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LUIGI PIRANDELLO

prima metà del ‘900, Decadentismo

Sia Verga sia Pirandello hanno in comune il pessimismo e soprattutto il fatalismo, secondo il quale non si
può cambiare la realtà.

Luigi Pirandello è siciliano, ed è abbastanza pessimista. Nasce in una famiglia abbastanza ricca quindi è
benestante e sposa una donna che ad un certo punto esce fuori di senno, ha delle crisi terribili di gelosia nei
confronti del marito e per questo motivo venne ricoverata perché era diventata una situazione morbosa.
Questa sensibilità nei confronti della follia rimane in Pirandello, e la follia spesso è quasi una via d'uscita
dall'afa della vita e dal non sentirsi più integrato nella società. Per Pirandello l’essere umano per vivere in
società è costretto a indossare una maschera che fissa in una tipologia di persona. Questa idea di vitalismo
si sta affermando in quel periodo, per cui è sbagliato attribuire ad un individuo un determinato carattere,
perché la personalità varia anche in base alle situazioni e alle persone che incontriamo. Per Pirandello
abbiamo bisogno di pensare che le persone siano “stabili”. La maschera quindi è un’identità formale che
bisogna avere per vivere nella società. Ogni tanto qualche personaggio ha qualche epifania, cioè
un'apparizione, uno svelamento cioè gli si svela la realtà. (il termine epifania deriva dal greco
faino=apparizione, mostrarsi e fa riferimento ad un evento religioso) In Pirandello questi personaggi hanno
un'illuminazione. 

Pirandello ha studiato lettere quindi padroneggia molto bene la lingua.  

La sua biografia 
All'interno della biografia spiega il motivo della scelta della follia come tema centrale delle sue opere. Lui
infatti entrò a contatto con la follia quando sua moglie, proprietaria di una miniera, a seguito di un tracollo
economico, perse alcune certezze e iniziò a dare segni di follia e di gelosia morbosa nei confronti del
marito. Pirandello iniziò a considerare la follia come una via di uscita dalle situazioni.

Afa della vita: non poterne più di certe convenzioni della vita, di certi modi di pensare e di certi rapporti.  
Pirandello si lamenta dell’obbligo di indossare una maschera, la quale indica un ruolo (per certi aspetti è
comoda perchè se non ci fosse una maschera a fissare il carattere succederebbe che noi, nel momento in
cui avremo delle relazioni sociali, non potremmo pensare che il nostro interlocutore è fisso, con un certo
carattere). Nel momento in cui abbiamo delle relazioni sociali come faremmo ad avere rapporti sociali con
una persona se cambia atteggiamento e in momenti diversi si comporta come un’altra persona? Pirandello
dice che questa è la vita, siamo costretti, nei rapporti sociali, a fissare in un certo carattere le persone con
cui abbiamo a che fare.      
I personaggi dei testi di Pirandello ragionano molto perché sono un po' troppo intellettuali, sono sempre
personaggi che in qualche modo scoprono che ci potrebbe essere la possibilità di essere diversi però poi
devono rientrare nella routine e nel loro solito modo di fare. 
Sono personaggi che riflettono molto infatti Pirandello è stato accusato di cerebralismo: perchè i
personaggi ragionano molto, sono cerebrali cioè che non sono tanto istintivi, soprattutto i protagonisti delle
novelle e rappresentano un po' il pensiero dell'autore. 
●LE NOVELLE

-IL TRENO HA FISCHIATO p. 346


Novella del 1914.
L’inizio è in ‘medias res’: a metà della vicenda, al centro.

Il protagonista della novella è il ragionier Belluca responsabile e “quiero” che faceva sempre il suo dovere.
Un giorno arriva a lavoro con il “viso allargato”, poiché non è più stressato ed ha riscoperto la vita.
Pirandello dice che sembrava impazzito: parlava insistentemente di un treno che fischiava. Vivendo in
condizioni terribili il fischio del treno per lui era liberatorio, l’immaginazione lo portava a viaggiare.
Alcuni personaggi schiacciati dall’afa della vita, ovvero dalla pesantezza di una condizione in cui non si
riconoscono più, vivono male e si sentono stressati, fanno qualcosa per cambiare. 

Il tema della novella è l’improvvisa liberazione di un pover’uomo, una liberazione che avviene soltanto
nella sua fantasia e appare come follia agli occhi di quel mondo che l’aveva ingabbiato. Per Belluca il fischio
del treno è il momento di verità, per gli altri e l’inizio di quella pazzia a cui la società riduce tutti i
comportamenti che non si lasciano incasellare nei suoi schemi.

-CIAULA SCOPRE LA LUNA p. 339


Con questo testo siamo agli antipodi del verismo; Pirandello è fuori dal verismo.
A volte alcune sue descrizioni di personaggi ricordano il verismo.
Ciaula, protagonista di questa novella, si può mettere in relazione con rosso malpelo; collegamento alle
novelle di verga
perché l’ambientazione è la miniera.
-caruso in siciliano significa ragazzo
-Zi Scarda personaggio pirandelliano;
è un soprastante che per un’infezione al sacco lacrimale dovuta a un’esplosione in miniera, quando gli
scende da un occhio una lacrima la faceva arrivare in bocca attraverso dei movimenti col viso;  
la lacrima rappresenta l’acqua della vita: l’acqua della vita per pirandello rappresenta l’oppressione nei
confronti dei più forti e delle maschere che si indossano. Il viaggio è metafora del cambiamento.

I personaggi sono poveri.


Ciaula è un’anima semplice, limitato come intelletto, non è mai uscito dalla miniera perché ha paura del
buio della notte; il buio gli ricorda quella volta che morì il figlio di zi scarda e zi scarda era stato colpito
nell’occhio dallo scoppio di una mina. 
si sente al sicuro nella cava (zolfara) perché è un buio pieno, tocca le pareti/i limiti che lo circondano,
quando deve uscire fuori, in un buio vuoto, ha paura perché non l’ha mai fatto.
Ciaula non sapeva cosa fosse la luna e nel momento in cui la vede si riconforta dalla paura di uscire fuori nel
buio;
C’è una crescita del personaggio perché lui sembra che non possa provare sentimenti elevati, raffinati ma
appena vede la luna si emoziona, si commuove, dimostra una sensibilità non comune e questo fa di lui un
personaggio più alto.

Differenza con il racconto oggettivo di Verga: Pirandello non descrive in maniera oggettiva certe condizioni,
personaggi.

-LA CARRIOLA
Questa novella viene pubblicata nel 1917
E’ soprattutto un monologo tenuto da un uomo nevrotico e ha una struttura circolare. 
l’uomo è un avvocato e professore di diritto
All’inizio, questo personaggio fa accenno, senza precisare, a una creatura femminile che lo guarda
insistentemente, e a un misterioso “atto” che egli compie, segno della sua “cosciente follia”. 
Il protagonista ha una sorta di visione della vita che, per la maschera impostagli dal mondo e dalla società,
non ha mai vissuto. Gli nasce una “atroce afa della vita”, che gli rende insopportabile l’esistenza quotidiana
condotta fino ad allora.La follia spesso è quasi una via d'uscita dall'afa della vita e dal non sentirsi più
integrato nella società.
L’uomo non cambia abitudini e conserva la “forma”, ovvero la maschera falsa e inautentica che lo
rappresenta di fronte agli altri. L’uomo si concede solo una trasgressione: ogni giorno, quando è nel proprio
studio ed è sicuro di non essere disturbato, si concede il gesto apparentemente insensato di prendere la
cagna che dorme lì per le zampe posteriori e di farle fare “la carriola” per una decina di passi.Il terrore
negli occhi dell’animale diventa, agli occhi dell’uomo, la dimostrazione che non si può uscire dal ruolo che il
mondo ci ha, in un modo o nell’altro, assegnato.

Le tre parti centrali della novella sono nettamente contraddistinte da un primo momento, sul treno, che ha
funzione di antefatto; un secondo momento, davanti alla porta di casa, che rappresenta una chiara
epifania (ovvero, di una rivelazione di carattere esistenziale sulla vita); un terzo momento esplicativo, che
coincide con il ritorno alla forma e la trasgressione della “carriola”. 

