quegli avvenimenti. Tuttavia l’immagine della Resistenza che emerge dalla storia di Pin e della scalcagnata
brigata del Dritto non è certo quella eroica e vincente che si è soliti associare alle narrazioni neorealiste, che
spesso erano incentrate su una rappresentazione stereotipata ed edulcorante dei drammatici avvenimenti che
avevano scandito la “guerra civile” combattuta tra partigiani e nazifascisti tra il 1943 e il 1945.

COSMICOMICHE:

Calvino in questa raccolta si interroga sulla realtà, sul senso dell’esistenza e sull’essere uomo attraverso
suggestioni fantascientifiche. Il punto di partenza dei racconti è sempre la breve esposizione di una teoria
scientifica sull’universo, posta in corsivo, che viene poi sviluppata con umorismo nella storia. Protagonista di
tutti i racconti è Qfwfq, personaggio il cui nome impronunciabile e palindromo richiama un essere bizzarro e
misterioso e che è perenne presenza nel cosmo, partecipando a tutte le vicende del mondo."Combinando in
una sola parola i due aggettivi cosmico e comico ho cercato di mettere insieme varie cose che mi stanno a
cuore. Nell'elemento cosmico per me non entra tanto il richiamo all'attualità spaziale, quanto il tentativo di
rimettermi in rapporto con qualcosa di molto più antico. Nell'uomo primitivo e nei classici il senso cosmico
era l'atteggiamento più naturale; noi invece per affrontare le cose troppo grosse abbiamo bisogno di un filtro,
e questa è la funzione del comico."

ITALO SVEVO

Il vero nome di Italo Svevo è Ettore Schmitz. La necessità di adottare uno pseudonimo
nacque probabilmente dalle contraddizioni e dalle peculiarità del carattere e della vita
dello scrittore. Svevo non si riconobbe mai perfettamente in nulla. Lo pseudonimo, Italo
Svevo, rimanda direttamente alla sua origine geografica controversa: Italo come italiano,
Svevo come germanico. Svevo era infatti per metà italiano e per metà tedesco, aveva origini
ebraiche e viveva a Trieste, una città prevalentemente abitata da italiani ma sotto il
dominio dell’Impero asburgico. Tutte le sue opere hanno uno stile molto simile: vedono la
presenza di due figure contrapposte: una sveglia, attiva, l'altra inetta, incapace di vivere.
L’inetto, però, subirà un’evoluzione nel corso dei libri, arrivando alla sua espressione più
completa solo con “la coscienza di Zeno”.Bisogna ricordare che Italo Svevo non nasce come
scrittore. I suoi studi sono di carattere commerciale. E’ un intellettuale, non un
professionista, diviso tra la passione per la letteratura e una normale vita borghese, che lo
portò a lavorate come industriale e uomo d’affari per la maggior parte della sua esistenza. 

