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Vita
Egli nacque nel 1867 presso Girgenti, da una famiglia di agiata condizione borghese.
Si iscrisse all’Università di Palermo,poi alla facoltà di lettere a Roma.
Nel frattempo inizia la produzione letteraria scrivendo poesie e una tragedia.
L’esperienza degli studi in Germania fu importante per lo scrittore, lo mise in
contatto con la cultura tedesca e con gli autori romantici, che lo influenzarono sulle
teorie riguardanti l’umorismo.
Nel 1893 scrisse il suo primo romanzo “L’esclusa” e diede alle stampe una prima
raccolta di racconti “Amori senza amore”.
Sposó Maria Antonietta Portulano.
Pubblicó articoli e saggi su varie riviste, tra cui il “Marzocco” che aveva come
collaboratori pure Pascoli e D’annunzio.
Scrisse la sua prima commedia “Il nibbio”.
Dissesto economico
Un allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito il suo patrimonio
causó un dissesto economico della famiglia.
Alla notizia del disastro la moglie ebbe una crisi che sfoció in follia. La convivenza
con la donna costituì per Pirandello un tormento continuo, che può essere visto
come “trappola” che imprigiona e soffoca l’uomo.
Anche l’esistenza di Pirandello, fu segnata dall’esperienza della declassazione del
passaggio da una vita di agio borghese ad una condizione di piccolo borghese, con i
suoi disagi economici.
Questo fatto gli forní lo spunto per la rappresentazione del grigiore soffocante della
vita piccolo borghese, ma soprattutto il suo rifiuto del meccanismo sociale alienante,
sentito come una “trappola”.
Lo scrittore raccolse poi in vari volumi le novelle pubblicate sui giornali e riviste,
suscitando poca attenzione nella critica, che lo considerava un umorista “minore”.
L’attività teatrale
Dal 1910 ebbe il primo contatto con il mondo del teatro, attraverso la
rappresentazione di due atti unici: Lumìe di Sicilia e La morsa.
Dal 1915 venne messa in scena a Milano, la prima commedia in tre atti, “Se non
così”.
Dal 1920 il teatro di Pirandello cominciò a conoscere il successo di pubblico.
I drammi pirandelliani furono conosciuti e rappresentati in tutto il mondo.
Dal 1925 assunse la direzione del teatro d’Arte di Roma.
L’esperienza del Teatro d’Arte fu resa possibile anche dal finanziamento dello Stato.
Si iscrisse al Partito Fascista, e gli servì per ottenere appoggi da parte del regime.
Negli ultimi anni lo scrittore seguì particolarmente la pubblicazione organica delle
sue opere, in numerosi volumi: le Novelle per un anno e me Maschere nude, in cui
venivano sistemati i testi drammatici.
La visione del mondo ( il vitalismo)
I testi narrativi e drammatici di Pirandello insistono su alcuni nodi concettuali.
Alla base della visione Pirandelliana vi è una concezione vitalistica, che è uguale a
quella di varie filosofie contemporanee.
La vita è intesa come eterno divenire.
Tutto ciò che si stacca da questo flusso,assume una forma distinta e individuale che
si rapprende, si irrigidisce e comincia, secondo Pirandello, a morire.
Così avviene dell’identità personale dell’uomo. Noi siamo parte indistinta
nell’universale ed eterno fluire, ma tendiamo a cristallizzarci in delle forme
individuali, a fissarci in una realtà che noi stessi creiamo, in una personalità coerente
e unitaria.
Questa personalità è un’illusione è scaturita solo dal sentimento soggettivo che noi
abbiamo del mondo, che ci proietta in un cerchio di luce e ci separa fittiziamente dal
resto della vita.
ad esempio, un individuo può crearsi di se stesso l’immagine gratificante dell’onesto
lavoratore, del buon padre di famiglia, mentre gli altri magari lo fissano senza
rimedio nel ruolo dell’ambizioso senza scrupoli o dell’adultero.
Queste forme in realtà sono delle costruzioni fittizie,delle maschere che noi stessi ci
imponiamo e che ci impone il contesto sociale. Sotto queste maschere non c’è un
volto definito, immutabile: non c’è nessuno.
