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LUIGI PIRANDELLO

VITA
Egli nacque nel 1867 presso Girgenti, da una famiglia di agiata condizione borghese.
Si iscrisse all’Università di Palermo,poi alla facoltà di lettere a Roma.
Nel frattempo inizia la produzione letteraria scrivendo poesie e una tragedia. L’esperienza degli studi in
Germania fu importante per lo scrittore, lo mise in contatto con la cultura tedesca e con gli autori
romantici, che lo influenzarono sulle teorie riguardanti l’umorismo.
Nel 1893 scrisse il suo primo romanzo “L’esclusa” e diede alle stampe una prima raccolta di racconti “Amori
senza amore”.
Sposó Maria Antonietta Portulano.
Pubblicó articoli e saggi su varie riviste, tra cui il “Marzocco” che aveva come collaboratori pure Pascoli e
D’annunzio.
Scrisse la sua prima commedia “Il nibbio”.
Dissesto economico
Un allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito il suo patrimonio causó un dissesto
economico della famiglia.
Alla notizia del disastro la moglie ebbe una crisi che sfoció in follia. La convivenza con la donna costituì per
Pirandello un tormento continuo, che può essere visto come “trappola” che imprigiona e soffoca l’uomo.
Anche l’esistenza di Pirandello, fu segnata dall’esperienza della declassazione del passaggio da una vita di
agio borghese ad una condizione di piccolo borghese, con i suoi disagi economici.
Questo fatto gli forní lo spunto per la rappresentazione del grigiore soffocante della vita piccolo borghese,
ma soprattutto il suo rifiuto del meccanismo sociale alienante, sentito come una “trappola”.
Lo scrittore raccolse poi in vari volumi le novelle pubblicate sui giornali e riviste, suscitando poca attenzione
nella critica, che lo considerava un umorista “minore”.
L’ATTIVITA TEATRALE
Dal 1910 ebbe il primo contatto con il mondo del teatro, attraverso la rappresentazione di due atti unici:
Lumìe di Sicilia e La morsa.
Dal 1915 venne messa in scena a Milano, la prima commedia in tre atti, “Se non così”.
Dal 1920 il teatro di Pirandello cominciò a conoscere il successo di pubblico.
I drammi pirandelliani furono conosciuti e rappresentati in tutto il mondo.
Dal 1925 assunse la direzione del teatro d’Arte di Roma.
L’esperienza del Teatro d’Arte fu resa possibile anche dal finanziamento dello Stato.
Si iscrisse al Partito Fascista, e gli servì per ottenere appoggi da parte del regime.
Negli ultimi anni lo scrittore seguì particolarmente la pubblicazione organica delle sue opere, in numerosi
volumi: le Novelle per un anno e me Maschere nude, in cui venivano sistemati i testi drammatici.

LA VISIONE DEL MONDO


IL VITALISMO
I testi narrativi e drammatici di Pirandello insistono su alcuni nodi concettuali.
Alla base della visione Pirandelliana vi è una concezione vitalistica, che è uguale a quella di varie filosofie
contemporanee.
La vita è intesa come eterno divenire.
Tutto ciò che si stacca da questo flusso,assume una forma distinta e individuale che si rapprende, si
irrigidisce e comincia, secondo Pirandello, a morire.
Così avviene dell’identità personale dell’uomo. Noi siamo parte indistinta nell’universale ed eterno fluire,
ma tendiamo a cristallizzarci in delle forme individuali, a fissarci in una realtà che noi stessi creiamo, in una
personalità coerente e unitaria.
Questa personalità è un’illusione è scaturita solo dal sentimento soggettivo che noi abbiamo del mondo,
che ci proietta in un cerchio di luce e ci separa fittiziamente dal resto della vita.
ad esempio, un individuo può crearsi di se stesso l’immagine gratificante dell’onesto lavoratore, del buon
padre di famiglia, mentre gli altri magari lo fissano senza rimedio nel ruolo dell’ambizioso senza scrupoli o
dell’adultero.
Queste forme in realtà sono delle costruzioni fittizie,delle maschere che noi stessi ci imponiamo e che ci
impone il contesto sociale. Sotto queste maschere non c’è un volto definito, immutabile: non c’è nessuno.
Pirandello condusse una critica serrata al concetto di identità personale, di “io“, su cui si era fondata una
lunga tradizione filosofica e da cui si appellava abitualmente la coscienza comune.
LA CRITICA DELL’IDENTITÀ INDIVIDUALE
Questa teoria della frantumazione dell’io è un dato storicamente significativo: nella civiltà novecentesca
entra in crisi sia l’idea di una realtà oggettiva, organica definita univocamente interpretabile con gli schemi
della ragione, sia di un soggetto forte, unitario, coerente, sicuro di ogni rapporto con la realtà. L’io si
disgrega, si smarrisce si perde nel naufragio di tutte le certezze.
È questo il periodo dell’affermarsi di tendenze spersonalizzante nella società: l’instaurarsi del capitale
monopolistico, che annulla l’iniziativa individuale e nega la persona dissolvendola in grandi apparati
produttivi anonimi.
L’uomo si smarrisce e diviene una particella isolata e alienata nella folla anonima.
L’individuo non conta più, Leo si indebolisce, perde la sua identità, si frantuma in una serie di stati
incoerenti. Pirandello è uno degli interpreti più acuti di questi fenomeni e questo si riflette nelle sue teorie
e nelle sue costruzioni letterarie. La presa di coscienza di questa inconsistenza dell’io suscita nei personaggi
pirandelliani smarrimento e dolore. L’avvertire di non essere “nessuno “l’impossibilità di consistere in
un’identità provoca : angoscia ed orrore, un senso di solitudine.
LA TRAPPOLA DELLA VITA SOCIALE
queste forme sono viste come una “trappola“, come un “carcere” in cui l’individuo si dibatte, lotta invano
per liberarsi.
la società gli appare come nel “enorme pupazza data“, una costruzione artificiosa e fittizia, che isola
irreparabilmente l’uomo dalla “vita“, lo conduce alla morte anche se gli apparentemente continua a vivere.
Nelle novelle e nei romanzi la critica di Pirandello si appunta sulla condizione piccolo borghese mentre, il
teatro predilige ambienti alto borghesi.
L’istituto in cui si manifesta per eccellenza la “trappola“ della “forma“ che imprigiona l’uomo, separandolo
dall’immediatezza della vita, èla famiglia.
Pirandello coglie il carattere opprimente dell’ambiente familiare, il suo grigiore avvilente, le tensioni
segrete, i rancori, le ipocrisie.
L’altra “Trappola“ e quella economica, costituita dalla condizione sociale e dal lavoro, almeno a livello
piccolo borghese: i suoi eroi sono prigionieri di una condizione misera e stentata, di lavori monotoni e
frustranti.
Da questa “trappola“ non si dà per Pirandello una via d’uscita storica: il suo pessimismo è totale, non gli
consente di vedere altre forme di società diverse.
IL RIFIUTO DELLA SOCIALITÀ
la società borghese del suo tempo che egli indaga non è per lui che la manifestazione particolare di una
condizione universale. L’unica via di relativa salvezza che si dà ai suoi eroi e la fuga nell’irrazionale:
nell’immaginazione che trasporta verso un altro ove è fantastico, come per l’impiegato Belluca di “Il treno
ha fischiato” Che sogna paesi lontani e attraverso questa evasione posso portare lo pressione del suo lavoro
e della famiglia,composta da tre cieche, due figliole vedove con sette nipoti da mantenere; oppure nella
follia, che è lo strumento di contestazione per eccellenza, in Pirandello, delle forme fasulle della vita
sociale.
il rifiuto della vita sociale dal luogo nell’opera pirandelliana ad una figura ricorrente, emblematica: il
“forestiere della vita“, colui che “ha capito il giuoco“, ha preso coscienza del carattere del tutto i tizi del
meccanismo sociale e si esclude, si isola.
questo personaggio rifiuta di assumere la sua “parte”, osserva gli uomini imprigionati dalla “trappola“ con
un atteggiamento “umoristico“.
Pirandello definisce la filosofia del lontano: consiste nel contemplare la realtà come da un infinita distanza,
in modo da vedere in una prospettiva straniata tutto ciò che l’abitudine ci fa considerare normale, in modo
di cogliere i vari aspetti.
RELATIVISMO CONOSCITIVO
caratteristico della visione pirandelliana è dunque un radicale relativismo conoscitivo: non si dà una verità
oggettiva fissata a priori una volta per tutte. Ognuno ha la sua verità, che nasce dal suo modo soggettivo di
vedere le cose.
Ne deriva un evitabile incomunicabilità fra gli uomini: essi non possono intendersi, perché ciascuno fa
riferimento alla realtà come per lui e non sa, ne può sapere, come sia per gli altri.
Nella visione umoristica di Pirandello la realtà si sfalda in una pluralità di frammenti che non hanno un
senso complessivo. Questa radicale apertura della visione del mondo, questa crisi della totalità collocano
Pirandello già oltre il decadentismo, in un clima tipicamente novecentesco. Così avviene per la crisi dell’io. Il
decadentismo, come già nel Romanticismo, nella sua fuga da una realtà storica negativa, che portava la
chiusura gelosa nella soggettività, poneva L’io al centro del mondo, o meglio, identifica sostanzialmente il
mondo con L’io.

