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Rino Caputo, Michael Rössner

Pasquale Guaragnella, Guillame Bernardi


Alessandro Tinterri, Beatrice Alfonzetti
Annamaria Andreoli, Belen Hernandez Gonzalez
Il 2021 è l'anno dei Sei personaggi in cerca d'autore nel Jorge Dubatti, Novella Di Nunzio
centenario della prima disastrosa rappresentazione al Teatro Gabriella Cambiaghi, Ivan Pupo,Graziella Corsinovi
Valle di Roma il 9 maggio 1921 e del successo straordinario Maria Rosaria Vitti Alexander, Donato Santeramo
al Teatro Manzoni di Milano il 27 settembre 1921. Paolo Puppa, Sarah Zappulla Muscarà
Col suo 58° Convegno internazionale di studi pirandel- Anton Giulio Mancino
liani, il Centro agrigentino ha creato un evento di portata
internazionale per celebrare un'Opera epocale, qual è Sei
personaggi in cerca d’autore. Che è il primo e il più noto
della trilogia del teatro nel teatro e uno dei momenti più
alti del teatro pirandelliano, e non solo. Insieme con Cia-
Sei Personaggi
scuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto, costituisce
in cerca d’autore

Sei Personaggi in cerca d’autore


l’arma con cui Pirandello ha sconvolto le strutture teatrali
desuete e non più rispondenti alle esigenze e alla sensibilità
del dramma moderno. Teatro nel teatro, o metateatro, pro- 1921 - 2021
prio perché è il teatro stesso a mettersi in discussione e at-
traverso se stesso tentare di rinnovarsi.
Il presente volume contiene i contribuiti di valenti stu-
diosi italiani e stranieri che hanno affrontato per l’occasione
il capolavoro pirandelliano con diversi e nuovi approcci
critici al fine di farne risaltare le qualità artistiche e la
potenza drammaturgica, senza trascurare di analizzare la
tenuta scenica del dramma in tutto il mondo ai giorni
nostri. In uno studio particolarmente acuto, vengono esa-
minati gli “Studi danteschi” di Luigi Pirandello per rendere
omaggio a Dante Alighieri in occasione del settimo anni-
versario della morte del grande Fiorentino (1321-2021).

ISBN 88-8243-523-3

9 788882 435233

a cura di
Stefano Milioto
Edizioni Lussografica

€ 22,00 Centro Nazionale Studi Pirandelliani


Collana di Saggi e Documentazioni
del Centro Nazionale Studi Pirandelliani
diretta da Stefano Milioto
n. 78
Rino Caputo, Michael Rössner
Pasquale Guaragnella, Guillame Bernardi
Alessandro Tinterri, Beatrice Alfonzetti
Annamaria Andreoli, Belen Hernandez Gonzalez
Jorge Dubatti, Novella Di Nunzio
Gabriella Cambiaghi, Ivan Pupo,Graziella Corsinovi
Maria Rosaria Vitti Alexander, Donato Santeramo
Paolo Puppa, Sarah Zappulla Muscarà
Anton Giulio Mancino

Sei personaggi in cerca d’autore


1921 - 2021
Atti del 58° Convegno internazionale
di studi pirandelliani

a cura di
Stefano Milioto

Edizioni Lussografica
Centro Nazionale Studi Pirandelliani
Il Personaggio e l’Autore
Pirandello celebra Dante
di Rino Caputo

“Poteva esser contenuta in una terzina”!


Nelle chiose alla Commedia, pubblicata in formato più che tasca-
bile dalla casa editrice Sansoni nella collana della “Piccola Biblioteca
Italiana” del 1883 (in realtà stampata già il 30 novembre del 1882),
così Pirandello sbrigativamente postilla i versi iniziali del canto XX del
Paradiso.

Quando colui che tutto ’l mondo alluma


de l’emisperio nostro sì discende,
che ’l giorno d’ogne parte si consuma,
lo ciel, che sol di lui prima s’accende,
subitamente si rifà parvente
per molte luci, in che una risplende;

E, ancora più aspramente, commentando l’immagine dei versi 49-


51 del successivo canto XXVI:

Ma dì ancor se tu senti altre corde


tirarti verso lui, sì che tu suone
con quanti denti questo amor ti morde».

“bruttissima metafora”.
E, poi, nello stesso canto XXVI c’è una similitudine “bellissima ma
un po’ lunga”; o, addirittura, è “un po’ arguta e sofisticata” proprio
quell’altra ai vv. 1-6 del canto XIV che comincia con l’icastica imma-
gine ‘circolare’, tanto ripresa da certa qualificata critica letteraria nove-
centesca (Spitzer, innanzitutto):

Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro


movesi l’acqua in un ritondo vaso,
secondo ch’è percosso fuori o dentro:
ne la mia mente fé sùbito caso
questo ch’io dico, sì come si tacque
la glorïosa vita di Tommaso.

E si potrebbe di seguito continuare con ulteriori chiose e postille


6 Rino Caputo

prevalentemente esegetiche, talora pregnanti, tal’altra decisamente in-


generose.1
Se ci si fermasse qui, ci sarebbe da tirare una conclusione davvero
deprimente sulla lettura di Dante da parte di Pirandello, fino al punto
da salutare con sollievo la curiosa evenienza, toccata al possessore, di
disporre per queste ‘chiose’ di una copia mutila in varie parti delle tre
cantiche e, soprattutto, consultabile non oltre il ventinovesimo canto
del Paradiso (ma qualche ‘foglietto’ di postille al Purgatorio si conserva
presso l’Archivio dell’Istituto di Studi Pirandelliani di Roma).2
Ben si sa, invece, che Dante è per Pirandello materia fervida di ap-
propriazione poietica e, insieme, luogo privilegiato di argomentazioni
teorico-estetiche ‘in corpore nobilissimo’.
E, tuttavia, l’impressione rimane di un giudizio sempre avvertito
come ancipite nei confronti dell’opera dantesca, perfino là, dove la consi-
derazione riduttiva coesiste con la valutazione artisticamente esemplare:
come nel primo articolo pubblicato nella “Nuova Antologia” del 16 gen-
naio 1904 su “Dante”, poema lirico di G. A. Costanzo, in cui, Pirandello
afferma, ad es., che i numeri danteschi non sono “cabalistici” ma “sostan-
za, fine e forma del poema sacro” (col corsivo dell’autore) SI 470; anche
se, tuttavia, i lettori di Dante sanno “come anche il divino poeta riesca
arido quando si perde e s’impiglia tra le sue scolastiche astruserie”3SI 469.
Pirandello, infatti, in tal modo, sembra recuperare la numerologia
dantesca, intesa correttamente come filigrana funzionalmente sottesa
all’impianto insieme poetico e allegorico del poema, ben prima del-
le intuizioni ermeneutiche di Giovanni Pascoli, distribuite nei volumi
dantologici pubblicati a cavallo dei due secoli, come Minerva oscura del
1898, Sotto il velame del 1900, La mirabile visione del 1901, oltre alla
Prolusione al Paradiso del 1902, e purtroppo rese irrisorie dall’esagerata
focalizzazione degli epigoni pascoliani, altresì tributaria del più genera-
le clima pseudospiritualistico e misticheggiante che pur mirava, senza
successo, a contenere il dilagante positivismo documentario erudito
esercitato sull’opera dantesca. 4

1
Cfr. Luigi Pirandello, Chiose al “Paradiso” di Dante, edizione critica, intro-
duzione e note di e a cura di G. Bolognese, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1996.
2
Cfr. la conferma di Annamaria Andreoli in Luigi Pirandello, Sei Personaggi in
cerca d’autore, a cura di Annamaria Andreoli, Milano, Mondadori Oscar Moderni,
2019, p. LVI, nota 10.
3
Cfr. Luigi Pirandello, Saggi e Interventi, a cura e con un saggio introduttivo di
Ferdinando Taviani e una testimonianza di Andrea Pirandello, Milano, Meridiani
Mondadori, 2006 (d’ora in poi SI); l’articolo sul poema di Cesareo è alle pp. 467-482.
4
Cfr., oltre ad altri interventi di varia grandezza, G. Pascoli, Minerva oscura.
Prolegomeni: la costruzione morale del poema di Dante, Livorno 1898; Sotto il ve-
Il Personaggio e l’Autore. Pirandello celebra Dante 7

Pirandello riprenderà tali risultanze euristiche nel confronto, ap-


punto ancipite, con la critica dantesca di Francesco De Sanctis e nello
scontro, esplicitamente dichiarato, con la esegesi della ‘poesia di Dante’
di Benedetto Croce.
A conferma del carattere non episodico dell’attenzione riservata a
Dante e alla sua opera, il ‘libro’ dantesco di Pirandello si compone
dei contributi versati direttamente sull’argomento specifico e dei riferi-
menti indiretti, quasi sempre funzionalmente connessi al luogo saggi-
stico che li ospita.
È il caso, in particolare, dell’intervento sulle Poesie scelte di Antonio
Fogazzaro,5 del 1 gennaio 1898, firmato Ariel, in cui, pur a distanza di
un quindicennio dalle ‘chiose’ del 1882-83, Pirandello definisce Dante
con toni persino ridondanti:

Dante Alighieri, scultore e coloritore sovrano, foggiando e plasman-


do a sua posta entro forme nuove il materiale linguistico vecchio e re-
cente ch’era ancora scorrevole e malleabile come metallo fuso e non anco
raffreddato, e valendosi più che d’altro di un suo tesoro inesauribile di
similitudini e di paragoni sensibili, riuscì a renderci evidente e somma-
mente poetico il mondo dell’infinita tenebra e dell’infinita luce. SI 250

Ma ancora in Teatro nuovo e teatro vecchio6 (in “Comoedia”, I, del


1923) risalta, come in quasi tutte le altre occorrenze dantologiche
nell’amplissima produzione pirandelliana, l’aggancio sempre motivato
alle connessioni poietiche, tematiche e, perfino, di forte connotazione sti-
listica (si badi al sintagma dell’intendere Dante “ciascuno a suo modo”):
Chi sa Dante, com’era per sé nel suo poema! Dante, in quel suo
essere per sé, diventa come una natura: noi dovremmo uscir da noi
stessi per intenderlo com’è per sé, e non possiamo e ciascuno lo intende
a suo modo[...] Voce d’una natura, non potrà mai spegnersi nella vita
e quel nostro necessario riecheggiarla non vuol dir fraintenderla o non
comprenderla SI 1169-1170.

1. Pirandello per Dante con De Sanctis

È stato già ampiamente notato il debito grande di Pirandello verso


l’attività critico-letteraria desanctisiana sia teorica che praticamente e

lame. Abbozzo di una storia della Divina Commedia, Messina 1900; La mirabile
visione, ibid. 1902; Prolusione al Paradiso, 1902.
5
Cfr. SI 248-252.
6
Cfr. SI 1154-1172.
8 Rino Caputo

mirabilmente dispiegata sui testi, compresi quelli danteschi. Meno si


è pensato al lascito, più durevole e meno inquinato da riserve teoreti-
che, consistente nella selezione e valorizzazione della sequenza letteraria
della tradizione illustre della letteratura italiana in termini realistici e
nazionali.
Pirandello è in ciò erede di De Sanctis non meno che di Foscolo,
Leopardi, Manzoni e Verga, teso a privilegiare, come già i primi Ro-
mantici avevano osato fare, gli scrittori ‘di cose’ e non gli scrittori ‘di
parole’, quelli che miravano a ‘scrivere bene’ e non solo o non tanto a
‘scrivere bello’: Dante, ovviamente, e non Petrarca; Machiavelli, insom-
ma, e non Guicciardini; Ariosto, e non Tasso; Manzoni e non Monti;
Verga e non D’Annunzio, per dirla sia con l’uno, De Sanctis, che con
l’altro, Pirandello.
Proprio nel Discorso su Verga alla Reale Accademia d’Italia7 pronun-
ciato il 3 dicembre 1931 e pubblicato il giorno successivo sul “Tevere”,
alla vigilia delle scadenze, apicali per la carriera dello scrittore siciliano,
del Convegno mondiale sul Teatro drammatico e dell’agognato Premio
Nobel, ambedue dell’autunno del 1934, Pirandello ritorna sullo ‘stile
di cose’ e su quello di ‘parole’, distinguendo ancora tra gli scrittori:
Nei primi le cose non tanto valgono per sé quanto per come sono
dette [...]In questi altri, la parola che pone la cosa [...] sta lì, non parola,
ma la cosa stessa…SI 1418
[...] Lungo tutto il camino della nostra letteratura corrono ben di-
stinte e quasi parallele queste due categorie di scrittori…SI 1419

L’esempio dirimente è appunto Dante:


Negli uni è la lingua come si compone, scritta: “letteraria”; negli
altri tutti, un sapore idiotico, dialettale, a cominciare da Dante, che
nei dialetti appunto, e non in questo o in quello, vedeva risiedere il
volgare (ibid.).

E perciò:
A Dante, sempre, si ritorna. Si ritorna a Machiavelli. Si ritorna
all’Ariosto. Si ritorna al Leopardi e al Manzoni. E si ritorna a Giovanni
Verga (ibid.).

La sequenza divisiva viene da lontano e De Sanctis stesso la eredita


da Foscolo che, pur nello sconfinato amore per Petrarca che nel Can-
zoniere “suona nel cuore”, indicherà Dante, che “tenzona nel cervello”,

7
Cfr. SI 1417-1435.
Il Personaggio e l’Autore. Pirandello celebra Dante 9

alle nuove generazioni romantiche come il padre di ogni patria, come


il profeta della (futura) Nazione. Dante ‘tenzona’ con lo ‘stile di cose’.
Petrarca ‘suona’, con lo ‘stile di parole’.8
Con De Sanctis, Pirandello condivide l’avversione per la sequen-
za tardorinascimentale retorica, barocca, secentista, da lui definita “il
guardaroba dell’eloquenza”:

Retorica e imitazione sono in fondo la stessa cosa. Fondata sul pre-


giudizio della così detta tradizione, insegnava ad imitare ciò che non si
imita: lo stile, il carattere, la forma. […] Regolata com’era dalla ragio-
ne, vedeva da per tutto categorie e la letteratura come un casellario: per
ogni casella, un cartellino. […] Per la Retorica prima nasceva il pensie-
ro, poi la forma. […] Il vestito era la forma. La Retorica, in somma, era
come un guardaroba: il guardaroba dell’eloquenza dove i pensieri nudi
andavano a vestirsi. SI 817

De Sanctis e Pirandello appartengono a due famiglie di patrioti. De


Sanctis ‘realizza’ l’unità d’Italia, Pirandello, pur nostalgico dell’energia
protorisorgimentale, deve registrare, soprattutto nei Vecchi e Giovani,
“amarissimo e popoloso romanzo ov’è racchiuso il dramma della mia
generazione”, di essere venuto a “vendemmia già fatta”, a sanzionare “la
bancarotta del patriottismo”, a rimestare “il fango della terza Roma”.9
Ma tutto ciò non impedisce che Pirandello continui a professare la sua
fede incrollabile nei valori letterari e politico-culturali della generazione
precedente, di cui Dante è stato ritenuto corifeo archetipico.
Del resto, qualche decennio prima, anche a De Sanctis era bastato
continuare a modo suo la metafora che, nel contrasto tra l’energia eroi-
ca di Dante e la mollezza compiaciuta di Petrarca, definisce la caduta
della seconda metà del secolo romantico e risorgimentale:

Conosco giovani che a trent’anni non sanno ancora quello che si


debbano fare della vita, o del cervello, e senza indirizzo chiaro e stabile
nel pensiero e nell’opera, posti a cavallo tra due generazioni, cavalie-
ri erranti spostati, non sanno assimilarsi l’una né precorrere l’altra, e

8
Cfr. Ugo Foscolo, Saggio sopra la poesia del Petrarca in “Edizione Nazionale
delle Opere di Ugo Foscolo, X. Saggi e discorsi critici (1821-26). Saggi sul Petrar-
ca”, Firenze, Le Monnier, 1953.
9
Cfr., per una considerazione più organica, il mio R. Caputo, Il piccolo Pa-
dreterno, Roma, Euroma, 1996, in part. pp. 173-200. Non si può dimenticare,
in proposito, il riferimento a Carlo Dionisotti Varia fortuna di Dante, in Id., Ge-
ografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1999 (prima ed. 1967),
pp. 255-303 e, in tempi molto più recenti, Amedeo Quondam, Petrarca, l’italiano
dimenticato, Milano, Rizzoli, 2004.
10 Rino Caputo

vivono come avventurieri, deridendo e derisi. Per Dio! in altri paesi a


diciotto anni si è già un uomo e si ha vergogna di esser chiamato un
giovane, e si guarda già diritto innanzi a sé, e si prende la via, e non si
torce l’occhio a dritta e a manca.10

Ma, ben prima del romanzo del 1913, in Arte e coscienza d’oggi del
settembre 1893, Pirandello conferma l’impianto etico-politico e arti-
stico-culturale del giudizio desanctisiano e parla di “naufragio morale”
della precedente generazione, di giovani “moralmente inani” e, soprat-
tutto, “tutti o per la massima parte affetti da neurastenia”, “educati
senza un criterio direttivo”.11 SI 195
Più specificamente, per quanto riguarda la Commedia, con De Sanctis
Pirandello condivide la convinzione del rapporto inscindibile tra poesia
e allegoria, anche se, rispetto al critico irpino, come si vedrà, contro il
Croce autonominatosi continuatore desanctisiano dell’esegesi dantesca,
la componente strutturale del poema è vista come supporto organico
della poesia:
L’errore massimo consiste nell’assumere questa allegoria dantesca
alla stregua di tutte le altre allegorie: cioè come un concetto che si
vesta, un concetto figurato, laddove è proprio l’inverso. […] Egli non
vuole fare la figura simbolo di un concetto. […] per cui ogni figura vive
nella sua essenzialità allegorica, non come in una veste, ma anzi nella
sua vera realtà. Non è la Grazia che si fa Beatrice; è Beatrice che vive
nella sua vera essenzialità di Grazia divina.12 SI 1097

2. Pirandello per Dante contro Croce

Pirandello pubblica, proprio il 14 settembre 1921, nel giorno preciso


della ricorrenza secentenaria della morte di Dante, quasi in forma di
saggio, la recensione all’appena uscito volume di Benedetto Croce La
poesia di Dante.
Croce aveva celebrato la ricorrenza nello stesso giorno dell’anno pre-
cedente, anche nella sua qualità di Ministro della Pubblica istruzione
protempore del governo Giolitti, e aveva presumibilmente preparato
proprio in quei mesi il suo libro dantesco, destinato a uscire appunto nel
febbraio del 1921 e dedicato a Giovanni Gentile, “in testimonianza di
antica e costante fraternità negli studi e nella vita”.

Francesco De Sanctis, Saggio critico sul Petrarca, Torino, Einaudi, 1983, p. 30.
10

Id., Arte e coscienza d’oggi, «La Nazione letteraria», Firenze, I, n. 6, settembre


11

1893, in SI 185-203.
12
La poesia di Dante in SI 1085-1098.
Il Personaggio e l’Autore. Pirandello celebra Dante 11

Nell’Avvertenza, cosi infatti si esprime Croce:

Questo lavoro, compiuto nel 1920 e del quale alcune parti sono
state sparsamente pubblicate in riviste e atti d’accademia, si raccoglie ora
intero nel presente volume, nell’anno in cui ricorre il sesto centenario
della morte di Dante. Il suo intento è di offrire un’introduzione meto-
dologica alla lettura della Commedia, e insieme come un saggio di questa
lettura, condotta con semplicità, libera da preoccupazioni estranee. E
se conseguirà l’effetto di rimuovere alquanto l’ingombro dell’ordinaria
letteratura dantesca e riportare gli sguardi verso ciò che è proprio ed es-
senziale nell’opera di Dante, questo libro avrà ottenuto il suo fine. B.C.

È importante notare, a questo punto, l’interessante crogiuolo di


eventi e iniziative editoriali sul nobilissimo corpo di Dante e della sua
Commedia, nell’occasione della ricorrenza secentenaria.
Il 30 aprile del 1921 Papa Benedetto XV promulga l’enciclica In Prae-
clara Summorum, consacrando il Sommo Poeta come “il cantore e l’aral-
do più eloquente del pensiero cristiano”.
Si tratta di un netto mutamento dell’opinione della Chiesa Cat-
tolica su Dante e la sua opera. Bisogna aggiungere, contestualmente,
che l’operazione politico-culturale del Vaticano ricomprende la nuova
valutazione di Dante ‘vero poeta cristiano’, all’interno di una serie di
interventi importanti come, in particolare, proprio nello stesso anno,
la fondazione dell’Università Cattolica e il restauro della Chiesa di San
Francesco, a Ravenna, presso la quale è collocato il sepolcro di Dante.
Ma, com’è noto, già negli anni precedenti il Papa aveva revocato il co-
siddetto ‘non expedit’ ovvero il divieto di partecipazione dei cattolici ita-
liani alla vita politica della Nazione, anche se occorrerà aspettare ancora
qualche anno, appena prima del Concordato del 1929, perché le opere
di Dante e, in particolare, la Monarchia, siano tolte dall’ ‘Index librorum
prohibitorum’ del Sant’Uffizio.13
Sembra proprio che il ‘papa laico’, come Gramsci chiamerà Croce,
non voglia lasciarsi sfuggire l’occasione di controbattere l’iniziativa pon-
tificia che, per il laicismo liberale anticlericale poteva sembrare una pre-
tesa illecita, ma, nello stesso tempo, senza ammiccare alla distorsione
nazionalistica e, ormai, già pericolosamente fascista del culto di Dante
come poeta e padre della patria. Infine, il 21 settembre, viene inaugurata
in Roma, nell’antica palazzina dell’Anguillara, per sollecita iniziativa di
Sidney Sonnino, la Casa di Dante.14

13
Cfr. Raffaele Campanella, Dante e la Chiesa oggi in “Dante”, rivista interna-
zionale di studi danteschi, XII, 2015, pp. 143-150.
14
Cfr., in proposito, l’esauriente ricostruzione di Fulvio Conti, Il Poeta della
12 Rino Caputo

Ma non c’è dubbio, come appunto si afferma nell’Avvertenza, che


Croce voglia accentrare la trattazione sulla specificità estetico-letteraria
della lettura della Commedia dantesca, con una esegesi destinata a durare
nel tempo e a forgiare generazioni di lettori colti, più o meno dantisti
professionali, all’interno e all’esterno delle istituzioni scolastiche e uni-
versitarie, che useranno pressoché come grimaldelli le categorie crociane
di “poesia”, da un lato, e di “struttura”, non poetica perché considerata
un esclusivo armamentario allegorico con finalità teologica, dall’altro;
sicché la ‘poesia’, riprendendo, almeno in ciò, la critica desanctisiana
pervasa di romantico afflato, andava ricercata nei ‘medaglioni’ lirici
costruiti da Dante per alcuni grandi personaggi incontrati nel mondo
ultraterreno e, soprattutto, nell’Inferno: Francesca, Ulisse, Ugolino, spe-
cialmente:

Per il Croce la Commedia non è opera di poesia, ma un’opera in cui


sono bensì alcune (c. vo di Pirandello) poesie da “godere profondamen-
te”, e basta. SI 1086

Ecco perché il 14 settembre dello stesso anno 1921, Pirandello, reduce


dal contrastato esordio della sua ‘commedia da fare’, Sei Personaggi in cer-
ca d’autore, al Teatro Valle di Roma, il 9 maggio precedente, in procinto
di assistere alla rappresentazione della stessa opera a Milano prevista per
il 27 settembre, pubblica su “L’Idea Nazionale” la recensione alla Poesia
di Dante di Benedetto Croce. Si tratta, com’è evidente, di un intervento
meditato da parte dello scrittore agrigentino, reso più cogente dall’avve-
nuta ‘ristampa’ del Fu Mattia Pascal cui sarà premessa l’Avvertenza sugli
scrupoli della fantasia apparsa sempre su “L’Idea Nazionale”, non a caso
col titolo Gli scrupoli della fantasia, il 22 giugno dello stesso 1921. Ma
non si può dimenticare, infine, l’importante penultimo ‘casus belli’ della
polemica anticrociana, la riedizione revisionata, con significative elisioni
e aggiunte, dell’Umorismo, per l’editore Battistelli di Firenze, nel 1920.
Il 1921, quindi, è per Pirandello l’occasione da sempre cercata per
la resa dei conti decisiva e complessiva con la critica crociana, sia nella
sua più generale teoresi, sia nelle più particolari dimensioni polemiche
interpersonali.
La Commedia dantesca diventa pertanto, il corpo, pur nobilissimo,
su cui esercitare la diatriba, antica nelle premesse ma pur sempre attua-
le e che avrebbe ulteriormente manifestato la sua durevolezza fino alla
contrapposizione estrema intorno alle fasi drammatiche del delitto Mat-

Patria. Le celebrazioni del 1921 per il sesto centenario della morte di Dante in “Kwar-
talnik Neofilologiczny”, LIX, 2/2012, pp. 147-164.
Il Personaggio e l’Autore. Pirandello celebra Dante 13

teotti (1924-25), quando al manifesto antifascista promosso dal Croce


si contrapporrà la lettera filomussoliniana di Pirandello: una posizione,
peraltro, quella dello scrittore, che non mancherà di contenere conse-
guenze avvelenate riguardo alla sua ricezione politico-culturale, fino
quasi ai nostri giorni.15
Pirandello, com’è noto, oppone i diritti della fantasia creatrice alla
visione crociana puramente gnoseologica dell’arte. E, ribadendo la sua
propensione favorevole alla funzione poietica dell’allegoria in Dante,
respinge la riduttiva accettazione crociana della sola metafora come am-
missibile risorsa della poesia. E, anzi, va oltre fino a valorizzare, da narra-
tore esperto, la Commedia come racconto che si fa poesia:

E il racconto, chi sa perché, pare non debba considerarsi come cosa


poetica SI 1088

in cui il critico dantesco d’elezione e il polemista anticrociano d’oc-


casione si elevano davvero al livello dell’afflato insieme lirico e dram-
matico, con parole che sembrano riecheggiare le ‘battute’ intense del-
le grandi opere rappresentate o in gestazione, manifestando anche su
Dante e con Dante, la ‘poetica’ profonda quasi in forma di appello
scenico ai lettori della Commedia, attraverso le figure dell’ironia e della
preterizione, una volta tanto estratte dal pur disprezzato ‘guardaroba
dell’eloquenza’:

Voi tutti, illusi dalla potenza di una fantasia creatrice che ha costru-
ito un mondo di cui il poeta stesso agli occhi vostri appare, per prodi-
gio d’arte, non più il creatore ma l’attore, il viaggiatore che passa per
esso mondo, dubitoso, impaurito, quasi non si fosse egli stesso appa-
recchiato quelle sorprese, quelle meraviglie, quegli spettacoli: voi tutti,
che per effetto di quel suo passaggio in mezzo all’eterno di quel mondo
vedete a mano a mano destarsi una vita momentanea che la potenza
dell’arte fissa in atteggiamenti eterni, senza neanche più pensare che
questo transitorio nell’eterno, divenuto per potenza d’arte a sua volta
eterno, non è certamente per il poeta com’è per voi… . SI 1089-1090

Si avverte chiaramente, in questa pagina, la precipitazione sintetica


quanto emozionata di tutta la poetica pirandelliana, testé esaltata, qual-
che mese prima, dalla pur contrastata messinscena dei Sei Personaggi:

15
Cfr., almeno, Elio Providenti, Pirandello impolitico. Dal radicalismo al Fa-
scismo, Roma, Salerno Editrice, 2000; Luigi Scorrano, Il Dante «fascista». Saggi,
letture, note dantesche, Ravenna, Longo, 2001.
14 Rino Caputo

perché il sentimento del poeta – divenuto quasi realtà fuori di lui – voi
lo vedete consistere nella rappresentazione ch’egli ne ha data SI 1090

Pirandello incalza Croce lì dove il filosofo nulla può contro il poeta,


perché

Dante tutt’intero e uno ha il grave torto di non poter entrare nella


teoria estetica di Benedetto Croce SI 1094

e, quasi preparando le idee per la Prefazione del 1925 ai Sei Personaggi


(in cui è il “bisogno spirituale” dell’artista che crea l’immagine e non il
simbolismo allegorico “che diventa macchina”16) Pirandello conclude
in modo seccamente assertivo a proposito della poesia di Dante:

La sua fantasia è popolata d’immagini e non di concetti SI 1095.

3. Pirandello per Dante

Dante diventa, perciò, per Pirandello, all’altezza della concitata at-


tività del critico e del drammaturgo del 1921, soggetto e oggetto di
verifica teorica e poietica. Sembrano precipitare nell’articolata recen-
sione al libro dantesco di Benedetto Croce non solo le problematiche
‘umoristiche’ dei romanzi o dello stesso omonimo coagulo saggistico
del 1908, bensì l’intero esercizio esegetico del letterato e professore non
meno che poeta.
Ma, come in parte si è già visto, Pirandello aveva dedicato una pro-
lungata attenzione all’opera di Dante, dagli anni giovanili a quelli di
letterato romano ormai ritenuto di rango nazionale, fino al contatto
sempre più irreversibile con la pratica drammaturgica e teatrale.
Oltre alle Chiose del 1882-83, si evidenziano gli importanti scritti
apparsi il 1 novembre 1907 sulla “Nuova Antologia” Per uno studio sul
verso di Dante; nel 1908 la Poscritta, in risposta all’autore oggetto del
precedente studio, l’anglista Federico Garlanda, pubblicata su “La Vita
Letteraria”, a. IV, n. 42, ricompresi poi in Arte e Scienza del 1908; nel
settembre dello stesso anno, sulla “Rivista d’Italia”, La commedia dei
diavoli e la tragedia di Dante, testo rielaborato della “Lectura Dantis”
tenuta in Orsanmichele di Firenze il 3 febbraio 1916; ma va tenuto
presente altresì il saggio summenzionato sul poema di Costanzo, oltre
all’intervento del 1 febbraio 1905, sempre nella “Nuova Antologia”, su

16
Cfr. Luigi Pirandello, Sei Personaggi, cit., pp. 4-5.
Il Personaggio e l’Autore. Pirandello celebra Dante 15

La “Francesca da Rimini” di G. A. Cesareo; ai quali occorre aggiungere


i due saggi su Cecco Angiolieri, uno (Un preteso poeta umorista del sec.
XIII) nella “Vita italiana”, a. II, n. 6 del febbraio-aprile 1896 e uno su I
sonetti di Cecco Angiolieri in “Arte e Scienza”, del 1908.17
I riferimenti a Dante diretti e indiretti emergono dappertutto nelle
pagine pirandelliane. Solo per citarne alcuni, si pensi al famoso capitolo
X “Acquasantiera e portacenere”del Fu Mattia Pascal, dove Dante è la
personalità umana per antonomasia, rispetto alla bestia in cui spesso
l’essere umano si degrada; o si pensi alla teorizzazione matura della
natura contrastiva, ‘umoristica’, della scrittura dantesca rispetto alla
sopravvalutazione della comicità beffarda e triviale dell’Angiolieri che
mai assurge al livello della compiuta arte della dissacrazione umoristica.
E così ancora si potrebbe continuare.
In realtà Dante attraversa tutta l’opera dello scrittore agrigentino
perché occasione particolarmente adatta a rappresentare la realtà della
concezione di ogni pratica artistica, che trova al suo interno le ragioni
espressive. Perciò nel Paradiso è comprensibile l’assenza di riscontri ‘rea-
listici’, proprio perché è in opera un formidabile sforzo di ‘fantasia’, per
poter effettivamente rappresentare ovvero narrare e descrivere quella
realtà. E Dante perciò diventa un modello per l’Italia e per il mondo.
Il tratto realistico della Commedia è, appunto, quello che riscon-
tra nel mondo dell’al di qua la complessità contrastiva, rappresentabile
esclusivamente dall’arte ‘umoristica’ che, di conseguenza, per Pirandel-
lo diventa l’arte tout-court del suo presente e del prospettico futuro.
Nell’Inferno, quindi, per usare le sue categorie estetiche, non si può
ritrovare il comico, ovvero l’avvertimento del contrario, quanto il sar-
casmo ovvero il riso sdegnato quanto dolente:

e l’indole e la ragione del riso è tanto più triste in fondo, quanto più
sguajato, più plebeo si rappresenta quel comico [...] La crudezza ap-
punto di questa rappresentazione che non s’arresta innanzi ai partico-
lari più sconci e triviali, anzi ci assalta con essi, dimostra che non c’è
affatto la compartecipazione di Dante alla commedia, e che perciò essa
non va considerata per sé, nella sua volgare sconcezza, ma in relazione
col poeta che solo non ne ride né può riderne SI 1058

E, ancora una volta, è riconoscibile il ‘sentimento del contrario’ o,


come meglio si ritiene di poter connotare la definizione teoretico-esteti-
ca, con le parole assolutamente non concettose ‘immaginate’ da Pirandel-
lo, “la fiaccola accesa del sentimento e l’acqua diaccia della riflessione”:

17
Per i riscontri di tutti i saggi menzionati cfr., s. v. , SI, cit.
16 Rino Caputo

Abbiamo detto che, ordinariamente, nella concezione d’un’opera


d’arte, la riflessione è quasi una forma del sentimento, quasi uno spec-
chio in cui il sentimento si rimira. Volendo seguitar quest’imagine, si
potrebbe dire che, nella concezione umoristica, la riflessione è, sì, come
uno specchio, ma d’acqua diaccia, in cui la fiamma del sentimento non
si rimira soltanto, ma si tuffa e si smorza: il friggere dell’acqua è il riso
che suscita l’umorista; il vapore che n’esala è la fantasia spesso un po’
fumosa dell’opera umoristica.18

Vapori e fumi che dallo spazio infernale risalgono nella superficie


della vita umana in terra:

e non rideremo più neanche noi, allora, perché avremo inteso che qui
c’è un sarcasmo; il sarcasmo, che non è mai commedia, ma è sempre
un dramma che non può rappresentarsi tragicamente come dovrebbe,
poiché troppo buffi, indegni e solo meritevoli di disprezzo sono gli
elementi e le ragioni ond’è determinato (ibid. ).

Ma siamo ancora nell’oltremondo e Pirandello, con Dante, ha da


fare con esseri non umani, anche se molto intrisi di condizione terrena.
Basterà, in terra e nella società degli uomini, aggiungere al sarcasmo,
così profondamente avvertito dopo gli anni di guerra, quella dolente
partecipazione già evidenziata nella testimonianza autobiografica a ri-
dosso dell’inizio della Grande Guerra:

La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che si in-
gannano; ma questa compassione non può non essere seguita dalla fe-
roce irrisione del destino, che condanna l’uomo all’inganno. Questa, in
succinto, la ragione dell’amarezza della mia arte, e anche della mia vita
SI 1110

Ed ecco perciò che, infine, un’‘imagine’, già affiorata dalle zone car-
siche della sua mente prima durante e dopo la sua attività di critico
dantesco, potrà assurgere a rappresentazione perfetta della sua arte di
Autore. Come in Illustratori, Attori e Traduttori, terzo capitolo di Arte e
Scienza, del 1908, in cui Pirandello asserisce:

Il fenomeno più elementare che si trova in fondo all’esecuzione


d’ogni opera d’arte è questo: un’imagine […] L’esecuzione bisogna che
balzi viva dalla concezione SI 643;

18
Cfr. la più recente edizione, criticamente rivista e aggiornata, Luigi Pirandel-
lo, L’Umorismo, a cura di Giuseppe Langella e Davide Savio, Milano, Mondadori
Oscar Moderni, 2019, p. 132 e 138. Cfr. altresì SI 924.
Il Personaggio e l’Autore. Pirandello celebra Dante 17

e, recensendo la Francesca da Rimini di G. A. Cesareo (nella “Nuova


Antologia” del 1 febbraio 1905), pur ammettendo fin dall’inizio la di-
scendenza-dipendenza dal maggior precedente di D’Annunzio, Piran-
dello loda l’operazione compiuta dall’amico e sodale corregionale ad-
dirittura come miglior esito artistico rispetto all’opera che l’ha ispirata:

Ma il fascino che emana dall’amore e dalla morte dei due cognati,


dopo la consacrazione eterna che nell’Inferno stesso ne fece Dante[…]
viene quasi irresistibile a ogni poeta la tentazione di cimentarsi in esso
SI 483

Ma, come si suol dire, ‘de te fabula narratur’, e Pirandello si sostitui-


sce a Cesareo, dopo aver criticato D’Annunzio, esibendo esplicitamen-
te i tratti caratteristici della sua propria arte:

A lui certamente dovette sembrar soffocata sotto tutto l’ambizioso


armamentario storico del poeta abruzzese la tragica passione di Fran-
cesco e di Paolo; dovettero sembrargli inconsistenti questi due perso-
naggi oppressi da quella soverchia decorazione scenica; e d’improvviso
dovette nascere in lui una estrosa simpatia per essi; se li vide balzar vivi
dinanzi e li lasciò vivere liberamente nella sua fantasia SI 484

“Balzar vivi su la scena”, come lo scrittore aveva intuito, da giovane,


forse già sulle ‘argille azzurre’ del ‘Càvusu’.19
Alla vigilia della composizione definitiva e della prima rappresenta-
zione assoluta dei Sei Personaggi in cerca d’Autore, si può perciò davvero
osservare, anche oggi, nelle concomitanti ricorrenze celebrative, che il
Personaggio Dante ha trovato in Luigi Pirandello il suo Autore.

19
Cfr., per ogni riscontro, oltre a più recenti contributi, il mio Il piccolo Pa-
dreterno, cit.
Sei personaggi trovano due (o vari) autori:
le vie traverse del successo dei Sei personaggi
nel mondo di lingua tedesca
di Michael Rössner

Il mio successo e la mia fama mondiale non cominciano affatto


dal giorno che la critica drammatica scopre, o crede di scoprire, la mia
ideologia, ma dal giorno che la Stage Society di Londra e il Pemberton
di New York, senza sapere nulla della mia ideologia, rappresentano Sei
personaggi in cerca d’autore e a New York le repliche filano per undici
mesi di seguito; dal giorno che a Parigi per tutto un anno si rappresen-
tano i Sei personaggi alla Commedia dei Campi Elisi... (Lettera a Silvio
D’Amico, datata Agrigento, 29 novembre 1927)1

Benché scritta nel contesto del conflitto tra Luigi Pirandello e l’am-
biente teatrale del suo tempo che impediva il successo della sua compa-
gnia, la lettera svela una verità oggettiva: la fama mondiale di Pirandello
Premio Nobel non è dovuta unicamente o innanzitutto al pubblico ita-
liano, ma al pubblico europeo ed americano, e questa fama è legata al
trionfo dei Sei personaggi, la cui prima assoluta ebbe luogo cento anni fa
e finì in uno scandalo, una rissa tra ammiratori e denigratori nelle strade
di Roma. Nella lettera, Pirandello però tralascia di fare riferimento ad
una messinscena straniera che ebbe il maggior effetto a livello nazionale,
facendo dell’agrigentino negli anni seguenti l’autore più rappresenta-
to sulle scene germanofone: la messinscena berlinese dei Sei personag-
gi sotto la regia del “mago del teatro”, l’austriaco Max Reinhardt. È
strano che non abbia menzionato quest’interpretazione, innanzitutto
se pensiamo che nell’anno seguente l’autore, abbandonando il mestiere
di capocomico, lascerà l’Italia per stabilirsi proprio a Berlino. Può darsi
che l’omissione sia meramente dovuta al fatto che la messinscena di
Reinhardt ebbe luogo dopo quelle già menzionate di Londra, New York
e Parigi; ma può darsi anche che ci fosse un’altra ragione, un conflitto
sotterraneo con questo “mago” austriaco a guida dei teatri berlinesi – un
conflitto che più tardi scoppierà in occasione del fallimento strepitoso
di Questa sera si recita a soggetto a Berlino nel 1930.

