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Per comprendere il pensiero di Pirandello dobbiamo considerare le sue vicende esistenziali (la follia della

moglie), la sua formazione culturale (gli studi in Germania), ma soprattutto il periodo storico in cui lo scrittore
siciliano vive. Un delicato momento di transizione in cui vengono meno tutte le certezze scientifiche di fine
Ottocento (crisi del Positivismo) e si affermano nuove teorie filosofiche che distruggono i concetti tradizionali
di tempo, spazio, realtà, coscienza. Pirandello è tra i primi intellettuali europei a rappresentare (attraverso le
novelle, i romanzi e le opere teatrali) la crisi dell’uomo del Novecento.

Innanzitutto per Pirandello non esiste una realtà oggettiva, organizzata e conoscibile attraverso la scienza.
La realtà è soggettiva, cioè cambia a seconda di chi la guarda. Quindi Pirandello pur partendo dai modelli
veristi (Verga) poi li supera perché se non esiste una realtà oggettiva, non può esistere neppure uno scrittore
che la descrive oggettivamente (come pretendevano di fare i veristi). Quindi, ogni uomo ha una sua visione
personale, soggettiva della realtà, ha una fede, un’ideologia politica, delle convinzioni. Per dire ciò Pirandello
usa la metafora del “lanternino”: ogni uomo vive come se avesse una piccola lanterna accesa sulla testa che
proietta un fascio di luce. Quel fascio di luce è la sua visione dell’esistenza: più sono forti le certezze dell’uomo
più intensa è la luce, più aumentano i dubbi più la luce si fa fioca, fino a spegnersi.

Ognuno di noi, dunque, ha la sua verità, il suo punto di vista sulla realtà, quindi, ognuno è chiuso nel proprio
mondo con le proprie opinioni e non riesce a entrare in sintonia con gli altri. Ogni uomo finge di
“comunicare”, ma in realtà i rapporti tra gli uomini (anche all’interno della famiglia) sono caratterizzati da
ipocrisia e falsità. Tutto ciò accresce la solitudine di ciascuno.

Gli uomini quindi per vivere nella società devono indossare delle maschere, interpretare dei ruoli. Le
maschere sono delle “prigioni”, a volte soffocanti, e la vita appare come una trappola” senza via d’uscita.
Tuttavia è impossibile strapparsi la maschera, significa rimanere escluso per sempre dalla vita (come accade
nel Fu Mattia Pascal), oppure abbandonarsi alla follia. Il folle è libero, ma è condannato all’esclusione dalla
società.

Se non è possibile conoscere né se stessi né la realtà, l’unico modo per per interpretare la realtà è l’umorismo
che non va confuso con comicità:

 comicità: è “avvertimento del contrario”, cioè rido dinanzi ad una situazione diversa da come
dovrebbe essere (una vecchia signora truccata e vestita come una ragazzina)
 umorismo: è “sentimento del contrario”: cioè rifletto su quella situazione strana e grottesca e il mio
riso si trasforma in un “sorriso amaro” pieno di malinconia, scopro il dramma che si nasconde dietro
quel fatto ridicolo (la vecchia signora si trucca e si veste da ragazza perché ha paura di perdere il
marito più giovane di lei).

Quindi l’umorismo nasce dalla “riflessione” ed è l’unico modo per descrivere la realtà. In definitiva, Pirandello
segna il fondamentale passaggio dal “romanzo verista” al “romanzo umoristico”; dal romanzo ottocentesco,
col suo carattere oggettivo e il suo andamento lineare, al moderno romanzo della “crisi”, fondato
sull’interiorità del personaggio e sul suo male di vivere.

La maschera è uno dei temi fondamentali affrontati nei testi di Luigi Pirandello. Essa è una sorta di metafora
dell’uomo che è abituato ad assumere comportamenti diversi a seconda delle diverse situazioni e circostanze.
Per Luigi Pirandello le maschere rappresentano la frantumazione dell’io in identità molteplici ed un
adattamento dell’individuo sulla base del contesto e della situazione sociale in cui si trova. Pirandello faceva
la distinzione tra l’essere e l’apparire di ciascun uomo. L’autore parlava di “recita del mondo”: l’umanità
viveva in un perenne palcoscenico, costretta a comportarsi in un certo modo.

Il romanzo si divide in otto libri, che contengono al loro interno altri sotto capitoli, ognuno dei quali con un
titolo proprio. In questo modo Pirandello crea una struttura spezzettata, ma fortemente coesa, un insieme
di piccole unità che si collegano tra di loro e vanno a formare il tutto del romanzo, nello stesso modo in cui
tanti pensieri vanno a formare un’idea. Uno, nessuno e centomila presenta un narratore interno, che è anche
il protagonista, Vitangelo Moscarda. Il racconto è fatto in prima persona, con un tipo di focalizzazione interna.
Il protagonista ci mostra il proprio punto di vista, ci parla dei suoi pensieri. L’azione avviene tutta al passato,
nel momento in cui li racconta i fatti sono già avvenuti, e il narratore-protagonista li sta rievocando.