LA POETICA
L’UMORISMO
Testo si compone di una parte storica, in cui l’autore esamina varie manifestazioni dell’arte umoristica, e di
una parte teorica, in cui viene definito il concetto stesso di umorismo.

Luigi Pirandello, per la prima volta, parla di umorismo in senso esplicito, facendo una differenza con il
comico. Il comico non è altro che l’avvertimento del contrario, che nasce dal contrasto tra l’apparenza e la
realtà e che genera la risata, emblema di una situazione contraria a quella che dovrebbe essere
normalmente. Si tratta, però, di una risata superficiale, che non porta subito alla riflessione: l’autore
siciliano, con il famosissimo passo della “vecchia signora”, arriva poi a dare una definizione di umorismo:

“Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca; e poi tutta
goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il
contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e
superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del
contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova
forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché
pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé
l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto
la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro:
da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta
qui la differenza tra il comico e l’umoristico.”

L’umorismo nasce, quindi, in un secondo momento: è il sentimento del contrario. È generato dalla


riflessione, dall’accettazione di una triste realtà e dal contrasto tra apparenza e realtà, maschere e vera
personalità. E se prima di fronte all’immagine della vecchia signora il genere umano sghignazza in una
grossolana risata, adesso la riflessione genera un sentimento di compassione: colei che cerca di nascondere
il peso dei suoi anni dietro abiti eleganti e fascino spietato, fa pena all’animo umano che, riflettendo,
percepisce la sua debolezza, la paura di invecchiare, la fragilità umana.

L’ATTEGGIAMENTO UMORISTICO
Lo scrittore deforma l’uomo rendendo i suoi gesti e movimenti paradossali, portandolo all’estremo
dell’’inverosimiglianza e dell’assurdo i casi comuni della vita.
Da tutto questo meccanismo assurdo scaturisce forzatamente il riso, ma è un riso sempre accompagnato, in
nome del sentimento del contrario, da una pietà dolente per un’umanità così avvilita, per la sofferenza
senza riscatto, per la pena di vivere così.

NOVELLE PER UN ANNO


Pirandello scrisse novelle per tutto l’arco della sua attività creativa, racchiuse all’interno di Novelle per un
anno (24 volumi).
Riflettono il mondo non ordinato e disgregato in una miriade di aspetti precari e frantumati.
Scritte nei primi anni della sua vita.

NOVELLE SICILIANE
Scambiate molto spesso per opere veriste, le novelle di questa raccolta trattano la vita siciliana di provincia
o di campagna.
Viene rappresentato un mondo diverso, lontano dall’indagine scientifica sui meccanismi della società e
della lotta per la vita.
L’autore mette in luce e coglie il grottesco della vita siciliana, un mondo disordinato e folle.

NOVELLE PICCOLO BORGHESE


Novelle che trattano la condizione di piccoli borghesi, meschina, grigia e frustrata.
Pirandello mette in luce la trappola in cui questi esseri sono prigionieri.
Trappola costituita da una famiglia oppressiva e soffocante, da un lavoro monotono e meccanico che
intristisce l’individuo..
L’analisi dell’autore si appunta con feroce lucidità sulle convenzioni sociali che impongono all’uomo
maschere fittizie e ruoli fissi, spegnendo la spontaneità e l’immediatezza della vita.
Esempio principale: Il treno ha fischiato.

LA TRAPPOLA, dalle Novelle per un anno


Fu pubblicata sul Corriere della Sera il 23 maggio 1912.
Spiega la concezione della vita di Pirandello.

Essa si articola come un colloquio interiore di un uomo, Fabrizio, certo che l’esistenza sia una Trappola,
perché porta sempre alla morte. L’essere umano è diviso tra la vita e l’apparenza, cioè la forma.
La forma è un concetto basilare in Pirandello, poiché l’uomo, secondo lui, non è mai sé stesso, ma si sforza
di interpretare sempre una parte.
Per Fabrizio, le donne sono il congegno diabolico del destino, perché attraggono l’uomo spingendolo a
riprodursi e a procreare altri sventurati che saranno in ogni caso in Trappola.
Anche lui è stato abbagliato da una donna sposata, che non poteva avere figli e che ha strappato a lui una
gravidanza, per poi ritornare dal marito.
Fabrizio starà da solo con il vecchio padre infermo e paralizzato, condannato a quel destino dal padre di suo
padre che senza rendersi conto lo ha fatto nascere 76 anni prima.
Per Fabrizio, infatti, ogni genitore è il carnefice dell’individuo che genera e che sostiene di amare, perché lo
condanna a morte.
Il racconto non presenta quasi andamento narrativo, intreccio o personaggi.
Si tratta di un monologo di un individuo anonimo, che confessa ad un interlocutore indeterminato i propri
pensieri.
Il testo è molto importante, perché qui Pirandello sintetizza alcuni temi essenziali, alla base di tutta la sua
opera narrativa e drammatica.
Si afferma l’inconsistenza della persona, una costruzione artificiale, una realtà che noi stessi ci diamo e che
maschera una realtà più profonda.
Al di sotto di essa vi è una pluralità di stati di coscienza.
La realtà però è vita, è un flusso continuo, e assumere una precisa personalità individuale significa
distaccarsi da questa vita, fissarsi in una forma e morire.
Ogni condizione individuale è una trappola che ci imprigiona, staccandoci dal flusso vitale. Dunque è
significativo che la trappola della novella si concretizza nel rapporto uomo-donna, che genera la società.
L’idea dell’inconsistenza della personalità come proiezione fittizia della nostra soggettività è espressa anche
nel Fu Mattia Pascal.
Nel romanzo però, in una prospettiva mistica il morire è visto come il cadere dell’illusione che ci tiene
prigionieri; nella novella invece la visione è più tragica, ed esprime l’orrore per la trappola che imprigiona
l’uomo.
Ne segue una visione cupa e mortuaria.
Nella contrapposizione tra vita e forma possiamo scorgere un nucleo profondo e autentico della visione
dello scrittore, il suo rifiuto per le organizzazioni sociali, costrittive e soffocanti e la sua nostalgia di
un’immediatezza spontanea.
Gli uomini, sostiene ancora, sono tutti già morti, perché fissi nei loro ruoli, sotto le loro maschere, ma non
vivono davvero, non partecipano di quel flusso vitale che è appunto l'esistenza.

