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Quadro generale sulla storia della letteratura italiana: durante il periodo dell’impero romano

c’erano due tipi di lingue: il latino scritto (tipico degli imperatori, nobili, poeti) e il latino parlato
(tipico del popolo). Il latino parlato variava da regione a regione, la lingua ufficiale era il latino
scritto. Quando l’impero romano si spaccò, ognuna di queste regione cominciò a sviluppare una
propria lingua, fortemente influenzata dalla lingua che si parlava prima della venuta dei romani ma
anche dal latino parlato: lingue neo-latine o romanze. In Francia si va sviluppando la lingua
francese perché il re cominciò a scrivere in quel determinato modo e quindi il francese divenne la
lingua ufficiale. In Italia le prime forme di lingua scritta arrivano qualche decennio prima dell’anno
1000 (l’Italia non era ancora unita e quindi era difficile stabilire un’unica lingua ufficiale). Quando
la borghesia cominciò a scrivere in una lingua fortemente influenzata dal latino parlato, intorno
all’anno 1000 si cominciò a formare l’italiano (lingua nata dal latino parlato e per questo
considerata volgare). La letteratura italiana fin dall’inizio fu influenzata dalla letteratura francese:
prima poesia italiana in assoluto di San Francesco -il cantico dei cantici (lingua italiana, dialetto
umbro). Nella scuola siciliana abbiamo la prima poesia dotta (fatta dagli intellettuali), essa prende
spunto dalla scuola della Provenza (corte di Federico II di Svevia). In questa prima poesia si iniziò a
scrivere delle prove d’amore che l’uomo doveva superare per conquistare la donna; nascita del
sonetto. Piano piano questa donna siciliana descritta, divenne la donna angelo: la donna angelo era
una descrizione di una determinata donna con un concetto d’amore completamente diverso da
quello dell’amore terreno, attraverso la donna angelo il poeta aveva un rapporto diretto con Dio,
essa è un modello di perfezione, un mezzo col quale l’innamorato arrivava a Dio (mezzo per
arrivare in Paradiso); la donna ricambia la cortesia di essere amata attraverso il saluto: se la donna
saluta il poeta significa che è consapevole di essere “cantata” e amata, il saluto è un segno di
accettazione. Se la donna viceversa non saluta, il poeta non è autorizzato a scrivere per lei: scuola
del dolce stilnovo. La storia della lingua italiana nasce dal latino, in Europa nasce prima, in Italia si
è più attaccati al latino quindi si inizia a scrivere in italiano nel 1200: tardi rispetto alle altre nazioni.
La storia della letteratura italiana nasce popolare con San Francesco, a Palermo viene in seguito
dotta e quando gli scrittori scappano da Palermo in Toscana (perché gli Svevi vengono sconfitti)…
nasce il dolce stilnovo.

Luigi Pirandello: nacque a Girgenti, odierna Agrigento, nel 1867; da una famiglia abbastanza ricca
e fortemente anti borbonica e favorevole all’unità d’Italia. Si iscrisse in lettere all’università di
Palermo ma si laureò poi in Germania nel 1891. Nel 1892 si trasferisce a Roma e conosce Luigi
Capuana; nel 1893 accade un fatto molto importante per la vita di Pirandello, le miniere del padre e
del suocero furono allagate e ci furono molti morti nonché le miniere una volta distrutte portarono
le famiglie ad avere una grande crisi economica. Nel 1904 pubblicò il suo primo grande capolavoro
il fu Mattia Pascal; nel 1908 pubblica il saggio sull’umorismo molto importante per capire la
poetica di Pirandello. Dal 1915 si dedica al teatro; nel 1921 fu messo in scena a Roma, sei
personaggi in cerca di autore che fu un vero insuccesso perché l’opera era talmente rivoluzionaria
che non fu compresa; qualche mese dopo fu messo in scena a Milano e questa volta fu un
grandissimo successo, piano piano gli italiani stavano comprendendo la rivoluzione pirandelliana.
Nel 1924 all’indomani del delitto Matteotti (delitto molto importante perché Matteotti era il
segretario del partito socialista che per primi si era opposto al fascismo), il regime fascista cominciò
a scricchiolare, Pirandello aderì al fascismo fu un evento particolare perché Pirandello nelle sue
opere non aveva nulla di fascista: la famiglia di Pirandello così come altre moltissime famiglie
italiane, si erano convinte che la decadenza dell’Italia fosse causata dalla dinastia dei Borbone, per
questo furono favorevoli all’unità d’Italia. Quando questa però avvenne e essi si resero conto che la
situazione non era cambiata cominciarono a dare la colpa alle idee liberali di Giolitti e dato che
Mussolini si opponeva a questa idea, molti aderirono al fascismo (l’adesione al fascismo era spesso
una convenienza e non credere in quegli ideali). Nel 1924 fonda la sua compagnia d’arte che fa il
giro di tutto il mondo e addirittura va a finire ad Hollywood; nel 1926 pubblica uno, nessuno,
centomila. Nel 1934 vince il premio Nobel per la letteratura ma in realtà questo premio gli fu
affidato per il teatro. Nel 1936 muore a Roma.
L’arte di Pirandello fu finalizzata a scoprire la condizione umana e fu uno dei grandi geni della
letteratura italiana. Alla base della sua poetica ci sta l’umorismo e in questo campo fa una
distinzione tra il comico e l’umorismo. Dove il comico è la percezione del contrario; l’umorismo è
la riflessione del contrario. Ciò Pirandello lo spiegò attraverso il famoso esempio della vecchietta:
immaginiamo una vecchietta agghindata come una ragazzina, all’inizio c’è la percezione del
contrario perché a primo impatto chi osserva la vecchietta ride; dopo avviene la riflessione sulla
condizione della vecchietta, dove riflettiamo sul motivo che spinge la donna a compiere quel gesto,
qui non rideremo più ma avviene l’umorismo che è qualcosa di più sarcastico che ti lascia anche un
po’ di amaro in bocca. I personaggi di Pirandello rappresentano il contrasto, cosa dovrebbero essere
e cosa in realtà fanno. Una delle sue caratteristiche principali delle sue riflessioni è il contrasto tra
vita e forma. Per Pirandello la vita è l’istinto, la passione, la parte irrazionale, ciò che si vorrebbe; la
forma è invece la parte in cui la vita è rinchiusa, come se fosse una prigione. La vita in Pirandello
viene considerata un flusso continuo, passione pura e istinto. L’uomo non potendo vivere nella
società attuale con passione pura deve prendere una forma, abbandonando la parte passionale e
abbracciando quella razionale l’uomo prende una forma, imprigiona se stesso mettendo una
maschera. Ogni uomo secondo Pirandello, per vivere nella società moderna deve indossare una
maschera, a secondo del ruolo che egli ha in questa società che d’altra parte ti impone di agire in
una determinata maniera. Se un uomo dovesse scegliere di togliere la maschera e vivere al di fuori
delle convenzioni sociali, verrà marchiato dalla società come un pazzo. Secondo Pirandello, la
verità non esiste, essa non è altro che un punto di vista, la verità oggettiva quella del positivismo
non esiste, esistono le verità: questo concetto è descritto benissimo in così e se vi pare dove i
protagonisti sono il signor Ponza e la signora Frola che sono suocera e genero. La moglie del signor
Ponza era morta e lui si era risposato; la signora Frola che non si era mai rassegnata alla morte della
figlia, crede che la nuova moglie di Ponza sia sua figlia e lui glielo lascia credere. Ma la signora
Frola da parte sua crede che il pazzo sia suo genero, che crede che sua figlia sia morta e immagina
di essere sposato con un’altra donna. Quando entra in scena la moglie e gli viene chiesto se lei sia la
prima o la seconda, ella risponde io sono chiunque voi vogliate che io sia nel senso: io sono la
seconda moglie per mio marito e una figlia per mia madre.
Pirandello era un grande amante del paradosso, la verità non esiste, l’identità non esiste. Il concetto
di identità viene sviluppato nel romanzo uno, nessuno, centomila: il protagonista del romanzo
Vitangelo Moscata si accorge di avere il naso storto e chiede alla moglie se ha sempre avuto quel
naso, questa fissazione finisce per diventare pazzia. Vitangelo si vede in una maniera che non
coincide col modo di vedere che hanno gli altri: pensavo di essere uno e invece sono centomila
persone differenti (perché ogni persona che mi conosce, mi vede in maniera diversa) finisce che io
sono nessuno perché sono talmente tante persone diverse che non ho più un’identità mia.
Il fu Mattia Pascal parla di un uomo che vive una vita semplice indossando anche lui una maschera,
quest’uomo ad un certo punto della sua vita decide di fare un viaggio e a Monte Carlo in un casinò
vince una grossa somma e torna a casa felice. Mentre si trova sul treno di ritorno, trova un giornale
con una notizia dove legge che Mattia Pascal (lui stesso) si è suicidato, in realtà era un uomo che si
era tolto la vita nei suoi poderi e tutti avevano pensato che fosse Mattia dato che il volto era
tumefatto e dato che lui era scappato e non aveva dato più notizie. Mattia vede in ciò una nuova
possibilità per la sua vita, si vede finalmente libero dalla sua prigione. Si trasferisce a Roma, cambia
identità facendosi chiamare Adriano Meis qui si innamora di una donna che non può sposare perché
non ha documenti, è come se non esistesse quell’Adriano Meis. È qui che la troppa libertà lo porta a
vivere una condizione peggiore di prima perché lui non esiste per la società; alla fine decide di
tornare alla vecchia vita, fingendo che Adriano Meis si sia suicidato ma qui scopre che la moglie si
è risposata, egli finisce per vivere quindi una non vita: Mattia Pascal è un eroe decadente, uno
sconfitto che non può cambiare il suo destino, la condizione dell’uomo è disperata e la vita è senza
un senso. La frase che da inizio a Mattia Pascal è maledetto Copernico, Copernico credeva che
l’uomo avesse delle certezze e che fosse destinato ad essere la migliore creatura del creato. L’eroe
decadente è l’uomo che non ha più certezze.
Pirandello diviene famoso per il teatro dove egli mette in scena dei personaggio grotteschi,
deformati, il teatro di Pirandello è quasi tutto un monologo non vi sono praticamente dialoghi. Nel
teatro egli mette in scena la condizione disperata dell’uomo dove niente è come appare e la vita è
soltanto una finzione. Per Pirandello il teatro è addirittura più vero della vita, perché in esso l’attore
è consapevole di fingere una parte, nella vita l’uomo è invece inconsapevole di recitare perché finge
una parte senza saperlo, non sa che sta recitando. *concetto di Leopardi sulla ragione, utilizzando la
ragione sono infelice: concetto di maschera di Pirandello, chi si toglie la maschera vive una
condizione desolata
Il capolavoro teatrale di Pirandello è sei personaggi in cerca di autore dove vi sono degli attori che
stanno mettendo in scena un’opera di Pirandello, ad un certo punto mentre stanno recitando, entrano
in scena delle persone che dicono di voler parlare col capo comico. Questi che entrano in scena
sono dei personaggi ovvero delle creazioni del teatro che vogliono prendere vita, vogliono essere
messi in scena. Il capo comico si fa convincere e questi vengono inseriti nella scena, quindi: da una
parte ci sono i personaggi che vogliono diventare attori, e dall’altra gli attori che vorrebbero mettere
in scena dei personaggi. Mentre viene messa in atto la scena… una bambina annega e un giovane si
suicida; ma i personaggi non riescono a capire se queste morti facciano parte della scena o i
personaggi siano morti veramente: qui la realtà e la finzione si mescolano, non si sa più cosa è vero
e cosa non lo è: la verità non esiste. La lingua di Pirandello è anti d’annunziana, per d’Annunzio la
lingua doveva essere pomposa, classica e doveva puntare l’attenzione su come si dicono le cose;
mentre Pirandello voleva scavare nella condizione dell’uomo, nell’interiorità umana e ad egli
interessa quello che si dice, la lingua è quindi colloquiale perché punta l’attenzione sulla condizione
dell’uomo.

