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Giovanni Verga

Autore dei Malavoglia e La Roba.


Nasce a Catania 1840 da una famiglia di proprietari terrieri. Verga si interessa di scrittori francesi
popolari. Nel 1873 si trasferisce a Milano e si interessa alla Scapigliatura. Nel 1878 avviene la
svolta verso il verismo:
- Rosso malpelo
- Vita dei campi
- Primo romanzo del ciclo dei Vinti: I Malavoglia
- Mastro Don Gesualdo
- Negli anni successivi Verga lavora al terzo, ma non riesce a portarlo a termine, la Duchessa De
Leyra

Le sue posizione politiche si fanno sempre più chiuse e conservatrice, nel dopoguerra si schiera
con i nazionalisti. Muore nel 1822 l’anno che vede la marcia su Roma, e la salita al potere del
fascismo.

Dopo aver scritto romanzi riguardanti temi romantici e scapigliati, Verga (a partire dal 1874) si
dedicò alla lettura dei principali autori realisti e naturalisti, che già l’amico Luigi Capuana stava
contribuendo a far conoscere in Italia grazie ai suoi articoli pubblicati sul Corriere della Sera.
Alcuni critici considerano “Nedda” il primo testo verista di Verga per la scelta di un soggetto
legato al mondo degli umili, ma in realtà la novella anticipa solo i temi del verismo ma non ne
possiede le tecniche narrative poiché ancora compare la gura del narratore onnisciente in terza
persona che commenta le vicende dei personaggi.

Sarà poi “Rosso Malpelo” ad inaugurare la stagione della produzione verista dato che, anche in
questo caso, il protagonista appartiene al mondo degli umili, ma cambia il punto di vista della
narrazione perché si passa dal narratore onnisciente al narratore impersonale.
La conversione di Verga al Verismo, e in generale la sua poetica, fu in uenzata e favorita da
alcune letture che ebbe modo di fare durante la stesura di Rosso Malpelo, tra cui:
- l'Assommoir di Zola
- L'inchiesta in Sicilia di Sonnino e Franchetti ( che aveva messo in evidenza l'arretratezza e la
miseria del meridione italiano → questione meridionale)

La poetica dell’impersonalità: secondo Verga il racconto deve sembrare realmente accaduto,


quindi lo scrittore deve riportare documenti umani e raccontare in modo che il lettore sia posto
faccia a faccia con il fatto nudo e schietto
Lo scrittore deve “eclissarsi”, non appare nel narrato come accadeva nella narrativa tradizionale,
non sono presenti le sue reazioni soggettive, ri essioni o spiegazioni. L’autore deve mettersi nella
pelle dei personaggi, vedere le cose con i loro occhi e esprimerle con le loro parole. Il lettore deve
avere l’impressione di assistere ai fatti che stanno accedendo mentre legge, inoltre deve essere
introdotto nel mezzo degli avvenimenti, nessuno gli deve spiegare gli antefatti o tracciare un
pro lo dei personaggi, lui deve entrare nella scena come se avesse già conosciuto tutti, avesse
vissuto con loro e fosse stato parte di quell’ambiente da sempre.
Dal 1878 Verga applica i principi della sua poetica, da via a una vera e propria poetica che si
distacca dalla tradizione e dalle esperienze contemporanee italiane e straniere.
Nelle opere di Verga a raccontare non è più il narratore onnisciente tradizionale. Il punto di vista
dello scrittore non si avverte nelle opere di Verga, la voce che racconta è all’interno del mondo
rappresentato.
Verga rappresenta ambienti popolari e rurali, mette in scena i personaggi incolti, primitivi,
contadini, pescatori, minatori, la cui visone e il linguaggio sono diversi da quelli dello scrittore
colto. Verga non parlerebbe come parlano i personaggi.
Perche il Principio di impersonalità? Verga ritiene che l’autore debba “eclissarsi” perché non ha
il diritto di giudicare la materia che rappresenta.
Perché l’autore non ha il diritto di giudicare? Non avrebbe senso esprimere un giudizio, perché
non ci sono alternative alla realtà esistente.
Dato che è impossibile modi care la realtà esistente, lo scrittote riproduce la realtà cosi com’è. La
letteratura non modi ca la realtà, ma ha la funzione di studiare e riprodurre ciò che accade.
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Il verismo di Verga e il naturalismo di Zolà:
Sono molto diversi per le tecniche narrative e ideologie.
Nei romanzi di Zolà, la voce che racconta riproduce il modo di vedere e di esprimersi dell’autore.
Esempio del Germinal (opera). In altri casi in Zolà il giudizio è implicito, ed è rivelato da un
particolare termine, che ri ette la visione dell’autore.