"Una vita": Il protagonista è Alfonso Nitti, un impiegato che fatica a vivere a causa di
pregiudizi e del classismo che domina la società borghese. Il suo scopo è quello di scrivere
un romanzo, ma, non riuscendoci, si suiciderà.
"Senilità": Il protagonista è Emilio Brentani, un piccolo impiegato che, nonostante sia
riuscito a pubblicare un romanzo, è un inetto, un uomo che si lascia scivolare la vita
addosso, incapace di prendere qualsiasi decisione. In più di Alfonso Nitti, ha però il fatto di
essere consapevole di questa sua inettitudine. Emilio si innamora di una ragazza popolana
dai facili costumi che però lui idealizza come una donna angelicata; un giorno si presenta
da lei con un amico scultore, Stefano Valli, (che rappresenta il simbolo della sanità), la
ragazza si innamora di lui, abbandonando il protagonista. La sorella di Emilio, Amalia, è
un’altra figura inetta: nella vita non è mai stata capace di fare nessuna scelta, e quindi non
si è mai sposata. Anche lei si innamora dello scultore, ma non è capace di essere
ricambiata, e quindi tenta il suicidio. Alla fine del libro il protagonista, entra nella camera
della sorella, scoprendo il suo mondo nascosto, la sua depressione e il suo alcolismo.
Emilio accetterà la sua condizione di “senilità” interiore e deciderà di passare la vita
aiutando sua sorella.
La coscienza di Zeno": Il libro, diversamente dai libri precedenti ha la struttura di un
diario psicoanalitico. La narrazione è molto libera:, infatti Svevo scrive utilizzando la prima
persona, creando dei capitoli separati sia a livello cronologico che contenutistico. Alcuni
fatti, vengono ripresi in più capitoli, ma il modo diverso, questo consente al lettore di
creare un quadro più preciso della figura di Zeno Cosini, il protagonista. Svevo, si rende
però conto che, usando la prima persona, è molto difficile non cadere in un racconto
autobiografico. Questo fatto sarà molto evidente nell'ultima parte del Romanzo, dove, con
la voce di Zeno, Svevo darà la sua visione del mondo e del progresso. Lo scopo del diario
per Zeno, e quindi per Svevo, è quello di prendere i ricordi passati, registrati dalla memoria
e poi dal diario, per poterli poi utilizzare, per comprendere meglio la propria vita. La
memoria secondo l’autore non è quindi capace di creatività, è solo logica e razionale.
Cultura: L'attenzione di Svevo all'interiorità dei personaggi e al complesso intreccio delle
motivazioni che spingono l'individuo ad agire fu mutuata in parte dalla componente irrazionalistica
del pensiero di Schopenhauer, il quale aveva individuato i meccanismi di autoillusione e aveva
svelato pessimisticamente la vanità delle aspirazioni umane.
•Joyce: Importante fu il ruolo di Joyce nella vita di Svevo: la conoscenza della letteratura inglese si
ricollega all’umorismo e l’ironia con cui l’autore tratteggia i comportamenti più goffi e bizzarri dei
suoi personaggi. Inoltre ricava l’idea del recupero della memoria come mezzo per analizzare il
passato e intraprendere il presente.
1.Flaubert: critica nei confronti dei velleitari atteggiamenti di ribellione del protagonista, figura di
sognatore destinato alla sconfitta.
2.Darwin: la società concepisce la vita come lotta in cui prevale il più forte.

I temi conduttori delle opere di Svevo sono malattia e inettitudine: l'assurdità dei rapporti
sociali, la consapevolezza del fallimento, l'inadeguatezza all'esistenza, e la totale imprevidibilità
degli eventi danno così vita a quel cocktail che è la poetica sveviana. L'incapacità di adeguarsi
alla realtà, di prendere decisioni e affrontare problemi caratterizzano la figura
dell'inetto. Il personaggio dell'inetto è tipico del Decadentismo e ricorre frequentemente nella
letteratura di questi anni non solo con Svevo, ma anche con D'Annunzio e Pirandello. L'insicurezza
psicologica rende i personaggi di Una Vita, Senilità, e La coscienza di Zeno “incapaci di vivere” in
campo amoroso, lavorativo e relazionale. Alfonso Nitti, Emilio Brentani e Zeno Cosini sono dunque
intrappolati da una serie di perturbazioni psicologiche. Nel primo romanzo Nitti vive lo scontro tra
individuo e società: scappa di fronte all'importante decisione amorosa si impegnarsi con Annetta,
ma anche di fronte alla minaccia fisica del duello col fratello di Annetta, suicidandosi. In questo
romanzo l'inettitudine viene vista come componente di Alfonso, non una scelta bensì come
incapacità inevitabile. Diversamente in Senilità Brentani è confuso dallo scontro tra piacere e
realtà: Emilio ama Angiolina, donna poco seria, ma è afflitto dal senso del dovere sociale e morale e
non riuscendo a decidersi accetta passivamente l'inettitudine, la sceglie e i suoi desideri restano
sogni in quanto si adegua alle convenzioni sociali e alle norme. L'inettitudine ne La coscienza di
Zeno invece non è associata alla tragicità come nei precedenti romanzi di Svevo. Zeno è inquieto,
nevrotico, ma disponibile alle trasformazioni, a sperimentare le più varie forme dell'esistenza, ad
esplorare l'affascinante “originalità”, è un essere in divenire grazie alla sua “mancanza assoluta di
uno sviluppo marcato in qualsivoglia senso”, mentre i “sani” sono cristallizzati in una forma rigida
e immutabile, definitiva, perfettamente compiuti in tutte le loro parti e incapaci di evolversi
ulteriormente.

