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Pirandello

Luigi Pirandello nasce nel 1867 vicino a Grigenti (vecchio nome di Agrigento). Il padre fa l’amministratore nelle
miniere di zolfo. La famiglia si trasferisce a Palermo dove frequenta il liceo e poi si scrive all’università di Palermo per
studi umanistici, che proseguirà a Roma e poi nell’Università di Bonn in Germania, dove si laurea ed entra in
contatto con la cultura tedesca, legge Goethe, Schopenauer… Successivamente si stabilisce a Roma dove entra in
contatto con lo stimolante ambiente letterario inizia inizia la sua attività di scrittore.
Qui si sposa in un matrimonio combinato con la figlia del socio del padre: Mariantonietta Portulano, e nascono i suoi
tre figli Stefano, Lietta e Fausto.
Tuttavia cominciano i primi sintomi del disagio della moglie, che si trasformeranno in una grave malattia psichica,
che renderà difficile la vita famigliare.
Quando ricevette la notizia del fallimento delle zolfare agrigentine, nelle quali aveva investito l’intera dote,
Antonietta è colta da una crisi dalla quale non si riprenderà più.
Pirandello incomincia a vedere la vita familiare come una trappola che ingabbia l’uomo, e per superare questa
situazione moltiplica la sua attività di scrittore, e rappresenta il disagio famigliare nelle sue opere.
Gli anni della prima guerra mondiale sono molto difficili (Pirandello era interventista), il figlio Stefano muore, e le
crisi della moglie sono talmente gravi da destabilizzare l’intera famiglia, al punto che Lietta tenta il suicidio. Per
questo Antonietta viene internata in un ospedale psichiatrico dove morirà anni dopo.
Questi sono anche gli anni in cui lo scrittore scopre la propria vocazione drammaturgica e crea un progetto per
valorizzare il teatro siciliano, anche se poi amplia i propri orizzonti e va al di là del teatro regionale.
Si lega anche al fascismo intorno al 1924, in seguito all’omicidio del socialista Giacomo Matteotti.
In realtà il consenso di Pirandello al regime non è un’adesione ideologica, quanto piuttosto uno scetticismo negli
ideali risorgimentali e dunque una visione del fascismo come portatore dell’ordine.
Del resto era consapevole dell’inconsistenza del fascismo e se ne distacca.

Possiamo distinguere nel suo percorso di scrittura alcune fasi:


Prima fase: ci sono scritti in ambito della poetica verista e naturalistica, strettamente legate al mondo siciliano.
Seconda fase: prevale la poetica dell’umorismo, che si traduce nelle forme narrative della novella e del romanzo.
Terza fase: è caratterizzata dalla scoperta del dramma.
Quarta fase: egli rinnova dall’interno le strutture del teatro contemporaneo e questa fase include gli anni del grande
successo in Italia e all’estero.
Nei testi più marcatamente siciliano troviamo la grande forza espressiva, ma anche nel mondo piccolo-borghese
raffigurato nelle novelle, nei romanzi e nelle commedie, egli utilizza una lingua convenzionale e media, è un ampio
uso dell’ironia.

Concezione vitalistica: viene ripresa da Bergson e Simmel, tutto è vita, la realtà è un flusso continuo che cambia
sempre, come il magma di un vulcano. La stessa cosa si può dire per l’identità personale, noi crediamo di avere una
forma, ossia la rappresentazione di noi stessi, un’identità unitaria, ma non è così. Ciò deriva dalla nostra percezione
soggettiva.
Siamo uno, nessuno, centomila.
Uno: siamo uno per noi stessi
Nessuno: dietro la maschera ci sono persone ignote anche a noi stessi e che sono in continuo cambiamento (teorie
riprese dallo psicologo francese Binet, il quale ipotizzava nell’individuo la coesistenza di personalità diverse).
Centomila: ognuno ha una visione diversa di noi.

Il nodo fondamentale della riflessione di Pirandello riguarda il problema della personalità, l’uomo è costretto a
vivere secondi la maschera che la società gli attribuisce, ma sotto l’apparente identità di questa maschera sociale si
celano personalità distinte, talora persino contraddittorie, l’individuo non è artefice del proprio destino, non sa più
chi è, perde la sua identità, pertanto entra in crisi (crisi di identità dell’io).