1
Lettera a Silvio D’Amico, in A. Barbina (a cura di), Taccuino pirandelliano.
Pirandello, D’Amico, Gobetti, in: Ariel, XI, n. 1, gennaio-aprile, 209-224; qui: p.
214-215.
20 Michael Rössner

Cercherò di mostrare le possibili ragioni di un distanziamento di


Luigi Pirandello dal successo dei Sei personaggi nel mondo tedesco of-
frendo una relazione succinta del destino di quest’opera nell’anno 1924,
anno delle prime rappresentazioni in varie città austriache e tedesche.
Sorprendentemente, la prima assoluta in lingua tedesca ebbe luogo
non in Germania, ma in Austria, il 4 aprile 1924. Il Renaissancetheater
viennese era un luogo adatto, giacché specializzato nei drammi dell’e-
spressionismo tedesco, soprattutto di Georg Kaiser, e Pirandello sem-
brava un autore straniero assai vicino a questa estetica. Infatti, per ren-
derlo più visibile, il dramma che stanno provando gli attori all’inizio dei
Sei personaggi fu cambiato da Il gioco delle parti dello stesso Pirandello a
un’opera di Kaiser. E non fu l’unica modifica al testo.
Dobbiamo partire dalla traduzione stessa il cui autore, sebbene non
nominato nella versione stampata da Felix Blochs Erben a Berlino, fu
molto probabilmente Hans Feist, il traduttore preferito dei primi dram-
mi con cui Pirandello dovette poi confrontarsi in vari processi davanti
ai tribunali. Già quarant’anni fa mostrai come questa traduzione fosse
piuttosto un adattamento tendente a eliminare o almeno ridurre gli ele-
menti filosofici del testo e prono a inserire invece battute, insinuando
un carattere simbolico dei sei personaggi, convertendoli cioè in simboli
della conditio humana in genere.2
Inoltre, i registi della prima viennese ovviamente considerarono il
testo di questa traduzione meramente come un canovaccio da svilup-
pare liberamente. Cominciando con le scene iniziali tra gli attori dove
Pirandello infatti lasciava spazio per un adattamento al contesto locale
– e che dalle sei pagine dell’originale diventarono ben ventiquattro nel
copione del Raimundtheater – fino alla fine dell’opera che i due registi
– Karlheinz Martin e il direttore del teatro, Rudolf Beer che aveva preso
anche il ruolo del capocomico – riscrissero completamente. Nella loro
versione sono gli attori che – improvvisando – arrivano a una fine vera-
mente psicanalitica: i due attori che impersonano il Figlio e la Figliastra
si confessano reciprocamente il loro amore incestuoso, e i rispettivi per-
sonaggi riconoscono questa verità rivelata dal teatro quando la figliastra
sospira “Dio mio! Così siamo veramente!” (III/18)3. Così, non avvie-

2
M. Rössner: „Auf der Suche nach Pirandello. Zur deutschen Pirandello-Re-
zeption der ersten Stunde anhand unveröffentlichter Regiebücher von Karlheinz
Martin/Rudolf Beer und Max Reinhardt“, in: Italienisch 16 (November 1986),
22-38; p. 25.
3
Cito dal copione del Renaissancetheater (tiposcritto con note inserite a mano)
che si trova nell’archivio del Theatermuseum di Vienna, indicando il numero di
pagina).
Sei personaggi trovano due (o vari) autori 21

ne la morte dei due bambini, e dopo questa “rivelazione” i personaggi


scompaiono, mentre l’usciere del teatro manda il pubblico a casa.
Non è soltanto la fine che è opera dei registi viennesi: la maggior par-
te di questo copione non è né di Pirandello né del traduttore anonimo,
sono scherzi sulla realtà del teatro, lazzi e persino schiaffi; sono inoltre
citazioni di altre opere, perché gli attori sbagliano sempre inserendo il
testo di Kaiser o anche provando un’opera di Schiller negli intervalli.
Non sorprende dunque che i critici dei giornali vedessero in que-
sta “commedia da fare” piuttosto una farsa divertente e concludessero:
“Non c’è niente che conduca a un momento importante, profondo”.4
D’altronde, bisogna confessare che questi critici non avevano la più
pallida idea di chi era quest’autore italiano che a volte viene chiamato
“Pirandelli”, descritto come uno che “aveva lavorato occasionalmente
come medico”5 e che viene presentato come un “sudtirolese realmente
esistente”6 o addirittura come lo pseudonimo di un famoso umorista
viennese, Alfred Polgar.7 L’unico critico ben informato, Anton Kuh,
invece espone tutte le modifiche di Beer e Martin e conclude che “Il
Raimund-Theater usa la commedia di Pirandello come canovaccio…
Un trionfo del regista ai danni del poeta”8
Così, la prima assoluta dei Sei personaggi – o di quel misto tra ele-
menti della commedia pirandelliana e scherzi sul teatro viennese – ebbe
un discreto successo come farsa leggera, ma non lasciò impronte durevo-
li, nonostante il fatto che i due registi – Rudolf Beer e Karlheinz Martin
– fossero persone serie. Beer lavorava in stretta collaborazione con Max
Reinhardt e nel 1932 divenne il successore di Reinhardt al Deutsches
Theater di Berlino, benché un anno dopo dovette lasciare a causa della
presa di potere da parte dei nazionalsocialisti che nel 1938, dopo l’inva-
sione dell’Austria lo torturarono fino a spingerlo a suicidarsi. Karlheinz

4
Ins wirklich Bedeutsamere, Bedeutendere fuhrt nichts.” (Wiener Mittagszei-
tung, 5.4.1924, p. 2, firmato “L.U.”.
5
Arbeiter-Zeitung, 12 aprile 1924, p. 6.
6
Illustriertes Wiener Extrablatt, 6 aprile 1924, p. 6.
7
„Dieser Pirandello ist ein verdächtiger Gesello. Er scheint an den Gewässern
des Alserbaches mehr als an denen des Tiber und Arno zu Hause zu sein, denn
sein Stück ist wienerisch durch und durch. Eingeweihte flüsterten denn auch bei
der gestrigen Premiere einen Namen, der mit Ρ anfangt und mit , olgar‘ endigt,
vielleicht heißt das auf italienisch Pirandello.” (Questo Pirandello è un tipo so-
spetto che sembra essere a casa non sulle rive del Tevere o dell’Arno, ma su quelle
dell’Alserbach [un ruscello che attraversa Vienna]. Le persone ben informate infatti
sussurravano durante la prima un nome che comincia con la „P“ e finisce con „ol-
gar“ – forse in italiano questo si traduce per Pirandello) - Neuigkeits-Welt-Blatt, 6
aprile 1924, firmato„treu””.
8
Die Stunde, Vienna, 6 aprile 1924, p. 6).
22 Michael Rössner

Martin era tra i registi che a Francoforte e Berlino erano responsabili del
successo del teatro avanguardistico e espressionista finché i nazisti nel
1940 gli proibirono di lavorare in teatro. Non si spiega dunque perché
questi due non riconobbero il valore rivoluzionario della “commedia da
fare” e invece la usarono come un canovaccio per una farsa leggera. In
ogni caso, si credevano in diritto di agire da autori – gli autori che i sei
personaggi cercavano, senza rendersi conto che l’opera pirandelliana si
burla proprio di questi autori che ripetono sempre gli stessi schemi, sia
che si tratti del dramma naturalista, sia della farsa superficiale.
Alla farsa viennese seguirono varie altre messinscene in Germania,
da Francoforte sul Meno fino a Francoforte sull’Oder; ma quella più
importante, decisiva per il successo dell’opera fu sicuramente la produ-
zione berlinese di Max Reinhardt il 30 dicembre 1924 al teatro Komödie
sul Kurfürstendamm. Per Reinhardt quelli sono anni di nuove conqui-
ste, dacché aveva lasciato la direzione dei suoi teatri berlinesi nel 1920.
Nel 1922 aveva fondato insieme con Hugo von Hofmannsthal il Fe-
stival di Salisburgo, i cui Jedermann e Großes Salzburger Welttheater(“Il
Grande Teatro del Mondo di Salisburgo”) furono presentati sotto la
regia di Reinhardt proprio durante questo Festival. Il secondo di questi
drammi è concepito come un riadattamento del quasi omonimo pezzo
di Calderón de la Barca (El gran teatro del mundo), un auto sacramental
del Seicento, nel quale Dio si presenta come “autore” (il che nella ter-
minologia dell’epoca significava non l’autore del testo, ma l’impresario,
il capocomico e il regista), il mondo come scena e i ruoli come arche-
tipi umani (il re, il ricco, il contadino, il mendicante) da interpretare
durante la vita terrena o come allegorie (la bellezza, la discrezione, la
fede, le buone opere). La prima di quest’opera ebbe luogo in una chiesa
di Salisburgo, e Max Reinhardt insiste nell’importanza della relazione
tra chiesa e teatro quando dice nel 1924: “La chiesa, e in particolare la
chiesa cattolica, è la vera culla del teatro”9.
Non sorprende dunque che Reinhardt vedesse nella “commedia da
fare” un adattamento dello schema calderoniano al mondo moderno,
dopo la morte di Dio dichiarata da Friedrich Nietzsche, un mondo nel
quale l’autore/Dio è venuto a mancare e dunque i personaggi/uomini
sono stati abbandonati, vivono una vita senza meta trascendentale. La
traduzione – come abbiamo visto – facilitava questa tendenza interpre-
tativa, ma a Reinhardt non bastava: come si può vedere nel suo copione

9
„Die Kirche, insbesondere die katholische Kirche, ist die wahre Wiege unse-
res modernen Theaters“ - in: H. Fetting (Hg.), Max Reinhardt, Schriften. Briefe,
Reden, Aufsätze, Interviews, Gespräche, Auszüge aus Regiebüchern, Berlin-Ost, 1974,
p. 337.
Sei personaggi trovano due (o vari) autori 23

che ho scoperto in un archivio viennese quarant’anni fa, più della metà


del testo rappresentato era opera del regista che cambiava, aggiungeva,10
interpolava, inventando a suo agio. La tendenza all’uso di termini del
linguaggio biblico o liturgico si mostra già nel fatto che Reinhardt quasi
sempre sostituisce la parola “autore” con “creatore”. Dapprima, il capo-
comico lo usa quando dice al suggeritore che richiede il testo mancante:
“Di più non c’è. Dicono che il loro creatore non avrebbe compiuto il
loro destino.”11 Tre pagine dopo la cosa si fa ancora più esplicita:

FIGLIO. Io qui non c’entro per niente. [in tedesco l’espressione idio-
matica si tradurrebbe letteralmente come: non ho niente da cercare]
CAPOCOMICO. Ah, Lei non avrebbe nulla da cercare qui? Pensa-
vo fosse in cerca di un autore?
FIGLIO. Ah, io non ci credo a quell’essere supremo che sarebbe
capace di dirigere i nostri passi.12

Altre due pagine dopo siamo arrivati a una vera e propria discussione
teologica – tutta opera di Reinhardt, non di Pirandello:

CAPOCOMICO. … Alla fine vogliamo avere chiarezza, […] ami-


co mio. Vogliamo parteggiare per qualcuno e sapere di chi è la colpa.
IL PADRE. Nel fondo siamo tutti colpevoli. Abbiamo fatto soffrire
il nostro prossimo. Ma Lui ci ha creato per questo! Il nostro creatore ha
formato così la nostra natura. Non potevamo fare altrimenti. Alla fine
ogni creatura è senza colpa.
CAPOCOMICO. Eh, ma il vostro creatore non ha portato a ter-
mine il vostro dramma. Così ha lasciato spazio alla vostra libera volontà
e – e qui comincia la vostra propria responsabilità, caro mio!13

In questo dialogo Reinhardt trasferisce il problema del personaggio


che cerca una forma letteraria alla sfera della conditio humana in una
cornice cattolica – il problema dell’autonomia dell’essere umano che

10
Il copione, datato 17/10/1924, si compone di 152 fogli grandi sui quali
sono incollate le pagine della traduzione stampata con le modifiche e aggiunte di
Reinhardt; alcune di queste pagine sono interamente scritte da lui. Il copione si
trova attualmente nella biblioteca del Theatermuseum di Vienna.
11
Copione, p. 70: „Nein, mehr ist nicht da. Sie behaupten, ihr Schöpfer habe
ihr Schicksal nicht vollendet.“
12
„SOHN.... Ich habe hier nichts zu suchen.
DIREKTOR. Sie haben hier nichts zu suchen? Ich denke, Sie suchen einen
Autor?
SOHN. Ach, ich glaube nicht an dieses höhere Wesen, das unsere Schicksale
lenken konnte.” - Copione, p.74a (errore, è invece la pagina 73).
13
Copione, p. 75.
24 Michael Rössner

può e deve decidere tra il bene e il male. In altri passaggi, il regista – o


meglio co-autore – focalizza più sul carattere del teatro come spazio
metafisico, un aspetto che svilupperà più tardi anche nel suo famoso
Discorso sull’attore (Speech on actors) alla Columbia University (febbraio
1928). Nel copione di Reinhardt, il Padre si ribella contro l’interpreta-
zione del Capocomico:

IL PADRE. Ma che sta facendo? Lei si prende gioco di noi […] Lei
offende l’uomo che ci ha creato a sua immagine e somiglianza. […] Lei
non ci lascia neanche finire il nostro cammino di sofferenza come il
nostro creatore lo ha concepito per noi.
CAPOCOMICO. Perbacco, sogno o son desto? Lei è stato vera-
mente abbandonato da – dal suo creatore?14

E nel Discorso sull’attore, Reinhardt dirà tre anni dopo:

Se siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio, qualcosa


dell’energia creativa di Dio dev’essere dentro di noi. Perciò creiamo il
mondo intero ancora una volta nell’arte, e nell’ultimo giorno della cre-
azione, come coronamento della creazione, creiamo l’uomo a nostra
immagine e somiglianza.15

Strano effetto: la commedia da fare di Pirandello non è servita a


Reinhardt soltanto come base d’ispirazione per la sua realizzazione sce-
nica, ma persino per lo sviluppo della sua teoria del teatro. Con Max
Reinhardt, i sei personaggi indubbiamente avevano trovato un autore
capace di completare la commedia da fare in un modo convincente,
benché in una versione diametralmente opposta a quella del testo ori-
ginale. Mentre Reinhardt mostra il teatro come immagine simbolica di
una realtà che sempre porta l’insegna di un Dio – sebbene di un Dio
assente, il testo pirandelliano pone l’accento sulla teatralizzazione della
realtà, rivelando così la natura illusoria di questa. Max Reinhardt creò la

14
„VATER....was tun Sie? Sie spielen mit uns. (...) Sie beleidigen den Men-
schen, der uns nach seinem Ebenbild geschaffen hat. (...) Sie lassen uns nicht ein-
mal unseren Leidensweg zu Ende gehen, wie ihn unser Schöpfer vorgezeichnet hat.
DIREKTOR. Ja, zum Teufel, träum ich oder wach ich? Sind Sie denn ganz von
-von Ihrem Schöpfer verlassen?” (Copione, pp. 85/86).
15
„Wenn wir nach dem Ebenbilde Gottes erschaffen worden sind, dann haben
wir auch etwas von dem göttlichen Schöpferdrang in uns. Deshalb erschaffen wir
die ganze Welt noch einmal in der Kunst, und am letzten Schöpfungstage, als
Krone der Schöpfung, erschaffen wir den Menschen nach unserem Ebenbilde.“
- Max Reinhardt, „Über den Schauspieler” in Ausgewählte Briefe, Ideen, Schriften
und Szenen aus Regiebüchern, F. Hadamovsky (ed.), Vienna 1963, pp. 89-92, p. 91.
Sei personaggi trovano due (o vari) autori 25

commedia pirandelliana “a sua immagine e somiglianza” per così dire, e


così fece di Luigi Pirandello il drammaturgo preferito dai tedeschi nella
decade degli anni 1920. Con 131 repliche, la sua messinscena fu un
successo strepitoso, e nella stagione seguente, Pirandello divenne infatti
l’autore più rappresentato sulle scene di lingua tedesca in assoluto.
Non sarà dunque stata soltanto la nostalgia degli anni da studente
a Bonn che spinse il direttore della compagnia Pirandello a venire in
Germania con una tournée del suo Teatro d’Arte nel 1925, dopo il fal-
limento della prima esperienza del teatro Odescalchi a Roma. E non
sorprende che la sua compagnia portò in Germania una messinscena
del proprio autore della sua commedia più conosciuta in quel paese, Sei
personaggi in cerca d’autore. Pirandello fu accolto con tutti gli onori, si
organizzarono dappertutto feste, cene di gala, ricevimenti; ma la critica
tedesca fu scettica verso l’interpretazione che Pirandello diede della pro-
pria commedia, dopo aver visto l’opera impressionante di Reinhardt,16
e il noto critico Julius Meier-Graefe scrisse nella sua recensione della
rappresentazione berlinese del Teatro d’Arte:

Il dramma […] è la tipica Europa moderna e non può essere rap-


presentato se non con i nostri mezzi. Il popolino teatrale del paese di
Dante, appena diventato sedentario, non ne ha idea. Non ancora! 17

Così, la storia del successo di Pirandello in Germania sembra basarsi


su un fraintendimento, e può darsi che questo fatto indusse l’autore a
“dimenticare” Berlino nella lettera citata all’inizio; può darsi pure che
contribuì anche allo scandalo della prima berlinese di Questa sera si re-
cita a soggetto, la terza commedia della Trilogia del Teatro sul Teatro,
scritta in Germania e per la scena tedesca. Nelle lettere a Marta Abba,
Luigi Pirandello dava la colpa al suo ex-traduttore Feist, ma anche agli
ammiratori di Reinhardt che avrebbero visto erroneamente nel regista
Hinkfuss, protagonista di Questa sera…, una caricatura del famoso re-
gista austriaco. A Pirandello questo parve assurdo, poiché aveva offerto
la regia proprio a Max Reinhardt e gli aveva anche dedicato l’opera.
Ciò nonostante, forse incoscientemente, il drammaturgo Pirandello po-

16
Infatti, il critico Rudolf Pechel aveva chiamato Reinhardt nella sua recensione
della messinscena del 30 dicembre 1924 „il vero autore della serata“ - la citazione
si trova in Oscar Büdel, „Pirandellos Wirkung in Deutschland“, in Franz Menne-
meier (ed.) Der Dramatiker Pirandello, Colonia 1965, pp. 209-239, a pagina 214.
17
„Das Stück (...) ist das typische moderne Europa und kann nur mit unseren
Mitteln dargestellt werden. Das eben erst seßhaft gewordene Theatervölkchen aus
dem Lande Dantes ahnt das nicht. Noch nicht!” - Meier-Graefe in: Frankfurter
Zeitung del 14 ottobre 1925.
26 Michael Rössner

trebbe avere dato corpo a questo conflitto tra due autori trovati dai sei
personaggi, proprio attraverso il personaggio di un regista che entra in
scena dicendo che ha preso una novella di Pirandello come mero pre-
testo dello spettacolo della serata, uno spettacolo che invece sarà tutto
unicamente opera sua.
Infatti, Reinhardt nel 1924 aveva non soltanto cambiato il carat-
tere simbolico dell’opera, ma anche materialmente la fine della stessa:
la scena tra Madre e Figlio che da Pirandello non ha luogo perché il
Figlio si rifiuta di farla, da Reinhardt viene almeno cominciata, ed è
la disperazione della Madre in questo dialogo che induce il ragazzo al
suicidio, non la morte della bambina annegata – che Reinhardt omette
di mostrare. Se la fine di Beer e Martin aveva “rivelato” un fondo psica-
nalitico, quella di Reinhardt cercava di costruire un fondo psicologico,
mentre in Pirandello la fine irrompe come un’assurdità, preparando il
terreno alla confusione conclusiva tra finzione e realtà.
Quando nel 1934, dopo l’ascesa al potere dei nazisti in Germania,
Reinhardt era tornato al suo teatro di nuova fondazione a Vienna, il
Theater in der Josefstadt, egli riprende interamente il copione berlinese
di dieci anni prima. L’unica differenza sono i tagli necessari - ovviamen-
te la rappresentazione doveva avere una durata minore – e un’idea nuo-
va per la fine: stranamente il Capocomico lascia intendere adesso non
soltanto di voler portare a compimento la commedia da fare, ma di vo-
lerla concludere con un lieto fine, quando dice nel terzo atto: “Cercherò
di arrivare a un happy end”, aggiungendo poi, diretto alla Figliastra: “Se
Lei se ne va, Signorina, forse funzionerà. Forse riusciremo a riunire di
nuovo i Suoi genitori”, e poco dopo, guardando le proprie note, annun-
cia: “Voglio arrivare a un happy end con l’aiuto dei bambini”.18 Non è
chiara la ragione di questa conversione della commedia da fare in com-
media vera e propria con tanto di lieto fine, poiché Reinhardt nel 1934
non cambiò la “sua” fine messo in scena a Berlino nel 1924.
Nelle relazioni personali, questa “concorrenza” tra i due autori
Reinhardt e Pirandello non condusse però a un’opposizione aperta o
addirittura inimicizia, al contrario: quando Reinhardt porta la sua mes-
sinscena viennese dei Sei personaggi a Milano il 2 maggio 1934, invita
Pirandello ad assistere, e nel commento dell’autore nella sua lettera a
Marta Abba del 4 maggio il suo giudizio appare non completamente
negativo, anche se deve ovviamente – come sempre nelle lettere all’at-
trice– assicurare alla “sua Marta” che nessuna attrice è alla sua altezza:
“Buono il primo atto; forzati e falsi gli altri due, incomparabilmente

18
Copione Reinhardt datato 27 febbraio – 6 marzo 1934, 164 pagine mano-
scritte con note manoscritte del regista, p. III/2 a tergo, III/4 e III/8.
Sei personaggi trovano due (o vari) autori 27

inferiore tutto il lavoro alla nostra, cioè alla Tua interpretazione”.19 E


nell’opuscolo che accompagna la tournée di Reinhardt in Italia, si trova
persino un grande elogio del regista austriaco firmato Luigi Pirandello:

Max Reinhardt è incontestabilmente tra quanti sono maestri della


scena, il più grande, perché più di tutti ha compreso che da quanto gli
ha dato il poeta, da quanto possono dargli gli attori, il maestro di scena
deve creare tutta insieme e momento per momento una vita, che sia
a un tempo meno reale e tuttavia più vera, come quella fissata in una
forma dal poeta; meno vera e tuttavia più reale, come quella tradotta in
movimento dall’attore.20

Il contatto con Reinhardt non si allenta neanche quando l’attività


del regista austriaco punta sempre più agli Stati Uniti dove andrà in
esilio dopo l’invasione dell’Austria da parte dell’esercito di Hitler nel
1938. Un mese prima della propria morte, Pirandello scrive a Marta
Abba21 che la casa Warner Brothers stava per concludere un contratto
con Reinhardt per un film sui Sei personaggi; in un’intervista con L’I-
talia letteraria del 1 ottobre 1936, l’agrigentino descrive anche la tra-
ma di questo film in una maniera che sembra avvicinarsi a quella della
“Film-Novelle”, una specie di abbozzo di un film scritto da Adolf Lantz
e Luigi Pirandello a Berlino nel 1929 e pubblicato a Berlino dall’editore
Reimar Hobbing nel 1930: Luigi Pirandello stesso avrebbe interpreta-
to l’autore tormentato dai propri personaggi che, inorridito dal tragico
fine con il suicidio del ragazzo, decide di abbandonarli al loro destino.
L’intervista che è presentata come un riassunto fatto dal giornalista si
conclude con l’affermazione che Reinhardt “si occuperà del resto” e che
“sicuramente lo farà in una maniera grande e bella”. 22
Semmai Warner Brothers lo avessero prodotto, questo film sarebbe
stato un lavoro per il mondo inglese. Nel mondo germanofono, infatti,
i Sei personaggi e tutta l’opera pirandelliana scompaiono con il nazismo,
almeno dopo la proibizione della messa in scena della Favola del figlio
cambiato da parte del governo dell’Assia e dei testi dei suoi drammi
tradotti da traduttori ebrei (il che valeva praticamente per tutte le sue
opere).
Negli anni 1950, quando Pirandello è presentato come un esisten-

19
L. Pirandello Lettere a Marta Abba (LMA), a cura di B. Ortolani, Milano,
Mondadori, 1995, p. 1131.
20
L. Pirandello, Saggi e interventi (ed. Ferdinando Taviani), Milano, Mondado-
ri (I Meridiani), 2006, p. 1469.
21
Op. cit., p. 1378
22
L’Italia letteraria, 1 ottobre 1936 – intervista a Pirandello firmata C.E.
28 Michael Rössner

zialista avant la lettre, rinasce l’interesse per la sua opera, e nel 1963,
l’editore Langen-Müller di Monaco di Baviera pubblicò due tomi dei
suoi drammi in nuove traduzioni di un certo Georg Richert.23 Segue
una fase di una discreta presenza dell’opera pirandelliana sulle scene
tedesche, ma questa presenza si riduce quasi esclusivamente a una sola
commedia nella Germania dell’Ovest, in Svizzera e in Austria: Sei perso-
naggi in cerca d’autore (58 messinscene tra 1950 e 1986). Per decenni, i
Sei personaggi erano anche l’unico testo stampato in tedesco disponibile
nella collezione popolare Reclam. Dichiarato il “gioco dell’impossibilità
del dramma” da Peter Szondi,24 si mantenne durante almeno quattro
decenni come parte del canone letterario.
Nella realizzazione scenica pare però che Reinhardt non fu l’ultimo
“autore trovato”. Sulla messinscena di Klaus Grüber nella Berliner Volk-
sbühne nel 1981, la critica scrisse sotto il titolo “Sei personaggi trovano
un autore. Klaus Michael Grüber rifiuta una messinscena di Pirandel-
lo”: “Il dramma di Pirandello dunque non ha luogo. Ciò che ha luogo,
è il dramma di Grüber. In questa serata, i sei personaggi hanno trovato,
nonostante tutto, un autore: Klaus Michael Grüber. Lui ha sostituito la
categoria teatrale (il dramma) con una teologica (la verità). […]”25
Sostituire una categoria teatrale con una teologica? Il vero autore è
il regista? Sembra che la situazione berlinese del 1981 fosse esattamente
la stessa dell’anno 1924 – e una cosa simile si potrebbe dire di una mes-
sinscena di Ernst Haeusserman, ex-assistente di Reinhardt nel periodo
americano, al Theater in der Josefstadt di Vienna nel 1978 in cui si ri-
prendeva quasi senza ritocchi il copione di Reinhardt del 1934.
Negli ultimi trent’anni, la storia dei Sei personaggi sulle scene tedesche
è diventata più scarsa. Una messinscena del 1993 nell’Akademietheater
di Vienna, nel 2003 un’altra nel Schauspielhaus di Bochum sotto la regia
di Simon Gotscheff, nel 2008 la messinscena di Steffen Mensching nel
teatro di Rudolstadt (Turinga), nel 2009 la messinscena e adattamento
di Felix Prader nello Staatstheater di Magonza e più recentemente, nel
2018 la messinscena di Moritz Sostmann nello Schauspiel di Lipsia, nel-
la quale il regista sostituì i sei personaggi con fantocci, come se volesse
citare I giganti della montagna. Cinque messinscene in teatri grandi in
trent’anni non è molto. Bisogna però notare che la “commedia da fare”

23
Richert fu un personaggio inventato, la traduzione era opera di un gruppo di
tre persone tra cui Maria Müller-Sommer, direttrice della casa editrice Kiepenheuer
Bühnenvertrieb, persona di grande cultura responsabile del – benché limitato –
successo della sua opera in quelli anni.
24
P. Szondi, Theorie des modernen Dramas, Francoforte, Suhrkamp 1956.
25
H. Schödel, “Sechs Personen finden einen Autor”, in: DIE ZEIT 14/1981.
Sei personaggi trovano due (o vari) autori 29

ha esercitato una certa attrazione sul teatro di dilettanti o semi-profes-


sionisti come il gruppo Theaterensemble K nel Trotz-Alledem-Theater di
Bielefeld (1995), il gruppo svizzero RemiseBühni di Jegenstorf (2000),
il gruppo di Simon Köber di Dresda (2018) e per vari gruppi liceali di
teatro (Münster 2005, Lauingen 2009, Baden 2013). Possiamo anche
far menzione di una messinscena tedesca in un teatro dell’Alto Adige, il
Kleines Theater di Brunico (2003) con la regia di Bernhard Rothschild
e una strana “traduzione” al teatro musicale, l’opera di Claude Lenners:
Sechs Personen suchen einen Komponisten–“Sei personaggi in cerca di un
compositore”, una co-produzione in francese e tedesco tra Lussembur-
go e il Festival Ruhrfestspiele Recklinghausen nel 2017, che riproduce
la trama dell’opera pirandelliana, ma con un personale un po’ diverso;
invece di attori, troviamo sulla scena una piccola orchestra di donne
con un direttore d’orchestra, e i sei personaggi cercano un compositore,
perché vogliono raggiungere non la forma del dramma di prosa, ma
quella del teatro lirico.
L’ultimo tentativo di realizzare i Sei personaggi ebbe luogo già sotto
la pandemia attuale, il 21 agosto 2020 a Innsbruck (Austria) nel piccolo
teatro semiprofessionale Generationentheater die monopol – ovviamente
con pochi spettatori e di breve durata tra i due lockdown.
Vediamo dunque che negli ultimi tre decenni, i Sei personaggi si
sono fatti rari sulle scene di lingua tedesca – ma questo vale purtroppo
per tutta l’opera di Luigi Pirandello. Quando nel 2017, anno del 150°
compleanno dell’autore, ho provato a incitare alcuni direttori di teatri
a progettare una messinscena di una sua commedia, qualunque essa
fosse, mi hanno risposto che Pirandello era “passato di moda”. Non ci
credo; quello che è passato di moda per i registi tedeschi è lo studio di
testi scritti per il teatro. Preferiscono “dramatizzare” romanzi altrui per
vedersi come tanti Hinkfuss che controllano tutto e sono i veri autori
della serata. Non gli basta più presentarsi come co-autori come avevano
fatto Beer/Martin, Reinhardt ed altri.
Ciò nonostante, è un segno positivo che sia pur sempre presente un
forte interesse da parte dei giovani (alunni e gruppi semiprofessionali)
e forse può essere un simbolo di speranza il fatto che in mezzo alla crisi
COVID, i sei personaggi siano comunque apparsi su una scena teatrale
tirolese. Il tema della realtà mutabile, del carattere teatrale della realtà
che viviamo, della necessità di capire la diversità degli sguardi sul mon-
do, tutta la saggezza profonda che possiamo trovare nei dialoghi tra i
personaggi e i teatranti è più che mai attuale nel mondo del secolo XXI,
caratterizzato da Fake News e teorie cospiratorie. Abbiamo bisogno di
una dose costante di Pirandello ogni tanto – non soltanto ogni cinque
o dieci anni.
30 Michael Rössner

Bibliografia

I copioni di Beer/Martin e Reinhardt (1924) e (1934) si trovano negli archivi del


Theatermuseum di Vienna e/o del Theater in der Josefstadt di Vienna.
Oscar Büdel, „Pirandellos Wirkung in Deutschland“ (pubblicato dapprima in
una versione italiana nei Quaderni del Piccolo teatro, Milano, Nr. 1/1961),
poi nella traduzione tedesca di A. Czaschke e lo stesso Büdel in: Franz
Mennemeier (ed.), Der Dramatiker Pirandello, Colonia 1965, pp. 209-239.
Iris Plack, Die deutschsprachige Rezeption von Luigi Pirandellos Bühnenwerk,
Frankfurt/M., Berlin, Bern, Bruxelles, New York, Oxford, Wien: P. Lang
2002.
Michael Rössner, Auf der Suche nach Pirandello. Zur deutschen Pirandel-
lo-Rezeption der ersten Stunde anhand unveröffentlichter Regiebücher
von Karlheinz Martin/Rudolf Beer und Max Reinhardt“, in: Italienisch 16
(November 1986), pp. 22-38.
Michael Rössner, La fortuna di Pirandello in Germania e le messinscene di
Max Reinhardt, in Quaderni del teatro IX/N°34 (novembre 1986), pp. 40-
53.
Michael Rössner, La fortuna di Pirandello nel mondo di lingua tedesca, in:
Problemi (Periodico Quadrimestrale di Cultura, ed. G. Petronio), Sett.-
Dic.1986, pp. 298-305.
Michael Rössner, „‘Tradurre la Germania‘. La dimensione transnazionale
dell’opera di Luigi Pirandello“, in: Cornelia Klettke (a cura di), La Germa-
nia di Pirandello tra sogno e realtà (Atti del Convegno internazionale per il
150° anniversario della nascita di Luigi Pirandello), Berlin: Frank & Timme
2019, pp. 85-97.
Hans Ludwig Scheel, „Wie steht es mit der Präsenz Luigi Pirandellos auf
deutschsprachigen Bühnen nach dem Zweiten Weltkrieg? Provisorische
Überlegungen und Präliminarien für eine Dokumentation”, in: Johannes
Thomas (ed.), Pirandello-Studien. Akten des I. Paderborner Pirandello-Sym-
posiums, Paderborn 1984, pp. 77-93.
Johannes Thomas, „Aspekte deutscher Pirandello-Rezeption”, in: in: Johannes
Thomas (ed.), Pirandello-Studien. Akten des I. Paderborner Pirandello-Sym-
posiums, Paderborn 1984, pp. 95-105.
Grovigli d’autore e senno di poi.
Note sulla Prefazione ai Sei personaggi
di Pasquale Guaragnella

La Prefazione che nel 1925 accompagnava il testo dei Sei personaggi


– un testo largamente rivisto rispetto a quello del 19211 – era l’esito di
una vicenda lunga di dichiarazioni di poetica pronunciate da Piran-
dello, ma altresì di una storia in cui erano maturate non poche sue
dolorose esperienze famigliari.2 Precisi orientamenti di poetica erano
stati già espressi dall’autore in saggi o interventi critici degli anni pre-
cedenti oppure risultavano incastonati nel corpus delle opere narrative
da lui prodotte fino alla data della princeps dei Sei personaggi: erano,
questi ultimi sparsi orientamenti, quasi disposti come lacerti di una in-
quieta «conoscenza tacita» sulla funzione dell’arte nei tempi moderni.
La Prefazione portava in superficie, nelle forme di una risoluzione solo
apparentemente pacificata, «grovigli» agitatisi pure nel lavoro di com-
posizione dei Sei personaggi. Significativamente, nel volume curato da
Manlio Lo Vecchio-Musti dedicato ai Saggi, Poesie e Scritti varii, si può
leggere un foglietto databile tra il 1910 e il ’12, nel quale è la notizia di
un progetto di Pirandello sulla strana azione di alcuni personaggi:

Il bello è questo, che han lasciato me e si sono messi a rappresentare


tra loro le scene del romanzo, così come dovrebbero essere. Me lo rap-
presentano davanti, ma come se io non ci fossi, come se non dipendesse
da me, come se io non potessi in alcun modo impedirlo.3

Angelo Pupino ha osservato in proposito che non si può dire se


l’annotazione di Pirandello “sia narrativa o diaristica, né depongono di
necessità a favore della seconda ipotesi la prima persona e il tempo ver-

1
L. Pirandello, Maschere nude. Pirandello e il teatro, a cura di A. d’Amico,
Premessa di Giovanni Macchia, Milano, Mondadori, “I Meridiani”, 1993, vol. II.
Annamaria Andreoli ha sintetizzato con perizia le varianti scenico-tematiche tra le
due versioni. Rinvio alla sua Introduzione ai Sei personaggi in cerca d’autore, dal tito-
lo significativo Le maschere famigliari di un capolavoro, Milano, Mondadori, 2019,
p. LXIX. Da questo momento mi atterrò al testo dell’Andreoli.
2
G. Giudice, Luigi Pirandello, Torino, Utet, 1975.
3
L. Pirandello, Saggi, Poesie e Scritti varii, a cura di M. Lo Vecchio-Musti,
Milano, Mondadori, 1977, p. 1257.
32 Pasquale Guaragnella

bale del discorso, il presente, che è lo stesso di Personaggi”,4 novella non


compresa poi nella raccolta delle Novelle per un anno.
Senonché, a segnalazione di una dichiarata facilità di scrittura intor-
no alla composizione di un testo narrativo, non già drammaturgico, su
Sei personaggi, Corrado Alvaro pubblicava sulla “Nuova Antologia” del
gennaio del 1934 – all’interno di un corpus di Foglietti, poi riprodotti
sull’ “Almanacco letterario” Bompiani nel 1938 e in “Sipario” nel 1952
– una Lettera di Pirandello al figlio Stefano, datata al 23 luglio 1917, in
cui era l’anticipazione di un’opera che sembrava prossima:

Ma io ho già la testa piena di nuove cose!… Tante novelle… E una


stranezza così triste, così triste: Sei personaggi in cerca d’autore: romanzo
da fare. Forse tu intendi. Sei personaggi, presi in un dramma terribile,
che mi vengono appresso, per esser composti in un romanzo, un’osses-
sione, e io che non voglio saperne, e io che dico loro che è inutile e che
non m’importa di loro e che non m’importa più di nulla, e loro che mi
mostrano tutte le loro piaghe e io che li caccio via… – e così alla fine il
romanzo da fare verrà fuori fatto…5

