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Luigi Pirandello

La Manna Matteo 5°CG

Luigi Pirandello nacque il 28 giugno 1867 presso Girgenti (ribattezzata poi Agrigento sotto il
fascismo), da una famiglia borghese (il padre dirigeva alcune miniere di zolfo). Dopo gli studi liceali
si iscrisse all'Università di Palermo, poi alla facoltà di Lettere dell'Università di Roma. In seguito ad
un contrasto sorto con un professore si trasferì all'Università di Bonn (Germania), dove si laureò nel
1891 in Filologia Romanza con una tesi su Suoni e sviluppo di suoni nel dialetto di Girgenti. Nel
frattempo aveva già iniziato la produzione letteraria, scrivendo poesie e una tragedia. L'esperienza
degli studi in Germania fu importante per lo scrittore, perché lo mise in contatto con la cultura
tedesca e in particolare con gli autori romantici, che ebbero profonda influenza sulla sua opera e
sulle sue teorie riguardanti l'Umorismo. Intorno al 1892 si stabilì a Roma, dedicandosi interamente
alla letteratura e dove conobbe altri scrittori come Luigi Capuana (non citare). Nel 1893 si sposò
a Girgenti con Maria Antonietta Portulano (Figlia del socio del padre) tornando poi a vivere con la
moglie a Roma (con l’aiuto economica del Padre). Nello stesso anno scrisse il suo primo romanzo,
L'esclusa (pubblicato solo più tardi, nel 1901). Dal 1897 iniziò a iniziare a insegnare Lingua italiana
presso l'Istituto Superiore di Magistero di Roma. Nel 1903 un allagamento della miniera di zolfo
provocò il dissesto economico della famiglia facendola cadere in una disgrazia assoluta. Il fatto
ebbe conseguenze drammatiche nella vita dello scrittore, che successivamente con la perdita delle
rendite nel padre dovette andare a lavorare anche come professore privato per mantenersi a Roma,
ma la situazione peggiorò quando la moglie (il cui equilibrio psichico era già fragile) ricevette la
notizia della cava, ebbe una crisi che la sprofondò irreversibilmente nella follia (dove le causo una
solta di paralisi mendale per un anno), poi successivamente venne rinchiusa in una casa di cura. La
convivenza con la donna, che era ossessionata da una patologica gelosia, costituì per Pirandello un
tormento continuo, che può essere visto come la “trappola” che imprigiona e soffoca l'uomo. Anche
l'esistenza di Pirandello dunque, come quella di altri scrittori del Novecento, fu segnata
dall'esperienza della declassazione, del passaggio da una vita di agio borghese ad una condizione
piccolo borghese, con i suoi disagi economici e le sue frustrazioni, segnò il suo modo di scrivere
del 1904, che si noterà con il romanzo Il Fu’ Mattia Pascal. Nel 1908 NASCE LA SCRITTURA
DELL’UMORISMO. Nel frattempo fonda la sua compagnia teatrale e inizia a scrivere le sue prime
novelle come Il Treno ha Fischiato e La Patente, ed inizia ad approcciarsi con il mondo teatrale.
Costretto aderì al movimento Fascista. Nel 1921 scrisse 6 personaggi in cerca di un autore, si tratta
di un dramma teatrale che venne in un primo momento molto criticato, ma che poi un anno dopo
capirono il significato ed ebbe molto successo. Con questa opera teatrale vinse il Premio Nobel.
Nel 1925 avviando una lunga collaborazione professionale, si legò sentimentalmente ad una
giovane attrice, Marta Abba. L’8 novembre del 1934 ricevette il Premio Nobel per la letteratura
(Per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell'arte drammatica e teatrale). Muore di polmonite a
Roma il 10 dicembre del 1936 mentre stava girando Il Fu’ Mattia Pascal.
Il Pensiero:

Vive in un contesto storico che lo ha deluso molto a causa del periodo Fascista (che allontanava tutti
gli ideali risorgimentali di una Italia unita), successivamente vive il clima della 1° guerra mondiale e
vive in un contesto storico dove gli ideali di libertà, indipendenza e ecc. non vengono valorizzati,
questo ne porta una insoddisfazione per gli ideali politici (che successivamente lo porteranno a una
ricerca soggettiva della realtà). Riguardante il contesto culturale, Pirandello dopo un periodo
Verista, vive in un periodo di CONCEZIONE INDIVIDUALISTICA (che andava addirittura oltre a quella
artistica) e si ha una spiegazione oggettiva e sterile della realtà. La follia della moglie porta
Pirandello ad indagare “tra sé stesso” e la realtà che lo circonda. Della sua vita si nota una
caratteristica fondamentale di Pirandello cioè il Relativismo Conoscitivo, dove secondo Pirandello,
ognuno di noi assume una “forma nella realtà” e questo lo porta ad una Frantumazione dell’io (cioè
della propria personalità), ognuno di noi siamo tanti, nessuno e 100mila (cioè ognuno di noi
possiamo avere 100mila personalità racchiusa in una singola persona). Pirandello usa questa teoria
per scavare e trovare una fragilità psitica e individuale che esiste in ognuno di noi, dove per
ESEMPIO il SUPER IO è una maschera che mettiamo per sopravvivere nella società (perché per non
essere emarginati o criticati dalla società nascondiamo il nostro vero ESSERE con una maschera),
questo ci fa capire che ognuno di noi usiamo una maschera che nasconda il nostro ESSERE ma
soprattutto che ci protegga dalla società, qualora a noi ci togliessero questa maschera noi
rimarremo indifesi, poiché la nostra pura e vera personalità noi non la sabbiamo esprimere (e forse
neanche la conosciamo a fondo) e quindi nella vita ci sono tantissime maschere e pochissimi volti
(cioè con un volto si possono avere più maschere), ma alla fine lui sottolinea che la verità sta nella
FOLLIA (perché chi viene reputato folle/pazzo è colui che sta senza maschera e mostra il suo vero
ESSERE uniti con L’ES), quindi il suo “malessere” si scaturisce da questa contraddizione che si crea
tra la Realtà e cioè che vuole la Società (e questo gli scaturisce una continua lotta dentro di se per
tutta la vita). Pirandello cerca di esprimere e raccontare questa amara verità con Il Fu’ Mattia Pascal.
Con questa opera inoltre Pirandello, ha voluto esprimere il suo pensiero dove ognuno di noi assume
un ruolo (secondo quello che è il Relativismo Conoscitivo). Inoltre lui scrive una sorta di novelle
chiamate La Patente dove lui “racconta” un altro suo pensiero, dove c’è un grande Pupazzaro che è
colui che muove le maschere della società (quindi le convenzioni sociali), e con quest’opera vuole
sottolineare:
- Il disaggio che si crea per nascondere se’ stessi e cercare di far contenti gli altri;

- Il come noi possiamo reagire alle situazioni che la società (convenzione sociale) “ci mette”
(cioè REAGISCI o “TI FAI PREGARE”);

- E la grandissima FORZA di volontà che ci vuole per togliersi questa maschera, dove quasi
nessuno c’è la fa… perché per togliersi questa maschera ci sono soltanto 2 possibilità: il
suicidio, oppure si cerca di affrontare a testa alta, dignità e onore la cattiveria della società.
Inoltre in lui nel 1908 NASCE L’UMORISMO, dove ancora oggi se ne trova traccia nella nostra attuale
società. L'umorismo nasce in un secondo momento e viene definito da Pirandello come "sentimento
del contrario". Nasce da una riflessione sulla situazione di contrasto tra apparenza e realtà. Questa
riflessione può generare un sentimento di compassione perché mette in luce la fragilità umana e le
debolezze che accomunano tutti.

COMICITÀ E UMORISMO

<< Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti e tutti unti, e poi tutta goffamente imbellettata e
parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. AVVERTO che quella vecchia signora è il contrario di ciò
che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente,
arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del CONTRARIO. Ma
se ora interviene in me la RIFLESSIONE, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse
nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché
pietosamente s'inganna che, parata così, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più
giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione,
lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da
quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è
tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico. >>
ATTENZIONE: La Comicità e L’Umorismo non sono la stessa cosa. La Comicità è fine a sé stessa e
serve solo a far ridere e basta, invece L’Umorismo serve a far riflettere.