Italo Svevo: il cui vero nome era Aron Hector Smiths e nacque a Trieste nel 1861 che a quel tempo
era una città del regno austroungarico e quindi per questo egli fu considerato di nazionalità austrica.
Egli a casa parlava o il dialetto triestino oppure il tedesco, imparò l’italiano col tempo e per lui fu
quindi una lingua acquisita. Quando comincerà a scrivere, pubblicherà i suoi scritti con lo
pseudonimo Italo Svevo proprio per sottolineare che fosse per metà italiano e per metà tedesco (gli
Svevo erano di nazionalità tedesca). Trieste era una città multietnica e ricca dal punto di vista
commerciale, Svevo faceva parte di una famiglia borghese. Nel 1892 pubblica il suo primo romanzo
una vita che fu un grande insuccesso; nel 1896 pubblica un secondo romanzo senilità e dato che
anche questo fu un grande insuccesso, decise di smettere di scrivere e si mise a viaggiare. Durante
uno dei suoi viaggi conobbe James Joyce, uno dei più grandi romanzieri del 900 e nel 1908 si
avvicina alla psicoanalisi di Freud, fu uno dei primi a conoscerla perché la poté leggere in tedesco
senza aspettare la traduzione. Nel 1915 allo scoppio della prima guerra mondiale, l’azienda del
suocero dove lavorava, entrò in crisi e questo lo portò a restare senza lavoro; questa cosa lo portò a
riprendere la scrittura. Nel 1923 scrive la coscienza di Zeno che fu considerato un grande successo
anche perché fu recensito sia da un giornale francese, sia da Joyce, sia da Montale in seguito. Nel
1928 muore in un incidente stradale. Svevo fa parte del Decadentismo che può essere diviso in due
grandi parti: la percezione della crisi e la coscienza della crisi. Della percezione della crisi fanno
parte d’Annunzio e Pascoli, in essa gli intellettuali italiani capiscono che la società moderna è in
crisi ma non ne conoscono ancora il motivo e fuggono dalla realtà quotidiana. Con Svevo e
Pirandello abbiamo la coscienza della crisi dove gli intellettuali italiani conoscono il problema della
società moderna. Svevo ha una grande importanza nella storia della letteratura italiana perché
riforma il romanzo italiano, ne scardina la struttura del tempo e dello spazio. Prima le vicende
venivano narrate in maniera cronologica. Quando si parla del pensiero di Svevo si parla di inetto:
l’inetto è l’uomo moderno, la malattia dell’uomo moderno, colui che invece di agire, pensa; ma
pensa talmente tanto che alla fine non agisce. Anche qui vi è la differenza tra natura e ragione dove
la natura sarebbe l’azione, la ragione sarebbe il pensiero. La caratteristica dell’uomo moderno è che
pensa talmente troppo che alla fine non agisce. Petrarca questa caratteristica la chiamava accidia, la
mancanza di volontà. Un altro punto in comune con Pirandello è l’ironia, il non prendersi sul serio
perché la verità è talmente tragica che all’uomo moderno non rimane altro che sorridere. L’inetto è
molto vicino alla maschera, alla pazzia; ci sono due categorie di uomini, per Svevo tutta l’umanità è
malata solo che alcuni ne sono a conoscenza, altri non ne hanno idea. Ma l’essere cosciente della
propria malattia, non vuol dire guarire; questa è la via d’uscita che caratterizza gli scrittori
decadenti, dove l’uomo moderno viene a conoscenza di sé ma di fatto non può fare nulla per
uscirne. È la società ad essere malata e non l’uomo. La conoscenza della psicoanalisi di Freud
rivoluzionò il pensiero di Svevo, Svevo scopre con Freud l’inconscio, una specie di cassetto
all’interno del nostro cervello dove l’uomo automaticamente conserva le paure, le perversioni, i
dolori, tutto ciò che non dovrebbe venire fuori ma a volta succede che inconsciamente questo
cassetto si apre. Svevo apprezzò la psicoanalisi ma non crede che si può guarire. Svevo aveva una
concezione di letteratura che serviva a svelare la tragica condizione dell’uomo, è una letteratura che
serve alle persone, per questo la lingua di Svevo è semplicissima e spesso venne accusato di parlare
un italiano scorretto: per lui come Pirandello, è importante ciò che si dice, la letteratura serve a dire
la verità. La scrittura di Svevo iniziò ad essere apprezzata alla fine della prima guerra mondiale
perché cambiarono i temi e vennero recuperati tutti gli intellettuali che parlavano della sconfitta,
della pazzia e della malattia. Il primo personaggio di Svevo è Alfonso Nitti (una vita), anche lui è
un inetto ed un borghese con aspirazioni letterarie, sta per sposarsi e compiere la scalata sociale; un
attimo prima si tira indietro, pensa ma non agisce. È un inetto che condanna se stesso al fallimento e
alla distruzione. L’altro personaggio Emilio Brentani (senilità), anche lui è un intellettuale fallito
che aspira all’arte ed uscire attraverso essa dall’anonimato. Vive con la sorella Amalia che si
innamora di uno scultore che è l’opposto di Emilio, lo scultore Balli è un uomo vincente ma l’amore
non è corrisposto e per questo la sorella si suiciderà. Emilio si innamora di una ragazza, Angiolina,
completamente diversa da lui; egli non agisce mai e non prende iniziativa con la ragazza. Sia Emilio
che Amalia sono degli sconfitti. Nel 1923 abbiamo finalmente il grande successo di Svevo la
coscienza di Zeno; il protagonista è Zeno Cosini che ha un problema alla gamba, zoppica; in realtà è
una malattia psicologica che diviene fisica ed ha il vizio del fumo (non riesce a smettere di fumare
perché è un inetto). Zeno va in cura da uno psicoanalista per guarire, ma alla fine si stufa e non paga
il dottore; lo psicoanalista per vendetta pubblica le sue sedute abbreviando il nome. Il racconto non
avviene in maniera cronologica, viene scardinata la narrazione cronologica, i racconti sono non-veri
perché descritti da un uomo malato, il tempo stesso non è relativo, questo tempo è interiore perché
deriva dalla coscienza. La verità non esiste perché è raccontata qui da un malato. Il vizio del fumo è
il simbolo dell’inettitudine, Svevo da parte sua diceva che smettere di fumare è facilissimo. Il
personaggio è un anti-eroe perché non è un eroe positivo; l’inettitudine diventa qui quasi positiva
perché lui si rifiuta di uscirne, Zeno è una persona che sa di essere malata.
Svevo ebbe un cattivo rapporto col padre che contribuì a plasmare e a creare la sua malattia.

Federigo Tozzi: nasce a Siena nel 1883, ebbe durante l’infanzia e l’adolescenza un rapporto
difficile col padre, la madre morì nel 1895 e da quel momento si formò una personalità aggressiva e
rissosa. Proseguì gli studi i maniera irregolare senza portarli a termine ed ebbe un grande interesse
per le letture. Venne assunto nel 1908 dalle ferrovie dello stato e quando nel maggio dello stesso
anno, il padre morì, lo lasciò erede di un incredibile fortuna. Si sposò e abbandonò l’impiego per
dedicarsi alla letteratura. Pubblica il suo primo libero nel 1917 Bestie, nel 1919 con gli occhi chiusi
e nel 1920 tre croci. Muore nel 1920 a Roma, a causa di una polmonite. Tozzi ebbe breve vita e in
questa vita fu misconosciuto. Il cattivo rapporto col padre influì nella sua scrittura, i suoi personaggi
sono come lui deboli e miti. La scrittura di Tozzi nasce da un fondo autobiografico e da un modo di
rappresentazione e di visione di tipo naturalistico (essenziale il richiamo a Verga). La realtà esterna
descritta da Tozzi invade il suo spazio visivo come fosse una presenza misteriosa che spesso tocca
la sua sofferenza psicologica. Nel 1910 in ricordi di un impiegato racconta dei suoi ricordi legati
all’esperienza nelle ferrovie, composti sotto forma di diario e pubblicati a cura di Borgese: in essi si
narra di questa sua esistenza di fronte alla presenza estranea e nemica degli altri dove il narratore
vive una realtà priva di senso e ostile. Appare in questo
diario un io frantumato e addirittura inesistente. Il suo romanzo capolavoro è con gli occhi chiusi
pubblicato nel 1919 e viene scritto quando da giovane Federigo si innamora della nipote dei
contadini che gestiscono il podere paterno. Dove gli occhi chiusi sono il bisogno di fuggire dalla
realtà. Il romanzo è narrato in terza persona e vede un succedersi di brani disposti come frammenti
dove segue la vicenda ricca di elementi autobiografici di Pietro Rosi e del suo innamoramento per la
contadina Ghisola, all’inizio il protagonista vive questo amore attraverso immagini illusorie fino a
quando non scopre che elle è incinta. Pietro qui si presenta come un inetto che sfugge alla stranezza
dell’esistenza e alle persone di cui subisce la minacciosa estraneità. Questo romanzo di Tozzi è un
po’ come un romanzo di formazione alla rovescia, la storia di un’esperienza di delusione e insieme
al personaggio tutta la realtà cede e si sfalda. Il mondo appare ossessivo e irrespirabile, chiuso a
qualsiasi possibilità di amore. Una prova eccezionale di scrittura frammentaria è Bestie, dei brevi
testi che si riferiscono alle situazioni alle situazioni più diverse che vanno dalla descrizione di
luoghi e oggetti, alla presentazione di figure umane, alle riflessioni morali e personali. Avvengono
delle analogie con figure animali: un singolare bestiario moderno che mira a condensare in sé tutto
il peso inquietante e misterioso che il mondo esterno assume per un’anima senza a amicizie,
ingannata tutte le volte che ha chiesto d’esser conosciuta (peso inquietante del mondo esterno). Il
podere del 1921 racconta le vicende di Remigio Selmi che alla morte del padre si occupa del podere
e anch’egli è un inetto che più cerca di comportarsi in modo benevolo più gli altri si accaniscono
contro di loro e gli attribuiscono la responsabilità di ogni ingiustizia. Crescendo gli si scaglia
addosso ogni tipo di disgrazia, fino a quando un contadino in un impeto di rabbia lo uccide con un
colpo di accetta. Il linguaggio è sempre retto da periodi brevissimi, da frequenti frammenti di
dialogo. L’incapacità di vivere di Remigio è una resistenza passiva alle leggi economiche e naturali,
un bisogno di essere altrove. In tre croci del 1920 la figura dell’inetto-vittima sacrificale si
rispecchia nella vicenda dei tre fratelli Gambi, proprietari di una libreria di antiquariato a Siena che
in seguito a difficoltà economiche precipitano in una serie di errori che li porta alla rovina e alla
morte. La loro vicenda finisce per trasformarli in figure simboliche, vittime di un’espiazione per il
male stesso di vivere. Questo romanzo viene considerato da molti il più maturo perché è l’unico non
autobiografico. La caratteristica che accomuna i romanzi di Tozzi è il passare da un esordio
realistico per arrivare poi ad un’esperienza tipica delle letteratura del 900. I suoi protagonisti sono
tutti degli inetti, tutti i suoi romanzi hanno una realtà angosciosa e persecutoria, descrive dei
paesaggi stretti, schiaccianti e soffocanti. I protagonisti sono tutti spaventati da questa realtà e
riescono a fuggire da essa attraverso la cecità (tenendo gli occhi chiusi) o cercando consolazione
nella natura. Non è importante la trama ma il realismo psicologico. Tozzi nel romanzo tre croci fa
del suo mondo psicologico e del mondo provinciale senese una lacerante metafora della condizione
umana, la cui crudele fisicità del mondo contadino e municipale si va disgregando a contatto con la
modernità. La poetica di Tozzi può dividersi in tre parti: in un’attenzione al suo mondo psicologico
e frammentato; attenzione al mondo provinciale e infine nella metafora della condizione umana in
cui la provincialità si disgrega a contatto con la modernità. L’inetto tozziano è estraneo in una realtà
aggressiva, violenta e bestiale.