Una ossessione. Pirandello aveva dunque annunciato al figlio, nel


1917, un romanzo “da fare”, un romanzo che, per le sue peculiari mo-
dalità di redazione, sarebbe venuto “fuori fatto” di lì a poco. In realtà,
come spesso avveniva per lo scrittore siciliano, le cose non sarebbero an-
date così come erano state pur disinvoltamente annunciate: dopo quel
1917 l’attività di scrittura di Pirandello doveva prendere altre direzioni.
Vero è che lo scrittore aveva informato il figlio Stefano pure della stesura
di “tante novelle” e che, nel folto delle novelle redatte in tempi recen-
ti, ve n’era una configurata intorno a un gruppo di personaggi che si
rivolgevano all’autore esprimendo la richiesta di “vivere”, di consistere
nella sua peculiare arte: si trattava di una meta-novella, nella quale la
riflessione teorica di Pirandello era riconoscibile ed era soprattutto in-
tesa a difendere e ribadire la sua poetica umoristica. Infatti, l’espediente
narrativo di una “udienza” negata dallo scrittore a personaggi i quali si
trovavano nella condizione di un vero e proprio “bisogno d’arte” era sta-
ta assunto da Pirandello solo due anni prima, in Colloqui coi personag-
gi. Nella novella si riconoscevano, drammaticamente rielaborati, due
motivi: uno di carattere strettamente artistico, ma l’altro derivante da

4
A. R. Pupino, Pirandello. Maschere e fantasmi, Roma, Salerno Editrice, 2000,
p. 74. Rinvio alla bella edizione a cura di Pietro Milone delle pirandelliane Novelle
della Grande Guerra, Roma, Nova Delphi Libri, 2017.
5
L. Pirandello, Sei personaggi, in Foglietti editi da Corrado Alvaro, in Id., Saggi,
Poesie, Scritti Varii, cit., p.1256.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 33

un grande evento di cronaca, e cioè l’entrata in guerra dell’Italia contro


l’Austria e a fianco delle potenze dell’Intesa.
Il primo motivo, dunque, riguardava evidentemente l’autonomia dei
personaggi dal loro autore, motivo non certo nuovo nella produzione,
anche saggistica, di Pirandello; il secondo motivo, con il suo carattere in-
vasivo, era segnato dalle conseguenze psicologiche provocate dal conflit-
to in atto, con le sue devastazioni, e segnate da un inespresso timore per
la sorte del figlio primogenito, Stefano, già destinatario della chiamata
alla leva militare. Probabilmente, nell’ambito delle idee più diffusamen-
te vulgate intorno all’opera di Pirandello, bisognerebbe sottolineare più
di quanto generalmente non si faccia, il trauma psicologicamente “per-
turbante” che la Grande Guerra produsse sulla riflessione dello scrittore
agrigentino e sulla sua arte. Basterebbe pensare all’idea d’apertura che
presiedeva ai Colloqui coi personaggi, novella pubblicata sul “Giornale di
Sicilia” per l’appunto nell’agosto del 1915.6 Recitava l’incipit:

Avevo affisso alla porta del mio studio un cartellino con questo
AVVISO
Sospese da oggi le udienze a tutti i personaggi, uomini e donne,
d’ogni ceto, d’ogni età, d’ogni professione, che hanno fatto domanda
e presentato titoli per essere ammessi in qualche romanzo o novella.
N.B. Domande e titoli sono a disposizione di quei signori perso-
naggi che, non vergognandosi d’esporre in un momento come questo
la miseria dei loro casi particolari, vorranno rivolgersi ad altri scrittori,
se pure ne troveranno.7

Il testo dell’Avviso si è ritrovato pure in una carta di unTaccuino segre-


to di Pirandello, pubblicato a cura di Annamaria Andreoli, e la studio-
sa ha giustamente osservato che «la sortita metaletteraria […] sembra
spalleggiare […] il progetto romanzesco di cui Pirandello discute con
il figlio prigioniero il 23 luglio 1917»; ma soprattutto «ciò che addita,
perentorio, il taccuino» è il fatto che, rendendosi disponibile a un uso
provvisorio, «l’attesa delle “parole in cerca d’autore” può durare anni»: a
segno che “quasi un lustro separa il disegno narrativo dalla realizzazione
teatrale” dei Sei personaggi. 8
“Un momento come questo” si leggeva nel Taccuino segreto così

6
Si veda L. Pirandello, Novelle per un anno, a cura e con un saggio di P. Gi-
bellini, Prefazioni e Note di N. Gazich, M. Strada, G. Prandolini, Firenze, Giunti,
1994, p. 2682.
7
Ibidem.
8
Rinvio a L. Pirandello, Taccuino segreto, a cura e con un saggio di A. Andreoli,
Milano, Mondadori, 1997, p. 182.
34 Pasquale Guaragnella

come nell’Avviso in esordio della novella: ed era un esplicito riferimen-


to alla guerra in corso, dichiarata dall’Italia all’Austria nel maggio di
quell’anno. In termini di riflessione d’arte era enunciato l’interrogativo
sulla plausibilità della scrittura e dell’arte a fronte di una tragedia im-
mane come la guerra, le cui vicende, già su altri fronti, in particolare
nel Belgio, avevano disvelato in pieno la violenza e l’orrore. Tra l’altro,
nella novella, Pirandello delegava a un personaggio – richiedente udien-
za all’autore – il “lamento” sulla sorte del figlio che, alla dichiarazione
di guerra, era destinato a raggiungere il fronte. Il personaggio infatti
confessava a un certo punto all’autore:

Dovevo consumare in me stesso un travaglio violento: l’ira, lo sde-


gno acerbo per quanto avveniva […]. Dovevo consumare dentro me
l’ansia senza requie per il mio figliuolo, che mentre io qua mi sarei stra-
ziato invano e sarei stato costretto purtroppo ad attendere e a soddisfare
a tutti i piccoli materiali bisogni della vita, avrebbe esposta la sua lassù;
e ogni momento, che per me sarebbe passato così, poteva essere per lui
il supremo; e sarebbe toccato a me, allora, dopo, di seguitarla a vivere,
questa atrocissima vita.9

Dichiarazioni analoghe si ritroveranno nella corrispondenza con il


figlio Stefano, ormai prigioniero degli Austriaci nel campo di Mathau-
sen.10 A ben considerare, nella novella, sembrava affacciarsi l’idea che
Pirandello volesse mettere a confronto l’“infinitamente piccolo” dei casi
particolari degli uomini – e dunque soprattutto, di riflesso, delle vicen-
de dei personaggi – a fronte dell’ “infinitamente grande” della guerra
moderna, segnata dal trionfo delle macchine: e che lo scrittore invi-
tasse alla opzione del silenzio in ragione di una tragica sproporzione,
di una tragica incommensurabilità. Del resto, la figura del “silenzio”
sembrava disporsi come figura di lunga durata nella prosa di Pirandello,
fosse essa stata evocata dapprima in ambito narrativo o sperimentata
successivamente in ambito teatrale: in particolare nelle due prove mag-
giori, ovvero nei Sei personaggi e nell’Enrico IV. Intanto, un anno dopo
i Colloqui coi personaggi, nel 1916, Pirandello pubblicava uno dei suoi
romanzi probabilmente più intensi, Si gira, e in quel romanzo – per le
stesse dichiarazioni rilasciate contemporaneamente dall’autore in alcune
interviste – il carattere “onnivoro” di una macchina da presa, che divo-

9
L. Pirandello, Tutte le novelle, a cura di Lucio Lugnani, Milano, BUR, 2017,
vol. V (1914-1918), p. 245.
10
Si rinvia a L. Pirandello-S. Pirandello, Il figlio prigioniero. Carteggio tra Luigi
e Stefano Pirandello durante la guerra 1915-1918, a cura di A. Pirandello, Milano,
Mondadori, 2005.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 35

rava non solo pellicole, ma altresì la vita dei personaggi, incrociava “ta-
citamente” il carattere assolutamente distruttivo della macchine e degli
armamenti moderni nella guerra in corso. Non per caso, rispondendo a
un “interrogatorio” proposto dalla redazione di Noi e il mondo ad alcuni
scrittori e intellettuali, un interrogatorio che recitava “a bruciapelo: ave-
te da esprimere un pensiero sulla guerra?”, Pirandello così dichiarava:
Assistevamo prima, nei serragli, al pasto delle belve. Assistiamo ora
a un pasto più mostruoso: al pasto delle macchine impazzite. Io vedo
così questa immane guerra, sotto questa specie. Guerra di macchine,
guerra di mercato! L’uomo che prima, poeta, deificava i suoi sentimenti
e li adorava, buttati via i sentimenti […] e divenuto saggio e industre,
doveva fabbricarsi di ferro, d’acciaio le sue nuove divinità e divenir ser-
vo e schiavo di esse. Ma non basta fabbricarle, le macchine: perché
agiscano e si muovano debbono per forza ingoiarsi la nostra anima, la
nostra vita. Ed ecco, non più soltanto idealmente, ma ora anche mate-
rialmente, se la divorano.11

Quindi, alludendo al potere distruttivo di un’arma moderna come la


mitragliatrice, aggiungeva:
Sette uomini – dicono – al minuto.12

Era significativo che la narrazione di Si gira, l’intreccio delle sue vi-


cende e dei personaggi, si svolgesse all’insegna di un “dramma”-feullet-
ton. Senonché la narrazione dei “fatti” per Pirandello non doveva avere
in sé molto valore, se è vero che, riferendosi al “fattaccio” d’epilogo del
romanzo – un attore sbranato da una tigre durante la ripresa di un film
con finta ambientazione esotica – Pirandello scriveva in una Lettera a
Ugo Ojetti, alludendo ai critici:
[…] si son fitti in capo che l’interesse dei lettori si dovesse destare
per il «fattaccio», ch’era per me soltanto un pretesto. L’ “errore” di “pro-
spettiva”, credi, è il loro: il credere il pubblico poco intelligente.13

Quasi che l’autore volesse rilevare l’ “inautenticità” umoristica di


ogni tragedia dei personaggi nel mondo finto del cinema moderno:
precisamente come avverrà, secondo il giudizio dello stesso autore, a

11
Interviste a Pirandello, a cura di I. Pupo, Prefazione di N. Borsellino, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 2002, p. 113.
12
Ibidem.
13
L. Pirandello, Lettera del 10 aprile 1914, in Id., Carteggi inediti con Ojetti-Al-
bertini-Orvieto-Novaro-De Gubernatis -De Filippo, a cura di S. Zappulla Muscarà,
Roma, Bulzoni, 1980, p. 79.
36 Pasquale Guaragnella

proposito dei “Sei personaggi”, i quali discetteranno in forme conci-


tate di un loro personale “dramma”, confessandolo sulle tavole di un
palcoscenico a un Capocomico e ad attori interessati solo ai più esterni
“fattacci” della famiglia. In Si gira era un dramma perturbato da voci
concitate e urla di disperazione per una orribile “strage” avvenuta du-
rante le riprese di un film: a ben considerare, nell’ambito di un mondo,
quello cinematografico, attraversato dalla finzione e dall’ “inautentico”,
vera allegoria dei tempi moderni. Ma come si ricorderà, a un mon-
do di finzione si oppone una condizione umana segnata dal “silenzio”
del protagonista-narratore della storia, Serafino Gubbio, la cui identità
sembrava, soprattutto in epilogo, disvelare il senso profondo di una pro-
testa: e soprattutto il nome del protagonista, Serafino, sembrava essere
consustanziale a una dimensione angelica, integralmente ascetica, di ac-
cesa protesta nei confronti di ogni “violenza” della vita moderna.
Senonché, la figura del silenzio, dopo presumibili grida di sofferen-
za e di dolore, sarebbe stata riconoscibile pure nel mezzo di una novella
imperniata precisamente sul tema del conflitto europeo, ovvero in Be-
recche e la guerra, novella lunga apparsa in una versione parziale nel cor-
so della guerra e pubblicata nella sua interezza nel 1918: si trattava del
silenzio di ogni voce umana in un quartiere della città di Belgrado de-
vastata da un terribile bombardamento operato dall’artiglieria austriaca
e proprio quel silenzio rappresentava allegoricamente la violenza e la
barbarie della guerra in atto.14 V’è di più. A un concerto dissonante di
tensioni e di contrasti in seno alla propria famiglia doveva contrapporsi
pure il silenzio del professor Berecche: erano tensioni che esplodeva-
no addirittura in grida concitate, secondo una dimensione speculare,
che alle violenze della guerra faceva corrispondere le violenze in seno
a un nucleo famigliare; con quale tormentata proiezione delle vicende
biografiche di Pirandello e della sua famiglia sul testo narrativo non è
difficile intuire.15 Del resto, per avere qualche riprova della tormentata
dinamica conflittuale nella novella, basterebbe allegare almeno un bra-
no dalla “storia” del professor Berecche: è all’interno di un capitoletto
dal titolo emblematico, La guerra in famiglia, il cui esordio è segnato da
“strilli, pianti, nella saletta da pranzo” per il fatto che non si sa della sor-
te di due giovani trentini, fratelli di Gino Viesi, fidanzato di Carlotta,

14
Rinvio a G. Mazzacurati, Pirandello e il romanzo europeo, Bologna, il Mulino,
1995.
15
Rinvio ancora ad A. Andreoli, Le maschere famigliari di un capolavoro, cit.
Rinvio a P. Guaragnella, Luigi Pirandello e la lunga storia di Berecche e la guerra,
in Id., Scrittori in franchigia. La Grande Guerra in Pirandello Ungaretti Pirandello
Sbarbaro, Bari, Progedit, 2018, pp. 1-27.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 37

figlia del professor Berecche. I due giovani trentini sono stati “richiama-
ti dall’Austria sotto le armi e mandati in Galizia”: dalle reazioni astiose,
anzi rancorose, della moglie di Berecche sembra che ne sia responsabile
addirittura il professore, già ammiratore della Germania e della sua cul-
tura. V’è poi qualcosa di dolorosamente amaro che segue all’episodio
degli umori concitati e aspri nel salotto di casa Berecche:

[…] ora, ogni mattina, la moglie – anche questo! – appena la serva


ritorna dalla spesa giornaliera, lo investe, domanda conto e ragione a
lui di tutti i viveri rincarati – di tanto il pane, di tanto la carne, di tanto
le uova – come se l’avesse voluta lui, mossa lui, la guerra! Col cuore
esulcerato, con la rovina dentro, gli tocca d’affogare in tutte queste vol-
garità della moglie, che per miracolo non lo vuole anche responsabile a
cui Faustino è esposto, d’esser chiamato prima del tempo sotto le armi
e mandato a combattere, se l’Italia sarà anch’essa trascinata in guerra!
Non rappresenta forse la Germania, lui, in casa; la Germania che ha
voluto la guerra?16

Si potrebbe dunque dire che la “Grande Guerra” segnava veramente


una svolta nella riflessione di Pirandello sulle dinamiche della violenza
collettiva, ma altresì in seno a quell’istituto decisivo della società mo-
derna costituito dalla famiglia: una riflessione che andava pure al di là
delle pur tristissime vicende biografiche dell’autore agrigentino. Quan-
to alla stesura di un romanzo sulla crisi dell’istituto famigliare, intitolato
Sei personaggi in cerca d’autore, di cui lo scrittore dava notizia al figlio
Stefano nella lettera del 1917, sarebbe solo da aggiungere che, in quel
giro d’anni, Pirandello lavorava bensì a un romanzo, ma non era quello
annunciato nella lettera al figlio: lo scrittore era infatti impegnato nella
oltremodo difficile composizione del suo romanzo più noto, almeno
per il titolo, Uno nessuno e centomila, contenente una delle più esplicite
dichiarazioni della poetica umoristica di Pirandello sulla incomprensi-
bilità della comunicazione reciproca nonché sul carattere molteplice e
dissonante percepibile in ogni “persona” (-maschera).
La pubblicazione di Uno, nessuno e centomila, avvenuta nel 1926,
seguirà di poco la data di pubblicazione, nel 1925, della Prefazione ai
Sei personaggi, testo che sembrava configurarsi come un provvisorio, ma
esauriente bilancio dell’opera sino ad allora realizzata dall’autore sici-
liano. A tal proposito sarebbero plausibili due ipotesi interpretative. La
prima vorrebbe che il passaggio dal romanzo da fare – secondo la notizia
trasmessa al figlio Stefano – al dramma teatrale pubblicato nel 1921 fos-
se stato un passaggio quasi naturale, di continuità: in ragione di una pur

16
L. Pirandello, Tutte le novelle, cit., vol. V, p. 191.
38 Pasquale Guaragnella

riconoscibile struttura dialogico-teatrale della narrativa di Pirandello,


fortemente riconoscibile per l’appunto nell’ultimo suo romanzo, Uno,
nessuno e centomila.17 Peraltro, in margine a questo romanzo, e soprat-
tutto in margine al suo epilogo, si poteva ritenere che l’autore volesse
chiudere definitivamente con l’esperienza del romanzo, per impegnarsi
ormai nel lavoro teatrale: anche se non era propriamente così, se è vero
che alcuni anni più avanti penserà alla stesura di un romanzo intitolato
Adamo ed Eva.18
Ma si diceva di due ipotesi interpretative. La seconda ipotesi poteva
riconoscere una decisiva cesura tra la prassi del romanzo e l’esperienza
teatrale: essendo questa come “tenuta in serbo”, in virtù di una vera e
propria passione sin dai tempi della giovinezza di Pirandello.19 Esem-
plarmente converrebbe allegare quanto lo scrittore aveva già dichiarato
ne L’azione parlata, nel 1899, in cui era indicato un problema fonda-
mentale – di trovare “la parola che sia l’azione stessa parlata” – e in cui
tra l’altro si poteva leggere:

Non il dramma fa le persone; ma queste, il dramma. Che se l’«auto-


re» ha creato veramente caratteri, se ha messo sulla scena uomini e non
manichini, ciascuno di essi avrà un particolare modo d’esprimersi, per
cui, alla lettura, un lavoro drammatico dovrebbe risultare come scritto
da tanti e non dal suo autore.20

Peraltro, in ragione del trauma psicologico della «Grande Guerra»,


si poteva pure ritenere che Pirandello non credesse più nel genere-ro-
manzo per rappresentare la vicenda dei Sei personaggi e ambisse invece
a un’arte interrelata soprattutto con la voce (“un particolare modo d’e-
sprimersi”), con l’ “azione”, con il “gesto”. In una Intervista del 1925,
proprio l’anno della Prefazione ai Sei personaggi, Pirandello dichiarava
infatti significativamente:

È esattamente durante la guerra che ho sperimentato l’impossibilità


di applicarmi, con calma e serenità, non dico a lavori di ampio respiro,
ma addirittura alla creazione di brevi novelle. Il gusto della forma nar-
rativa era svanito. Non potevo più limitarmi a raccontare, mentre tutto
intorno a me era azione […].

17
Rinvio a M.L. Altieri Biagi, La lingua in scena, Bologna, Zanichelli, 1980.
18
Rinvio ad A. Andreoli, Le maschere famigliari di un capolavoro, cit.
19
Ibidem.
20
L. Pirandello, L’azione parlata, in Id., Saggi e interventi, a cura e con un saggio
introduttivo di F. Taviani e una testimonianza di A. Pirandello, Milano, Mondado-
ri, “I Meridiani”, 2006, p. 449.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 39

Altre cose si agitavano, ribollivano nel mio spirito, che esigevano


di essere espresse in una maniera immediata. Se cercavo di svilupparle
nelle loro forme abituali mi sfuggivano, mi stancavano opponendomi
degli ostacoli strani, insoliti. Io le vedevo tutte tese verso l’azione […].
Le parole non potevano più restare scritte sulla carta, bisognava che
scoppiassero nell’aria, dette o gridate.21

Da quella intervista si poteva inverire una rassegnata sfiducia d’au-


tore nella parola scritta e soprattutto la sfiducia in una dimensione nar-
rativa d’ampio respiro, come per l’appunto sarebbe stato il ricorso al
genere-romanzo. V’è chi ha congruamente confermato che i Sei perso-
naggi “rappresentano il momento limite del nichilismo pirandelliano”;
e l’opera è pure l’occasione di “un improvviso, spesso violento affiorare
dei suoi più coperti stimoli di protesta”, a segno che lo scrittore stesso
dirà un giorno che il suo era “un teatro di guerra” ed anzi era stata
la guerra a rivelargli il teatro: aggiungendo Pirandello che “quando le
passioni si scatenano, quelle passioni io feci soffrire alle mie creature
sui palcoscenici”. Del resto, ha osservato acutamente Claudio Vicen-
tini che tra gli anni della “Grande Guerra” e quelli immediatamente
successivi, il teatro s’imponeva in Pirandello come “il luogo verso cui
tende irresistibilmente il processo della creazione letteraria, che vuol di-
ventare fatto fisico. Ma nel teatro, proprio perché fatto fisico, la realtà
superiore dell’arte” appariva paradossalmente come destinata a perdere
alquanto del suo carattere esclusivo.22 Il teatro diveniva espressione di
un disagio di Pirandello di fronte alla dimensione “necessaria” dell’a-
zione, della voce e del gesto indotta dall’evento bellico: forse anche in
segreta e inconfessabile competizione con il rivale Gabriele D’Annunzio
e la sua straordinaria esperienza teatrale inaugurata molti anni prima
con l’esperienza de La città morta nel segno di un deciso superamento
del teatro naturalistico.23 È pur vero che Pirandello si calava nella nuova
professione di drammaturgo continuando a ripetere che le commedie
dovevano essere, come ha rammentato opportunamente pure Vicentini,
“soltanto una breve parentesi nella sua più ‘naturale’ attività di narra-
tore”. Si potrebbe ben ribadire: grovigli d’autore. Infatti, nel 1919, lo
scrittore siciliano “mentre è andato in scena da poco Il giuoco delle parti
[…] annuncia l’intenzione di abbandonare il teatro, per dichiarare poi,
l’anno successivo, che con i Sei personaggi in cerca d’autore, ha deciso di

21
Cfr. C. Vicentini, Il problema del teatro nell’opera di Pirandello, in Pirandello
e il teatro, a cura di E. Lauretta, Palermo, Palumbo, 1985, p. 19.
22
C. Vicentini, Pirandello. Il disagio del teatro, Venezia, Marsilio, 1997, p. 60.
23
Rinvio a P. Gibellini, Logos e Mythos. Studi su Gabriele D’Annunzio, Firenze,
Olschki, 1985.
40 Pasquale Guaragnella

chiudere per sempre la sua attività di autore drammatico”.24


Ora, quanto sin qui si è richiamato, vale a configurare una strana e
segreta storia di opzioni e di rifiuti: ma rilevando che, nella Prefazione ai
Sei personaggi, Pirandello, nelle forme di un “senno di poi” da lui stesso
evocato, scriverà di una dispositio della vicenda dei personaggi secondo
modalità del tutto intercambiabili all’interno di una struttura narrativa
o di una struttura teatrale: omettendo, nella stessa Prefazione, quan-
to aveva dichiarato in una precedente Intervista, di essere cioè lontano
da una scelta narrativa di ampio respiro, ovvero dal genere-romanzo.25
Infatti le prime dichiarazioni formulate in esordio della Prefazione sem-
bravano procedere bensì secondo una modalità riepilogativa, ma non
proprio congrua con la decisiva opzione teatrale esperita con la redazio-
ne del testo pubblicato nel 1921. Converrebbe leggere:

È da tanti anni a servizio della mia arte (ma come fosse da jeri) una
servetta sveltissima e non per tanto nuova sempre del mestiere.
Si chiama Fantasia.
Un po’ dispettosa e beffarda, se ha il gusto di vestir di nero, nessu-
no vorrà negare che non sia spesso alla bizzarra, e nessuno credere che
faccia sempre e tutto sul serio e a un modo solo. Si ficca una mano in
tasca; ne cava un berretto a sonagli; se lo caccia in capo, rosso come
una cresta, e scappa via. Oggi qua; domani là. E si diverte a portarmi
in casa, perché io ne tragga novelle e romanzi e commedie, la gente più
scontenta del mondo, uomini, donne, ragazzi, avvolti in casi strani da
cui non trovan più modo a uscire.26

Inutile dire che quella Fantasia “vestita di nero”, impersonata da una


servetta, richiamava, ma “in basso”, in chiave umoristica, l’allegoria di
una malinconia “nigra”, che un lettore acuminato come Pirandello, se
non proprio nei Dialoghi di Torquato Tasso, che lo inducevano al son-
no, poteva ritrovare nelle pagine di Baudelaire, il poeta che prima di
ogni altro aveva avvertito, con il canto dissonante della malinconia, i
contrasti e le contraddizioni della modernità.27 Ma all’altezza della Pre-
fazione ai Sei personaggi la confessione di Pirandello era solo parzial-
mente veritiera quando scriveva: “Perché io ne tragga novelle e romanzi
e commedie”. In realtà, quando Pirandello componeva la Prefazione da
tempo non c’era più rapporto paritario tra i generi da lui indicati – della

24
C. Vicentini, Il problema del teatro nell’opera di Pirandello, cit., p. 21.
25
Rinvio ad A. Andreoli, Le maschere famigliari di un capolavoro, cit., p. L.
26
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p. 2.
27
Rinvio a J. Starobinski, La malinconia allo specchio. Tre letture di Baudelaire,
Milano, Garzanti, 1990.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 41

novella, del romanzo e del teatro – al fine di esprimere il rifiuto d’autore


di inscrivere in una dimensione d’arte le strane e strambe storie dei suoi
personaggi: il “romanzo” dei Sei personaggi era stato bensì annunciato,
ma nemmeno cominciato; erano state bensì composte delle novelle su
personaggi in cerca d’autore, ma erano ormai alle spalle. Tra l’altro pro-
prio una di quelle novelle aveva svelato un esito peculiare, alludendo
essa a un rapporto paritario tra romanzo scritto e romanzo da scrivere.
Infatti ne La tragedia di un personaggio si aveva notizia di un romanzo
composto nelle forme di un “drammone”– non diversamente dalla vi-
cenda narrata in Si gira – e in quelle pagine si era mosso il personaggio
del dottor Fileno, del tutto insoddisfatto del romanzo già composto:
ma l’autore rifiutava di assumere la storia di Fileno e di “ritrascriverla”
in un nuovo romanzo proprio perché dispregiava quel dramma patetico
e lagrimoso. Si è rilevato infatti, e in modo assai congruo, che nella
Tragedia di un personaggio il dottor Fileno, “si rivolge a Pirandello stesso
come ad un secondo scrittore capace di narrare ex novo e con maggior
efficacia e comprensione la sua storia. Ma mentre il libro di Fileno è già
scritto e Pirandello, nella novella, ha buon gioco nel rifiutare la proposta
di riscrittura, quello dei sei personaggi è ancora da scrivere”. 28 A ben
considerare, lo scarto che il passaggio dalla forma romanzesca a quella
teatrale imponeva si dimostrava particolarmente produttivo, poiché di
fatto esso consentiva a Pirandello di “far scivolare […] i termini della
questione dalla scrittura alla messa in scena, e dunque di porre in primo
piano il tema della teatralità”, assai diversa dalla “scrittura romanzesca”
di una storia patetica.29 Per tale ragione, ovvero per il rifiuto opposto
dall’autore, i sei personaggi – di cui Pirandello informava con il senno
di poi nella Prefazione – si rivolgeranno non già a un vero scrittore, ma
ad un capocomico: il quale non avrebbe certo avuto gli strumenti per
tradurre in “parola scritta” il dramma dei personaggi. Si racchiudeva qui
il motivo, decisivo, cui si accennava sopra, della volontà di Pirandello di
lasciarsi alle spalle la scrittura narrativa: a beneficio, invece, dell’azione e
del gesto, e soprattutto nel segno di un già dichiarato disagio dell’autore
per un’opera narrativa di ampio respiro.
Intanto quella rappresentazione un po’ “scombinata” della Fanta-

28
C. Donati, I “Sei personaggi” e l’orchestrazione delle incongruenze, in “Piran-
dello e il teatro”, Atti del XXIX Convegno Internazionale (Agrigento, 1-4 dicembre
1992), Milano, Mursia, 1993, p. 83.
29
Rinvio agli studi di P. Puppa, Fantasmi contro giganti. Scena e immaginario
in Pirandello, Bologna, Pàtron, 1984; Id., Dalle parti di Pirandello, Roma, Bulzoni,
1987; Id., La parola alta. Sul teatro di Pirandello e D’Annunzio, Roma-Bari, Laterza,
1993.
42 Pasquale Guaragnella

sia, o, a dir meglio, della servetta, era, al femminile, pure l’autoritratto


che Pirandello aveva consegnato al lettore in testi suoi precedenti: un
autoritratto segnato da un’aria beffarda, con un che di melanconico,
ma altresì di sottilmente demoniaco, come di un autore “fantastico”
che venisse da un “altrove”. E da un “altrove” sembrava venire infatti la
servetta che introduceva nello studio dell’autore una intera famiglia di
“spostati”. In questo caso si potrebbe cogliere una ulteriore proiezione
autobiografica dell’autore-Pirandello nel personaggio del Padre all’in-
terno del dramma, un uomo sulla cinquantina, dall’aria aggrottata e
tormentato da una folla di pensieri tristi. E non è detto che non ci fosse,
nella presentazione dei personaggi, pure un’allusione alla fisionomia e
alla postura obbligatoriamente “siciliana” della moglie dello scrittore.
Non per nulla in una lettera al figlio Stefano, prigioniero in Austria,
Antonietta Portolano, la moglie di Pirandello, disegnando un ritratto
della propria vita di madre – e si potrebbe aggiungere: di moglie – aveva
scritto riferendosi ai figli:

Da piccoli la mia vita è passata avanti ai vostri letti, grandi devo


avere altri dolori. È il fluido della gran parte degli uomini siciliani, che
mette questa cappa di piombo nella propria famiglia. Non escludo che
questo avviene anche in molte famiglie del continente […], ma in Sici-
lia la donna deve rappresentare Mater dolorosa.30

“Mater dolorosa”. Di una povera donna in gramaglie vedovili si leg-


gerà intanto nella Prefazione, e la Prefazione offrirà inoltre questo ritrat-
to di famiglia:

Mi trovai davanti un uomo sulla cinquantina, in giacca nera e cal-


zoni chiari, dall’aria aggrottata e dagli occhi scontrosi per mortificazio-
ne; una povera donna in gramaglie vedovili, che aveva per mano una
bimbetta di quattr’anni da un lato e con un ragazzo di poco più di dieci
dall’altro; una giovinetta ardita e procace, vestita anch’essa di nero ma
con uno sfarzo equivoco e sfrontato.31

Ritornava il cromatismo del nero, nel segno di un trionfo della ma-


linconia, la quale, nella Figliastra, si esalta peraltro in virtù delle pulsioni
dell’eros. E il verbo “trovarsi” era significativo, volendo significare per
l’appunto una improvvisa apparizione, senza dubbio “perturbante”. So-
prattutto, i sei personaggi saranno catturati dallo sguardo d’autore come

30
L. Pirandello-S. Pirandello, Il figlio prigioniero. Carteggio tra Luigi e Stefano
Pirandello durante la guerra 1915-1918, cit., p. 332.
31
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p. 2.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 43

“persone”(-maschere) esagitate, che grideranno le loro ragioni e avven-


teranno in faccia all’autore “le loro scomposte passioni”. Sembravano
riproporsi le scene da un matrimonio nel salotto di casa Berecche, che
abbiamo sopra richiamato. Ma nella Prefazione si scriveva di personaggi
che nella loro apparizione nello studio dello scrittore, “improvvisa” e
“perturbante”, erano poi invitati a salire sulle tavole di un palcoscenico
teatrale. Si dovrebbe dire: proprio perché sembravano venire da un se-
greto “altrove” erano destinati al teatro, luogo come paradigmaticamen-
te interrelato a una dimensione di «mistero».32 Si leggeva inoltre nella
Prefazione:

Quale autore potrà mai dire come e perché un personaggio gli sia
nato nella fantasia? Il mistero della creazione artistica è il mistero stesso
della nascita naturale. Può una donna, amando, desiderare di diventar
madre; ma il desiderio da solo, per intenso che sia, non può bastare. Un
bel giorno ella si troverà a esser madre, senza un preciso avvertimento
di quando sia stato.

Avvertimento era una “voce” peculiare del lessico di Pirandello, il


quale così proseguiva nella Prefazione:

Così un artista, vivendo, accoglie in sé tanti germi della vita, e non


può mai dire come e perché a un certo momento, uno di questi germi
vitali gli si inserisca nella fantasia per divenire anch’esso una creatura
viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana.

Pirandello sembrava richiamarsi ai convincimenti espressi prima


della opzione per un “teatro di guerra”, quando scriveva soprattutto del-
le istanze di un’«arte superiore»: e quando lo scrittore affermava l’idea
di una creazione misteriosa con il personaggio che era concepito “come
qualcuno che proviene” da un “altrove” e “che attende dallo scritto-
re-medium una sorta di reincarnazione”, secondo le suggestioni delle
letture teosofiche e spiritistiche e con suggestioni medianiche derivate
in particolare da Luigi Capuana.33
In ogni caso – aggiungeva Pirandello nella Prefazione – i personaggi
insistevano perché l’autore li facesse entrare nel mondo dell’arte. E qui
l’autore ripeteva di passioni, di un “viluppo di vicende reciproche”, che

32
Si rinvia a J. Starobinski, Ritratto dell’artista da saltimbanco, a cura di C.
Bologna, Torino, Boringhieri, 1998.
33
Si veda N. Gazich, Prefazione all’uomo solo, in L. Pirandello, Novelle per un
anno, cit., t. I, p. 533. Si veda pure N. Borsellino, Ritratto e immagini di Pirandello,
Roma-Bari, Laterza, 1993.
44 Pasquale Guaragnella

potevano entrare “nel mondo dell’arte”, ma indifferentemente in “un


romanzo, un dramma, o almeno una novella”.
Era a questo punto che Pirandello proponeva una distinzione tra
scrittori storici e scrittori di natura filosofica: ed era, la sua, una distin-
zione che veniva dopo quella proposta in occasione delle celebrazioni
catanesi per l’ottantesimo compleanno di Giovanni Verga, con il pole-
mico discorso che distingueva tra scrittori di parole, come il vituperato
D’Annunzio, e scrittori di cose, come per l’appunto Giovanni Verga.
Converrebbe allegare almeno uno dei passaggi testuali più significativi
di quell’intervento di Pirandello:
[…] là uno stile di parole, qua uno stile di cose. Li abbiamo fin dagli
inizi della nostra letteratura questi due stili opposti: Dante e Petrarca, e
possiamo seguirli a mano a mano fino a noi, Machiavelli e Guicciardi-
ni, l’Ariosto e il Tasso, il Manzoni e il Monti, il Verga e il D’Annunzio.

Poco più avanti si dichiarava:


E lì, dunque, una costruzione da dentro, le cose che nascono e vi
si pongono innanzi sì che voi ci camminate in mezzo, vi respirate, le
toccate […]; e qua una costruzione da fuori, le parole dei repertori lin-
guistici e le frasi che vi sanno dir queste cose, e che alla fine, poiché ci
sentite la bravura, vi saziano e vi stancano.34

Nella Prefazione ai Sei personaggi Pirandello intanto osservava:


Ora bisogna sapere che a me non è mai bastato rappresentare una
figura d’uomo o di donna, per quanto speciale e caratteristica, per il
solo gusto di rappresentarla; narrare una particolar vicenda, gaja o tri-
ste, per il solo gusto di narrarla; descrivere un paesaggio per il solo gusto
di descriverlo.

Ci sono scrittori (e non pochi) che hanno questo gusto, e, paghi,


non cercano altro. Sono scrittori di natura più propriamente storica.
Così come aveva implicitamente dichiarato nel Discorso su Verga,
di optare per uno stile di cose, e non già di parole, ora Pirandello di-
chiarava di non far parte della schiera degli scrittori storici, bensì della
schiera di quegli scrittori i quali, oltre un gusto storico, “sentono un più
profondo bisogno spirituale, per cui non ammettono figure, vicende,
paesaggi che non s’imbevano, per così dire, d’un particolare senso della
vita, e non acquistino con esso un valore universale. Sono scrittori di

34
L. Pirandello, Giovanni Verga. Discorso al teatro Bellini di Catania nell’ottan-
tesimo compleanno dello scrittore, in Id., Saggi e Interventi, cit., p. 1010.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 45

natura più propriamente filosofica”.


Concludendo questo denso passaggio di riflessioni, Pirandello
confessava quindi nella Prefazione: “Io ho la disgrazia di appartenere
a questi ultimi”. Osservava in proposito il compianto Guido Gugliel-
mi che la distinzione tra scrittori di natura storica e scrittori di natura
filosofica riformulava “quella più antica tra scrittori che compongono
organicamente e linearmente e scrittori che scompongono”: ovvero la
contrapposizione tra “classici e umoristi”. Come si vede, la Prefazione ai
Sei Personaggi si disponeva per Pirandello, più o meno esplicitamente,
come un sofferto bilancio: intessuto ora di umoristiche malinconie, ora
di tacite proteste, anche di carattere ideologico-civile.35
Ma quella distinzione non disponeva su un piano ideologicamente
paritario le due categorie di scrittori, “storici” e “filosofi”, dal momento
che in Pirandello agiva – e ancor più dopo la “catastrofe” della guerra
europea e mondiale – un forte anelito di protesta all’indirizzo della sto-
ria, o meglio all’indirizzo di una peculiare concezione della storia. A dir
più chiaramente: “la pretesa di razionalità della storia aveva talmente
perduto di consistenza, le ideologie si erano così decantate” e la realtà
sembrava essersi fatta così “spettrale”, che nello scrittore “il discorso ar-
tistico dovette a sua volta farsi radicale e distruttivo”.36 Si chiedeva con
finezza acuminata lo stesso Guglielmi: “Che cosa sono i sei personaggi,
se non delle immagini che non intrattengono nessun rapporto intelligi-
bile con la situazione storica”, a segno d’ essere come dei “traslati sulla
scena?”
Ora, precisamente nell’ambito di una dichiarata opzione per una
scrittura “di natura più propriamente filosofica”, Pirandello passava poi
a proporre delle considerazioni sull’arte simbolica:

Odio l’arte simbolica, in cui la rappresentazione perde ogni movi-


mento spontaneo per diventar macchina, allegoria; sforzo vano e ma-
linteso, perché il solo fatto di dar senso allegorico a una rappresentazio-
ne dà a veder chiaramente che già si tien questa in conto di favola che
non ha per sé stessa alcuna verità né fantastica né effettiva, e che è fatta
per la dimostrazione di una qualunque verità morale.37

Pirandello qui negava valore alla favola allegorica, in quanto essa


– composta per affermare una verità morale – mostrava di non avere al-
cun valore di verità fantastica. Ma era singolare il fatto che solo qualche

35
G. Guglielmi, Ironia e negazione, Torino, Einaudi, 1974, p. 144.
36
Ivi, p. 145.
37
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., pp. 4-5.
46 Pasquale Guaragnella

anno prima, in margine al noto e importante libro di Benedetto Croce


sulla poesia di Dante, Pirandello, ai fini della propria argomentazione
critica, avesse seguito un filo discorsuale sensibilmente diverso. Riferen-
dosi infatti, nelle vesti di recensore, al discorso critico di Croce intorno
al rapporto tra poesia e allegoria, così Pirandello richiamava polemica-
mente il pensiero dell’autore dell’Estetica:
Ebbene […], dice il Croce, […] se l’allegoria c’è, essa è sempre,
per definizione, fuori e contro la poesia e se invece è davvero dentro la
poesia, fusa e identificata con lei, vuol dire che l’allegoria non c’è, ma
unicamente immagine poetica, la quale non si circoscrive a cosa mate-
riale e finita […] e d’altronde, è impossibile per isforzi che si facciano,
vedere una accanto all’altra due cose, di cui una appare solo quando
l’altra dispare […].