            

●I ROMANZI 
A Roma Pirandello conosce e stringe amicizia con il conterraneo Luigi Capuana, che lo spinge verso la prosa
e lo introduce negli ambienti culturali romani. Pubblica così le prime novelle e il suo primo romanzo, uscito
nel 1901 con il titolo L'esclusa.

-L’ESCLUSA

È il primo romanzo scritto da Pirandello.

Presenta alcuni aspetti dell’arte matura di questo scrittore. 

La protagonista è Marta, una giovane ragazza sposata. Il marito, Rocco, scopre alcune lettere inviatele da
un ammiratore e la giovane viene così accusata ingiustamente di adulterio e cacciata da casa: il marito
l'abbandona e viene disprezzata da tutti. Lei si trasferisce in un altro paese e decide di farsi una nuova vita.
Quest'uomo nota la situazione si fece avanti e allora Marta accettò di avere una relazione con lui. Un giorno
viene chiamata dalla madre dell’ex-marito, anche lei accusata di infedeltà, che le chiede di visitarla, perché
molto malata. Marta chiama subito Rocco e, quando arriva, i due vegliano insieme le ultime ore della
madre. In seguito, Marta viene completamente riaccettata in famiglia, nonostante il fatto che sia accaduto
davvero un tradimento.

Pirandello sceglie questo tipo di trama per dire che non possiamo conoscere, giudicare la realtà perché a
volte può falsare le cose.

Essendo il primo romanzo non troviamo tutte le tecniche narrative che poi sviluppa col tempo.

-IL FU MATTIA PASCAL  p. 352

Nel 1904 per Luigi Pirandello arriva il primo vero successo letterario con Il fu Mattia Pascal, romanzo
divulgato a puntate sulla “Nuova Antologia”.
E’ una delle opere di Pirandello più conosciute e amate dal pubblico, ed una delle più rilevanti dell'intera
produzione dello scrittore siciliano. 

Il romanzo ruota interamente attorno al tema dell'identità individuale: quella di Mattia Pascal e del suo
alter ego, Adriano Meis. Il romanzo, scritto in prima persona, è il racconto da parte del protagonista della
propria vita e delle vicende che l'hanno portato ad essere il "fu" di se stesso.

La novella è ambientata nell’Italia settentrionale.


Mattia Pascal prima di diventare il "Fu Mattia Pascal" era sposato e aveva una figlia. La sua vita   era un
inferno, lui considerava umiliante il suo impiego nella Biblioteca Boccamazza e allora decise di fuggire per
tentare una vita diversa, di uscire dalla sua forma.
A Montecarlo vinse alla roulette un'enorme somma di denaro e per caso vide su un giornale l'annuncio
della sua morte in quanto riconosciuto, dalla moglie e dalla figlia, nel corpo di un defunto. Questa divenne
per Mattia la possibilità di cambiare vita.

Si trasferì a Roma dove conobbe una donna che non poté sposare perché aveva un’identità fittizia, non
riconosciuta.
Così tornò nel suo paese e lì scoprì che sua moglie si era risposata. Non gli restò che chiudersi in biblioteca,
scrivere la sua storia e portare ogni tanto dei fiori sulla sua tomba.

La conclusione è che non è possibile sfuggire alla maschera. Dentro di noi fluisce la vita, che è anche il
cambiamento continuo, per poter vivere in società è necessario che noi abbiamo un’idea fissa degli altri
anche se non è così.

IO E L’OMBRA MIA - fu mattia pascal-


Prima di cambiare identità aveva un pessimo rapporto sia con la moglie sia con la figlia, poi a Roma incontra
un’altra donna ma nel momento in cui avrebbe voluto sposarsi lui non ha un’identità e si è reso conto dei
suoi limiti. Così prova a ritornare dalla moglie e dalla figlia, ma questa si è ormai risposata; così si rinchiude
in una biblioteca e inizia a lavorare come bibliotecario, può soltanto leggere la vita degli altri ma non vivere
la sua. La sua fame di vita persiste così come accade per Tantalo, eroe greco condannato a vivere in eterno
in una fonte d’acqua che gli arrivava fin sotto le labbra e un albero di frutto che gli pendeva sul capo;
quando provava a bere l’acqua si ritirava, quando provava a mangiare i rami si allontanavano da lui.

LO STRAPPO SUL CIELO DI CARTA ( no programma)


Mattia Pascal ne approfitta, si crea una nuova identità (Adriano Mei) e va a vivere a Roma in una pensione.
Anselmo Paleari è una delle persone che conosce a Roma. Immagina una scena al teatro: ci sono degli
attori/marionette, ma se nel mezzo della scena si creasse uno strappo nel cielo di carta le marionette come
reagirebbero? Amleto è il personaggio che esprime il dubbio, cioè finché la marionetta pensa di agire in un
contesto reale va avanti, nel momento in cui si rivela falso quel mondo (lo strappo nel cielo di carta) allora
la maschera si trasformerebbe nell’eroe del dubbio. Nella marionetta vediamo anche l’essere umano.
L’uomo se si rende conto che la vita che sta vivendo non è reale perché anche lui porta una maschera,
l’uomo non sarebbe più sicuro di sé stesso, non agirebbe più con sicurezza e disinvoltura ma diventerebbe
anch’egli l’eroe del dubbio. 

-QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO OPERATORE


All'interno di questo testo Pirandello critica la nascente cinematografia e in particolare l'estrema ricerca del
consenso da parte del pubblico. Questo perché la sua arte non è basata sul raggiungimento di pubblico,
Pirandello scrive ciò che pensa e non per piacere.
A questo aspetto è legata la storia di Serafino Gubbio, operatore che, assistendo ad una tragedia che si
avviene sul set, decide di diventare muto per protesta nei confronti della società.
UNA MANO CHE GIRA LA MANOVELLA - quaderni si Serafino Gubbio-

Sono le prime pagine di “Serafino Gubbio”, nelle quali il personaggio presenta ai lettori sé stesso e il suo
lavoro. Nelle primissime righe Serafino Gubbio presenta alcuni tratti tipici dei personaggi pirandelliani: la
diversità dagli altri esseri umani, la consapevolezza della falsità delle convenzioni e delle apparenze che
regolano i rapporti sociali, l'attitudine a guardare la vita dal di fuori, il desiderio di un gesto di "follia" che
infranga la quotidianità noiosa e ipocrita.
Ma subito la sua visione scettica e spaesata della realtà assume caratteristiche specifiche.

-UNO, NESSUNO, CENTOMILA

Fu l’ultimo romanzo di Pirandello e per questo rappresenta anche l’immagine di sé che egli volle lasciare.
Vitangelo Moscarda, il protagonista, scopre dalla moglie di avere il naso storto, un dettaglio di sé stesso che
egli non aveva mai notato. Questa piccola coincidenza innesca un vortice di ragionamenti che lo portano,
attraverso vari esperimenti, alla consapevolezza di non essere per gli altri come egli è per sé stesso. Lui non
è “uno”, come credeva di essere, ma è “centomila”: ogni persona con cui entra in contatto lo vede in molto
diverso. Il suo io è fratturato in un’infinità di maschere in cui lui non si riconosce.
Vitangelo sta precipitando nella follia. Questo romanzo di Pirandello rappresenta in maniera molto abile la
crisi d'identità dell'uomo del Novecento, il quale rasenta i limiti della follia.

●IL METATEATRO
Pirandello utilizza il metateatro, tra le opere più importanti abbiamo ‘Sei personaggi in cerca d’autore’
oppure ‘Stasera si recita a soggetto’. Nella seconda siamo in una compagnia teatrale in cui gli autori si
rifiutano di seguire le indicazioni proposte e quindi decidono di recitare a soggetto, cioè secondo quello che
a loro viene in mente. Questo ha generato inizialmente negli spettatori del tempo una grande confusione.
In una di queste opere teatrali quando venne rappresentata il pubblico arrivò e dopo aver preso posto
videro entrare tutti gli attori insieme facendo un caos terribile, così il pubblico confuso iniziò ad inveire
contro l’autore, quando in realtà questa era una forma molto innovativa di teatro.