In questo romanzo ritroviamo tutti i temi più cari a Pirandello, primi quelli della maschera e della follia.
Vitangelo Moscarda scopre di non conoscersi, di non essere una persona, di indossare centomila maschere,
una per ogni persona che conosce e una anche per sé stesso. Vitangelo è uno, è tanti e allo stesso tempo è
nessuno. Interviene allora la follia, unica via di scampo dalla tragicità e la paradossalità della vita. La follia
deriva dalla consapevolezza, dal pensiero che lo porta a convincersi delle proprie teorie e a voler sfidare quel
mondo dalle centomila apparenze nel quale si sente imprigionato.

Uno, nessuno e centomila inizia con un evento fortuito e apparentemente insignificante: Vitangelo Moscarda
scopre dalla moglie di avere il naso storto, un dettaglio di sé stesso che egli non aveva mai notato. Questa
piccola coincidenza innesca un vortice di ragionamenti che lo portano alla consapevolezza di non essere per
gli altri come egli è per sé stesso. Uno, nessuno e centomila è il romanzo della crisi dell’individuo, argomento
caro a Pirandello, infatti nel finale il protagonista sceglie di rinunciare a ogni identità, chiudendosi in un
ospizio e abbandonandosi al puro fluire della vita.

Cosa vuol dire Uno, nessuno, centomila? Uno: l’immagine che ognuno ha di sé stesso; Nessuno: è quello che
Vitangelo sceglie di essere alla fine del romanzo; Centomila: indica le immagini che gli altri hanno di noi.

Perché per Pirandello l’uomo è Uno, nessuno e centomila? Uno perché l’uomo è colui che crede di essere,
nessuno perché, dato il continuo cambiamento, non è capace di fissarsi in una forma definita e centomila
perché l’uomo non si riconosce in quello che gli altri dicono che sia.

: Vitangelo Moscarda è un uomo benestante che vive nel paese di Richieri. Una mattina sua moglie
Dida gli fa un’osservazione in sé innocua, ma che lo fa sprofondare in una profonda crisi esistenziale. La donna
gli fa scoprire un piccolo difetto del naso di cui egli non aveva coscienza. Si accorge così che lui pensava di
conoscersi e di sapere chi fosse, ma non è così: gli altri vedono in lui una moltitudine di difetti e di
caratteristiche di cui lui non è a conoscenza. Lui non è “uno”, come credeva di essere, ma è “centomila”: ogni
persona con cui entra in contatto lo vede in molto diverso. Il suo io è fratturato in un’infinità di maschere in
cui lui non si riconosce. In un primo tempo cerca di disfarsi delle immagini fittizie che gli altri hanno di lui.
Considerato da tutti un usuraio, decide di infrangere questa maschera. Finge di sfrattare un poveraccio,
Marco di Dio, quindi a sorpresa gli regala un’abitazione molto più bella. Ma il tentativo non ha l’effetto
sperato: la folla lo considera matto. La “follia” di Vitangelo (ovvero il suo sforzo di distruggere le maschere)
continua: fa liquidare la banca paterna da cui ricavava il suo benessere, maltratta la moglie… Finché gli
amministratori, Dida e il suocero non iniziano a complottare per rinchiuderlo in manicomio. Vitangelo è
avvertito della macchinazione da Anna Rosa, un’amica della moglie. Vitangelo, riconoscente, prova quindi a
renderla partecipe della sua scoperta esistenziale, ma la donna, spaventata, per lo shock gli spara. Ora tutti
sono convinti che Vitangelo abbia avuto una relazione illegittima con Anna Rosa, cosa non vera. Ma Vitangelo
decide di sopportare questa maschera, non vera, come dopotutto non sono vere tutte le altre. Fa mostra di
pentimento, come se fosse davvero colpevole, dona tutti i suoi averi e costruisce un ospizio per i poveri, dove
lui stesso va a vivere.
Nel saggio “L’umorismo“, Pirandello ci spiega la differenza tra «comicità’, ironia e umorismo». Il comico,
definito come “avvertimento del contrario“, nasce dal contrasto tra l’apparenza e la realtà. L’umorismo è
definito come “sentimento del contrario”, spiegando che in esso implica la comprensione di sentimento e
riflessione. Pertanto, l’umorismo implica un processo di riflessione critica che consente di analizzare e di
comprendere ciò che si nasconde dietro un fatto o un atteggiamento a prima vista comico.

È uno dei testi più significativi per comprendere la poetica di Pirandello, è ideato negli stessi anni de Il Fu
Mattia Pascal infatti si ricollega ad esso per quanto riguarda la tematica dell’inconoscibilità e molteplicità
dell'io. Il saggio si divide in due parti: una storico-letteraria e una teorica ed estetica. Nella prima parte
Pirandello espone la storia del termine umorismo, nella seconda parte definisce la poetica umoristica.

In questo brano Pirandello analizza le sensazioni che suscita vedere una vecchia signora con i capelli ritinti,
imbellettata e vestita di abiti giovanili. In un primo momento ride perché quella signora è il contrario di ciò
che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Inizialmente potrebbe arrestarsi a questa impressione
comica, ma essendo che Pirandello utilizza l’umorismo, interviene la riflessione. Forse quella vecchia signora
prova piacere a prepararsi in questo modo, e ne soffre perché s'inganna che preparata così e nascondendo
le rughe possa trattenere a sé l'amore del marito più giovane. Dunque la riflessione fa andare oltre
l'avvertimento del contrario tipico del comico e fa sfociare nel sentimento del contrario tipico del umoristico

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