A questo punto, nel suo intervento dantesco, Pirandello replicava


proprio in ordine alla astratta distinzione crociana tra poesia e allegoria:
Si potrebbe obbiettare: e la favola? È allegoria. Non è poesia? Certo,
in quanto vale come rappresentazione; ma rappresentazione di qualche
cosa che vuol avere per se stessa il suo senso: un senso morale, voluto
sì anche per la morale, ma non solo per questa, chè altrimenti non si
farebbe una favola, ma si darebbe un precetto morale: dunque sì questo,
ma divenuto immagine, rappresentazione, poesia. Ed ecco che l’allego-
ria è […] sottinteso morale, continuo, compresente, della rappresenta-
zione. […] Chiunque di proposito componga un’allegoria, non crede
certamente alla realtà dell’immagine che per lui stesso è forma fittizia.38

Nella Prefazione ai Sei personaggi, nello svolgere il suo discorso av-


verso all’arte simbolica, Pirandello indicava una eccezione dopo quella
della Commedia dantesca, facendo riferimento a un altro dei suoi auto-
ri-faro. Si trattava di quell’Ariosto di cui aveva mostrato di apprezzare la
grande arte, nelle pagine dell’Umorismo:
Quel bisogno spirituale di cui io parlo non si può appagare, se
non qualche volta e per un fine di superiore ironia (com’è per esempio
nell’Ariosto) di un tal simbolismo allegorico.

Aggiungeva Pirandello a ulteriore dilucidazione del suo orientamen-


to di poetica:
Questo (ovvero il simbolismo allegorico) parte da un concetto, è
anzi un concetto che si fa, o cerca di farsi, immagine; quello (ovvero

38
L. Pirandello, Saggi e interventi, cit., p. 1096.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 47

il fine di una superiore ironia) cerca invece nella immagine, che deve
restar viva e libera di sé in tutta la sua espressione, un senso che gli dia
valore.39

Nella Prefazione lo scrittore mostrava dunque di accogliere soltanto


il simbolismo allegorico dell’Ariosto e del suo Furioso, in quanto pro-
teso a “un fine di superiore ironia”. In proposito Romano Luperini ha
suggerito di andare oltre la terminologia non proprio rigorosa adottata
da Pirandello, evidentemente elusiva della distinzione tra simbolo e alle-
goria. Lo scrittore avrebbe infatti respinto il “simbolismo allegorico” in
nome di un atteggiamento che era tuttavia sostanzialmente allegorico; e
per condannare ciò che lui chiamava “senso allegorico”, usava in realtà
termini e concetti propri della definizione dell’allegorismo.40 Aggiunge
poi Luperini che risulta particolarmente interessante la sostanza dell’ar-
gomentazione pirandelliana: in quanto dopo aver sostenuto lo scrittore
agrigentino che l’immagine deve “restar viva e libera” – a differenza di
quanto avverrebbe nel “simbolismo allegorico”, di per sé subordinato
alla “dimostrazione di una qualsiasi verità morale” – aggiungeva che
precisamente in quella immagine “viva e libera” ogni autore rivelerebbe
di essere alla ricerca di un senso universale nella sua arte.
Nella Prefazione infatti Pirandello dichiarava che l’allegoria «non
può che muovere da immagini, personaggi, fatti, dotati di un loro spe-
cifico significato letterale, carichi di passioni individuali e di verità par-
ziali e frammentarie, che potranno assumere un “significato universale”
solo in seguito alla ricerca di un artista e alle esigenze del suo “bisogno
spirituale”.41 Ma è pur vero, ha rilevato sempre Luperini, che proprio
questo valore universale appare impossibile nell’allegorismo moderno:
non per caso, quando Pirandello, nella Prefazione, scriveva che non era
riuscito a trovare un valore universale nella storia dei personaggi, che gli
si presentavano davanti con la importuna richiesta di essere “raccontati”
o “rappresentati”, non altro diceva che di una impossibilità: era in revo-
ca proprio l’atto di dare un significato universale. Insomma Pirandello
mostrava piena consapevolezza del fatto che era venuto meno “l’autore
tradizionale, con le sue capacità di interpretazione complessiva, e di me-
diazione ideologica”.42 La vicenda dei sei personaggi diventava “figura”
proprio di una impossibilità. Saremmo dunque nell’ambito dell’allego-
rismo moderno – assai diverso da quello medievale con la sua decisiva

39
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p. 5.
40
R. Luperini, Pirandello, Roma-Bari, Laterza, 2013, p. 115.
41
Ivi, p. 116.
42
Ibidem.
48 Pasquale Guaragnella

“visione” di un significato universale – allegorismo moderno con la sua


tormentata ricerca di un significato che resterebbe irrimediabilmente
“vuoto”: nei Sei personaggi – come si evince dalla Prefazione – quell’atto
di mancata significazione metterebbe umoristicamente in scena addirit-
tura se stesso.
Ora, svolgendo osservazioni più o meno esplicitamente favorevoli a
un’arte della teatralità, Pirandello faceva riferimento a personaggi i qua-
li, “già del tutto distaccati da ogni sostegno narrativo”, erano usciti dalle
pagine di un libro, o, a dir meglio, erano “personaggi d’un romanzo
usciti per prodigio dalle pagine del libro che li conteneva”: essi coglie-
vano ogni momento favorevole per sorprendere lo scrittore nella quie-
te e nella solitudine del suo studio e lo tentavano per proporre nuove
scene da “rappresentare” o da “descrivere”. Nella ricostruzione si faceva
riferimento a una condizione d’autore segnata da una vera e propria
“ossessione”: dal fondo oscuro di quella ossessione, anzi dal fondo di un
“pozzo” - per usare un lemma usato da Pirandello in una lettera al figlio
Stefano - emergevano personaggi che ormai “hanno acquistato voce e
movimento; sono dunque già divenuti di per sé stessi in questa lotta che
han dovuto sostenere con me per la loro vita, personaggi drammatici,
personaggi che possono da soli muoversi e parlare”. Discendeva da qui
l’opportunità di un loro muoversi e parlare su un luogo più adeguato,
ovvero su un palcoscenico. Di qui la scelta per un teatro d’azione, in cui
contavano soprattutto la voce, il movimento, il gesto, le sonorità dei sei
personaggi:

Essi si sono già staccati da me; vivono per conto loro; hanno acqui-
stato voce e movimento; sono dunque già divenuti di per sé stessi, in
questa lotta che han dovuto sostenere per la loro vita, personaggi dram-
matici; personaggi che possono da soli muoversi e parlare; vedono già
se stessi come tali; hanno imparato a difendersi da me; sapranno ancora
difendersi dagli altri. E allora, ecco, lasciamoli andare dove son soliti
d’andare i personaggi drammatici per aver vita: su un palcoscenico.43

Di qui, ancora, un teatro che portasse alla ribalta un “prorompere


delle passioni contrastanti ora nel Padre, ora nella Figliastra, ora nel Fi-
glio, ora in quella povera Madre; passioni che cercano […] di sopraffarsi
a vicenda, con una tragica furia dilaniatrice”. Pirandello aveva dichiarato
nella Intervista a “Le temps” del 20 luglio del 1925 che “non potevo
più limitarmi a raccontare, mentre tutto intorno a me era azione […].
Le parole non potevano più restare scritte sulla carta, bisognava che

43
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p. 6.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 49

scoppiassero nell’aria, dette o gridate”. 44 Ha osservato Gaspare Giudice,


nella sua biografia di Pirandello a proposito dei Sei personaggi, che se è
vero che la guerra “non cambia molto gli atteggiamenti di Pirandello di
fronte alla vita e alla società, è l’occasione però di un improvviso, spesso
violento affiorare dei suoi più coperti stimoli di protesta”.45 Probabil-
mente uno dei più decisi stimoli di protesta era nei confronti dell’istitu-
to della famiglia. E scrive assai bene Giudice rilevando che “la guerra ha
rovesciato dappertutto le difese e le sovrastrutture elevate a salvaguardia
di molte volontarie e involontarie ipocrisie, individuali e collettive. È il
trionfo della morte; anzi, per i più, l’improvvisa rivelazione della mor-
te”.46 Non per caso, a proposito dei suoi personaggi, Pirandello usava un
linguaggio che rimanda a impulsi fortemente antagonistici, conflittuali.
I personaggi nel conquistare e rappresentare la loro autonomia – si leg-
geva nella Prefazione – “vedono già sé stessi come tali; hanno imparato
a difendersi da me; sapranno ancora difendersi dagli altri”. Era qui che
cadeva finalmente una vera e propria dichiarazione sulla opzione di po-
etica, in direzione di un teatro che deteneva di “un misto di tragico e di
comico”.
Il significato universale che Pirandello non era riuscito a riconoscere
in quei personaggi e nelle loro vicende, essi lo avrebbe acquistato ora
“nella concitazione della lotta disperata che ciascuno fa contro l’altro e
tutti contro il Capocomico e gli attori che non li comprendono”. Una
universalità attinta partendo dalle condizioni dello spirito dell’autore:
varrebbe il significato universale di un “teatro di guerra”, in cui senti-
menti e passioni confliggono tra di loro, come varrebbe il senso delle
scene conflittuali proposte con matura consapevolezza nell’ultimo ro-
manzo, Uno, nessuno e centomila, con le medesime scene di conflittualità
immanenti all’universo sociale, e agenti in particolare in seno al nucleo
famigliare:
Senza volerlo, senza saperlo, nella ressa dell’animo esagitato, ciascun
d’essi , per difendersi dalle accuse dell’altro, esprime come sua viva pas-
sione e tormento quelli che per tanti anni sono stati i travagli del mio
spirito: l’inganno della comprensione reciproca fondato irrimediabil-
mente sulla vuota astrazione delle parole; la molteplice personalità d’o-
gnuno secondo tutte le possibilità d’essere che si trovano in ciascuno di
noi ; e infine il tragico conflitto immanente tra la vita che di continuo
si muove e cambia e la forma che la fissa, immutabile.47

44
Rinvio a I. Pupo, Luigi Pirandello, Firenze, Le Monnier, 2012.
45
G. Giudice, Luigi Pirandello, cit., pp. 340-341.
46
Ibidem.
47
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p. 7.
50 Pasquale Guaragnella

Drammatico conflitto quello tra la vita e il suo movimento, da un


lato, e la forma con la sua “inderogabile fissità”, dall’altro.
Osservava Pirandello in un passaggio decisivo della Prefazione:
[…]Il fatto è che la commedia fu veramente concepita in un’illu-
minazione spontanea della fantasia, quando, per prodigio, tutti gli ele-
menti dello spirito si rispondono e lavorano in un divino accordo. […]
Perciò le ragioni che io dirò per chiarirne i valori non siano intese come
intenzioni da me preconcette quando mi accinsi alla sua creazione e di
cui ora mi assuma la difesa, ma solo come scoperte che io stesso, poi, a
mente riposata, ho potuto fare.48

A mente riposata. Riccardo Scrivano si è soffermato intelligentemen-


te sulla locuzione di Pirandello: solo con “senno di poi”, ovvero con una
posteriore riflessione, riflettendo da critico, Pirandello poteva “spiegare
l’ammissione […] accanto ai sei personaggi di un altro personaggio”,
come Madama Pace, «non “in cerca d’autore” e che anzi costituisce “una
spezzatura”, un improvviso mutamento del piano di realtà della scena».49
Si leggeva a un certo punto della Prefazione:
La nascita d’una creatura della fantasia umana, nascita che è il passo
per la soglia tra il nulla e l’eternità, può avvenire anche improvvisa,
avendo per gestazione una necessità. In un dramma immaginato serve
un personaggio che faccia o dica una certa cosa necessaria; ecco quel
personaggio è nato, ed è quello, preciso, che doveva essere.50

Raffaele Cavalluzzi, soffermandosi specificamente su questo passag-


gio testuale, ha osservato opportunamente che i due termini «dell’anti-
tesi intravista dal drammaturgo al fondo della creatività sono […] “nul-
la” ed “eternità”: delle catene del nulla egli non sembrerà mai riuscire a
disfarsi, come non abbandonerà mai […] la tensione all’eternità» nella
concezione dell’arte.51 Peraltro Pirandello, riferendosi all’apparizione
sul palcoscenico di Madama Pace, spiegava che si era trattato di una
apparizione “miracolosa” della sua fantasia e “senza che nessuno se ne
sia accorto” ha cambiato “di colpo la scena” e ha mostrato agli spettatori
“in luogo del palcoscenico, la […] fantasia in atto di creare, sotto specie
di quel palcoscenico stesso”. Un miracoloso teatro della mente: a giudi-
zio del drammaturgo, si sarebbe trattato di una dinamica paragonabile
all’azione compiuta da un Santo, il quale “fa muovere la sua statua, che

48
Ivi, p. 8.
49
R. Scrivano, La vocazione contesa. Note su Pirandello e il teatro, Roma, Bul-
zoni, 1995, p 54.
50
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p. 12.
51
R. Cavalluzzi, Pirandello: la soglia del nulla, Bari, Dedalo, 2003, p. 84.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 51

in quel momento non è più certamente né di legno né di pietra; ma


un miracolo arbitrario”.52 Erano qui il senso e il valore dell’apparizione
della megera, sul palcoscenico, ovvero di Madama Pace. In proposito
Pirandello trovava il modo di replicare ai suoi critici, che avevano consi-
derato l’espressione del personaggio “non composta, ma caotica”. Quel
pronunciamento della critica, replicava Pirandello, “mi fa sorridere”; e
in proposito il drammaturgo proponeva una separazione, per non dire
una distinzione, assai rilevata, tra il “fattaccio” drammatico in cui era-
no coinvolti “romanticamente” i sei personaggi e la rappresentazione
dell’altro dramma “parallelo”, concepito contemporaneamente da lui,
in cui agiva “proprio una discreta satira dei procedimenti romantici”. Si
leggeva infatti nella Prefazione:

[…] quei miei personaggi così tutti incaloriti a sopraffarsi nelle par-
ti che ognun d’ essi ha in un certo dramma […] io li presento come per-
sonaggi d’un’altra commedia che essi non sanno e non sospettano, così
che quella esagitazione passionale, propria dei procedimenti romantici,
è umoristicamente posta, campata sul vuoto.

Una esagitazione passionale campata sul vuoto. Verrebbe fatto di


chiedersi quanto quella esagitazione passionale dei personaggi fosse og-
getto di ironia, secondo un procedimento stratificato di “ionizzazione”
delle passioni e del patetismo romantici, e quanto la fantasia “sbilenca”
e umoristica del drammaturgo disponesse i personaggi come pencolanti
“sul precipizio del nulla”.53
Pirandello, ribadendo la sua posizione, aggiungeva nella Prefazione:

Ma appunto questo caos, organico e naturale, io dovevo rappresen-


tare; e rappresentare un caos non significa affatto rappresentare caotica-
mente, cioè romanticamente. E che la mia rappresentazione sia tutt’al-
tro che confusa, ma anzi assai chiara, semplice e ordinata, lo dimostra
l’evidenza con cui, agli occhi di tutti i pubblici del mondo, risultano
l’intreccio, i caratteri, i piani fantastici e realistici, drammatici e comici
del lavoro, e come, per chi ha occhi più penetranti, vengono fuori i
valori in esso racchiusi.54

Il capoverso appariva particolarmente polemico nei confronti della


critica e richiamava ancora una volta una antinomia sospesa tra rumore
e silenzio:

52
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p. 12.
53
Rinvio a R. Cavalluzzi, Pirandello: la soglia del nulla, cit., p. 110.
54
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p. 14.
52 Pasquale Guaragnella

Grande è la confusione delle lingue fra gli uomini, se critiche così


fatte pur trovan le parole per esprimersi.

Era un richiamo dell’immagine biblica, per rappresentare la defor-


mazione interpretativa operata dalla critica, con una sottolineatura, da
parte di Pirandello, della confusione e delle vane “parole” usate dalla
critica nei confronti della sua opera: quest’ultima, opponeva Pirandello,
viveva di una perfetta, “intima legge d’ordine” da risultare “classica” e
“tipica”, a segno da vietare “ogni parola alla sua catastrofe”.
Intima legge d’ordine dell’opera, a tal punto da risultare classica.
Beatrice Alfonzetti ha rammentato la lettera inviata il 21 settembre del
1936 all’attore Ruggeri, nella quale lo scrittore accusava “la corta vista
e l’ignoranza dei critici” che non avevano saputo cogliere il significato
di “tragedia classica rinnovata in tutti i suoi propri elementi” dei Sei
Personaggi.55 Uno di questi elementi era probabilmente costituito dal
tema dell’incesto, continuamente alluso nei Sei personaggi, a segno che
la presenza di quel tema indurrebbe a pensare che Pirandello “volesse
recuperare la memoria della tragedia per antonomasia, l’Edipo re di So-
focle”,56 rivelando in tal modo una aspirazione alla tragedia che veniva
veramente da lontano. Naturalmente l’Alfonzetti è ben consapevole che,
nel corso del Novecento, «per anni la categoria teorica della cosiddetta
morte della tragedia aveva fissato l’attenzione dei critici-lettori sulla tra-
gedia impossibile e implicitamente sulla “commedia da fare”, come se
essa si riferisse al senso stesso dei Sei personaggi in cerca d’autore».
Senonché, in Sei personaggi, in chiave del tutto moderna, la catastro-
fe appariva segnata da un colpo di revolver e opportunamente Beatrice
Alfonzetti ha rammentato che, nel teatro del Novecento, “il suo colpo
può essere vero, mancato, o addirittura finto, come può essere nascosto
o sparato a vista”57: ed è un fatto che “bastano poche battute a com-
mentare una morte segnalata dal rumore: un particolare nient’affatto
insignificante a teatro, in cui così si può ridurre l’eccesso della parola e
fissare in maniera acustica la catastrofe finale”.58
Non per nulla nella Prefazione era la rilevazione, come in chiave di
commento all’epilogo del dramma, dell’assenza di ogni voce umana,
per un verso, e del “fatto violento” che s’abbatteva “bruto, inutile, con
la detonazione d’un’arma meccanica sulla scena” e sugli altri personaggi,
per l’altro verso.

55
B. Alfonzetti, Pirandello. L’impossibile finale, Venezia, Marsilio, 2017, p. 82.
56
Ivi, p. 32.
57
Ivi, p. 65.
58
Ibidem.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 53

Ritornavano le immagini d’incubo e di devastazione della guerra re-


cente nonché della «guerra in famiglia», a fronte delle quali si ripropo-
neva il silenzio “da lontano” dell’autore in rapporto ai personaggi:

Il poeta, a loro insaputa, quasi guardando da lontano per tutto il


tempo di quel loro tentativo, ha atteso, intanto, a creare con esso e di
esso la sua opera.59

Come è stato detto in maniera assai congrua, l’autonomia dei perso-


naggi drammatici s’imponeva come assoluta, correlativa alla lontananza
del “poeta”, il quale osservava la scena degli eventi: muto e impassibi-
le come già Serafino Gubbio60 e, si potrebbe aggiungere, come pure il
professor Berecche61. Ma perché l’uso della parola “poeta”, e non già
“autore”? Nino Borsellino ha acutamente accostato l’autodenominazio-
ne pirandelliana a un intenso passo della Prefazione che conviene qui
riprodurre sebbene lungo:

Se il Padre e la Figliastra riattaccassero centomila volte di seguito la


loro scena, sempre, al punto fissato, all’attimo in cui la vita dell’opera
d’arte dev’essere espressa con quel suo grido, sempre esso risonerebbe:
inalterato e inalterabile nella sua forma […]. Così, sempre, […] trove-
remo Francesca viva confessare a Dante il suo dolce peccato; e se cento-
mila volte torneremo a rileggere quel passo, centomila volte di seguito
Francesca ridirà le sue parole, non mai ripetendole meccanicamente,
ma dicendole ogni volta per la prima volta con sì viva e improvvisa
passione che Dante ogni volta ne tramortirà. 62

Ha giustamente osservato Borsellino che Francesca non deve urlare


le sue ragioni in rapporto ad altri personaggi, ma la contraddizione è in
sé stessa, nel senso della celebrazione dell’amore seguita da un castigo
divino. Senonché, guardato dalla parte di Dante l’episodio è una rica-
pitolazione del poeta-personaggio coinvolto in una storia immutabile:
in cui agiscono il senso del castigo e della pietà, la condanna e lo smar-
rimento.
Tuttavia – ed è qui la domanda decisiva posta da Borsellino – se si
provasse a guardare la storia dei sei personaggi, e in particolare quella del
rapporto tra il Padre e la Figliastra, dalla parte di Pirandello nelle vesti di

59
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p. 14.
60
A. R. Pupino, Pirandello. Maschere e fantasmi, cit., p.92.
61
Si veda P. Guaragnella, Luigi Pirandello e la lunga storia di “Berecche e la
guerra”, in Id., Scrittori in franchigia. La Grande Guerra in Pirandello Ungaretti De
Roberto Sbarbaro, Bari, Progedit, 2018.
62
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p. 12.
54 Pasquale Guaragnella

“poeta” come spettatore e uditore della storia di Francesca? Pure il “po-


eta” Pirandello sembrerebbe qui rievocare storie con lontane e profonde
motivazioni, e nel segno di un rifiuto “delle compromissioni romanze-
sche, nella scelta di un radicale procedimento di estraniazione teatrale”
quelle “rivelano tracce non cancellate di una identificazione”.63 Quanti
episodi potevano venire a superficie dai grovigli di una incancellabile,
terribile identificazione. Nell’aprile 1916, in una giornata drammatica
quant’altre mai, la moglie di Pirandello, Antonietta Portolano, aveva
tentato di accoltellare la figlia, Lietta, accusandola di avere rapporti in-
cestuosi con il padre, e questi aveva scritto:

[…] la mia povera bambina, presa d’orrore, in un momento di


sconforto, s’è chiusa in camera e ha tentato d’uccidersi. Per fortuna il
colpo non è partito dalla rivoltella.

Un revolver, addirittura con il colpo in canna, era custodito in casa


Pirandello prima ancora d’essere portato sulle tavole di un palcosceni-
co teatrale. La catastrofe era già nel teatro infernale della famiglia del
“poeta”.

Postilla: pure la Prefazione sarebbe in cerca del suo autore?


Nell’ultimo capitoletto, intitolato Nel Nome del Padre, della sua am-
pia Introduzione ai Sei personaggi, Annamaria Andreoli ha richiamato i
grovigli del rapporto tra Luigi Pirandello e il figlio Stefano: il quale, dal
tempo del ritorno della prigionia patita nel campo di Mathausen, era
stato ridotto dal padre al ruolo di consulente “negro” di tutti i tormenti
dello scrittore agrigentino, dei suoi pensieri e soprattutto delle opere in
cantiere. Il padre, rammenta opportunamente l’Andreoli, aveva comin-
ciato a impiegare il figlio “a tempo pieno, relegando il figlio, aspirante
scrittore ancora acerbo, a funzioni servili di ghost writer, stipendiate con
larghezza, educative alla rovescia”. 64 Le discussioni tra padre e figlio che
non erano certo dialoghi e confronti alla pari, ma si risolvevano talvolta
in liti violente. Quel che colpiva era il fatto che il figlio fosse arrivato
al convincimento – già maturato nel tempo della prigionia in Austria–
che le sofferenze, i tormenti, i dolori, le sofferenze in seno alla famiglia
Pirandello fossero diventati la principale materia di espressione artistica
del padre: di certo la materia dei Sei personaggi. Quanto al dramma

63
N. Borsellino, Ritratto e immagini di Pirandello, cit., p. 202.
64
A. Andreoli, Le maschere famigliari di un capolavoro, cit., p. LXV.
Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione ai Sei personaggi 55

teatrale, Stefano ne aveva progettato una autonoma interpretazione che


avrebbe voluto pubblicare e che non doveva aver convinto il padre. Lo
scriveva Stefano alla moglie in una lettera del 19 maggio del 1924:

Cadono le illusioni che mi ero fatto. L’articolo sui Sei personaggi


Papà non l’ha persuaso – ci ho lavorato inutilmente venti giorni.

Ma nella lettera – rileva l’Andreoli65 – Stefano dava notizia di una


prossima collaborazione come autore delle critiche drammatiche quin-
dicinali sulle pagine di Comoedia. Ora, quel che doveva risultare sor-
prendente, rivisto dall’angolo visuale di Stefano, era che il padre inviava
a Comoedia un vero e proprio saggio interpretativo dei Sei Personaggi:
come a voler sbarrare la strada al figlio per ogni pubblicazione sull’ar-
gomento. Ma l’attribuzione autoriale dell’articolo apparso su Comoe-
dia, che appare una sorta di parziale anticipazione della Prefazione del
1925, porrebbe degli interrogativi: si tratterebbe della materia conte-
nuta nell’articolo redatto da Stefano e non approvato dal padre e per
questa ragione non pubblicato dal figlio? Resterà un “fatto”: a margine
dei Sei personaggi nella stampa Mondadori del 1958 compariranno delle
note autografe del figlio Stefano, che osserva che quella Prefazione ai Sei
Personaggi sarebbe stata l’esito di un lavoro a quattro mani, e, per certi
passaggi testuali, annotava Stefano, “tutta opera mia, autonoma, fatta
cioè senza consigli di Papà”. Un po’ celiando si poteva dire che il Figlio
si confessava finalmente autonomo: quando il Padre non c’era ormai
più; era solo un’Ombra del passato, sebbene forse ancora ossessiva, pure
nel presente. Scriverà infatti Stefano a Valentino Bompiani: “Dio, ci
fosse un solo ricordo bello, in tutti gli anni trascorsi accanto a mio Pa-
dre! […]: iroso, ingiusto, disumano”.66

65
Della studiosa è oggi da vedere il suo recente e importante libro Diventare
Pirandello. L’uomo e la maschera, Milano, Mondadori, 2020.
66
Lettera inviata a Valentino Bompiani in data 6 ottobre 1939 e riprodotta
in E. Providenti, Pirandello impolitico. Dal radicalismo al fascismo, Roma, Salerno,
2000, p. 12.
Come fare laboratorio teatrale con
i Sei personaggi in cerca d’autore
di Guillaume Bernardi

Care lettrici, cari lettori,


state per cominciare a fare un laboratorio teatrale con i Sei personaggi in
cerca d’autore di Luigi Pirandello. Forse presenterete i risultati delle vo-
stre ricerche teatrali nell’ambito del 58° Convegno di studi pirandelliani
o forse queste vostre inchieste serviranno di base al lavoro che speriamo
potere fare insieme ad Agrigento a dicembre. Spero tanto incontrarvi in
persona, intanto, vorrei fare qualche suggerimento su come fare questo
laboratorio, suggerimenti che poi adatterete secondo il vostro contesto
e le vostre necessità e soprattutto secondo i vostri desideri e le vostre
interrogazioni a proposito dell’opera di Pirandello.
Forse il punto di partenza più semplice è insistere su cosa questo
laboratorio teatrale NON è. Il primo equivoco da chiarire subito è che il
laboratorio non consiste a mettere in scena frammenti dei Sei personaggi.
Ripeto: non si tratta di rappresentare certe scene del dramma come si
farebbe in uno spettacolo teatrale classico, con scene, costumi ecc. La
parola stessa di laboratorio implica invece una ricerca specifica a par-
tire da domande precise. Non è un caso se la parola laboratorio evochi
un approccio scientifico, una ricerca quindi rigorosa con dei parametri
ben definiti a priori. L’elaborazione delle domande e dei parametri della
ricerca sarà perciò una prima tappa essenziale. Ci tornerò tra poco.Un
altro elemento fondamentale del laboratorio è il pubblico al quale la pre-
sentazione dei lavori è indirizzata. Uno spettacolo tradizionale è destina-
to a un pubblico di persone che in linea di massima gli attori non cono-
scono. Il laboratorio teatrale invece implica che i partecipanti sono non
solo attori ma anche spettatori e destinatari delle presentazioni. I par-
tecipanti apprendono dunque non solo nei momenti di partecipazione
attiva, ma anche nei momenti di osservazione del lavoro dei compagni.
Questo lavoro di addestramento dello sguardo come spettatore è molto
importante. Probabilmente pochi tra voi si destineranno alla carriera di
attore dopo questo laboratorio, ma tutti continuerete questo lavoro di
spettatore, non solo a teatro ma nelle tante forme di spettacolarità1 che

1
Faccio riferimento a un tema illustrato da libri come: G. Debord, La società
dello spettacolo, Roma, Stampa Alternativa, 1967. M. Vargas Llosa, La civiltà dello
spettacolo, Torino, Einaudi, 2013.
58 Guillaume Bernardi

ci circondano nella vita di tutti i giorni. L’alternanza dei ruoli tra attore
e spettatore permette di integrare le osservazioni, ma anche appunto di
affinare le capacità di osservazione e di commento. Si tratta non solo di
osservare meglio, ma anche di articolare meglio le impressioni ricevute
da spettatore, di condividerle e di confrontarle con le impressioni degli
altri partecipanti. È molto importante concettualizzare le varie tappe del
ciclo di lavoro del laboratorio: azione, osservazione, riflessione, articola-
zione, discussione, e poi si ricomincia, si rifà, si riosserva ecc. Ed è anche
importante organizzare chiaramente e mettersi d’accordo sui tempi, le
regole e i metodi di queste tappe. Facendo il laboratorio si impara un
metodo e un modo di lavorare in gruppo e di collaborare.
Ritorno adesso alle domande e ai parametri che potrebbero articola-
re un laboratorio teatrale sui Sei personaggi in cerca d’autore. Per motivi
di chiarezza, ho diviso queste proposte in due tipi di sfide: sfide di re-
citazione e sfide tematiche. Leggete queste proposte come dei percorsi
possibili, ma ci sono certamente tante altre possibilità: vi incoraggio a
definire voi stessi i vostri progetti.

Sfide di recitazione

La commedia di Pirandello offre certamente parecchie opportuni-


tà per sviluppare o rinforzare quelle abilità indispensabili per mettere
in scena qualsiasi testo classico, chiamiamole tecniche attoriali di base.
Ecco una piccola gamma di proposte che coprono diverse competenze
attoriali (dizione, gesto, movimento ecc.). Ho privilegiato le abilità che
possono esser utili non solo in scena ma anche in altri contesti profes-
sionali. Anche in questo caso, vi invito a identificare altre competenze
necessarie per recitare Sei personaggi e a immaginare pratiche per appro-
fondire queste competenze.

• Dizione
La commedia di Pirandello richiede per certi personaggi una no-
tevole virtuosità non solo di recitazione ma anche più specificamente
di dizione. Per dizione intendo la capacità di pronunciare le parole in
modo chiaro e comprensibile anche da un pubblico distante nello spa-
zio. Questo implica non solo una buona comprensione del testo ma
anche una maestranza del proprio corpo: voce, respirazione, ma anche
eloquenza dello sguardo e dei gesti. Spesso con gli esercizi di dizione
si privilegia un lavoro sulla pronuncia. Mi sembra però meno impor-
tante ravvicinarsi a una pronuncia standardizzata dell’italiano quanto
comprendere come funzionano prosodia, ritmo, accento e intonazio-
Come fare laboratorio teatrale con i Sei personaggi in cerca d’autore 59

ne per fare capire un testo or un argomento. La dizione dunque come


strumento per trasmettere al pubblico il significato intellettuale ed
emotivo di un testo. Parliamo allora della funzione retorica e teatrale
della dizione. Nella commedia di Pirandello, il Padre è certamente il
personaggio che privilegia più di tutti gli altri la comunicazione verbale.
Notate come la Figlia usa tanti modi per esprimersi, fino al volo finale.
Il Padre invece si esprime usando le parole in maniera articolata e com-
plessa.Tutte le sue intervenzioni offrono buoni spunti di lavoro ma nella
terza parte dei Sei personaggi, il suo lungo dialogo con il Capocomico
su cosa è un personaggio offre certamente delle ottime opportunità di
esplorazione. Questo passaggio dei Sei personaggi può sembrare noioso e
presentarsi solamente come rallentamento o un ostacolo alla risoluzione
del dramma. Lavorando sulla dizione di questo passaggio si può capire
meglio come l’attore può fare suo anche un testo arduo e trasformare
così un brano complesso in un momento teatrale. Ripeto un punto già
menzionato, lo scopo del laboratorio non è di preparare una recita ma
di sviluppare una consapevolezza dei mezzi utilizzati da Pirandello. Lo
scrittore siciliano è certamente un artigiano abilissimo della retorica,
che appunto, l’attore deve mettere in risalto. L’uso di manuali di dizione
può certamente facilitare questo tipo di lavoro,2 come i testi di riflessio-
ne sul ruolo e l’uso della voce.3

• Gesto/movimento
Un elemento strutturante del testo di Pirandello è la variazione, nel
senso diremmo musicale della parola: tema e variazione. Una scena pro-
posta dai personaggi viene poi rielaborata dagli attori. Gli spettatori
vedono così più volte la stessa scena, ma con delle variazioni nell’inter-
pretazione. La didascalia di Pirandello spiega molto bene questa trasfor-
mazione:

La rappresentazione della scena, eseguita dagli Attori, apparirà fin


dalle prime battute un’altra cosa, senza che abbia tuttavia, neppur mi-
nimamente, l’aria di una parodia; apparirà piuttosto come rimessa in
bello.

2
Tra i tanti manuali di dizioni, ecco qualche titolo abbastanza recente: G.
Lorin, Manuale di dizione, Roma, Tespi, 2009. C. Veneziano, Manuale di dizione,
voce e respirazione, Nardò, Besa, 2012.
3
Ecco due libri importanti: P. Rodenburg, Il diritto di parlare: lavorare con la
voce, Milano, F. Angeli, 2019. K. Linklater e A. Fabrizi, La voce naturale: immagini
e pratiche per un uso efficace della voce e del linguaggio, Roma, Elliot, 2014. Per un
approccio filosofico: A. Cavarero, A più voci filosofia dell’espressione vocale, Milano,
Feltrinelli, 2005.
60 Guillaume Bernardi

Pirandello però non dà indicazioni concrete su come realizzare que-


sta trasformazione: come cambiare gesti, intonazioni ecc. Anche qui,
mi sembra ci siano tante opportunità di ricerca, soprattutto a livello
del gesto e del movimento. Per dare un esempio di esercizio: mentre
una scena è recitata è anche moltiplicata a specchio, senza parole, da
altri partecipanti. Se fosse possibile, sarebbe consigliabile coinvolgere un
insegnante di danza per guidare queste esplorazioni, ci sono però anche
ottimi manuali che possono guidare questa ricerca.4

• Canto e danza
Si può anche andare più avanti in questa direzione, sfruttando le op-
portunità offerte dall’episodio imperniato sulla canzone “Prends garde à
Tchou-Tchin-Tchou”. Pirandello usa la versione francese di un brano di
una musical comedy inglese, molto popolare in quegli anni, Chu Chin
Chow. Piuttosto che usare il brano di Stamper-Salabert, non facilmente
reperiblile e problematico per i suoi toni denigranti, suggerirei di cer-
care un’altra canzone, riflettendo su che tipo di musica usare e che stile
di canto e danza sarebbero più indovinati al vostro contesto e alle vostre
scelte di laboratorio.

• Recitazione di gruppo
Il lavoro di laboratorio implica quasi nella sua natura stessa un lavo-
ro di gruppo e una concezione, diciamo cosi, “democratica” del teatro.
La nozione stessa di laboratorio teatrale è nata nel secolo XX sempre ac-
compagnata da ideali politici e sociali. Spesso le opere di teatro classiche
sono molto centrate sulla figura dell’attore protagonista e si prestano
male al lavoro di laboratorio. Sei personaggi invece ha certamente delle
figure chiavi (il Padre e la Figlia in primis), ma c’è anche tutto il gruppo
degli attori della compagnia, poco differenziati tra di loro. Pirandello la-
scia un gran margine di libertà interpretativa per gli attori della compa-
gnia, come si nota fin dalla prima didascalia, molto aperta, che descrive
la loro entrata sulla scena. Tutte le scene dove la compagnia di attori ha
un ruolo centrale permettono l’elaborazione di una recitazione di grup-
po, dove ogni partecipante porta un suo tassello all’ensemble. Questo
tipo di lavoro permette di acquistare abilità specifiche, in particolare
ritmo, colore vocale, caratterizzazione, anche l’ascolto e sono elaborate
attraverso un lavoro di improvvisazione e di ascolto.