IL TRENO HA FISCHIATO, dalle Novelle per un anno


La Novella fu pubblicata sul Corriere della Sera il 22 febbraio 1914, poi nel volume trappola nel 1915.

RIASSUNTO
Il protagonista della novella è Belluca, un uomo modesto senza particolari qualità, un contabile dedito
all’arido lavoro di ufficio, fatto di conti e calcoli, sottomesso e indifeso e per questo zimbello sia del
capoufficio e dei colleghi, sia dei familiari.
Il racconto procede a ritroso. Nella prima parte della novella, il lettore viene a conoscenza di quanto
accaduto, non con la narrazione dei fatti ma attraverso i dialoghi tra i colleghi d’ufficio del protagonista, che
narrano del ricovero di Belluca in  ospedale psichiatrico, preda di un’improvvisa alienazione mentale, dopo
che si è scagliato contro il proprio capo ufficio.
Belluca, irreprensibile lavoratore, sempre sottomesso e mite, si è infine ribellato. Dopo anni di angherie in
cui a testa bassa ha continuato a svolgere il proprio lavoro in maniera scrupolosa e irreprensibile, senza
reagire minimamente ai richiami, alle battute e agli scherzi crudeli di colleghi e del capoufficio, una mattina
si presenta in ufficio in ritardo, con un’aria stordita e serafica, e vi trascorre l’intera giornata in maniera
inconcludente. Ripreso, per una volta giustamente, dal capoufficio, Belluca reagisce inveendo e
farneticando contro di lui. Urlando racconta di un treno che ha fischiato nella notte e che lo ha portato
lontano. Viene creduto pazzo. Quindi, imbragato in una camicia di forza, viene portato all’ospizio dei matti
mentre egli continua ad imitare il fischio del treno ed a raccontare di viaggi in posti lontani.
A questo punto del racconto si inserisce la voce del narratore che spiega al lettore, in qualità di vicino di
casa del Belluca, che tipo di vita questi conducesse, oppresso non solo da un’umiliante condizione
lavorativa ma anche da una squallida vita familiare, dovendo provvedere a moglie, suocera e sorella della
suocera, tutte affette da cecità, e alle 2 figlie vedove con i loro 7 bambini. Avendo tutte quelle bocche da
sfamare egli si era procurato altro lavoro da svolgere a casa fino a notte tarda, tra le urla e gli strilli dei
litigiosi componenti della sua famiglia.
In questa squallida situazione, al limite della sopportazione, chiusa nella monotonia di giorni sempre uguali,
in cui nulla sembrava potesse cambiare, una notte succede qualcosa che cambia tutto. E’ Belluca stesso a
raccontarlo: il fischio di un treno, squarcia, all’improvviso la cappa opprimente sotto la quale da anni egli
vive. Il fischio del treno lo scuote e gli apre una via di uscita, quando si rende conto che la vita è fatta anche
di fantasia e immaginazione.
Un evento banale come il fischio del treno consente a Belluca di trovare uno spazio di evasione, in cui
immaginare viaggi in paesi sconosciuti, ciò gli permetterà di continuare la sua miserrima vita, dopo che egli,
dimesso dall’ospedale e scusatosi con il suo Capoufficio, riprenderà la vita di sempre.
Belluca esce da questa vicenda trasformato perché capisce che estraniandosi di tanto in tanto nel mondo
del sogno egli riuscirà a sentirsi meno schiavo  di una vita alienata, libero di viaggiare con la fantasia.

ANALISI DEL TESTO


Tematiche
Le tematiche affrontate sono tipicamente pirandelliane:
* La falsità di un mondo basato su ciò che appare e non su ciò che è. La vicenda viene infatti osservata da 3
punti di vista:
* Nell’ottica convenzionale dei colleghi d’ufficio per i quali la sola spiegazione plausibile del
comportamento di Belluca è la pazzia;
* Nell’ottica del narratore che conoscendo i particolari della squallida vicenda familiare del protagonista,
ne giustifica il comportamento ribelle e ne ricerca il significato;
* Nell’ottica dello stesso protagonista che svela il vero significato dell’evento del fischio del treno che gli
permette di trovare una interiore dimensione esistenziale.
* L’equivoco esistenziale essere/apparire alla fine si risolve: visto dall’esterno Belluca può apparire pazzo
mentre in realtà ha solo ritrovato la sua dimensione umana.
* La concezione relativistica della realtà e dell’uomo per cui non esiste una sola verità ma ne esistono tante.
La realtà obiettiva non esiste perché un fatto può essere interpretato in moltissimi modi diversi. La realtà è
la somma di tante verità, di tanti microcosmi quanti sono gli uomini.

Il FULCRO NARRATIVO
La vicenda si svolge entro limiti paradossali ma rispecchia la situazione di molte persone che possono
resistere all’alienazione e alla solitudine solo ritagliandosi un piccolo spazio in una realtà diversa nel sogno.
Solo alla fine della novella si comprendono il comportamento di Belluca e la sua insubordinazione al
capoufficio.
Il fischio del treno è l’evento apparentemente insignificante che costituisce invece il fulcro narrativo del
racconto e che sconvolge la vita del protagonista.  Evidenzia un concetto che spesso sta alla base dell’opera
pirandelliana: il fatto che a volte basta un evento insignificante per rivoluzionare tutta la vita di una
persona. Nel caso specifico la folgorazione improvvisa del fischio del treno rende consapevole il
protagonista di voler recuperare la propria dignità e la propria libertà, seppur in limitati momenti di viaggio
nella fantasia.
Il fischio del treno rappresenta il simbolo della riconquistata libertà.
Il fischio di quel treno nel cuore della notte spalanca per Belluca prospettive nuove e mai esplorate e lo
mette di fronte alla totale mancanza di evasione e leggerezza nella sua vita.
Il protagonista comprende l’importanza, di tanto in tanto, di concedersi dei momenti di libertà e evasione
da tutto, fosse anche nel mondo del sogno e della fantasia.

Stile
Da un punto di vista stilistico la novella può essere divisa in 3 parti:
* La parte iniziale della novella ha un ritmo narrativo convulso che coinvolge emotivamente il lettore e
riflette il punto di vista esterno, dei colleghi del protagonista. Il tono è umoristico e vuole evidenziare
l’incapacità degli estranei di capire veramente la realtà.
* La seconda parte rispecchia il punto di vista del narratore che partecipa alla narrazione per spiegare e
capire la realtà dei fatti. Il ritmo narrativo rallenta.
* La parte finale vede il narratore immedesimarsi nel protagonista e comprenderne perciò i
comportamenti. Anche in questo caso emerge nella conclusione l’umorismo pirandelliano laddove a Belluca
vengono concesse di tanto in tanto, nella monotonia della vita quotidiana, delle brevi pause di fuga dal
mondo reale inseguendo il “fischio del treno”.
Pirandello utilizza diverse metafore per descrivere il personaggio del protagonista:
* “Casellario ambulante” per mettere in evidenza l’aridità e l’ottusità di una persona considerata un
archivio umano;
* “vecchio somaro” per far risaltare la limitatezza di vedute e la sopportazione alle fatiche e ai
maltrattamenti.
Anche la similitudine “come una bestia bendata” richiama la figura metaforica del somaro per evidenziare
la situazione di ottusità e abbruttimento in cui viveva il protagonista quando tutti lo consideravano invece
un essere normale.
Nell’opera riscontriamo il forte contrasto tra quella che tutti sembrano definire follia (l’improvvisa ribellione
di Belluca) e la realtà dei fatti: la vera follia è adeguarsi alla vita di tutti i giorni rinunciando al sogno e alla
libertà.