Pirandello condusse una critica serrata al concetto di identità personale, di “io“, su
cui si era fondata una lunga tradizione filosofica e da cui si appellava abitualmente la
coscienza comune.
Questa teoria della frantumazione dell’io è un dato storicamente significativo: nella
civiltà novecentesca entra in crisi sia l’idea di una realtà oggettiva, organica definita
univocamente interpretabile con gli schemi della ragione, sia di un soggetto forte,
unitario, coerente, sicuro di ogni rapporto con la realtà. L’io si disgrega, si smarrisce
si perde nel naufragio di tutte le certezze.
È questo il periodo dell’affermarsi di tendenze spersonalizzante nella società:
l’instaurarsi del capitale monopolistico, che annulla l’iniziativa individuale e nega la
persona dissolvendola in grandi apparati produttivi anonimi.
L’uomo si smarrisce e diviene una particella isolata e alienata nella folla anonima.
L’individuo non conta più, Leo si indebolisce, perde la sua identità, si frantuma in
una serie di stati incoerenti. Pirandello è uno degli interpreti più acuti di questi
fenomeni e questo si riflette nelle sue teorie e nelle sue costruzioni letterarie. La
presa di coscienza di questa inconsistenza dell’io suscita nei personaggi pirandelliani
smarrimento e dolore. L’avvertire di non essere “nessuno “l’impossibilità di
consistere in un’identità provoca : angoscia ed orrore, un senso di solitudine.
queste forme sono viste come una “trappola“, come un “carcere” in cui l’individuo si
dibatte, lotta invano per liberarsi.
la società gli appare come nel “enorme pupazza data“, una costruzione artificiosa e
fittizia, che isola irreparabilmente l’uomo dalla “vita“, lo conduce alla morte anche
se gli apparentemente continua a vivere.
Nelle novelle e nei romanzi la critica di Pirandello si appunta sulla condizione piccolo
borghese mentre, il teatro predilige ambienti alto borghesi.
L’istituto in cui si manifesta per eccellenza la “trappola“ della “forma“ che
imprigiona l’uomo, separandolo dall’immediatezza della vita, èla famiglia.
Pirandello coglie il carattere opprimente dell’ambiente familiare, il suo grigiore
avvilente, le tensioni segrete, i rancori, le ipocrisie.
L’altra “Trappola“ e quella economica, costituita dalla condizione sociale e dal
lavoro, almeno a livello piccolo borghese: i suoi eroi sono prigionieri di una
condizione misera e stentata, di lavori monotoni e frustranti.
Da questa “trappola“ non si dà per Pirandello una via d’uscita storica: il suo
pessimismo è totale, non gli consente di vedere altre forme di società diverse.
la società borghese del suo tempo che egli indaga non è per lui che la
manifestazione particolare di una condizione universale. L’unica via di relativa
salvezza che si dà ai suoi eroi e la fuga nell’irrazionale: nell’immaginazione che
trasporta verso un altro ove è fantastico, come per l’impiegato Belluca di “Il treno ha
fischiato” Che sogna paesi lontani e attraverso questa evasione posso portare lo
pressione del suo lavoro e della famiglia,composta da tre cieche, due figliole vedove
con sette nipoti da mantenere; oppure nella follia, che è lo strumento di
contestazione per eccellenza, in Pirandello, delle forme fasulle della vita sociale.
il rifiuto della vita sociale dal luogo nell’opera pirandelliana ad una figura ricorrente,
emblematica: il “forestiere della vita“, colui che “ha capito il giuoco“, ha preso
coscienza del carattere del tutto i tizi del meccanismo sociale e si esclude, si isola.
questo personaggio rifiuta di assumere la sua “parte”, osserva gli uomini
imprigionati dalla “trappola“ con un atteggiamento “umoristico“.
caratteristico della visione pirandelliana è dunque un radicale relativismo
conoscitivo: non si dà una verità oggettiva fissata a priori una volta per tutte.
Ognuno alla sua verità, che nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose.
ne deriva un evitabile incomunicabilità fra gli uomini: essi non possono intendersi,
perché ciascuno fa riferimento alla realtà come per lui e non sa, ne può sapere,
come sia per gli altri.