4
F. Falcone, Tecniche di danza contemporanea, Roma, Dino Audino Editore,
2020. M. Vannucchi, Corpi in bilico: danza contemporanea per gli attori, Bologna,
Massimiliano Piretti Editore, 2016.
Come fare laboratorio teatrale con i Sei personaggi in cerca d’autore 61

Sfide tematiche

Come avrete probabilmente notato, fino adesso non ho ancora af-


frontato quelli che la critica considera i temi principale dei Sei perso-
naggi e, in particolare, il nodo centrale del dramma: il conflitto tra i
personaggi e tra personaggi e compagnia teatrale su come rappresentare
la loro vicenda tormentata e oscura. Con il lavoro di laboratorio teatrale
sceglierete, immagino, di inoltravi in questo territorio scomodo. Uno
scopo importante del laboratorio potrebbe essere appunto esplorare e
chiarire queste problematiche complicate. Mi sembra però molto im-
portante articolare il più chiaramente possibile quali sono questi groppi
al centro dell’opera di Pirandello.
La storia raccontata dai Sei personaggi risulta travagliata per alme-
no due tipi di ragioni, ovviamente connesse, ma che è importante di-
stinguere. La prima causa di complessità è il classico topos pirandellia-
no: ogni personaggio ha la sua verità, la sua versione dei fatti. Ci sono
dunque delle verità contradditorie che si affrontano per rappresentare
la loro storia. La grande innovazione dei Sei personaggi è il cosiddetto
meccanismo del teatro nel teatro che permette appunto di incarnare
sulla scena queste contraddizioni. C’è però una seconda causa di com-
plessità, che risiede nel cuore stesso della storia. I fatti avvenuti nell’in-
timità della famiglia dei personaggi sono misteriosi, con delle ombre
inquietanti, si potrebbe addirittura dire paurose. La scena tra il Padre e
la Figliastra nella bottega di Madama Pace è l’elemento raccontabile di
questa storia, mentre gli avvenimenti dell’ultima parte della commedia
sembrano alludere a fatti semplicemente irraccontabili. L’ultima parte
dei Sei personaggi, che si concentra appunto su questo territorio oscuro
che culmina con la morte dei due bambini è spesso stata criticata,5 ma
Roberto Alonge, in un articolo pubblicato dal Centro Nazionale Studi
Pirandelliani, esplora appunto questo “cuore di tenebra” e spiega con
molta chiarezza come questo nodo può dispiegarsi solamente con il di-
spositivo del teatro nel teatro.6
La funzione di questa lunga premessa è di mettere in guardia su certi
rischi del laboratorio teatrale e forse anche di mettere qualche paletto. È

5
Già in una delle prime critiche di Sei personaggi, A. Tilgher scrive: “Si aggiun-
ga che il terzo atto, in fondo, non fa che piétiner sur la place del secondo e che la fine
della commedia è assolutamente assurda: è una fine qualsiasi, messa lì per chiudere
comunque l’opera e far calare il sipario.”
6
l teatro nel teatro come meccanismo di censura del cuore di tenebra, in AA.VV.,
Pirandello e il teatro. “Questa sera si recita a soggetto”, a cura di S. Milioto, Caltanis-
setta, Edizioni Lussografica, 2015, pp. 41-53.
62 Guillaume Bernardi

forse meglio lasciare stare il “cuore di tenebra” del dramma pirandellia-


no per concentrarsi sull’azione centrale della commedia di Pirandello:
la lotta dei personaggi per fare rappresentare la loro storia. Anche qui
però, ci sono diversi scogli da evitare. A Pirandello condurre a proposito
gli spettatori dei Sei personaggi in posizioni emotivamente complesse e
scomode. Uno dei suoi scopi è appunto di forzare la persona che assiste
alla rappresentazione a riconoscere l’ambiguità della sua posizione di
osservatrice. Per esser più chiari, è ovvio che, quando assisteranno alla
scena tra il Padre e la Figliastra nell’atelier di Madama Pace, soprattutto
adesso, dopo #MeToo, una spettatrice avrà una reazione diversa da uno
spettatore. Parlando di Madama Pace, è probabile che una spettatrice
di origini latino americane abbia, legittimamente, una reazione molto
negativa di fronte all’invenzione di Pirandello. Prima dunque di lavora-
re su queste scene nel laboratorio teatrale sarà indispensabile creare dei
momenti insieme di riflessione per discutere della gravità delle vicende
messe in scena di Pirandello e soprattutto per assicurarsi che i parteci-
panti si sentano a loro agio con il materiale scenico. Se per caso ci fosse
un disagio tra i partecipanti, anche circoscritto, sarebbe meglio limitarsi
a lavorare sulle sfide di recitazione. Chiariti e risolti questi punti impor-
tanti, mi sembra che la messa in gioco delle strutture rappresentative
di Sei personaggi apra molti spazi per le attività di laboratorio teatrale.
Vorrei indicare due direzioni di ricerca possibili tra tante.

• Il giuoco delle parti


Comincio con il suggerimento più ovvio, ma che potrebbe anche
essere il più ricco di risultati. Sei personaggi è una commedia costruita
sul contrasto violento tra ruoli maschili e ruoli femminili. L’intervento
più semplice, usando à la lettre il testo di Pirandello, è di intervertire gli
interpreti delle parti maschili e femminili e di esplorare le conseguenze
e le sfumature di tale rovesciamento. Questa semplice operazione può
essere utilizzata in maniere molto diverse secondo il gruppo. Si può far-
ne un esercizio di recitazione o come un esercizio per fare immaginare
posizioni diverse. Notate anche che si possono combinare gli esercizi di
recitazione evocati prima con queste sfide tematiche. Si può per esem-
pio usare l’esercizio sulla variazione invertendo le parti maschili e fem-
minili. Lo scopo di un laboratorio è proprio quello di inventare nuovi
approcci secondo le scoperte che si fanno.

• Metateatro
Concludo con la dimensione più famosa e più innovativa dei Sei
personaggi. La commedia di Pirandello è famosa e importante per essere
tra le prime opere teatrali del Novecento a scardinare i modi tradizionali
Come fare laboratorio teatrale con i Sei personaggi in cerca d’autore 63

di scrivere per il teatro. È un dramma che preannuncia quello che la cri-


tica recente ha battezzato il teatro postdrammatico,7 ossia un teatro che
mette in gioco la sua forma stessa e che ricerca altre forme possibili di
performance. Questa posizione innovativa è anche un invito a esplorare
i Sei personaggi con le nuove tecnologie, in particolare in questo periodo
che stiamo attraversando. Conto su di voi per esplorare se la storia dei
sei personaggi può essere raccontata con i nuovi strumenti tecnologici
e le nuove piattaforme che abbiamo imparato a usare in questi ultimi
mesi. Forse, con l’arrivo inaspettato dei personaggi durante le prove di
“Il giuoco delle parti” Pirandello ha inventato con un secolo di anticipo
la versione 3D dello zoombombing? Forse il Figlio osserva i suoi parenti
con una telecamera di videosorveglianza? E sarebbe possibile trasforma-
re i Sei personaggi in un videogioco? Sono curioso di vedere se e come
risponderete a queste domande.
Mi fermo qui. Se vi interessa sapere come ho utilizzato alcune delle
idee che ho menzionato in questa lettera, vi consiglio di leggere l’ar-
ticolo che Giuliana Sanguinetti Katz8 ha scritto sulla messa in scena
dei Sei personaggi che ho fatto qualche anno fa in Canada. Ma ripeto:
questi sono solo suggerimenti, conto su di voi per leggere la commedia
di Pirandello con la vostra creatività e per inventare soluzioni che vi ri-
flettano. Non esitate a contattarmi se volete discutere queste proposte o
le vostre idee, o anche semplicemente per fare conoscenza.9 Sono molto
impaziente di conoscervi e di lavorare con voi, speriamo in persona, ad
Agrigento a fine anno. Buon lavoro, e buon divertimento!

7
H.-T. Lehmann, traduzione: S. Antinori, postfazione: G. Guccini, Il teatro
postdrammatico, Imola, CuePress, 2017.
8
G. Sanguinetti Katz, I Sei personaggi di Guillaume Bernardi, in AA.VV., Tri-
logia del teatro nel teatro. Pirandello e il linguaggio della scena, a cura di E. Lauretta,
Agrigento, Centro Nazionale Studi Pirandelliani, 2002, pp. 157-165.
9
Vi invito a scrivermi a questo indirizzo mail: gber@yorku.ca
Sei personaggi in cerca d’autore
ovvero Pirandello nostro contemporaneo
di Alessandro Tinterri

Il 9 maggio 1921 al Teatro Valle di Roma andavano in scena per la


prima volta i Sei personaggi in cerca d’autore. È trascorso un secolo, ep-
pure il capolavoro di Luigi Pirandello conserva il suo fascino misterioso,
la forza di una meteora abbattutasi sul palcoscenico del teatro più antico
della capitale, per poi deflagrare ovunque.
Pirandello non era nuovo alle provocazioni, se di lui Antonio Gram-
sci, recensendo Il piacere dell’onestà, il 29 novembre 1917, aveva scritto:
«Luigi Pirandello è un “ardito” del teatro. Le sue commedie sono tante
bombe a mano che scoppiano nei cervelli degli spettatori e producono
crolli di banalità, rovine di sentimenti, di pensiero».1 Ma questa volta
il crollo era radicale e sconvolgeva le convenzioni del teatro borghese.
Conscio della portata della sua novità, Pirandello aveva dato lettura dei
Sei personaggi in una serata a casa del critico teatrale Arnaldo Frateili,
vice de “L’Idea Nazionale”, cui erano presenti Silvio d’Amico, critico
titolare dello stesso giornale, Alberto Cecchi, critico de “Il Tevere”, il
figlio Stefano Pirandello e il musicista Mario Labroca.
Era consuetudine all’epoca che la prima lettura del copione agli at-
tori avvenisse per bocca dell’autore. Dario Niccodemi, lui stesso autore
di successo, nonché capocomico della Compagnia, che per prima portò
sulla scena del Valle la novità pirandelliana, ci ha lasciato un vivido ri-
tratto di Pirandello alla prova a tavolino:
Legge male, ma con irresistibile efficacia. Non c’è valore d’intona-
zione nella sua voce, né chiaroscuri, né pause, né studiate ricerche d’ef-
fetto, né quello che si potrebbe chiamare «l’arte del respiro» che serve
a distaccare le frasi con sapienti dosature di silenzio, che le arieggia, le
isola, dando loro tutto il significato intellettuale e musicale che devono
avere. Ma che irruenza nel leggere; che vertigine; che travolgente tu-
multo di parole, di suoni, di urli. Non si resiste. […] Luigi Pirandello
pare che legga più per sé che per gli altri; lo si sente solo con la passione
dei suoi personaggi, con la loro volontà che domina la sua. […] La let-
tura alla Compagnia de i Sei personaggi in cerca d’autore fu memorabile.

1
A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi, 1950, p. 307.
66 Alessandro Tinterri

L’ammirazione incominciò quando finì la comprensione. E questa finì


subito.[…] L’entusiasmo tra gli attori scoppiò unanime, irresistibile,
convinto, e profondo. Ma nessuno aveva capito niente. Eravamo sba-
lorditi, nel caos.2

L’autore continuò a essere presente e a intervenire anche alle prove


in piedi:

Fin dalla prima prova la modesta sedia vicina alla cuffia del suggeri-
tore diventa per Pirandello una poltrona di platea. Dirige. […] ma un
curioso sdoppiamento avviene nella sua persona. C’è in essa l’autore
che guida ed insegna e c’è lo spettatore che guarda e che gode. […] Lo
sforzo mnemonico è visibilmente prodigioso; ripete le parole del suo
testo senza mancarne una o, piuttosto, le sue labbra le disegnano tutte
in un ardente silenzio. Il suo viso è d’una mobilità incredibile. Fa pen-
sare a una folla di visi in azione. Ripete, rifà le contrazioni visuali degli
attori. I suoi occhi vanno da un interprete all’altro; prendono e danno,
seminano e raccolgono, sorridono, fremono, approvano. […] La scena
monta, s’allarga, s’inasprisce, si accanisce, urla fra due, tre, quattro per-
sonaggi e Pirandello è due, tre, quattro personaggi. […] Ma ad un trat-
to tutta quella forza umana irrefrenabile cade come colpita a morte. Il
corpo rimane inerte, le braccia penzoloni, il viso àtono, gli occhi spenti.
E un segno di disapprovazione. Interrompo la prova.[…] Pirandello si
alza, cerca, spiega, rettifica. Incerto ed esitante in principio, si accalora
subito, ridiventa subito efficace. Prende di petto l’attore in difetto e
spiega, spiega con un torrente di parole.[…] - Non è colpa tua – dice
affettuoso e cordiale all’attore. È colpa del suggeritore. Tutto è colpa
del suggeritore. […] -Finché ci sarà il suggeritore – dice – non ci potrà
essere né verità né naturalezza nella recitazione. Bisogna sopprimerlo,
sopprimerlo. - […] – Quando io dirigerò, gli attori dovranno studiare
e imparare a memoria le loro parti. […]

A dar retta a Niccodemi, a prendere per buoni i suoi virgolettati,


sembrerebbe che nel 1921 fosse già presente nel drammaturgo siciliano
l’intenzione di divenire egli stesso metteur en scène, per usare il termine
francese più vicino al nostro regista, neologismo coniato solo nel 1932.
E può essere che cominciasse a carezzare l’idea, ma noi sappiamo che
l’occasione si presenterà pochi anni dopo, con la creazione del Teatro
d’Arte. Ma andiamo per ordine. Quel che è certo è che nell’invettiva
contro il suggeritore emerge il dissidio dell’attore con il personaggio,
che è alla base dei Sei personaggi in cerca d’autore e appare, chiaramente

2
D. Niccodemi, Tempo passato, Milano, Treves, 1929, questa e le citazioni se-
guenti, salvo diversa indicazione, sono tratte dal capitolo L’autore alla prova, pp.
78-88.
Sei personaggi in cerca d’autore ovvero Pirandello nostro contemporaneo 67

formulato, uno dei precetti che informeranno la sua direzione degli at-
tori in quel teatro:
-E quando verranno sul palcoscenico non dovranno essere più gli
attori, ma i personaggi stessi della commedia o del dramma che dovran-
no recitare. […] Ora non è possibile. L’attore si specchia nel suggeritore
e, per forza, deve sentirsi grottesco nei confronti del personaggio che
deve rappresentare. Non può essere personaggio; rimane attore, attore
che dice con più o meno intelligenza, con più o meno talento o genio,
ma macchinalmente, le parole che il suggeritore gli spedisce di contrab-
bando dalla sua cabina senza fili, ma non senza voce, perché il pubblico
sente quasi sempre la sua voce o, se non la sente, la indovina, il che è
ugualmente disastroso per lo spettacolo. […] E il suggeritore non si
contenta di suggerire le parole, ma ha delle inflessioni sue, delle smorfie
sue particolari, suggestionanti per l’attore poco sicuro[…]

Niccodemi insiste sullo sconcerto degli attori, abituati a confidare


nell’aiuto del suggeritore, in un’epoca in cui le Compagnie avevano in
repertorio molti titoli e il cartellone variava di sera in sera. Se abbiamo
tanto insistito sulla testimonianza di Dario Niccodemi, non è solo per
il fatto che a lui si deve il battesimo del palcoscenico di Sei personaggi in
cerca d’autore, ma perché nel suo racconto c’è un crescendo che culmina
in un’epifania, l’epifania di uno scrittore, che appare quasi posseduto
dal teatro e con esso intrattiene un rapporto viscerale:

In verità io credo che sbagliano coloro che credono a un Pirandello


che preme e macera spietatamente il suo cervello per trarne ad ogni
costo delle cose «differenti»; per sconvolgere le leggi del peso e della
resistenza nell’architettura scenica, per scombussolare i valori etici ed
estetici del teatro. Anche parlando il grande scrittore parla in un altro
modo, vede, sente, vuole in un altro modo.

Diversi anni dopo, all’indomani della sua scomparsa, Alberto Savi-


nio, che lo aveva conosciuto e frequentato, parlerà di superiorità e scri-
verà: «Est deus in Pirandello».3
Di quella storica prima non abbiamo immagini, salvo qualche ritrat-
to di Vera Vergani nei panni della Figliastra, il volto imbiancato dalla
cipria di riso e gli occhi bistrati da diva del cinematografo. Sappiamo
tutto, invece, delle reazioni del pubblico, che aveva pagato un biglietto
maggiorato e applaudito al termine del primo e del secondo atto, per
scatenarsi alla fine, di fronte alla mancata conclusione, in una bagarre
che, iniziata in platea, terminò con gli insulti e il lancio di monetine

3
A. Savinio, Palchetti romani, a c. di A. Tinterri, Milano, Adelphi, 1982, p. 64.
68 Alessandro Tinterri

all’indirizzo dell’autore, che sgattaiolava dall’uscita degli artisti sul retro


del teatro, scortato dai suoi sostenitori.
Assente Silvio d’Amico, in trasferta a Torino per il ritorno alle scene
della Duse dopo un’assenza di dodici anni, sostituì il critico titolare de
“L’Idea Nazionale” Arnaldo Frateili, cui dobbiamo la cronaca, scritta a
caldo, della burrascosa serata:

Alla fine è scoppiata la battaglia, la più violenta forse che ricordi


il Valle. La lotta tra i plaudenti e i disapprovanti ha toccato intensità
sonore mai raggiunte. Venti minuti dopo la fine dello spettacolo buona
parte del pubblico era ancora a teatro a discutere ad alta voce, chia-
mando tra grandi applausi l’autore che dovette presentarsi un numero
infinito di volte, mentre i più fieri avversari della commedia urlavano
in coro il loro sdegno.4

Quanto alla reazione della critica è ancora Niccodemi a riassumerla


nelle pagine del suo diario:

La stampa, eccettuate due o tre eccezioni, è stata d’una incompren-


sione totale, assoluta, enciclopedica. Ed è stata, come accade spesso,
vile. Non conduce l’opinione del pubblico, ma la subisce. Alla pro-
va generale mi sono sentito dire dell’esecuzione cose che, forse, mai
nessun direttore ha udito; e dopo lo spettacolo, nei rendiconti, i più
entusiastici della prova generale hanno appena tributato un omaggio
a Vera ad Almirante e a Magheri che meritavano degli inni. La stampa
italiana contrariamente a quella degli altri paesi tutti, ha l’abitudine di
dilungarsi smisuratamente nel racconto della commedia e di non dire
che poche righe, alla sfuggita, dell’interpretazione che tante volte salva
la commedia.

Dati alla mano, Alessandro d’Amico così sintetizza l’esordio romano


dei Sei personaggi: “I 1.040 spettatori paganti che avevano assistito alla
prima divennero 367 il 10 maggio, 317 l’11, 225 il 12. Il giorno 13
l’amministratore della compagnia propose a Niccodemi di cambiare il
titolo in Sei personaggi in cerca d’incasso, ma Niccodemi preferì cambiare
commedia”.5 Si diceva allora che Milano applaudiva quel che Roma fi-
schiava, e viceversa, il riscatto venne a settembre quando la Compagnia
Niccodemi approdò a Milano, la piazza più importante d’Italia, e i Sei

4
A. Frateili, “L’Idea Nazionale”, 11 maggio 1921, in La «prima» dei «Sei per-
sonaggi in cerca d’autore», a c. di G. Davico Bonino, Torino, Tirrenia-Stampatori,
1983, p. 84.
5
A. d’Amico, «Sei personaggi», uno e due: ovvero dallo stupore al terrore, in
AA.VV., Il teatro italiano dal naturalismo a Pirandello, a c. di A. Tinterri, Bologna,
il Mulino, 1990, p. 380.
Sei personaggi in cerca d’autore ovvero Pirandello nostro contemporaneo 69

personaggi in cerca d’autore vi colsero un completo successo. È ancora


Alessandro d’Amico, curatore dell’edizione critica delle Maschere nude,
raccolta completa in quattro volumi del teatro di Pirandello nei “Meri-
diani” Mondadori (1986-2007), a porre la domanda, che sorge sponta-
nea a chiunque abbia contezza della particolarità della scrittura teatrale:

Resta da chiedersi: dopo l’infelice esito nella capitale furono ap-


portate modifiche al testo? Luigi Almirante, che era il Padre, ebbe a
dichiararmi più volte che la sua parte venne ampiamente tagliata perché
“l’azione ristagnava”. Testimonianza avvalorata da un’altra pagina del
diario di Niccodemi all’indomani del debutto romano: “Almirante è
leggermente manierato” a causa della “falsità di certe perorazioni che
non hanno niente di scenico”. L’ipotesi più probabile è che siano state
soppresse alcune battute del Padre al terzo atto, ritenute responsabili
della caduta della commedia al Valle: forse quelle stesse che Pirandello
cancellerà nell’edizione definitiva.6

Dopo di allora Sei personaggi in cerca d’autore conquistò le capitali


straniere: nel 1922 Londra e New York (undici mesi di repliche), nel
1923 Parigi (un anno in cartellone) e Praga, Berlino nel 1924. E la fama
di Pirandello varcò così i confini nazionali, ponendo le basi di quella
notorietà internazionale, culminata nel 1934 con il conferimento del
Premio Nobel.
Pirandello alle prove dei Sei personaggi, che si affanna a spiegare agli
attori le sue intenzioni, così come ce lo ha appena descritto Niccodemi,
ci ricorda l’insoddisfazione, più volte espressa nelle lettere al figlio Ste-
fano, di fronte alle approssimazioni degli interpreti dei suoi lavori, quel
disagio, indagato da Claudio Vicentini,7 dichiarato da Pirandello nel
saggio del 1908 Illustratori, attori, traduttori: «Ebbene, quante volte un
povero autore drammatico, assistendo alle prove d’un suo lavoro, non
grida allo stesso modo: “No! Così no!” torcendosi come a un supplizio,
per il dispetto, per la rabbia, per il dolore di non veder rispondere la
traduzione in realtà materiale, che dev’essere per forza altrui, alla conce-
zione e a quell’esecuzione ideale che son sue, tutte sue?».8
Che Pirandello custodisse in sé una precisa visione spettacolare dei
suoi testi era, dunque, chiaro da tempo, ma che cominciasse a coltivare
l’intenzione di intervenire in prima persona per rimediare alle inevita-
bili approssimazioni del palcoscenico divenne esplicito, quando, il 28

6
Ivi, p. 381.
7
C. Vicentini, Pirandello.Il disagio del teatro, Venezia, Marsilio, 1993.
8
L. Pirandello, Saggi e interventi, a c. di F. Taviani, «I Meridiani», Milano,
Mondadori, 2006, p. 644.
70 Alessandro Tinterri

marzo 1924, promise Sagra del Signore della Nave, ennesima trasposi-
zione teatrale di una sua novella, a Enzo Ferrieri, che gli chiedeva una
novità per l’inaugurazione del milanese Teatro del Convegno: “Ho in
mente, e potrei aver pronta fra qualche mese, una sagra di nuovo genere,
da ridurre a effetto in teatro in un modo affatto nuovo, cioè ponendo
a servizio della rappresentazione tutta quanta la sala e lasciando il pal-
coscenico, non da parte, ma destinato solo a raffigurare una chiesa di
campagna, mèta dello strano pellegrinaggio”.9
Quarant’anni dopo, in un articolo apparso sul “Corriere della Sera”
del 29 agosto 1964, Ferrieri rievocava quell’episodio non senza ironia:
Pirandello fu molto buono con noi: ci offrì un’opera nuova: La sa-
gra del signore della nave. Mi domando se lo fece per aiutarci o per to-
glierci tutte le illusioni! L’opera richiedeva circa sessanta personaggi. Per
quanti “raddoppi” si facessero potevamo metterne insieme una ventina!
Ma c’era di peggio. Condiscendente su tutto, fino a dirigere lui stesso
l’esecuzione, dopo averci offerto una esemplare lettura, Pirandello fu ir-
riducibile su un punto: l’esigenza di un ponte che unisse il palcoscenico
alla platea: per allora, nel teatro di prosa, era una novità.10

Pirandello fu comunque di parola e andò a Milano per dirigere l’e-


secuzione dell’atto unico All’uscita, in sostituzione dell’altro atto unico,
risultato troppo complesso per la piccola sala milanese, oltre a regalare
al pubblico la primizia della conferenza su Sei personaggi. Ed è proprio
Sagra del Signore della Nave a rendere manifesta la maturazione di Piran-
dello verso una concezione in termini registici della sua drammaturgia,
con la sproporzione rivelatrice delle didascalie rispetto al testo:

Probabilmente neppure lo stesso Pirandello aveva previsto, quan-


do avanzò la prima proposta, le proporzioni che l’atto unico avrebbe
assunto. A quella scrivania, nell’“eremo” di Monteluco, accanto allo
scrittore si sedette anche il futuro regista del Teatro d’Arte e fu questo a
suggerirgli la visione dello spettacolo, testimoniata dal peso inconsueto
delle didascalie che più che corredare sostanziano il testo. Già allora,
forse, cedette alla tentazione di derogare al proposito ribadito in tante
interviste di non rappresentare nel suo teatro testi propri e pensò di
riservarlo per l’inaugurazione del Teatro d’Arte, come poi avvenne.11

9
Per l’intera vicenda ci sia consentito di rinviare alla Notizia, da cui è tratta la
presente citazione, che accompagna il testo in L. Pirandello, Maschere nude, III,
a c. di A. d’Amico, con la collaborazione di A. Tinterri, «I Meridiani», Milano,
Mondadori, 2004, p. 410.
10
Ivi, p. 411.
11
Ivi, p. 412.
Sei personaggi in cerca d’autore ovvero Pirandello nostro contemporaneo 71

Sta di fatto che, di lì a poco, sulle orme di altri autori, che lo aveva-
no preceduto su questa via, da Nino Martoglio a Marco Praga, a Dario
Niccodemi, con la creazione del Teatro d’Arte, Pirandello si trasformò
in capocomico. Ciò avvenne quando una pattuglia di giovani e meno
giovani, tra i quali il figlio Stefano e l’amico Massimo Bontempelli,
Orio Vergani e l’attore Lamberto Picasso, gli chiesero di porsi alla testa
di un’impresa, che aveva in animo di dotare la capitale di un teatro
d’eccezione, ispirato ai più moderni criteri della messinscena e inteso a
valorizzare un repertorio fatto di novità italiane e straniere. Nasceva così
il Teatro d’Arte di Roma, in Palazzo Odescalchi a Piazza Santi Apostoli,
dove l’omonima Compagnia debuttò il 2 aprile 1925 con l’atto unico
Sagra del Signore della Nave e Gli dei della montagna (The Gods of the
Mountain), tre atti dell’irlandese Lord Dunsany. Si apre così un capitolo
nuovo e centrale della vita di Pirandello, che segna uno spartiacque sia
nella sua biografia, con l’incontro con Marta Abba, sia nel suo percorso
artistico. Per tre anni, dal 1925 al 14 agosto 1928, tanto durò la Com-
pagnia del Teatro d’Arte, Pirandello ne condivise le gioie e gli affanni,
le fatiche delle tournée, croce e delizia del nomadismo teatrale italiano,
i sogni e le speranze infrante, la battaglia per dare all’Italia un teatro
nazionale sull’esempio della Comédie Française, ma fu, soprattutto, la
pratica diretta del palcoscenico a consentirgli quelle verifiche, che ogni
drammaturgo aspira a fare.
Che Pirandello fosse pronto per la grande avventura lo si evince dal-
lo spettacolo di esordio e dalle richieste precise che ebbe a fare a Virgilio
Marchi, l’architetto, che dopo aver ristrutturato la sala dell’Odescalchi,
avrebbe continuato ad affiancare il Maestro, come veniva chiamato al
Teatro d’Arte, in qualità di scenografo. Pirandello, infatti, gli chiese di
prevedere la possibilità di mettere in comunicazione il palcoscenico con
la platea, segnale evidente della sua intenzione di coinvolgere il pubbli-
co nell’azione scenica, abolendo il confine tra il palcoscenico e la ras-
sicurante realtà degli spettatori, comodamente seduti in platea, quella
stessa platea, che veniva qui contaminata dall’invadenza degli attori.
Nella didascalia di apertura di Sagra del Signore della Nave si legge:

Per la rappresentazione di questa Sagra sarà necessario predispor-


re un congiungimento del palcoscenico con la sala del teatro. Appena
gli spettatori di buono stomaco avranno preso posto, un ponticello di
passaggio alto circa due palmi e mezzo si drizzerà, all’alzarsi del sipario,
lungo il corridojo tra le due ali delle poltrone, mediante un congegno
meccanico che potrà così drizzarlo come tenerlo appiattito al suolo.
E la varia gente che si recherà alla festa, signori e popolani, beghine e
miracolati del Signore della Nave, venditori d’ogni mercanzia, sonatori
ambulanti, contadini, ecc., entreranno dalla porta d’ingresso nella sala,
72 Alessandro Tinterri

alle spalle degli spettatori; traverseranno su quel ponticello il corridojo


e saliranno sul palcoscenico, che rappresenterà una parte dello spiazzo
davanti la chiesetta di campagna.12

Lo spettacolo inaugurale del Teatro d’Arte, nella sua coralità e cura


delle scenografie, costituiva una sorta di manifesto dell’illustre capo-
comico e doveva illustrarne le ambizioni registiche, offrendo, nel con-
tempo, un saggio delle possibilità del nuovo teatro, anche sul piano
illuminotecnico. Quel giovedì 2 aprile 1925, tutto andò secondo le
indicazioni dell’autore capocomico, attori e comparse, provenienti dal
fondo della sala, salirono sul palcoscenico, dove andava crescendo l’ani-
mazione della sagra paesana, sino al gran finale, in cui una folla di oltre
centoventi persone in processione, scesa dal palcoscenico, attraversò la
platea per sciogliersi nel ridotto del teatro.
Il poeta Vincenzo Cardarelli, all’epoca anche critico teatrale, così
dava conto dell’emozione della serata ai lettori del quotidiano “Il Teve-
re”: “Il teatro intero è trasformato in palcoscenico per modo che l’azione
comincia e finisce dietro le spalle degli spettatori. Col suo movimento
ondoso e tumultuoso, la massa fa da protagonista e tutto quello che
costituisce l’apparato scenico, luci, colori, costumi, acquista un’impor-
tanza capitale”.13 Dalle colonne de “Il Risorgimento” gli faceva eco lo
scrittore Corrado Alvaro, che descriveva il colore e il frastuono della
festa: “Dalle porte di fondo giunge la folla: tamburini, ladri, donnacce,
devoti, e autorità. La festa è al colmo. Si sente lo sparo di mortaretti, il
rullo dei tamburi, il coro della chiesa”.14
L’evento più significativo della breve stagione del Teatro d’Arte fu,
però, la messinscena dei Sei personaggi il 18 maggio 1925. Pirandel-
lo aveva più volte ribadito nelle interviste precedenti all’apertura del
nuovo teatro di non avere intenzione di mettere in scena lavori propri
e Sagra del Signore della Nave doveva essere nelle sue intenzioni l’unica
eccezione, a conferma della regola. Ma il pubblico di Londra e Parigi si
attendeva l’esatto contrario e Pirandello si vide costretto ad allestire un
repertorio interamente pirandelliano in vista della prima tournée estera
della Compagnia del Teatro d’Arte, il cui piatto forte era naturalmente
costituito da Sei personaggi in cerca d’autore, l’opera sua più innovativa,
di rinomanza internazionale, diretti dall’autore medesimo. Ha origine
così quella che può essere considerata la versione definitiva del capola-
voro pirandelliano, che differisce in molti punti dalla prima edizione

12
Ivi, p. 421.
13
A. d’Amico e A. Tinterri, Pirandello capocomico, Palermo, Sellerio, 1987, p. 73.
14
Ibid.
Sei personaggi in cerca d’autore ovvero Pirandello nostro contemporaneo 73

del 1921. Il volantino in quattro lingue avvertiva il pubblico dell’ecce-


zionalità dello spettacolo: “Questa edizione ha un particolare interesse
perché è la prima edizione completa, arricchita di nuovi dettagli ed è
poi in contrasto con le edizioni famose di Berlino, Parigi e New York”.15
Dello spettacolo messo in scena dall’autore al Teatro d’Arte l’edizio-
ne del 1925 costituisce una sorta di livre de régie, che di quell’evento
conserva, fissate per sempre nel testo, le tracce materiali, a partire da
quelle due scalette, riconoscibili nelle foto del Teatro Odescalchi e citate
nella didascalia di apertura della versione definitiva dei Sei personaggi in
cerca d’autore: “Due scalette, una a destra e l’altra a sinistra, metteran-
no in comunicazione il palcoscenico con la sala”.16 Sono le medesime
scalette, utilizzate per Sagra del Signore della Nave, che consentono l’ab-
battimento della quarta parete, con i continui andirivieni del Direttore
durante le prove e la fuga finale della Figliastra, laddove nell’edizione del
’21 l’azione era tutta confinata sul palcoscenico.
Altra variante di rilievo riguarda i Personaggi, il cui aspetto è meglio
precisato, rispetto alle indicazioni ambigue e d’atmosfera del 1921. Nel-
la versione del ’25 viene, infatti, sottolineata la radicale differenza tra la
realtà quotidiana degli Attori, abbigliati con vestiti colorati, e l’aspetto
fantasmatico dei Personaggi, per i quali Pirandello consiglia il ricorso a
maschere, che lascino liberi gli occhi, le narici e la bocca (vengono in
mente le maschere ricorrenti negli spettacoli del regista Benno Besson)
e abiti rigidi e squadrati, tali da renderli particolarmente conturbanti.
Vi è poi lo sviluppo della situazione metateatrale, nel ’21 condensata
in poche iniziali battute a soggetto, nel ’25 lievitata sulla scorta delle
suggestioni mutuate dalla visione della messinscena parigina di Pitoëff,
che impressionò Pirandello. Ma anche in altri punti l’autore si diverte
a mostrare il gioco del teatro, a svelarne l’illusione. Così nel terzo atto:
Nell’edizione originaria Attori e Personaggi, rientrando sul palco-
scenico, lo trovavano già predisposto per la scena del giardino; nel ’25,
al contrario, il palcoscenico è nudo e sarà il Direttore-Capocomico a far
calare una tela per simulare il cielo, a far montare gli spezzati per sugge-
rire gli alberi, a regolare le luci crepuscolari e insomma ad operare sotto
gli occhi di tutti il «miracolo» dell’illusione teatrale (primo assaggio di
Hinkfuss in Questa sera si recita a soggetto e di Cotrone nei Giganti della
montagna).17

15
A. d’Amico e A. Tinterri, Pirandello capocomico, p. 132.
16
L. Pirandello, Maschere nude, II, a c. di A. d’Amico, «I Meridiani», Milano,
Mondadori, 1993, p. 671.
17
A. d’Amico, «Sei personaggi», uno e due: ovvero dallo stupore al terrore, cit., p.
383.
74 Alessandro Tinterri

Vi è poi da registrare il nuovo finale con le ombre dei Personaggi,


meno il Giovinetto e la Bambina, dietro un fondalino, vedendo le quali
il Capocomico schizza via, atterrito.18 E la fuga della Figliastra “che cor-
rerà verso una delle scalette; sul primo gradino si fermerà un momento
a guardare gli altri tre e scoppierà in una stridula risata, precipitandosi
poi giù per la scaletta; correrà attraverso il corridojo tra le poltrone;
si fermerà ancora una volta e di nuovo riderà, guardando i tre rimasti
lassù; scomparirà dalla sala, e ancora, dal ridotto, se ne udrà la risata”.19
Mentre la critica italiana non si soffermò a confrontare l’edizione
di Niccodemi con quella dell’autore, focalizzandosi sull’interpretazione
degli attori, la critica straniera colse l’occasione per il raffronto:

A Londra il confronto fu con la recita del ’22 al Kingsway Thea-


tre. Il regista della Stage Society, si disse, aveva reso gli Attori più te-
atrali possibile, e i Personaggi più normali possibile. Al contrario gli
Attori nella interpretazione degli italiani, recitano con più rapidità e
naturalezza che nella messinscena inglese, e questa loro naturalezza li
fa apparire convenzionali e falsi in confronto ai Sei personaggi, i quali,
soprattutto la Figliastra di Marta Abba e il Padre di Lamberto Picasso,
apparivano come i veri, autentici esseri umani. A Parigi, i Personaggi re-
alizzati scenicamente da Pirandello furono una sorpresa: la loro natura
di creazioni dello spirito non era più, come in Pitoëff, suggerita da luci
d’atmosfera e da una recitazione stilizzata, irrigidita, ma dall’intensità
mimica degli attori, ora fissata in una immobilità fantomatica quando
non vivono il loro dramma, ora veemente quando vi sono richiamati. E
piacque il diverso finale: Pitoëff faceva allontanare i Personaggi da dove
erano venuti, sul montacarichi, quasi riprendessero il loro tormentato
cammino; Pirandello li fa scomparire, decomporre nel nulla.20

La prima stagione al Teatro Odescalchi si chiuse il 3 giugno 1925


con una replica di Ciò che più importa del russo Nikolaj Evreinov e la
Compagnia di Pirandello, ormai prossima alla partenza per la tournée,
non poteva immaginare che non sarebbe più tornata a rivedere il suo te-
atro, condividendo nei successivi tre anni la sorte delle altre compagnie
di giro italiane. Ma in quei due mesi Pirandello realizzò il sogno di ogni

18
Claudio Vicentini ipotizza che l’idea di questa proiezione possa essergli stata
suggerita dall’analogo effetto previsto nel Capitano Ulisse di Alberto Savinio, ini-
zialmente annunciato nella programmazione della Compagnia di Pirandello e poi
non rappresentato (cfr. C. Vicentini, Il repertorio di Pirandello capocomico e l’ultima
stagione della sua drammaturgia tra le due guerre, atti di Convegno, Edizioni del
Centro Nazionale di Studi Pirandelliani, Agrigento, 1985, pp. 79-98.
19
L. Pirandello, Maschere nude, II, cit., p. 758.
20
Ivi, p. 642.
Sei personaggi in cerca d’autore ovvero Pirandello nostro contemporaneo 75

autore teatrale: avere un proprio teatro e una compagnia di attori gra-


zie ai quali poter concretizzare le sue fantasie di drammaturgo. In quei
mesi di intensa attività il teatro si trasformò per Pirandello e per i suoi
compagni di avventura, tra i quali Massimo Bontempelli e il giovane
Alberto Savinio, in una sorta di laboratorio, in cui le parole prendevano
vita sul palcoscenico e la verifica della scena suggeriva nuove soluzio-
ni drammaturgiche. La versione del Sei personaggi in cerca d’autore del
1925 matura in quell’esperienza e se ne nutre secondo un procedimento
tipico della scrittura teatrale, apparentemente un’aporia, di fatto una
delle ragioni del suo fascino.
Che l’esperienza capocomicale occupi un posto centrale nella sua
vicenda di uomo di teatro lo dimostra quanto Pirandello ebbe a scrivere
nel 1936, poco prima di morire, nell’introduzione alla Storia del teatro
italiano, curata da Silvio d’Amico. Vi si avverte una percezione nuova,
rispetto a quanto dichiarato in Illustratori, attori, traduttori, frutto del
contatto diretto col palcoscenico, nata dalla condivisione della vita degli
attori in tournée, dall’incontro con un pubblico ogni giorno diverso. A
ragione, Ferdinando Taviani osserva che, laddove parla della Commedia
dell’arte, Pirandello sembra tracciare un autoritratto, in cui è possibile
riconoscere, mutatis mutandis, l’esperienza fatta dal capocomico negli
anni tra il ’25 e il ’28, al punto di superare la distinzione tra attori e
autori e invertirne i ruoli:
La Commedia dell’arte nasce per contro da autori che si accosta-
no tanto al Teatro, alla vita del Teatro, da divenire attori essi stessi, e
cominciano con lo scrivere le commedie che poi recitano, commedie
subito più teatrali perché non composte nella solitudine d’uno scrittojo
di letterato ma già quasi davanti al caldo fiato del pubblico.21

Pirandello parla del teatro come di un organismo vivo, in continuo


divenire, capace di rigenerarsi dalle proprie ceneri, a condizione di riag-
giornare anche la parola dell’autore:
Il Teatro non è archeologia. Il non rimettere le mani nelle opere
antiche, per aggiornarle e renderle adatte a nuovo spettacolo, significa
incuria, non già scrupolo degno di rispetto. Il Teatro vuole questi rima-
neggiamenti, e se n’è giovato incessantemente, in tutte le epoche ch’era
più vivo.
Il testo resta integro per chi se lo vorrà rileggere in casa, per sua
cultura; chi vorrà divertircisi, andrà a teatro, dove gli sarà ripresentato
mondo di tutte le parti vizze, rinnovato nelle espressioni non più cor-
renti, riadattato ai gusti dell’oggi.

