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L’INQUIETUDINE DI INIZIO SECOLO

Il Positivismo, sul finire dell’Ottocento, lascia spazio ad un periodo di grande


incertezza. Il Decadentismo esprime dubbi e riflessioni sulla condizione umana, sul
significato del progresso. Il nuovo secolo si apre proprio con questi dubbi, si afferma
la psicoanalisi che, scoprendo l’esistenza dell’inconscio come parte più intima e
nascosta dell’essere umano, tenta di conoscerlo più a fondo e di dargli voce. La
letteratura trae spunto dagli studi di psicoanalisi e cerca di costruire personaggi il cui
animo viene scandagliato e messo a nudo con tutte le sue incertezze e fragilità. Le
arti figurative e la musica cambiano, dando vita a movimenti come l’Astrattismo o la
musica atonale che sconvolge le armonie tradizionali.

CONTESTO STORICO
● Tra il 1870 e il 1914 la produzione industriale conosce un tale sviluppo da
poter parlare di Seconda Rivoluzione Industriale, e la nuova situazione
economica cambia anche la politica che diventa più aggressiva, volta
all’Imperialismo.
● Strettamente legato al concetto di Imperialismo c’è anche quello della
superiorità della razza bianca, che, a sua volta, si lega all’idea di
Nazionalismo.
● L’urbanizzazione cresce a dismisura. Nelle città le industrie attirano
manodopera che forma la classe operaia; si diffonde l’istruzione obbligatoria
insieme a innovazioni tecnologiche come le automobili, la radio, il telefono. Da
un punto di vista artistico/culturale si affermano il cinema, il fumetto.

PIRANDELLO E LA CRISI DEL POSITIVISMO


Nel passaggio tra ‘800 e ‘900 si assiste ad una perdita di fiducia nella scienza e nelle
sue scoperte: Pirandello è forse il migliore interprete in Italia di questa crisi e della
rivoluzione che ne consegue. Viene rivoluzionato il rapporto tra arte e scienza: se nel
Positivismo i romanzi, per esempio, erano fortemente legati all’ambiente, alle
scoperte scientifiche, ecc. ora Pirandello introduce una visione più critica e
relativistica della realtà. Ogni aspetto della vita è relativo, la realtà non è uniforme,
ma può essere interpretata da vari punti di vista. Il ruolo dell’arte nella società delle
macchine e della tecnologia è quello di svelare le contraddizioni, i vari punti di vista,
il caos che pervade l’esistenza. Se tradizionalmente l’arte doveva rappresentare
l’armonia tra tutti gli aspetti della realtà, ora deve analizzare, scomporre la realtà
nelle sue varie forme; in questo modo il linguaggio artistico non è più in grado di dare
delle risposte certe.

VITA PIRANDELLO
● 1867 Il 28 giugno nasce ad Agrigento da famiglia borghese benestante.
● 1891 Si laurea in glottologia a Bonn, quindi rientra in Italia e si stabilisce a
Roma, dove conosce Luigi Capuana.
● 1894 Sposa Maria Antonietta Portulano, dalla quale avrà tre figli.
● 1897 A partire da quest’anno, fino al 1922, insegna lingua e letteratura
italiana all’Istituto Superiore di Magistero di Roma.
● 1901 Esce il suo primo romanzo, L’esclusa, seguito l’anno successivo da Il
turno.
● 1903 La famiglia Pirandello subisce un tracollo finanziario, in seguito al quale
Maria Antonietta perde definitivamente l’equilibrio psichico.
● 1904 Pubblica Il fu Mattia Pascal.
● 1908-1913 Pirandello intensifica l’attività di scrittore per sostenere la famiglia
e le cure mediche della moglie. Pubblica i saggi Arte e scienza (1908) e
L’umorismo (1908), e i romanzi Suo marito (1911) e I vecchi e i giovani
(1913). Intanto nel 1910 ha inaugurato l’incontro con il teatro facendo adattare
per la rappresentazione due sue novelle: Lumìe di Sicilia e La morsa.
● 1915-1922 Dopo aver pubblicato il romanzo Si gira…, in questo intervallo di
tempo scrive e mette in scena le sue più importanti opere teatrali (Pensaci,
Giacomino!; Il berretto a sonagli; Così è (se vi pare); Il piacere dell’onestà; Sei
personaggi in cerca d’autore; Enrico IV).
● 1919 Inizia a lavorare all’imponente raccolta Novelle per un anno (che non
porterà a compimento).
● 1924 Aderisce al fascismo (è infatti tra i firmatari del Manifesto degli
intellettuali fascisti, promosso da Gentile), ma il suo rapporto critico e
contraddittorio con il regime lo porterà a distaccarsene progressivamente.
● 1925 Pubblica il suo ultimo romanzo, Uno, nessuno e centomila, e assume la
direzione del Teatro d’Arte a Roma, mettendo in scena in Italia e in Europa
molte opere proprie e di altri autori.
● 1934 È insignito del premio Nobel per la letteratura.
● 1936 Muore a Roma il 10 dicembre.