Nella visione umoristica di Pirandello la realtà si sfalda in una pluralità di frammenti
che non hanno un senso complessivo. Questa radicale apertura della visione del
mondo, questa crisi della totalità collocano Pirandello già oltre il decadentismo, in
un clima tipicamente novecentesco. Così avviene per la crisi dell’io. Il decadentismo,
come già nel Romanticismo, nella sua fuga da una realtà storica negativa, che
portava la chiusura gelosa nella soggettività, poneva L’io al centro del mondo, o
meglio, identifica sostanzialmente il mondo con L’io.
LA POETICA
L’UMORISMO
Testo si compone di una parte storica, in cui l’autore esamina varie manifestazioni
dell’arte umoristica, e di una parte teorica, in cui viene definito il concetto stesso di
umorismo.
Luigi Pirandello, per la prima volta, parla di umorismo in senso esplicito, facendo una
differenza con il comico. Il comico non è altro che l’avvertimento del contrario, che
nasce dal contrasto tra l’apparenza e la realtà e che genera la risata, emblema di una
situazione contraria a quella che dovrebbe essere normalmente. Si tratta, però, di
una risata superficiale, che non porta subito alla riflessione: l’autore siciliano, con il
famosissimo passo della “vecchia signora”, arriva poi a dare una definizione di
umorismo:
“Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile
manteca; e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a
ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia
rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente,
arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del
contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella
vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo,
ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata
così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del
marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima,
perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre quel primo
avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario
mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra
il comico e l’umoristico.”
L’umorismo nasce, quindi, in un secondo momento: è il sentimento del
contrario. È generato dalla riflessione, dall’accettazione di una triste realtà e dal
contrasto tra apparenza e realtà, maschere e vera personalità. E se prima di fronte
all’immagine della vecchia signora il genere umano sghignazza in una grossolana
risata, adesso la riflessione genera un sentimento di compassione: colei che cerca di
nascondere il peso dei suoi anni dietro abiti eleganti e fascino spietato, fa pena
all’animo umano che, riflettendo, percepisce la sua debolezza, la paura di
invecchiare, la fragilità umana.
L’ATTEGGIAMENTO UMORISTICO
Lo scrittore deforma l’uomo rendendo i suoi gesti e movimenti paradossali,
portandolo all’estremo dell’’inverosimiglianza e dell’assurdo i casi comuni della vita.
Da tutto questo meccanismo assurdo scaturisce forzatamente il riso, ma è un riso
sempre accompagnato, in nome del sentimento del contrario, da una pietà dolente
per un’umanità così avvilita, per la sofferenza senza riscatto, per la pena di vivere
così.
NOVELLE SICILIANE
Scambiate molto spesso per opere veriste, le novelle di questa raccolta trattano la
vita siciliana di provincia o di campagna.
Viene rappresentato un mondo diverso, lontano dall’indagine scientifica sui
meccanismi della società e della lotta per la vita.
L’autore mette in luce e coglie il grottesco della vita siciliana, un mondo disordinato
e folle.
Gli uomini, sostiene ancora, sono tutti già morti, perché fissi nei loro ruoli, sotto le
loro maschere, ma non vivono davvero, non partecipano di quel flusso vitale che è
appunto l'esistenza.
RIASSUNTO
Il protagonista della novella è Belluca, un uomo modesto senza particolari qualità,
un contabile dedito all’arido lavoro di ufficio, fatto di conti e calcoli, sottomesso e
indifeso e per questo zimbello sia del capoufficio e dei colleghi, sia dei familiari.
Il racconto procede a ritroso. Nella prima parte della novella, il lettore viene a
conoscenza di quanto accaduto, non con la narrazione dei fatti ma attraverso i
dialoghi tra i colleghi d’ufficio del protagonista, che narrano del ricovero di Belluca
in ospedale psichiatrico, preda di un’improvvisa alienazione mentale, dopo che si è
scagliato contro il proprio capo ufficio.
Belluca, irreprensibile lavoratore, sempre sottomesso e mite, si è infine ribellato.