21
F. Taviani, Uomini di scena, uomini di libro, Bologna, il Mulino, 1995, p. 34.
76 Alessandro Tinterri

E perché questo è legittimo?


Perché l’opera d’arte, in teatro, non è più il lavoro di uno scrittore,
che si può sempre del resto in altro modo salvaguardare, ma un atto di
vita da creare, momento per momento, sulla scena, col concorso del
pubblico, che deve bearsene.22

Sono parole che Marta Abba, detentrice dei diritti dei testi piran-
delliani scritti successivamente al 1925, nella sua strenua quanto miope
difesa del testo del Maestro, non tenne nel dovuto conto, allorché, di
fronte alla manomissione, ai suoi occhi, arbitraria, fatta dal regista, ri-
fiutò a Massimo Castri il permesso di mettere in scena i testi pirandellia-
ni di sua proprietà. Al contrario, Castri con le sue regie, in particolare di
Vestire gli ignudi (1976) e Così è (se vi pare) (1979), che fecero scalpore,
aveva restituito al teatro pirandelliano quelle potenzialità eversive, rico-
nosciute da Gramsci.
Ed eccoci al punto richiamato nel titolo, quel Pirandello nostro con-
temporaneo, che echeggia al celebre libro di Jan Kott, Shakespeare nostro
contemporaneo: “Una delle ragioni dell’attualità di Pirandello - scriveva
Giovanni Macchia – sta anzitutto nell’aver affrontato, partendo da po-
sizioni diciamo pure modeste, la crisi del teatro e averne allontanato la
distruzione. Ha ritrovato grazie a questa crisi nuove forme d’espressio-
ne”.23
Ma vi è un’altra ragione per cui possiamo definire Pirandello nostro
contemporaneo e risiede in quella peculiarità del suo teatro, che Clau-
dio Meldolesi definisce il valore della “trasmutabilità» della dramma-
turgia pirandelliana. Meldolesi parla di «una specie di radioattività” del
repertorio pirandelliano, esercitata soprattutto su quanti si accingano
a metterlo in scena.24 È un saggio, quello di Meldolesi, che va dritto
al cuore del problema, puntando il dito contro quella mistificazione
del teatro pirandelliano, operata un po’ per conformismo, un po’ per
pigrizia, con il risultato di deprivarlo delle potenzialità più intrinseche e
profonde. A sostegno della sua tesi, Meldolesi porta una serie di esempi,
a cominciare dalla realizzazione di Questa sera si recita a soggetto (Tonight
we improvise) a New York, il 6 novembre 1959, per opera di Julian Beck,
che sta alla base della ricerca sull’improvvisazione del Living Theatre, a
fronte della quale pone la regia di Giorgio Strehler de I Giganti della
Montagna (Die Riesen der Berge) allo Schauspielhaus di Düsseldorf. Il
19 aprile 1958. In quell’occasione, parte del pubblico insorse rumo-
reggiando con insulti e fischi contro la regia fantasmatica di Strehler,
diabolicamente riproducendo in tempo reale l’accadimento previsto
dall’autore. Due registi diversissimi, Beck e Strehler, che, sia pure in
termini differenti, sentirono quanto, sotto il testo, attendeva di essere
Sei personaggi in cerca d’autore ovvero Pirandello nostro contemporaneo 77

scoperto per rivitalizzarlo. E Meldolesi prosegue con altri esempi come


La volupté de l’honneur (Il piacere dell’onestà), con cui Charles Dullin,
metteur en scène e interprete, fece conoscere per la prima volta Pirandello
ai francesi, sino alla traduzione in napoletano de Il berretto a sonagli,
fattane da Eduardo De Filippo.
Ma noi potremmo continuare ricordando, oltre al citato Massimo
Castri, L’uomo, la bestia e la virtù (1976) di Carlo Cecchi, con gli attori
con il volto coperto da maschere, o, in tempi più recenti (2018), l’Enrico
IV, rivisitato sempre da Cecchi, contaminando Pitoëff con Eduardo. E
si potrebbe proseguire citando i due spettacoli con cui il regista svizzero
Claude Stratz, libero dal peso della tradizione scenica italiana, che grava
su Pirandello, aprì (1989) e chiuse (1999) il suo mandato alla direzione
della Comédie de Genève: Chacun à son idée (Ciascuno a suo modo), dai
toni umoristici, e Ce soir on improvise (Questa sera si recita a soggetto),
rutilante di invenzioni. Questi e molti altri esempi si potrebbero portare
di come Pirandello sia autore tuttora in grado di fecondare la scena,
rivelandosi, di volta in volta, contemporaneo. A patto di raccogliere la
sfida, che Pirandello lancia a chi intenda metterlo in scena.
La “tragedia classica rinnovata”
dal finale fisso e circolare
di Beatrice Alfonzetti

Scherza il critico teatrale Marco Praga dalle pagine dell’ “Illustrazio-


ne Italiana” nel recensire il 4 ottobre 1921 i travolgenti Sei personaggi
in cerca d’autore accolti trionfalmente dal pubblico milanese, a diffe-
renza di quello romano, il 27 settembre al teatro Manzoni. Dismesso
l’abito del commediografo impostosi con la fortunatissima commedia
La moglie ideale, Praga, già capocomico nel 1915 di Se non così (poi
La ragione degli altri), è fra i pochi critici ad aver anticipato la lettura
retrospettiva dei Sei personaggi offerta dal senile Luigi. Certo, per Praga
la tragedia coincide, semplicemente, con il dramma dei personaggi che
non va oltre l’incontro nell’atelier di Madama Pace fra il cliente maturo
e la seducente ragazza, seguito dalla duplice morte, per annegamento e
per arma da fuoco, della bambina e del fratellino. Ora, sempre a sentir
Praga, Pirandello “ha pensato questa tragedia e non l’ha voluta scrivere”,
in linea con la tendenza al rifiuto della tragedia emerso fra avanguardie e
grotteschi. Non avrebbe fatto la tragedia, perché “ha capito che sarebbe
una tragedia insopportabile, così come sarebbero insopportabili tante
tragedie dell’antichità, se si volesse – e si potesse – trasformarle, ridurle
in drammi dei nostri giorni”. Giusto!Rilievo in parte azzeccato, rispetto
a un trend in cui per anni si è riconosciuto anche lo scrittore. Ancor più
calzante è il secondo, per il quale Praga fa parlare in maniera diretta lo
stesso Pirandello:
Io non scriverò la tragedia ma porterò sulla scena i sei personag-
gi[Ö]perché la tragedia la vivano, sia pur raccontandola in parte, apren-
dosi anima e cuore, discutendo tra loro, dilaniandosi, accapigliandosi,
urlando anche ciò e tutto ciò che, se scrivessi un dialogo, dovrebb’essere
forzatamente didascalia; e se il gioco mi riesce, io avrò imposta la trage-
dia pur senza averla fatta rappresentare. 1

1
La recensione in L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, a cura di G.
Davico Bonino, Torino, Einaudi, 2014, pp. 234-238: 237. Essa sembra inviare
all’intervista Pirandello e lo specchio, «Corriere della Sera», 28 febbraio 1920, dove
lo scrittore accenna alla «commedia da fare in tre atti fatta dai sei personaggi sotto
gli occhi degli spettatori». Cfr. Interviste a Pirandello.«Parole da dire, uomo, agli altri
uomini», a cura di I. Pupo, Rubbettino, Soveria Mannelli. 2002, p. 131.
80 Beatrice Alfonzetti

Furbizia o ingegno, si chiede Praga da critico intelligente qual è, e,


chissà, se la parola ambita di tragedia non abbia fatto breccia nell’im-
maginario poetico del nostro scrittore, da anni impegnato a sostenere
che no, la tragedia era ormai impossibile, pur aspirandovi. Andando a
ritroso, già in Arte e coscienza d’oggi del 1893, il giovane Luigi discetta-
va dell’impossibilità del dramma assoluto nella contemporaneità. Non
solo il dramma, anche il romanzo e ogni manufatto artistico costruito
sui fatti rischiavano di essere incongrui, come espresso nel confronto
Oreste-Amleto del Fu Mattia Pascal. Se per avventura – chiede Anselmo
Paleari a Mattia Pascal sotto la falsa identità di Adriano Meis – si facesse
un buco nel cielo di carta del teatrino, mentre Oreste trascinato dagli
impulsi della vendetta sta per colpire Egisto e la madre Clitennestra, che
accadrebbe? Semplice: Oreste diventerebbe Amleto, cioè un personag-
gio della modernità che risponde con il dubbio e l’inazione al dovere o
all’impeto passionale di vendicare l’assassinio del padre.2 A fugare ogni
dubbio sul senso della digressione, prevista dall’umorismo, ci pensa una
poesia del 1907, Richiesta di un tendone, poi riedita in Fuori di chiave:
lo strappo del cielo di carta è l’immagine poetica dell’argomento coper-
nicano. Solo a condizione di dimenticare la piccolezza della terra, un
globo di dimensioni ridottissime abitato da atomi e “vermucci infinite-
simali”, si può ancora poetare, senza restare sopraffatti dal contrasto fra
l’immagine secolare dell’uomo posto al centro dell’universo (antropo-
centrismo) e la nuova visione di un universo infinito, fitto di galassie e
pianeti distanti anni-luce, dove la terra occupa un posto modestissimo e
con lei l’uomo, esito della continua evoluzione della specie.
Copernico, sostiene Mattia Pascal, ha rovinato l’umanità. Il divertito
e antifrastico ritornello “Maledetto sia Copernico!” occupa una posizione
centrale nel romanzo e ne fonda la poetica dell’umorismo e della me-
ta-narrazione. Recitato nella seconda premessa, quella “filosofica (a mo’
di scusa)”, costituisce l’avvio del romanzo e la sua giustificazione. Con-
tro don Eligio che gli raccomanderà la prosa del Bandello, Mattia sfo-
dera l’argomento copernicano, cioè la consapevolezza della terra “gra-
nellino di sabbia” e dell’uomo atomo, arrivando alla considerazione che
le nostre sono ormai “storie di vermucci”. Da qui discende la risibilità
delle narrazioni ottocentesche fitte di minuziosi particolari e di alberi
genealogici, e al tempo stesso la possibilità di scrivere grazie alla leopar-
diana “distrazione provvidenziale”: a condizione, tuttavia, di abdicare
alle storie e limitarsi alle notizie di casi strani e diversi.3 Metaromanzo e

2
Su Amleto, cfr. A. Lombardo, L’eroe tragico moderno, introduzione di N. Fu-
sini, Roma, Donzelli, 2005, 39-60.
3
L. Pirandello, Tutti i romanzi, a cura di G. Macchia e M. Costanzo, Milano,
Mondadori, 1973, I, pp. 322-323.
La “tragedia classica rinnovata” dal finale fisso e circolare 81

poi metanarrazione, questo il nuovo patto con i lettori4.


D’altronde, ipotizza Praga e noi con lui, come poteva l’umorista
copernicano dare importanza al dramma dei personaggi, dopo aver
passato quasi vent’anni a demolirne le fondamenta in novelle, romanzi
e commedie del teatro gioco o del grottesco, dal Fu Mattia Pascal al
Giuoco delle parti? Eppure lo farà, ma con una struttura così comples-
sa, nell’avvalersi dell’amplificazione e della ripetizione, da trasformare il
loro dramma tardo romantico in una nuova tragedia dal finale fisso e
circolare, i cui personaggi sono come pietrificati nel loro destino immo-
dificabile, da cui non c’è scampo.5
Andando avanti, molto avanti, una lettera di capitale importanza,
segnala, anzi codifica la svolta a trecentosessanta gradi. Pirandello la
indirizza a Ruggero Ruggeri il 21 settembre 1936, in occasione del loro
rinnovato sodalizio in vista di una nuova messinscena dei Sei personaggi:
Vorrei che questa nuova edizione attuasse interamente, o almeno
nel miglior modo possibile, la visione che ho avuto del lavoro, quan-
do l’ho scritto. Bisognerà evitare l’errore che si è sempre commesso, di
far apparire i Personaggi come ombre o fantasmi, anziché come entità
superiori e più potenti, perché “realtà create”, forme d’arte fissate per
sempre e immutabili, quasi statue, di fronte alla mobile naturalità mu-
tevole e quasi fluida degli attori. Basterà, per ottener questo, dare al
Direttore-capocomico e ai comici (corifeo e coro) il massimo del mo-
vimento, un’irrequietezza or divertita ora spaventata, e vesti leggere e
quasi svolazzanti; e dare invece ai Personaggi una poderosa consistenza
e una fissità d’espressione, che certo meglio s’otterrebbe con la masche-
ra alla maniera della tragedia greca, maschere nuove espressamente for-
mate da scultori, che esprimessero nell’atteggiamento più caratteristico
il “rimorso” per il Padre, la “vendetta” per la Figliastra, il “dolore” per la
Madre, lo “sdegno” per il Figlio.

Sin qui non c’è niente di nuovo, dopo le sostanziali modifiche ap-
portate al testo nell’edizione Bemporad del 1925, in uno con la Prefa-
zione. La bomba esplode subito dopo, lasciandoci senza parole. Si spiega
così il silenzio che ha circondato questa lettera, pur essendo nota sin
dalla metà degli anni Cinquanta?6

4
B. Alfonzetti, L’umorismo copernicano di Pirandello, in Le forme del comico, a
cura di S. Magherini et alia, Biblioteca Palazzeschi, Firenze, SEF, 2019, pp. 223-244.
5
Cfr. P. Vescovo, L’incerto fine. La peste, la legge, il teatro, Venezia, Marsilio, 2020,
p. 142 e sgg., che si avvale del saggio di Walter Benjamin su destino e carattere, in
Id., Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di E. Solmi, Torino, Einaudi, 1962.
6
Cfr. Lettere di Pirandello a Ruggeri, in «Il Dramma», agosto-settembre 1955.
Poi riedite a cura di A. Barbina nel numero su Ruggeri di «Ariel». n. 2/3 maggio-di-
cembre 2004.
82 Beatrice Alfonzetti

Si vedrebbe così, che questo dramma, ritenuto come la più nuova


delle espressioni teatrali, è una vera tragedia classica rinnovata in tutti i
suoi propri elementi. Solo la corta vista e l’ignoranza dei critici non ha
saputo riconoscerla. 7

Sì, è vero, Praga lo aveva scritto, ma nel complesso il tenore delle


recensioni non era stato questo, una rondine non fa primavera! Pochi
dubbi, tuttavia, che la tentazione di farsi “autor tragico” (come l’Alfieri
di un secolo e mezzo prima) era forte in Pirandello, attorniato dal trion-
fo del detestato d’Annunzio, nello stesso momento in cui, con il suo
Hegel sottobraccio, negava la rinascita della tragedia.
Al limitare del secolo, al prolungarsi del clima culturale della fin de
siècle, c’è chi risponde con il riso beffardo, Darwin e Copernico, chi con
il sogno e la fiaba (Maeterlinck e il d’Annunzio del Sogno d’un mattino
di primavera e Sogno d’un tramonto d’autunno) e chi, ancora, inseguendo
Nietzsche nel vagheggiare il recupero della tragedia greca grazie all’e-
rompere dello spirito della musica tedesca, da Bach a Beethoven a Wa-
gner. Da noi è d’Annunzio a tenere il banco, non i Corradini e i Sem
Benelli, con continue presenze nei teatri e nell’editoria: La Città morta,
rappresentata a Parigi (1898) e poi a Milano, La Gioconda, edita come
la prima da Treves nel 1899 e, sempre nello stesso 1899, La Gloria con
cui l’autore attualizza il tragico con neanche troppe coperte allusioni a
Cavallotti e Crispi.8 In risposta, scegliendo il filo dannunziano “Mar-
zocco”, ecco Pirandello sfoderare le armi del teorico con L’azione parlata
proprio nel 1899 in un ennesimo attacco al d’Annunzio, questa volta
preteso “autor tragico”:

Ora debbo dire che di questo mi par che difetti principalmente


finora l’opera drammatica d Gabriele D’annunzio. Quest’opera cioè
appar fatta troppo dal suo autore e per nulla o ben poco nata dalle per-
sone stesse del dramma: cosa scritta e non viva. L’autore (non so se gli
amici miei del «Marzocco» consentano in questo meco) evidentemente
non ha saputo rinunciare al suo stile, al suo modo di esprimersi; non è
ancora riuscito a dare a ciascuno de’ suoi personaggi una propria indi-
vidualità, indipendente dalla sua.9

7
Ivi, p. 370. Il corsivo in «Il Dramma», cit., p. 70. Per l’uso pioneristico di que-
sta lettera, cfr. B. Alfonzetti, Il trionfo dello specchio. Le poetiche teatrali di Pirandello,
Catania, Cuecm, 1984, p. 109 sgg.
8
Cfr. A. Andreoli, D’Annunzio e il teatro, in G. d’Annunzio, Tragedie, sogni,
misteri, a cura di A, Andreoli con la collaborazione di G. Zanetti, Milano, Monda-
dori, I meridiani, 2013, I, pp.LXXXIV-CCLXXVII.
9
L. Pirandello, Saggi e interventi, a cura di F. Taviani, Milano, Mondadori, I
meridiani, 2006, p. 449.
La “tragedia classica rinnovata” dal finale fisso e circolare 83

E la critica a d’Annunzio non si arresta qui, ma prosegue con l’anti-


tesi sullo scrivere bello-bene (a tutto svantaggio dello ‘bello stile’, s’inten-
de), come se scopo dell’intervento non fosse altro che quello di provare
a sbarrare l’ingresso, nell’agone drammatico, dell’odiato ‘rivale’, fanta-
smatico, ovviamente. I poemi drammatici e le tragedie di d’Annunzio
– scrive −, appena compatiti dai cosiddetti “professionisti di teatro” erano
incomparabili con i capolavori classici (l’Orestiade di Eschilo) e moderni
(Shakespeare, Calderón).10
Raggiunto il successo, esploso in maniera planetaria, con iSei perso-
naggi, Pirandellos’interroga sul testo che lo ha letteralmente catapultato
fra i due mondi, con uno sguardo più consapevole. I sei personaggi sono
una commedia da fare, come recita il sottotitolo dell’edizione del 1921,
o una pièce dai livelli stratificati? L’edizione Bemporad del 1925 e la
Premessa del 1933 li riscrivono e li rileggono da una prospettiva plurima
in cui entra dalla finestra quanto uscito dalla porta: la tragedia. L’ante-
prima si scova in un’intervista su Ciascuno a suo modo, poi letto con la
chiave del «conflitto» nella futura Premessa alla trilogia:

Nei Sei personaggi, infatti, è la vita che non si muove, che cerca di
fissarsi definitivamente nella forma, mentre in Ciascuno a suo modo è
l’insofferenza della vita che si vede fissata. In una parola è la vita che
assalta la forma e la distrugge, facendola apparire nella sua reale volubi-
lità e instabilità. Appunto per questo ho introdotto tra un atto e l’altro
i cori, con la stessa funzione di commento che avevano nella tragedia
greca.11

Dall’alto della sua poetica filosofica, Pirandello avrà guardato con


sufficienza alla recensione di Praga in cui alla fin fine la tragedia si re-
stringeva al dramma dei sei personaggi, ritenuto, invece solo un “prete-
sto” dal drammaturgo e critico della “Tribuna”, Fausto Maria Martini.12
Pretesto o tragedia il loro “dramma doloroso”? per usare le reiterate pa-
role del Padre. Dipende. Dallo stesso laboratorio critico di Pirandello
si fanno avanti più linee interpretative coesistenti. Una è quella sinte-
tizzata nella Premessa che chiama in causa anche Ciascuno a suo modo e

10
Ivi, p, 450. Cfr., per i giudizi su Eschilo, Shakespeare e Calderón, il succes-
sivo intervento che appare nel «Marzocco» il 10 giugno 1906 (ivi, pp. 452-461:
458).Icastica l’immagine del «vuotare il caricatore» di A. Andreoli, Diventare Piran-
dello. L’uomo e la maschera, Milano, Mondadori, 2020, p. 225.
11
Pirandello uno e due. Nuove correnti teatrali, in «La Sera» del 21-22 maggio
1924, in Interviste a Pirandello, cit., p. 256.
12
Cfr. L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, a cura di G. Davico Boni-
no, cit., pp. 214-219: 214.
84 Beatrice Alfonzetti

Questa sera si recita a soggetto: i tre testi formano come una trilogia del
“teatro nel teatro” non perché l’azione si svolge fra il palcoscenico e la
sala o il ridotto del teatro, ma perché raffigura «ogni possibile conflitto»
di tutti gli «elementi» del teatro. Nei Sei personaggi esso contrappone ed
esplode fra i personaggi, da un lato, e gli attori e il direttore-capocomi-
co, dall’altro.13 E però, non è tutto qui; ogni lavoro della trilogia ha ca-
ratteristiche e significati propri, su cui non spetta all’autore dirne, bensì
a noi.14 Pago dell’essere “qualcuno”, Pirandello fa un passo indietro a
vantaggio della critica presente e, sa bene ormai, futura.
Gettati lì sul palcoscenico, i personaggi ingaggiano una “lotta dispe-
rata” fra loro e con gli attori e il capocomico, tutti vittime della reciproca
incomprensione: questo il senso universale di un conflitto che ambisce
alla palma tragica. Su questa strada, la lettera a Ruggeri del 1936 alza la
posta: gli attori regrediscono, a un livello più profondo del testo, a meri
spettatori, mentre l’azione tragica è altrove.15 Poetica alla mano, il coro,
nella tragedia greca era parte integrante dell’azione, anzi ne era un per-
sonaggio. Definizione non pacifica, anche perché i Problemi, attribuiti
allo stesso Aristotele, dicono altro, che il coro cioè fosse uno spettatore
inattivo degli avvenimenti.16 Così sembra pensarla anche Pirandello, in
questo lontano anni luce dal Nietzche della Nascita della tragedia, quan-
do parla del coro con “funzione di commento” nella tragedia greca per
l’esperimento messo in atto con Ciascuno a suo modo. Viene il sospetto,
però, che anche una sbirciata alla traduzione laterziana della Nascita
della tragedia del 1907 o del 1919, lo scrittore l’abbia dato. Per altro
faceva parte della stessa collana, dove esce la traduzione del Mondo come
volontà e rappresentazione − posseduta da Pirandello − con cui Nietzche
ha un confronto serrato.17
La tragedia rinnovata risiede sì nel “dramma doloroso” dei sei perso-
naggi, ma solo a patto di proiettare il conflitto che li dilania in significati
che toccano tutti gli uomini. D’altronde, avanzando nella Prefazione

13
Premessa, in Id., Maschere Nude, a cura di A. D’Amico, Milano, Mondado-
ri, I Meridiani, 1993, II, p. 935. Da questa edizione sono citati i Sei personaggi.
14
Di particolare interesse A. Andreoli, Le maschere famigliari di un capolavoro,
in L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, a cura della stessa, Milano, Mon-
dadori, 2019, pp. V-L.
15
Ripenso qui la correlazione fra la «tragedia classica rinnovata» e il «conflit-
to»fra gli elementi del teatro avanzata in B. Alfonzetti, Il trionfo dello specchio. Le
poetiche teatrali di Pirandello, cit., pp. 103-136.
16
Cfr. H.C., Baldry, I Greci a teatro. Spettacolo e forme della tragedia, trad. it.,
Bari, Laterza, 1987, pp. 87-95.
17
F. Nietzsche, La nascita della tragedia ovvero ellenismo e pessimismo, traduzio-
ne e prefazione di E. Ruta, Bari, Laterza, 1919.
La “tragedia classica rinnovata” dal finale fisso e circolare 85

la netta suddivisione degli scrittori in storici e filosofici, Pirandello è


perentorio: egli ha “la disgrazia” di appartenere a questa seconda specie,
cui non basta narrare un fatto per il solo gusto di narrarlo, non ammet-
tendo, lo scrittore filosofico, “figure, vicende, paesaggi che non s’imbe-
vano, per così dire, d’un particolar senso della vita, e non acquistino con
esso un valore universale”.18 Solo nell’insolita situazione di personaggi
accolti in quanto rifiutati, lo scrittore avverte che essi hanno acquistato
quel senso universale vanamente cercato. E lo riassume nella lotta che
ciascuno fa contro l’altro e in quella che tutti conducono contro il ca-
pocomico: la prima esprime l’incomprensione fra gli uomini, dettata,
come dirà il Padre, dal male delle parole (“Crediamo d’intenderci; non
c’intendiamo mai!”19), insieme alla molteplicità dell’identità, denuncia-
ta ancora una volta dal proiettivo personaggio del Padre, che rifiuta di
essere messo “alla gogna” per un solo atto della sua vita (l’essere stato
scoperto in un bordello).
In sé il “dramma doloroso” dei sei personaggi non oltrepasserebbe la
misura di un “pasticcetto romantico sentimentale”20 che il Capocomico
vorrebbe imbastire utilizzando dati grezzi (i fatti, la materia). Criticato
per aver peccato di romanticismo nella rappresentazione concitata e di-
sordinata del dramma dei personaggi, Pirandello non respinge l’accusa,
ma se ne serve per chiarire ancora una volta il senso del personaggio
rifiutato:

ma io non ho affatto rappresentato quel dramma: ne ho rappresen-


tato un altro – e non starò a ripetere quale! – in cui, fra le altre belle
cose che ognuno secondo i suoi gusti ci può ritrovare, c’è proprio una
discreta satira dei procedimenti romantici; in quei miei personaggi così
tutti incaloriti a sopraffarsi nelle parti che ognun d’essi ha in un certo
dramma mentre io li presento come personaggi di un’altra commedia
che essi non sanno e non sospettano, così che quella loro esagitazione
passionale, propria dei procedimenti romantici, è umoristicamente po-
sta, campata sul vuoto.21

Nel Figlio, inoltre, lo scrittore indica il personaggio che non solo


nega il dramma (la “ragion d’essere”), ma anche che non partecipa alla
commedia da fare, in cui i più attivi sono il Padre e la Figliastra. È lui,

18
Prefazione, in Maschere Nude, II, cit., p. 655.
19
Sei personaggi in cerca d’autore, ivi, p. 692.
20
Ivi, p. 732.
21
Prefazione, ivi, p. 666. Ai Sei personaggi come «satira del teatro romantico»
fa cenno l’intervista Conversando con Pirandello, «L’Ora», 14-15 aprile 1924, in
Interviste a Pirandello, cit., p. 238.
86 Beatrice Alfonzetti

infatti, a svelare il significato del finale incompiuto, per l’esplodere del


conflitto, della commedia da fare: è impossibile riconoscersi nello spec-
chio deformante degli attori, che restituiscono solo un’immagine falsa
del personaggio. Per queste ragioni urla il suo “non mi presto” nella
terza parte, che dovrebbe riprodurre le sequenze dello svolgimento fina-
le del dramma (la morte congiunta per accidente e per arma da fuoco
dei piccoli fratellastri). “Bruto”, “inutile”, il fatto è narrato nella sua
successione meccanica dal Figlio, affinché si riveli per quel che è ogni
fatto senza parole, “privo di qualunque senso”. E in proposito ricordia-
mo un’altra icastica massima del Padre: “Ma un fatto è come un sacco:
vuoto, non si regge”22.
Il finale incompiuto ha, pertanto, il perimetro limitato della com-
media da fare, che il Capocomico, interessandosi via via al caso strano
dei personaggi, vorrebbe imbastire insieme al Padre. Progetto cui non
è estranea dapprima neanche la Figliastra (“Potremmo esser noi la loro
commedia nuova”), salvo poi ribellarsi al “pasticcetto romantico senti-
mentale” che ha in mente il Capocomico.23 Il Padre, invece, pur anelante
l’immediata messa in scena della sua passione, sembra assumere le veci
dello stesso Capocomico, nell’offrirsi alla concertazione di un copione:

Il Padre Guardino, guardino: la commedia è da fare; al Capocomico


ma se lei vuole e i suoi attori vogliono, la concerteremo subito tra noi!
Il capocomico (seccato) Ma che vuol concertare! Qua non si fanno
di questi concerti! Qua si recitano drammi e commedie!
Il Padre E va bene! Siamo venuti appunto per questo qua da lei!
Il Capocomico E dov’è il copione?
Il Padre È in noi, signore. Gli Attori rideranno. Il dramma è in noi;
siamo noi; e siamo impazienti di rappresentarlo, così come dentro ci
urge la passione!24

Che cosa dice la Premessa del finale interrotto?Questo: il “conflitto”


fra le varie figure del teatro impedisce che la commedia si faccia nei Sei
personaggi in cerca d’autore; che l’improvvisazione giunga a una conclu-
sione in Questa sera si recita a soggetto; che la rappresentazione termini
in Ciascuno a suo modo. Conflitto simile, identiche conclusioni dichia-
rate impossibili e sin qui ci siamo. Così pare. Si resta spiazzati, invece,
leggendo più avanti che, se i “pretesti o argomenti restano incompiuti o
interrotti», i tre lavori «sono poi per sé stessi compiutissimi e perfetti”.25

22
Sei personaggi in cerca d’autore, in Maschere Nude, II, cit., p. 700.
23
Ivi, p. 732.
24
Ivi, p. 684.
25
Premessa, in L. Pirandello, Maschere nude, II, cit., p. 935.
La “tragedia classica rinnovata” dal finale fisso e circolare 87

Pensiamoci bene: c’è un’incongruenza nel dettato di un Pirandello?


Sarebbe strano, lui che è sin troppo sorvegliato nella scrittura teorica. E
quest’ultima rimarca con forza che no, i Sei personaggi non sono l’em-
blema del finale interrotto, non concluso, o come si diceva un tempo
del finale aperto, in cui –non lo si nega − si riconosce la grande famiglia
dei finali del Novecento.26 O meglio lo sono rispetto alla commedia da
fare concertata dal Capocomico e dal Padre.
Alla ricerca del finale compiuto, la lettura in parallelo delle due dif-
ferenti stesure dei Sei personaggi, 1921 e 1925, ci aiuta non poco. Fra
gli acquisti, nel 1925, c’è ne è uno, in particolare, sinora non messo in
luce: l’accentuarsi della struttura circolare, con uno stacco più forte fra
il finale incompiuto della commedia da fare e il finale chiuso del testo.
E questo grazie a un congegno drammatico basato sull’amplificazione
e sulla ripetizione che produce un surplus di senso racchiuso nei finali
multipli cui approda l’edizione definitiva dei Sei personaggi.27
“Oscuro, ambiguo” è il dramma in cui sono invischiati i personaggi,
scrostati dalla dimensione piccolo-borghese della loro vita quotidiana
che rimanda a molte scene drammatiche cittadine di fine Ottocento
(l’ufficio, la modista, la sartina, il marciapiede, la scuola). In questo
dramma oscuro, contrapposto a quello romantico, essi assumono,
dall’edizione del 1925 in poi, l’identità statuaria della maschera e si de-
finiscono come il rimorso (il Padre), la vendetta (la Figliastra), lo sdegno
(il Figlio), il dolore (la Madre). A questo livello esprimono il loro essere
“realtà create”, dotate di una fissità e potenza simbolica che rinviano
rintenzionalmente alla tragedia greca e con essa al suo mito fondativo:
l’Edipo di Sofocle. 8 Accostamento che non sfuggirà nel 1927 all’occhio
critico di Silvio D’Amico a proposito della felice formula pirandelliana
dei Sei personaggi come il “trionfo dello specchio”.29
La maschera è, in effetti, fra le innovazioni più rilevanti introdotte
nella nuova stesura, utile per separare anche visivamente i personaggi
dagli attori, e per alludere, assai più della levità sognante del 1921, alla
tragedia, cui Pirandello finalmente si accosta con l’Enrico IV, pochi mesi
dopo la scrittura dei Sei personaggi. Notizia che lì per lì fa restare di stuc-
co qualche critico, ancora ignaro della scelta di una tragedia nazionale

26
Cfr. B. Alfonzetti, Drammaturgia della fine da Eschilo a Emma Dante, nuova
edizione rivista e ampliata, Roma, Bulzoni, 2018.
27
Cfr. B. Alfonzetti, Pirandello. L’impossibile finale, Venezia, Marsilio, 2017,
pp. 75-92.
28
F. Angelini, Sei personaggi di Luigi Pirandello, in Letteratura italiana. Le Ope-
re, IV, Einaudi, Torino 1995, pp. 485-486.
29
Cfr. Interviste a Pirandello, cit., p. 133.
88 Beatrice Alfonzetti

nell’anno delle celebrazioni dantesche:30

E in novembre la nuova grande Compagnia Ruggeri-Borelli-Talli


rappresenterà per la prima volta sulle scene del teatro Argentina, Enrico
IV, tragedia in tre attti.
Pirandello ha scritto una tragedia? – ci si domanderà sorpresi. –
Sicuro: ma una tragedia pirandelliana, che non avrà nulla a che vedere
con quelle di Shakespeare o di Schiller, e neppure di d’Annunzio e di
Sem Benelli.31

Il maturare del progetto tragico porta con sé modifiche sostanziali


nel diverso ordine delle scene. Vistosa la soppressione iniziale dell’ac-
cenno fatto dalla Figliastra alla tragica sorte della bambina e al colpo di
pistola del fratellino. Ancor più l’eliminazione dell’assolo verbale e ge-
stuale con cui si apriva la seconda parte. I personaggi si appartavano col
Capocomico per concertare un copione, nell’intervallo fra la prima e la
seconda parte.32 Poi si apriva il sipario con la Figliastra che non vuol più
saperne del copione e, presa con sé la sorellina, si rituffa nei momenti
tragici del dramma:

La Figliastra. Ma che! Fate voi! Non voglio saperne io, di codesti


pasticci! (Rivolgendosi alla Bambina, e venendo con lei di corsa sul palco-
scenico) Vieni, vieni, Rosetta, corriamo, corriamo!