Paragone tra Pirandello e Verga:

Giovanni Verga: Pensiero della visione Verista; i suoi personaggi sono: Pescatori, Contadini, i vinti,
gli Umili ecc. dove dovevano stare al loro posto dove la società gli ha imposto, e che non dovevano
fare nulla per cambiare il loro stile di vita (la loro situazione), perché se no la PROVVIDA si abbatte
nelle loro vite con un ciclone, e quindi devono ACCETTARE PASSIVAMENTE tutto quello che gli capita
nella vita.
Luigi Pirandello: Pensiero della concezione individualistica; i suoi personaggi sono: Borghesi, gli
“Agiati” e ecc. che si vogliono ribellare da tutto ciò che non gli aggrada e alla società e cecano di
essere diversi (dove l’IO cerca di emergere da loro stessi) e quindi NON ACCETTANO passivamente
tutto quello che gli capita nella vita come gli umili di Verga. Inoltre Pirandello carica, li rende goffi e
ecc. i suoi personaggi proprio per far ridere (quindi per dare quel senso di comicità).
Il Linguaggio:

Il Linguaggio è simile a quello Verista (quindi colloquiale, diretto, reginale, con l’utilizzo del discorso
dell’indirette libero, SI RIFA’ AL LINGUAGGIO USUALE e comprensibile a tutti).

La Poetica:
Alcuni componimenti hanno una “decadenza” Verghiana. La maggior parte delle sue Novelle sono
di stile breve, hanno un ordine cronologico non sempre ordinato a causa dei flashback. La Fabula
invece ha un ordine cronologico ordinato (quindi segue un certo ordine della storia).

Le Novelle:

È un progetto, incompiuto, dell’autore che si è proteso durante tutta la sua vita. Le novelle infatti
dovevano essere una per ogni giorno dell’anno ma non le concluse, arrivando così a 241 novelle.
Le novelle sono tutte slegate fra di loro e comprendono argomenti vastissimi. Costituiscono un
serbatoio per ispirazione teatrale, molte diventano atto unico, alcune fanno da premessa alle
commedie, altre ancora si trasformano in commedia. Ogni novella è incentrata su un personaggio
solo e hanno un ambientazione verista. E una di queste è Il treno ha fischiato: che rappresenta
l’ambiente tipico della piccola borghesia di Pirandello. Il protagonista, riesce, a malapena col suo
stipendio a mantenere la sua famiglia (residui del verismo) e conduce pertanto una vita difficile.
L’uomo, mentre è al lavoro sente il fischio di un treno e sente il bisogno di ribellarsi alla sua vita, così
si sfoga con il suo capufficio tramite un vaniloquio e viene ritenuto pazzo. Il tema della pazzia è
molto caro a Pirandello.

Il Treno ha Fischiato:

Si tratta di una novella che Luigi Pirandello ebbe pubblicato nella sua prima edizione originaria
nell'anno 1914. Il protagonista della novella come si noterà è il buono e mite contabile Belluca che
è costretto a dovere subire delle vere e proprie pressioni sia nella sua vita personale sia nella sua
vita professionale. Non solo deve mantenere la sua famiglia composta dalla moglie, dalla suocera e
da altri componenti della famiglia di lei, ma il povero Belluca è costretto anche a sopportare le
angherie dei propri colleghi di lavoro che non gli danno affatto tregua, cercando di farlo crollare e
di suscitare in lui delle reazioni violente che non ha, in quanto una persona tranquilla e buona.
La novella racconta la storia di un contabile, Belluca. Egli ha un carattere molto mite, puntuale e
dedito al lavoro, sottomesso da tutti. Per descriverlo, lo scrittore adopera la metafora del somaro
perché tante volte egli veniva rimproverato e fatto sgobbare dai colleghi di lavoro senza pietà e per
scherzo, con lo scopo di vedere la sua reazione; mai egli non si era mai ribellato ed aveva sempre
accettato le ingiustizie, anche le più crudeli, senza dire una parola. Un giorno inizia a comportarsi in
un modo non corrispondente al suo carattere di sempre, tale da non sembrare più nemmeno lui:
arriva in ritardo in ufficio e non svolge regolarmente il suo lavoro. Quando il capo ufficio entra nella
stanza per controllare il lavoro svolto, si accorge che egli non aveva lavorato e sorpreso, e gliene
chiede il motivo. Il contabile reagisce scagliandosi con violenza contro il suo capo, ripetendo più
volte, che un treno ha fischiato nella notte, portandolo in luoghi lontani come la Siberia e il Congo.
A questo punto viene creduto pazzo e ricoverato in un ospedale psichiatrico. Giunto in ospedale,
continua a parlare a tutti del treno; i suoi occhi hanno una luce particolare, simili a quelli di un
bambino felice, e dalla sua bocca escono frasi senza senso. La cosa suscita incredulità e stupore
perché fino ad ora si era sempre occupato di numeri e di registri e mai dalla sua bocca erano uscite
espressioni poetiche che rimandavano a paesaggi bellissimi quanto ignoti. All’improvviso, un vicino
di casa che lo conosce inizia a gridare che Belluca non è impazzito ma che è necessario conoscere la
vita che egli è costretto a condurre, prima di esprimere un giudizio su di lui ed accusarlo di pazzia.
Infatti, egli vive in una situazione familiare disastrosa. La sua numerosa famiglia si compone di dodici
persone: la moglie, la suocera e la sorella della suocera, tutte e tre cieche; hanno bisogno
continuamente di essere servite e non fanno altro che strillare, dalla mattina alla sera. Oltre alle tre
donne, in casa vivono due figlie, vedove con quattro figli la prima e tre la seconda. Con lo scarso
guadagno da impiegato, Belluca non è in grado di sfamare tutte queste bocche, per cui si è dovuto
procurare un secondo lavoro che svolge la sera, fino a tardi che o sfinisce e lo porta all’esaurimento.
Quando Belluca riceve la visita del suo amico, che lo informa che tutti lo credono affetto da follia,
lui stesso gli racconta di quella sera quando, essendo talmente stanco, da non riuscire a dormire,
sente da lontano un fischio di un treno e, quindi, la sua mente lo riporta indietro nel tempo quando
anche lui conduceva una vita “normale” a cui da tempo non pensava più; e quello che gli è successo
è stato un ritorno al passato che lo ha fatto evadere della vita misera che conduce. Dimesso
dall’ospedale, ritorna alla solita vita da contabile, si scusa con il capoufficio il quale, però, gli
concede, ogni tanto di pensare al treno che ha fischiato e di evadere, con l’immaginazione, verso
paesi lontani.