MALATTIA E SALUTE
La dicotomia basilare in Svevo è tra salute e malattia. L’individuo sano è per Svevo colui che, non
solo sa soddisfare i propri bisogni elementari come creatura del mondo naturale, facendo ciò che
l’impulso vitale gli detta: mantenersi in vita come individuo ed assicurare la permanenza della
specie attraverso la riproduzione. L’individuo sano dei romanzi sveviani è il prototipo dell’uomo
perfettamente integrato nella società in cui vive, omologato ai suoi principi e valori (quelli
borghesi). Un sano, dunque, che appare “forte” solo in determinate favorevoli condizioni, ma che
nasconde una “fragilità” che può manifestarsi improvvisamente e disastrosamente.
Dall’altra parte sta il “malato” (di malattia nervosa però, non fisica), la cui malattia consiste
propriamente nell’inettitudine a vivere, ossia ad assecondare positivamente il flusso vitale. Il
malato è infatti colui che si ritrae dalla vita, rinuncia all’invito a godere dei suoi doni, vive in un
perenne stato di malcontento e insoddisfazione. Paragonandosi al “sano” si sente scontento e
debole, ma di fatto è solamente “non specializzato” e perciò sempre in difficoltà, ma d’altra
parte sempre con il cervello in funzione per inventare nuovi modi per sopravvivere.
GABRIELE D’ANNUNZIO

Gabriele D'Annunzio è, con Pascoli, il poeta più rappresentativo del decadentismo italiano.
D'Annunzio fece sue le tendenze più appariscenti del decadentismo europeo come l'estetismo, il
sensualismo, il panismo e toccò solo in maniera superficiale il dramma della solitudine umana e
dell'angoscia esistenziale. Gli aspetti più significativi della poetica di D'Annunzio sono:
Estetismo artistico che considerano la poesia e l'arte come creazione di bellezza in contrasto con i
temi realistici del verismo;
Il narcisismo, ossia il culto della bellezza;
Il panismo ossia la tendenza ad abbandonarsi alla vita dei sensi e dell'istinto e ad immedesimarsi
con la natura (astri, mari, fiumi, alberi) a sentirsi quindi parte del tutto, nella circolarità della vita
cosmica.
Tali caratteristiche si riscontrano in alcuni capolavori come la Pioggia nel pineto, La sera fiesolana,
I pastori.

La poetica di D’annunzio si basa su un’esaltazione del valore della parola e su una completa
fusione tra uomo e natura (il famoso panismo), che comporta, nello stile, l’apporto di figure
retoriche quali la metafora e la sinestesia. In lui arte e natura tendono a corrispondere. Questo
aspetto lo avvicina molto al simbolismo europeo, del quale dà un’interpretazione
estremizzante: egli non crede in un arte capace di rivelare un significato universale, ma circoscritto
dal particolare.

SUPER UOMO

Gabriele D’Annunzio, nella sua fase superomistica, è profondamente influenzato dal pensiero
di Nietzsche. Tuttavia, molto spesso, banalizza e forza, entro un proprio sistema di concezioni, le
idee del filosofo. Dà molto rilievo al rifiuto del conformismo borghese e dei principi egualitari,
all’esaltazione dello spirito "dionisiaco", al vitalismo pieno e libero dai limiti imposti dalla morale
tradizionale, al rifiuto dell’etica della pietà, dell’altruismo, all’esaltazione dello spirito della lotta e
dell’affermazione di sé.