Pirandello rappresenta l’età post Giolittiana, in particolare la piccola borghesia. Ha un giudizio fortemente critico
sulla società borghese contemporanea, molti dei suoi personaggi infatti possono essere considerati ribelli. In questo
contesto la famiglia viene spesso vista come una trappola, e anche il lavoro stesso, in quanto si devono svolgere
attività che non gratificano.
Egli ha dunque una visione pessimistica della realtà, alla quale trova conforto nell’immaginazione. Attraverso
quest’ultima si può evadere temporaneamente dalla realtà e dalla forma.
I personaggi pirandelliani rifiutano di coincidere con una sola immagine di sé, in cui gli altri vorrebbero rinchiuderli, e
devono affermare la propria verità.
L’unica liberazione possibile è però quella di abbandonare tutte le maschere che noi stessi indossiamo e che gli altri
ci mettono, ma ciò significa diventare nessuno e sfociare nella follia o nella marginalità. La follia è infatti un tema
tanto caro a Pirandello.

Il rifiuto della vita sociale dà luogo alla figura del “forestiere della vita”, il quale osserva gli uomini che si affannano a
vivere, mentre egli aveva compreso la vera realtà.
Quest’ultima è complessa, multiforme, non c’è una prospettiva “privilegiata” da cui osservarla. Ognuno la osserva
con soggettività, e ha dunque una propria verità (relativismo conoscitivo ripreso da Simmel). La conseguenza ne è
però l’incomunicabilità tra gli uomini, i quali sono destinati alla solitudine (visione disorganica del reale).

Il personaggio pirandelliano, è inoltre autonomo rispetto all’autore che l’ho inventato, egli aveva infatti lavorato
sulla psicologia dei propri personaggi, tanto da renderli autonomi, come se avessero vita propria all’interno del
racconto, Pirandello afferma infatti che i suoi personaggi sono più veri degli esseri reali.

Risulta poi originale la sua concezione dell’umorismo, ricorrente in tutta la sua produzione, la quale si fonda proprio
sono elemento della riflessione, che va oltre l’apparenza comica della realtà, nel tentativo ultimo di intuire le ragioni
che l’hanno determinata.
Pirandello sa vedere nei personaggi eccentrici, marginali e nelle situazioni paradossali, una sofferenza, un dolore,
una storia per la quale chiedono di essere compresi (vedo saggio).

Umorismo
È un saggio è diviso in due parti:
Nella parte prima viene spiegata l’etimologia del termine umorismo: gli umori vengono concepiti come i fluidi di un
corpo animale che determinano il carattere della persona. L’umorismo però non è solo un atteggiamento psicologico
e espressivo, ma anche una tradizione letteraria vera e propria, in cui Pirandello si riconosce.
Nella parte seconda l’autore espone la sua originale interpretazione dell’umorismo in modo da comprendere la
realtà “oltre” le apparenze. In Pirandello vi è infatti una grandissima capacità di analisi, ma allo stesso tempo una
sorta di pietà, che può giustificare e assolvere anche la follia.
Per esempio una donna anziana vestita da giovane: la nostra prima reazione, superficiale, sarà quella di ridere, ma se
invece ci soffermiamo a riflettere sulle cause di quella scena grottesca, e cercassimo di comprendere il punto di vista
una una persona ridicola, allora non potremmo più ridere. Con la riflessione capiamo la sofferenza, il dolore e la
storia della persona, la riflessione ci fa andare oltre le apparenze e ci fa vedere le ragioni che stanno in una
maschera grottesca; e il nostro, diventa un riso amaro.
L’arte umoristica permette di cogliere il ridicolo e il fondo dolente: tragico e comico convivono.

