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VITA
Nasce a Girgenti, odierna Agrigento, nel 1867, compie i suoi studi a Palermo e Roma. Si
laurea in lettere presso l’università di Bonn, in Germania.
La sua famiglia era benestante e suo padre dirigeva una miniera di Zolfo.
Nel 1894 sposa la figlia di un socio di suo padre. Avviene in seguito una sciagura mineraria,
che porta la famiglia di Pirandello alla povertà ne 1903.
Questa povertà causa a sua moglie una grave malattia mentale, per l’autore costituisce una
tragedia familiare, che si rispecchia nelle sue opere, in questo periodo, mentre prosegue la
sua vita da narratore, si interessa anche al teatro.
Gli anni della grande guerra sono vissuti da Pirandello drammaticamente. Questi anni infatti
sono causa della morte della madre e della partenza per il fronte dei suoi figli.
Avvenuto il delitto di Giacomo Matteotti, Pirandello aderisce al partito fascista.
Nel 1934 riceve l’oscar per la letteratura, in seguito alla sua vita piena di successi letterari.
Nel 1936 Pirandello muore, lasciando la sua ultima opera “I giganti della montagna”
incompleta.
L’ultimo volere del poeta è che le sue ceneri vengano sparse territorio di Agrigento.per il
Vitangelo Moscarda si guardava allo specchio alla ricerca della radice del dolore che gli
infastidiva il naso, quando sua moglie, Dida, gli fece notare che il suo naso pendeva verso
destra e una serie di difetti inerenti al suo aspetto fisico di cui non era a conoscenza: inizia
qui una serie di riflessione che dovrebbero portarlo ad una conclusione, vorrebbe scoprire
chi è veramente, cioè, sapeva già chi era veramente, perciò nei suoi ventotto anni pensava di
essere solamente UNO solo, ma con gli accorgimenti di sua moglie non si rispecchiò in quello
che pensava di essere e quindi iniziò una lunga riflessione.
La conclusione è che ogni uomo è uno, nessuno e centomila.
• L'uomo è UNO finché non inizia a riflettere su cosa pensano gli altri di lui;
• L'uomo sente di essere CENTOMILA persone quando pensa che ognuno ha di lui un’idea
diversa;
• Alla fine di una lunga riflessione, l'uomo capisce che non è NESSUNO perché non riesce a
trovare la sua vera identità e non riesce a cogliere la sua vera identità.
L'idea che ognuno ha su altre persone può cambiare a seconda degli atteggiamenti che si
assumono, perché ogni volta che si cambia atteggiamento gli altri cambiano atteggiamento
su di te; questo venne sperimentato dal protagonista, infatti ad un certo punto inizia a
cambiare atteggiamento verso sua moglie, che lo abbandonerà, verso Marco Di Dio, al quale
toglie la casa, e verso suo suocero, Firbo e Quantorzo, a causa della lite con loro abbandonerà
la banca che gli è stata affidata da suo padre al momento della morte.
IL TEATRO DI PIRANDELLO
Pirandello ha una visione del mondo negativa, ma al posto che deprimersi nella negatività,
affronta la vita con Ironia e paradosso, rimarcando questi ultimi due aspetti.
Con questa visione, si dimostra un autore moderno, è anche questo causa del suo successo.
I testi teatrali di Pirandello sono prima di tutto delle storie paradossali, che riflettono una
vita claustrofobica per risolverla in gesti folli e anticonvenzionali, che ribaltano la realtà e
deridono l’eccessiva serietà del mondo. Se il mondo è una gabbia, il teatro deve mostrare il
momento di ribellione e di disordine che, anche all’interno di una prigione, può cambiare il
senso delle cose. Con il suo teatro Pirandello distrugge le convenzioni, elimina la barriera
tra realtà e finzione, tra autore e personaggio, tra pubblico e attore.
IL FU MATTIA PASCAL
apparve dapprima a puntate sulla rivista Nuova Antologia nel 1904 e che fu pubblicato in
volume nello stesso anno. Fu il primo grande successo di Pirandello, scritto nelle notti di
veglia alla moglie, Maria Antonietta Portulano, paralizzata alle gambe.