IL FLUSSO VITALE
Pirandello influenzato dal filosofo Bergson, pone a fondamento dell’esistenza una
forza vitale non riducibile ai fenomeni fisici e chimici. Ritiene che ciascun individuo si
sforzi in ogni modo per dare una “forma” coerente e unitaria alla propria personalità
e a quella degli altri, ma che questa forma sia solo un'illusione, una maschera sotto
la quale si nasconde la propria identità. Secondo lo scrittore noi crediamo di essere
‘uno’ per noi stessi e per tutti gli altri, mentre in rata siamo tanti individui diversi, a
seconda delle maschere che ci auto-imponiamo o che ci vengono attribuite dal
contesto sociale in cui viviamo (es: un individuo può crearsi di se stesso l’immagine
gratificante dell'onesto lavoratore e del buon padre di famiglia, mentre gli altri lo
vedono come un ambizioso senza scrupoli). I personaggi pirandelliani provano
solitudine e angoscia, soffrono perché non riescono a riconoscersi nei ruoli in cui la
societa li costringe. Questi ruoli vengono vissuti come una trappola per cui l’uomo
lotta per liberarsene. P. critica in modo negativo la società borghese in cui vive e la
vita stessa, che ritiene una costruzione che impone schemi rigidi e che imprigiona
l’uomo in un ruolo da cui si può liberare solo grazie all’immaginazione o alla follia.
Le due trappole che secondo P. imprigionano l’uomo sono la famiglia e il lavoro
monotono e frustrante. Molti personaggi pirandelliani sono definiti “forestieri della
vita” cioè come individui che hanno preso coscienza del carattere ingannevole dei
meccanismi sociali e per questo si isolano, limitandosi a guardare vivere gli altri.

IL RELATIVISMO CONOSCITIVO
Secondo Pirandello siccome l’uomo ha un suo modo soggettivo di interpretare le
cose, la verita non puo essere un fatto oggettivo e dunque non può esistere una
prospettiva privilegiata da cui osservare la realtà. Inoltre l'autore crede che non sia
possibile una vera comunicazione tra gli uomini, perché ognuno fa riferimento alla
realtà com'è per lui e non sa, né può sapere, come sia per gli altri: tale
incomunicabilità accresce il senso di solitudine degli individui e mette in crisi i
rapporti sociali. Con queste teorie Pirandello si colloca pienamente nel clima
culturale novecentesco, che è caratterizzato, a differenza di ciò che avveniva
nell'epoca del Positivismo, dalla crisi di ogni certezza.

LA POETICA - L’UMORISMO
Nel 1908 Pirandello pubblica il saggio L'umorismo, fondamentale per capire la sua
concezione dell'arte e la sua poetica. In questo testo egli mostra la differenza tra
l'«avvertimento del contrario» (il «comico») e il «sentimento del contrario»
(l'umoristico»). Per spiegare ciò Pirandello ricorre a un esempio: se vedo una
vecchia signora coi capelli tinti e truccata, avverto che è il contrario di ciò che una
vecchia signora dovrebbe essere. Questo «avvertimento del contrario» è il
comico. Ma se interviene la riflessione e suggerisce che quella signora soffre nel
conciarsi in quel modo con l'illusione di trattenere l'amore del marito più giovane, non
posso più soltanto ridere: dall'«avvertimento del contrario» passo al «sentimento
del contrario», cioè all'atteggiamento umoristico. Quest'ultimo spegne
immediatamente la risata attraverso la constatazione della miseria umana che c'è
dietro a ogni atto dell'uomo, anche se ridicolo. L'umorismo è quindi costituito dalla
mescolanza di tragico e comico, di riso e serietà, dalla visione di una realtà non più
ordinata e armonica ma frantumata e al limite dell'assurdo. Tale poetica si riflette in
tutta la produzione pirandelliana. È importante notare che questo modo di intendere
l'arte è alla base dei migliori risultati artistici, non solo in letteratura, di tutto il
Novecento.