Il significato allegorico del fischio del treno: Con la descrizione delle condizioni di vita e delle
giornate dell'impiegato Belluca, l'autore non vuole connotare in modo realistico l'ambiente sociale
della vicenda, quando rappresenta il disagio esistenziale del protagonista. Solo così si supera
l'impressione di Alienazione mentale e il comportamento dell'impiegato riesce ad apparire un "caso
normalissimo" e il treno che fischia rivela un significato simbolico. Il fischio del treno è
l'avvenimento che sconvolge l'esistenza di Belluca, rivelandogli d'un tratto la vita. Quel treno ricorda
a Belluca le tante città visitate da giovane e la vita che li si viveva, quel mondo a cui solo lui poteva
entrare. Cosi, dopo aver vissuto con i paraocchi, riscopre la libertà e ritrova il gusto di vivere.
Tecniche narrative: La novella Il fischio del treno è presente una voce narrante e il resoconto in cui
l'impiegato ha manifestato la sua inconcepibile ribellione con capo, segue un flash-back.
Fabula e intreccio si discostano, il tempo della storia si dilata. Ed affronta temi importanti per
Pirandello come quello della pazzia.

La Patente:

La patente è una commedia in un atto scritta da Luigi Pirandello nel 1917 con il titolo 'A patenti,
destinata alla rappresentazione teatrale in lingua siciliana. La novella racconta:
Il giudice D'Andrea è una persona molto ordinata che svolge con precisione e puntualità il suo
lavoro. Non lascia mai in sospeso le pratiche; però questa volta ne ha una che giace da una settimana
sulla scrivania perché si tratta di un caso che lo lascia molto perplesso. Un uomo, di nome
Chiàrchiaro, è considerato un iettatore da tutto il paese. Un giorno, vede due giovani che, nei suoi
confronti fanno, un atto osceno di scongiuro per proteggersi dalla iella; per questo l’uomo ha sporto
querela per diffamazione nei loro confronti. Il giudice D’Andrea è convinto che non sarà possibile
eliminare la superstizione che circonda Chiàrchiaro e siccome prevede che la causa sarà persa,
ritiene che sia più opportuno ritirare la querela, anche perché il paese non aspetta altro di vedere
l’uomo condannato. Dopo una lunga riflessione, il giudice decide di far chiamare il querelante nel
suo ufficio per convincerlo a ritirare la querela, perché alla fine lo avrebbe penalizzato ancor di più,
dato che il giudice non avrebbe mai potuto incriminare i due ragazzi querelati per un fatto così
banale e alla fine la fama di iettatore di Chiàrchiaro si sarebbe ancor di più diffusa, ottenendo così
l'effetto contrario di quello desiderato. Quando arriva nell'ufficio, Chiàrchiaro si presenta con il
tipico aspetto di un iettatore e ammette addirittura di esserlo; il giudice meravigliato gli chiede
perché inizialmente abbia querelato i ragazzi che lo ritenevano un portatore di sfortuna, se poi egli
si ritiene di esserlo; nella risposta Chiàrchiaro chiarisce la sua intenzione: chiede al giudice di istruire
al più presto il processo: perdendo la causa, egli sarà considerato ufficialmente uno portatore di
sfortuna e chiederà così che gli sia rilasciata la patente di iettatore.
In questo modo potrà guadagnarsi da vivere: si metterà davanti ai negozi, nelle prossimità delle case
da gioco, vicino alle industrie i cui i proprietari lo pagheranno perché se ne vada; così, egli potrà
riscattarsi anche dalla sottile malvagità della gente che fino ad ora lo ha sempre scansato.