I ROMANZI
L’ESCLUSA E IL TURNO
Scritta nel 1893 è ambientata in Sicilia, parla di una donna accusata ingiustamente di un adulterio che viene
cacciata dal marito.
Il romanzo ha legami con il naturalismo (il quadro di un costume provinciale, arcaico è chiuso, con cui si
scontra una donna intelligente alla ricerca di un’emancipazione che il meccanismo sociale rende
impossibile).
Trama
L’opera affonda le sue radici in una cittadina della provincia siciliana durante gli ultimi anni dell’800.
L’autore infatti lavora sullo sfondo tipico della letteratura verista, ricca di dinamiche sociali ben descritte
nei loro pregiudizi e nelle loro sanzioni; a questo aggiunge una vicenda che rimanda ai paradossi del
dramma esistenziale, del contrasto fra sostanza e apparenza. Qui la condotta del singolo si basa sul “cosa
dirà la gente”, il timore dello scandalo diventa il credo su cui impostare la propria vita e le proprie relazioni.
L’arretratezza e l’ignoranza della gente assecondano le maldicenze, la curiosità e l’ipocrisia. Al pregiudizio si
accostano il formalismo e il maschilismo.
La società delineata da Pirandello nell’Esclusa evidenzia come il matrimonio si riduca a rapporti gerarchici
precostituiti dove l’uomo è il padre-padrone e la donna un soprammobile in attesa di sistemazione. Il
rapporto di coppia esclude ogni forma di dialogo aperto ed egualitario, coprendo sotto la vernice del
formalismo gli impulsi e i sentimenti autentici. Dal romanzo emerge anche il relativismo conoscitivo, ovvero
l’esistenza di diverse realtà soggettive; i personaggi sono dunque certi di possedere la verità, dimostrando
l’inesistenza di una realtà oggettiva.
Protagonista della vicenda è la giovane Marta sposata con Rocco Pentagora. Pur essendo incinta del marito,
la ragazza viene scacciata da questi perché ritenuta colpevole di adulterio. Il fondamento di questa pesante
accusa è la corrispondenza ( più filosofico-letteraria che amorosa), che la giovane ha avuto con un suo
ammiratore, l’avvocato Gregorio Alvignani. Marta è disprezzata da tutti e nemmeno in famiglia riesce a
trovare comprensione per la sua sfortunata condizione. Iniziano così una serie di disgrazie che colpiscono la
famiglia Ajala: la morte del padre Francesco, la nascita di un bimbo senza vita, la malattia di Marta, il
tracollo economico dovuto al fallimento della conceria, che dopo la morte del padre fu affidata a Paolo
Sistri.
Ripresasi, Marta non si abbandona alla commiserazione, ma riprende gli studi (sostenuta dalla madre Agata
e dall’unica amica rimastale, Anna) e vince il concorso per insegnare all’Istituto magistrale della sua città.
Rappresentando questo un malcontento per molti, Marta venne trasferita a Palermo.
Inizia qui la seconda parte del romanzo che si sviluppa nell’anonimato della grande città. Marta tenta con
fatica e dignità di ricostruirsi una vita, senza tuttavia nascondere il brutto passato che la tormenta. La sua
bellezza però attira le attenzioni, per altro non gradite, di molti colleghi; ma il caso le fa incontrare
nuovamente Gregorio Alvignani divenendo questa volta la sua amante. Intanto Rocco, ormai convintosi
dell’innocenza della moglie, farà di tutto per incontrarla e riportarla a casa.
STILE E TEMATICHE
La narrazione de L’esclusa è caratterizzata da ampie descrizioni, prediligendo soprattutto l’aspetto
psicologico, sociale e culturale. Si alternano quindi sequenze descrittive e riflessive, lasciando poco spazio a
quelle narrative. Il linguaggio utilizzato è caratterizzato dal dialetto e frequente è l’uso di metafore,
similitudine e iperboli.
Il tema fondamentale de L’esclusa è ovviamente quello dell’incomprensione e del malinteso che allargato
fino all’estremo da una logica rigida può anche suggerire quello, tipicamente pirandelliana, della fatale
solitudine e incomprensione reciproca degli essere umani; ma è anche, il tema fondamentale, quello
umanissimo dell’eterna gelosia e dell’eterno orgoglio, collocato in un ambiente adattissimo a scavare tra
essi un abissso sempre più profondo. Ambiente che in questo romanzo ha un proprio peso ma non
giustifica tutta la vicenda, ma concorre a crearla e a sostenerla in un vivo intreccio drammatico.

IL FU MATTIA PASCAL
Il terzo romanzo di Pirandello, pubblicato nel 1904.
È la storia paradossale di un piccolo borghese, imprigionato come sempre nella “trappola” di una famiglia
insopportabile e di una misera condizione sociale che si trova improvvisamente libero e padrone di se, e
apprende di essere ufficialmente morto in quanto la moglie e la suocera lo hanno riconosciuto nel cadavere
di un annegato. Mattia Pascal inizia a costruirsi una nuova identità. Soffre perché la sua identità falsa lo
costringe all’esclusione dalla vita degli altri. Decide pertanto di rientrare nella sua vecchia identità,
tornando in famiglia, ma scopre che la moglie si è risposata ed ha avuto una figlia da un altro. Non gli resta
quindi che adattarsi alla sua condizione consapevole di non essere più nessuno.
Si assiste all’introduzione della poetica dell’umorismo. La realtà attraverso il gioco paradossale del caso
viene ridotta a meccanismo bizzarro e assurdo. Scatta il sentimento del contrario, tragico e comico, serio e
ridicolo.
La novità investe anche l’impianto narrativo. Il romanzo è raccontato dal protagonista stesso, in forma
retrospettiva in quanto Mattia Pascal al termine della vicenda affida ad un memoriale la sua esperienza.
Il punto di vista è soggettivo, parziale che non fornisce una prospettiva certa sugli eventi.
Pirandello è consapevole dell’impossibilità di scrivere un romanzo tradizionale, in un età che ha visto
crollare le certezze in una totalità ordinata del reale, per chi alla narrazione unisce la riflessione su di essa:
un una prefazione metanarrativa il Mattia narratore scarta ironicamente tutti i modelli di racconto
ottocenteschi

Il fu Mattia Pascal
LA LIBERAZIONE DALLA TRAPPOLA
Mattia Pascal ha ereditato dal padre una grossa fortuna ma è ridotto in miseria da un amministratore che si
impossessa del patrimonio. Mattia si vendica seducendo la nipote di questo amministratore, Malagna,
mettendola incinta. Viene costretto a sposarla ma il matrimonio si rivela un inferno, per la suocera e per la
moglie. Anche la misera condizione sociale pesa su di lui, dopo una giovinezza adagiata si deve adattare ad
un impegno squallido, quello di bibliotecario.
Il piccolo borghese prigioniero di una trappola sociale costituita dalla famiglia oppressiva e da un lavoro
frustante, che divengono metafore di una condizione esistenziale assoluta , di una trappola metafisica che
mortifica e spegne le mobilità della vita.
Mattia cerca di rompere con la fuga il meccanismo che lo imprigiona: lascia il paese di nascosto per cercare
fortuna in America. Ma due fatti intervengono a modificare la sua condizione: una vincita all roulette di
Montecarlo e la notizia della propria morte. Mattia si trova così libero dalla duplice trappola, la misera
condizione e la famiglia.
Mattia così cerca di costruirsi una nuova identità. E comincia a mutare radicalmente il suo aspetto fisico e si
trova un nuovo nome Adriano Meis, e completa l’opera immaginando un contesto alla sua nuova
personalità, una storia passata, una famiglia.

LA LIBERTÀ RAGGIUNGIBILE
Adriano Meis ben presto prova un senso di vuoto e di solitudine. Soffre ad essere escluso dalla vita degli
altri. Però il protagonista non si sente libero perché è attaccato al comune concetto di identità e persino alla
trappola della famiglia e delle relazioni sociali.
La nuova identità è una costruzione fittizia, l’identità falsa rivela un modo traumatico la verità
sull’inconsistenza dell’io e il personaggio non è in grado di reggerla perché resta legato alla concezione
comune.
L’errore dell’eroe consiste nel non essere stato capace di vivere davvero la sua libertà, rifiutando ogni
identità individuale, nell’essersi costruito una nuova forma più falsa quindi ancora più limitante.