● TEATRO

-SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE


L’autore racconta che a un certo punto si sono affacciati alla sua fantasia sei personaggi che avevano
vissuto una storia e volevano che fosse rappresentata. Allora iniziano a girare tutti i teatri in cerca di attori
che mettano in scena la loro tragica vicenda. La trovano in un teatro in cui stanno facendo la prova degli
attori del dramma di Pirandello, allora provano ad accontentarli, ma alla fine i personaggi non si rivedono in
quella storia che gli autori hanno rappresentato, per cui se ne vanno sconsolati.

-ENRICO IV

Enrico IV viene considerato un folle.  


Un nobile del primo '900 prende parte ad una cavalcata in costume nella quale impersona l'imperatore
Enrico IV di Franconia; alla messa in scena, prendono parte anche Matilde Spina, donna della quale è
innamorato, ed il suo rivale in amore Belcredi. Quest'ultimo disarciona Enrico IV, il quale nella caduta batte
la testa e si convince di essere realmente il personaggio storico che stava impersonando. La follia dell'uomo
viene assecondata dai servitori che il nipote Di Nolli mette al suo servizio per alleviare le sue sofferenze;
dopo 12 anni Enrico guarisce e comprende che Belcredi lo ha fatto cadere intenzionalmente per rubargli
l'amore di Matilde. Decide così di fingersi ancora pazzo, di immedesimarsi nella sua maschera per non voler
vedere la realtà dolorosa. Dopo 20 anni dalla caduta, Matilde, Belcredi, Frida (la figlia di Matilde), Di Nolli e
uno psichiatra vanno a trovare Enrico IV. Lo psichiatra è molto interessato al caso della pazzia di Enrico IV,
che continua, a loro insaputa, la sua finzione, e dice che per farlo guarire si potrebbe provare a ricostruire la
stessa scena di 20 anni prima e ripetere la caduta da cavallo. La scena viene così allestita, ma al posto di
Matilde recita la figlia. Enrico IV si ritrova così di fronte la ragazza, che è esattamente uguale alla madre
Matilde da giovane, la donna che Enrico aveva amato e che ama ancora. Ha così uno slancio che lo porta ad
abbracciare la ragazza, ma Belcredi, il suo rivale, non vuole che la ragazza venga abbracciata e si oppone.
Enrico IV sguaina così la spada e ferisce Belcredi. Per sfuggire definitivamente alla realtà (e alle
conseguenze del suo gesto), decide di fingersi pazzo per sempre.

Belcredi, il suo rivale in amore, quindi gli fa uno scherzetto, cade, batte la testa e pensa di essere davvero
quel personaggio storico (Enrico IV).
Era una persona ricca e i suoi famigliari lo fanno vivere nell'illusione di essere Enrico IV, lo assecondano fin
quando decidono di fare un tentativo cioè ritornano in un certo senso al passato. Quindi ricompongono la
scena, siccome la figlia di Matilde è identica alla mamma da giovane, questo potrebbe aiutare lui a guarire. 
La follia è presente quindi in molte opere di Pirandello.

Pirandello vince il premio Nobel per il teatro innovativo nel 1934, con l'abbattimento della quarta parete,
cioè si mescolano attori e pubblico, entrarono in scena e tutti cominciarono a parlare tra loro come se il
pubblico non ci fosse, quindi senza questa parete, iniziarono ad urlare come a Milano. Ci fu una reazione
negativa ma poi venne apprezzato molto. In America ebbe molto successo e questo lo portò a ricevere il
premio.

FISSO IN QUESTA ETERNITA’ DI MASCHERE - Enrico IV-

Enrico, tornato in sé dopo tanti anni senza alcuna possibilità di recuperare il tempo perduto, ha deciso di
fingersi ancora pazzo, vivendo con la più lucida coscienza la mascherata che la vita gli ha imposto. Quando
la sua finzione viene scoperta, si prende la soddisfazione di rinfacciare agli altri
personaggi la mascherata continua, d'ogni minuto della gente normale: se lui ha recitato consapevolmente
la parte del pazzo, gli altri, indossando le maschere della quotidianità, hanno vissuto come pagliacci
involontari, affetti da una pazzia subita senza saperla e senza vederla.

Il protagonista Enrico IV è uno di quei personaggi pirandelliani che tengono lungamente la scena e
richiedono l’interpretazione di un grande attore.

●L’UMORISMO
Nel saggio L'Umorismo del 1908 Pirandello distingue il comico dall'umoristico ed esprime e definisce qual è
la sua poetica. La sua è una poetica umoristica e non comica. Parte dal presupposto che la vita è un
continuo fluire che noi blocchiamo in alcune maschere.

Non è un testo artistico e letterario, ma è un testo che spiega.


Il comico, definito come "avvertimento del contrario", nasce dal contrasto tra l'apparenza e la realtà. Nel
saggio citato Pirandello ce ne fornisce un esempio, la vecchia imbellettata: «Vedo una vecchia signora, coi
capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata
d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. "Avverto" che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una
rispettabile signora dovrebbe essere.

L'umorismo, il "sentimento del contrario", invece nasce da una considerazione meno superficiale della
situazione, infatti riflettendo pensa che lei si imbellezza così perché ha un marito giovane e vuole tenerlo.
“La riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andare oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più
addentro”.
• Mentre il comico genera quasi immediatamente la risata perché mostra subito la situazione
evidentemente contraria a quella che dovrebbe normalmente essere, l'umorismo nasce da una più
ponderata riflessione che genera una sorta di compassione da cui si origina un sorriso di comprensione.
Nell'umorismo c'è il senso di un comune sentimento della fragilità umana da cui nasce un compatimento
per le debolezze altrui che sono anche le proprie. L'umorismo è meno spietato del comico che giudica in
maniera immediata.

Lo scrittore umorista, quando non c'è solo l'avvertimento del contrario, fa sì che subentri la riflessione.
Pirandello non accetta le poetiche che non prevedono la riflessione.
Lo sguardo che ha Pirandello sulla realtà è dato dalla riflessione.

LA “ VITA ” E LA FORMA – umorismo-

Questo brano è tratto dalla seconda parte del saggio L’UMORISMO.


La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo di arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro
e fuori di noi. Vita = ragioni interiori, pulsioni autentiche, sogni, desideri.

La forma è quindi la “parte fissa” che l’uomo è costretto dalle convenzioni sociali a “recitare” e per mezzo
della quale egli s’inserisce nelle relazioni sociali che, prese nel loro insieme, appaiono come un complesso e
gigantesco “gioco delle parti”.
Forma = obblighi sociali e familiari, abitudini, ideali, occupazioni, illusioni, sentimenti, autoinganni, ruoli
sociali in cui si è costretti.

IL SENTIMENTO DEL CONTRARIO – umorismo-


Pirandello dice che nella concezione di ogni opera umanistica, la riflessione non si nasconde e non resta una
forma di sentimento, ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza e ne scompone l’immagine. Da questa
analisi però un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, il sentimento del contrario.

In seguito appare il ritratto di una vecchia signora con i capelli ritinti e unti e vestita con abiti giovanili e
Pirandello la vede come il contrario di come deve essere una signora di quell'età. La comicità dell'autore
nasce dal fatto che ci si accorge che qualcosa è in contrasto con le regole e abitudini.

ITALO SVEVO
Italo Svevo è uno pseudonimo. Il suo vero nome era Ettore Schmitz. Scelse di chiamarsi “Italo” per
dichiararsi “italiano”; “Svevo” per mostrare la sua origine tedesca. Non esistono più verità ed è il
protagonista che racconta se stesso. Non c’è più un narratore attendibile.