Il significato nella novella: Il tema è quello dell’idea che gli altri si fanno di noi, cosa che ci costringe
ad assumere una determinata forma. Agli occhi di tutti, Chiàrchiaro, è etichettato come un portatore
di sfortuna. Egli diventa vittima della “forma” che gli altri gli attribuiscono e che lo porta alla rovina
e all’emarginazione (è stato licenziato per questo e per lo stesso motivo le due figlie non riescono a
trovare marito). Egli è come prigioniero di tale forma e qualsiasi lotta per uscirne sarebbe inutile.
Allora, decide di sfruttare a proprio vantaggio tale forma (o maschera) che gli altri gli impongono, e
ne accentua per questo le conseguenze.
In altre parole: se gli altri ritengono che la sua presenza porti sfortuna, allora egli sarà davvero un
iettatore formalmente riconosciuto perché in possesso della relativa patente. La novella è un chiara
applicazione della poetica dell’umorismo; infatti quando Chiàrchiaro si presenta nello studio del
giudice ha la barba lunga, la faccia da vero iettatore, un fare minaccioso, un paio di occhiali
stravaganti e indossa un mantello sporco. Il suo aspetto suscita l’ilarità e scatta l’avvertimento del
contrario. Quando però si capisce il vero motivo per il quale egli si sia conciato così, allora scatta il
sentimento del contrario e il riso acquista un aspetto amaro perché si capiscono le vere motivazioni
della sofferenza che sta dietro alla forma di cui egli è prigioniero. Dall’ilarità iniziale, si passa ad un
riso amaro quindi alla compassione che si concretizza con l’abbraccio del giudice che ha capito molto
bene il dolore del cliente l’assurdità della vita.

L'Esclusa:

L’esclusa rappresenta il primo romanzo pirandelliano, in cui Luigi Pirandello evidenzia le


contraddizioni dell’animo umano e la mentalità dell’epoca che porta a rimanere ancorati a
convinzioni e convenzioni a volta sbagliate. Finito di scrivere nel 1893, venne pubblicato alcuni anni
più tardi (nel 1908).
L’opera affonda le sue radici in una cittadina della provincia siciliana durante gli ultimi anni dell’800.
Dove è presente il pregiudizio, la condotta del singolo si basa sul “cosa dirà la gente”, il timore dello
scandalo diventa il credo su cui impostare la propria vita e le proprie relazioni. Al pregiudizio si
accostano il formalismo e il maschilismo. Pirandello delinea una società in cui il matrimonio è ridotto
a rapporti gerarchici precostituiti, dove l’uomo è il padre-padrone e la donna un soprammobile in
attesa di sistemazione. Il rapporto di coppia esclude un dialogo aperto ed egualitario, coprendo
sotto la vernice del formalismo gli impulsi e i sentimenti autentici. Pirandello divise quest’opera in
2 parti:
La prima parte presenta il caso di Marta Ajala, che pur essendo incinta del marito Rocco
Pentagora, viene scacciata da questi perché ritenuta colpevole di adulterio. Fondamento di questa
pesante accusa è la corrispondenza, che la giovane ha avuto con un suo ammiratore, l’avvocato
Gregorio Alvignani. In famiglia non trova alcuna comprensione per la sua sfortunata condizione: il
padre Francesco si mostra deluso e adirato, la madre Agata troppo debole per contrastare il marito.
Iniziano così una serie di disgrazie che colpiscono la famiglia Ajala: la morte di Francesco, la nascita
di un bambino senza vita, la malattia di Marta, il tracollo economico.
Marta non si abbandona alla commiserazione, ma riprende gli studi e vince il concorso per insegnare
all’Istituto Magistrale. L’assegnazione di quella cattedra nella sua città è motivo di malcontento per
molti e Marta viene trasferita a Palermo.
La seconda parte della vicenda si dipana nell’anonimato della grande città. Marta tenta con fatica
e dignità di ricostruirsi una vita, senza riuscire tuttavia a dimenticare il passato che la tormenta. La
sua bellezza attira le attenzioni, per altro non gradite, di numerosi colleghi, fra i quali lo
“stravagante” professor Falcone; il caso le fa incontrare nuovamente Gregorio Alvignani. Cedendo
ad un destino ineluttabile più che ad un autentico sentimento d’amore, diviene la sua amante.
Intanto Rocco, convintosi dell’innocenza della moglie, la rivuole a casa e la raggiunge a Palermo. Di
fronte al letto della madre Fana (madre del marito), ormai morente, ritrova Marta e la prega di
tornare da lui. Anche davanti alla confessione della sposa, da poco realmente adultera, Rocco non
la rifiuta e la accoglie.