I LEGAMI INSCINDIBILI CON L’IDENTITÀ PERSONALE.


Adriano Meis non resistendo più alla sua condizione di forestiere dell vita decide di reimmergersi nel flusso
vitale.
Adriano si innamora di Adriana ma non è capace di elevarsi alla condizione di filosofo estraniato dalla realtà
sociale e sente il richiamo della trappola.
Pur amando Adriana l’eroe non può stabilire un legame con lei perché socialmente non esiste.
Adriano Meis scopre la sua condizione, di essere escluso da quella vita sociale quindi si libera della falsa
identità simulando un suicidio e riprende l vecchia identità di Mattia Pascal.

Il RITORNO NELLA TRAPPOLA DELLA PRIMA IDENTITÀ


Tornato alla sua identità originaria, Mattia Pascal decide anche di ritornare nella vecchia “trappola” della
famiglia, e prende il treno per Miragno. Ma, ripresentandosi a casa, scopre di non poter rientrate nella
vecchia “forma”: la moglie si è risposata col suo migliore amico, pulmino, e ne ho avuta una figlia. Ora
veramente l’eroe non può più avere alcuna identità. Per necessità oggettiva assume allora
quell’atteggiamento di straniero, di forestiere della vita, distaccato dell’assurda commedia dell’esistere, che
prima non aveva saputo sopportare, e vive in pace senza quelle sofferenze che l’avevano spinto a tentar di
rientrare nella trappola originaria. Riprende , quindi, il suo posto nella biblioteca dedicandosi a scrivere la
propria singolare esperienza. Questo memoriale steso dal protagonista stesso al termine della sua vicenda
costituisce appunto il romanzo. Nella pagina conclusiva l’eroe discute con l’amico Don Eligio, il quale
sostiene in una necessità di accettazione dello state civile e dunque non rinunciare alla propria d’identità . Il
“Fu Mattia” obietta di non essere assolutamente rientrato nella” legge”, nel sistema delle convenzioni , né
di aver la pur minima intenzione di rientrarvi. Insomma, Mattia ha capito che la vera identità non esiste , né
questa, d’altra parte può essere conferita da uno “stato civile”, che semmai riduce l’uomo a maschera, a
forma. In definitiva, non resta altro che porsi al di fuori della vita , in una condizione di estraneità e di
distacco da ogni meccanismo sociale. Pascal tronca qualsiasi rapporto vitale con la “normale esistenza “.
Il confronto con Moscarda di Uno,nessuno e Centomila
Aspetti in comuni: entrambi sono protagonisti inetti; non si riconoscono nei loro corpi; si sono sposati per
imposizioni altrui ; Vivono e manifestano il proprio disagio esistenziale con la messa in discussione dell’io e
della realtà; cercano di ribellarsi allo stato delle cose (ribellione più tortuosa in Pascal, più chiara in
Moscarda).
Differenze: MOSCARDA è un protagonista attivo, consapevole di intraprendere il percorso di liberazione
dalla trappola d’identità (forma). Una volta che si è liberato della propria identità porta fino in fondo il
rifiuto di calarsi in ruoli (maschere) che gli altri (famiglia e compaesani) gli hanno affibbiato e si oppone
nettamente al ricrearsi una nuova identità. Afferma decisamente di non voler essere più nessuno, rifiuta
qualsiasi forma convenzionale esiliandosi fuori dalla società ed affermando che il nome altro non è che
un’epigrafe funeraria.-> Ha un atteggiamento utopico ma positivo ( cioè accetta la vita nel suo continuo
divenire).
MATTIA PASCAL invece è un protagonista passivo, causale è quasi inconsapevole, infatti nella ricerca della
propria identità si lascia condurre nel caso. Dopo che si è liberato della propria identità non realizza in
pieno la condizione di libertà assoluta, ma si dà una nuova identità, ovvero una nuova maschera che lo
rappresenta, rientrando così nella prigione della forma da cui era fuggito.
Non accetta di essere nessuno e rimane legato all’identità, tanto che in conclusione del romanzo afferma:
“Io sono il Fu Mattia Pascal”, che è la dichiarazione di avere un’identità anche se negata. -> atteggiamento
critico-negativo (si distacca e rifiuta la vita) .
Significativa e allora l’ultima frase del fu Mattia Pascal: Io sono il fu Mattia Pascal. L’eroe, differenza di Moss
cardo, non rinuncia totalmente al nome, segno esteriore dell’identità.deve fare ancora riferimento adesso:
si accontenta di porgli davanti quel segno “‘meno”,particella “fu” ad indicare l’avvenuta negazione
dell’identità, senza che soluzioni alternative vengano prospettate.

UNO, NESSUNO E CENTOMILA


Fu pubblicato nel biennio 1925-26, ed è una delle opere più importanti.
Questo romanzo si collega al Fu Mattia Pascal, riprendendo il tema della crisi d’identità, il quale rasenta i
limiti della follia. Ha come protagonista Vitangelo Moscarda, un uomo benestante che abita nel piccolo
paesino di Richieri. Il nodo cruciale del romanzo si ritrova in particolare modo nell’osservazione che la
moglie fa a Vitangelo Mosca per quanto riguarda il suo aspetto fisico: il suo naso infatti penderebbe
leggermente verso destra. Viene così a conoscenza di altre sue piccole imperfezioni e capisce che , dei
piccoli difetti, ignorati da lui stesso, erano invece familiari a chi gli stava intorno. Moscarda si rende conto
che gli altri si fanno di lui un’immagine diversa da quella che egli si è creato di se stesso. Scopre di non
essere “uno” come credeva fino ad allora , ma “centomila” nel riflesso delle prospettive degli altri , e quindi
“nessuno”. In un crescente bisogno di autenticità, Vitangelo compie atti inusuali e folli agli occhi di chi lo
conosceva prima delle crisi: sfratta una famiglia per poi regalarle un appartamento nuovo; decide di
liquidare la banca ereditata dal padre per riavere indietro i suoi risparmi. Ferito gravemente da un’amica
della moglie, colta da un raptus inspiegabile di follia, al fine di evitare lo scandalo cede tutti i suoi averi per
fondare un ospizio per poveri, e degli stesso vi si fa ricoverare, estraniandosi totalmente dalla vita sociale.
Con questa scelta trova una sorta di guarigione , rinunciando ad ogni identità e abbandonandosi al puro
fluire della” vita” , rifiutandosi di fissarsi in alcuna “forma”.
Il romanzo porta alle estreme conseguenze la crisi dell’identità che era stata sottoposta in Fu Mattia Pascal :
l’eroe non si limita più ad una condizione negativa , ma trasforma la mancanza d’identità in una condizione
positiva, gioiosa , libera da ogni limitazione.
Uno, nessuno e 100.000 porta anche all’estremo la disgregazione della forma romanzesca già sperimentata
con le prove narrative precedenti. Si tratta anche qui di una narrazione retrospettiva da parte del
protagonista, ma essa non si concreta più nelle forme organiche del memoriale scritto o del diario, bensì
resta allo stato puramente magmatico e informale di un interrotto monologo. Gli interventi del narratore
nella narrazione sono assenti, il narratore è interno e coincide con col protagonista della vicenda che parla
in prima persona e non si può considerare onnisciente poiché non guarda nella mente degli altri
personaggi; non può dunque conoscerne il pensiero.
Solo nella seconda parte il filo di un intreccio comincia a dipanarsi, ma anche l’organicità del racconto, la
concatenazione logica e coerente delle cause ed effetti .