Le novelle
Pirandello inizia scrivere le novelle pubblicandole su periodici e poi raccogliendoli in volumi. A partire dal 1922
organizzare l’intero corpus delle novelle in un unico contenitore dal titolo Novelle per un anno. Il suo obiettivo è
quello di arrivare a 365 novelle (una per ogni giorno dell’anno), distribuendole in 24 volumi di 15 novelle ciascuno.
Tuttavia egli non riuscì a compiere il progetto di arrivare a 365, infatti le novelle sono in tutto circa 250 divise in 15
volumi.
I personaggi sono personaggi umoristici, comici che però sotto lo sguardo di Pirandello sono portatori di una storia
complessa di un’identità problematica.
Moltissime sono di ambientazione siciliana, caratterizzate da personaggi bizzarri e grotteschi, altre sono ambientate
a Roma e trattano di un mondo piccolo-borghese schiacciato dagli obblighi professionali e dai vincoli familiari. I
racconti sono caratterizzati da intrecci complessi che riflettono i legami affettivi e le relazioni sociali intricate a un
certo punto esplodono manifestandosi in gesti anormali o folli.
Emerge così anche un quadro della società italiana tra 800 e 900.
Il treno ha fischiato
È una delle novelle più note di Pirandello, viene pubblicata prima sul “Corriere della Sera” nel 1914 e infine venne
sistemata in novelle per un anno, nella raccolta L’uomo solo.
Belluca è un uomo modesto e rispettoso. Lavora come contabile, è umile; puntuale, sottomesso e sempre
servizievole. La sua vita scorre monotona tra la routine domestica e la carriera lavorativa. I suoi colleghi e il
capoufficio non hanno molta stima o particolare considerazione di lui, e anche la sua famiglia sembra non
valorizzarlo affatto.
La situazione lavorativa è dunque deludente e umiliante e quella familiare ancor più complessa: sua moglie, sua
suocera e la sorella della suocera, sono tutte non vedenti e vivono nella sua casa, insieme alle 2 figlie vedove con i
loro 7 bambini.
La sera lavorava anche fino a notte fonda e poi esausto si coricava sul divano ed è stato lì che una notte sente il
fischio di un treno, e inizia a viaggiare con l’immaginazione, evadendo per un breve tempo dalla sua forma e
riportando un po’ di leggerezza nella sua vita.
Il giorno seguente, che sembrava essere un giorno qualunque, ha avuto un brutto crollo sul posto di lavoro e si è
scagliato contro il proprio capoufficio. Viene così reputato da tutti pazzo e ricoverato in un ospedale psichiatrico.
Solo un vicino di casa ti rende effettivamente conto delle motivazioni grano spinto a tale gesto e l’unico a capire che
Belluca non è diventato pazzo, bensì il suo comportamento è stata una semplice reazione alla situazione diventata
ormai insostenibile.

La carriola
È la scritta del 1917 e raccolta nel 13º volume di novelle per un anno.
Questa novella ha come protagonista un famoso avvocato chiuso nella sua prigione della forma di un professionista
che la società gli impone. Un giorno tornando da un viaggio di lavoro, in treno, mentre attraverso le campagne
Umbre l’uomo cade in uno strano dormiveglia, un improvviso smarrimento e inizia a sognare quella vita felice e che
avrebbe potuto vivere, ma che non ha vissuto.
Quando torno a casa e torna ai suoi obblighi professionali, sente la frattura fra l’io felice del suo sogno e la maschera
che costretto a portare ogni giorno. Viene allora preso dalla voglia di abbandonare tutto iniziare una nuova vita,
tuttavia il pensiero dei figli lo obbliga a ritornare nella sua forma. Da quel giorno però la vita dell’uomo comincia a
cambiare, come se esistessero due personalità quella del vecchio io che deve indossare la maschera professionale, e
quella del nuovo io che è la sua reale personalità. Tuttavia non poteva più liberarsi dalla forma in cui viveva, quindi
appena trova un minuto libero l’uomo si chiude a chiave nello studio e corre dalla sua cagnetta che dorme sul
tappeto, la porta in giro nel suo studio, e poi torna alla sua vita professionale.