Vita nei campi: nuova visione impostazione narrativa, spiccano gure caratteristiche della vita
contadini siciliane. Viene applicata la tecnica narrativa dell’impersonalità; si riscontra un
atteggiamento romantico, nostalgico dell’ambiente passato…

Fantasticheria: una sorta di lettera, scritta da un protagonista maschile, indirizzata ad una


donna dell’alta società fermatasi ad Aci-Trezza, un villaggio di pescatori.

Il ciclo dei Vinti: Verga nel 1878 inizia a progettare un ciclo di romanzi che delinei un quadro
generale della società italiana moderna:
- I ceti popolari (Malavoglia)
- La borghesia terriera ( Mastro don Gesualdo)
- L’aristocrazia nelle sue diverse sionomie (duchessa de Leyra) solo abbozzato
- 2 romanzi mai realizzati Onorevole Scipioni e Uomo di lusso

Fantastcheria
Novella molto importante perché ritroviamo tra queste pagine i personaggi abbozzati dei
Malavoglia.
È stata pubblicata sul “Farfulla della domenica” il 24 agosto 1879. Verrà poi raccolta in Vita dei
Campi del 1880. L’autore si rivolge in forma di lettera a una dama dell’alta società che si è fermata
proprio ad Aci-trezza. Dopo 48 ore pero non ne può più, perché è veramente annoiata e proclama
“non capisco come si possa viver qui tutta la vita”. La dama mentre è sul treno vede Aci-trezza ed
esclama “vorrei starci un mese laggiù” arriva con una serie di bauli da vera signora tant’è che gli
abitanti la guardano un pò sorpresi e si chiedono da dove arrivi. Per 48 ore la dama passeggia
nella polvere della strada, si arrampica sugli scogli, passa una notte romantica sul mare e guarda
l’alba in cima al faraglione. Pero poi che deve fare?
“Basta non possedere 600 mila lire…”
Vivere una vita umile e povera come la vivono chi abita ad Aci-trezza.
I faraglioni sono degli scogli giganteschi presenti ad Ai Trezza, paese che si a accia sullo Ionio.
Perché gli abitanti di Aci-Trezza continuano a rimanere li?
Dice che bisogna farsi piccini, chiudere l’orizzonte tra due zolle e guardare con il microscopio le
piccole cause che portano i paesani a comportarsi in questo modo. Qui c’è la comparsa dei
Malavoglia: la Longa, Padre ‘Ntoni, Mena e Al o, ‘Ntoni, Alessi, Battisnazzo.
La dama fa spesso faceva l’elemosina ad una povera donna a cui comprava le arance, questo
personaggio anticipa la Longa.
Ora il nespolo non c’è più, hanno tagliato il nespolo del cortile, e la casa ha una nestra nuova= la
casa dei malavoglia
Vecchierò che stava al timone della barca… = padre notti

Verga aveva assegnato a Mena la sorte della sorella Lia, nita in una casa di tolleranza in città.
Le ostriche restano attaccate allo scoglio.
Finche resta attacca va tutto bene, quando si allontana rischia e viene divorata da un pesce.
Verga critica la società borghese rappresentata dalla sua cotogna di viaggio, con la sua testolina
incapace di comprendere.
Tuttavia rimane un osservatore attento e distaccato della relata del mondo.

