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Luigi Pirandello: la vita

Luigi Pirandello nasce nel 1867 ad Agrigento da una famiglia borghese di agiate condizioni. Dopo il liceo
si iscrive all’Università di Palermo, poi alla facoltà di lettere a Roma e successivamente si trasferisce
all’Università di Bonn, in Germania, dove nel 1891 si laurea in Filologia Romanza. Dal 1892 si trasferisce a
Roma e si dedica completamente alla letteratura. Nel 1893 scrive il suo primo romanzo, L’esclusa, e nel
1894 pubblica una prima raccolta di racconti, Amori senza amore. Nello stesso anno sposa ad Agrigento
Maria Antonietta Portulano.

Nel 1896 scrive la sua prima commedia, Il Nibbio. Dal 1908 diventa docente di ruolo presso l’Istituto
Superiore di Magistero di Roma. Nel frattempo pubblica saggi e articoli su varie riviste, tra cui il
“Marzocco”, che tra i collaboratori aveva anche Pascoli e D’Annunzio. Nel 1903, a causa di un
allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito, avviene il dissesto economico della
famiglia di Pirandello. A questa notizia la moglie ha una crisi che sprofonda in follia. La convivenza con la
donna, ossessionata da una gelosia patologica, diventa un tormento, e ciò può essere visto come il
germe della sua concezione dell’istituto familiare come “trappola” che imprigiona e soffoca l’uomo.
Perse le rendite, Pirandello è costretto ad intensificare la produzione di novelle e romanzi (1904-1915).
Scrive inoltre soggetti per film per l’industria cinematografica. Il passaggio alla condizione di piccolo
borghese fornisce a Pirandello lo spunto per la rappresentazione del grigiore soffocante della vita piccolo
borghese, condotta in tante novelle.

Egli acuisce inoltre il rancore e la sofferenza derivante dal suo rifiuto irrazionalistico e anarchico del
meccanismo sociale alienante, sentito come trappola metafisica. Dal 1910 Pirandello ha il primo contatto
con il teatro, rappresentando Lumìe di Sicilia e La morsa. Dal 1915 la produzione teatrale si infittisce: tra
il 1916 e il 1918 scrive Pensaci Giacomino!, Loilà, Così è (se vi pare), Il piacere dell’onestà, il giuoco delle
parti. Ci troviamo nel periodo della prima guerra mondiale, e Pirandello si trova tra gli interventisti,
considerando l’entrata in guerra come il compimento del processo risorgimentale italiano. La guerra
tuttavia porta dolore allo scrittore: il figlio Stefano viene fatto prigioniero e la malattia della moglie si
aggrava. Dal 1920 il teatro di Pirandello inizia ad avere un enorme successo: del 1921 sono i Sei
personaggi in cerca di autore, che rivoluzionano il linguaggio drammatico. I drammi pirandellianni
vengono rappresentati in tutto il mondo, e Pirandello segue le compagnie in Europa e in America.

Dal 1925 assume da direzione del Teatro d’arte a Roma. Si iscrive al partito fascista, così da avere appoggi
da parte del regime, anche se la sua adesione al Fascismo ha caratteri ambigui e difficilmente definibili.
Negli ultimi anni di vita Pirandello si dedica alla pubblicazione organica delle sue opere: Novelle per un
anno (novelle) e Maschere nude (teatro). Nel 1934 gli viene assegnato il Premio Nobel per la Letteratura.
Si ammala di polmonite e muore nel 1936, lasciando incompiuto il suo ultimo capolavoro teatrale, I
giganti della montagna.

Pirandello: poetica e visione del mondo

I testi narrativi e drammatici di Pirandello insistono su alcuni nodi concettuali ben definiti.

Il vitalismo di Pirandello

Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica, affine alle diverse filosofie
contemporanee (Bergson, Simmel): la realtà è vita, un perpetuo movimento vitale, inteso come eterno
divenire, trasformazione da uno stato all’altro, un flusso continuo, indistinto, come lo scorrere di un
magma vulcanico.