La patente
È una novella pubblicata nel 1911 sul “Corriere della Sera” e poi inclusa nella raccolta Novelle per un anno nel 1922.
Il protagonista è il giudice D'Andrea, una persona molto ordinata, che svolge con precisione e puntualità il suo
lavoro. Non lascia mai in sospeso le pratiche; però questa volta ha un caso che lo lascia molto perplesso. Un uomo, di
nome Chiàrchiaro, è considerato uno iettatore da tutto il paese. Un giorno quest’uomo ha sporto querela per
diffamazione nei confronti di due giovani che fanno un atto osceno di scongiura per proteggersi dalla iella.
Il giudice D'Andrea è convinto che non sarà possibile eliminare la superstizione che circonda Chiàrchiaro e siccome
prevede che la causa sarà persa, il giudice decide di far chiamare querelante nel suo ufficio per convincerlo a ritirarla,
anche perchè il giudice non avrebbe mai potuto incriminare i due ragazzi querelati per un fatto così banale e alla fine
la fama di iettatore di Chiàrchiaro si sarebbe ancor di più diffusa, ottenendo così l'effetto contrario di quello
desiderato. Quando arriva nell'ufficio, Chiàrchiaro si presenta con il tipico aspetto di un iettatore e ammette
addirittura di esserlo; il giudice meravigliato gli chiede perché inizialmente abbia querelato i ragazzi che lo ritenevano
un portatore di sfortuna, se poi egli si ritiene di esserlo; nella risposta Chiàrchiaro chiarisce la sua intenzione: chiede
al giudice di istruire al più presto il processo: perdendo la causa, egli sarà considerato ufficialmente uno portatore di
sfortuna e chiederà così che gli sia rilasciata la patente da iettatore. In questo modo potrà guadagnarsi da vivere, si
metterà in prossimità dei negozi e delle case e chiederà ai proprietari di pagarlo per farlo andar via.

I romanzi
Pirandello fu uno dei più notevoli romanzieri della nostra letteratura novecentesca. Il vertice della narrativa
romanzesca pirandelliana è costituita da Il fu Mattia Pascal e da Uno nessuno e centomila.

Il fu Mattia Pascal
La vicenda del romanzo è narrata in prima persona da Mattia Pascal, bibliotecario di una piccola cittadina siciliana.
Mattia da giovane si comporta da inetto, consuma tutta l’eredità paterna, e all’interno della famiglia a continui litigi
con la moglie e la suocera, tanto che la situazione familiare diventa intollerabile, e un giorno Mattia decide di
fuggire dal paese. Arriva a Montecarlo e vince alla roulette una somma considerevole e mentre stava tornando verso
casa, legge sul giornale l’incredibile notizia che gli sarebbe morto, al suo paese è infatti stato ritrovato un cadavere
ormai riconoscibile, che però stato identificato come Mattia Pascal, scomparso senza dare notizie da molti giorni.
Invece di protestare l’errore Mattia decide di cogliere l’occasione per liberarsi dai legami familiari e cominciare una
nuova vita con il nome di Adriano Meis. Decide di trasferirsi a Roma presso la casa di un uomo che faceva sedute
spiritiche: Anselmo Paleari. Qui si innamora della figlia di Paleari, Adriana, tuttavia il cognato voleva sposarla.
Terenzio poi lo deruba, tuttavia Mattia non può denunciarlo in quanto il suo nome era falso. Si rende conto che pur
avendo cambiato identità, non è cambiato nulla. Si decide di fingere un suicidio, riprende il nome di Mattia Pascal e
torna nel suo paesello, dove sono cambiate molte cose: la moglie si è risposata, e egli aveva perso il posto di lavoro.
Decide quindi di scrivere le sue memorie e scrive il libro.

E’ dunque impossibile vivere fuori dalla forma, fuori dalla propria identità. I temi ricorrenti sono:
La famiglia intesa come trappola: Mattia vive una condizione opprimente, e anche cambiare identità poi si rivela
un’illusione.
l’inettitudine: all’inizio ci appare come un personaggio inconcludente, poi dopo sembra superare l’inettitudine.
l’antieroe: Mattia non riesce a uscire dalla sua vita passata.
la crisi d’identità
il doppio: spesso i personaggi di Pirandello si mettono davanti allo specchio, che dè l’idea di sdoppiamento.
spiritismo: all’epoca lo spiritismo era una moda, tanti avevano aderito alla società di Madame (americana), che
cercava di creare una filosofia prendendo il meglio da tutte le religioni (sincretismo) e cercava di risvegliare
nell’uomo le capacità straordinarie della mente.