Camillo Sbarbaro: nasce a Santa Margherita Ligure nel 1888 e muore a Savona nel 1967. La sua
poesia che inizia ad avere rilevanza nel 1914 con la raccolta pianissimo dà voce a una condizione di
indifferenza e di aridità. Un po’ come in Tozzi il tema dominante è il senso di estraneità e solitudine
nei confronti di un mondo privo di senso e speranza: i simboli di questa condizione sono infatti il
deserto e la città moderna. Vi è uno stato di vuoto che domina il mondo e il soggetto, costretto ad
abitare il nulla. Sbarbaro cammina tra le cose e la gente come fosse un sonnambulo e a tratti sembra
invaderlo qualche barlume di vitalità che subito ricade nel vuoto, in un esistere privo di eventi
poiché il mondo è un arido deserto dove non si può far altro che contemplare la propria arida
esistenza. Dopo pianissimo seguirono pochi altri versi, dalla misura più distesa e raccolti nel 1955
in rimanenze. Poi egli si dedicò alla prosa.

Umberto Saba: prima del 1915, il panorama culturale europeo era caratterizzato dalle avanguardie,
dal francese: guardare avanti. Era un movimento culturale che cercava di rompere con la
tradizione. Dopo la prima guerra mondiale vi è un periodo di ritorno all’ordine, durante il quale si
cerca di ricostruire la parte metrica. Questo ritorno all’ordine fu portato avanti da una rivista la
ronda, il cui più grande rappresentante fu Cardarelli; solaria un’altra grande rivista a cui
parteciparono i più grandi intellettuali. Il più grande movimento culturale a cavallo tra le due guerre
fu l’ermetismo.
Saba nasce a Trieste nel 1883, il suo vero nome è Umberto Poli ed apparteneva ad una famiglia
borghese. Ebbe un’infanzia molto traumatica, il padre lo abbandonò ancor prima che lui nascesse; la
madre lo affidò ad una balia di nome Sabats dalla quale prese il suo nome d’arte e con la quale
convisse fino ai quattro anni, prima di ritornare con la madre. Nel 1910 collabora con un giornale di
Firenze diretto da Benito Mussolini, Mussolini voleva liberare Trieste dagli austriaci e questo portò
Saba a collaborare con egli. Nel 1922 pubblica la sua opera più importante il canzoniere e si mette a
fare il libraio. Tra il 1929 e il 1931 va in cura da un medico a causa delle sue crisi nervose, lo stesso
medico che ebbe in cura Svevo. Nel 1938 quando entrarono in vigore le leggi razziali cominciò a
sentirsi preso di mira, a causa della sua religione ebraica e, fu costretto a cedere la libreria. Nel 1943
durante la resistenza, visse nascosto, da latitante e per qualche tempo venne ospitato da Eugenio
Montale. Nel 1948 pubblica Ernesto nel quale parla fortemente delle sue tendenze omosessuali; nel
1950 viene ricoverato per le sue crisi nervoso e nel 57’ muore. Saba fu un intellettuale
controcorrente e segue un ritorno all’ordine in maniera personale. Il suo periodo di grande fama si
ebbe dopo la seconda guerra mondiale con la poesia amai dove dice amai trite parole cioè le parole
della tradizione che sono state usate molto spesso quasi da diventare colloquiali. In lui vi è un
linguaggio fortemente anti d’annunziano, la sua poesia rifacendosi a Freud cerca le motivazioni
dell’agire umano, partendo dal trauma infantile causato dall’abbandono del padre e dalla sua
crescita avvenuta con due donne differenti. Egli celebra nelle sue poesie, nonostante tutto, la vita e
l’amore in particolare nel canzoniere dove sono presenti la balia, la madre, la moglie e Trieste vista
come una figura femminile. La donna viene vista come unica ancora di salvezza all’interno del
dolore dell’uomo.

Salvatore Quasimodo: è insieme ad Ungaretti il più importante esponente dell’ermetismo, un


movimento che si stabilisce tra le due guerre e all’interno del quale vi è il culto della parola; la
parola viene isolata all’interno del verso per renderla importante, per porla in primo piano. Anche in
Quasimodo abbiamo le poesie di guerra; egli nasce a Modica nel 1901, lascia presto la Sicilia e va a
Firenze dove entra in contatto con gli ermetici. Essendo il cognato di Vittorini, conosce vari
intellettuali italiani. Dopo la guerra si iscrive al partito comunista perché fortemente anti fascista.
Nel 1959 Quasimodo ricevette il premio Nobel, un premio che fece scalpore perché la tradizione
culturale non credeva Quasimodo all’altezza del premio Nobel: questo premio riconobbe il grande
valore e la grande raccolta poetica. La più importante raccolta di Quasimodo è ed è subito sera che
racchiude la corrente dell’ermetismo e varie poesie di guerra. Dopo Quasimodo abbiamo la corrente
letteraria e artistiche del neorealismo dove viene messa in scena la realtà, vi è la denuncia della
condizione delle masse italiane

Giuseppe Ungaretti: egli scrive nello scenario delle avanguardie, un grande movimento artistico,
culturale che rompe completamente con la tradizione; punta alla creazione di un’arte nuova che non
scende a compromessi con l’arte del passato. Questo movimento nasce all’interno dei movimenti
nazionalistici che animano l’Europa, è un inno alla forza. Questo tipo di arte rompe col passato e tra
le più grandi avanguardie abbiamo: il futurismo, il cubismo e nel campo della poesia il più
importante movimento si ha nel futurismo. La poesia qui cambia completamente, sono quasi assenti
il verso e la punteggiatura; le parole nella poesia futurista sono in libertà come disse uno dei più
grandi futuristi: Tommaso Marinetti. Il futurismo ebbe una grande importanza per la storia della
letteratura, le prime poesie furono dedicate al treno, alla macchine a vapore così da mettere in scena
una poesia che rompe con l’anima e si dedica al corpo. La poesia precedente era una poesia che si
dedicava troppo all’anima e lasciava poco spazio alla fisicità, cosa che troviamo nella poesia
futurista.
Ungaretti non era futurista ma coglie molto delle avanguardie europee; egli nasce ad Alessandria
d’Egitto nel 1888 da una famiglia lucchese e nel 1912 si trasferisce a Parigi che in quegli era il
centri culturale europee, qui viene a contatto con le avanguardie e inizia ad apprezzarle. Nel 1915
torna in Italia da interventista, gli interventisti erano quelli a favore dell’intervento dell’Italia in
guerra, essi vedevano la guerra come una possibilità per creare un nuovo mondo; quando si arruola
conosce e diviene amico di Benito Mussolini. È al fronte che inizia a dedicarsi alla poesia, nel 1918
dopo la guerra fa ritorno a Parigi e pubblica la sua prima raccolta allegrie di naufragi; nel 1921 si
trasferisce a Roma con la moglie dalla quale ebbe due figli, aderisce immediatamente al fascismo e
nel 1928 si converte al cristianesimo. Nel 1933 pubblica il sentimento del tempo e nel 1936, durante
gli anni più feroci del fascismo, si rende conto di non integrarsi con quei valori e ideali che
precedentemente aveva appoggiato e scappa via dall’Italia. Va in Brasile e ci rimane fino al 1942,
quando viene costretto a tornare a causa della guerra tra il Brasile e l’Italia. Nel 1947 pubblica la
sua terza raccolta il dolore ispirata alla tragica morte del figlio di 9 anni. Ungaretti è uno dei più
grandi poeti del 900, egli rende la poesia pura e per comprenderlo bisogna partire dal concetto di
avanguardie; egli infatti nella sua prima raccolta rivoluziona la poesia. In allegria di naufragi
troviamo dei versi brevissimi, spesso anche di una sola parola; la poesia è una poesia fortemente
vocativa la cui caratteristica principale è la brevità, questo perché la prima raccolta riguarda poesia
di guerra e in guerra non vi era tempo per potersi dilungare. Le parole pur brevi dovevano essere
fortemente vocative, in modo che potessero far nascere una sensazione nel lettore. Nella brevità la
poesia più famosa è sicuramente mi illumino d’immenso, non c’è la rima, non c’è il verso cosa che
lui riprende dalle avanguardie ma anche dal futurismo ma a differenza dei futuristi non arriva
all’estremismo, quindi evita di mettere il verbo all’infinito e non abolisce la struttura della scrittura.
Il pensiero di Ungaretti può dirsi molto vicino alla corrente dell’ermetismo, ad Ungaretti si
rifaranno tutti gli altri poeti ermetici. La poesia ermetica è una poesia chiusa, cioè una poesia che
con poco deve riuscire a suscitare delle emozioni. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie
rifacendosi alla condizione del soldato che da un momento ad un altro potrebbe essere ucciso, così
come è la condizione del genere umano, il verso è il simbolo della precarietà del genere umano. La
produzione delle poesie di Ungaretti può essere divisa in tre parti: allegria, sentimento del tempo, il
dolore. Sono le tre grandi opere di Ungaretti che fanno fortemente riferimento a tre fasi
fondamentali della sua vita. Allegria di naufragi rappresenta la parte innovativa e rivoluzionaria;
sentimento del tempo è la fase in cui comincia la costruzione del verso negli anni ’30; ne il dolore il
verso si compone completamente. La prima raccolta poetica è porto sepolto, anch’essa una raccolta
di poesie di guerra, dove: il porto rappresenta la vita, un punto d’arrivo, una salvezza; sepolto
perché in quel momento la vita risulta sepolta dalla morte, dal dolore e dalla guerra. È come se la
vita non si vedeva perché lasciava troppo spazio alla morte. Questa raccolta si unisce ad allegria di
naufragi è un ossimoro, ovvero la figura retorica che è l’accostamento di due termini contrapposti:
l’allegria è la vita, il naufragio la guerra. Ungaretti qui dice che proprio nel momento in cui sta per
perdere la vita, si rende conto di esserne più attaccato. In tutte le sue poesie c’è la morte ma c’è
anche la speranza di vivere e di restare in vita. Nella poesia mattina col verso m’illumino
d’immenso c’è soltanto la vita, l’allegria, la morte non esiste più e rimane soltanto l’alba che
richiama all’allegria. Nella prima raccolta vi è la caratteristica della brevità della poesia perché
viene scritta al fronte durante la guerra e Ungaretti voleva sottolineare che durante la guerra non ci
fosse tempo. La seconda raccolta il sentimento del tempo è più innovativa, ormai la guerra è
lontana, siamo nella Roma fascista e il poeta è fortemente influenzato dal ritorno all’ordine: quel
periodo dopo la guerra dove vi è un disperato bisogno di ritorno all’ordine e alla vecchia tradizione.
Nella poesia infatti si vede un ritorno al verso, alla rima e alla punteggiatura. Nella terza raccolta il
dolore, ispirato al tragico evento della morte del figlio di 9 anni, il periodo innovativo si compie e
viene recuperato del tutto il linguaggio classico, il ritorno all’ordine e la ricostruzione completa
della poesia. Il percorso di Ungaretti è il percorso della poesia italiana, da quella che è la poesia di
rottura delle avanguardie a quella che è la poesia del secondo dopo guerra.