Dopo anni di angherie in cui a testa bassa ha continuato a svolgere il proprio lavoro
in maniera scrupolosa e irreprensibile, senza reagire minimamente ai richiami, alle
battute e agli scherzi crudeli di colleghi e del capoufficio, una mattina si presenta in
ufficio in ritardo, con un’aria stordita e serafica, e vi trascorre l’intera giornata in
maniera inconcludente. Ripreso, per una volta giustamente, dal capoufficio, Belluca
reagisce inveendo e farneticando contro di lui. Urlando racconta di un treno che ha
fischiato nella notte e che lo ha portato lontano. Viene creduto pazzo. Quindi,
imbragato in una camicia di forza, viene portato all’ospizio dei matti mentre egli
continua ad imitare il fischio del treno ed a raccontare di viaggi in posti lontani.
A questo punto del racconto si inserisce la voce del narratore che spiega al lettore,
in qualità di vicino di casa del Belluca, che tipo di vita questi conducesse, oppresso
non solo da un’umiliante condizione lavorativa ma anche da una squallida vita
familiare, dovendo provvedere a moglie, suocera e sorella della suocera, tutte
affette da cecità, e alle 2 figlie vedove con i loro 7 bambini. Avendo tutte quelle
bocche da sfamare egli si era procurato altro lavoro da svolgere a casa fino a notte
tarda, tra le urla e gli strilli dei litigiosi componenti della sua famiglia.
In questa squallida situazione, al limite della sopportazione, chiusa nella monotonia
di giorni sempre uguali, in cui nulla sembrava potesse cambiare, una notte succede
qualcosa che cambia tutto. E’ Belluca stesso a raccontarlo: il fischio di un treno,
squarcia, all’improvviso la cappa opprimente sotto la quale da anni egli vive. Il
fischio del treno lo scuote e gli apre una via di uscita, quando si rende conto che la
vita è fatta anche di fantasia e immaginazione.
Un evento banale come il fischio del treno consente a Belluca di trovare uno spazio
di evasione, in cui immaginare viaggi in paesi sconosciuti, ciò gli permetterà di
continuare la sua miserrima vita, dopo che egli, dimesso dall’ospedale e scusatosi
con il suo Capoufficio, riprenderà la vita di sempre.
Belluca esce da questa vicenda trasformato perché capisce che estraniandosi di
tanto in tanto nel mondo del sogno egli riuscirà a sentirsi meno schiavo di una vita
alienata, libero di viaggiare con la fantasia.
Tematiche
Le tematiche affrontate sono tipicamente pirandelliane:
* La falsità di un mondo basato su ciò che appare e non su ciò che è. La vicenda
viene infatti osservata da 3 punti di vista:
* Nell’ottica convenzionale dei colleghi d’ufficio per i quali la sola spiegazione
plausibile del comportamento di Belluca è la pazzia;
* Nell’ottica del narratore che conoscendo i particolari della squallida vicenda
familiare del protagonista, ne giustifica il comportamento ribelle e ne ricerca il
significato;
* Nell’ottica dello stesso protagonista che svela il vero significato dell’evento del
fischio del treno che gli permette di trovare una interiore dimensione esistenziale.
* L’equivoco esistenziale essere/apparire alla fine si risolve: visto dall’esterno
Belluca può apparire pazzo mentre in realtà ha solo ritrovato la sua dimensione
umana.
* La concezione relativistica della realtà e dell’uomo per cui non esiste una sola
verità ma ne esistono tante. La realtà obiettiva non esiste perché un fatto può
essere interpretato in moltissimi modi diversi. La realtà è la somma di tante verità,
di tanti microcosmi quanti sono gli uomini.
Il fulcro narrativo
La vicenda si svolge entro limiti paradossali ma rispecchia la situazione di molte
persone che possono resistere all’alienazione e alla solitudine solo ritagliandosi un
piccolo spazio in una realtà diversa nel sogno.
Solo alla fine della novella si comprendono il comportamento di Belluca e la sua
insubordinazione al capoufficio.