Rosso Malpelo

Malpelo è un ragazzino con i capelli rossi. All'epoca in cui è ambientata la novella di Verga, per via
delle superstizioni popolari, i capelli rossi erano indice di malizia e per questo motivo il ragazzo
viene trattato male dai concittadini. Preferisce, quindi, starsene per conto suo. Neanche la madre
lo ama molto: non ha mai accettato il fatto che abbia deciso di andare a lavorare nella cava e non
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si fida di lui, pensa che rubi i soldi dello stipendio che porta a casa. Pure la sorella lo accoglie
sempre picchiandolo.
L'unico con cui sembra andare d'accordo è il padre, Mastro Misciu, il cui soprannome è Bestia.
Anche il padre lavora alla cava ed è l'unico ad avergli dimostrato un po' di affetto. Per questo
motivo quando gli altri operai cercano di prendere in giro il padre, Malpelo lo difende sempre. Un
giorno Mastro Misciu, su ordine del padrone, accetta di abbattere un vecchio pilastro inutile: il
lavoro è pericoloso, gli altri operai si sono rifiutati, ma Mastro Misciu ha bisogno di soldi.
Prevedibilmente il pilastro cade addosso all'uomo e Malpelo, disperato, comincia a scavare a mani
nude sotto le macerie, si spezza le unghie, chiede aiuto, ma quando gli altri arrivano il padre è
ormai morto.
Se prima Malpelo era scorbutico e ringhioso, dopo la morte del padre il suo carattere peggiora.
Inoltre comincia a lavorare proprio nella galleria dove il padre era morto.
Un giorno alla cava arriva a lavorare Ranocchio, un ragazzino che si è lussato il femore e che non
può più fare l'operaio a causa della sua zoppia. Malpelo vuole che Ranocchio impari a reagire e
che capisca che la vita non è facile, bensì una sfida continua.
In realtà Malpelo si è affezionato a Ranocchio e spesso gli dà parte del suo cibo e lo aiuta nei
lavori più pesanti. Finalmente viene recuperato il cadavere di Mastro Misciu e Malpelo tiene come
un tesoro i pochi oggetti posseduti dal padre. Purtroppo ben presto anche Ranocchio muore, di tisi,
Malpelo è sempre più solo (la madre si è risposata e non vuole avere a che fare con lui e anche la
sorella si è trasferita in un altro quartiere) e finisce per scomparire nella cava dopo che gli era stato
assegnato il compito di esplorare una galleria sconosciuta.
Nessuno avrebbe mai accettato un compito così pericoloso, ma Malpelo ormai non ha più niente
da perdere: prende pane, vino, attrezzi e vestiti del padre ed entra nella galleria per non uscirne
mai più. La sua unica vendetta da morto è aver instillato il terrore negli altri operai che hanno
sempre paura di vederlo spuntare fuori all'improvviso con i suoi capelli rossi e i suoi occhiacci.