La figura dannunziana del superuomo è, comunque, uno sviluppo di quella


precedente dell’esteta, la ingloba e le conferisce una funzione diversa, nuova. Il culto della
bellezza è essenziale per l’elevazione della stirpe, ma l’estetismo non è più solo rifiuto sdegnoso
della società, si trasforma nello strumento di una volontà di dominio sulla realtà. D’Annunzio
non si limita più a vagheggiare la bellezza in una dimensione ideale, ma si impegna per
imporre, attraverso il culto della bellezza, il dominio di un’élite violenta e raffinata sulla realtà
borghese meschina e vile.
Successivamente alla “fase della bontà” l’intera produzione D’annunziana subisce una radicale
svolta dovuta all’incontro del Poeta con la filosofia di Nietzsche. D’annunzio infatti ispirandosi e
manipolando a proprio piacimento il pensiero nietezscheiano, da vita ad una nuova figura
letteraria che rompe i canoni del Decandentismo: il Superuomo. Questo personaggio ruota attorno
all’esaltazione dello spirito dionisiaco ed è quindi caratterizzato da un vitalismo puro che gli
conferisce un’energia sconfinata ed inarrestabile. Proprio quest’energia istiga nel suo animo una
profonda volontà di dominio e lo autorizza ad agire oltre ogni norma morale.
Il primo romanzo in cui si inizia a delineare la figura del superuomo è il Trionfo della
morte, dove non viene ancora proposta compiutamente la nuova figura mitica, ma c’è la ricerca
ansiosa e frustrata di nuove soluzioni. Sulla figura del superuomo si incentra anche Le Vergini
delle Rocce.
SVEVO E PIRANDELLO

Pirandello: i personaggi sono angosciati, insoddisfatti della loro vita , come Mattia Pascal il quale si
rende conto che senza identità è solo un’ombra senza una vita. È un personaggio che non è riuscito
a trovare il proprio posto e quindi rimane un uomo frustrato.

Svevo: i personaggi sono del tutto deboli e pieni di frustrazioni; essi avvertono la loro inferiorità e
subiscono gli eventi. Non sono eroi, ma sono sottoposti passivamente alle circostanze > vedi Zeno
Cosini che è incapace di smettere di fumare.

Tutto questo è dovuto a una crisi del positivismo, alla rivoluzione industriale, alla teoria della
relatività di Einstein, a Freud ecc.

Somiglianze

Sia Pirandello che Svevo pongono il lettore dinnanzi alla tragica realtà dell’uomo moderno:
l’accettazione, spesso consapevole, del ruolo di “ spettatore passivo” nei confronti di un mondo
spregiudicato. La crisi dei valori ottocenteschi, pone l’uomo dinnanzi al dubbio dell’esistenza
umana. La verità non è più oggettiva, ma relativa. Il narratore non è onnisciente perché la realtà
descritta è soggettiva: è l’inetto,il malato che descrive che descrive in prima persona gli eventi così
come vengono percepiti.

Differenze
Per Pirandello l’unica soluzione per la persona cosciente del non senso della vita è l’accettazione in
modo doloroso degli inganni altrui, cessando di vivere e cominciando a guardarsi vivere, ponendosi
quindi fuori dall’esperienza vitale.
Svevo invece permette al protagonista di guarire dalla sua malattia, a discapito degli altri. In Svevo
manca il nichilismo pirandelliano, la volontà in lui è di essere aperti al cambiamento > Zeno
diventa sano nel momento in cui si integra nella società malata.

PAVESE
La poetica di Pavese gravita attorno a due concetti chiave: la solitudine e il mito. Una figura è
sempre ricorrente in Pavese: l’espatriato che fa ritorno nella casa dell’infanzia… Questa è la
condizione biografica dello stesso Pavese che in effetti è vissuto come uno sradicato dalla Langhe.
La condizione della solitudine genera l’impossibilità di colloquiare, di intessere relazioni… Contro
questa deformante solitudine ecco il ritorno alle origini, al paese di un tempo… Ecco quindi il mito
del ritorno che si unisce al mito dell’infanzia. A Pavese la vita appare come un allontanamento
dall’infanzia, quindi come un mito perduto. Quindi i personaggi fanno ritorno a casa, ma non
riescono nel loro intento di recuperare il tempo perduto e contemplano pertanto il proprio
fallimento.

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