Il Giovinetto le segue perplesso, pian piano a distanza.33

Dimentica del palcoscenico e attratta dal suo destino immutabile,


ripete, per riviverli, i gesti, le parole, il pianto del suo dolore alla vista
della bimba annegata, sequenza poi confluita nella terza parte. Uno spo-
stamento dovuto, forse, alle critiche di caos e disordine piovute addos-
so allo scrittore, di cui si avvantaggia l’incontro nell’atelier di Madama
Pace fra la Figliastra e il Padre, trasformato così nel punto focale di tutta
l’opera. Lo vedremo, sarà La Scena.
Anche la novità delle due scalette che collegano palcoscenico e pla-
tea fa sì che i personaggi arrivino dal fondo della sala e che la Figliastra

30
Secondo l’innovativa lettura di A. Andreoli, di cui si veda l’Introduzione in
L. Pirandello, Enrico IV, Milano, Mondadori, 2019, pp. V-LII.
31
Cinque commedie d’autore. Quella che prepara Luigi Pirandello, in «La Tribu-
na», 5-6 ottobre 1921, ora in Interviste a Pirandello, cit., p. 137.
32
Rilievi teorici importanti in P. Vescovo, Entracte. Drammaturgia del tempo,
Venezia, Marsilio, 2007.
33
L’edizione del 1921 si legge agevolmente nei Sei personaggi in cerca d’autore,
a cura di D. Bonino, cit., p. 117-118.
La “tragedia classica rinnovata” dal finale fisso e circolare 89

fugga da lì, scendendo una delle due scalette e correndo, fra i corridoi
in mezzo alle poltrone, con un riso sempre più stridulo diretto contro
la famiglia legittima ricompostasi. Il corrispondersi fra inizio e fine è
marcato dal ripetersi circolare dell’entrata e uscita della Figliastra che
coincide con l’espressione ‘prendere il volo’, correlativo oggettivo del
finale fisso e circolare dei Sei personaggi.
In virtù del meraviglioso corrispondersi nel teatro dei Pirandello
fra senso e struttura, tocca alla Figliastra anticipare il finale (nella sua
doppia valenza di finale del loro dramma e di finale in senso letterale o
materiale del testo), rivelando che alla fine prenderà “il volo! Il volo!”,
dopo non si sa bene quali vicende toccate in sorte alla sorellina e al fra-
tello e dopo quanto accaduto di molto intimo fra lei e il Padre. Subito
dopo accusa il Figlio (il fratellastro) d’indifferenza verso loro tre bastardi
e verso la Madre, madre comune ai quattro figli, la quale a questo punto
prova a impedire che il Padre realizzi il suo intento, cioè la rappresenta-
zione del dramma vissuto, per poi iniziare a discolparsi di aver abban-
donato la sua prima famiglia e aver avuto quattro figli da due uomini
diversi: “Io, li ebbi? Hai il coraggio di dire che fui io ad averli, come se
li avessi voluti? Fu lui, signore! Me lo diede lui, quell’altro, per forza! Mi
costrinse, mi costrinse ad andar via con quello!”.
Fra narrazioni disordinate con inserti rappresentativi e drammatici
(i personaggi narrano e ogni volta è come se rappresentassero già il loro
dramma), si delinea, fra lo stupore degli attori e del Capocomico, l’o-
scura vicenda, che raggiunge l’acme dell’orrore di fronte al fremere della
Figliastra quando la stessa accenna, in maniera più esplicita, all’incontro
col Padre nell’atelier di Madama Pace: una sartoria che nella realtà è
un bordello per preservare la dignità degli habitué e delle signorine di
buona famiglia. Ora vuole “vendetta”: parola drammatica, insieme a
“passione”, fra le più tecniche del linguaggio drammatico. Seguendo il
testo, si nota che soltanto quando interviene il Padre a invocare un po’
d’ordine nel racconto della Figliastra, togliendole la parola confinata ai
grezzi fatti, per lanciarsi nella prima digressione di carattere filosofico
sul male delle parole (“Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo
tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come
possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e
il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevi-
tabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo
com’egli l’ha dentro? Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai!”),
emerge lo sdoppiamento di prospettiva del testo, affidato al commento
degli attori: “È un caso così nuovo!” “Interessantissimo!”. 34

34
Sei personaggi in cerca d’autore, in Maschere nude, II, cit., pp. 692-693.
90 Beatrice Alfonzetti

Si avvia così l’originale situazione dei Sei personaggi, che nasce dal
cortocircuito fra il dramma dei personaggi, rifiutato dall’autore, e le va-
lenze della sua universalità. Suddivisi in Spirito (Il Padre e la Figliastra)
e Natura (la Madre), i personaggi esprimono la visione della vita di Pi-
randello: l’inganno della comprensione reciproca, fondato sull’astrazio-
ne delle parole; la molteplice personalità d’ognuno; “il tragico conflitto
immanente tra la vita che di continuo si muove e cambia e la forma che
la fissa immutabile”. Un conflitto che si estende persino al rapporto fra
gli attori e i personaggi, i primi mutevoli, effimeri e cangianti, i secondi
fissi nell’eternità della forma artistica.
Infine, ecco far capolino l’ “antefatto”, secondo un procedimento
che inizia dalla fine: finale (le “corbellerie” e il “volo”), sequenza cen-
trale (l’atelier), antefatto (il figlio mandato a balia, la moglie spedita
via insieme al sottoposto, il suo restare ‘vedova’ del secondo uomo).
Dall’antefatto si ritorna nuovamente al dramma “impreveduto e vio-
lento” dell’incontro fra il Padre e la Figliastra, con la precisazione del
mancato rapporto carnale fra i due, grazie all’intervento della Madre.
Antefatto e dramma sono narrati soprattutto dal Padre con continue
digressioni sulla parte inconfessabile di ogni uomo, fatta di pulsioni
sessuali irrefrenabili, in contrasto con l’abito esterno della dignità, e sul
dramma del credersi uno, mentre si è tanti, da cui deriva l’ingiustizia
d’essere accusati e messi alla gogna per un unico atto. Come suggerisce
il Padre, alter ego dello scrittore, al Capocomico: “vedrà che da questo il
dramma acquisterà un grandissimo valore”. La battuta è rivolta al letto-
re per fargli comprendere la prospettiva umoristica della scomposizione
del fatto (il dramma).
Nello scambio delle reciproche accuse, il finale è rievocato per l’en-
nesima volta sempre tramite il sovrapporsi delle voci del Padre, della Fi-
gliastra e ora persino del Figlio: il marciapiede della Figliastra; l’entrata
nella casa del Padre dell’altra famiglia dopo il mancato ‘incesto’; la mor-
te dei due fratellini. “Materia da cavarne un bel dramma!”: basterebbe
scriverlo per il Capocomico; trascriverlo per il Padre, “avendolo così
davanti – in azione scena per scena”.35
Ha termine così la prima parte dei Sei Personaggi, durante la quale
la vicenda è stata narrata due volte, iniziando, la prima volta, dalla fine
e fornendo, la seconda altri dettagli del dramma, intramezzati da con-
siderazioni di carattere generale. Nella seconda e terza parte si prova
a recitare la commedia da fare, appena abbozzata in un copione dato
al suggeritore. Durante la seconda, il conflitto fra attori e personaggi,
che non si riconoscono negli attori, persuade il Capocomico a far rap-

35
Ivi, pp. 704-705.
La “tragedia classica rinnovata” dal finale fisso e circolare 91

presentare la commedia solamente dai personaggi, una sorta di prova


cui assisteranno gli attori. Si avvia così una situazione sdoppiata nel
contrapporsi di due modalità: la pratica teatrale, secondo la quale gli
attori imparano una parte e la recitano, e la visione dei personaggi che
non recitano ma vivono l’accaduto. In funzione della commedia da fare
va in scena direttamente il dramma dei personaggi, che si concentra,
eliminato l’antefatto, nelle due sequenze fondamentali, ordinate que-
sta volta secondo una logica temporale: la rappresentazione della Scena
(l’incontro nell’atelier) e quella del finale.
Il Capocomico invita il suggeritore ad appuntare tutto perché si sta
per rappresentare finalmente ciò che il testo indica come La Scena, se-
gno di un rilievo che ai critici non è sfuggito. È impensabile non co-
gliervi, infatti, le valenze incestuose di un desiderio rimosso, raffigurato
grazie a uno spostamento: il Padre con tutta evidenza non è né il padre
né il patrigno della Figliastra, bensì esclusivamente il primo marito della
Madre. C’è da notare, inoltre, che nella sceneggiatura dei Sei personaggi
in funzione di una riduzione cinematografica, Pirandello si sostituisce
ai personaggi del Padre e del Figlio, proiettandosi nell’Autore che, in un
gioco simbolico invertito, seduce, chiede ai personaggi di impersonare il
dramma da lui immaginato, rappresentandosi, in un altro sdoppiamen-
to, nella visione della figura sfumata di un vecchio satiro allo specchio.36
Nella terza parte, come per altro era già intuibile dal sottrarsi inizia-
le del Figlio alla condizione di personaggio in cerca d’autore, il finale
tragicissimo si scontra con la resistenza del personaggio: come potrebbe
prestarsi il Figlio a fare con la Madre una scena mai avvenuta, ritenu-
ta indispensabile dal Capocomico? Pur fra i tanti ostacoli, il finale del
dramma riesce a rappresentarsi per l’intervento fattivo della Figliastra
che mette la sorellina nella vasca del giardino e che, dopo aver rimprove-
rato il Giovinetto del cattivo uso fatto della rivoltella, lo nasconde dietro
al cipresso. Sforzato, il Figlio si limita a narrare il fatto: era accorso e
aveva visto il ragazzo con gli occhi da folle guardare la sorellina annega-
ta. Ed ecco partire il colpo, nascosto dagli alberi: il corpo immobile del
Giovinetto è subito condotto via dalla scena, mentre gli attori costernati
si domandano se sia realtà o finzione. La morte, già più volte narrata dai
personaggi, si materializza sulla scena pur se in una situazione bloccata,
secondo un procedimento non lontano dalle forme paradossali con cui
la presenza iniziale della morte si raccorda a quella finale nel Fu Mattia
Pascal.37

36
Cfr. F. Angelini, Serafino e la tigre, Venezia, Marsilio 1990.
37
G. Ferroni, Mourir au début, mourir à la fin, in Le début et la findu récit. Une
relation critique, dir. A. Del Lungo, Paris, Garnier, 2010, pp. 207-223.
92 Beatrice Alfonzetti

I personaggi scompaiono, per poi ritornare in scena come “forme


trasognate”, proiettate dapprima sul fondale scenico e poi nuovamente
sul palcoscenico, fissi nella loro immutabile essenza di personaggi. La
loro fissità rimanda all’universo superiore dell’arte, al loro essere meno
reali ma più veri, come suggerisce il Padre in particolare nella terza parte
con la domanda, già fatta da Laudisi a se stesso e agli altri con l’espe-
rimento dello specchio, sull’identità del Capocomico. Ora, sempre sul
personaggio, la ripetizione e la compiutezza è la sua cifra, come per altro
finito e concluso è il finale filosofico e metateatrale del testo. Quest’ul-
timo tende a dimostrare l’incompiutezza del dramma impossibile, cioè
di un dramma privo di senso universale. Ecco, allora, che l’esplodere
dell’ultimo conflitto fa deflagrare dall’interno la commedia da fare:

per l’istigazione del Capocomico volgarmente ansioso di conoscere


come si svolse il fatto [il finale], questo fatto è ricordato dal Figlio nella
successione materiale dei suoi momenti, privo di qualunque senso e
perciò senza neanche bisogno della voce umana, s’abbatte bruto, inuti-
le, con la detonazione d’un’arma meccanica sulla scena, e infrange e di-
sperde lo sterile tentativo dei personaggi e degli attori, apparentemente
non assistito dal poeta.38

L’interruzione è dunque una categoria che si correla al finale


dei fatti, contro i quali, con alcune parentesi o eccezioni, si costruisce
gran parte della drammaturgia del Novecento da Strindberg a Bontem-
pelli, Savinio, Sartre, Beckett, Ionesco, Pasolini, con storie che non si
chiudono, che non svelano il presunto enigma, che prendono direzioni
imprevedibili, di cui non si saprà la fine.
Certamente con la scena di un incesto continuamente alluso e con-
cretamente bloccato, Pirandello intende recuperare la memoria della
tragedia greca, fatta di vendette e passioni irrefrenabili, legami e desideri
incestuosi da Edipo a Fedra a Elettra, tornati in auge con Hofmann-
sthal e d’Annunzio, poi seguiti da Cocteau. Singolare, allora, che nel
discorso esplicito lo scrittore non tocchi mai, neanche per avvalorare il
senso universale dei Sei personaggi, l’argomento ‘incesto’, su cui anche
Niezsche insisteva.39 E che non accenni mai, pur proponendone una
lettura tragica, a qualche vaga parentela con la tradizione, al cui interno
non aveva che l’imbarazzo della scelta, da Sofocle a Euripide a Racine,

38
Prefazione, in Maschere nude, II, cit., p. 667.
39
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cit., cap. 9, pp. 80-89: 83.Più in ge-
nerale, cfr. M. Rössner, Nietzsche e Pirandello: paralleli e differenze, in L’enigma
Pirandello, a cura di A. Alessio et alia, Canadian Society for Italian Studies, 1988,
pp. 228-242.
La “tragedia classica rinnovata” dal finale fisso e circolare 93

Alfieri, Schiller, d’Annunzio. L’orrore è più volte richiamato e dal Pa-


dre e dalle didascalie sulle reazioni degli attori, ma nel discorso dello
scrittore è del tutto censurato, se non nel vago accenno della Prefazione
all’oscurità e all’ambiguità del dramma. Dove risiederebbe l’orrore, se ci
si attenesse letteralmente al dramma tardo-romantico dei personaggi? Si
avrebbe piuttosto una situazione scandalosa, dal punto di vista morale e
sociale, rispetto all’epoca, soprattutto perché portata a teatro.
Il più equivoco è certamente quello fra Il Padre e la Figliastra, in
quanto il Padre non è il secondo marito della Madre. Lo diventa, sem-
mai, dopo l’incontro con il Padre, quando l’a-tipica famiglia si ricon-
giunge. Per questo i suoi fratelli sono identificati, nel prospetto dei Per-
sonaggi, come il Giovinetto e la Bambina. Anche loro per l’appunto
non sono figliastri. In questa correlazione a-simmetrica, che certamente
si contrappone al triangolo familiare Padre, Madre, Figlio, da cui la
Figliastra è esclusa, c’è una traccia della zona oscura del dramma, che
s’infittisce per un lapsus testuale. Lo pronuncia il padre, subito dopo
l’evocazione-apparizione di Madama Pace: “mia figlia”. Alla lettera il Pa-
dre sta indicando la figlia della moglie, la cosiddetta Figliastra, chiamata
per un lapsus rivelatore, presente sin dall’edizione del 1921, “figlia”, il
cui valore è rafforzato dall’uso dell’aggettivo possessivo, che non lascia
margini all’equivoco. In una parola, quella di figlia è la vera identità del-
la Figliastra nella fantasia incestuosa del personaggio: “Guardino: mia
figlia l’ha riconosciuta e le si è subito accostata! Stiano a vedere, stiano
a vedere la scena!”.40
È una scena proibita, quella accaduta nel retrobottega di Madama
Pace (Pace cioè dei sensi appagati?) e che neanche il Padre ha visto,
perché idealmente collocato dietro l’uscio in attesa di soddisfare i suoi
‘vergognosi’ appetiti sessuali. Non può sfuggire neanche l’enfasi con cui
essi sono tratteggiati nel testo, dove sono attribuiti essenzialmente all’età
anagrafica (sulla cinquantina) del personaggio in contrasto con la “mi-
seria della sua carne ancora viva”, la quale lo spinge a frequentare le case
d’appuntamento, provando al contempo piacere e orrore per la conti-
nua perdita di dignità. Anche gli appunti del romanzo si soffermavano
sul contrasto “grottesco” fra “il desiderio inverecondo” del personaggio,
che lo avrebbe cacciato in quel portone, e l’aspetto rispettabile di si-
gnore anziano. E ancora sulla “scottante vergogna” provata di fronte
al portiere, come se questi dovesse leggergli in faccia che sarebbe salito
al terzo piano nel finto atelier della signora Pace. Che qui incontrasse
la Figliastra non è detto; le due / tre paginette nominano soltanto la

40
Sei personaggi in cerca d’autore, in Maschere Nude, II, cit., p. 718.
94 Beatrice Alfonzetti

ragazza, ma a livello di fantasia le due immagini possono perfettamente


sovrapporsi.41
Eppure nella punizione (il “castigo”) che il personaggio s’infligge,
anelando a rappresentare davanti a tutti la scena dell’umiliazione e del-
la vergogna, per poi tacere sulla pulsione incestuosa verso la cosiddet-
ta Figliastra, noi avvertiamo un eccesso e una censura che la rivelano.
Inoltre, rispetto alla costruzione del testo drammatico, per la continua
sovrapposizione di piani, in base alla quale i personaggi narrano quan-
to già accaduto e, nel frattempo, lo rappresentano, il Padre conosce
il suo desiderio proibito (e dunque profondamente vergognoso) e lo
nomina: “mia figlia”.42 Anche lei sembrerebbe intuirlo, tanto da farlo
risalire all’infanzia, quando quest’uomo ignoto (ma ora, per esplicita
ammissione, il padre) la seguiva e la spiava di nascosto. Così la sua stes-
sa «vendetta» non può che esercitarsi riproducendo all’infinito la scena
dell’orrore che ora, dopo il lapsus del Padre, assume i contorni della
violazione di un tabù ancestrale.43 Ecco la tragedia classica rinnovata i
cui personaggi soffrono e urlano per l’eternità un dramma costruito
sul verbo pirandelliano che, parabola, gioco, mito, tragedia, gira su se
stesso. Non conclude, concludendo.

41
L. Pirandello, Saggi, Poesie, Scritti varii, a cura du M. Lo Vecchio Musti,
Milano, Mondadori, p. 1256.
42
B. Alfonzetti, «Mia figlia», la Figliastra: lapsus testuale? in «que ben devetz
conoisser la plus fina». Per Margherita Spampinato, a cura di M. Pagano, Sinestesie,
2018, pp. 27-43.
43
F. Angelini, Sei personaggi di Luigi Pirandello, cit., p. 482. Ma cfr. anche
R. Alonge, Madri, baldracche, amanti. La figura femminile nel teatro di Pirandello,
Costa & Nolan, Genova 1997, pp. 75-78.
Dinamiche di genere nei
Sei personaggi in cerca d’autore
di Annamaria Andreoli

Cento anni sono trascorsi dal debutto ma il capolavoro teatrale di


Luigi Pirandello (1921) resta un’opera misteriosa: i personaggi e la cabala
del loro numero continuano a sconcertarci. Non si tratta, infatti, delle
solite creature prodotte dalla fantasia di un artista con le quali convivia-
mo abitualmente. Ulisse, Amleto, Don Chisciotte, Arpagone, Perpetua
sono caratteri tipici che da tempo immemorabile definiscono l’astuto
inventore di stratagemmi truffaldini, l’uomo d’azione in preda al dub-
bio, il visionario esaltato, l’avaro gretto, la zitella pettegola… Nomi pro-
pri diventati a lungo andare comuni: “antonomasie”, appunto, secondo
la retorica.1
Al contrario, i Sei che irrompono in un teatro nell’ora diurna delle
prove si presentano come entità ancora incompiute e pertanto vistosa-
mente anonime. Ignote all’anagrafe letteraria, compongono un generi-
co gruppo famigliare identificato da appellativi altrettanto generici: il
Padre, la Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto, la Bambina. L’ar-
ticolo determinativo indica il ruolo ricoperto da ciascuno e avverte che
siamo al cospetto di contenitori per il momento vuoti, che potremmo

1
Gli studiosi hanno ricostruito l’elaborazione concettuale del personaggio da
parte di Pirandello. È ormai di rito menzionare, accanto agli interessi in ambito
teosofico, certe prove pregresse, da Quand’ero matto a Personaggi, dalla Tragedia
d’un personaggio a Colloqui con i personaggi, a cui si mescolano appunti di taccuino.
Resta da aggiungere il progetto di un’opera, di ascendenza ovidiana, che racco-
gliesse varie Lettere agli eroi: «Da tentare alcuni studi sul romanzo contemporaneo
in una forma insolita, originale, in forma cioè di Lettere agli eroi. Cominciare con
una lettera a Claudio Cantelmo, l’eroe delle Vergini delle rocce del D’Annunzio». Al
capofila fanno seguito eroi di Fogazzaro, Fleres, De Roberto, Imberido, Rovetta,
Neera (cfr. L. Pirandello, Taccuino di Harvard, a c. di O. Frau e C. Gragnani, Mi-
lano, Mondadori, 2002, p. 11). Meno originale di quanto non creda Pirandello, il
dialogo epistolare con personaggi creati dall’arte è variamente sperimentato a caval-
lo fra Otto e Novecento. Aby Warburg scrisse, per esempio, innumerevoli lettere
alla Ninfa campeggiante in un dipinto del Ghirlandaio. L’estetismo del tempo, di
cui Pirandello è oltremodo partecipe, decreta, teorizzandola, vitalità e superiorità
delle creature dell’arte. In questa direzione già si muoveva, del resto, la filosofia di
Schopenhauer.
96 Annamaria Andreoli

riempire in base all’esperienza personale condivisa, alla maniera di Di-


derot, che aveva intitolato un suo dramma “borghese” Le Père de famille,
in opposizione ai tanti Cid, Andromaca, Fedra, Cesare, Catone… allora
di prammatica sulle scene.2
Qui, però, non abbiamo a che fare con una rappresentazione teatra-
le, con travestimenti e i ruoli interpretati nello spazio-tempo della fin-
zione. Il teatro, qui, è inteso fisicamente in quanto habitat. Ci troviamo
cioè in un sito composito, comprensivo di palcoscenico, quinte, sipario,
botola del suggeritore, camerini, e poi platea e palchi, foyer e botteghi-
no, ingresso principale e secondario… Persino la via urbana in cui si
colloca il fabbricato coopera all’evidenza logistica. I nostri fantomatici
Sei la devono aver percorsa prima di entrare dall’ingresso principale,
riservato al pubblico. E certo non hanno raggiunto quel teatro a caso
perché la loro intrusione interrompe le prove, con Attori e Capocomico
in piena attività, di una commedia di Pirandello. Niente di più sconta-
to. Di commedie di Pirandello, nel 1921, se ne contano davvero almeno
una decina nei cartelloni di vari teatri italiani, nonostante che spesso, fra
applausi e fischi, suscitino vivaci polemiche.
Polemiche sottilmente calcolate, strutturali, costitutive nello spetta-
colo d’avanguardia, controcorrente per definizione, che l’autore intende
proporre o, come dice lui senza mezze misure, “perpetrare”. Quale avan-
guardia sarebbe altrimenti? “La voluttà di essere fischiato” già mandava
in visibilio Marinetti, quando, dieci anni prima, alla testa del movimen-
to futurista, “il disprezzo del pubblico” e “l’orrore del successo” erano il
fiore all’occhiello. Sta scritto in uno dei Manifesti marinettiani: “Tutto
ciò che è immediatamente applaudito… è mediocre, banale, rimastica-
tura, vomito”.3 E Pirandello, che per aggressività non sembra secondo
a nessuno, gli farà eco a oltranza: “Il pubblico? Eh, io, dal canto mio,
… l’ho abituato ad aspettarsene da me d’ogni colore. Gli sono andato
sempre con le dita negli occhi... È il mio gusto e il mio piacere”.4
Dita che da un pezzo Pirandello usa ficcare (bisogna tenerne conto)
negli occhi del lettore. I benpensanti hanno perciò bollato certe novelle
scabrose scrivendo, al colmo dell’indignazione, lettere risentite al gior-
nale che le aveva pubblicate. Alcune sono persino tornate al mittente

2
Sul dramma di Diderot, cfr. P. Szondi, Le père de famille, in «Poétique», n. 4,
1973.
3
Cfr. Manifesto degli autori drammatici futuristi, 11 gennaio 1911(in Futu-
risme. Manifestes. Documents. Proclamations, G. Lista, Lausanne, 1973, p. 247),
discusso da M. Serra, Marinetti et la révolution futuriste, Paris, L’Herne, 2008.
4
Cit. in L. Pirandello, Così è (se vi pare), a c. di B. Alfonzetti, Milano, Mon-
dadori, 2021.
Dinamiche di genere nei Sei personaggi in cerca d’autore 97

prima della stampa, per non dire dell’alt degli editori dinanzi a due dei
suoi romanzi.5 Neanche a farlo apposta, proprio novelle e romanzi mes-
si in discussione saranno rimaneggiati per la scena. Va da sé che a teatro
presentino il vantaggio della rumorosa protesta esagitata di cui ci si può
compiacere seduta stante. Disdegnoso gusto destinato a produrre, batti
e ribatti, esiti eccellenti.
Quanto mai di mira in Sei personaggi, protesta, rottura delle attese,
novità eversive si segnalano a ogni livello. Quasi che qualcuno ne trami
il sabotaggio, basti pensare che qui manca addirittura l’autore e che la
rappresentazione non va in scena. Il sottotitolo annuncia, a chiare let-
tere nel manifesto: Commedia da fare. Un rompicapo per chi compra
il biglietto con l’aspettativa di un paio d’ore di svago. Del resto, non
appena prende posto e l’azione comincia, lo spettatore viene colto di
sorpresa, costretto a scomodarsi, a girare la testa all’indietro per appun-
tare lo sguardo sui passi appena percorsi. Sono volutamente gli stessi
dei personaggi che entrano in processione, dunque di spalle rispetto al
pubblico, diretti verso il palcoscenico. È la loro meta agognata.
La dinamica contorta rivela subito che i Sei provengono da una sor-
tita ribelle. Il loquace capofila – il Padre (personaggio-Alfa) – non tarda
a dilungarsi sulla loro attitudine per il momento spuria, programmati
com’erano all’origine in un laboratorio narrativo e non teatrale. Tutta-
via, benché provvisto di un campo d’informazioni funzionale al raccon-
to, il gruppo ha in seguito azzardato alcune iniziative autonome (“se-
moventi”) all’interno di quella che potremmo definire “rete neurale”.
Giusto come accade nell’intelligenza artificiale, il processo interattivo
si è divaricato dal programmatore sino a logorare le maglie del conteni-
mento predisposto. E adesso eccoli, transfughi dal romanzo, meticci in
cerca delle modalità di espressione intraviste nella drammaturgia. Tran-
sfughi: il testo reca “sperduti”, pronuncia indiziatissima, connessa a una
res gesta che adombra l’impresa disperata. Vale però la pena di tentare il
tutto per tutto.
Non ne potevano più delle lungaggini descrittive, del tiro conti-
nuamente aggiustato dall’anamnesi o, all’inverso, dalle premonizioni,
senza contare le catene causali, il filo logico, razionale a tutti i costi che
li segregava nel romanzo: “parole, parole, parole”. Altro che bei giri di
frase sulla pagina lambiccata, loro aspirano alla vita (“Vogliamo vivere”
– pronuncia, sempre, del logorroico e ostinato portavoce): alla vita dai
mille e mille volti, libera, mutevole, assurda, governata dal Caso, con

5
Polemiche insorsero, per esempio, a proposito delle novelle Pensaci, Giacomi-
no!, L’illustre estinto o Jeri e oggi; i romanzi rifiutati sono Suo marito da Treves (1911)
e Si gira…dalla «Lettura», mensile del «Corriere della Sera» (1914).
98 Annamaria Andreoli

ognuno che agisce sotto la spinta di impulsi imprevedibili (“di nascosto


da se stesso”), in un inconcludente groviglio di cupidigie, recriminazio-
ni, corrucci, menzogne, errori, fraintendimenti …
Il racconto non fa davvero per loro (“Qui non si narra! Qui non
si narra!”). Lo scandalo che li ha radunati – un sordido “fattaccio” –
reclama la rappresentazione, rischiando comunque l’incresciosa delega
in bianco agli Attori professionisti che dovranno interpretarli una volta
che il Capocomico, ora alle prese, di malavoglia, con la commedia di
Pirandello (“chi l’intende è bravo”), si risolva a rinnegarla per aderire
alla causa dei ribelli intrusi. Intrusi e insieme contagiosi: diventa ribelle
anche il Capocomico. Indotto in tentazione a suo rischio e pericolo,
avrà di che pentirsene. Non si rinnega un’opera, e men che meno un
genere, senza provocare qualche disastro. Provare per credere.
In Sei personaggi s’impongono, di conseguenza, temperie e simbo-
logia della ribellione, quasi una Genesi su misura, con tanto di pecca-
to originale e caduta dall’Eden romanzesco. Ne favoleggia uno di loro
nell’additare il “Dèmone dell’Esperimento” [maiuscole nel testo], una
sola cosa con il serpente che oltretutto ne determina il numero lucife-
rino.6 Preponderando per ovvi motivi il vittimismo, sia tra i colpevoli
che tra gli innocenti, l’alterco in cui si risolvono i dialoghi riguarda
più la vergogna che la colpa, se non quando, accidentalmente, muore
la Bambina. A quattro anni d’età non è giocoforza innocente? Tutt’al-
tro. L’immacolata concezione narrativa decade nella nuova concezione
teatrale in cui la si trascina, macchiata dalla sua totale inadattabilità al
genere non cartaceo. I “ragazzi” sulla scena “danno impaccio”, sentenzia
il Capocomico, duro giustiziere di entrambi i minorenni, prontamente
rassicurato: “Oh, ma lui [il Giovinetto] glielo leva subito, l’impaccio, sa!
E anche quella Bambina, che anzi è la prima ad andarsene”. Siamo alle
solite: il sangue degli innocenti lava il peccato dei malvagi. E poi questi
decessi crudeli denunceranno, nella finzione agita (qualora ci si arrivi),
lo sconcio abuso dei traslati nel linguaggio mimetico di provenienza. Si
diceva: “morire di noia”, “morire dalla voglia”... così, automaticamente,
per assuefazione, permanendo il pensiero lontanissimo dall’agonia, dal

6
Il chimico tedesco Friedric August Kakulé (1829-1896), giusto nel 1890,
quando Pirandello si trovava a Bonn, illustrò la sua scoperta scientifica (relativa alla
molecola del benzene) attraverso un racconto simbolico: disse che aveva visto in so-
gno un serpente che si mordeva la coda. Era la rivelazione della struttura ciclica esa-
gonale della molecola che stava da tempo esaminando. Sul versante antropologico
delle strutture ancestrali, si segnala uno studio di A. Warbur, Il rituale del serpente,
Milano, Adelphi, 1980.J. L. Borges non manca poi di riferirsi al 6 come numero
simbolico del diavolo e, alternativamente, al 213 come numero della divinità. Cfr.
L’Aleph, in Tutte le Opere, a c. di D. Porzio, Milano, Mondadori, 1984, p. 903.
Dinamiche di genere nei Sei personaggi in cerca d’autore 99

lutto. Mistificazioni da denunciare con speciali effetti umoristici di cui


Pirandello detiene brevetto e primato.
Non lo si dimentichi mai: in principio era un narratore. Il quale,
dopo aver fissato sulla pagina i personaggi in numero compromettente
(il Padre precisa: “fantasticati”), ha iniziato a comporre il romanzo che a
un tratto ha deciso di interrompere. Incerto dell’esito, demorde. Basta.
E non si è neppure risolto a mutare genere (“fu un vero delitto”) seb-
bene tentato, in particolare, da due dei Sei che protervi debordavano
dalle convenzioni del racconto sconfinando in quelle del dramma. Il
Padre e la Figliastra avevano insomma implorato invano la maschera e
la viva voce che desse loro modo di ripetere e ripetere – ogni volta che
lo spettacolo si replichi – l’accadimento terribile dove l’uno sta di fronte
all’altra a distanza non certo di sicurezza. Lui, di mezza età, è lascivo; lei,
giovanissima, è bella.
“Che scene” di spietata impudicizia “verranno fuori!”. Un capolavo-
ro, in grado di renderli eterni, a patto di trovare l’autore (“sia lei!” pro-
pone di slancio il Padre al Capocomico) disposto a congegnarli secondo
i crismi dell’arte. E disposto, in aggiunta, a fronteggiare le prevedibili
contumelie del pubblico, dato che lo spettacolo prende avvio da una
ripugnante oscenità mista di incesto e di prostituzione. Inverosimile
aspettarsi gli applausi da panni sporchi che non si lavano, come usa, in
famiglia, ma davanti a chi pregustava un rilassante passatempo per il
dopocena.

***
Nella movimentazione da un genere all’altro è da ravvisare il nucleo
propulsore di Sei personaggi. Pirandello trae il massimo profitto da pro-
cedure di laboratorio, fra le più collaudate, che non esita ad accogliere
all’interno del testo. Con intenzione uno dei personaggi (il Figlio) si
dice fuoruscito dal romanzo suo malgrado. Assolve così il compito di
stigmatizzare la trasgressione dalla quale indietreggia con prodezze vir-
tuosistiche, evidenziando svantaggi e insidie del nuovo approdo votato
allo scacco. Il suo atteggiamento riottoso accusa la tracotanza dei due
che vogliono dare spettacolo: se ne vergognino, invece. Tacciano, se non
vogliono che si metta lui a parlare.7
Quale artista non ha posto mano a un’opera per poi tralasciarla?
Giacomo Leopardi, per esempio, aveva steso l’abbozzo di uno scritto
autobiografico cedendo la parola a un suo avatar, Giulio Rivalta: “In-

7
Il Figlio è «il pernio dell’azione», come si legge nel testo: «pernio» strutturale,
ruotante da un genere all’atro, secondo una prassi che per suo tramite si autosti-
lizza.
100 Annamaria Andreoli

comincio a scrivere la mia Vita [con la maiuscola] innanzi di sapere se


io farò mai” … etc. Ma, dopo poche righe, l’aveva zittito preferendo
praticare allo scoperto – se guardiamo alla data – un diverso registro.
Quartine superbe: Credea ch’al tutto fossero | in me, sul fior degli anni, |
mancati i dolci affanni... La rincorsa in prosa rinvigorisce il salto nella
poesia.8 E Giulio Rivalta? Niente, oltre il nome vergato su fogli senza
futuro sotto la rubrica Storia d’un anima. Fogli che spesso finiscono nel
cestino dei rifiuti.
Il laboratorio di Pirandello rigurgita di rifiuti volontari e, ciò che
più importa, involontari. Sin dalla giovinezza l’aspirante poeta dedi-
cava un’attenzione spasmodica alla molla intima della sua creatività in
tumulto. Guizzi della fantasia che si affacciavano all’impazzata, fuori
controllo e in tale effimera intermittenza da provocare in lui un’ango-
scia tormentosa: “nella mia testa” diceva “entra tutto, e tutto va via”.
Lamentava, allora, la “fuga continua”, il “continuo avvicendarsi di cose
– scene, visioni, uomini, destini”. In attesa dell’esordio romano l’artista
si confidava con la prediletta sorella maggiore in questi termini: “per im-
pedire che tutto di me se ne fugga mi rimetto con più febbre al lavoro,
dimenticando tutto. – Ma non voi, non voi, miei Cari! … È una vita
di sguardi intensi e muti, di pensieri muti… vivo nel vedervi vivere …
E ritorno qui, e qui resto, con l’anima piena di fantasmi. Entra tutto, e
tutto va via. Ah, è così!” (1° novembre 1892).
Da notare, nella sofferta autoanalisi, l’“anima piena di fantasmi”;
e da notare che Pirandello, tramite la sorella, si rivolge ai suoi “Cari”,
cioè ai suoi famigliari. Appunto la famiglia, i rapporti parentali e co-
niugali delineano e pressoché esauriscono il campo di informazioni di
ogni suo personaggio-fantasma, che ormai vorremmo chiamare avatar.
Considerata in blocco, l’opera pirandelliana (poesie su poesie, sette ro-
manzi, tre centinaia di novelle, decine e decine di commedie, tragedie,
parabole, intermezzi) configura in effetti una gremita comunità virtuale
dove si progettano e celebrano innumerevoli matrimoni, fra separazio-
ni, tradimenti segreti o colti in flagrante, delitti d’onore, fughe dal tetto
coniugale, vedovanze, seconde nozze, concubinaggi, prole legittima e
illegittima, suocere perniciose…
Giochi di ruolo in cui l’avatar figura per conto di un autore incapa-
ce di svincolarsi dall’appartenenza d’origine, incapace di vivere se non
“vedendola vivere”.9 Appartenenza d’origine da intendersi in senso du-

8
Cfr. G. Leopardi, Opere, a c. di R. Bacchelli e g. Scarpa, Milano. Mondadori,
1935. Pregevole, da parte dei curatori, il commento delle Carte napoletane.
9
Sui rapporti famigliari come primo motore della scrittura cfr. la mia introdu-
zione a L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, Milano, Mondadori, 2019.
Dinamiche di genere nei Sei personaggi in cerca d’autore 101

plice, letterale e insieme putativo: la sua propria, di lui, Luigi Pirandello


(o forse Pirandelli, stando ai non univoci documenti dell’anagrafe),10
e l’altra schiatta, quella della tradizione, da cui discende il suo talento
individuale attivo agli albori del Novecento, poeta e narratore tentato
dalla drammaturgia.
Difficile cimento, il teatro, sotto ogni riguardo, mancando da noi il
pubblico omogeneo di un territorio nazionale ancora diseguale per lin-
gua e costumi; mancando, soprattutto, la borghesia illuminata che farà
sentire la propria presenza quasi esclusivamente nelle zone industriali del
Paese. Non per nulla l’affermazione di Pirandello si avvarrà del “Corriere
della Sera”, dell’editore Treves, del teatro Manzoni: avamposti milanesi,
agli antipodi rispetto alla nativa Sicilia. Circostanza che nulla toglie alla
profonda sicilianità pirandelliana. Anzi, poiché la Sicilia è la sua Itaca, la
Grecia antica riaffiora nel rampollo dell’ancestrale tradizione isolana che
vuole Eschilo finire i propri giorni sulla spiaggia di Gela colpito da una
testuggine caduta dal cielo.11 Quale che sia il genere letterario prescelto
dal nostro scrittore, nella sua tragica modernità novecentesca si ripre-
sentano i classici greci e quant’altro sia concresciuto sui quei vertici fon-
dativi della civiltà occidentale. Tant’è vero che la Commedia da fare non
si farà perché i Sei personaggi provano le scene di un’ormai impossibile
Orestiade. È sin troppo agevole ravvisare Elettra nella Figliastra o, nella
Madre, Clitennestra; e lo stesso vale per Egisto, Agamennone, Oreste,
l’Erinni… nel nuovo gioco delle parti fra trasparenti innominati.
Pirandello non è solo nella rivisitazione mitica della saga famigliare.
Anche a prescindere dalla comparsa imponente di Edipo e degli Atridi
negli scavi psicologici di Freud, il romanzo ottocentesco ne aveva offerto
un’ampia campionatura, dai Karamazov di Dostoevskij ai Rougon-Ma-
quard di Zola, giù giù con Padri e figli di Turgeniev, I Malavoglia di
Verga, I Buddenbrook di Th. Mann, per nominare solo alcuni esemplari
in cui vanno ricompresi a pieno titolo I vecchi e i giovani, saga girgentina
che coniuga le illustri rovine greche della città natale con il nuovo de-
grado di Roma.12 Giganti di ieri e nani di oggi per l’artista siciliano che

10
L’incerta grafia ha indotto gli studiosi di storia siciliana a non considerare
consanguinei di Luigi le personalità attestate dal cognome Pirandelli. Invece lo
sono, e meritevoli di nuove indagini. Cfr. G. Galasso, Per la storia culturale sociale
della Sicilia nell’Italia unita, Catania, Edizioni del Prisma, 1993, pp. 37 e 41.
11
Fondamentale, in questa esplorazione dell’entroterra pirandelliano, il contri-
buto di S. Mazzarino, Pirandello. Die neuere und die alte Geschichte italiens, a c. di
A. Cavallaro e con un saggio di W. Hirdt, Bonn, Rudolpf Habelt GMBH, 2006.
12
Cfr. l’edizione del romanzo di Pirandello procurata da A. M. Morace (Mi-
lano, Mondadori, 2018), che recupera la princeps del 1913 riproponendo un testo
rivelatore di intenzioni poi in sordina nel rifacimento successivo.
102 Annamaria Andreoli

sui concorrenti svetta grazie alla drammaturgia. Battendo la stessa strada


di Sei personaggi, esattamente contemporaneo, Ulisse (1922) di Joyce
destruttura infine il romanzo sovrapponendo all’Odissea di Omero un
magmatico flusso di coscienza.13
Stessa strada in salita ma passo più spedito per procedere oltre, la
scelta teatrale di Pirandello, proprio nell’ ibrido impasse in cui si ma-
nifesta, risulta innanzitutto aderente, in ogni sua parte, da un lato alla
dimensione mitica dell’ “eterno ritorno”; dall’altro al “doppio” insito
tanto nel campo dell’informazione quanto in quello della rappresen-
tazione. Non per nulla si verifica uno scontro fra personaggi e Attori,
con i primi, già di natura seconda, intolleranti nei confronti di mimi
ulteriori (“Io, quella lì?.. non mi ci vedo affatto”, etc.). La loro verità di
agenti – la maschera di ognuno – viene compromessa quando si vedono
riflessi in uno specchio deformante. Tutti i sopravvissuti difendono con
veemenza il loro artificiale mondo parallelo.
A lungo, nel gergo teatrale, le prove si sono chiamate “répétitions”:
ripetizioni. Non si arrangiano che prove in Sei personaggi, che appunto
perciò resta una Commedia da fare. Eppure, in scena si va e al pubblico
non si offrono che tentativi abortiti del “passato che si fa presente”: la
quintessenza della drammaturgia, il qui e ora che si finge sul palcosce-
nico. Lo spettacolo fallisce se l’obiettivo è la resa dei conti in rapporto a
quanto è accaduto; ma se l’obiettivo è diverso: additare la casualità degli
eventi, l’incolmabile divario fra l’io e l’altro, i meandri inconoscibili del-
la coscienza, la percezione mai univoca delle cose, il carattere transeunte
dell’esperienza; se questo è l’obiettivo, lo spettacolo riesce a meraviglia.
Paradossalmente ordinata dal disordine, la rappresentazione trasfor-
ma il peccato d’origine in rito salvifico. Però non i personaggi si salvano:
si salva, e persino si rilancia, il teatro moderno. I Sei ignorano che ab-
batteranno la “quarta parete” senza aver trovato l’autore; come ignorano,
in quanto proiezioni ripetitive, che rimarranno ombre prive dell’asilo
caldo del corpo. Di sicuro, il teatro dove sarebbe dovuta andare in scena
una discussa commedia di Pirandello sta per diventare la sala di posa per
le riprese di un film.