Eugenio Montale: nacque a Genova nel 1896 e come molti intellettuali italiani del 900, ebbe una
formazione da autodidatta studiando nella biblioteca di Genova. Fin da giovane ebbe una grande
passione per la lettura e per la musica. Nel 1916 all’età di soli 20 anni, scrive uno dei suoi più
grandi capolavori meriggiare pallido e assorto. Nel 1917 viene costretto ad arruolarsi e va al fronte;
di questa esperienza non si leggerà mai nelle sue poesie a differenza di Ungaretti. Dopo la fine della
prima guerra mondiale pubblica ossi di seppia. Nel 1925 firma il manifesto degli intellettuali anti-
fascisti, portato avanti dal grande filosofo italiano Benedetto Croce. Nel 1927 si trasferisce a
Firenze per lavorare come editore e qui fa la conoscenza di grandi intellettuali come Vittorini e
Quasimodo. Nel 1929 diviene direttore del gabinetto vieusseux, un’istituzione di grandissima
importanza culturale per tutta l’Italia. A Firenze in questi anni conosce una donna, Drusilla Tanzi,
una donna sposata che diverrà prima la sua amante e poi sua moglie. Montale e Drusilla staranno
insieme per tutta la vita, la donna che nelle sue poesie canterà col nome di Mosca.
Contemporaneamente Montale ebbe un’altra relazione con una poetessa americana, Irma, anch’essa
fu di grande ispirazione per le sue poesie, cantata col nome di Clizia. Nel 1938 quando entrarono in
vigore le leggi razziali, fu licenziato dal gabinetto letterario vieusseux proprio perché anti-fascista;
in quegli anni si procurò da vivere dando delle lezioni private. Nel 1939 pubblica un’altra sua
raccolta poetica le occasioni; nel 1943 nasconde in casa sua degli intellettuali che rischiavano di
essere perseguitati per motivi politici o religiosi. Subito dopo la guerra nel 1948 divenne un
intellettuale molto famoso, proprio perché anti-fascista e collaborò al corriere della sera. Nel 1967
fu senatore a vita e nel 1975 vinse il premio Nobel per la letteratura. Nel 1981 a 85 anni, morì a
Milano. Montale è un intellettuale difficile da inserire all’interno delle varie correnti letterarie: non
è sicuramente un intellettuale avanguardista, è uno che preferisce rifarsi alla tradizione, per questo
può dirsi molto vicino al periodo di ritorno all’ordine. Le letteratura per Montale cerca di svelare la
condizione dell’uomo, la poesia è frutto del dolore, un dolore legato ad un condizione senza tempo.
La sua visione pessimista e il dolore cosmico hanno portato vari storici ad avvicinare il pensiero di
Montale a quello di Leopardi: il dolore è una condizione generale dell’uomo. Con Montale si parla
di male di vivere, egli crede che esista un varco, una sorta di illuminazione che sia in grado di farci
comprendere il senso della vita, un qualcosa che va oltre il muro. La metafora del muro viene
utilizzata spesso da Montale, è come se vivessimo la nostra vita all’interno di questo muro, come se
fosse un qualcosa di recintato. Egli cerca infatti di vedere oltre il muro per cercare il vero senso
della vita ma non ci riesce e da qui nasce lo sconforto e il male di vivere. Una tecnica letteraria
tipica di Montale è il correlativo oggettivo, tecnica già usata da un grande poeta inglese: Elliott.
Con questa tecnica egli richiama gli oggetti che non divengono simboli come in Pascoli ma li
nomina e attraverso essi richiama al dolore, es. : il cavallo stramazzato. Questo cavallo stramazzato
è il correlativo oggettivo della morte; così come lo è la foglia accartocciata. Nella poesia di
Montale nonostante ciò, è molto presente l’amore, l’amore rappresenta una delle pochissime ancore
di salvezza. L’amore è l’unica possibilità per alleviare il male di vivere. Attraverso la poesia di
Montale vediamo il declino della visione dell’intellettuale nel 900: tra la fine dell’800 e gli inizi del
900 c’era il poeta vate quello che diceva il poeta era veramente importante all’interno della società;
dopo la prima guerra mondiale e soprattutto dopo la seconda, il mito del poeta scompare e lascia il
posto alla televisione e al cinema. Il ruolo dell’intellettuale nella società contemporanea non esiste
più, il poeta non viene più ascoltato; a questo proposito scrive la poesia non chiederci la parola
come per dire non chiedermi cosa ne penso, se non ho più un ruolo nella società. La poesia
nonostante questo è senza tempo perché è strettamente legata al senso della vita. La prima raccolta
poetica di Montale fu ossi di seppia dove abbiamo un paesaggio arido, secco che ci ricorda la morte
e il dolore; giacché il titolo stesso è il correlativo oggettivo della morte. Questa raccolta è di scarti
ovvero di cose che non servono per questo motivo il linguaggio è secco ed essenziale, anti
d’annunziano. La poesia serve per dare una metafora della vita e la natura è una natura indifferente
perché non si preoccupa del dolore degli uomini; soltanto il mare (e le donne) in opposizione alla
terra, rappresenta un sollievo al dolore della vita. Nella sua seconda raccolta occasioni egli cerca
delle occasioni per fuggire dalla realtà, una di questa occasioni è la donna: è qui infatti viene cantata
la poetessa Irma. Al posto della Liguria vi è Firenze e anche qui il dolore dell’uomo non dipende
dal contesto storico-culturale come il nazismo e la guerra ma dipende dal non senso della vita.
L’altra raccolta è bufera e altro il linguaggio qui è molto più familiare e Irma cantata come Clizia
prende le parvenze di una donna angelo che non lo porta alla salvezza eterna come Beatrice in
Dante, ma alla salvezza umana; la donna viene vista come l’unica possibilità che può alleviare il
dolore. Dopo questa raccolta Montale cambia il suo stile che diviene molto più colloquiale, quasi
prosaico e comincia a prendere in giro la società. Scrive una raccolta satura dove ridicolizza la
società, quando nel 1963 muore la moglie, a questa raccolta aggiunge delle poesie dedicate alla
moglie cantata col nome di Mosca. Montale è uno dei più grandi della poesia del 900.

Alberto Moravia: per parlare della prosa degli anni ’30 e di Moravia, dobbiamo iniziare facendo
riferimento ad un importante rivista di quegli anni Solaria, pubblicata a Firenze e che ebbe un ruolo
molto importante nel panorama letterario italiano: formò una grande generazione di intellettuali e fu
una rivista che in maniera molto velata, si oppose al fascismo. Attraverso le traduzioni dei grandi
della letteratura mondiale permise la diffusione di grandi opere. Tra queste spicca la moderna
letteratura americana che proponeva la figura del ribelle, un protagonista che si ribellava
all’autorità; rappresentava la natura selvaggia, l’istinto e la passione. Il mito dell’America è visto sia
come modello letterario per il realismo, sia come linguaggio perché il linguaggio era semplice e
scorrevole ma era soprattutto un modello politico perché si ispirava alla libertà. Portare avanti il
modello americano negli anni ’30 significava sostenere un modello tipico anti fascista. Nel 1936
questa rivista venne chiusa perché pubblicò un romanzo di Vittorini dal titolo il garofano rosso a
causa della scabrosità dal punto di vista sessuale. Tra gli intellettuali di quegli anni che si opposero
fortemente al fascismo abbiamo Alberto Moravia. Moravia il cui vero cognome era Pincherle, nasce
a Roma nel 1907 da una famiglia borghese di origine ebraica. Da giovane passò moltissimo tempo
al sanatorio perché si ammalò di tubercolosi, proprio per questo non frequentò né scuola né
università ed ebbe una formazione da autodidatta. Nel 1925 a soli 18 anni, cominciò a scrivere il
suo capolavoro gli indifferenti che pubblicò nel 1929. Nel 1941 sposa Elsa Morante ma non
potendo resistere al fascino delle donne, ebbe più mogli e tantissime storie fuori dai matrimoni. Lo
stesso anno pubblica un romanzo la mascherata che viene censurato; da questa censura in poi
Moravia viene posto sotto osservazione dal fascismo anche perché era di origine ebraica. Fu
costretto presto a fuggire per nascondersi dai fascisti. Nel 1943 pubblica Agostino, egli diviene
fortemente famoso dopo la guerra: sia perché era da sempre stato anti fascista, sia perché fu uno dei
grandi della corrente letteraria del realismo. Nel 1947 pubblica la romana e nel 1957 la ciociara del
quale venne fatto anche un famoso film da Vittorio De Sica. Nel 1962 lascia Elsa Morante e sposa
un’altra scrittrice Dacia Maraini. Muore nel 1990 all’età di 83 anni. Il nome di Moravia è legato
agli indifferenti, un romanzo che fece scandalo negli anni ’30 non solo dal punto di vista politico ma
soprattutto sessuale. In questo romanzo denuncia tutto il lerciume della borghesia, la borghesia
aveva tradito i valori e l’etica dell’impegno divenendo falsa e ipocrita. I personaggi di Moravia sono
privi di valori e di ottimismo. In questo romanzo la protagonista Maria Grazia, una vedova con due
figlie Carla e Michele, ha una storia d’amore con Leo, un uomo che rappresenta la falsità,
l’ipocrisia. Ad un certo punto Leo si stanca di corteggiare Maria Grazia e inizia a corteggiare la
figlia Carla. Michele, il fratello sa di questa situazione ma nonostante vuole reagire, non ci riesce.
Carla alla fine cede a Leo anche se non prova alcun tipo di sentimento e acconsente a sposarlo; Leo
nel frattempo ha tante altre relazioni e Michele cercando di difendere l’onore della sorella, verso la
fine del romanzo, si reca a casa di Leo ma con una pistola scarica. Questo romanzo è il simbolo
della generazione di giovani che negli anni ’30 in una società fascista è incapace di reagire di fronte
all’ipocrisia dalla famiglia. I personaggi di Moravia sono falsi, finti si muovono solo per sesso e
soldi. Non esiste ribellione e tragedia, la tragedia è mancata. Dopo la guerra divenne famoso perché
venne considerato il padre del neorealismo, la corrente letteraria che si impone in Italia dal 1945 in
poi e che si rifà ad un concetto di verità, si può parlare della condizione del paese e l’intellettuale
deve porsi al servizio del popolo per poter migliorare la società; i temi devono essere legati alla
realtà. La lingua di Moravia è semplice e asciutta, tipica del teatro, un lingua razionale, semplice e
pulita. I romanzi neorealisti di Moravia dove si inizia ad intravedere dell’ottimismo sono la
romana e la ciociara. Un altro importante tra i suoi romanzi è Agostino, un libro che fa scandalo.
Parla di un ragazzo che piano piano scopre il mondo e il sesso. Moravia parla di una noia
esistenziale che richiama ai temi dell’inetto visto in Italo Svevo.