TEMI
1. La vita come «flusso continuo»
2. La maschera che la società impone.
3. La dissoluzione dell’Io: l’identità individuale è relativa, perché dipende dallo
sguardo degli altri: ognuno di noi non ha un solo volto, ma centomila, perché
tutti lo vedono in modo differente, ciascuno a suo modo. Quindi non si può
arrivare a definire l’essenza di un individuo.
4. La rinuncia alle passioni, la sfiducia nella morale: insieme al soggetto
tradizionale vengono meno anche tutti i moti interiori, come le grandi passioni,
l’amore. Proprio l’amore è quello sognato in gioventù, spezzato dalla
lontananza o dalla morte, ne rimane solo il ricordo. Le convenzioni borghesi
appaiono solo una vuota formalità, come delle «parti» che ognuno è costretto
a recitare, senza alcuna reale convinzione. I grandi imperativi della morale
borghese (il culto del focolare domestico, le virtù dei padri, la fedeltà
coniugale, l’amor di patria, ecc.) sono solo obblighi che non si vorrebbero
avere.
5. Togliersi la maschera: il personaggio pirandelliano per eccellenza è colui che
ha capito il gioco e non riesce più a parteciparvi con la stessa passività di
prima. A volte prova a liberarsi da tutti i vincoli per arrivare all’essenza, ma
scopre dolorosamente che senza maschera è impossibile vivere. Gli
rimangono due alternative: continuare ad indossare la maschera in modo
critico, guardando con scetticismo il gioco delle parti o rifiutare qualsiasi
maschera e rimanere, quindi, senza identità individuale, in una condizione di
vita inconsapevole simile a quella

TRA TRADIZIONE E MODERNITÁ


1. Pirandello svolge una funzione cruciale di mediazione tra la tradizione e la
modernità: è consapevole che le forme del passato non sono più riproponibili,
ma le recupera in modo stravolto per continuare a proporre un discorso
sull’uomo e sulla funzione dell’arte nella modernità.
2. Si confronta con la crisi del teatro nella società moderna (forma rituale per
eccellenza, il teatro sembra non avere senso, sottoposto alla concorrenza di
altre forme più moderne, come il cinema) e con i movimenti avanguardisti,
che reagiscono con una spinta eversiva, demolendo tutte le convenzioni
tradizionali.
3. Pirandello riprende generi e forme della tradizione, ma si comporta da vero
artista d’avanguardia, conducendo una straordinaria opera di svecchiamento
della pratica teatrale, attraverso un uso spettacolare della macchina scenica,
complica fino all’inverosimile le trame convenzionali del teatro borghese per
denunciarne l’ipocrisia, svela l’inconsistenza della presunta realtà oggettiva
lascia libero gioco al dispiegarsi della molteplicità dei punti di vista e delle
interpretazioni.