La forma. Tutto ciò che si stacca da questo flusso e assume forma distinta e individuale si irrigidisce e
comincia a morire. Questo avviene nell’identità personale dell’uomo. Noi siamo parte indistinta
nell’universale ed eterno fluire della vita, ma tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, a fissarci in
una realtà che noi stessi ci diamo, in una personalità che vogliamo coerente e unitaria. Ma questa
personalità è solo un’illusione e scaturisce dal sentimento oggettivo che noi abbiamo del mondo.

La maschera. Tuttavia, non solo noi stessi ci fissiamo in una forma. Anche gli altri, con cui viviamo in
società, attraverso il loro punto di vista particolare ci danno determinate forme. Noi crediamo di essere
uno per noi stessi e per gli altri, in realtà siamo tanti individui diversi a seconda di chi ci guarda. Per
esempio, un uomo può pensare di essere un lavoratore onesto e un buon marito, ma altri possono
fissarlo nel ruolo di disonesto e adultero. Ciascuna di queste forme è una maschera che noi stessi ci
imponiamo, e che ci impone il contesto sociale. Sotto questa maschera non c’è un volto immutabile: non
c’è nessuno, nel senso che c’è un fluire indistinto e incoerente di stati in perenne trasformazione, dunque
un istante più tardi non siamo quello che eravamo prima.

Ci troviamo dunque di fronte alla disgregazione dell’io, eco della situazione sociale novecentesca: entra
in crisi l’idea di una realtà ordinata e definita, e l’io si disgrega, si smarrisce. Tutto ciò a causa dell’uso
delle macchine, che meccanizzano l’esistenza dell’uomo, e le metropoli moderne, in cui prevale la folla
anonima. L’individuo non conta più, l’io di indebolisce e perde la sua identità. La presa di coscienza
dell’inconsistenza dell’io suscita nei personaggi di Pirandello smarrimento e dolore. L’avvertire di non
essere nessuno provoca angoscia e dolore, genera un senso di solitudine tremenda.

La trappola. Inoltre, l’individuo soffre ad essere fissato in altre forme in cui non può riconoscersi. Queste
forme sono sentite come una trappola, come un carcere in cui l’individuo si dibatte e lotta invano per
liberarsi. La società appare a Pirandello come un’enorme pupazzata, una costruzione artificiosa e fittizia,
che isola l’uomo dalla vita, lo impoverisce e lo irrigidisce.

Alla base delle opere pirandelliane vi è il rifiuto delle forme della vita sociale, dei suoi istituti, dei ruoli
che essa impone, e un bisogno di autenticità e spontaneità. Le convenzioni e le finzioni su cui si basa la
vita sociale del piccolo borghese vengono irrise e disgregate.

La trappola della forma che imprigiona l’uomo è la famiglia. Pirandello coglie il carattere opprimente
dell’ambiente familiare, il suo grigiore, gli odi, i rancori, le ipocrisie. L’altra trappola è quella economica,
costituita dalla condizione sociale e dal lavoro.

L’unica salvezza che hanno gli eroi pirandelliani è la fuga nell’irrazionale: nell’immaginazione che
trasporta verso un altrove fantastico (Il treno ha fischiato), oppure nella follia, strumento di
contestazione per eccellenza (Uno, nessuno e centomila).

Il rifiuto della vita sociale dà luogo alla figura del forestiero della vita, colui che ha “capito il giuoco”, ha
preso coscienza del carattere fittizio del meccanismo sociale e si isola, guardando vivere gli altri
dall’esterno della vita e dall’alto della sua superiore consapevolezza, rifiutando di assumere la sua parte,
con un atteggiamento umoristico di irrisione e pietà. Si tratta della “filosofia del lontano”: consiste nel
contemplare la realtà da un’infinita distanza, in modo da vedere in una prospettiva straniata tutto ciò che
l’abitudine fa considerare normale, così da coglierne l’assurdità.