Uno nessuno centomila


LA PRESA DI COSCIENZA DELLA PRIGIONIA NELLE FORME
Il racconto è retrospettivo: il protagonista, Vitangelo Moscarda, conclusosi un ciclo della sua vita, si volge
indietro a rievocarlo. La narrazione ha l’andamento di di un monologo. La vince da narra della moglie che fa
assorbire a Moscarda che il naso gli pende un po’ da una parte. Egli scopre che l’immaginazione che si è
creato di se non corrisponde a quella che gli altri hanno di lui. Diventa ossessionato da questo, lo sconvolge.
Si rende conto del fatto che esistono infiniti Moscarda l’uno diverso dall’altro, a seconda dalla visione delle
tante persone che lo conoscono.
In lui nasce un orrore per la prigione delle forme in cui gli altri lo costringono ma scopre di non essere
nessuno.
LA RIVOLTA E LA DISTRUZIONE DELLE FORME
La forma impostagli che egli non riesce a tollerare, è soprattutto quella del bieco usuraio. Egli è figlio di un
usuraio che ha fatto fortuna sfruttando gli altri .
Si propone di distruggere tutte le immagini che gli altri si sono costruite di lui, attraverso una serie di pazzie.
La pazzia è un modo caro agli eroi per scardinare il meccanismo delle forme e delle convenzioni.
La prima immagine che vuole distruggere è quella dell’usuraio rivelando il suo conflitto profondo con la
figura del padre, che appare come l’antagonista da abbattere.
Mentre Pascal voleva costruirsi un identita, Moscarda vuole solo distruggere le identità impostegli, è infatti
un eroe consapevole poiché ha sin da subito la coscienza di non essere nessuno per se è di esistere solo
nella visione degli altri.
Serie di pazzie: prima sfratta un povero squilibrato Marco Di Dio dalla catapecchia che il padre usuraio gli
aveva concesso. Impone agli amministratori di liquidare la banca paterna, maltratta la moglie Dida. A
questo punto i due amministratori, la moglie Dida e il suocero congiurano di farlo interdire. È avvertito da
Anna Rosa, un amica di Dida ed egli dicendole tutte le sue considerazioni sull’inconsistenza della persona
l’affascina ma fa anche saltare il suo equilibrio mentale e la donna gli spara. Da qui tutta la città pensa che
tra lui e la donna ci sia una relazione colpevole. A Moscarda non resta che riconoscere tutte le colpe
attribuitegli. Dona tutti i suoi averi ad un ospizio dove egli viene ricoverato, vivendo con gli altri mendicanti.
SCONFITTA E GUARIGIONE.
Moscarda ha cercato con le sue follie di ribellarsi al sistema ferreo delle convenzioni sociali ma è rimasto
sconfitto. E in questa sconfitta trova una forma di guarigione dalle angosce che lo ossessionavano. Rifiuta
ogni identità e si abbandona al fluire mutevole della vita, identificandosi con tutte le cose fuori in una totale
estraniazione dalla società.
TEATRO
Esistono alcuni momenti nella storia della letteraturaChe segnano una
rivoluzione,Un cambiamento epocale. Una di questi è la del teatro di Pirandello.
L’interesse di Pirandello per il teatro ha radici lontane ma l’amore per le scene si
rinnova durante gli anni in cui studia a Roma, dove frequenta molti teatri. Tra il 1915
e 1916 scrive vari testi in siciliano e in lingua , tra cui ricordiamo O Pensaci
Giacuminu e Lumìe di Sicilia. Il suo teatro è un tipo che gioca sulla deformazione e
sull’assurdo, che però l’attore tende a ridurre l’arriverò della farsa. I testi teatrali di
Pirandello sono prima di tutto delle storie paradossali, che riflettono una vita
claustrofobica per risolverla in gesti folli e anticonvenzionali, che ribaltano la realtà
e deridono l’eccessiva serietà del mondo. Se il mondo è una gabbia, il teatro deve
mostrare il momento di ribellione e di disordine che, anche all’interno di una
prigione, può cambiare il senso delle cose. Con il suo teatro Pirandello distrugge le
convenzioni, elimina la barriera tra realtà e finzione, tra autore e personaggio, tra
pubblico e attore.  Il suo teatro può essere diviso in 3 fasi:
 Il teatro del grottesco, rappresenta situazioni di vita di tutti i giorni dimostrandone
la paradossalità e la contraddizione, approfondendo i temi della maschera e della
trappola. Appartengono a questa fase testi come Il giuoco delle parti e Così è (se vi
pare).
 Il teatro nel teatro, o metateatro, svela la finzione della rappresentazione teatrale.
Famosissima la trilogia del teatro nel teatro, che comprende Sei personaggi in
cerca d’autore, Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a modo suo.
 Il teatro del mito, tipico degli ultimi anni, tratta tematiche arcaiche e predilige
l’elemento fantastico, come ne I giganti della montagna.

LO SVUOTAMENTO DEL DRAMMA BORGHESE


Il contesto teatrale in cui Pirandello veniva inserirsi era quello del dramma borghese
di impianto naturalistico, che si incentrava sostanzialmente sui problemi della
famiglia e del denaro, vale a dire sull’adulterio e sulle difficoltà economiche.era un
dramma serio, che spesso indulgeva all’enfasi al sentimentalismo, si fondava sulla
verisimiglianza, sulla produzione fedele della vita quotidiana, sulla proposizione di
personaggi a tutto tondo. Pirandello apparentemente riprende quei temi, ma porta
la logica delle convenzioni borghesi alle estreme conseguenze, sino a farla esplodere
all’interno.i ruoli imposti dalla società borghese, vengono assunti con estremo
rigore, sino a giungere al paradosso e all’assurdo, e così vengono smascherati nella
loro inconsistenza. In Così è ( se vi pare), Il signor Ponza tiene relegata la moglie nel
suo alloggio, alle periferia di una cittadina di provincia, perché la suocera, signora
Frola , Non possa vederla se non da lontano. L’uomo afferma che si tratta realtà
della seconda moglie, essendo la prima, la figlia della signora Frola, morta in un
terremoto; l’anziana donna è pazza, sostiene sempre il genero, ed è convinta che si
tratti ancora di sua figlia. A sua volta la signora frolla afferma che è pazzo il genero, e
che la donna relegata in casa è davvero la figlia, che si finge una seconda moglie per
assecondare il marito. Il caso suscita la curiosità di tutta la cittadina, i cui abitanti,
con indiscrezione che sconfina nella crudeltà, si affannano per venire alla luce la
verità.al termine compare la sigla in scena la signora Ponza, velata; tutti ritengono di
poter finalmente avere la soluzione dell’enigma, di sapere se ha ragione il signor
Ponza o la signora frolla, ma la donna delude le aspettative, poiché si limita ad
affermare :” io sono colei che mi si crede”, “ e per me nessuna!nessuna!nessuna. In
tal modo Pirandello porta sulla scena il suo relativismo assoluto, che contesta la
pretesa di definire una volta per tutte una verità oggettiva, e sottopone a critica
l’idea comune gelida personale.
LA RIVOLUZIONE TEATRALE DI PIRANDELLO
In questi drammi Pirandello sconvolge due capisaldi del teatro borghese
naturalistico, la verisimiglianza e la psicologia. Gli spettatori non hanno l’illusione di
trovarsi di fronte a nuovo mondo naturale, del tutto simile a quello in cui sono
abituati a vivere, ma vedono un mondo stravolto, ridotto alla parodia e all’assurdo,
in cui i casi della vita normale sono forzati all’estremo e deformati, assumendo la
fisionomia stranite, artificiosa difatti i personaggi non sono caratteri corposi, ma
personaggi scissi, sdoppiati, contraddittori. A questo processo di riduzione
all’assurdo si aggiunge anche il particolare linguaggio adottato da Pirandello in
questi drammi: un linguaggio concitato, convulso, fatto di continue interrogazioni,
esclamazioni, sospensioni, mezze frasi che danno l’idea dell’agitarsi delle passioni
come nel vuoto. I recensori e il pubblico però, non erano preparati a queste novità e
restavano sbalorditi dalla loro forza di rompente. Inizialmente per questi motivi il
teatro di Pirandello ebbe scarso successo di pubblico.
IL GROTTESCO
Con il piacere dell’onestà e con il gioco delle parti Pirandello si accosta decisamente
alla poetica del teatro grottesco, definita anche “fase umoristica “, poiché il
“grottesco “ non è che la forma che l’arte umoristica assume sulla scena. I due
drammi citati danno corpo concreto, nelle strutture, questi principi: in essi il tragico
è sempre estraniato dal comico, che appunto come l’ombra goffa che il tragico si
trascina continuamente dietro, viceversa il comico rivela sempre, suo fondo, un
nucleo di tragica serietà. Approfondisce temi della maschera e della trappola.