Il fu Mattia Pascal racconta le vicende del protagonista omonimo che, a un certo punto,
decide di cambiare completamente la sua vita.
Il fu Mattia Pascal è ambientato principalmente tra Miragno, in Liguria, e Roma.
Il significato del romanzo non è stato ancora pienamente conosciuto.
Per sottolineare il rapporto tra realtà ed arte, Pirandello in appendice del romanzo pubblicò
la notizia giornalistica di un caso simile a quello raccontato da lui: la situazione, quindi, non
era impossibile ma verosimile.
C'è nel romanzo un riferimento continuo alle ombre: il bibliotecario Mattia, vicino al
ponte Molle, contempla la propria ombra con il desiderio di calpestarla; ombre sono i
personaggi che si aggirano nella scena della roulette a Montecarlo; nella pensione romana
Mattia è immerso in un mondo di esperimenti spiritici; egli stesso esperimenta l'oscurità per
una malattia agli occhi.
Il Pirandello nel romanzo raffigura, attraverso una vicenda occasionale, il senso universale
della natura umana e del dramma dell'uomo costretto a vivere in situazioni grottesche e di
crisi nei rapporti sociali.
Nel romanzo è forte il "sentimento del contrario" che permette al nostro di estrarre da
situazioni particolari il senso universale della vita.
Don Eligio Pellegrinotto è descritto come un prete molto attivo, passionale, forse un po'
confusionario, è lui che consiglia a Mattia Pascal di narrare in un libro le sue avventure.
Afferma però di avere poca memoria. Perché ammette di soffrire di una cronica tendenza a
mentire e perché afferma che racconterà solo quanto reputa "necessario".
Finge così un suicidio e, lasciato il suo bastone e il suo cappello vicino a un ponte del Tevere,
ritorna a Miragno sotto il nome di Mattia Pascal. ... La prima morte è quella che lo vede
morto suicida nel mulino della Stìa, la seconda quella in cui "muore" il suo alter ego
Adriano Meis.
LA PATENTE
La patente è una novella di Luigi Pirandello, pubblicata nel 1911 sul Corriere della Sera,
inclusa nella raccolta Novelle per un anno nel 1922.
La novella, caratterizzata da un umorismo dolente e pessimistico, è incentrata su un tema
cardine del pensiero pirandelliano: la maschera che la società impone all’identità di
ciascuno di noi.
La patente si apre con la descrizione di uno dei suoi due protagonisti: il giudice D’Andrea.
È un uomo magro, sconvolto dalla vita, pronto a perdersi la notte in riflessioni; integerrimo
sul lavoro, sempre puntuale.
Proprio questa sua nota e inscalfibile puntualità sul lavoro viene messa a rischio da un caso
particolare, quello di Rosario Chiàrchiaro. L’uomo, ex impiegato al banco dei pegni
licenziato perché ritenuto portare sfortuna, ha denunciato per diffamazione due ragazzi che
al suo passaggio hanno fatto le corna.
Il giudice certo non crede all’esistenza della sfortuna e vorrebbe a tutti i costi aiutare il suo
cliente, che non solo ha perso il lavoro, ma deve mantenere una moglie paralitica e due figlie
ormai condannate al nubilato.
La soluzione migliore gli sembra parlare con Chiàrchiaro e fargli ritirare la denuncia: dal
processo non potrebbe venire nulla di buono, se non una conferma esibita della sua
condanna a portatore di sfortuna.
Il caso, però, si rivela presto paradossale: Chiàrchiaro, raggiunto l’uomo nel suo studio,
spiega che non ha citato in giudizio i due ragazzi per scrollarsi finalmente di dosso lo stigma
di iettatore, ma per poterla rivendicare legalmente con un riconoscimento ufficiale, una
patente. D’Andrea, spaesato, non può che promettere di aiutarlo.
ANALISI
La patente ruota attorno ad alcuni elementi fondamentali della poetica pirandelliana. In primo
luogo, il tema cardine è la riflessione sul rapporto tra identità personale e maschera
imposta dalla società, sul contrasto tra vita e forma. Anziché rendersi conto all’improvviso
di essere stato costretto in una forma e di non aver mai vissuto realmente, Rosario
Chiàrchiaro sceglie di accettare la propria forma, impostagli dall’esterno, e di farla fruttare
economicamente.