Luigi Pirandello: il relativismo conoscitivo

Se la realtà è un continuo divenire, essa non può essere fissata in schemi e moduli. Il reale è multiforme,
polivalente, e le prospettive da cui può essere guardato sono infinite. Caratteristico della visione
pirandelliana è un relativismo conoscitivo: non si dà una verità oggettiva fissata a priori, ma ognuno ha la
sua verità, che nasce dal suo modo di vedere le cose. Da ciò nasce l’incomunicabilità tra gli uomini: essi
non possono capirsi, perché ognuno fa riferimento alla realtà che è per lui. Questa incomunicabilità
accresce il senso di solitudine dell’individuo che si scopre nessuno, mettendo in crisi la possibilità di
rapporti sociali.
Pirandello oltre il Decadentismo

Pirandello viene fatto abitualmente rientrare nell’ambito del Decadentismo. Tuttavia, Pirandello è già al
di fuori di questa corrente. Alla base del Decadentismo vi è la fiducia in un ordine misterioso che unisce
tutta la realtà in una fitta rete di corrispondenze, in un sistema di analogie universali che collegano io e
mondo. Per Pirandello invece la realtà non è totalità organica, ma si sfalda in una pluralità di frammenti
che non hanno un senso compiuto. Non resta allora che prendere atto dell’incoerenza e della mancanza
di senso del reale.

L’umorismo di Pirandello

La poetica dell’umorismo è spiegata nell’omonimo saggio di Pirandello. L’umorismo è il sentimento del


contrario, che nasce, nello scrittore umorista, dall’azione combinata di due forze diverse, ma
complementari, per cui egli è nello stesso tempo poeta e critico di una situazione. Le due forze sono il
sentimento, che crea le situazioni della vita, e la ragione, che interviene e le analizza scomponendole nei
loro elementi costitutivi e rilevandone i meccanismi che le determinano. Per spiegare la
complementarità della due forze, da cui si genera l’umorismo, Pirandello si serve di due immagini. Prima
dice che la ragione è come una superficie di acqua gelata, in cui il sentimento si tuffa e si smorza. Il
friggere dell’acqua rappresenta il riso, che l’umorista suscita: oppure, dice Pirandello, la ragione è come
un demonietto che ha lo scopo di squarciare i veli che avvolgono la realtà, per penetrarla a fondo, e
smontare i congegni di cui ogni caso della vita è formato. Nell’arte umoristica, quando la ragione
interviene per analizzare una situazione, possono accadere due cose:

la ragione si ferma alla superficie, dunque si ha l’avvertimento del contrario

la ragione penetra in profondità, per scoprire la ragione del contrario, e allora si ha il sentimento del
contrario.

Pirandello porta l’esempio di una vecchia signora che si unge i capelli, si trucca goffamente e si agghinda
come una giovanetta. La prima reazione nel vederla è quella di ridere, avvertendo il lato comico della
situazione, perché la vecchia è il contrario di ciò che dovrebbe essere una donna alla sua età. Questo è il
momento comico dell’”avvertimento del contrario”.

Ma poi interviene la ragione, che con la sua riflessione vuol rendersi conto del motivo di tale
comportamento, e scopre che quel modo di conciarsi è una forma di autoinganno: la vecchia signora ha
paura della vecchiaia e crede di allontanarla o nasconderla, addobbandosi in quel modo. Questo è il
momento del “sentimento del contrario”, perché alla comicità subentra la pietà per il dramma penoso
della povera donna. Pirandello fa la stessa osservazione nell’esaminare la figura di don Abbondio nei
Promessi Sposi. Un osservatore superficiale, quando in don Abbondio avverte il contrario di quello che
avrebbe dovuto essere, ride per la comicità che nasce dai suoi atti, dai suoi gesti, dai suoi brontolii,
perché vede il ridicolo della situazione. Ma poi si accorge che il Manzoni non si sdegna per il
comportamento di don Abbondio, perché lui ha il sentimento del contrario. Infatti egli, pur avendo “un
ideale altissimo del sacerdote sulla terra, ha pure in sé la riflessione che gli suggerisce che quest’ideale
non si incarna se non per rarissima eccezione”. Il Manzoni vedeva incarnata la figura del sacerdote ideale
nel cardinale Federigo e non nel povero don Abbondio, che non era nato con il cuor di leone e si era fatto
prete non per vocazione, ma “per procurarsi di che vivere con qualche agio, e mettersi in una classe
riverita e forte. Perciò don Abbondio, non è comico soltanto, ma profondamente umoristico: come tutti i
personaggi umoristici, ci ispira comicità e pietà, perché l’umorismo è simile ad un’erma bifronte, che da
una faccia ride e dall’altra piange.