6 personaggi in cerca di un autore:

Sei personaggi in cerca d'autore è un dramma teatrale pirandelliano che è stato interpretato in
ambito teatrale per la prima volta nel Teatro Valle nell'anno 1921. La prima teatrale dell'opera ebbe
un esito tempestoso e non fu accolto benissimo dal pubblico presente in platea. L'interpretazione
che ebbe maggiore successo fu quella del 1925; il successo si deve al fatto che Pirandello aggiunse
una prefazione nell'ambito dello spettacolo teatrale.
Il dramma Sei personaggi in cerca d'autore è scritto in un italiano semplice ma un po' antiquato e
narra di un capocomico che, mentre prova sulla scena "Il giuoco delle parti” dello stesso Pirandello,
si vede piombare in teatro sei persone, sei personaggi, che lottano l'un contro l'altro e tutti contro
il capocomico per vedere rappresentato il loro dramma che nessun autore ha voluto scrivere. "Un
uomo sulla cinquantina, in giacca nera e calzoni chiari, dall'aria aggrottata e dagli occhi scontrosi per
mortificazione; una povera donna in gramaglie vedovili che aveva per mano una bimbetta di
quattr'anni da un lato e con un ragazzo di poco più di dieci dall'altro; una giovinetta ardita e procace,
vestita anch'essa di nero ma con uno sfarzo equivoco e sfrontato, tutta un fremito di sdegno
mordente contro quel vecchio mortificato e contro un giovane sui vent'anni che si teneva discosto
e chiuso in sé come se avesse in dispetto tutti quanti". Cominciano così, quasi a forza, a narrare il
loro dramma. Il capocomico è dapprima disinteressato e innervosito poi, man mano che si va avanti
nella storia, si fa attento. Il Padre infatti, dopo essersi accorto che la Madre amava un suo impiegato,
la cacciò da casa e affidò il figlio legittimo ad una balia. Ma quando l'impiegato morì, la Madre, con
i figli illegittimi: la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina, si trovò in una grave situazione finanziaria e
fu costretta ad andare a lavorare come sarta da Madama Pace, la quale obbligò la Figliastra a
prostituirsi. Nella "bottega" di Madama Pace la Figliastra incontra Il Padre. La Madre e i suoi figli si
stabiliscono a casa del Padre dove incontrano il Figlio.
I sei personaggi incarnano ognuno una visione diversa dello stesso dramma che ogni personaggio
vive con una "sua" verità inconciliabile con quella degli altri. Questo è il dramma pirandelliano della
solitudine e dell'incomunicabilità che viene spiegato dal Padre quando, rivolgendosi al capocomico,
gli dice: «ciascuno di noi - veda - si crede "uno" ma non è vero: è "tanti" signore, "tanti" secondo
tutte le possibilità d'essere che sono in noi; "uno" con questo, "uno" con quello - diversissimi! E con
l'illusione d'esser sempre "uno per tutti" e sempre "quest'uno" che ci crediamo in ogni nostro atto!
Non è vero!».
In questo "teatro nel teatro" Pirandello non narra il dramma dei personaggi ma il loro tentativo
di trovare un autore che lo rappresenti. I sei personaggi sono diversi perché ognuno di loro vive
una parte diversa dello stesso dramma. Il Padre è distrutto dal rimorso per le proprie colpe; la
Figliastra, vittima del Padre si vuole vendicare proprio rappresentandole e rendendole immortali sul
palcoscenico. Il Figlio, sdegnato con tutti, si sente estraneo alla famiglia. La Madre vive solo per le
due creaturine indifese che ha ai fianchi, le quali vivono anche loro un dramma che non si manifesta.
Nell'ultima parte dell'opera vi è una contrapposizione tra realtà e finzione espressa per mezzo degli
attori che, quando vedono il Giovinetto ferito, si dividono non sapendo quale è la verità. L'ultima
parte e anche surreale perché la Bambina, viva, recita la propria morte.
Sei personaggi in cerca d'autore è un testo teatrale, quindi Pirandello non narra i fatti ma scrive le
battute e le note sceniche; non vi è dunque voce narrante e il testo è tutto in discorso diretto.
L'opera pur essendo un atto unico è spezzata in tre parti poiché la vicenda si svolge in tempo reale
e i cambiamenti di scena avvengono a sipario alzato; i fatti si svolgono in un pomeriggio e sono
narrati in ordine cronologico ma i personaggi rievocano ricordi passati.