Il fischio del treno è l’evento apparentemente insignificante che costituisce invece il
fulcro narrativo del racconto e che sconvolge la vita del protagonista. Evidenzia un
concetto che spesso sta alla base dell’opera pirandelliana: il fatto che a volte basta
un evento insignificante per rivoluzionare tutta la vita di una persona. Nel caso
specifico la folgorazione improvvisa del fischio del treno rende consapevole il
protagonista di voler recuperare la propria dignità e la propria libertà, seppur in
limitati momenti di viaggio nella fantasia.
Il fischio del treno rappresenta il simbolo della riconquistata libertà.
Il fischio di quel treno nel cuore della notte spalanca per Belluca prospettive nuove e
mai esplorate e lo mette di fronte alla totale mancanza di evasione e leggerezza
nella sua vita.
Il protagonista comprende l’importanza, di tanto in tanto, di concedersi dei
momenti di libertà e evasione da tutto, fosse anche nel mondo del sogno e della
fantasia.
Stile
Da un punto di vista stilistico la novella può essere divisa in 3 parti:
* La parte iniziale della novella ha un ritmo narrativo convulso che coinvolge
emotivamente il lettore e riflette il punto di vista esterno, dei colleghi del
protagonista. Il tono è umoristico e vuole evidenziare l’incapacità degli estranei di
capire veramente la realtà.
* La seconda parte rispecchia il punto di vista del narratore che partecipa alla
narrazione per spiegare e capire la realtà dei fatti. Il ritmo narrativo rallenta.
* La parte finale vede il narratore immedesimarsi nel protagonista e comprenderne
perciò i comportamenti. Anche in questo caso emerge nella conclusione l’umorismo
pirandelliano laddove a Belluca vengono concesse di tanto in tanto, nella monotonia
della vita quotidiana, delle brevi pause di fuga dal mondo reale inseguendo
il “fischio del treno”.
Pirandello utilizza diverse metafore per descrivere il personaggio del protagonista:
* “Casellario ambulante” per mettere in evidenza l’aridità e l’ottusità di una persona
considerata un archivio umano;
* “vecchio somaro” per far risaltare la limitatezza di vedute e la sopportazione alle
fatiche e ai maltrattamenti.
Anche la similitudine “come una bestia bendata” richiama la figura metaforica del
somaro per evidenziare la situazione di ottusità e abbruttimento in cui viveva il
protagonista quando tutti lo consideravano invece un essere normale.
Nell’opera riscontriamo il forte contrasto tra quella che tutti sembrano definire follia
(l’improvvisa ribellione di Belluca) e la realtà dei fatti: la vera follia è adeguarsi alla
vita di tutti i giorni rinunciando al sogno e alla libertà.
I ROMANZI
L’ESCLUSA E IL TURNO
Scritta nel 1893 è ambientata in Sicilia, parla di una donna accusata ingiustamente di
un adulterio che viene cacciata dal marito.
Il romanzo ha legami con il naturalismo (il quadro di un costume provinciale, arcaico
è chiuso, con cui si scontra una donna intelligente alla ricerca di un’emancipazione
che il meccanismo sociale rende impossibile).
TRAMA
L’opera affonda le sue radici in una cittadina della provincia siciliana durante gli
ultimi anni dell’800. L’autore infatti lavora sullo sfondo tipico della letteratura
verista, ricca di dinamiche sociali ben descritte nei loro pregiudizi e nelle loro
sanzioni; a questo aggiunge una vicenda che rimanda ai paradossi del dramma
esistenziale, del contrasto fra sostanza e apparenza. Qui la condotta del singolo si
basa sul “cosa dirà la gente”, il timore dello scandalo diventa il credo su cui
impostare la propria vita e le proprie relazioni. L’arretratezza e l’ignoranza della
gente assecondano le maldicenze, la curiosità e l’ipocrisia. Al pregiudizio si
accostano il formalismo e il maschilismo.