Luigi Pirandello: le opere

I versi

Pirandello iniziò la sua attività letteraria come poeta, ma le sue raccolte di versi hanno scarsa importanza
artistica, anche se contengono motivi ironici, umoristici e drammatici che saranno poi ripresi nelle opere
successive. Tra le raccolte di versi ricordiamo:

Mal giocondo (1889)

Pasqua di Gea (1891)

Le novelle

Le novelle dovevano essere 365, quanti sono i giorni dell’anno. Lo suggerisce anche il titolo della raccolta
definitiva: Novelle per un anno, in cui confluirono le raccolte precedenti (Amori senza amore, Beffe della
morte e della vita ecc…). Pirandello però ne scrisse solo 246. Alcune di esse, ricche di elementi
drammatici, furono riprese dall’autore e trasformate in commedie. Esse risentono dell’esperienza verista,
che viene però rivissuta in modo originale, con una sensibilità e un’inquietudine di impronta decadente.
Come solitamente avviene in chi vive in un’età di transizione, vecchio e nuovo, verismo e decadentismo
coesistono in Pirandello, dando luogo ad un’arte originale, tipicamente pirandelliana. Verista è la
maniera in cui l’autore ritrae la realtà umana e sociale; verista è la descrizione minuziosa e impietosa dei
personaggi e degli ambienti; verista è il suo rifiuto dei languori e dei sentimentalismi romantici; verista è,
infine, la sua prosa che procede scabra, serrata, piena di neologismi e meridionalismi. Tuttavia, del
Verismo rifiuta il principio dell’impersonalità, della rappresentazione fredda e distaccata dell’opera
d’arte. Per Pirandello la rappresentazione della realtà deve essere appassionata, ironica e beffarda,
accompagnata dagli interventi dello scrittore, che giudica, accusa e condanna. Inoltre, mentre i vinti di
Verga, pescatori e contadini, sono rassegnati al loro destino, i personaggi di Pirandello sono tipi più
complessi, piccolo-borghesi irrequieti. Essi sono dei vinti, vittime di un destino assurdo e crudele, ma
spesso da vinti diventano ribelli e cercano di uscire dalla forma che li condanna a questa pena. Così, già
nelle novelle ritroviamo la dialettica di apparenza e realtà, che è il tema centrale delle opere di
Pirandello.

I romanzi di Pirandello

I romanzi di Pirandello sono 7:

L’esclusa

Il turno

Il fu Mattia Pascal, Suo marito

I vecchi e i giovani

Si gira (Quaderni di Serafino Gubbio operatore)

Uno, nessuno e centomila

Luigi Pirandello: L’esclusa

Il primo romanzo è L’esclusa, composto nel 1893 e pubblicati nel 1901.

Trama

Marta Aiala è sorpresa dal marito Rocco Pentagora mentre legge la lettera di un ammiratore da lei più
volte respinto, l’avvocato Gregorio Alvignani, che abita al piano di sopra. Invano ella proclama la propria
innocenza, perché il marito, appartenente alla famiglia Pentagora funestata da alcune generazioni dal
tradimento delle mogli, la caccia di casa e la esclude dalla famiglia, pur sapendola in attesa di un figlio.
Marta si rifugia nella casa paterna, accolta amorevolmente dalla madre e dalla sorella ma non dal padre,
che affida l’amministrazione dei propri beni ad un nipote disonesto e si chiude nella sua stanza. Morirà lo
stesso giorno in cui Marta partorirà un figlio morto. Per aiutare la famiglia, Marta si mette a studiare e
ottiene l’incarico di maestra: tuttavia, in paese viene catalogata come l’”adultera”, contestata anche
come maestra. Con l’appoggio del suo ex spasimante, divenuto deputato, ottiene il trasferimento in una
scuola di Palermo, dove si trasferisce con la madre e la sorella, dove trova un po’ di pace e inizia una
relazione con il suo benefattore. Intanto il marito, riavutosi da una grave malattia, riconosce l’innocenza
della moglie e le chiede perdono. Marta è allora incerta se stare con Alvignani o tornare dal marito.
Sceglie di tornare dal marito, quando la manda a chiamare la madre di lui morente, anch’ella esclusa dal
padre di lui. I due giovani si trovano attorno al letto della moribonda. Marta aspetta un bambino e
confessa la sua colpa al marito, ma egli, che l’aveva cacciata quando era innocente, la perdona.