DIFFERENZE DRAMMA BORGHESE E PIRANDELLIANO


TEMI : nel dramma borghese sono la quotidianità della vita borghese
contemporanea, con i suoi problemi economici suoi conflitti interni.mentre nel
dramma pirandelliano in genere è rappresentata la quotidianità della vita borghese,
con i suoi ruoli stereotipati, ma i casi della vita normale sono forzati all’estremo e
deformati.
COSTRUZIONE DEGLI INTRECCI: nel dramma borghese vi è la verosimiglianza degli
eventi rappresentati e logica consequenzialità tra cause ed effetto. Nel dramma
pirandelliano gli eventi sono inverosimili, assurdi, è il meccanismo che di regola
sfugge alla logica convenzionale.
PERSONAGGI: nel dramma borghese vi sono personalità a tutto tondo, unitarie e
coerenti; non hanno dissidi interiori. Mentre i personaggi del dramma pirandelliano
sono personaggi scissi, sdoppiati, contraddittori, oppure lucidamente consapevole
del razionalità e dell’insensatezza del reale.hanno conflitti interiori l’individuo è
travolto dagli eventi e sono folli
Tono: nel dramma borghese e serio.nel dramma pirandelliano vi è un tono
grottesco: intima fusione di serio e ridicolo, tragico e comico.
Linguaggio: nel dramma borghese e prosaico e realistico, che riprende la
quotidianità.nel dramma pirandelliano è agitato, convulso, fatto di continue
interrogazioni, esclamazioni, sospensioni, sottintesi, frasi interrotte poiché deve
rappresentare lo sdoppiamento dell’individuo.
Atteggiamento ideologico: nel dramma borghese interpreta e diffonde i valori
borghesi fondamentali: la famiglia, lavoro, rispettabilità. Nel dramma Pirandelliano
Critica le convenzioni nella vita borghese e le certezze comunemente condivise;
perché vita e famiglia sono delle trappole.
Retroterra culturale: il dramma borghese via il positivismo sul versante filosofico e
naturalismo su quello letterario.nel dramma pirandelliano e razionalismo è il
vitalismo; teoria psicologiche che mette in discussione dell’io.
IL “TEATRO NEL TEATRO” (riflette sulla natura stessa dell’opera teatrale)
La Trilogia metateatrale
Nel 1921, con Sei Personaggi in cerca d’autore, Pirandello porta allo scoperto il
rifiuto, investendo direttamente i temi, intrecci e convenzioni teatrali nel tempo. I
personaggi a cui allude il titolo, un Padre e una Madre, un figlio, una figliastra , una
bambina , un giovinetto, sono nati vivi dalla mente di un autore , ma questi si è
rifiutato di scrivere il loro dramma, che è proprio un “drammone” borghese a forti
tinte, basato sul classico triangolo adulterino, su conflitti familiari, lutti. Pertanto si
presentano su un palcoscenico dove una compagnia sta provando una commedia ,
affinché gli attori diano al loro dramma quella forma che l’autore non volle fissare.
Così Pirandello mette in scena la sua impossibilità di scriverlo proprio per il suo
carattere” romantico”. Emerge però anche l’impossibilità di rappresentarlo: non solo
per la mediocrità degli attori, ma per l’incapacità intrinseca del teatro di rendere
sulla scena ciò che uno scrittore ha concepito. I sei personaggi costituiscono così un
testo metateatrale , dove, attraverso l’azione scenica, si discute del teatro stesso. Il
dramma, suscitò l’indignazione fuoribonda dal pubblico, impreparato a un discorso
d’avanguardia che sconvolgeva le convenzioni del teatro corrente, ma in seguito
andò incontro ad un trionfale successo.
Se nei Sei Personaggi veniva affrontato il problema del conflitto dei personaggi e
attori, in CIASCUNO A SUO MODO propone il conflitto tra gli attori e il pubblico ,
offrendo una sorte di rappresentazione di secondo grado, in cui viene mostrato il
pubblico che irrompe in scena. “Questa sera recita a soggetto “, a sua volta, affronta
il conflitto tra gli attori e il regista; che vuole ridurre gli attori a puri strumenti, ma gli
attori si ribellano e lo cacciano, recitando liberamente.

ENRICO IV(recita di carnevale)