La società delineata da Pirandello nell’Esclusa evidenzia come il matrimonio si riduca
a rapporti gerarchici precostituiti dove l’uomo è il padre-padrone e la donna un
soprammobile in attesa di sistemazione. Il rapporto di coppia esclude ogni forma di
dialogo aperto ed egualitario, coprendo sotto la vernice del formalismo gli impulsi e i
sentimenti autentici. Dal romanzo emerge anche il relativismo conoscitivo, ovvero
l’esistenza di diverse realtà soggettive; i personaggi sono dunque certi di possedere
la verità, dimostrando l’inesistenza di una realtà oggettiva.
Protagonista della vicenda è la giovane Marta sposata con Rocco Pentagora. Pur
essendo incinta del marito, la ragazza viene scacciata da questi perché ritenuta
colpevole di adulterio. Il fondamento di questa pesante accusa è la corrispondenza
( più filosofico-letteraria che amorosa), che la giovane ha avuto con un suo
ammiratore, l’avvocato Gregorio Alvignani. Marta è disprezzata da tutti e nemmeno
in famiglia riesce a trovare comprensione per la sua sfortunata condizione. Iniziano
così una serie di disgrazie che colpiscono la famiglia Ajala: la morte del padre
Francesco, la nascita di un bimbo senza vita, la malattia di Marta, il tracollo
economico dovuto al fallimento della conceria, che dopo la morte del padre fu
affidata a Paolo Sistri.
Ripresasi, Marta non si abbandona alla commiserazione, ma riprende gli studi
(sostenuta dalla madre Agata e dall’unica amica rimastale, Anna) e vince il concorso
per insegnare all’Istituto magistrale della sua città. Rappresentando questo un
malcontento per molti, Marta venne trasferita a Palermo.
Inizia qui la seconda parte del romanzo che si sviluppa nell’anonimato della grande
città. Marta tenta con fatica e dignità di ricostruirsi una vita, senza tuttavia
nascondere il brutto passato che la tormenta. La sua bellezza però attira le
attenzioni, per altro non gradite, di molti colleghi; ma il caso le fa incontrare
nuovamente Gregorio Alvignani divenendo questa volta la sua amante. Intanto
Rocco, ormai convintosi dell’innocenza della moglie, farà di tutto per incontrarla e
riportarla a casa.
STILE E TEMATICHE
La narrazione de L’esclusa è caratterizzata da ampie descrizioni, prediligendo
soprattutto l’aspetto psicologico, sociale e culturale. Si alternano quindi sequenze
descrittive e riflessive, lasciando poco spazio a quelle narrative. Il linguaggio
utilizzato è caratterizzato dal dialetto e frequente è l’uso di metafore, similitudine e
iperboli.
Il tema fondamentale de L’esclusa è ovviamente quello dell’incomprensione e del
malinteso che allargato fino all’estremo da una logica rigida può anche suggerire
quello, tipicamente pirandelliana, della fatale solitudine e incomprensione reciproca
degli essere umani; ma è anche, il tema fondamentale, quello umanissimo
dell’eterna gelosia e dell’eterno orgoglio, collocato in un ambiente adattissimo a
scavare tra essi un abissso sempre più profondo. Ambiente che in questo romanzo
ha un proprio peso ma non giustifica tutta la vicenda, ma concorre a crearla e a
sostenerla in un vivo intreccio drammatico.
UNO, NESSUNO E CENTOMILA
Fu pubblicato nel biennio 1925-26, ed è una delle opere più importanti.
Questo romanzo si collega al Fu Mattia Pascal, riprendendo il tema della crisi
d’identità, il quale rasenta i limiti della follia. Ha come protagonista Vitangelo
Moscarda, un uomo benestante che abita nel piccolo paesino di Richieri. Il nodo
cruciale del romanzo si ritrova in particolare modo nell’osservazione che la moglie fa
a Vitangelo Mosca per quanto riguarda il suo aspetto fisica: il suo naso infatti
penderebbe leggermente verso destra. Viene così a conoscenza di altre sue piccole
imperfezioni e capisce che , dei piccoli difetti, ignorati da lui stesso, erano invece
familiari a chi gli stava intorno. Moscarda si rende conto che gli altri si fanno di lui
un’immagine diversa da quella che egli si è creato di se stesso. Scopre di non essere
“uno” come credeva fino ad allora , ma “centomila” nel riflesso delle prospettive
degli altri , e quindi “nessuno”. In un crescente bisogno di autenticità, Vitangelo
compie atti inusuali e folli agli occhi di chi lo conosceva prima delle crisi: sfratta una
famiglia per poi regalarle un appartamento nuovo; decide di liquidare la banca
ereditata dal padre per riavere indietro i suoi risparmi. Ferito gravemente da
un’amica della moglie, colta da un raptus inspiegabile di follia, al fine di evitare lo
scandalo cede tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri, e degli stesso vi si
fa ricoverare, estraniandosi totalmente dalla vita sociale. Con questa scelta trova
una sorta di guarigione , rinunciando ad ogni identità e abbandonandosi al puro
fluire della” vita” , rifiutandosi di fissarsi in alcuna “forma”.