In questo romanzo Pirandello condanna la società malevola ed egoista, attenta alle apparenze e alle
convenzioni sociali. Mette in evidenza la situazione umoristica della protagonista, che viene esclusa dalla
famiglia quando è innocente e in attesa di un figlio legittimo, mentre ritorna in famiglia quanto è
colpevole e in attesa di un figlio illegittimo.

Luigi Pirandello: Il turno

Il turno, composto nel 1895 e pubblicato nel 1902, è un romanzo caratterizzato da una maggiore
maturità artistica e da un profilo più vivace e incisivo dei personaggi. La concezione della vita non è cupa
come nel romanzo precedente, ma caratterizzata da una certa ilarità.

Luigi Pirandello: Suo marito

Pubblicato nel 1911 con questo titolo, Pirandello rinunciò a ripubblicarlo preso da scrupoli, poiché la
scrittrice Grazia Deledda aveva visto nel protagonista del romanzo la caricatura del marito. Il romanzo fu
ripubblicato postumo nel 1937 con il titolo Giustino Roncella, nato Boggiolo. Pirandello svolge in questo
romanzo il tema dell’incomunicabilità e della solitudine dell’uomo moderno, che vive in una società
ipocrita e maligna.

Luigi Pirandello Il fu Mattia Pascal

Fu scritto nel 1904 e rappresenta il contrasto tra la maschera e il volto, ossia tra l’apparenza esteriore e la
realtà interiore dell’essere.

Trama. Mattia Pascal è un impiegato presso la biblioteca comunale di un paese ligure, Miragno. Un
giorno, dopo aver litigato con la moglie Romilda e la suocera Marianna Dondi si allontana da casa con
l’intenzione di imbarcarsi per l’America. In una sosta a Montecarlo vince una grossa somma. Mentre è in
treno, legge sul giornale che a Miragno, nella gora di un mulino, è stato rinvenuto un cadavere,
riconosciuto dalla moglie e dalla suocera come Mattia Pascal. Passato il primo turbamento, egli prova un
certo piacere nel liberarsi dell’antica forma e assumerne una nuova. Viaggia per quasi un anno in Italia e
all’estero con il nome di Adriano Meis, poi si trasferisce a Roma. Intrecciando rapporti con gli altri, si
accorge di non poter vivere nella società senza rispettare le leggi, senza una forma ufficialmente
riconosciuta. E infatti quando si innamora di Adriana, figlia del proprietario della pensione in cui vive,
non può sposarla, perché ufficialmente non ha una forma, non esiste. Viene derubato, ma non può
denunciare il ladro. Decide allora di riprendere la sua forma primitiva. Organizza la messinscena del
suicidio di Adriano Meis, lasciando cappello e bastone sul ponte Margherita con un biglietto. Ritorna
allora a Miragno con la sua vera identità di Mattia Pascal. Tornato in paese, scopre che sua moglie si è
sposata con un vecchio spasimante e ha avuto una bambina. Potrebbe ricorrere alla legge e riprendersi
tutto, ma si sente ormai un intruso, dunque preferisce vivere in solitudine. Ogni tanto si reca alla sua
tomba, e se qualcuno gli chiede chi sia, risponde “io sono il fu Mattia Pascal”.

Luigi Pirandello I vecchi e i giovani

Si tratta di un romanzo storico, politico e sociale, scritto intorno al 1909 e pubblicato nel 1913. I fatti
narrati si svolgono in Sicilia tra il 1892 e il 1894, durante le sommosse delle masse rurali organizzate nei
Fasci del lavoratori. Qui Pirandello ricerca le ragioni storiche del malessere della società.