La coscienza di Zeno
Il suo capolavoro fu “La coscienza di Zeno”, una narrativa molto innovativa. Il protagonista è Zeno Cosini. È
il narratore di sé stesso ed è un narratore assolutamente inattendibile (che dice bugie su di sé) e questo si
capisce perché ci sono molte contraddizioni. Oltre a questo romanzo scrive romanzi più o meno nel solco
del verismo però poi scopre un’altra maniera di raccontare e avrà un successo mondiale (di cui non poté
godere perché poco dopo morì in un incidente stradale). 

Questo è il terzo romanzo di Italo Svevo che, nonostante appartenesse a una famiglia di imprenditori e
abbia sposato una cugina ricchissima, si lascia incuriosire da questa disciplina. È uno degli innovatori del
romanzo ed insieme a Pirandello porta il romanzo ad un altro livello, è innovativo sia per i temi trattati sia
per il narratore che è interno e inattendibile. Italo Svevo ha una grande passione per la scrittura che però
non è apprezzata dalla sua famiglia che è una famiglia che bada molto al denaro. Raggiunge il successo con
questo romanzo, scrive altri due romanzi: “Una vita” e “Senilità”, dopo il successo muore qualche anno
dopo in un incidente stradale.
Già la struttura è diversa da quella del romanzo tradizionale, infatti è diviso in capitoli con un titolo, ogni
capitolo ripercorre una parte della vita del paziente. Il narratore è inaffidabile, infatti quando in vari capitoli
parla di uno stesso argomento esprime diversi punti di vista, dimostrando incoerenza.

Prefazione 
Il romanzo di Italo Svevo “La coscienza di Zeno” è introdotto da una prefazione e un preambolo che ci
introducono in questo romanzo. Lo psicanalista scrive questa parte in cui presenta sia il suo paziente che sé
stesso. Il rapporto dottore-paziente è piuttosto burrascoso, infatti c’è una forte antipatia fra di loro, inoltre
lo psicanalista lamenta il fatto che se il paziente non avesse interrotto le cure i risultati sarebbero stati
migliori. Nella psicoanalisi pubblicare il percorso del paziente è gravissimo, così passano entrambi dalla
parte del torto in quanto il dottore lo fa per vendetta. È un medico attaccato ai soldi, che non mette al
primo posto la salute del paziente. Zeno Cosini è un bugiardo, già ce l’ha detto il suo medico.

Preambolo
Qui parla invece il paziente, che è il protagonista della storia. Il dottore gli ha assegnato dei compiti, tra cui
ripercorrere la sua infanzia e scrivere una sorta di autobiografia. Però il paziente ha già fatto qualcosa di
sbagliato, cioè ha comprato un libro di psicoanalisi, questo attesta il fatto che non si fida del dottore e
inoltre la sua cura verrà inficiata perché ha già letto cos’è la psicanalisi e le varie cure. Il dottor S ci richiama
Sigmund Freud, infatti il cognato di Italo Svevo andò a farsi curare da Freud per questo si appassiona alla
psicanalisi.  
Suo cognato (Guido) era molto infantile, infatti aveva sposato la ragazza più bella delle tre sorelle a cui
aveva ispirato anche Zeno. Tutte le volte che non otteneva ciò che voleva minacciava di suicidarsi, l’ultima
volta che l’ha fatto non è stato salvato in tempo, così ha compiuto il gesto estremo.

Italo Svevo vuole mettere in rilievo le sue origini culturali, quindi appartiene a due culture, quella italiana e
quella tedesca (dell'Europa settentrionale). 
La letteratura per lui è una passione non accettata e non compresa dai suoi familiari (anche sua moglie che
appartiene all'alta borghesia) i quali si dedicano principalmente al commercio, infatti il padre lo indirizza
verso questo sbocco lavorativo ma lui è interessato alla letteratura in modo particolare. 
Fa vari tentativi di scrittura pubblicando a sue spese le sue opere.

Oltre a scrivere racconti, quindi a dedicarsi ad altri generi letterari, fa dei tentativi anche nel ROMANZO; ne
ricordiamo tre in particolare che segnano il suo percorso nell’ambito della narrativa:

- Una vita (1892) è ambientato in una banca ed ha ancora qualcosa nella descrizione degli ambienti che ci
riporta al naturalismo/verismo, quindi una descrizione oggettiva con lo scopo di descrivere l'ambiente della
banca in cui lavora questo giovane, Alfonso Nitti il quale è il protagonista, che viene dalla provincia e che
per una serie di motivi non si troverà bene nella banca, a volte verrà preso in giro e si sentirà in imbarazzo. 
Lui instaura una relazione con la figlia del direttore della banca, Annetta, e vediamo che il protagonista
vorrebbe avere una storia importante, anche sposarla eventualmente, ma è più una volontà che una
relazione realmente sentita, quasi programma di avere una relazione con questa donna e un futuro con lei
ma a questo non corrispondono i suoi sentimenti. C'è uno scollamento tra quello che lui prova realmente e
quello che lui si prefigge di fare. Il finale è tragico, si conclude con il suicidio del protagonista, incapace di
adeguarsi e di sentire un senso di appartenenza al mondo che lo circonda. 
Lui vuole arrivare ad una certa posizione sociale e però alla volontà non corrisponde un sentimento reale,
non riesce ad arrivare fino in fondo a questo progetto. 
La madre è una figura molto presente, quasi invadente, nella vita di questo ragazzo. La narrazione è ancora
immatura nel senso che si cerca di descrivere ancora con gli strumenti del verismo, quindi in maniera
oggettiva. 

- Senilità è un romanzo già diverso. Emilio Brentani è il protagonista, non è giovanissimo, vive in una piccola
città e ha scritto un romanzo che ha avuto un piccolo successo. Non riesce però a scriverne un altro e vive
nel ricordo di questo successo. La senilità è una senilità interiore del protagonista. Ha un amico, Stefano
Balli, che è il contrario di lui, è uno scultore intraprendente, coraggioso e che piace alle donne. Il
protagonista ha una sorella, Amalia la quale è innamoratissima di Stefano Balli ma lei è come suo fratello, è
un'inetta (inetto è colui che aspira a fare qualcosa ma non ha quella forza interiore che lo porta a realizzare
i suoi disegni). Sia Emilio che lei sono inetti. 
(Sarà un inetto il protagonista del romanzo principale di Svevi, Zeno però si troverà in una situazione che lo
porterà a guarire dall'inettitudine.)
Inettitudine: condizione dell'uomo che limita l'uomo, è qualcosa di autoimposto inconsapevolmente e non
riesce in ciò che si propone. 
Abbiamo coppie di personaggi come l'inettitudine di Emilio che corrisponde a quella della sorella,
l'intrapresa e la vitalità di Stefano Balli e una ragazza del popolo, Angiolina. 
Ad un certo punto Emilio incontra questa ragazza del popolo, Angiolina, e nasce un rapporto non
precisamente definibile, nel senso che lui inizia a frequentare questa ragazza di un'altra classe sociale, non
particolarmente colta, ma lei ha una vitalità, è molto diversa da lui. Lui si propone di istruirla (questo è
quello che lui si dice, ma non è detto che poi sia realmente così). 
Emilio scopre che Angiolina si prostituiva, che la mamma di Angiolina la faceva prostituire in casa. La
conclusione è che Amalia, quasi involontariamente si suicida, sviluppa una dipendenza da etere e quindi
senza accorgersene si rovina, anche lei è affetta dalla senilità di cui è affetto il fratello. Alla fine tutti tornano
nella posizione di partenza, quindi la senilità di Emilio rimane tale. Nella descrizione di Emilio c'è una voce
narrante fuori campo che a volte prende posizione e lo giudica. 

Questo secondo romanzo è importante perché migliorano le tecniche narrative dell'autore, non abbiamo
più quel voler utilizzare gli strumenti del verismo ma si avvicinano a quelle che troveremo poi nella
“coscienza di Zeno”, tecniche che non possono essere tecniche dell'oggettività, ma questi personaggi la cui
interiorità ha una certa importanza, richiedono nuove tecniche narrative. 