Il romanzo porta alle estreme conseguenze la crisi dell’identità che era stata
sottoposta in Fu Mattia Pascal : l’eroe non si limita più ad una condizione negativa ,
ma trasforma la mancanza d’identità in una condizione positiva, gioiosa , libera da
ogni limitazione.
Uno, nessuno e 100.000 porta anche all’estremo la disgregazione della forma
romanzesca già sperimentata con le prove narrative precedenti. Si tratta anche qui
di una narrazione retrospettiva da parte del protagonista, ma essa non si concreta
più nelle forme organiche del memoriale scritto o del diario, bensì resta allo stato
puramente magmatico e informale di un interrotto monologo. Gli interventi del
narratore nella narrazione sono assenti, il narratore è interno e coincide con col
protagonista della vicenda che parla in prima persona e non si può considerare
onnisciente poiché non guarda nella mente degli altri personaggi; non può dunque
conoscerne il pensiero.
Solo nella seconda parte il filo di un intreccio comincia a dipanarsi, ma anche
l’organicità del racconto, la concatenazione logica e coerente delle cause ed effetti .
IL FU MATTIA PASCAL
Il terzo romanzo di Pirandello, pubblicato nel 1904.
È la storia paradossale di un piccolo borghese, imprigionato come sempre nella
“trappola” di una famiglia insopportabile e di una misera condizione sociale che si
trova improvvisamente libero e padrone di se, e apprende di essere ufficialmente
morto in quanto la moglie e la suocera lo hanno riconosciuto nel cadavere di un
annegato. Mattia Pascal inizia a costruirsi una nuova identità. Soffre perché la sua
identità falsa lo costringe all’esclusione dalla vita degli altri. Decide pertanto di
rientrare nella sua vecchia identità, tornando in famiglia, ma scopre che la moglie si
è risposata ed ha avuto una figlia da un altro. Non gli resta quindi che adattarsi alla
sua condizione consapevole di non essere più nessuno.
Il fu Mattia Pascal
LA LIBERAZIONE DALLA TRAPPOLA
Mattia Pascal ha ereditato dal padre una grossa fortuna ma è ridotto in miseria da
un amministratore che si impossessa del patrimonio. Mattia si vendica seducendo la
nipote di questo amministratore, Malagna, mettendola incinta. Viene costretto a
sposarla ma il matrimonio si rivela un inferno, per la suocera e per la moglie. Anche
la misera condizione sociale pesa su di lui, dopo una giovinezza adagiata si deve
adattare ad un impegno squallido, quello di bibliotecario.
Il piccolo borghese prigioniero di una trappola sociale costituita dalla famiglia
oppressiva e da un lavoro frustante, che divengono metafore di una condizione
esistenziale assoluta , di una trappola metafisica che mortifica e spegne le mobilità
della vita.
Mattia cerca di rompere con la fuga il meccanismo che lo imprigiona: lascia il paese
di nascosto per cercare fortuna in America. Ma due fatti intervengono a modificare
la sua condizione: una vincita all roulette di Montecarlo e la notizia della propria
morte. Mattia si trova così libero dalla duplice trappola, la misera condizione e la
famiglia.
Mattia così cerca di costruirsi una nuova identità. E comincia a mutare radicalmente
il suo aspetto fisico e si trova un nuovo nome Adriano Meis, e completa l’opera
immaginando un contesto alla sua nuova personalità, una storia passata, una
famiglia.