Al ciclo del teatro nel teatro si collega per certi aspetti un altro grande capolavoro di
questo periodo, Enrico IV, Che si stacca dal grottesco per un’ambizione alla tragedia.
In una villa solitaria nella campagna umbra vive rinchiuso da vent’anni un uomo che,
impazzito per una caduta da cavallo durante una mascherata in costume, si è fissato
nella parte che vi rappresentava, quella dell’imperatore medievale Enrico IV. Nella
villa si introduce la donna che un tempo egli amava, Matilde, con l’amante Tito bel
credi e la figlia Frida. Un dottore, mascherando la figlia com’era un tempo la madre
durante la cavalcata storica, vuol provocare nel pazzo uno shock che lo riconduca la
ragione. Ma Enrico Quarto rivela di essere rinsavito da molti anni e di essere
rinchiusa nella sua parte per disgusto di una società corrotta. Così facendo, è anche
rimasto escluso dalla vita, fuggendogli poco a poco. Ora vorrebbe riappropriarsene,
vivere ciò che non ha vissuto, possedendo la donna che non aveva potuto avere, nell
forma di allora, cioè non Matilde ormai vecchia ma la giovane Frida. Belcredi
interviene per difendere la fanciulla, ma Enrico IV lo uccide con la sua spada.Così da
quel momento, sarà costretto a chiudersi di nuovo, per sempre, nella sua pazzia.
Il dramma si collega al ciclo del “teatro nel teatro” perché anche qui avviene una
recita in scena, quella di “Enrico IV” (il nome vero del personaggio non è mai
rivelato: egli si identifica con la parte), definito appunto il “grande mascherato”. La
finzione dell’eroe non è che la prosecuzione cosciente, rigorosa, portata all’estremo,
della finzione che è di tutti. Enrico IV, con la sua “recita”, costringe anche agli altri a
mascherarsi e a recitare per assecondarlo , ma proprio così mette in luce la finzione
di cui sono prigionieri nella vita. Verso la sua maschera l’eroe ha un atteggiamento
ambivalente: da un lato ne prova fastidio, sente la nostalgia della “vita”; dall’altra è
vista come un rifugio dalla commedia sociale che disgusta. Con Enrico VI ricompare
la grande figura dell’eroe estraniato dalla vita che guarda dall’alto la miseria della
commedia mondana. Ma anch’egli è doppio, scisso, non è un eroe disumano nella
sua purezza : è turbato da passioni, rimpianti che lo legano alla vita. Il gesto finale,
che lo riconduce alla follia, è una sorta di manifestazione di un’incapacità di vivere.
SEI PERSONAGGI IN CERCA DI AUTORE
Struttura del testo: Gli spettatori, entrando in sala, trovano il sipario alzato e il
palcoscenico senza scena. Entra un macchinista , inchiodando delle assi. Il direttore
di scena lo allontana, perché gli attori devono provare una nuova commedia, Il
giuoco delle parti di Pirandello. Entrano in scena poi gli attori, Che chiacchierano tra
di loro, e comincia la prova, interrotta da una discussione fra il capocomico e il
primo attore. Già questo inizio del dramma segna una rottura radicale con le
convenzioni teatrali del realismo ottocentesco. Il sipario era il confine che doveva
separare la platea dal palcoscenico, cioè la realtà della finzione teatrale: solo così,
per una convenzione accettata, la finzione poteva essere vissuta dagli spettatori
come realtà, a cui partecipare emotivamente.l’illusione convenzionale è spezzata da
Pirandello: gli spettatori hanno inizialmente l’impressione di non assistere uno
spettacolo, ma di cogliere realmente, la compagnia mentre sta provando una
commedia.a questo punto dal fondo della sala entrano sei figure, che portano
maschere. Sono i sei personaggi: essi sono stati concepiti dalla mente di un autore,
pertanto, come ritiene Pirandello, creature vive di una propria vita, dipendenti
Achille create. Tuttavia l’autore si è rifiutato di scrivere il loro dramma. Essi hanno
invece bisogno di di vivere tale dramma che lo liberi dalla forma in cui sono
imprigionati. Si rivolgono pertanto alla compagnia affinché la loro vicenda, se non a
potuto trovare espressione nell’opera letteraria del drammaturgo, posso almeno
prendere vita sulla scena, nella rappresentazione teatrale. Dopo l’iniziale
sbalordimento il capocomico gli attori accettano di recitare il dramma dei
personaggi.
La vicenda del dramma non scritto: Il padre ha scoperto che tra la moglie il proprio
segretario è nato un sentimento: egli decide di assecondarlo, e spinge la moglie a
vivere con l’amante, a formarsi o nuova famiglia, abbandonando il figlio nato
dall’unione legittima. Il padre, con morboso compiacimento, negli anni successivi
assiste al crescere della nuova famiglia, alla nascita di tre bambini, e segue l’infanzia
della figliastra.questo è un certo modo l’antefatto.per le difficoltà economiche, la
madre, rimasta vedova, è costretta lavorare come sarta per l’atelier di Madama
Pace; ma in realtà la famiglia può sopravvivere perché la figliastra si prostituisce
nell’atelier, che maschera una casa d’appuntamenti. Qui un giorno giunge il padre,
e, senza saperlo, sto per avere un rapporto con la figliastra che egli non ha
riconosciuto, ma sopraggiunge a tempo la madre a impedire l’unione quasi
incestuosa. Il secondo “atto“, per così dire, è costituito dalla morte della bambina, la
figlia minore, che per disgrazia affoga nella vasca del giardino, e del giovinetto, che si
spara un colpo di pistola.
L’impossibilità di scrivere il dramma: come si vede, nel racconto e delle battute, si
delinea un drammone a forti tinte, come l’incontro del padre e della figliastra o la
morte il ragazzi, un dramma tipicamente ottocentesco. Ma Pirandello, non hai
inteso ho fatto scrivere quel dramma; al contrario, ha voluto promettere scena
l’impossibilità di scrivere un dramma del genere, nonché di rappresentarlo sulla
scena; questo, è il vero soggetto dell’opera.nella fase del grottesco Pirandello aveva
accettato le strutture convenzionali del dramma borghese, ma le aveva svuotate
portandole all’assurdo e riducendole a meccanismi ridicoli, rendendo le
grottesche.qui prosegue su questa strada, ma fa ancora un passo avanti, di portata
decisiva: non si accontenta più di svuotare il dramma borghese dall’interno, ma lo
rifiuta del tutto.
L’impossibilità di rappresentare il dramma: Oltre che letteratura drammatica,
Pirandello vuole sottoporre a critica la pratica scenica del suo tempo.la figliastra
afferma che l’autore non ha voluto scrivere il loro dramma per avvilimento o per
sdegno del teatro, così come il pubblico solitamente lo vede e lo vuole. Così, nel
testo, in una logica critica sono presentati gli attori della compagnia, che appaiono
dei mestieranti chiusi nei loro schemi stereotipati.si può cogliere di quel giudizio che
Pirandello dava del teatro dei suoi anni. Ma c’è di più: Pirandello è convinto che la
rappresentazione scenica in assoluto, prescindere dalla maggiore o minore bravura
degli attori, costituisca inevitabilmente un tradimento, deformazione dell’idea
dell’autore. Ricapitolando, sei personaggi sono la storia di una rappresentazione
teatrale che non si può fare, per due motivi: 1. perché l’autore si rifiuta di scrivere il
dramma dei personaggi; 2. Perché gli ho detto io non sono in grado di dar forma
all’idea concepita dall’autore.
I temi cari alla “filosofia” pirandelliana: attraverso questo discorso“ metateatrale“,
che mette in scena il conflitto fra autore e letteratura drammatica del tempo, fra
autore e attori, Pirandello allude poi metaforicamente ad un altro ordine di temi, A
tre motivi centrali della sua visione del mondo.
1) L’impossibilità di comunicare: che nasce dal fatto che ciascuno di noi ha in sé
una visione soggettiva che resta sconosciuta agli altri, perché non possiamo
mai riconoscerci nella visione che gli altri hanno di noi.
2) Il rapporto verità- finzione e l’inconsistenza della persona individuale:se le
persone reali sono costruzioni fittizie, non possiedono maggiore realtà dei
personaggi della finzione letteraria. Anzi, non certo senso i personaggi
letterari sono più veri dei personaggi viventi, perché questi mutano
continuamente, sono pure di stati eterogenei e incoerenti recenti, mentre
personaggio artistico a veramente una vita sua per cui è sempre qualcuno;
mentre l’uomo può non essere “nessuno”
3) Infine, il conflitto vita-forma.
L’ ULTIMA PRODUZIONE TEATRALE
IL PIRANDELLISMO
La successiva produzione drammatica di Pirandello, che prosegue tra gli anni 20 e gli
anni 30, tende a riprodurre gli schemi di quella precedente, ma informe macchinose
ed artificiose. In certo modo Pirandello giunge quasi a proporre la caricatura di se
stesso.e questa è la fase che stata definita “pirandellismo”, è che non caratterizza
solo lo scrittore, ma vari suoi imitatori.

UN CAMBIAMENTO DI POETICA
Già sul finire degli anni 20 compaiono però la produzione dei tre di Pirandello nuove
direzioni di ricerca, che rilevano un cambiamento di poetica rispetto a quella
dell’umorismo e del grottesco.l’umorismo tendeva a scomporre la realtà, svelando
contraddizioni;Di qui deriva la riduzione degli intrecci narrativi e drammatici a
meccanismi assurdi E l’impostazione raziocinante, tesa ad a naturalizzare quelle
situazioni paradossali mediante linguaggio spezzato.si è anche visto che è intenzione
con cui siete non c’è umoristica, comparivano nei testi pirandelliani tendenze legate
a un certo misticismo e irrazionalismo .ora tali tendenze prendono decisamente il
sopravvento. Anche linguaggio muta: il discorso assume forme di liricità ispirata ed è
fusa.
I “MITI” TEATRALI
Di questo clima mutato sono espressione i tre cosiddetti miti pirandelliani: si tratta
di testi teatrali che non rappresentano più la realtà sociale borghese
contemporanea, ma si collocano in un atmosfera mitica e simbolica, utilizzando
elementi leggendari, meravigliosi.l’azione si svolge di norma i luoghi separati dalla
realtà storica contemporanea, luoghi essenzialmente dell’immaginario.in questi
spazi “altri“ si producono eventi prodigiosi, sovrannaturali. Il testo più significativo è
i Giganti della Montagna

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