Luigi Pirandello Quaderni di Serafino Gubbio operatore

Pubblicato nel 1916 con il titolo Si gira, poi successivamente ristampato con il nuovo titolo. Con questo
romanzo Pirandello voleva mettere in evidenza quella forma di alienazione che prende l’uomo moderno
quando diventa il servitore di una macchina: essa arriva a spersonalizzare l’individuo fino a ridurlo a un
automa. Questo è il caso di Serafino Gubbio, che gira la manovella della macchina da presa della casa
cinematografica Kosmograph. Lo stesso tema sarà trattato da Charles S. Chaplin nel 1936 nel celebre film
Tempi Moderni.

Luigi Pirandello Uno, nessuno e centomila

Secondo Pirandello, l’uomo, per il suo continuo divenire, è nello stesso tempo uno, nessuno e centomila.
E’ uno, perché è quello che di volta in volta lui crede di essere; è nessuno, perché, dato il suo continuo
mutare, è incapace di fissarsi in una personalità nettamente definita, né si riconosce nella forma che gli
altri gli attribuiscono. Infine, è centomila, perché ciascuno di quelli che lo avvicinano lo vede a suo modo,
ed egli assume tante forme quante sono quelle che gli altri gli attribuiscono. La disgregazione della
persona umana costituisce il tema di fondo del romanzo Uno, nessuno e centomila, pubblicato nel 1927.
Trama. Un giorno al protagonista Vitangelo Moscarda, la moglie Dida, che chiama il marito Gengè, fa
osservare che il naso di lui pende verso destra, e che come uomo ha molti difetti. Da questa rivelazione
casuale comincia la meditazione sulla vita che porta Vitangelo alla follia. Ciò che lo colpisce non è la
rivelazione dei difetti, ma il fatto che egli per 28 anni non è stato, per la moglie e per gli altri, quello che
credeva di essere, e che ciascuno lo ha visto a suo modo. Ed allora egli si mette con sadica voluttà a
distruggere le forme che gli altri si sono fatti su di lui, e prende una serie di iniziative che gettano nello
scompiglio il suo ambiente, fino ad alienare le sue ricchezze per costruire un ospizio epr mendicanti,
dove finisce come ospite anche egli. Vitangelo rifiuta le centomila forme che gli altri arbitrariamente gli
attribuiscono, preferisce annullarsi come persona, vivere senza alcuna coscienza di essere, come una
pianta o una pietra, non più tormentato dal tarlo interiore del pensiero.

Anche i romanzi risentono dell’esperienza del romanzo verista, in particolare di Capuana. Si tratta però di
un verismo improntato a una sensibilità nuova, decadente. La pittura dell’ambiente si fa sempre più
sbiadita, si accantona la tematica sociale e si apre la strada al romanzo psicologico. L’attenzione di
Pirandello si concentra sull’individuo, interiormente disgregato e disfatto, colto nelle sue angosce, le sue
crisi, i suoi fallimenti, in perenne conflitto con la società e se stesso.

Il teatro di Luigi Pirandello

Il teatro rappresenta la parte più valida ed interessante della produzione artistica di Pirandello. Egli vi
giunse piuttosto tardi, infatti debuttò a Roma al teatro Metastasio il 9 dicembre 1910, con La morsa e
Lumìe di Sicilia. Poi, a mano a mano che si maturava in lui il distacco dal Verismo verso il Decadentismo,
si dedicò ad esso quasi completamente, comprendendo che la sua visione tragica della vita, calata in
situazioni drammatiche, dolorose, umoristiche e paradossali, poteva trovare nell’azione scenica più che
nella narrativa il mezzo espressivo più adatto ed efficace. Pirandello chiamò il suo teatro “teatro dello
specchio”, perché in esso si rappresenta la vita nuda, cioè senza maschera, con le sue reali verità e
amarezze, che palpitano sotto il velo dorato delle ipocrisie e delle convenzioni sociali, così che chi assiste,
si vede come in uno specchio così com’è e diventa migliore. Pirandello credeva nella forza del teatro, che
poteva correggere la tristezza degli uomini. Alla base del suo teatro dunque c’è questa forte esigenza
morale di strappare gli uomini dalle menzogne, perché il mondo si rinnovi secondo giustizia, verità e
libertà. Pirandello compose complessivamente 43 tra drammi e commedie, inseriti nella raccolta
Maschere Nude.

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