Malavoglia
È il primo romanzo del ciclo dei Vinti.
È stato pubblicato nel 1881.
Il romanzo racconta la storia dei Toscano, una famiglia di pescatori che vive ad Aci-Trezza, un
piccolo paese vicino a Catania. L’azione si svolge a partire dall’anno 1863, quando l'Unità d’Italia
si è appena realizzata e si conclude nel 1878. I Toscano sono chiamati i Malavoglia. Il soprannome
è dato seguendo la tradizione dell’ingiuria: un particolare modo di appellare i capifamiglia e il
nucleo famigliare tipica del sud.
Il patriarca della famiglia, vedovo e vivente alla casa del Nespolo è padron ‘Ntoni. Vive insieme a
Bastianazzo e Maruzza detta la Longa. Hanno 5 gli: ‘Ntoni, Luca, Mena, Alessi, Lia. I malavoglia
per pescare utilizziamo una piccola imbarcazione chiamata Provvidenza. Nel 1863, ‘Ntoni parte
per la leva militare, questo è l’evento che segna l’inizio della sciagura della famiglia. ‘Ntoni non
può più aiutare la famiglia economicamente e per questo Padre ‘Ntoni compra una partita di
Lupini (legumi), dall’usuraio del paese Zio Croci sso e tenta un a are, che non andrà benissimo.
Bastianazzo, insieme al carico parte verso Riposto, ma fa naufragio e muore. I lupini acquistati
con un debito, sono persi. La Provvidenza è danneggiata e da riparare, e la famiglia indebitata.
Dopo il servizio militare, ‘Ntoni torna alla vita da pescatore. Luca muore nella battaglia di Lissa e
Mena rompe il danzamento con Brasi Cipolla, glio di Padron Fortunato Cipolla, ricco del paese
e proprietario di vigne e terreni. La famiglia è costretta a vendere la Casa del Nespolo per ripagare
il proprio debito. La Provvidenza fa nuovamente naufragio, Padron ‘Ntoniè distrutto, la nuora
Maruzza muore addirittura di colera. ‘Ntoni è costretto ad andare via dal paese per cercare
fortuna, ma torna più povero ed è vittima dei vizi, in particolare dell’alcol. La famiglia vende la
Provvidenza, ‘Ntoni nisce in prigione. Durante il processo, Padre ‘Ntoni viene a sapere delle voci
a proposito della relazione tra Don Michele e Lia. ‘Ntoni riesce a evitare una grave condanna per
motivi d’onore: l’avvocato fa intendere che la rissa sia scoppiata per difendere Lia dalle calunnie.
La famiglia dei Malavoglia è sempre più nelle di coltà e sta vivendo un vero e proprio dramma
a ettivo ed economico. Ormai padre ‘Ntoni è vecchio e malato, non può più lavorare e viene
ricoverato in ospedale. Lia per colpa delle malelingue deve lasciare il paese. Mena rinuncia a
sposarsi con Al o, il carrettiere, e resta ad accudire i gli del fratello Alessi.
Alessi con la sua attività di pesca, ha riscattato la Casa del Nespolo e ci vive con la moglie. Fa
visita a Padrone ‘Ntoni in ospedale, ma l’anziano muore prima di poter rientrare alla sua casa
tanto amata.
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‘Ntoni, uscito di prigione, torna a casa, ma si rende conto di non poterci più restare.
Il romanzo si chiude con una partenza, quella di ‘Ntoni.

Tecniche narrative:
Straniamento: consiste nell’adottare, per narrare un fatto e descrivere una persona, un punto di
vista completamente estraneo all’oggetto. Il risultato è che le cose più abituali, normali, appaiono
insolite, strane, incomprensibili.
Discorso indiretto libero: lo strumento della focalizzazione interna è il discorso indiretto libero,
mediante cui sono riportati i pensieri del protagonista.
L’impersonalità
La regressione: il narratore si colloca al livello mentale e culturale dell’ambiente rappresentato.