L'inettitudine alla fine della coscienza di Zeno diventerà un valore positivo per l’autore e il protagonista.  
Alla fine Zeno Cosini arriverà alla soluzione che è meglio essere netti che essere come la moglie. Lui sposerà
una donna, Augusta, che è diversissima da lui, una donna concreta che ha certezze della vita (mentre Zeno
è sempre incerto). Per Zeno è meglio essere così perché sei più duttile. 
Zeno conosce il suo futuro suocero, Giovanni Malfenti, che ha quattro figlie (Augusta, Ada, Alberta e Anna),
è un imprenditore ricco di successo, Zeno lo idealizza, ne fa un modello di vita. 
Lui frequenta casa Malfenti perché gli piace Ada, la primogenita e la più bella delle sorelle. Una sera
svolgono una seduta spiritica e lui fa la sua dichiarazione ad Ada ma lei non lo sente e alla fine si trova a
farla ad Augusta, la meno bella, ma riconosce che è stato il matrimonio migliore perché lui si è affidata ad
Augusta che è una donna concreta che gli ha risolto tutti i problemi per cui nella sua inettitudine il
matrimonio è riuscito, per questo siccome è la scelta che non avrebbe mai fatto, l’inettitudine diventa
qualcosa di positivo. (L'inetto è duttile)

È importante la concezione del tempo in questo romanzo. Si è diffusa la concezione di del tempo Bergson,
intesa come durata, come una cosa interiore. Non è inteso come tanti istanti. 
La coscienza di Zeno è un romanzo innovativo perché è diviso in capitolo tematici. Capita spesso che in base
al momento in cui ricorda un episodio, la versione di quel ricordo cambi. Quindi uno stesso episodio è
descritto diversamente dal protagonista in base al momento in cui si trova. Anche in questo senso non c'è
oggettività, il lettore non si fida al 100% del narratore. Questa è la novità del romanzo novecentesco. 
La salute di Augusta p. 449 
Il rapporto di Zeno con suo padre è molto conflittuale 
-Verso 15 Lui si sente malato di inettitudine invece lei è l’immagine della salute cioè ha solo delle certezze
sulla vita, lei è sicura.  
Guido è il cognato, ha sposato Ada, era molto simpatico e bello, lui si suicida perché essendo un po’
capriccioso e infantile ha cominciato a giocare in borsa di nascosto e a perdere molti soldi, al punto di
decidere ogni tanto di inscenare un finto suicidio per persuadere sua moglie a dargli altri soldi da giocare.
Ma alla fine succede per davvero.
-Verso 40 conato: impulso, tentativo. viene dal verbo latino “cono, conaris” che significa tentare
-Verso 66 “la converte in malattia" nel senso che lui sta descrivendo la moglie e dice che lei ha una serie di
certezze (che lui non ha mai avuto) però mentre la descrive esagera, la converte in malattia quindi la fa
sembrare quasi abnorme questa estrema fiducia in tutto quello che la circonda. Lei è una persona che non
si pone problemi, si affida alle autorità riconosciute.  

Termini che usa il protagonista: salute e malattia 

Confronto Svevo e altri autori 

Utilizza un italiano differente, dal punto di vista lessicale non è uno scrittore classico. Non lo erano
nemmeno Verga, Pirandello ma loro scrivevano correttamente dal punto di vista lessicale.

● LO SCHIAFFO
In questa opera lo scrittore ripercorre il rapporto conflittuale e di incomprensione avuto sempre col padre.
Quest’ultimo era un borghese conservatore dalle idee molto concrete e pieno di certezze, mentre il figlio
appariva come un giovane a volte stravagante e affetto da nevrosi. Il figlio, Zeno, nutre nei confronti del
padre un senso di diffidenza e di rivalità, ma quando il vecchio si ammala di un male che lo condurrà
rapidamente alla morte, si rende improvvisamente conto di come la sua presenza gli sia necessaria.
Abbiamo trattato la parte finale del capitolo, dedicata all’ultima fase della malattia. L’agonia del padre si
trascina per parecchi giorni, tra attimi di lucidità e momenti di assenza o di confusione, e Zeno, che lo
assiste, è come sempre in preda a stati d’animo contraddittori.

La vita è sempre mortale non sopporta cure p.453

-Verso 23 Lui si è cimentato in un'impresa commerciale e alla fine ha avuto successo e questo lo ha guarito. 

-Verso 60 qui inizia la conclusione della coscienza di Zeno 

Fa la differenza tra gli animali; conosce il proprio progresso perché in un certo senso si evolve naturalmente
perché rimangono sempre le razze più forti che sopravvivono, invece l'uomo si è sottratto a questa legge di
natura. 

-Verso 75 “L'uomo occhialuto” con questa espressione intende dire che gli occhiali non appartengono
all'evoluzione naturale, è uno strumento che l'uomo ha inventato perché ha questa capacità, questo fa la
differenza. Non è il suo corpo che si evolve ma che si avvale e inventa gli ordigni da usare. 
GIUSEPPE UNGARETTI
1888 Alessandria d’Egitto – 1970 Milano
Giuseppe Ungaretti è stato il poeta precursore dell'Ermetismo fra i più importanti del Novecento italiano.
Gli esponenti di questa corrente letteraria vanno alla ricerca di una "poesia pura", ovvero di tipo essenziale.
Uno dei temi principali che la poesia ermetica ci vuole comunicare è la solitudine dell'uomo, il quale ha
perso la sua fiducia verso i valori.

CARATTERISTICHE DELLA SUA POETICA:

 Ungaretti è un autore molto espressivo, sottolinea i suoni (le r, le s...);


 i suoi testi sono caratterizzati da diverse pause, sono presenti spazi bianchi tra una frase e l’altra.
Infatti, non c’è una metrica precisa, sono versi liberi (non ci sono nemmeno rime);
 la sua è una poesia moderna, ha eliminato tutto ciò che c’era di eccessivo nella poesia
decadentista;
 è alla ricerca della parola pura.

influenzato dal Futurismo, Ungaretti disgrega il verso, aggredisce qualsiasi impostazione stilistica
tradizionale, toglie la punteggiatura, rende poetiche parole vuote (come preposizioni e articoli); crea spazi
bianchi attorno alle parole, per dare l’idea del loro emergere dal silenzio dell’anima.

1912 - Si stabilisce A Parigi dove conosce gli interventisti e i futuristi,

1914- torna in Italia e si arruola volontario in fanteria per lo scoppio della Grande Guerra: comincia quella
straordinaria e drammatica esperienza al fronte, circondato, asfissiato dalla morte

In trincea Ungaretti scrive «lettere piene d’amore»: le poesie che andranno a far parte della raccolta “ Il
porto sepolto”

IL PORTO SEPOLTO p. 484

"Il porto sepolto", è il titolo di una poesia (che sarà successivamente inclusa nella raccolta L’Allegria) e
anche di una delle prime raccolte di Ungaretti, lui stesso ha raccontato di quando era adolescente ed
abitava ad Alessandria di Egitto, conobbe degli ingegneri francesi che lavoravano al Canale di Suez che gli
raccontarono dell’esistenza di un porto sommerso sotto la città, risalente al tempo dei faraoni.
Un elemento fondamentale per comprendere la poetica dell’autore è il porto, simbolo del viaggio
introspettivo che il poeta compie dentro sé stesso alla ricerca del senso dell’essere umani.
Il poeta giunge al porto sepolto: qui una volta recuperata la poesia risale alla superficie con l’intento di
diffondere i suoi messaggi fra gli uomini. Ma la poesia si disperde come se si dissolvesse nel nulla e al poeta
resta soltanto un mistero indicibile che non può essere penetrato.
I concetti che esprime il poeta non sono di immediata comprensione perché tutti presentati sotto forma di
metafora.
Il poeta è un veggente che è in grado di cogliere il mistero che si nasconde dietro la realtà fenomenica. Il
poeta ha quindi il ruolo di far risorgere, portare alla superficie e diffondere la poesia per poter dare sollievo
all'umanità, ma gli insegnamenti che essa veicola restano inascoltati perché gli uomini comuni sono molto
insensibili.