Vitaliano Brancati: nasce a Pachino nel 1907 da una famiglia borghese, nel 1920 si trasferisce a
Catania dove studia e si forma. Fu militante fascista e restò infatuato dal vitalismo dannunziano. Si
laureò in lettere, collaborò a giornali fascisti e si trasferì a Roma. Nel 1934 pubblica singolare
avventura di viaggio che a causa della sua tematica erotica portò Brancati a ricevere numerose
censure fino ad incrinare la sua fede fascista. Dal 1937 quando ormai si era allontanato dal fascismo
intraprese l’insegnamento a Caltanissetta e Catania. Nel 1941 tornò a Roma e si dedicò alla stesura
di testi drammatici, continuò sempre a scrivere per giornali e riviste schierandosi a favore del
liberalismo radicale. Nel 1952 la sua commedia la governante venne bloccata dalla censura teatrale.
Brancati muore nel 1954 a Torino a causa di una grave malattia. Gli scritti di Brancati ebbero un
valore molto importanti perché erano caratterizzati da umorismo sarcastico e paradossale (1946 i
piaceri: parole all’orecchio, diario romano). Brancati nella sua scrittura mostrava una grande
curiosità per la realtà contemporanea alla quale guarda attraverso la comicità e l’umorismo. Le
opere più importanti di Brancati presentano la follia di un’intera società, è rilevante
l’autobiografismo e il risentimento personale. Alla base dell’autobiografismo di Brancati vi è lo
sfondo di una Sicilia dominata dal fascismo che si trasforma in ritratto della società italiana
contemporanea. Sullo sfondo di un piccolo mondo provinciale, Brancati fa vivere alcune figure
maschili dalle caratteristiche tipiche dell’inetto in un atteggiamento di passività, dolcezza e
erotismo. A differenza dei suoi predecessori, gli inetti di Brancati sono immersi nella loro passività:
essi vivono in un tempo morto, evitano ogni iniziativa e non tentano alcun conforto; prolungano un
esistere vuoto. Brancati pur narrando servendosi di umorismo e comicità, possiede anche una
dimensione illuministica e razionalistica quindi non lascia inosservati atteggiamenti che ritiene
moralmente sbagliati, egli è nemico di ogni mistificazione e finzione sociale. Il centro della
produzione di Brancati è costituito dai suoi quattro romanzi scritti dopo il distacco dal fascismo: la
voce del narratore fa parte dello stesso mondo dei personaggi senza mai identificarsi con essi. Gli
anni perduti del 1941 narra la vicenda di un gruppo di giovani della città di Natacà che vivono i
loro anni migliori in totale inerzia, rinviando di continuo la partenza per altri luoghi e collaborando
al fallimentare progetto di costruire una torre panoramica. La città è un non-luogo nel quale nulla
accade. Nel Don Giovanni in Sicilia del 1941 la rappresentazione della borghesia catanese trova la
sua apoteosi nel motivo del dongiovannismo, nell’eterno ruotare di oziosi giovani ed ex giovani
intorno alla tematica erotica. Nel 1949 con il bell’Antonio fa riferimenti più espliciti alla realtà
sociale negli ultimi anni del fascismo, il motivo dell’inerzia si esprime attraverso l’impotenza
fisiologica del protagonista Antonio Magnano. Il romanzo Paolo il caldo del 1955 abbandono
l’umorismo degli altri romanzi e salda in modo nuovo elementi autobiografici e analisi morale
nell’incontro tra la lussuria del protagonista siciliano e i vuoti riti della borghesia romana.

Elio Vittorini: prima di parlare di Vittorini, bisogna accennare alla grande corrente letteraria che
caratterizzò l’Italia nel dopo guerra: il neorealismo. Col neorealismo si verificò la necessità di dire
la verità che era stata tenuta nascosta durante gli anni del fascismo, di denunciare la condizione del
popolo e raccontare il mondo così come veniva visto. La letteratura è impegnata e necessaria per il
popolo. I temi di questa corrente sono la resistenza, la guerra, venne ripreso Verga in maniera più
ottimista e soprattutto venne preso come modello la letteratura americana degli anni ’30. Il
neorealismo era una corrente tipica della sinistra, monopolizzata dal pensiero comunista di
Gramsci; la corrente termina nel 1956 quando molti intellettuali che avevano aderito al PC (partito
comunista) decidono di abbandonarlo. Questa scelta venne guidata dal fatto che gli intellettuali
inizialmente aderirono al PC non perché erano marxisti ma perché erano anti fascisti. Vittorini
nasce a Siracusa nel 1908 da una famiglia molto modesta, non ebbe una culturale regolare;
giovanissimo scappa dalla Sicilia per andare a lavorare a Roma e subito dopo a Firenze dopo si
stabilisce. Nel 1927 sposa la sorella di Salvatore Quasimodo e aderisce alla corrente chiamata
fascismo di sinistra: all’interno del fascismo esisteva infatti una corrente rivoluzionaria che ce
l’aveva col capitalismo. Dal 1933 al 1943 traduce moltissimi romanzi americani, introdurre
l’Americana nell’Italia degli anni ’30 significava parlare di libertà. Dal il 33 e il 34 esce a puntate il
garofano rosso che venne censurato per la sfera sessuale, a causa di questa pubblicazione la rivista
Solaria venne chiusa. Nel 1939 va a Milano e si unisce alla resistenza, da clandestino si scriverà al
partito comunista. Dopo la guerra diviene famoso e lavora per Einaudi. Dal 1945 al 1947 gestisce la
rivista il politecnico che propone una nuova cultura; nel 1956 a causa delle truppe sovietiche lascia
il PC. E nel 1966 all’età di 58 anni muore a Milano. Vittorini fu un grandissimo organizzatore di
cultura che ebbe un grande ruolo nella storia della letteratura italiana. Vittorini privilegiava una
letteratura tendente all’utile e questo lo fece anche attraverso le traduzioni delle letteratura
americana. Il suo romanzo d’esordio è il garofano rosso che venne pubblicato a puntate sulla rivista
Solaria che a causa della scabrosità sessuale fece chiudere la rivista; è un romanzo di formazione,
una sorta di iniziazione sessuale e politica. Parla di un giovane che prima aderisce al fascismo
perché attratto dalla violenza, dall’uso della forza e dal sangue che rappresenta il sesso e poi se ne
distacca. La trasformazione non è solo politica ma anche personale, il ragazzo non è più fascista
perché è cambiato lui insieme alla sua visione politica: da questa sorta di lotta tra gli oppressori e gli
oppressi nasce poi conversazioni in Sicilia. Questo romanzo contiene il grande tema del viaggio che
in questo caso viene visto dal punto di vista opposto; mentre negli altri romanzi il tema del viaggio
prevede che il personaggio partendo da casa e compiendo un viaggio si ritrovi in un nuovo posto ad
essere una persona nuova…; nel romanzo di Vittorini vi è al contrario un recupero del passato dove
lui ha una conversazione con la madre e altri personaggi e torna indietro per recuperare se stesso. I
personaggi del romanzo non hanno neppure dei nomi, sono dei simboli; è un romanzo
autobiografico che serve però a tutta l’umanità. L’ultimo romanzo uomini e no è il più neorealista,
viene scritto in clandestinità ed è narrato in prima persona dove l’autore parla della resistenza. Lo
stile è asciutto, tipico americano. Dopo questo romanzo si dedicò alla riviste e alla cultura in
generale.

Cesare Pavese: nasce nel 1908 in un piccolo paese della provincia di Cuneo. Si sposta a Torino e
nel 1926 si iscrive alla facoltà di lettere e conosce Giulio Einaudi, il fondatore della casa editrice.
Anche lui come Vittorini, cominciò a tradurre i testi della letteratura americana e in particolare si
concentra sulla traduzione di Walt Whitman. Presto comincerà a pubblicare le sue prime poesie e
viene messo sotto osservazione dalla censura fascista, dal fascismo venne esiliato in Calabria perché
da subito si definì anti fascista anche se non partecipò mai a nessuna organizzazione questo
probabilmente successe perché la donna con cui stava a quel tempo faceva parte di un gruppo di
piemontesi antifascisti che per timore si faceva recapitare le lettere a casa di Pavese. Nel 1936
ritorna Torino e pubblica una raccolta poetica lavorare stanca, tipica dell’ermetismo. La
caratteristica principale di Pavese fu sempre quella di essere un personaggio controcorrente, non
prese mai parte alla resistenza anche se era un antifascista. Diviene famosissimo dopo la guerra, nel
1948 si trasferisce a Roma dove pubblica la casa in collina e si iscrive al PC pur non essendo
marxista, si iscrive perché fortemente antifascista. Nel 1950 pubblica la luna e i falò e lo stesso
anno viene trovato morto in una stanza d’albergo a Torino, probabilmente suicida. Pavese negli anni
’30 quando si aveva l’ermetismo, pubblicò una raccolta poetica profondamente anti ermetica;
quando invece tutti decidono di partecipare alla resistenza, egli si nasconde; così come nel bel
mezzo del neorealismo parla dei miti, dell’irrazionalità e dei miti. Tutta la sua produzione fu per
questo definita sempre controcorrente, per questo vengono presi in considerazione due importanti
termini: mito e ragione. Il mito per lui è l’infanzia, le langhe, la collina, il sesso e la violenza, la
parte irrazionale; la ragione è Torino, la parte adulta e riflessiva. Egli cerca di mettere d’accordo
mito e ragione ma non ci riesce. Pavese dice che tutto è infanzia dentro di noi, infanzia che riesce a
recuperare solo attraverso la poesia che non è altro che ricordo e recupero dell’infanzia. Da adulti
secondo Pavese si è trapiantanti come un albero che viene sradicato e trapiantato da un’altra
parte, la vita non è altro che uno sradicamento dall’infanzia per essere poi trapiantati da un’altra
parte. I temi della riflessione di Pavese sono la solitudine, l’autobiografismo e il mito. La solitudine
è personale ma è tipica dell’uomo che non riesce a comunicare e a farsi comprendere e per questo si
isola; l’autobiografismo racconta di personaggi che scappano e poi cercano di ritornare, quando essi
tornano si rendono conto che tutto è cambiato e vi è qui il tema del distacco, di colui che scappa e
lascia la terra; il mito rappresenta la parte irrazionale, il destino dell’uomo. Per quanto riguarda la
poesia, la prima raccolta è lavorare stanca del 1936, pubblicata nel bel mezzo dell’ermetismo
corrente che vedeva una poesia molto breve; nella raccolta di Pavese vi è una poesia talmente lunga
e diversa da quella ermetica che sono addirittura presenti i dialoghi nella quale parla di osterie e
campagne. Il linguaggio è asciutto e proviene dal modello americano, sono presenti le figure
femminili legate alla terra e all’infanzia. L’ultima raccolta poetica è del 1950 verrà la morte e avrà
i tuoi occhi dedicata alla relazione tormentata con un’attrice americana, con la quale non ebbe
grande fortuna, è una sorta di raccolta profetica dopo la quale egli si suicida a causa della delusione
d’amore. Quando negli anni ’50 arriva nella cultura la poesia lunga, poesia racconto lui comincia a
cambiare stile e scrive una poesia breve e simbolica. Dialoghi di Leucò forse dedicata alla donna di
quel periodo Bianca che in greco si dice leucos o forse dedicata alla ninfa Leucotea che interviene
in questi 27 dialoghi. Quando Pavese si nasconde dai fascisti, scopre il mondo contadino che era
fortemente mitologico perché conservava ancora i simboli ancestrali che si perdevano nella notte
dei tempi. Per quanto riguarda la prosa abbiamo paesi tuoi degli 1941 che è forse la più vicina al
neorealismo; nel 1948 abbiamo la casa in collina un romanzo autobiografico di un intellettuale che
scappa nelle colline piemontesi per sfuggire ai nazisti. Il protagonista Corrado è in contatto con
molti della resistenza che decidono a differenza sua di percorrere la strada armata mentre lui si
nasconde. Il tema dominante è la vergogna di colui che non sa agire, poi è presente il tema della
terra, il destino e quello dell’infanzia perduta. Nel 1950 viene pubblicato il suo romanzo più famoso
la luna e i falò dove il protagonista Anguilla, è un ragazzo che poco prima della guerra era scappato
per andare in America dove aveva fatto fortuna e tornato indietro nelle langhe si rende conto che
tutto è mutato durante la sua assenza. È un viaggio al contrario, di ritorno; attraverso il viaggio vi è
la presa di coscienza che nulla si può più ricostruire e per questo vi è la delusione. Il mondo cercato
da Pavese e quello dei contadini che dedicano i falò alla luna in senso propiziatorio; il romanzo
finisce con l’incendio di una casa e si passa dal fuoco propiziatorio dei falò a quello distruttivo
dell’incendio.