LA LIBERTÀ RAGGIUNGIBILE
Adriano Meis ben presto prova un senso di vuoto e di solitudine. Soffre ad essere
escluso dalla vita degli altri. Però il protagonista non si sente libero perché è
attaccato al comune concetto di identità e persino alla trappola della famiglia e delle
relazioni sociali.
La nuova identità è una costruzione fittizia, l’identità falsa rivela un modo traumatico
la verità sull’inconsistenza dell’io e il personaggio non è in grado di reggerla perché
resta legato alla concezione comune.
L’errore dell’eroe consiste nel non essere stato capace di vivere davvero la sua
libertà, rifiutando ogni identità individuale, nell’essersi costruito una nuova forma
più falsa quindi ancora più limitante.
TEATRO
Esistono alcuni momenti nella storia della letteraturaChe segnano una
rivoluzione,Un cambiamento epocale. Una di questi è la del teatro di Pirandello.
L’interesse di Pirandello per il teatro ha radici lontane ma l’amore per le scene si
rinnova durante gli anni in cui studia a Roma, dove frequenta molti teatri. Tra il 1915
e 1916 scrive vari testi in siciliano e in lingua , tra cui ricordiamo O Pensaci
Giacuminu e Lumìe di Sicilia. Il suo teatro è un tipo che gioca sulla deformazione e
sull’assurdo, che però l’attore tende a ridurre l’arriverò della farsa. I testi teatrali di
Pirandello sono prima di tutto delle storie paradossali, che riflettono una vita
claustrofobica per risolverla in gesti folli e anticonvenzionali, che ribaltano la realtà
e deridono l’eccessiva serietà del mondo. Se il mondo è una gabbia, il teatro deve
mostrare il momento di ribellione e di disordine che, anche all’interno di una
prigione, può cambiare il senso delle cose. Con il suo teatro Pirandello distrugge le
convenzioni, elimina la barriera tra realtà e finzione, tra autore e personaggio, tra
pubblico e attore. Il suo teatro può essere diviso in 3 fasi:
Il teatro del grottesco, rappresenta situazioni di vita di tutti i giorni dimostrandone
la paradossalità e la contraddizione, approfondendo i temi della maschera e della
trappola. Appartengono a questa fase testi come Il giuoco delle parti e Così è (se vi
pare).
Il teatro nel teatro, o metateatro, svela la finzione della rappresentazione teatrale.
Famosissima la trilogia del teatro nel teatro, che comprende Sei personaggi in
cerca d’autore, Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a modo suo.
Il teatro del mito, tipico degli ultimi anni, tratta tematiche arcaiche e predilige
l’elemento fantastico, come ne I giganti della montagna.
UN CAMBIAMENTO DI POETICA
Già sul finire degli anni 20 compaiono però la produzione dei tre di Pirandello nuove
direzioni di ricerca, che rilevano un cambiamento di poetica rispetto a quella
dell’umorismo e del grottesco.l’umorismo tendeva a scomporre la realtà, svelando
contraddizioni;Di qui deriva la riduzione degli intrecci narrativi e drammatici a
meccanismi assurdi E l’impostazione raziocinante, tesa ad a naturalizzare quelle
situazioni paradossali mediante linguaggio spezzato.si è anche visto che è intenzione
con cui siete non c’è umoristica, comparivano nei testi pirandelliani tendenze legate
a un certo misticismo e irrazionalismo .ora tali tendenze prendono decisamente il
sopravvento. Anche linguaggio muta: il discorso assume forme di liricità ispirata ed è
fusa.
I “MITI” TEATRALI
Di questo clima mutato sono espressione i tre cosiddetti miti pirandelliani: si tratta
di testi teatrali che non rappresentano più la realtà sociale borghese
contemporanea, ma si collocano in un atmosfera mitica e simbolica, utilizzando
elementi leggendari, meravigliosi.l’azione si svolge di norma i luoghi separati dalla
realtà storica contemporanea, luoghi essenzialmente dell’immaginario.in questi
spazi “altri“ si producono eventi prodigiosi, sovrannaturali. Il testo più significativo è
i Giganti della Montagna