NOVELLE PER UN ANNO


Raccolta di novelle in cui esse non sono legate tra di loro da una cornice o da un
unico filo conduttore, ma sono separate. Ogni volume prende il titolo dalla prima
novella contenuta in esso; i testi si succedono in modo «caotico», senza un ordine.
Il titolo dipende dal fatto che l’idea originaria dell’autore era di pubblicare 24 volumi
contenenti circa 15 novelle ognuno, per un totale di 365.
La prima caratteristica delle novelle è l’inconsueta selezione e disposizione della
materia: gli avvenimenti principali che dovrebbero essere al centro del racconto
(rovine economiche, vicende d’amore e di gelosia, adulteri) restano, invece, ai
margini; la narrazione inizia quando tutto è già avvenuto e si concentra su un’azione
di per sé insignificante rispetto al destino dei protagonisti. Gli avvenimenti decisivi
sono relegati al di fuori del racconto, recuperati tramite flashback.
Pirandello ne L’umorismo sostiene che all’umorista non interessa cogliere gli
“zecchini d’oro”, cioè le vicende cruciali che determinano il corso di una vita, ma il
«fango», cioè tutti quegli avvenimenti apparentemente insignificanti che mettono in
luce il senso (o meglio, il non senso) della vita.
La seconda caratteristica riguarda i protagonisti. C’è una grande varietà di
ambientazione geografica e di collocazione sociale: dall’alta borghesia ai contadini e
ai minatori siciliani, dalla Sicilia alla Germania.
Tutti i personaggi sono ben caratterizzati fisicamente: dai tratti del viso, dai gesti, dal
modo di comportarsi e di parlare. Eppure tutti questi personaggi sono simili: tutti
sono sconfitti, hanno un destino già compiuto e non possono fare nulla per
cambiarlo. La vita dell’uomo, nel suo complesso, è una tragedia, nei dettagli assume
il carattere di una commedia, come se il destino si fosse divertito a tessere la vita coi
dolori della tragedia, negando agli uomini la dignità dei personaggi tragici e
relegandoli al ruolo di buffoni nella vita ordinaria. Il carattere bizzarro delle vicende
narrate ammanta di ridicolo la sostanza tragica di una vita senza scampo.
La terza caratteristica è l’intreccio delle voci: Pirandello usa il discorso indiretto
libero, ma con una novità. In Verga permetteva all’autore di eclissarsi e di lasciare in
scena solo i personaggi, senza il suo intervento esplicito. Il caso di Pirandello è
diverso perché la voce del personaggio e quella del narratore si fondono e il
narratore si identifica completamente col suo personaggio.

I ROMANZI
Ha scritto sette romanzi, molto diversi tra loro per impostazione e trama, Il fu Mattia
Pascal (1904) e Uno, nessuno e centomila (1926), sono accomunati dal fatto di
essere entrambi narrati in prima persona e di essere centrati sulle consuete vicende
del protagonista-narratore.
• In generale tutti i romanzi sono caratterizzati da due elementi:
1. La considerazione negativa dei rapporti e dei legami sociali. Qualsiasi forma
di aggregazione sociale, dalla famiglia alle istituzioni politiche, si traduce in
una macchina vessatoria, che schiaccia l’individuo e ne mortifica l’autenticità.
2. La crisi dell’identità individuale. Se le relazioni affettive e i ruoli sociali
costringono l’individuo ad una serie di compromessi e di finzioni, i protagonisti
pirandelliani scoprono prima o poi che dietro non c’è nulla, che non esiste
autenticità a cui poter aspirare; si arriva, quindi, alla crisi delle ambizioni e
delle passioni individuali, come l’amore, i legami affettivi, i progetti, le
vocazioni artistiche e lavorative, tutto appare vacuo e inconsistente.

IL FU MATTIA PASCAL
Il fu Mattia Pascal, pubblicato nel 1904, è il terzo romanzo di Pirandello e segna la
rottura definitiva con la narrazione naturalistica a favore della piena maturazione
della poetica dell’umorismo. Mattia Pascal, angustiato dal peso della vita familiare e
dal dissesto economico, grazie a una serie di circostanze, si fa credere morto e
assume un’altra identità. Con il nome di Adriano Meis inizia una nuova vita, ma
presto deve prendere atto delle insuperabili difficoltà che comporta la sua nuova
condizione, burocraticamente inesistente. Decide allora di riprendersi la sua vecchia
identità e fa ritorno a Miragno, sua città d’origine, dove scopre che sua moglie nel
frattempo si è risposata. Tagliato fuori da entrambe le realtà, non gli resta che vivere
nell’ombra.