Primo Levi: dopo la seconda guerra mondiale si diffonde la corrente artistica del realismo che
racconta una letteratura molto vicina al popolo che vuole raccontare le loro verità. All’interno di
questa corrente si diffonde in tutta Europa la tendenza alla descrizione memorialistica degli eventi
tragici della deportazione e dei campi di sterminio e qui si pone l’opera di Primo Levi che nacque a
Torino il 31 luglio nel 1919 da una famiglia di religione ebraica e di intellettuali. Frequenta il liceo
a Torino dove in quegli anni insegnava Cesare Pavese, dopo si iscrive all’università e quando nel
1938 entrarono in vigore le leggi razziali e vi fu quella sorta di separazione, quello scisma che
divise l’Italia riuscì a continuare l’università solo perché era già iscritto. Nel 1943 si iscrive nella
resistenza, unendosi ai partigiani viene presto beccato ed essendosi dichiarato di religione ebraica,
viene deportato nei campi di concentramento. Quando arrivarono i sovietici per liberare le persone
rimaste, Primo Levi rimase nei campi di sterminio perché si era ammalato di scarlattina; da gennaio
ad ottobre del 1945 compie mesi e mesi di cammino e riesce finalmente a raggiungere in Italia,
viaggio di ritorno che viene raccontato nel romanzo del 1963 la tregua. Tornato a Torino sente
l’esigenza di raccontare tutte le tragiche vicende subito nei campi di concentramento e nel 1945
pubblica se questo è un uomo, si sposa sempre a Torino e dal 1967 in poi fu influenzato dalla
letteratura scientifica portata in Italia da Italo Calvino. Nel 1967 pubblica con lo pseudonimo di
Damiano Malabaila pubblica le storie naturali. L’11 aprile del 1987 si suicida a Torino. L’esigenza
di raccontare avviene dopo l’abbominio dei campi di sterminio, quando nasce questa voglia e
necessità di far sapere alla gente cosa avveniva in quei campi; nonostante le sofferenze subite,
Primo Levi rimane lucido, non c’è odio nei suoi scritti ma si legge tanta voglia di capire la mente
degli uomini e di cosa li abbia portati a compiere quelle atrocità. La formazione di Primo Levi si
può dividere in due parti: quella del campo di sterminio e quella legata alla scienza. L’opera più
importante è se questo è un uomo che fu scritta subito dopo il suo rientro a Torino del 1945 che
viene apprezzata solo dopo la sostituzione del titolo che prima era sommersi e salvati, nel 1958
pubblicata da Einaudi l’opera ebbe il suo massimo splendore. L’opera è divisa in 17 capitoli ed ogni
capitolo riguarda un’attività ben precisa che veniva svolta nel campo, è una sorta di diario dove lo
scrittore racconta le sue giornate nei campi di sterminio. All’inizio del libro vi è una poesia molto
particolare, specie gli ultimi versi sembrano delle maledizioni… in quei versi in realtà Primo Levi
ricalca lo stile biblico tipico delle preghiere ebraiche. Primo Levi nei campi di concentramento in
Polonia incontrò un muratore polacco che a volte rischiando la sua stessa vita gli offriva del cibo.
Quando si diffonde la voce che i sovietici stavano per arrivare dopo l’ormai sconfitta dei tedeschi,
egli ebbe un ultimo colpo di fortuna… i sovietici costrinsero gli ebrei rimasti nei campi a compiere
la marcia che prese il nome di marcia della morte ma dato che Primo Levi si ammalò di scarlattina,
fu lasciato lì nel campo deserto insieme ad altra gente malata che insieme a lui riuscì a
sopravvivere. Il primo titolo dell’opera i sommersi e i salvati, dedica la prima parte a chi si è fatto
distruggere da dentro e la seconda a chi è riuscito a resistere nonostante l’orrore. L’umanità di
Primo Levi si vede dal suo senso di solidarietà e umanità avuto nei confronti degli altri di cui
leggiamo nelle sue opere; insegnando l’italiano ad un altro deportato cita il canto di Ulisse di Dante
qui si nota il suo tentativo di rimanere dignitoso e soprattutto di rimanere in vita, nonostante tutto vi
è una rivolta. Nel 1963 pubblica la tregua una continuazione di se questo è un uomo; un’opera però
differente rispetto alla prima, è più vivace ed è presente il tema del viaggio. L’ultima parte della sua
produzione è quella scientifica che richiama a Calvino, questa letteratura diventa una costruzione
rigida e artificiale.

Beppe Fenoglio: nasce ad Alba nel 1922, interruppe gli studi per arruolarsi nell’esercito e dopo
l’armistizio del 1943 tornò a casa. Si arruolò tra i partigiani e si iscrisse al partito comunista. Dopo
la guerra visse nelle Langhe, viene infatti considerato l’altro scrittore delle Langhe insieme a Cesare
Pavese, lavorò come procuratore per una casa vinicola e si dedicò alla narrativa. Nel 1963 si
ammala di cancro ai polmoni e muore a Torino. La scrittura di Fenoglio può collocarsi agli antipodi
del neorealismo, la sua rappresentazione della resistenza è legata alla sua autobiografia che
attraverso la sua scrittura ne fa un’immagine totale del mondo. La condizione partigiana di Fenoglio
diventa un segno rivelatore della condizione umana. Al di là delle opere maggiori Fenoglio
compose una serie di racconti e un paio di romanzi brevi dedicati al mondo delle Langhe che hanno
un punto di vista fortemente autobiografico e vengono considerati vicini alla letteratura
neorealistica: in la paga del sabato del 1950 narra il dramma del reinserimento di un ex partigiano
nella villa civile di Alba; la malora del 1954 rappresenta il dolore e la violenza che dominano il
mondo contadino. I ventitré giorni della città di Alba del 1952 sono dodici racconti dedicati alla
guerra partigiana o al mondo contadino e popolare delle Langhe e il titolo fa riferimento alla
vicenda del presidio partigiano che tenne libera la città per ventitré giorni nell’autunno del 1944. I
testi più importanti di Fenoglio sono sicuramente quelli che hanno come protagonista la figura di
Johnny (figura autobiografica presa dalla predilezione dello stesso Fenoglio per la letteratura
inglese), testi che raccontano le vicende di Johnny tra il 1943 e il 1945: primavera di bellezza narra
i giorni trascorsi ad Alba prima della chiamata alle armi fino al viaggio di ritorno a casa nel 1943;
ne il partigiano Johnny racconta dal ritorno a casa a cui seguono le vicende del suo arruolamento
tra i partigiani fino alla battaglia di Valdivilla, nella quale egli trova la morte. La differenza tra
questi due racconti sta nella scelta linguistica e stilistica. Il primo romanzo ha un italiano levigato,
classico mentre il secondo è ricco di una presenza della lingua inglese mentre la lingua italiana
assume cadenze originali e appare più veloce e discorsiva. Da alcuni questi romanzi sono stati
definiti di formazione del personaggio Johnny. Il romanzo il partigiano Johnny presenta un
singolare caso di plurilinguismo, lontano da ogni dimensione realistica, giocosa o espressionistica.
L’uso dell’inglese non indica una partecipazione diretta alla realtà ma una lingua astratta (prende
citazioni letterarie) legata semplicemente ad una passione letteraria. Il personaggio di Johnny
partecipa alla violenza della guerra civile per compiere un tragico dovere, una missione che non ha
motivazioni e condivide con altri sofferenza e odio. Quest’opera lontana dal neorealismo si collega
fortemente alla narrativa moderna europea che a tutte le visioni ottimistiche dello sviluppo della
storia oppone la tragica impossibilità di attribuire un significato alla guerra e a tutto ciò che è
avvenuto. Il partigiano di Fenoglio mostra che l’unica cosa che si può ricavare dall’orrore è la
testimonianza di una testarda resistenza umana e non un’immagine di futuro. L’opera più perfetta e
compiuta di Fenoglio è il breve romanzo una questione privata pubblicato nel 1963 vede al centro
dell’opera un partigiano delle Langhe col nome inglese Milton che durante una visita a una villa
dove ha frequentato e amato Fulvia, viene a sapere dalla custode degli incontri di tra questa Fulvia e
l’amico Giorgio. Milton inizia a cercare Giorgio per il desiderio di sapere che fa parte di un’altra
brigata partigiana, cercandolo viene a sapere che è stato preso dai fascisti e cerca invano di
liberarlo. Mentre tenta una nuova visita alla villa di Fulvia, viene mortalmente ferito anch’egli da
fascisti. Vediamo qui come tutti i movimenti e le azioni di Milton sono segnati dal bisogno di
sapere e di scavare nell’evento traumatico che per lui rappresenta il rapporto tra Fulvia e l’amico
Giorgio. Milton annulla ogni scopo e ogni obiettivo perché la sua ossessione lo spinge ad una
estraneità dal mondo che è di per sé privo di senso e cerca di rifugiarsi quindi nell’unica cosa che lo
rende ancora vivo dallo scempio della guerra: l’amore. Egli cerca se stesso e la propria sconfitta,
una ricerca che in un mondo privo di senso dominato dall’assurdo… può portare solo al nulla e alla
fine.