Uno, Nessuno, Centomila:

Il libro Uno, Nessuno, Centomila ha come protagonista Vitangelo Moscarda, detto Gengè, è un
uomo benestante che abita nel piccolo paesino di Richieri. Una mattina sua moglie Dida gli fa notare
un suo piccolo difetto: Vitangelo ha il naso che pende leggermente verso destra. Viene così a
conoscenza di altre sue piccole imperfezioni e capisce che, dei piccoli difetti, ignorati da lui stesso,
erano invece familiari a chi gli stava intorno. Moscarda si rende allora conto di non essere più lui,
ma un altro, anzi, uno per ogni persona che incontra e per ogni azione che compie. In un crescente
bisogno di autenticità, Vitangelo compie atti del tutto inusuali agli occhi di chi lo conosceva prima
della crisi: sfratta una famiglia per poi regalarle un appartamento nuovo; decide di liquidare la banca
ereditata dal padre per riavere indietro i suoi risparmi; esplode improvvisamente dall’ira,
pronunciando strani discorsi, sino a sembrare matto, tanto da far fuggire sua moglie e rischiare di
venire interdetto. Un’amica della moglie, Annarosa, lo avvisa delle pratiche in corso, attuate dalla
stessa Dida e da altri suoi amici, per farlo rinchiudere in manicomio. Per difendersi da questo
complotto, Vitangelo diventa amico di Annarosa e, spinto dal desiderio di avere qualcuno con cui
confidarsi, le svela le conclusioni che ha tratto dalla sua vita. Anch’ella, donna buona ma troppo
semplice per capire l’animo di Moscarda, ne rimane talmente sconvolta da tentare di ucciderlo.
Vitangelo troverà pace solo dopo essersi rivolto al vescovo Mons.
Partanna, il quale gli consiglia di donare tutti i suoi beni ai poveri. Moscarda finirà i suoi giorni in un
ospizio per i poveri, fondato da lui stesso, paradossalmente più felice di prima, nel tentativo di
liberarsi di quell’Uno e di quei Centomila, allo scopo di diventare, per tutti e per sé stesso, Nessuno.
In questo romanzo ritroviamo tutti i temi più cari a Pirandello, primi quelli della maschera, della crisi
d'identità dell'uomo del Novecento e della follia. Vitangelo Moscarda scopre di non conoscersi, di
non essere una persona, di indossare centomila maschere, una per ogni persona che conosce e una
anche per sé stesso. Vitangelo è uno, è tanti e allo stesso tempo è nessuno. Interviene allora la follia,
unica via di scampo dalla tragicità e la paradossalità della vita. La follia deriva dalla consapevolezza,
dal pensiero che lo porta a convincersi delle proprie teorie e a voler sfidare quel mondo dalle
centomila apparenze nel quale si sente imprigionato. La lingua di Uno, nessuno e centomila è, in
generale, semplice con molti elementi del parlato, in particolare nei dialoghi. Pirandello unisce
però questa tendenza all’oralità con l’uso di alcuni termini meno comuni, che appaiono di tanto in
tanto tra le pagine del romanzo, termini di cui il lettore può non capire il significato e che rimandano
sia all’italiano dotto che alle varie tradizioni popolari italiane (toscana, romana, siciliana).