CONCLUSIONE
In casa Malavoglia la situazione sta ormai precipitando e in paese si dice che essi non hanno
ormai più nulla da perdere perché hanno toccato il fondo. Padron ‘Ntoni, con il corpo ripiegato su
se stesso, se ne va continuamente in giro a pronunciare proverbi senza senso oppure si siede
sotto il campanile, dicendo che sta aspettando la morte.
Egli sta perdendo un po’ la testa e l’unica sua paura è di essere portato all’ospizio. I soldi messi
da parte non ci sono più perché sono stati dati a ‘Ntoni. Per guadagnarsi da vivere, Alessi è
sempre lontano e rientra solo il sabato.
Una sera ritorna Al o Mosca, ma nessuno gli dice nulla, solo Alessi lo rende partecipe dei suoi
progetti: riscattare la casa del nespolo e sposare Nunziata, ora che comincia a formarsi la dote
perché i fratellini hanno iniziato a lavorare. Lo zio Croci sso aspetta con ansia che i Malavoglia si
decidano a riscattare la casa anche perché con tutto quello che è successo nessuno la vuol
comprare. Per questo, egli chiede ad Al o Mosca di intervenire presso padron ‘Ntoni, ma il
vecchio, ormai, non è più intenzionato perché Mena non si sposerà più e quando Alessi avrà
sposato Nunziata egli lascerà il paese.
Alla ne, un giorno, padron ‘Ntoni, che era ancora lucido ed aveva capito tutto quello che si
diceva in casa, chiede di essere portato all’ospedale perché in questo modo non sarà più speso
un soldo per lui. Al o Mosca lo accompagna con il suo carretto, dotato di un materasso e di un
guanciale, in un giorno in cui Alessi non è in casa e Mena è stata allontanata con un pretesto.
Nello stesso tempo, il giovane si lascia andare a tutti i suoi ricordi legati alla casa del nespolo e
alle persone che ci hanno vissuto.
All’ospedale, padron ‘Noti viene sistemato in un grande camerone con più letti.
Quando Mena e Alessi rientrano, non vedendo più il nonno, si disperano e capiscono che ora
sono soli per davvero. Compare Al o cerca di consolarli ricordando la casa del nespolo e tutti i
particolari della vita quotidiana, ma tutto è ormai cambiato, per no i paesani.
Un giorno si viene a sapere con grande sorpresa che padron Cipolla si sposa con Barbara
Zuppidda, per quando fra i due esista una grande di erenza di età. Ovviamente, i commenti feroci
degli abitanti di Aci Trezza non mancano. Visto che tutti si sposano, anche Al o Mosca si
vorrebbe sposare con Mena e, per questo, dichiara apertamente il suo intento alla ragazza, ma
essa si sente troppo vecchia per un matrimonio e ri uta la proposta, anche se in cuor suo nutre
ancora un sentimento di amore per Al o. Il vero motivo è un altro e dietro l’insistenza di Al o,
Mena confessa che se si sposasse la gente tornerebbe a parlare della sorella Lia poiché dopo
quello che è successo nessuno oserebbe prendere in moglie una Malavoglia. E così Al o si mette
l’animo in pace e la ragazza si dedica alla cura dei gli di Nunziata ve a mettere in ordine la
so tta, come se gli altri componenti della famiglia tornassero da un momento all’altro da un lungo
viaggio.
Per quanto riguarda padron ‘Ntoni la situazione è ormai irreversibile; con nato all’ospedale, egli
aspetta con ansia la visita dei familiari, e diventato ceco, ogni volta che qualcuno lo va a trovare lo
tocca con le mani per riconoscerlo. Lo informano che la casa del nespolo è stata riscattata ed
allora gli occhi gli luccicano ed accenna ad un sorriso, simile a colui che sorride per l’ultima volta.
Decidono allora di riprenderselo in casa, ma quando compare Al o col carro lo va a riprendere,
non lo trovano più: è morto.

Una sera, il cane si mette ad abbaiare dietro la porta del cortile, Alessi va ad aprire e non
riconosce ‘Ntoni da tanto che il suo sico è cambiato: è coperto di polvere ed ha la barba lunga e
nemmeno il cane l’ha riconosciuto. Nessuno osa dirgli nulla; gli o rono una scodella di minestra,
che egli divora come se non avesse mangiato da una settimana. Dopo essersi sfamato e riposato,
egli si alza con l’intenzione di andarsene, dicendo di essere venuto di sera per non essere
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riconosciuto da nessuno e che se ne va in un paese dove nessuno lo conosce. Chiede notizie del
Nonno e di Lia, ma poiché nessuno risponde, indovina quello che è successo. Le gambe gli
tremano, fa per sedersi, ma di botto si alza, dicendo addio, e prima di partire fa un giro della casa
e della stalla per vedere se ogni cosa fosse al posto come ai bei tempi.

Nel frattempo, passa dal vicolo la Mangiacarrubbe che ha sposato Brasi Cipolla e ‘Ntoni fa
notare che ora andranno a dormire nella loro casa. Allora, Alessi si fa coraggio perbdire al fratello
che se vuole ora anche lui ha la sua cosa e può restare. Ma ‘Ntoni se ne vuole andare perché alla
casa del nespolo sono legati troppi ricordi tristi e per la quale ormai è un estraneo, talmente
estraneo che nemmeno il cane lo ha riconosciuto
Infatti, presa la sporta se ne va, fermandosi in mezzo alla piazza per ascoltare se la porta di casa
fosse stata chiusa bene. Poi si siede sul muretto della vigna di massaro Filippo, pensando a tante
cose ed ascoltando il rumore del mare e quando il paese comincia a svegliarsi e il mare a farsi più
chiaro, ‘Ntoni se ne va per sempre.