UNO, NESSUNO E CENTOMILA


E’ l’ultimo romanzo, rielaborato a lungo e pubblicato nel 1926. Molti sono i punti in
contatto con Il fu Mattia Pascal, a cominciare dal fatto che entrambi sono narrati in I
persona dal protagonista, che in questo romanzo si chiama Vitangelo Moscarda. Egli
ha molto in comune con Mattia: l’inclinazione alla beffa, lo spirito sarcastico,
l’attitudine riflessiva, la superficialità del legame coniugale, la tendenza a lasciare ad
altri la gestione degli affari di famiglia.
A differenza di Mattia, la sua vita scorre tranquilla fino a quando un’osservazione
della moglie lo sconvolge: il suo naso pende leggermente a destra. E’ l’inizio della
fine: Moscarda scopre che gli altri lo vedono in modo diverso da come si vede lui e
che queste visioni, per di più, sono diverse tra loro. Se all’inizio l’indagine riguarda
solo l’aspetto fisico, ben presto si estende alla definizione complessiva di sé. Scopre
che per tutto il paese egli è uno capace solo di vivere di rendita, grazie a quanto ha
accumulato il padre con l’usura. Per contrastare questa immagine, decide di risarcire
le vittime a partire da un povero disgraziato, condannato in gioventù per molestie
sessuali e che vive con la moglie in una catapecchia. Per far esaltare il suo gesto
magnanimo, finge uno sfratto, cosa che però non sortisce l’effetto sperato, ma
ottiene solo che la gente lo consideri matto. Più lui si intestardisce in questo
progetto, più si ritrova solo. La moglie lo lascia e intenta contro di lui una causa di
interdizione.
Moscarda, solo e disperato, decide di ritirarsi a vivere in un ospizio che lui stesso ha
fondato donando tutti i suoi averi. Finalmente in pace con se stesso, Moscarda
rinuncia a tutto, persino al suo nome, per immergersi nel flusso vitale, cancellando
ogni consapevolezza di sé.
In questa conclusione molti critici hanno visto il passaggio dalla poetica umorista al
surrealismo: se l’umorista è caratterizzato da un eccesso di razionalità, la rinuncia
alla ragione e lo smarrimento di sé sperimentato da Moscarda sono segno di un
atteggiamento opposto, irrazionale. Moscarda vuole vivere senza alcuna coscienza
di sé, vuole smarrire il suo io identificandosi con tutto ciò che lo circonda, gli animali,
il cielo, gli alberi. La natura assume connotati mitici e diventa un’alternativa alla
civiltà.
Mentre l’umorismo si ferma al momento critico e distruttivo, la vicenda di Moscarda
si conclude con una diversa acquisizione: per liberarsi dalla costrizione della forma,
bisogna fuggire dalla storia e ritornare nel mito, nel nostro caso, la natura. Questa
conclusione secondo alcuni è un tentativo di rinnovamento della poetica umorista,
secondo altri è la rinuncia, una fuga verso l’irrazionale che nega tutto il percorso
precedente.

LE 4 FASI DEL TEATRO


• Prima fase: ripresa ed esasperazione delle trame tipiche del teatro
borghese . Il punto più alto raggiunto in questa fase è costituito da Così è
(se vi pare) del 1917, in cui la demistificazione dei ruoli e delle convenzioni
sfocia in una messa in discussione dell’oggettività del reale e dell’identità
individuale.
• Seconda fase: metateatro. I Sei personaggi in cerca d’autore (1921)
inaugurano la fase del metateatro. Lo spettacolo teatrale viene smontato,
mostrato nel suo stesso farsi. Sei personaggi compaiono dal nulla,
dichiarandosi frutto della fantasia di un autore che non li ha poi collocati in
nessuna opera e implorano una compagnia (intenta a mettere in scena Il
giuoco delle parti) di rappresentare il loro caso miserevole.
• Terza fase: il teatro della follia. Con Enrico IV (1922), Pirandello analizza
il tema del rapporto tra recitazione e realtà, per cui oggetto della riflessione
non è più la dimensione teatrale di per sé, ma l’estensione metaforica del
concetto di teatro: tutta la vita è un’enorme messa in scena, come
dimostra la trama di Enrico IV.
• Quarta fase: i miti. E’ costituita da una serie di opere che l’autore stesso
definisce miti, sono opere che si svolgono in uno spazio e in un tempo
indeterminati e propongono eventi meravigliosi che assumono un carattere
di sacralità.