ENRICO IV
Pirandello scrisse l’Enrico IV nel 1921 (la prima edizione è del 1922), meno di un anno dopo
la stesura del famoso capolavoro Sei personaggi in cerca d’autore.
Finzione e realtà
L’intero dramma ruota intorno ad un sottile gioco ambiguo tra finzione (il tempo e lo spazio
medievale) e realtà attuale,
Il protagonista vive da 20 anni isolato in una villa, prima credendo poi fingendo di essere
l’imperatore tedesco Enrico IV (1050-1106). Il protagonista aveva partecipato ad una
mascherata insieme a degli amici durante la quale è caduto da cavallo ed è impazzito. Tutti
si erano mascherati da personaggi storici, lui aveva scelto Enrico IV perché la donna di cui
era innamorato aveva scelto per sé la parte di Matilde di Toscana – nemica di Enrico IV. In
questo modo egli poteva rimproverare indirettamente alla donna amata la sua crudeltà, ma
soprattutto poteva avere l’occasione di gettarsi ai suoi piedi come fece l’imperatore a
Canossa.
La sua follia, che durò 12 anni, consistette nel credere di essere veramente Enrico IV.
Per assecondarlo i parenti gli costruirono un ambiente medievale con quattro valletti.
Un giorno, però, otto anni prima dell’inizio dell’azione del dramma, egli guarì ma scelse di
lasciare tutto com’era, facendo finta d’essere ancora un pazzo che si crede Enrico IV.
Nel corso del dramma il rapporto tra finzione e realtà subisce dei cambiamenti: durante la
mascherata, prima della caduta dal cavallo, il ruolo d’Enrico era ovviamente pura finzione.
Tutti recitavano una parte da loro scelta. Poi, con la follia, finzione e realtà coincidevano
nella coscienza de protagonista. Infine, dopo la sua guarigione, egli distingue di nuovo tra il
ruolo e la realtà, ma solo per sé, non agli occhi degli altri per i quali egli mantiene l’illusione
della follia. Enrico ha scelto di continuare la recita del ruolo storico e della follia, e questa
finzione è la sua unica realtà. Non ha un’identità più autentica, è solo personaggio (un
personaggio moderno) che recita un altro personaggio (storico), scomparso come
«persona». Il protagonista ha quindi due facce o maschere con cui svolgere la sua recita
ambigua: il personaggio moderno e quello storico, l’imperatore Enrico IV.
IL TRENO HA FISCHIATO (22 febbraio 1914)
Per i suoi colleghi e per i medici Belluca è pazzo: non riescono a comprendere
che i suoi gesti inattesi e la ribellione al capo-ufficio sono un modo per disfarsi della
maschera impostagli dalla società, e allora gli attribuiscono una nuova «forma»,
quella del pazzo che la società esclude e isola.
La ricerca della realtà nascosta dietro l’apparenza è affidata alla voce narrante,
che all’inizio è imprecisata e poi assume l’identità di un vicino di casa di Belluca.
Questi conosce la sua situazione familiare e perciò ipotizza che la vicenda, una volta
ricostruita, possa essere considerata del tutto naturale: la pazzia di Belluca è come
la coda di un mostro, ossia il risultato finale (la coda) della sua esistenza alienata (il
mostro).
La spiegazione di quanto è successo è fornita anche dal protagonista:
• l’improvviso fischio notturno del treno ha messo in moto il suo viaggio liberatorio;
• la vastità indefinita dello spazio aperto, simbolo della «vita» irrompe nell’angustia della
«forma» e dello spazio chiuso della casa e dell’ufficio;
• la fuga nella fantasia è occasione di riscatto dalla grettezza e dalle umiliazioni
quotidiane, cui ora può ribellarsi ritrovando l’autenticità del proprio essere.
Belluca ritornerà alla sua computisteria, ma ora che il treno ha fischiato… sarà un uomo
nuovo e potrà evadere dallo squallore della vita attraverso l’immaginazione.