Lo strappo nel cielo di carta: E’ un testo da Il fu mattia Pascal, nel quale il signor Anselmo prende estrazione
da una recita di marionette che in programma quella sera a Roma, per sviluppare alcune sue curiose considerazioni
sui personaggi della tragedia antica. Adriano Meis rimane impressionato dalla strana coincidenza di queste riflessioni
con il proprio caso personale.
La tragedia in questione è la tragedia di Oreste: l’eroe tragico del mito che insieme alla sorella Elettra vendica la
morte del padre Agamennone, uccidendo la madre e il suo amante.
Anselmo si chiede cosa succederebbe se durante la recita la carta si strappasse. Oreste rimarrebbe di stucco, e
diventerebbe Amleto (che rappresenta il dubbio).
La carta che nel sipario simula infatti il cielo, sono le convinzioni, le norme e le istituzioni, e qualora avvenisse un
imprevisto ed esso si strappasse, la recita si paralizzerebbe, come accade nell’uomo che vive all’interno della
convenzionale falsità che lo circonda e che appena avviene un imprevisto entra in crisi.
La metafora dello strappo nel cielo di carta sta significare che basta un nonnulla per la crisi di identità.

La lanterninosofia: È un testo tratto da Il fu Mattia Pascal. Per cambiare il proprio aspetto e sfuggire alla
curiosità altrui, Adriano Meis , si sottopone all’intervento oculistico per rimediare lo strabismo del suo occhio destro,
dopo l’operazione costretto a trascorrere 40 giorni al buio, nella sua camera in affitto. Il padrone di casa, il signor
Anselmo Palearia, espone ad Adriano una riflessione a proposito del buio e della luce, secondo la quale il buio e la
condizione normale dell’esistenza, quando essere vissuta senza coscienza di esistere, come avviene alle piante e alle
cose; ma il buio diventa spaventoso per l’uomo, chi ha la coscienza di esistere.
Secondo Anselmo infatti ognuno di noi ha un lanternino acceso che però illumina solo una parte circoscritta, e oltre
quella parte illuminata c’è il buio, che sembra ancor più minaccioso. Gli uomini alimentano i lanternini con i
“lanternoni”: fede, valori religiosi…
Quando i valori crollano, i lanternini si spengono e gli uomini smarriscono le loro certezze.

Uno nessuno e centomila


È un romanzo diviso in otto capitoli pubblicato nel 1926 che si basa sulla liberazione dalle forme o maschere in cui
crediamo che consiste l’individuo
Racconta la storia di Vitangelo Moscarda che mentre era davanti allo specchio, la moglie gli fa notare che il suo naso
pendeva verso destra, e lui non se ne era mai accorto. Da questo avvenimento apparentemente insignificante
Vitangelo entra in crisi, inizia a disperarsi e a comprendere che gli altri lo vedano diversamente da come si vede lui.
Lui non è “uno”, come credeva di essere, ma è “centomila”, non esiste più un’unica identità. Così lui si ribella (come
Mattia Pascal, ma è più drastico) e va in banca dove comincia a dare di matto, a regalare denaro ai poveri, ad
esempio finge di sfrattare un poveraccio, Marco di Dio, ma poi la sorpresa gli regala un’abitazione molto più bella, e
a compiere azioni strane; così agli occhi di tutti è impazzito E il suocero inizia a complottare per rinchiuderlo in
manicomio. Egli viene così avvertito da Anna Rosa, mentre cerca di abbracciarla, questa gli spara un colpo di pistola,
ed egli viene gravemente ferito; ora tutti sono convinti che Vitangelo abbia avuto una relazione legittima con la
donna, cosa non vera, così gli viene attribuita un’altra maschera, quella di adultero. Egli decide comunque di
sopportare questa maschera, che falsa, dopotutto come le altre, e al processo si mostra pentito E dona tutti i suoi
averi ad un ospizio per poveri dove lui stesso continua a vivere senza avere un nome e ogni volta si identifica nel
vento, in un filo d’erba, una nuvola, un albero…
Così egli non è più costretto ad essere “qualcuno” e può essere “nessuno”, rifiuta ogni identità e rinnega il suo
stesso nome.

Non conclude: Questo è il capitolo conclusivo del romanzo nel quale il protagonista, fatto rinchiudere dalla
moglie in un ospizio a causa dei suoi comportamenti schizofrenici, si presenta all’udienza del processo contro
Annarosa, e alla sua comparsa, vestito con la divisa da internato nell’ospizio suscita l’ilarità generale della folla. Ma
egli ha ormai raggiunto una perfetta emancipazione dei ruoli sociali ed è pronto a condurre una vita perfettamente
anonima, simile a quella degli alberi.

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