LA ROBA
Pubblicata sulla rivista “La Rassegna Settimanale” nel 1880. La Roba poi viene raccolta nelle
novelle Rusticane. Ci troviamo sul Biviere di Lentini in provincia di Siracusa. C’è un viandante che
passeggia lungo la strada e vede un paesaggio sovrabbondante di cose. Tutte di proprietà di
Mazzarò. Vediamo la Piana di Catania, le arance di Francoforte, i pascoli desolati di Passante e
Passanitello. Il lettighiere canta la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sono
della malaria: “qui di chi è?” “Di Mazzarò”, la palude dove si trova Francofonte nell’800 era
focolaio di malaria. Il suo viaggio continua e vede delle vigne che non niscono più, fattorie grandi
quanto paesi, uliveti, e pascoli. Mazzarò si sfama con due pezzi di pane anche se è molto ricco. Si
è arricchito grazie al duro lavoro che ha praticato in tutte le condizioni, addirittura senza scarpe e
senza cappotto. La sua è una vita senza vizi, anche se adesso è molto ricco, non beve, non
fuma… lui tutta vita la passa ogni secondo dedicandosi alla Roba. Non ha né gli né nipoti, ha
solo la sua roba. Prima di Mazzarò c’era stato un barone, che però l’aveva sciupata. La roba non
è di chi ce l’ha ma di chi la sa fare dice lui. Mazzarò arriva a prendere tutti i possedimenti del
padrone, rma con la sua croce perché è analfabeta e prende tutto tranne il titolo nobiliare. Gli
dispiace però perché comincia ad invecchiare, e non sa a chi dare la roba. Vive nella solitudine e
nella follia: lo stesso nome “Mazza-rò” allude al gesto folle con il quale egli sul nale tenta di
distruggere la sua roba, che è stata ragione delle sue giornate ma che ora è ciò che gli ricorda la
solitudine la vuotezza in cui ha vissuto.
Mazzarò è un personaggio che possiamo connotare storicamente. Rapprensenta l’avarizia del
contadino arricchito. Con il passaggio dal latifondo di proprietà dell’aristocrazia alla nuova
azienda borghese.
-Scomparsa e stravolgimento dei valori
-Mito del self made, rurale
-Mazzarò eroe, che sogna una potenza senza limiti
-Conclusione tragica, ma anche comica.

MASTRO DON GESUALDO


Secondo romanzo del Ciclo dei Vinti pubblicato nel 1889.
Il romanzo è ambientato a Vizzini, piccolo comune nel catanese. Nella storia di Gesualdo Moda,
un uomo avido che ha avuto come scopo nella sua vita quello di accumulare ricchezze. Compie
un percorso che da Mastro, ovvero da muratore, lo porta a diventare Don, cioè nobile.
Gesualdo Motta è un muratore che con la sua intelligenza ed energia riesce ad accumulare una
vera e propria fortuna. Si sposa con Bianca Trao, di una famiglia nobile ma in rovina. Nei calcoli di
Gesualdo questo matrimonio può aprirgli nalmente le porte del mondo aristocratico. In realtà
pero nonostante il matrimonio, Gesualdo rimane escluso dalla vita nobiliare, che lo disprezza e lo
vede come un arricchito, non è un vero aristocratico. Anche la moglie non lo ama, e lo respinge
sebbene dal matrimonio nasca una bambina; in realtà non è glia di Gesualdo ma è glia di una
relazione tra Bianca e un cugino. Gesualdo è infelice, il padre è geloso della sua fortuna… Nel 48 i
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nobili dirottano l’odio popolare contro Gesualdo che si trova in una situazione complessa. Isabella
voleva sposarsi con un cugino povero, e Gesualdo per riparare la fa sposare con il Duca de Leyra,
nobile decaduto, ma è comunque stato un nobile. Gesualdo si ammala e viene accolto a Palermo.
Trascorre i suoi ultimi giorni in solitudine. Muore solo sotto lo sguardo sprezzante di un servo.

L’impianto narrativo:
- impersonalità dell’autore
- Innalzamento del livello narrativo
- Centralità di Gesualdo: il racconto è focalizzato sul protagonista
Protagonista infelice che trova momenti di conforto quando va in un suo podere, dove si incontra
con Diodata, la sua serva. Che vuole bene a Gesualdo

È un self made man, che mira alla realizzazione di se

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