Ci sono poi le poesie dell'esperienza della guerra, e qui Ungaretti fa sua la poetica del frammento.
I versicoli caratterizzano la prima fase di poesie di Ungaretti, versi brevi che acquistano risalto perché sono
isolati da spazi bianchi e danno importanza alla singola parola. 
Lui si confronta con ciò che è alla base dell’umanità, la lotta per la vita, Ungaretti ricerca l'essenziale nelle
varie esperienze dell'essere umano e quello diventa poesia. 
1931 – pubblica L’ALLEGRIA: raccolta di tutte le poesie scritte fino a quel momento. Il poeta aveva bisogno
di dire molto con poche parole: Le poesie dell'Allegria sono scritte per dire con la massima approssimazione
quello che sentiva in pochissime parole poiché non c'era tempo.

Nelle poesie dell’Allegria Ungaretti rinuncia alla punteggiatura e compone versi per lo più brevissimi, o
addirittura compone versi di una parola. L’Allegria ruota attorno all’esperienza autobiografica della guerra.

Lui ha intitolato la sua raccolta complessiva di poesie "Vita d’un uomo ", perché c’è la testimonianza
dell’essere umano, di quello che ha provato; con la parola poetica ha descritto l'esperienza di vita di un
uomo e le sensazioni positive e negative che prova nel corso dell’esistenza. 
Un’altra raccolta è intitolata versicoli; raccoglie poesie nuove, che esaltano gli spazi bianchi. Gli spazi
bianchi hanno il ruolo di mettere in rilievo le parole, perché se le parole sono isolate il loro significato
emerge di più rispetto ai versi più lunghi e pieni. Ungaretti compie una grande svolta verso una poesia più
soggettiva.

I FIUMI p. 489
In questa poesia rievoca i propri ricordi personali, ripercorre la sua vita dall’inizio fino al momento in cui il
poeta sta scrivendo. Nascita, infanzia, adolescenza e, infine, la guerra: a queste quattro fasi della sua vita
associa quattro fiumi.
Questa poesia si presenta come un'autobiografia scandita dalle immagini dei quattro fiumi, che sono
un'immagine di continuità, e preannunciano la ricostruzione nella continuità della natura e della storia.
 il Serchio (in provincia di Lucca) rappresenta le sue origini, i posti dove i genitori abitavano prima di
andare via per questioni lavorative.
 il Nilo (Alessandria d’Egitto) rappresenta l’infanzia e la prima giovinezza dell’autore, di quell’età in
cui aveva molti sogni ma un sentiero ancora non tracciato;
 la Senna rappresenta Parigi, la città dove Ungaretti ha studiato e ha compreso che sarebbe
diventato poeta;
 l’Isonzo (Friuli), infine, che riporta al presente e all’autore che, pur se in guerra, riesce
immergendosi a vivere un attimo di felicità.

Ungaretti resiste come un "albero mutilato", unico sopravvissuto di un paesaggio desolato, distrutto, ferito
dai colpi inferti dalla guerra, dai bombardamenti.

PELLEGRINAGGIO p. 478
Il Pellegrinaggio, al quale allude il titolo, va interpretato come una ricerca dell'identità, che Ungaretti
compie all'interno di sé stesso. In questa poesia si definisce "uomo di pena", cioè uomo destinato a soffrire
e a faticare.
Ungaretti, attraverso l’esperienza del dolore e della sofferenza arriva all’ attaccamento alla vita, che diventa
più forte proprio di fronte ad un’esperienza di morte.
Il suo pellegrinaggio è un percorso in cui attraverso il dolore arriva alla consapevolezza della propria
fragilità, ma soprattutto si riscopre capace di ritrovare in un’illusione la forza ed il coraggio di reagire.

IN MEMORIA p. 482
Componimento scritto per ricordare il suo caro amico: Moammed Sceab; quest’ultimo come lo stesso
autore emigrò, ma non riuscì mai a riconoscersi nella cultura di un paese.
È una poesia che parla del suo periodo parigino, in cui conobbe Moammed Sceab
È una poesia molto triste, sull'immigrazione, sul sentirsi sradicati. 
L'amico veniva dall'Egitto e non è riuscito a trovare una sua dimensione a Parigi, si sentiva sradicato, non si
sentiva più appartenente alla cultura d’origine ma non riuscì nemmeno ad ambientarsi lì, così morì suicida e
Ungaretti lo vuole ricordare. 
L'identità del riconoscersi nella cultura è stata importante anche per Ungaretti, lui vive ad Alessandria
D’Egitto ma ad un certo punto sente il bisogno di ritrovare le sue origini così torna in Italia (la sua famiglia
era di origine Toscana) e decide di partecipare alla prima guerra mondiale per sentirsi legato ad una
cultura. 

SAN MARTINO DEL CARSO


San Martino del Carso (paese del Friuli) è una delle poesie cha fa parte della raccolta Il Porto Sepolto di
Giuseppe Ungaretti. In San Martino del Carso il poeta descrive il paese distrutto dalla guerra, per parlare
della desolazione che avverte nel suo cuore, a causa della dolorosa perdita di tanti amici cari.

ricorda, davanti al paese mezzo distrutto dalla guerra, i suoi compagni di battaglia.

La spaventosa realtà della guerra e della morte è evidenziata dall'analogia con le macerie del paese di San
Martino che diventano il simbolo del cuore del poeta e del suo dolore.

la poesia descrive una sorta di “morte della vita”: il cuore, viene paragonato ad un cimitero.
EUGENIO MONTALE
 “È ancora possibile la poesia” È il discorso che Montale pronunciò in occasione della consegna del premio
nobel per la poesia. Fa una riflessione sul presente chiedendosi se è ancora possibile scrivere poesie. Si
pone questa domanda Montale poiché ha notato la presenza di altre arti che distolgono l’attenzione delle
persone. Le persone vogliono qualcosa che dia emozioni forti e la poesia invece per essere goduta ha
bisogno di silenzi intorno. Si accorge che la contemporaneità sta andando verso un’altra direzione. Montale
dice di aver provato quasi subito una totale disarmonia con la realtà che lo circondava, quindi ha un animo
che è rimasto insoddisfatto da ciò che ha provato nella vita. 
Correlativo oggettivo: si fa riferimento ad oggetti concreti per parlare di concetti astratti, come sensazione
e sentimento.

La sua prima raccolta si intitola “ossi di seppia” (In questo periodo, i titoli delle raccolte poetiche
sminuiscono il valore della poesia) e siamo negli anni in cui la poesia viene definita in modo differente da
quella roboante, come quella di D’Annunzio. Montale si discosta dalla poesia di D’Annunzio. In realtà, si
creano nuove tendenze e c’è il desiderio di sperimentare una nuova poesia, ma D’Annunzio nonostante non
sia amato da questi poeti più giovani, ha una fase notturna, dove scrive una poesia molto più intimistica. Ai
poeti nuovi piacque questa poesia nuova. La poesia vuole perdere quella eccentricità data da D’Annunzio. 
CREPUSCOLO
Il crepuscolo è la parte del tramonto che precede il buio, in questo periodo nasce questa corrente di
letterati. 

PRODUZIONE LETTERARIA

•OSSI DI SEPPIA
Ossi di seppia è il primo libro di versi di Montale. Il titolo fa riferimento alla conchiglia interna della seppia
che altro non è che la testimonianza di un organismo vivente che è stato scartato dal mare.
La raccolta include componimenti comprendenti sia liriche brevi sia testi più ampli e veri e propri poemetti.

-I LIMONI –ossi di seppia-


I limoni è la poesia che montale decide di porre all’inizio della raccolta. Questa poesia fondamentalmente è
un manifesto, in quanto Montale dichiara, attraverso questi versi, il suo modo di scrivere, i suoi modo di
fare poesia in contrapposizione agli altri poeti e agli altri letterati. In questo testo ha descritto un paesaggio
naturale che probabilmente è anche il suo paesaggio interiore, descrivendo ambienti naturali e semplici che
lui ama. La poesia è dedicata a una delle piante più tipiche dell'area mediterranea, una pianta semplice ma
dai frutti vivacissimi. Montale gioca fin da subito sul contrasto tra ciò che abitualmente sarebbe degno di
stare in una poesia, quella scritta dai «poeti laureati», e ciò che invece lo è per lui. Si possono localizzare
nei versi due nuclei tematici, uno più umile e quotidiano e uno più profondo e astratto:
- La contrapposizione tra la solidarietà della natura e la miseria della vita cittadina.
- Il tema filosofico della ricerca di un significato della natura e della vita, che sfugge.