6 PERSONAGGI IN CERCA DI AUTORE


1. La trama si sviluppa su un duplice piano: c’è una vicenda di primo livello, che
si basa su l'espediente tradizionale del «teatro nel teatro»: in un teatro un
gruppo di attori sta provando Il giuoco delle parti. Improvvisamente
compaiono sei personaggi che vogliono vedere rappresentata la loro storia.
Sono in cerca d’autore perché lo scrittore che li ha creati non ha dato loro una
storia.
2. Il secondo livello vede i sei personaggi portatori ognuno di una vicenda
esistenziale dolorosa. Il personaggio Padre ha cacciato Madre di casa, dopo
aver avuto da lei il Figlio. La Madre ha avuto da una nuova relazione la
Figliastra, il Giovinetto e la Bambina e per le difficoltà economiche ha iniziato
a lavorare presso l’atelier di Madama Pace, che però gestisce una casa di
appuntamenti, dove la Figliastra, per mantenere la famiglia è costretta a
prostituirsi. Il Padre, apparentemente tanto serio e severo, è un cliente di
Madama Pace e una sera sceglie di intrattenersi con la Figliastra, senza
averla riconosciuta: interviene a separarli la Madre (primo segmento-atto).
3. Dopo aver raccontato la propria vicenda i sei personaggi convincono il
Capocomico a rappresentarla. Si fanno le prime prove, ma i personaggi non si
riconoscono nei gesti degli attori che li devono rappresentare. Decidono
quindi di riappropriarsi dei loro ruoli e mettere in scena la loro storia. Le prove
procedono fino al momento in cui la Madre interviene impedendo il rapporto
tra il Padre e la Figliastra. Per un equivoco cala il sipario (secondo segmento-
atto).
4. La commedia riprende con la conclusione: la famiglia è di nuovo riunita col
Figlio che non parla più col Padre colpevole di averlo abbandonato, il Padre
tormentato dal rimorso, la Madre addolorata per la sofferenza del Figlio, la
Figliastra nemica del Padre. Nel frattempo sul palcoscenico si tolgono gli
oggetti di scena per far posto ad una piccola vasca da giardino. Mentre la
Madre cerca di riconquistare l'affetto del Figlio, la Bambina affoga nella vasca
e il Giovinetto si suicida con un colpo di pistola. Gli attori si chiedono se i due
piccoli siano morti davvero (terzo segmento-atto).
5. La prima stesura del 1921 terminava così, quella definitiva del 1925 ha una
conclusione un po’ diversa: davanti alle due morti gli attori gridano
«Finzione!», mentre il Padre grida «Realtà!». Allora il Capocomico caccia tutti
dal palcoscenico e ordina di spegnere le luci, ma per un errore resta accesa
una luce verde che proietta sul fondale le ombre dei Personaggi, tranne due.
Il Capocomico scappa spaventato, la Figliastra fugge tra le poltrone correndo
fuori della sala con un agghiacciante risata. Tali modifiche sottolineano come
Pirandello voglia evidenziare la dimensione metateatrale e il conflitto tra
illusione scenica e realtà.

ENRICO IV
E’ una tragedia in tre atti rappresentata nel 1922. In una villa in campagna, in
Umbria, trasformata in un finto castello medievale, un uomo vive da 20 anni come se
fosse l’imperatore Enrico IV di Sassonia. La sua pazzia, inizialmente vera, è simulata
ormai da anni. Dopo essere caduto da cavallo durante una festa mascherata e aver
creduto per 12 anni di essere il personaggio da cui era travestito, ossia Enrico IV,
all’improvviso guarisce. Capisce che il mondo era andato avanti anche senza di lui,
che la donna di cui era innamorato, Matilde, si era sposata ed era diventata l’amante
del suo antico rivale Belcredi, che aveva provocato la caduta da cavallo. Era meglio,
quindi, continuare a tenersi la maschera.
Matilde un giorno arriva al finto castello con la figlia, l’amante Belcredi e un medico
convinto di poter guarire Enrico IV. Egli fa indossare a tutti dei costumi medievali e
decide di far rivivere le immagini di due quadri, appesi alle pareti, che rappresentano
Enrico IV e Matilde di Toscana, costringendo la figlia di Matilde e Belcredi a vestirsi
come i personaggi dei quadri. In questo modo, il confronto tra le immagini giovani e
quelle invecchiate dei personaggi storici avrebbe dovuto aiutare Enrico ad uscire
dalla sua follia. Enrico, davanti a questa messa in scena, scosso dall’arrivo di
Matilde, rischia di perdere la ragione un’altra volta, rivela ai presenti la sua finta
pazzia, ma poi ricorre ad un gesto estremo: infilza con la spada il rivale Belcredi
uccidendolo e chiudendosi per sempre nella sua follia (anche perché altrimenti
sarebbe stato processato).

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