Italo Calvino: nasce a Cuba nel 1923, i genitori erano degli agronomi di fama internazionale che
nel 1925 tornano in Italia. Si iscrisse alla facoltà di agraria e nel 1943 si trasferisce a Firenze. La
famiglia era anti fascista e lui e il fratello si arruolarono combattendo per la resistenza a fianco dei
partigiani; lasciò la facoltà di agraria e nel 1947 si iscrive e poi si laurea in lettere. Iniziò a lavorare
vendendo libri a rate, scrisse per la rivista il politecnico. Nel 1947 convinto da Pavese pubblica il
suo primo romanzo il sentiero dei nidi di ragno, si iscrive al partito comunista in questi anni per
affrontare il fascismo. Nel 1952 pubblica il visconte dimezzato, nel 1957 il barone rampante e nel
1959 il cavaliere inesistente; una trilogia che ebbe grande successo. Nel 1957 abbandona il partito
comunista quando vennero svelati gli atroci crimini di Stalin. Fonda il menabò insieme a Vittorini
all’interno del quale compare il suo famoso articolo il labirinto. Nel 1963 pubblica Marco Valdo
poi si sposa a Cuba con una donna argentina e nel 1965 cambia modo di scrivere pubblicando le
cosmicomiche. Nel 1967 dopo la morta dell’amico Vittorini, va a Parigi e viene a contatto con degli
intellettuali fortemente innovativi, degli scienziati che portavano avanti un disimpegno politico e
una nuova letteratura di tipo scientifico. Nel 1980 torna in Italia a Roma, nel 1983 pubblica il suo
ultimo romanzo Palomar e nel 1985 muore a Grosseto a soli 63 anni. Il pensiero di Calvino è
fortemente innovativo nella struttura e nei temi ma non nel linguaggio che rimane sempre classico e
razionale. È l’unico intellettuale italiano che ha affrontato le tre grandi correnti del secondo 900: il
neorealismo, le neoavanguardie e il postmodernismo. Secondo Calvino la società non è altro che un
labirinto, un caos e tocca all’intellettuale mettere ordine attraverso la scrittura e la lingua. Il
labirinto è una famosa definizione di uno scrittore argentino Borges che introduce il concetto di
labirinto introducendo la corrente letteraria del postmodernismo. Il primo romanzo lo scrisse nel
1947 il sentiero dei nidi di ragno e qui è presente l’equivoco neorealista che sembra neorealista ma
il punto di vista è invece fortemente oggettivo; un bambino in questo romanzo ruba una pistola ad
un soldato tedesco e dopo una serie di avvenimenti, la va a nascondere dove i ragni fanno il nido (il
punto di vista è filtrato attraverso la mente del bambino). Nel 1952 inizia la sua trilogia col visconte
dimezzato, dei libri che sono più che altro racconti filosofici quasi alla Voltaire. Questo primo
romanzo affronta il tema dell’uomo moderno che viene definito dimezzato col fine di definirlo
lacerato tra ragione e corpo (lacerazione presente in Pavese e in Pasolini. Questo visconte durante la
guerra viene colpito da una cannonata e diviso in due: qui fuoriesce una parte buona ed una cattiva,
si cerca di riunire le due parti ma addirittura esse entrano in conflitto e finiscono per sfidarsi a
duello dove abbiamo l’uomo che sfida a duello la parte razionale e quella istintiva. Nel 1957
abbiamo il barone rampante che racconta la storia di un barone, un bambino di 12 anni che dopo
l’ennesima punizione dei genitori che volevano costringerlo a mangiare un piatto di lumache,
protesta e sale su un albero. Da questo albero riesce ad avere una vita attiva senza isolarsi dal
mondo, vive da un punto di vista differente, alla fine si aggancia ad una mongolfiera e sparisce.
L’ultimo libro della trilogia è il cavaliere inesistente uno dei paladini di Carlo Magno che non
possiede un corpo sotto l’armatura che contiene solo la voce. Nel 1963 scrive Marco Valdo e la
giornata di uno scrutatore: il primo è la storia di un povero manovale che viene sradicato dalla
campagna per andare in città ma non riesce ad abituarsi a quel tipo di vita; il secondo romanzo torna
indietro al filone realista, è autobiografico, ambientato nel 1953 quando Calvino si presenta alla
elezioni con le file del partito comunista. Questo scrutatore si trova nel seggio del cottolengo dove è
alle prese con persone malate, questa è l’ultima opera impegnata di Calvino. Le cosmicomiche e Ti
con zero nel 1965 dove un uomo scompare e non esiste più, sono racconti dove si narra dell’origine
del mondo, dell’allontanamento della luna dalla terra. Ti con zero è l’istante iniziale, il big ben: il
protagonista è un essere primordiale. Nel 1966 in Francia conosce la corrente letteraria del
postmodernismo, una corrente disimpegnata che inserisce il racconto nel racconto, uno dei
rappresentanti di questa corrente fu Umberto Eco col nome della rosa ma anche Calvino col se una
notte d’inverno un viaggiatore. Questo romanzo è nella struttura in realtà un antiromanzo perché ha
una struttura a spirale: un lettore va in libreria, compra un libro e dopo poche pagine capisce che
non è presente la fine del libro. Tornando in libreria e protestando a causa di questo difetto, il libraio
sostiene che la fine dell’antiromanzo è presente in altri libri e quindi il lettore va così alla ricerca
della fine del romanzo cercandolo in altri libri ma si accorge di leggere tanti inizi e nessuna fine.
Capisce poi che è stata opera del traduttore che prendendosi gioco del lettore ha nascosto la fine e si
capisce come viene fuori il postmodernismo perché vi è una sorta di gioco letterario. Nel 1983
Palomar dove il protagonista non perde mai la voglia di comprendere la realtà attraverso la ragione.

Giorgio Caproni: nasce a Livorno nel 1912, all’età di dieci anni si trasferisce a Genova con la
famiglia. Nel 1939 trasferitosi a Roma, partecipa alla guerra mondiale e durante l’occupazione
nazista, fu partigiano nella Valtrebbia. Dopo la guerra visse sempre a Roma, insegnò a scuola e
lavorò a numerose giornali e riviste. Muore sempre a Roma nel 1990. La prima poesia di Caproni
mostra una freschezza di linguaggio, una dolce sensualità ed una curiosità ingenua e spontanea per
gli spettacoli della vita. Questa specie di gioia adolescenziale rivesta di un’aura miracolosa
immagini e situazioni della realtà cittadina; anche se dietro di essa si affaccia l’ombra della
malinconia e si avverte il pericolo che tutta la luce del mondo, non sia altro che finzione.
L’esperienza poetica di Caproni può dirsi vicina a quella di Saba ma a differenza sua egli fa
arretrare l’urgenza della materia psicologia e preferisce coprire la propria persona e il proprio stesso
scrivere sotto una sottile ironia. Nella raccolta il passaggio d’Enea la poesia di Caproni si afferma
in tutta la sua originalità, sotto l’effetto del trauma della guerra, delle sofferenze personali e
collettive da essa determinate e del distacco dalla città di Genova. Il titolo allude al viaggio
compiuto da Enea alla ricerca di una terra in cui approdare dopo la distruzione della città di origine.
Nasce così un sofferente canto d’amore per un’Italia povera e insieme attiva, immersa nel lavoro e
nelle funzioni della vita cittadina. Genova viene descritto come un luogo carico di umanità, dove le
cose e gli oggetti industriali hanno funzioni umane (mondo caratterizzato dalla rivoluzione
industriale) e questo mondo viene costretto a resistere alla guerra che incide in esso sofferenza e
maledizione. Nei versi di Caproni il tema del viaggio rivela l’impossibilità di esistere in quella
realtà, la condanna a fuggire e a muoversi cercando altre mete. Il seme del piangere del 1959 deriva
da un’espressione dantesca, la parte più importante è quella dei versi livornesi un canto d’amore per
la madre morta che evoca l’immagine della giovinezza di lei e della sua presenza fresca e laboriosa
nella vita di Livorno. Caproni da qui alla sua poesia la capacità di entrare in contatto con la madre
giovane, l’uso della parola è molto delicato e risale alle radici della poesia italiana. Nel congedo del
viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee del 1965 Caproni parte dalla leggerezza conquistata per
sottrarsi allo sguardo della vita sociale per proiettarsi in prosopopee cioè in figure di personaggi che
parlano e ed esprimono il loro essere ai margini e il loro rifiuto a partecipare alla vita comune. Il
congedo avviene attraverso la voce di un viaggiatore che si appresta a scendere dal treno dopo aver
partecipato alla conversazione dello scompartimento si congeda da loro e da tutti i valori sociali che
essi rappresentano. Il viaggiatore è l’alter ego narrativo del poeta. Dopo il congedo la poesia di
Caproni riduce il proprio peso e costruisce testi molto brevi, di una sola strofetta che hanno però
una struttura molto complessa, articolati in parti che seguono un percorso tematico. Tra il 1975 e il
1986 egli mette insieme tre libri caratterizzati da brevissime lettere in cui viene descritto un mondo
privo di significato certo. Queste brevi poesie vedono un io che si riconosce prigioniero senza via di
scampo di un vuoto dietro il quale non c’è nulla, nemmeno il nulla stesso. Le filosofie
contemporanee definiscono questa situazione come la morte di Dio morte non solo dei valori
religiosi ma della stessa oggettività del mondo, della solidarietà civile e dello spirito comunitario.
La sua poesia scavando in questi sentimenti usa sempre una lieve ironia che porta al poeta gioia. Il
muro della terra del 1975 riprende nel titolo l’espressione con cui Dante indicava il muro della città
infernale di Dite: dove il muro rappresenta il limite della condizione umana e sociale che il poeta
saggio sa di non poter lacerare. In fuga da se stesso e dalla propria condizione, l’io cerca un Dio che
esiste solo in quanto è negato e in questa ricerca continua, il poeta finisce per confondere se stesso
con altre figure umane e con lo stesso Dio che non s’è nascosto ma s’è suicidato: il poeta sta
inseguendo se stesso.

Elsa Morante: alla fine degli anni ’50 avvenne il superamento del neorealismo, il primo romanzo
del periodo post neorealismo fu il gattopardo di Tomasi di Lampedusa che venne rifiutato da
Vittorini che portava avanti una cultura impegnata e politicizzata e cercava di incidere nella realtà;
il gattopardo era invece un romanzo pessimista e per certi versi conservatore e Vittorini non lo
pubblicò perché lo vide come un compiere dei passi all’indietro. Dopo il neorealismo si
affermarono delle tendenze basate sul ricordo, sulla memoria e sull’io narrante: all’interno di questa
corrente letteraria possiamo inserire Elsa Morante. Ella nacque a Roma nel 1912 figlia di una
maestra di origine ebraica e di un uomo siciliano che non la riconobbe, fu riconosciuta dal marito
della madre pur non essendo il padre biologico. Fin da giovane fu una ragazza molto particolare e
rivoluzionaria, subito dopo il liceo andò a vivere da sola a Roma. Nel 1936 conobbe Moravia e nel
1942 lo sposò; ebbero una storia d’amore molto burrascosa perché Moravia era molto donnaiolo.
Grazie al marito conobbe molti intellettuali tra cui Pasolini e la cerchia dell’Einaudi. Durante la
guerra si nascosero in un paesino del basso Lazio perché erano entrambi di origine ebraica. Nel
1948 pubblicò menzogne e sortilegio il primo romanzo, scritto durante la guerra. Nel 1957 pubblica
l’isola di Arturo con Einaudi. Dopo questo periodo di scrittura, si dedicò molto al cinema lavorando
con Zeffirelli e Pasolini; fece anche delle colonne sonore per i film. Nel 1962 ebbe una storia
d’amore con un pittore americano che presto muore. Viaggiò tantissimo durante la sua vita. Nel
1974 pubblica la storia, opera che viene molto attaccata. Nel 1982 pubblica aracoeli, il suo ultimo
romanzo e nel 1983 si ammala e viene chiusa in una clinica. Muore nel 1975 all’età di 85 anni. La
produzione della Morante è molto limitata, scrisse infatti solo quattro romanzi; non fa parte di
grandi correnti letteraria. All’inizio i suoi romanzi sembrano tipici dell’800 ma in realtà essi
sanciscono la fine del neorealismo, hanno infatti l’elemento magico e simbolico che ritorna. I temi
principali sono: la famiglia, il rapporto tra madre e figlio, le protagoniste sono quasi sempre donne
che cercano di liberarsi dai preconcetti borghesi e moralisti che impongono alla madre un ruolo
molto chiuso dal quale non riesce a scappare; un altro tema è l’autobiografismo che viene
accompagnato dall’elemento fantastico e fiabesco e proprio per questo è anti neorealista; l’altro
tema è quello dell’infanzia perduta, in Morante c’è sempre la ricerca di questa infanzia, i personaggi
sono sempre di umili origini che vanno alla ricerca della propria infanzia. All’interno delle sue
opere vi è anche l’indagine psicologica, i personaggi vengono visti come vittime degli istinti
primordiali: sesso e denaro. Il primo romanzo menzogna e sortilegio venne scritto durante la guerra,
pubblicato dopo in pieno neorealismo; il racconto non ha una struttura cronologica. La protagonista
Elisa dopo la morte della madre riceve la visita durante la notte di alcuni spiriti che cominciano a
raccontarle la storia dei suoi antenati e viene fuori che i membri della sua famiglia hanno da sempre
vissuto nella menzogna. La menzogna sarebbe quindi la caratteristica della famiglia, il sortilegio la
magia che è presente nel romanzo. È ambientato in Sicilia che rappresenta ancora una volta
l’infanzia, dato che il padre era palermitano. Il secondo romanzo di maggiore successo è l’isola di
Arturo, un romanzo di formazione (romanzi nei quali i protagonisti dopo una serie di prove riescono
a raggiungere la meta, dopo vari percorsi si forma il personaggio, si passa dall’infanzia all’età
adulta). Questo romanzo della Morante si blocca nell’adolescenza; racconta l’infanzia di Arturo
nell’isola di Procida in una sorta di favola moderna. Egli è orfano di madre e vive nell’isola insieme
al padre inglese che viaggia spesso lasciando il figlio solo. Il bambino cresce con Silvestro, il
guardiano dei cantieri, solo e senza affetto. Il padre si risposa con Nunziata, nasce un fratello verso
il quale Arturo nutre della gelosia. Arriva addirittura ad innamorarsi di Nunziata, un giorno la bacia,
lei lo respinge e lui tenta quasi il suicidio. Un giorno seguendo il padre scopre che egli è un
omosessuale. La storia fu molto famoso ma controverso, venne molto criticato in maniera negativa.
Narra le vicende di Ida una maestra elementare di origine ebraica (riferimento alla madre) che viene
stuprata da un soldato tedesco; l’idea viene ripresa da un romanzo di Moravia. Il romanzo viene
criticato fortemente perché vi era una sorta di negazione della storia che esiste solo quando viene
raccontata, lasciando spazio al racconto e alla finzione: un relativismo storiografico. La Morante
vede la storia soltanto come una lotta tra potenti e deboli e per questo viene criticata. Nell’ultimo
romanzo aracoeli ritornano tutti i temi la figura della madre, l’elemento fantastico e il rapporto
difficile tra madre e figlio.