-NON CHIEDERCI LA PAROLA –ossi di seppia-

La lirica “Non chiederci la parola” è una della più famose ed importanti presente nella produzione di
Eugenio Montale perché rappresenta una vera e propria dichiarazione della sua poetica. Montale si
presenta dichiarando ciò che la sua poesia non vuole e non può essere. La poesia non può più trasmettere
delle certezze, può soltanto raccontare tutto ciò che non siamo e non vogliamo.
Il lavoro svolto da Montale rappresenta tutto il dolore che i poeti stavano provando e l’impossibilità di
espressione difronte alle cose della vita. Montale quindi denuncia quanto il mondo moderno sia
completamente privo di certezze. È meglio non vivere una vita illudendosi che le cose vadano bene ma
accettare ciò che ci circonda.

-SPESSO IL MALE DI VIVERE (HO INCONTRATO) - ossi di seppia-

Questa è una delle poesie più famose di Montale. Il male di vivere è il concetto centrale nell’ispirazione
montaliana. In otto versi Montale riassume la concezione del mondo e una scelta morale. Ciò che il poeta
ha da dire è contenuto in poche immagini presentate con il minimo necessario di parole. Queste immagini
sono esempi che incarnano le idee e i sentimenti del poeta attraverso pochi particolari essenziali. Il male di
vivere si identifica in determinati oggetti, infatti questa poesia è una prima realizzazione della “poetica degli
oggetti”.

-CIGOLA LA CARRUGOLA ( DEL POZZO) – ossi di seppia-

In questa poesia compare un altro tema fondamentale della poesia di montale, la memora. Il poeta evoca il
ricordo di una persona cara e lo fa apparire con una specie di rito magico. Pero nel momento in cui tenta un
contatto con l’immagine evocata, questa si deforma, si allontana e svanisce. Questo sta a significare che il
passato non si recupera e che la distanza che ci separa da esso e incolmabile. Il tema della poesia è
l’irrecuperabilità del passato. Il cigolio della carrucola rappresenta l’avvio al processo di recupero di un
momento del passato del poeta. Il pozzo rappresenta l’incertezza del poeta sapendo che il passato non è
più recuperabile.

T120. Meriggiare pallido e assorto (NEL PROGRAMMA NON C’E’)


Il paesaggio è naturale, una natura estiva caratterizzata da animali, formiche, calore. L’io poetico prova con
triste meraviglia che la vita è come una muraglia con sulla cima dei pezzi di bottiglia che non permettono
all’uomo di andare. Spesso Montale sente la vita come una serie di condizioni inspiegabili, come se l’uomo
si trovasse in una prigionia e quindi e spera di trovare un varco, un anello che non tiene, così da permettere
all’uomo di uscire dalla gabbia e di capire il vero senso della vita.
Montale si chiede se la poesia è un'arte moderna 
La poesia sostiene Montale ha bisogno di silenzio intorno per essere voluta, letta. In un momento in cui
tutti urlano (urlare è una metafora per intendere che tutti vogliono essere protagonisti), la poesia è
qualcosa di più sommesso che ha bisogno di silenzio per essere apprezzata. Non è un’arte che può
sopravvivere ad urla. 

•LE OCCASIONI
Le occasioni è la seconda raccolta di poesie di Eugenio Montale, pubblicata nell'ottobre 1939: si tratta di
una raccolta di 50 poesie, a cui se ne aggiunsero altre quattro nella seconda edizione del 1940. In questo
libro, anche la realtà esterna e contingente riveste un compito importante: il pessimismo montaliano, si
sviluppa ulteriormente, accettando come un dato di fatto la disarmonia del mondo e della vita già intuita
nella raccolta precedente. È una poesia più complessa e “difficile” rispetto a quella della raccolta
precedente: spesso gli oggetti reali che il poeta evoca sono simboli o sfumate allusioni per dare forma ai
propri stati interiori. Colpiscono le scelte letterariamente più elaborate, l'uso di termini non comuni e rari,
una sintassi più complessa e frequentemente "spezzata" dal ricorso all'enjambement o dall'uso di figure
retoriche e metafore. Il titolo della raccolta allude alla “poesia d’occasione”, nel senso che in questo
periodo si infittiscono nell’opera di Montale i riferimenti di persone, eventi, circostanze della vita privata e
pubblica.

-LA CASA DEI DOGANIERI


Poesia pubblicata nell’Italia l’letteraria e poi inclusa in “Le occasioni”.
È un testo in cui troviamo il tema del ricordo. Montale parla spesso di donne che hanno un potere salvifico
per l’uomo e perciò è stato spesso connesso a Dante. Sia per i suoni aspri (in Dante le Rime Petrose),
quando vuol indicare una situazione di disagio, sia per l’immagine femminile. 
Montale ha alcune somiglianze con Dante, per esempio per l’utilizzo di suoni aspri. In Dante lo vediamo sia
nell’inferno che nelle rime petrose. Dante nei suoi testi adotta il pluristilismo e il plurilinguismo. Nel de
vulgari eloquentia Dante esprime la necessità di parlare in volgare e scrive il testo in latino per rivolgersi ai
dotti, per far accettare il fatto che argomenti alti siano espressi in volgare. 

Ad inizio poesia si rivolge ad un tu, probabilmente una donna. La critica letterale inizialmente ipotizzava sui
significati dei testi, quando dei critici hanno chiesto a Montale il senso della poesia lui ha risposto in modi
diversi, così da lasciare ad ogni lettore la possibilità di interpretare le poesie.
Racconta di un’ipotetica donna morta giovane, Annetta, entrata con lui nella casa dei doganieri. È assorta
nei suoi pensieri, non c’è modo di orientarsi perché la bussola è impazzita, non è più possibile dare
un’analisi oggettiva. Il tema tipico di Montale è la difficoltà ad orientarsi nel presente, e ciò lo vediamo
nell’impossibilità di trovare due punti fermi. 
Egli riporta alla mente i loro primi incontri avvenuti in questa casa. Montale è sicuro che lei non ricordi
quegli incontri, infatti li rappresenta come uno sciame, un’immagine ormai dimenticata. Solo il poeta ha tra
le mani il filo del ricordo. Quindi abbiamo un tentativo fallito di riportare alla memoria un'immagine.

Il suo sguardo si sposta verso l’orizzonte. 


Nell’intero testo c’è smarrimento.

•LA BUFERA E ALTRO

La bufera e altro è la terza raccolta di poesie di Eugenio Montale, pubblicata nel 1956. È divisa in sette
sezioni, che si distinguono l’una dall’altra per la varietà dei temi trattati, dall'attualità drammatica della
guerra alla funzione testimoniale della poesia delle ultime liriche, in tutto 58 poesie. Racchiude poesie
scritte durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra. Le liriche di questa raccolta
vedono come grande protagonista nuovamente la figura femminile: appare la figura di Clizia come “donna
angelo” e a questa figura si contrappone una Volpe, donna inquietante e sensuale. Dal punto di vista
sintattico e metrico la raccolta si rivela complessa: si alternano componimenti brevi a poesie dalle strofe
molto lunghe, i versi sono per lo più endecasillabi e settenari, la rima libera, e marcata è la presenza di
figure retoriche, che innalzano il livello stilistico della poesia montaliana.