Il Fu’ Mattia Pascal:

Il fu Mattia Pascal è uno dei romanzi più famosi di Luigi Pirandello, scritto nel 1904. Il romanzo,
diviso in 18 capitoli, inizia a vicenda conclusa e narra la storia in prima persona. A parlare infatti è
il protagonista Mattia Pascal, un giovane che vive a Miragno, un paesino ligure, e appartiene a una
famiglia benestante. A livello psicologico invece, Mattia Pascal ci appare come una persona molto
malinconica e triste, costantemente alla ricerca di certezze e ossessionato dal peso dell’esistenza
e del rapporto di questa con l’apparenza, che non sopporta più la di “portare” la maschera per
“sopravvivere” nella società dell’epoca. In questa opera è presente la concezione del Relativismo
Conoscitivo.
Il romanzo inizia dopo la morte del padre, egli ha ereditato una discreta somma di denaro. Denaro
che un amministratore disonesto di nome Batta Malagna ha mal gestito e dissolto, arricchendosi
alle spalle della famiglia Pascal fino a ridurla sul lastrico. Mattia, infatti, per vivere è costretto a
lavorare nella Biblioteca Boccamazza, lavoro che mal sopporta. Inoltre, vive costantemente in lite
con la moglie Romilda e con la suocera che lo disprezza, così, un bel giorno, decide di partire
per iniziare una nuova vita.
Arrivato a Montecarlo, vince alla roulette una grande somma di denaro e, con il suo piccolo capitale,
pensa che le cose possano migliorare e fa per tornare a casa. Sulla via del ritorno, in treno,
sfogliando un giornale, legge del suicidio di un uomo nel suo paese: tra lo stupore e la sorpresa
scopre che si tratta del "proprio" suicidio. Per uno strano gioco del caso, il corpo in avanzato stato
di putrefazione ritrovato nella gora di un mulino era stato, riconosciuto come suo da sua moglie e
sua suocera.
Approfittando dell’occasione ghiotta, decide di togliersi la maschera che la società gli aveva imposto
e cambiò la propria identità e, una volta per tutte vivere una nuova vita libera e svincolata da ogni
convenzione e prigione sociale. Cambia nome, da ora si farà chiamare Adriano Meis, e affitta una
casa a Roma.

Si innamorò della figlia del padrone della nuova casa, che però scopre di non poterla sposare, capisce
che senza documenti, non può vivere libero come sperava. Successivamente subisce un furto e non
lo può denunziare, o quando subisce offese che non può vendicare. Decide allora di morire per la
seconda volta, e rinascere come Mattia Pascal. Inscena quindi il suicidio di Adriano Meis lasciando
su un ponte il suo cappello, il bastone e un biglietto e torna alla propria vita a Miragno. Una volta
rientrato in paese, però, scopre che la moglie si è risposata ed ha avuto dei figli con il suo vecchio
migliore amico, e che non c’è più posto per Mattia nella sua vita. Torna a lavorare quindi nella
biblioteca Boccamazza e, di tanto in tanto, porta fiori alla propria tomba. Al concludersi del romanzo
e della vicenda, il fu Mattia Pascal decide di raccontare gli strani casi della sua esistenza (in una
posizione fetale), e lo fa in un libro destinato ad esser letto cinquant’anni dopo la sua “terza, ultima
e definitiva morte".

L’interpretazione Critica Tematica Del Modello Del Il Fu’ Mattia Pascal Di


Luperini:

Romano Luperini, inserisce la vicenda di Mattia Pascal e la sua crisi di identità, in genere considerata
solo in un'astratta dimensione esistenziale e metafisica, in un preciso contesto storico e sociale:
quello della «modernità», costituito dallo sviluppo delle grandi città industriali, delle macchine e del
progresso.
Secondo Luperini, le vicende dell'eroe si collocano su tre scenari: il paese, che rappresenta il mondo
arcaico e rurale, Milano, la città industriale moderna, e Roma, l'antica città d'arte, contaminata
anch'essa dalla modernità e trasformata in una specie di città morta. La modernità per Pirandello
meccanizza la vita, la rende ancora più artificiosa, e distrugge il rapporto tra uomo e natura. Non è
più possibile una corrispondenza tra anima e paesaggio, uomo e cosmo, come nella cultura
romantica e simbolistica ottocentesca. L'uomo non può più attingere ad una condizione "naturale",
autentica. Mattia Pascal si lascia alle spalle la società arcaica e rurale, che lungi dall'essere un idillio
si rivela un inferno, nei rapporti affettivi come in quelli economici; di fronte ha solo l'alienazione
della vita cittadina. Pirandello, se analizza con lucidità critica la modernità, non idealizza il
premoderno, non erige ad alternativa la civiltà preindustriale. La crisi di identità di Mattia Pascal
nasce anche da questo essere sospeso fra vecchio e nuovo, respinto dall'uno come dall'altro.
Tornare al paese non vuol dire per lui integrarsi nella vecchia realtà, ma scontare solo isolamento
ed estraneità.

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