Pier Paolo Pasolini: fu forse il personaggio più scandaloso nella storia della letteratura italiana;
nacque a Bologna nel 1922 da un severo e autoritario militare e da una maestra delle scuole
elementari del Friuli e a differenza del padre, fortemente anti fascista. Si iscrive alla facoltà di
lettere e scopre di essere omosessuale. Quasi tutta la produzione di Pasolini fu intesa come una
difesa della cultura popolare. Il Friuli per Pasolini ebbe lo stesso ruolo delle langhe per Pavese,
come luogo di rifugio. Si iscrisse anche lui al partito comunista come cosa più distante dal fascismo.
Inizia ad insegnare e nel 1949 ricevette una denuncia per atti osceni perché si era appartato con dei
ragazzi; a quel punto si trasferisce a Roma dove diviene un personaggio pubblico proprio a causa di
questo suo comportamento provocatorio, egli cercava di proposito lo scandalo. Nel 1955 scrive
ragazzi di vita e fonda una rivista molto importante officina per la quale scrissero anche Moravia e
Calvino. Nel 1959 scrive una vita violenta e subito dopo si dedica al cinema; la grande fama di
Pasolini è infatti legata al cinema, lavorò con Fellini e nel 1961 uscì il suo primo film a cartone che
fece scandalo. Girò 18 film in 15 anni che lo resero famoso in tutto il mondo; viaggiò tantissimo e
nel 1968 prese posizione contro gli studenti, una sorta di protesta contro il moralismo ma in realtà lo
fece solo per andare contro l’opinione generale e pubblica, attaccò gli studenti definendoli figli di
papà e si schierò a favore dei carabinieri perché li definisce figli del proletariato. Collaborò col
corriere della sera e il primo articolo lo scrisse contro i capelli lunghi, definendoli all’inizio come
una forma di protesta e diventati successivamente massificazione. Il 2 novembre del 1975 viene
trovato morto ad Ostia. Per capire Pasolini bisogna tenere a mente due cose: la produzione è una
continua sperimentazione che è fatta per fare scandalo, egli cercava di scandalizzare e provocare il
falso ed ipocrita moralismo borghese. I temi principali sono due: la difesa del popolo e della loro
cultura e la lotta contro il moralismo borghese. Questi temi si ripetono e spesso si intrecciano;
Pasolini per la difesa del popolo parla della campagna friulana e delle borgate romane. Quando la
società dei consumi che lui definisce un nuovo fascismo distrugge violentemente le borgate con la
scavatrice, distrugge anche la cultura popolare e a quel punto Pasolini, stanco, se ne va in giro per il
mondo a cercare questa cultura popolare. Pasolini identifica il mondo friulano con la madre, con la
quale ebbe sempre un grande rapporto; per difendere la cultura popolare cercò di combattere la
borghesia attraverso due mezzi il marxismo e il cattolicesimo. Egli divide Cristo dal cattolicesimo
perché lo definisce un personaggio fortemente rivoluzionario che aveva attaccato i valori antichi; il
cattolicesimo aveva tradito il messaggio di Cristo divenendo potere e formalismo. Una caratteristica
di Pasolini è che utilizza il dialetto ma con lui per la prima volta l’utilizzo del dialetto diventa
poesia colta. Quando pubblica ragazzi di vita parte con la prosa nel 1955, un quadro generale dei
ragazzi delle borgate, non vi è un vero e proprio personaggio. Sono dei quadri di vita, i cui ragazzi
sono animati dagli istinti vitalistici: sesso, droga, prostituzione e violenza. Pasolini ebbe a causa di
quest’opera un processo per oscenità che finì bene e durante il quale venne difeso da Giuseppe
Ungaretti. Nel 1959 in una vita violenta il protagonista è un borgataro che cerca di elevarsi in un
popolo idealizzato. Nel 1972 esce petrolio un libro sul capitalismo, sulla corruzione, sui poteri forti.
Abbandona la prosa con questi tre romanzi e si cimenta sulla poesia, una poesia anti ermetica e
neorealista; si avvicina alla poesia racconto di Pavese raccontando del popolo, istinto, sesso e
violenza. L’opera più famosa è cenere di Gramsci del 1957 che Calvino definì una delle migliori
raccolte poetiche e segnò la fine del neorealismo con la morte di Gramsci: poi nascerà la corrente
delle neo avanguardie. Poi si dedica al cinema, collabora con Fellini e nel 1961 esce il suo primo
film Accattone racconta di un giovane borgataro che esce a Venezia vietato ai minori di 18 anni e fa
scandalo; così come i romanzi lui attinge dalla realtà la l’intento non è neo realista, l’intento è
l’esaltazione della parte vitalistica del popolo affinché fosse possibile contrastare la borghesia (tema
delle letteratura italiana del secondo novecento). Poi abbiamo il teatro, unico campo in cui non fa
scandalo; si rifà alla tragedia greca e al mito. Scrisse saggi e articoli di giornale, resoconti di
viaggio; in questi denuncia le stragi e i vari misteri della storia italiana. Egli polemizzò con tutti,
con la chiesa, col partito comunista; in ragazzi di vita viene attaccato fortemente dalla critica
marxista. La tragica morte si può spiegare in questa voglia di cercare sempre provocazione e lo
scandalo.

Leonardo Sciascia: grande scrittore del secondo 900. Sciascia nasce a Racalmuto in provincia di
Agrigento nel 1921. Il padre e il nonno lavoravano come impiegati nelle zolfare. Frequenta l’istituto
magistrale a Caltanissetta dove insegnava Brancati, scrittore di opere che furono sviluppate nel
campo cinematografico. Sciascia stravedeva per Brancati, lo ascoltava e leggeva le sue opere;
grazie a lui si innamorò della letteratura francese e si avvicinò all’antifascismo. Aumenta
l’avversione per il fascismo in occasione della guerra di Spagna che fece capire a molti giovani
cos’era il fascismo; Sciascia si avvicina al partito comunista. Nel 1949 diviene maestro nella scuola
di paese e nel 1950 pubblica delle favole recensite da Pasolini perché si avvicinavano ai suoi temi.
Scrisse delle poesie e nel 1956 pubblica la sua prima opera vera e propria le parrocchie di
Regalpetra (paese immaginario della Sicilia), un misto di biografia e di parte romanzata.
Quest’opera attira l’attenzione di Calvino che lavorava all’Einaudi e piano piano Sciascia riesce a
farsi conoscere. Diventa molto famoso negli anni ’60 a causa delle sue tematiche scomode: il
mezzogiorno, la seconda guerra mondiale e soprattutto la mafia. In quel periodo non era facile
parlare di mafia perché si pensava addirittura che non esistesse. Nel 1961 esce il giorno della
civetta che contiene la grande citazione sulla suddivisione del genere umano in grandi categorie:
uomini, mezzi uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà. Nel 1963 il consiglio d’Egitto e nel
1966 a ciascuno il suo. Negli anni ’60, in pensione si dedica alla politica e alla saggistica ma senza
abbandonare il giallo. Nel 1979 viene eletto al parlamento nazionale e a quello europeo e sceglie di
rimanere al parlamento italiano perché voleva visionare le carte secretate dell’affare Aldo Moro per
cercare la verità. Polemizzò anche i metodi della carriera di alcuni magistrati toccando anche
Borsellino. L’ultima grande battaglia fu quella per il suo amico Enzo Tortora, un presentatore tv che
ad un certo punto venne tirato in ballo da un pentito della gamorra. Nel 1989 muore a causa del suo
grande vizio per il fumo. Sciascia fu un grandissimo intellettuale dotato di grande intelligenza e si
cimentò in vari campi artistici. Affrontò i grandi temi dell’Italia e cercò attraverso la letteratura
impegnata di scoprire sempre la verità. Fu al di fuori delle grandi correnti del 900, avvicinandosi
giusto un po’ al neorealismo e stette lontano dalle avanguardie. La scrittura è pulita e razionale e
venne definita da alcuni illuminista. Dal punto di vista politico ha la parabola dei grandi del 900, si
avvicina al partito comunista per opporsi al fascismo. La sua prima opera importante le parrocchie
di Regalpetra, dei resoconti di questo paese immaginario della Sicilia ambientato subito dopo la
seconda guerra mondiale; i personaggi sono storici e lo sfondo è storico e romanzato. Nel 1958
pubblica gli zii di Sicilia pubblicato da Einaudi, ha sempre il resoconto storico ma è un romanzo
vero e proprio. Qui è presente la grande delusione del mito dell’America, del comunismo, affronta
queste delusioni storiche in un vero e proprio romanzo. Nel 1961 viene pubblicato il suo più grande
capolavoro che parla di mafia, la mafia allora era diversa perché il campo d’indagine era
esclusivamente nelle campagne, luogo in cui nasce la mafia. Nella seconda metà degli anni ’70 la
mafia passa invece nelle città per colpa del grande affare della droga. Il titolo di questo romanzo il
giorno della civetta è tratto da un verso di Shakespeare, la mafia è come una civetta che agisce
nell’ombra e nel silenzio, grazie alla convivenza dello stato. Sciascia rivoluzionando la questione
parla di corruzione dello stato. Il romanzo parte dall’omicidio di un sindacalista comunista ucciso
dalla mafia nel 1947, prendendo spunto da un fatto di cronaca. I gialli di Sciascia sono particolari
perché in essi non si trova l’assassino perché non è importante trovarlo, attraverso il giallo ad egli
interessa dimostrare cosa c’è dietro queste azioni, questi omicidi. La verità viene fuori attraverso le
indagini che mettono in mostra tutto ciò che c’è di marcio. Nel 1963 il consiglio d’Egitto affronta il
tema dell’illuminismo, è un romanzo storico: un grande falsario del 700 fa credere all’ambasciatore
del Marocco che possiede degli importanti documenti; nel frattempo avviene la vicenda di Di Blasi
che viene torturato e ucciso perché si scopre che stava organizzando una rivoluzione giacobina in
Sicilia. Il contesto è un altro libro scandaloso perché parla di relazioni politiche, i servizi segreti, il
terrorismo e in quegli anni nessuno parlava di questi argomenti. Sciascia ambienta quasi tutto in
Sicilia che prende come metafora del mondo, come per dire che ciò che scrive accade in Sicilia ma
può succedere ovunque. Nel 1974 a todo modo dove vi è un attacco alla chiesa e alla politica
ecclesiastica. Visse molti mesi in Francia e pubblica in onore di Voltaire e della cultura illuminista
il candido. Si occupa del caso Moro attaccando fortemente lo stato; era un personaggio che attacca
tutti, sia governo che opposizione, non si schierò mai politicamente e per la prima volta in Italia con
lui si cercò di mettere in luce una serie di corruzioni a cui nessuno prima aveva mai pensato di
accennare per mancanza di coraggio.

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