-LA FRANCIA DEI CAPELLI - la bufera e alto- p.567

Questa poesia fa parte di quelle ispirate alla donna che Montale ha chiamato Clizia (una studiosa americana
di letteratura italiana che trascorse un periodo in Italia). È vista come una figura sovraumana, una dea o una
donna angelo, portatrice di salvezza alla maniera stilnovista. La donna può salvare dalle cose negative. La
poesia inizia con un tono di un complimento galante ma, quel minimo particolare della frangia, viene
coinvolto in una serie di trasformazioni metaforiche: è l’unica luce della vita
La fronte della donna è così luminosa che prima si confonde con l’alba e poi la nasconde. Quindi la donna è
vista come un personaggio benefico che vola al di sopra del malvagio
È una poesia di amore trascritto in chiave simbolica e religiosa, alla maniera della lirica del “dolce stil novo”.
Mentre però per i poeti medievali il concetto della salvezza si inseriva nella visione cristiana del mondo, per
il poeta moderno la donna è una divinità pagana e quindi non è chiaro cosa sia la salvezza. Nonostante il
tema ricorda il “dolce stil novo”, il linguaggio si ispira alla poesia barocca, con un’eccessiva presenza di
metafore che crenano un mondo instabile.

-PICCOLO TESTAMENTO - la bufera e altro- p.572


Nell’ ultima sezione de La bufera e altro (1956), intitolata “Conclusioni provvisorie”, compaiono due liriche:
in questa, “Piccolo testamento”, scritta nel maggio 1953, Montale manifesta la natura indipendente del suo
pensiero, che riassume l’esperienza di una vita al di fuori delle ideologie, al di fuori delle credenze religiose;
è un pensiero che il poeta vuole lasciare come cosa poco importante, intima e individuale, e che non pensa
possa cambiare il mondo, ma che riafferma la grande dignità del singolo uomo. Si tratta di un bilancio che il
poeta fa della propria condotta morale e che affida a una donna, Clizia, figura femminile ideale, già apparsa
in altri suoi importanti testi. È un testamento che l’autore lascia, troviamo delle immagini molto dolci,
leggere a cui l’autore assegna un significato.
Il contesto storico in cui ci troviamo è dominato dalla Guerra Fredda, in cui il mondo era diviso in due
blocchi contrapposti (in Italia c'era la contrapposizione tra cattolici e comunisti). Durante questo periodo,
agli scrittori veniva chiesto insistentemente di schierarsi per poter dare un proprio contributo alla battaglia
ideologica. Invece, Montale rifiuta di schierarsi, non sceglie né il cattolicesimo né il comunismo.
Lo scopo di Montale era quello di contrapporre alle ideologie i valori di fede e di speranze che aveva
cercato di mantenere più tempo possibile.

“Di Chiesa o d’officina” (verso 5), con questa espressione dice che non si è mai schierato con una religione o
con un partito politico, non vuole lasciare questo nella sua eredità. Vuole lasciare qualcosa di più
impercettibile ma di più duraturo. Nel futuro vede qualcosa di negativo, la “sardina” (verso 15) che è un
ballo infernale, vuole dare un’immagine della guerra. 

In questa poesia, Montale parla a un "tu", una donna, alla quale sembra affidare la propria eredità
spirituale, infatti, le dice di conservare la memoria di questa speranza e riporla in un oggetto che porta
sempre con sé. Montale continua dicendo che si spegneranno le luci delle ideologie e sul mondo si
scatenerà un caos infernale.
Nei versi finali il poeta ribadisce il valore delle sue scelte personali, la luce che lascia è qualcosa di più di un
fiammifero strofinato (è dunque una cosa piccola e debole ma allo stesso tempo molto importante).

In questo componimento l'immagine più angosciosa è quella di Lucifero dalle ali bituminose, un angelo
decaduto, sterminatore e portatore di disgrazia contrapposto alle figure femminili angeliche presenti in
altre poesie. Ciò che preoccupa Montale sono gli opposti estremismi e considera pericolose le contrapposte
forze politiche dell'Italia del dopoguerra.

•SATURA

Terminate le ultime poesie della Bufera, Montale per 10 anni non scrive più versi. La sua attività poetica
riprende nel 1964 con il primo volume della nuova serie chiamata Satura. Quindi segna l’inizio di un suo
nuovo "corso" poetico. Il titolo latino ricorda la satira, un componimento poetico che tratta diversi
argomenti.
Satura è suddivisa in quattro sezioni, Xenia I e II e Satura I e II. La differenza tra le varie sezioni è molto
importante dal punto di vista cronologico e, di conseguenza, tematico: se nelle due sezioni di Xenia, scritte
tra il 1962 e il 1966, Montale si concentra sul ricordo della moglie, Drusilla Tanzi, deceduta nel 1963, in
Satura I e II, dove troviamo testi degli anni 1968-70, l’autore riflette in modo satirico su vicende legate al
quotidiano. Le poesie acquistano così un sapore diaristico, in stretta connessione alla realtà e alla vita di
ogni giorno.

-HO SCELTO DANDOTI IL BRACCIO - satura- p. 586


Montale mette in poesia il senso di smarrimento e di mancanza provato per la perdita della moglie, Drusilla
Tanzi, affettuosamente soprannominata Mosca, deceduta nel 1963.
La poesia fa parte della sezione Xenia II della raccolta Satura che esce dopo un periodo di quasi completo
silenzio poetico e che segna una nuova stagione della poetica montaliana. Montale utilizza il termine xenia
per indicare piccoli testi brevi, gli Xenia Apophoreta sono dei regali da portare via.
Il poeta ripensa alla vita trascorsa insieme a lei e ci dice che la sua donna è stata una  guida per lui, l’unica
capace di accompagnarlo attraverso le difficoltà della vita. Troviamo il gioco di parti che si invertono: sua
moglie aveva una malattia agli occhi e quindi non vedeva quasi per niente. La guida “reale” era
quindi Montale che, appunto per aiutarla a camminare, la teneva sottobraccio e l’accompagnava
camminando, ma se lui era stato per lei una guida fisica, la donna risulta essere al contrario una guida
“spirituale” per il poeta che infatti, senza lei, adesso sente solo un grande vuoto.  Troviamo rappresentato
benissimo il suo stile, semplice e quotidiano, sempre concentrato sulle piccole cose concrete della vita. La
poesia è strutturata in due strofe:
-Nella prima strofa Montale ricorda il percorrere le scale insieme alla moglie, metafora della vita vissuta
insieme. Questa strofa si chiude quindi sulla tematica della vuota inconsistenza di quel reale fatto di
consuetudini (“le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni”). Dice che ormai programmare gli
incontri non gli serve più, parla delle coincidenze.
-Nella seconda strofa il poeta ribadisce, il concetto della lunga durata della vita vissuta insieme, in reciproco
sostegno, rivelando nei versi conclusivi (10-12), la superiore capacità della moglie di penetrare la realtà
rispetto al poeta, di vedere oltre le apparenze e quindi di essere lei, nella coppia, a rappresentare la vera
guida nel loro lungo viaggio. Montale dice che nonostante gli occhi della moglie fossero offuscati (era
lievemente cieca), lei vedeva il mondo con occhi diversi, con occhi migliori. Egli resta fermo nella sua
convinzione che la realtà possa essere altra da quella che si vede.
Emerge la tematica dello sguardo della donna amata che risale allo stilnovismo ed a Petrarca (sguardo della
donna-angelo) e che Montale più volte ha già affrontato nelle sue liriche precedenti.

p. 56 
Si diffonde il verso libero, viene abbandonato il verso tradizionale.  
Questi sono i poeti da cui le giovani generazioni vogliono prendere le distanze (Carducci pascoli e
D'Annunzio) perché vogliono scrivere una poesia nuova.  
Lo scrittore vate è D'Annunzio ma anche gli altri avevano avuto una concezione abbastanza alta del proprio
ruolo di poeti (Carducci e Pascoli). 

Rapporto tra letteratura e società, non corrispondono più.


La “Voce” era una rivista intorno alla quale si erano riuniti dei giovani letterati. 
Il frammento: cioè la poesia non consisteva più in testi lunghi ma era una poesia che si esprimeva tramite
dei frammenti, dei versi brevi, non opere poetiche strutturate e ampie.

Il termine crepuscolo si trova nel breve testo di Borgese (un letterato). Lui parla di un crepuscolo della
letteratura cioè il venir meno della letteratura intesa come messaggio del poeta a tutta l'umanità.
Invece si sta affermando la poetica del frammento.

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