13
Sull’ammirazione di Pirandello nei confronti di Joyce («grande e interes-
santissimo scrittore»), cfr. L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, a c. di B. Ortolani,
Milano, Mondadori, 1995, p. 537 (8 agosto 1930). Curiosa la coincidenza del
«Bloom’s day», il 16 giugno 1904 (la giornata in cui si svolge la vicenda dell’Ulisse
moderno), con l’ultima puntata del Fu Mattia Pascal nella «Nuova Antologia».
Sei personaggi in cerca d’autore nella scena spagnola;
prospettive dopo un secolo
di María Belén Hernández-González

Sintesi: La fortuna letteraria di Luigi Pirandello in Spagna è stata


segnata dalle prime rappresentazioni di Sei personaggi in cerca d’autore,
avvenute nel 1923 a Barcellona e Madrid. A dispetto dell’iniziale per-
plessità del pubblico, da allora in poi l’opera divenne l’emblema del tea-
tro moderno e Pirandello sarà uno dei pochi scrittori italiani riproposti
in spagnolo lungo il secolo, sebbene con luci ed ombre che cercheremo
di comprendere. In seguito si presentano gli aspetti principali della rice-
zione, messinscene e traduzioni del capolavoro pirandelliano.

I. Alcuni aspetti sulla ricezione del teatro di pirandello in spagna

Il nome di Pirandello era in Spagna pressoché sconosciuto prima


della tournee europea della compagnia di Dario Niccodemi, che presen-
tò l’allestimento originale di Sei personaggi alla fine del 1923 a Barcello-
na e Madrid, dopo il grande successo riscontrato a Londra, Parigi, Ber-
lino e Praga1. Il momento d’irruzione del dramma - che divenne subito
sinonimo di modernità e avanguardia in tempi in cui il teatro spagnolo
restava su basi tradizionalmente realiste2 - combaciava con un periodo
abbastanza favorevole per la ricezione della cultura italiana, grazie an-
che alle eccezionali circostanze politiche. In effetti, promotori e critici
guardavano con interesse verso il Belpaese dopo il viaggio in Italia del re
Alfonso XIII con la regina e il Generale Primo de Rivera, occorso il 20
novembre 1923, che lasciava intravedere le prime simpatie della nostra

1
Come è noto, l’opera fu tradotta in inglese nel 1922 e rappresentata a Londra
e poi a New York nel Princess Theatre di Broadway nello stesso anno; la prima in
francese ebbe luogo a Parigi il 10 aprile 1923 nella Comédie des Champs Elysees,
con regia del famoso Georges Pitoëff; lo stesso anno a Praga, nel Teatro Nazionale;
a Berlino si presentò in tedesco il 30 dicembre 1924, nel Deutches Theater, a carico
di Max Reinhardt.
2
Per i primi momenti della ricezione in Spagna di Pirandello, cfr. almeno: Gal-
lina (1967); Neglia (1991); Camps (1998); Hernández-González (2007); Zappulla
Muscarà (2012); Edo (2006); De Miguel (2020).
104 María Bélen Hernández-González

dittatura per il regime di Mussolini.3


In quell’ambiente, l’arrivo del teatro di Pirandello si distinse come
innovatore e rivoluzionario, al punto da eclissare le messinscene di al-
tri drammaturghi italiani invitati in Spagna nella stessa stagione. L’an-
no successivo, la visita di Pirandello a Barcellona, con motivo di una
conferenza al Teatro Romea, suscitò grande curiosità e confermò la sua
fama, come si legge nei giornali e rassegne letterarie della città.4 Anche
a Madrid, in seguito all’eco delle prime traduzioni e rappresentazioni, si
discuteva sul nuovo Teatro dell’Arte nei principali giornali e nella tribu-
na della Revista de Occidente, diretta da Ortega e Gasset5 ed autorevole
faro sull’estetica europea nella capitale. Tuttavia, sebbene la maestria di
Pirandello fosse indiscussa, non mancarono le disapprovazioni anche
all’interno della cerchia degli intellettuali: mentre i settori progressisti
lodavano il metateatro sperimentale dell’agrigentino, il quale in modo
ancora confuso riusciva a superare le limitazioni realistiche,6 i critici
moderati - tra cui il proprio Ortega ed Eugenio D’Ors7 a Barcellona -,
lo qualificavano come artificiale e cerebrale, targhetta che ebbe conse-
guenze decisive nell’assimilazione successiva.
In sintesi, si direbbe che a un primo momento di effusiva accoglien-

3
In coincidenza con questo viaggio, saranno numerosi gli studi e articoli sulle
similitudini sociali e culturali tra Spagna e Italia; i quali, oltre a valutare il modello
politico italiano, fomenteranno in Spagna una crescente recettività verso gli scritto-
ri italiani. Cfr. Mobarak (2013).
4
Per lo studio del viaggio a Barcellona di Pirandello, invitato da José Canals
e il Pen Club, si veda l’analisi delle interviste apparse sulla stampa catalana del
tempo in: Zappulla Muscarà (2012) e Calzada-Romà (1997). Sull’incomprensione
della borghesia catalana nei confronti del nuovo teatro di Pirandello nel 1923, cfr.
Camps (1998).
5
Nel gennaio 1924 Fernando Vela scrive una rassegna della prima madrilena
di Sei personaggi, nella Revista de Occidente e Félix Azzati, primo traduttore della
commedia, pubblica nello stesso numero la prima traduzione de La tragedia di un
personaggio. Il dibattito si protrasse attraverso altri testi, dei quali il più famoso è
proprio di José Ortega e Gasset, ordinario di filosofia nell’Universidad Central de
Madrid e maestro della generazione novecentista: egli scrisse, nel 1925, La deshu-
manización del arte, un polemico saggio sull’arte d’avanguardia. In questo libro
Pirandello è visto come paradigma dal teatro nuovo, autore del primo dramma
d’idee, che irrita il grande pubblico con la sua visione rovesciata.(Cfr. J. Ortega y
Gasset, La deshumanización del arte, in Obras Completas v. III. Madrid, Alianza,
1983, pp. 376-377, commentato tra gli altri da N. Muñiz Muñiz, «Sulla ricezione
di Pirandello in Spagna», in Quaderns d’Italià 2, 1997, pp.113-148).
6
Si veda R. Baeza, «Seis personajes en busca de autor», El Sol, 17 gennaio 1924,
p. 2, replica all’articolo di Eugenio D’Ors, citato in seguito.
7
Cfr. E. D’Ors, «La particularidad de la comedia de Pirandello», ABC, 26
dicembre 1923, pp. 15-16.
Sei personaggi in cerca d’autore nella scena spagnola 105

za - si pensi che solo tra il 1923 e il 1927 si tradussero circa venti testi
teatrali dello scrittore -, seguì una brusca diminuzione d’interesse, raf-
freddata alle soglie della Guerra Civile, ma che non si riprese comple-
tamente nemmeno nel dopoguerra. Gli ostacoli verso un’ermeneutica
pirandelliana più vivace si possono comprendere tenendo conto di tre
fattori essenziali che, a mio parere, hanno segnato la fortuna di Piran-
dello lungo il secolo: da un lato l’incomprensione generale della sua arte
in un Paese dove esisteva una frattura tra le minoranze colte e il pub-
blico di massa; dall’altro lato, la separazione tra la ricezione letteraria
e la teatrale, manifestatasi maggiormente nelle critiche teatrali del do-
poguerra; e infine - e non di meno - i forti mutamenti politici e sociali
seguenti al 1936, che si rispecchieranno nelle scelte di traduzione degli
scrittori italiani, nuocendo, come vedremo, alla diffusione delle opere
di Pirandello.
In effetti, benché Pirandello sia stato dal primo momento conside-
rato un classico,8 il pirandellismo in Spagna ha avuto alti e bassi, e per
molti anni non si è ben capita la poetica dell’umorismo - tranne in rari
casi,9 - né è stato sufficientemente approfondito il suo apporto sino alle
ultime due decadi del Novecento, da quando è ricominciata l’edizione
integrale delle opere con i doverosi approcci filologici. In questo senso,
è indicativo ricordare che Sei personaggi ed Enrico IV, le due principa-
li opere rappresentate, sono giunte ai nostri teatri prive della lettura
attenta de l’Umorismo, il saggio chiave per entrare nell’officina dello
scrittore; un testo tradotto in spagnolo integralmente soltanto oltre tre
decadi dopo la scomparsa dell’autore. Altrettanto accadde con le novelle
e la maggior parte dei romanzi, pubblicati fuori tempo o diffusi solo in
parte in antologie mal collegate con la produzione drammatica.
Il fenomeno è stato effetto della bipolarità delle élite intellettuali nel-
le due capitali culturali della Spagna novecentista, a lungo in contrasto
con i gusti del pubblico che, pur riconoscendone il valore, trovava dif-
ficile il messaggio pirandelliano. Probabilmente per questi motivi, Sei
personaggi è stato più letto che rappresentato; negli scrittori, invece, Pi-
randello è penetrato in fondo, sebbene spesso in forma non dichiarata,
come hanno messo in evidenza i ricchi studi comparativisti compiuti
tra lo scrittore siciliano e gli autori spagnoli coetanei, a cominciare da

8
Studi ormai classici sulla ricezione dello scrittore siciliano avevano assodato
questo concetto senza ombre (Chantraine De Van Praag, 1962; De Filippo, 1964);
ma poi sono stati riguardati nella sua problematicità dagli italianisti spagnoli sopra
menzionati a partire dalla decade ‘90 del secolo scorso.
9
Tra questi, i traduttori Azzati, Cansinos Assens e Ricardo Baeza, per la prima
epoca; dal dopoguerra, i critici José María Monner Sans e Ricardo Doménech.
106 María Bélen Hernández-González

Unamuno - l’unico a riconoscere punti in comune con Pirandello nel


romanzo Niebla, sebbene avesse letto Pirandello a posteriori - e in diver-
si altri come: Azorín, Ortega, Maeztu, Ricardo Baeza, Carmen de Bur-
gos, Gómez de la Serna, Cansinos Assens, Juan Chabás, Rivas Cherif e
il proprio García Lorca, per citarne soltanto alcuni.10

II. Le messinscene di Sei personaggi in cerca d’autore

In questa sede, non potendo elencare la totalità delle scenografie del


dramma esibite in Spagna,11 rileveremo in ordine cronologico almeno
quelle più note e influenti nella cultura iberica.
La prima in assoluto in Spagna, con traduzione di Salvador Vilare-
gut (rimasta inedita), si presentò il 19 dicembre 1923 nel Teatro Goya
di Barcellona, allestita dalla compagnia Díaz Artigas. Comunque, la
produzione più nota fu quella originale realizzata dalla stessa compa-
gnia italiana di Dario Niccodemi con gli attori: Luigi Almirante, Vera
Vergani e Luigi Cimara, nel Teatro Princesa di Madrid il 22 dicembre
1923 e poi nel Teatro Goya di Barcellona il 15 gennaio 1924, con sei
repliche ciascuna. La critica elogiò la bravura degli attori ma rimase
scettica di fronte alla sobrietà dello scenario, che, privo d’attrezzi, mo-
strava le quinte agli spettatori. Nel giugno 1924, pochi mesi dopo la
prima a Madrid e a Lisbona, Carmen de Burgos pubblicò un’intervista
con Vera Vergani, l’attrice principale, dove applaude la nudità della sce-
na e l’originalità del nuovo teatro puro di Pirandello.12 Il titolo dovette

10
La critica si è occupata a lungo della ricezione di Pirandello nella letteratura
spagnola; per menzionare soltanto alcuni nomi molto noti, si veda: González Mar-
tín (1978); Soria Olmedo (1989): Morelli (2005). Comunque, sono tanti gli scrit-
tori e drammaturghi spagnoli influenzati da Pirandello che attendono ancora uno
studio approfondito; oltre ai menzionati, si pensi ai fratelli Machado, Valle Inclán,
Jacinto Grau, Alejandro Casona, Juan Ignacio Luca de Tena, Buero Vallejo, Miguel
Delibes, Francisco Nieva… Di fatto, in buona parte dei più celebri autori novecen-
teschi si risente del teatro pirandelliano, sebbene le tracce quasi mai siano esplicite.
11
Per una panoramica del teatro italiano nella scena spagnola, con riferimenti
alle critiche apparse sulla stampa in proposito di Pirandello, cfr. in ordine crono-
logico: Martínez-Peñuela (1987), Martín Clavijo (2012) e Muñoz Raya (2016).
12
Si veda «Entrevista a Vera Vergani» (giugno 1924) in C. De Burgos (Colom-
bine), Periodista Universal v.II, a cura di C. Nuñez. Sevilla, Junta de Andalucía,
2018.Originalmente apparsa nella rivista Cine Mundial di New York, dove Carmen
de Burgos incomincia a collaborare dal 1923, quando Vergani era diventata famosa
attrice teatrale e cinematografica. Non ho trovato il testo in giornali spagnoli: è
possibile che sia perduto. La scrittrice era nota per i due volumi d’interviste intito-
late Confidencias de artistas (1916); in precedenza era stata curatrice per Sempere,
Sei personaggi in cerca d’autore nella scena spagnola 107

risuonare parecchio, se è vero che ispirò perfino una funzione intitolata


Seis personajes en busca del divorcio,13 rappresentata il 19 aprile del 1924
al Teatro de la Reina di Madrid.
Il 12 aprile 1926 la Compagnia di Mimi Aguglia offre Sei perso-
naggi nel Teatro La Latina di Madrid, con traduzione di Vilaregut ed
attori Alfredo Gómez de Vega, Mimi Aguglia e Elvira Morla. Questa
sembra l’ultima scenografia allora registrata; altre commedie pirandel-
liane si rappresentano intorno a queste date, ma si dovrà aspettare oltre
trent’anni prima di ritrovare il capolavoro in cartello.
Finalmente, nel 1955, il regista José Tamayo, in coincidenza con la
più importante delle traduzioni dell’opera nel dopoguerra - compiuta
da Ildefonso Grande -, propose Sei personaggi nel Teatro Español de
Madrid, collegandolo con i classici del teatro ispanico da Cervantes a
Calderón. Ad ogni modo, le critiche non furono del tutto benevole,
perché ormai lo si vedeva come un dramma inattuale e tuttavia cerebra-
le.14 L’interpretazione fu a carico di Alfonso Godá, Juanjo Menéndez e
Asunción Sancho.
Nel 1961, con motivo del 25º anniversario della scomparsa dell’au-
tore, si ristampano e compiono alcune traduzioni - sulle quali parlere-
mo in seguito -; tuttavia nella scena spagnola si presentò un altro titolo,
Vestire gli ignudi, e non fu fino al 1967, con motivo del centenario della
morte di Pirandello, quando riapparve Sei personaggi, nuovamente a ca-
rico di José Tamayo nel Teatro Bellas Artes di Madrid, in parte con gli
stessi attori: Asunción Sancho, José Sancho Sterling e Fernando Guil-
lén. Questa volta ebbe un grande successo di pubblico e di critica, a
sottolineare il messaggio atemporale del capolavoro pirandelliano, con-
siderato un classico del teatro universale. Così nella rassegna di Car-
los Rodríguez Sanz si legge: «una de las primeras creaciones de nuestro
tiempo que interiorizan en su misma estructura formal la idea medular
de la relatividad del tiempo, de la existencia, de la creación, del teatro,
etc.» (Rodríguez Sanz 1967: 48). Negli anni successivi altre commedie
di Pirandello furono rappresentate a Barcellona e Madrid, tra cui Così è

la casa editrice di Blasco Ibañez che aveva tradotto le prime opere di Pirandello in
Spagna. De Burgos diede per il teatro La voz de los muertos. Teatro irrepresentable
(1911), d’ispirazione leopardiana, oltre a mantenere contatti diretti con la scena
italiana dopo il viaggio in Italia compiuto tra il 1905-1906 con Félix Azzati, primo
traduttore di Sei personaggi.
13
In effetti, il titolo di Sei personaggi ebbe diverse imitazioni parodiche in Spa-
gna, come ci ricordano Calzada - Romá (1996: 142), compresa questa traduzione
della commedia di Ives Tirande, che in questo modo si accattivava l’attenzione.
14
Per un resoconto dettagliato delle rassegne teatrali del tempo, si veda il lavoro
di Martínez-Peñuela (1987).
108 María Bélen Hernández-González

se vi pare, La vita che ti diedi, Il berretto a sonagli ed Enrico IV.15


Negli anni 70, in mancanza di nuove traduzioni, sono state rare le
occasioni per rivedere i testi pirandelliani. Il 19 aprile 1974 andò in
onda la versione televisiva di Sei personaggi di Alberto González Vergel,
per il programma «Estudio1». González Vergel è stato un dei principali
registi teatrali del secolo, regista di oltre 500 opere drammatiche per il
piccolo schermo. Lo spazio che curò per la TVE è oggi considerato il
più prestigioso programma teatrale della storia della televisione e, per
oltre un ventennio, mandò in onda, con i migliori allestimenti, classici
contemporanei spagnoli e stranieri, tra cui Pirandello, interpretato da
Lola Herrera e Luis Prendes. In questa versione, basata sulla traduzione
fedele realizzata da Ildefonso Grande, i sei personaggi interpellano il
regista nello spazio di uno studio televisivo.
Nuove interpretazioni di Pirandello sorgono all’epoca della transición
democratica. In area mediterranea, nella decade ‘80, spuntano alcune
iniziative di studio che tengono conto della dimensione dialettale dello
scrittore (uno dei principali interessi politici delle regioni autonome ap-
pena sancite); è il caso dei corsi tenuti nel Centro de Estudios Pirandel-
lianos nel luglio 1981, all’interno dell’Istituto di Teatro della Diputación
di Barcelona, svolti da Frederic Roda con Sei personaggi in versione spa-
gnola e il Berretto a sonagli in catalano.16 Lo spettacolo più importante di
quegli anni fu diretto da Miguel Narros nel Teatro Principal di Valencia
nel 1982, interpretato da Manuel de Blas, Kiti Mánver e Carlos Hipólito
e girò per diverse città (Alicante, Murcia, Sevilla e Madrid).
Proveniente dalla Real Escuela Superior de Arte Drammatico di Ma-
drid (RESAD), Narros fu nominato direttore del Teatro Español in due
occasioni; con Sei personaggi diede inizio al progetto della compagnia
Teatro del Arte (un ghigno ancora non dichiarato a Pirandello, come
indica Joaquín Espinosa17) con una scenografia ricercata e attualizzata,
molto distante dall’allestimento originale e basata sulla traduzione rigo-
rosa di Espinosa.18 L’opera fu adattata per la televisione lo stesso anno

15
Per una panoramica delle messinscene pirandelliane lungo questi anni, cfr.
Espinosa (2005). Lo studioso affronta anche in questa sede l’analisi comparativa tra
due traduzioni controverse di Sei personaggi, come si vedrà più avanti.
16
Per il teatro in siciliano si veda l’edizione curata da S. Zappulla Muscarà:
L. Pirandello, Tutto il teatro in dialetto, Milano, Bompiani, 1993, voll. 2 (4ª ed.,
2009). Studi critici approfonditi si trovano in Pirandello e il teatro siciliano, a cura
di S. Zappulla Muscarà-E. Zappulla, Catania, Maimone, 1986.
17
Op. cit., p. 247.
18
La traduzione di Espinosa Carbonell è stata pubblicata anni dopo (1990).
Nel lavoro citato (Espinosa, 2005) si descrivono molti dettagli sulla scenografia e
sulla eccellente accoglienza.
Sei personaggi in cerca d’autore nella scena spagnola 109

e diretta da Narros e Pedro Pérez Oliva, sempre nello spazio teatrale


della TVE «Estudio 1», ma questa volta con il testo rimaneggiato da
Miguel Angel Conejero. Forse questo fatto suscitò la polemica del pla-
gio tra le due traduzioni, lamentata da Espinosa. In effetti, nella decade
successiva, alla fine del 1994, la compagnia di Narros presentava per la
seconda volta Sei personaggi prima a Sevilla eppoi nel Teatro Albéniz di
Madrid, ancora con la traduzione di Conejero e Consuelo López, scelta
che fece scattare la controversia tra le due versioni.19 Nella nota di pre-
sentazione apparsa ne «El País» (25.01.1995), Narros sottolineava che
si trattava di un allestimento nuovo, con nuovi attori (Helio Pedregal,
Chema Muñoz e Nuria Gallardo) e una diversa posizione etico-estetica,
d’accordo alle esigenze della nuova società spagnola. Gli ultimi anni del
Novecento sono stati quelli che hanno visto moltiplicarsi le traduzioni
dell’opera pirandelliana, sia in spagnolo che in catalano, ma spesso con
tendenze in contrasto con il teatro.
Nel XXI secolo Pirandello è rientrato con forza nella scena spagnola,
con lo spettacolo liberamente ispirato in Sei personaggi di Miguel del
Arco e Aitor Tejada. Il titolo è di per sé una dichiarazione d’intenzioni:
La función por hacer, ispirato nel sottotitolo di Pirandello, che era stato
cancellato in tutti gli allestimenti precedenti, riservandolo soltanto per
l’editoria. Presentato nel 2010 nel Teatro de la Abadía di Madrid, esso
ha avuto un enorme successo che dal 2018 e perfino durante la stagione
2020-21, ha suscitato successivi montaggi e importanti pubblicazioni.20
È stato dichiarato il miglior spettacolo teatrale dell’anno e ha ricevu-
to 7 premi Max delle Arti Sceniche - compreso alla migliore versione
teatrale -. Si tratta di un teatro senza scenografia, che trasporta i sei
personaggi di Pirandello ai nostri giorni, facendoli irrompere in una
funzione già iniziata che loro vogliono boicottare esprimendo il diritto
a raccontare la propria storia reale, giudicata di maggiore interesse della

19
Cfr. Espinosa Carbonell (2005: 251-256). Eva Muñoz Raya, senza voler en-
trare nella polemica tra i traduttori, sottolinea la divergenza tra le due versioni: la
prima per esser letta, la seconda per essere rappresentata; quella di Espinosa è rea-
lizzata in ambito universitario e si tratta dunque di una edizione curata con criteri
filologici, fornita di note didascaliche, con paratesti e uno studio introduttivo di
relativa funzionalità per la messinscena (2016: 116-117).
20
La prima si fece nel Teatro Lara di Madrid, fuori orario e dopo lo spettacolo
programmato, senza decorati e con i dialoghi fuori dal copione. La funzione sor-
prese tutti e da subito ebbe una grande accoglienza. Cfr. Del Arco (2019), le idee
principali della versione di Sei personaggi si commenteranno anche nel prologo di
Ana Fernández Valbuena. Si veda inoltre il blog pubblicato dai direttori con moti-
vo del decimo anniversario della messinscena: <http://www.revistagodot.com/10-
anos-de-la-funcion-por-hacer/>.
110 María Bélen Hernández-González

finzione rappresentata. Il testo pirandelliano risulta trasformato persino


nel carattere dei personaggi, che ora svolgono nuove funzioni, anche se
la poetica umoristica riemerge come guida assoluta della messinscena. Si
tratta di un ulteriore giro di vite che rovescia il metateatro dello scrittore
e, rompendo la quarta parete, dialoga con il pubblico che si confonde
con l’interpretazione degli attori.
Miguel De Arco e Aitor Tejada si sono formati nella RESAD, emo-
zionati studiando il testo Pirandelliano, e dopo una lunga carriera te-
atrale, sotto la produzione denominata Kamikaze,21 sono ritornati allo
scrittore agrigentino per sbloccare un difficile momento della scena spa-
gnola, povera di testi drammatici di qualità e di messaggi capaci d’inte-
ressare gli spettatori più giovani. La critica teatrale spagnola concorda
che La función por hacer, ancora esibita a Madrid nella stagione 20-21,
in qualche modo ha segnato una linea divisoria tra il modo novecente-
sco di far teatro e un nuovo approccio più essenziale e coinvolgente: si
dice addirittura che è riuscita a cambiare la maniera di fare teatro a Ma-
drid, consolidando le prospettive di una nuova generazione d’interpreti.

III. Sei personaggi in traduzione

Per quanto riguarda le traduzioni stampate in Spagna, la prima fu


realizzata da Félix Azzati, giornalista e politico anticlericale d’origine
italiano radicato a Valencia e stretto collaboratore di Blasco Ibáñez,
il proprietario del giornale «El pueblo» e della casa editrice Sempere,
d’ideologia repubblicana. La prima edizione, intitolata Seis personajes
en busca de autor (Valencia, Sempere, 1924), fu corretta e aumentata
nella seconda del 1926, dopo le varianti aggiunte dal proprio Pirandel-
lo in seguito al successo internazionale;22 con l’unione del sottotitolo
(qui chiamato trastítulo23): Comedia a escenificar. L’editore indicava già
nell’incipit che si trattava di una versione diversa da quella vista a teatro,
e che era anche l’unica autorizzata dall’autore, il quale avrebbe da allora

21
Gli interpreti principali, che si mantengono per la terza stagione sono: Isra-
el Elejalde, Bárbara Lennie, Miriam Montilla e Manuela Paso. La RESAD aveva
già pubblicato parte del testo in un monografico dedicato della rivista di ricerca
drammatica Acotaciones, Investigación y Creación Teatral II Época, giugno-dicembre
2013, con introduzione di Ana Fernández Valbuena.
22
Per confrontare le varianti del testo originale considerate da Azzati, cfr. l’edi-
zione critica in Pirandello (1993).
23
Azzati avverte i lettori sul significato del termine «commedia» in italiano,
ereditato dalla Commedia dell’arte, che per il pubblico spagnolo si confondeva con
farsa, banalizzando il messaggio drammatico di Pirandello.
Sei personaggi in cerca d’autore nella scena spagnola 111

ceduto i diritti per la traduzione di tutte le sue opere nella stessa collana.
Azzati redasse anche una preziosa introduzione, intenta a chiarire i ma-
lintesi causati da «una crítica poco escrupulosa y un público adversario
de las incomodidades de la reflexión». In effetti, in essa egli smentisce
una a una tutte le obiezioni del ridotto cerchio di critici teatrali, dimo-
strando che il teatro di Pirandello faceva vedere un dolore sincero, un
rovescio del reale vissuto innanzitutto in prima persona e non certo una
maschera artificiosa frutto della recente celebrità. Purtroppo, il progetto
della traduzione integrale di Sempere non poté essere portato a termine
e non solo per motivi politici: morto Blasco Ibáñez nel 1928, la casa
editrice fu ereditata da Azzati; ma anche lui scomparve nel 1929, la-
sciando gli spagnoli orfani di uno dei migliori interpreti di Pirandello.24
Nella seconda epoca di ricezione si susseguono diverse edizioni di Sei
personaggi, ma le traduzioni importanti in realtà si riducono a due: quel-
la compiuta da Ildefonso Grande, già apparsa in Alfil nel 1955, e poi
riveduta e aumentata nelle edizioni delle Obras completas di Plaza e Janés
(1958 e 1965), Seis personajes di Eselicer (1961) e Obras escogidas de
Aguilar (1969 e 1971); e quella di Miguel Angel Velloso (Teatro, Gua-
darrama, 1968); tutte e due furono riproposte in numerose occasioni
durante il franchismo. Secondo Vicente González Martín, le traduzioni
di Pirandello in Spagna si sono fatte più intense in periodi di crisi, parti-
colarmente dopo la Seconda Guerra, forse perché il teatro di Pirandello
possiede la capacità di riflettere il sentimento di crisi dei valori indivi-
duali e collettivi (González, 1995: 209). Ad ogni modo, le menzionate
traduzioni si dolgono di mancanza di naturalità, di numerosi arcaismi e
malintesi, che ostacolano l’effetto drammatico e certe volte sacrificano
la ricchezza del linguaggio originale. L’edizione dell’opera omnia non fu
conclusa nemmeno questa volta.
Curiosamente non è rimasta memoria della figura d’Ildefonso Gran-
de, tranne il fatto di aver tradotto almeno tredici opere di Pirandello; la
venerazione verso lo scrittore è palese sia nell’eccessiva scrupolosità delle
sue traduzioni degli originali, sia nelle parole dei suoi prologhi che oggi
ci sembrano profetiche:

Suele repetirse que las obras de Pirandello son cerebrales. Quizá


porque no nos cuenta la fábula como estamos acostumbrados a oírla. Él

24
Va ricordato che Azzati era uno dei rari intellettuali del tempo ad avere con-
tatto diretto con la scena italiana, assieme a Carmen de Burgos e Rivas Cherif.
Tutti e tre, come tanti altri scrittori di sinistra, furono messi all’indice dal tribunale
speciale per repressione della massoneria e il comunismo durante la epurazione
franchista e le loro opere proibite e cancellate della nostra memoria sino agli ultimi
anni del Novecento.
112 María Bélen Hernández-González

coge, como el caricaturista, los rasgos esenciales de los tipos, juega con
ellos, mezcla la fantasía con la realidad, que a veces son inseparables;
se burla de lo tópico, y, entre dos salidas grotescas, nos hace sentir un
escalofrío. El público de los domingos sale defraudado cuando, después
de dos horas de intriga, el autor le escamotea el desenlace y lo deja con
las ganas de saber la «verdad». ¿Era un bromista Pirandello? ¿O sólo un
filósofo convencido de que la vida no tiene desenlace, y de que todo se
reduce a volver a empezar? ¿O las dos cosas?
Es lo cierto que, a medida que pasan los años, sus obras van dejando
de ser para la minoría. Se discuten cada vez menos y se aceptan más.
Lo que prueba que el genial siciliano se adelantó, por lo menos, treinta
años a su época. (Grande, 1959:14)

L’altro traduttore di questi anni, Miguel Ángel Velloso, era invece


uomo di teatro, fondatore del Teatro de Estudio e direttore della compagnia
del Teatro Romea di Barcellona. Tra il 1949 e il 1950 soggiornò in Italia e
lavorò come corrispondente del «Noticiero Universal» di Barcellona, oltre
a collaborare come critico teatrale ne «El Español» di Madrid. Le sue co-
noscenze della lingua e della cultura italiana si riflettono in una maggiore
spontaneità dello stile e nella correzione dei testi, non solo di Pirandello
ma anche di Papini, Svevo e Deledda. Velloso diede anche note versioni de
Il fu Mattia Pascal e la prima edizione integrale dell’Umorismo.25
Verso la fine del secolo sorgono nuove e numerose traduzioni, che
coincidono con lo sviluppo degli studi di filologia italiana in Spagna e
con nuove interpretazioni critiche delle opere pirandelliane in Italia.26
Tra queste predominano le edizioni letterarie (Espinosa, Cuevas), la più
nota quella apparsa per Cátedra (1992), perché a lungo è stata l’editrice
preferita in ambito scolastico. Vogliamo rimarcare invece la traduzione
di Leonardo Valencia27 (1999), prologata da Francisco Nieva, la quale
propone un rinnovamento del linguaggio per l’uso scenico. In pagine
introduttive, il drammaturgo spagnolo adopera un tono provocatorio,
dichiaratamente umoristico, rivolto alla gente di teatro. Alla conclusio-
ne del secolo, Nieva riprende la vecchia etichetta dell’intellettualismo,
per accentuare la sfida ancora irrisolta di Pirandello, in questo modo
presentandolo come un autore di mistero:

25
Il testo de l’Umorismo fece parte della raccolta di saggi di Pirandello apparsa
per Guadarrama, Madrid, 1968. Velloso curò qualche studio di rilievo sull’argo-
mento, cfr. Velloso, 2005.
26
Si veda, ad esempio, il prologo di Romano Luperini, nell’edizione Cátedra,
1992; e lo studio di Taviani (2010).
27
Scrittore equatoriano d’origine italiano con notevole fama, dal 1978 vive a
Barcellona; ha tradotto in spagnolo opere di Luigi Pirandello e Tommasi di Lam-
pedusa.
Sei personaggi in cerca d’autore nella scena spagnola 113

Pirandello descubre la esencia del llamado «suspense» que luego


tanto se ha aplicado al cine. Basta con decir una tan simple verdad
como la de que nada es lo que nos parece, basta basar en ella la dra-
maturgia de la inquietud y que cientos de obras salgan, no de la idea
misma, sino del sentimiento de esa inquietud de la que emana toda
teatralidad. […Pirandello] Es un objetivo de cámara fotográfica que
podemos ir paseando por toda la superficie de esta tierra aparencial.
[…] Como todo el buen teatro moderno, Seis personajes... requiere
que el lector se convierta en el propio director de escena de su lectura.
Cuando ello se consigue, la lectura de Pirandello aficiona, nos «engan-
cha» a la del teatro, cosa que tanto escasea hoy en día, en donde la
imaginación se ha vuelto perezosa.(Nieva, 1999: 3-4)

Infine, le traduzioni uscite dopo il duemila sono state compiute in


gran parte da traduttrici professioniste di un certo prestigio, com’è il
caso di Ester Benítez (2001), che ha ricevuto il premio nazionale di tra-
duzione;28 o di Pepa Linares (2018), premiata dal Ministero di Cultura
italiano per la diffusione della letteratura italiana in traduzione.29
Un elenco pressoché completo delle successive edizioni del capolavo-
ro pirandelliano sino ad oggi si trova nell’appendice di questo capitolo.

A modo di conclusione

Sei personaggi in cerca d’autore ha compiuto, in cento anni, un lungo


ed affannoso viaggio in terra ispanica, sebbene, a differenza di altri testi
di Pirandello, la commedia sia stata accolta e tradotta con interesse fin
dai primi del Novecento, assieme a Il fu Mattia Pascal. Nella prima
epoca di ricezione subì gli effetti dello scontro tra promotori e intellet-
tuali che istituivano una minoranza colta, ma fortemente politicizzata e
scostata dal grande pubblico. Durante il dopoguerra le rappresentazioni
diminuirono, ma il seme del pirandellismo persistette attraverso l’opera
di numerosi scrittori e drammaturghi che avevano assimilato le novità
del suo teatro.
I debiti non dichiarati verso lo scrittore durante diverse decadi sono
conseguenza innanzitutto dell’incomprensione della poetica dell’Umo-
rismo e di altri saggi pirandelliani scarsamente diffusi. Le traduzioni
compiute nell’ultimo ventennio del secolo scorso, hanno integrato il
sapere filologico alla conoscenza critica di Pirandello, ma sono state per

28
Oltre a Pirandello, ha tradotto dall’italiano Manzoni, Pavese e Calvino.
29
Tra gli autori italiani, ha tradotto: Norberto Bobbio, Giorgio Vasari, Remo
Bodei, Leonardo Sciascia, Beppe Fenoglio, D’Annunzio e Bonaviri.
114 María Bélen Hernández-González

lo più indipendenti e disuguali, perpetuando la divisione tra il testo let-


terario e la pratica teatrale. Ciononostante, con l’arrivo del nuovo mil-
lennio, il capolavoro pirandelliano è ritornato con tutta forza attraverso
recenti produzioni ispirate ai Sei personaggi, che vengono a dimostrare
che, dopotutto, la Spagna è terra prediletta per il teatro di Pirandello.

Appendice
I. Elenco delle edizioni di Sei personaggi registrate fino a gennaio 2021 nella
«Biblioteca Nacional de España». Sono escluse le ristampe delle stesse opere,
edite in modo frammentario nelle filiali secondarie delle diverse case editrici.
- Seis personajes en busca de autor, comedia a escenificar, Trad. e prologo Félix
Azzati. Valencia: Sempere, 1924 (2º ed. 1926).
- Seis personajes en busca de autor, Trad. Ildefonso Grande. Madrid: Alfil, 1955.
- Obras Completas, Trad. Ildefonso Grande - Manuel Bosch Barret. Barcelona:
Plaza & Janés, 1958 (2ª ed. 1965).
- Seis personajes en busca de autor (Comedia todavía no escrita). Trad. Ildefonso
Grande. Cádiz-Madrid: Escelicer, 1961.
-Teatro, Trad. José Miguel Velloso. Madrid: Guadarrama, 1968.
- Seis personajes en busca de autor, Trad. Ildefonso Grande. Barcelona: Círculo
de Lectores, 1969.
- Obras escogidas, Trad. Ildefonso Grande - José Miguel Velloso- Mario Grande
Ramos. Madrid: Aguilar, 1969 (2º ed. 1971).
- Seis personajes en busca de autor, comedia por hacer. Barcelona: Clásicos Roxil,
1982.
- Seis personajes en busca de autor, Trad. Joaquín Espinosa Carbonell. Valencia:
Universidad de Valencia, 1990.
- Seis personajes en busca de autor, Cada cual a su manera, Esta noche se recita
improvisando, Trad. Miguel Ángel Cuevas- prologo Romano Luperini. Ma-
drid: Cátedra, 1992 (5ª ed. 2000).
- Seis personajes en busca de autor, Cada cual a su manera, Esta noche se improvisa,
Trad. Nieves Muñiz. Barcelona: Altaya, 1996.
- Seis personajes en busca de autor, Trad. Leonardo Valencia Assogna-prologo
Francisco Nieva. Madrid: Unidad, 1999.
- Seis personajes en busca de autor, Trad. Marina Massa Carrara. Madrid: Mestas,
1999.
- Seis personajes en busca de autor: comedia por hacer, Trad.Esther Benítez- prolo-
go M. Teresa Navarro Salazar. Madrid: Edaf, 2001 (3º ed. 2011).
- Seis personajes en busca de autor, Trad. Pepa Linares.Madrid: Alianza, 2018.
- Seis personajes en busca de autor, Trad. Maritza Izquierdo. Madrid: Verbum,
2019.
II. Traduzioni al catalano più rilevanti:
- Sis personatges en cerca d’autor i Enric IV, Trad, Bonaventura Vallespinosa.
Barcelona: Edicions 62 (2ª ed. La Caixa, 1987)
- Sis personatges en cerca d’autor, Trad. Jordi Sarsanedas i Vives. Barcelona: In-
stitut del Teatre Comanegra, 2016.
Sei personaggi in cerca d’autore nella scena spagnola 115

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116 María Bélen Hernández-González

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Pirandello in Argentina: nuovi approcci
Sei personaggi in cerca d’autore in scena a Buenos Aires
e nella provincia di Buenos Aires

di Jorge Dubatti

La ricca storia dei rapporti tra la drammaturgia di Luigi Pirandello e


il teatro argentino ha numerosi studi (Aldama, 2015; Bossi, 1999; Ca-
cho Millet, 1987; Dubatti, 2012 e 2017; Guglielmini, 1967; Monner
Sans, 1959; Neglia , 1970; Ordaz, 2000; Pellettieri, ed., 1994 e 1997;
Ramírez, 1927; S. Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla, 2017, tra molti
altri). Tuttavia, il rilievo e l’analisi delle versioni sceniche di Sei personag-
gi in cerca d’autore costituiscono ancora un capitolo (o un libro) da scri-
vere. Senza dubbio Sei personaggi... è stato ed è valutato in Argentina tra
i migliori e più rappresentativi della produzione di Pirandello (sebbene
non sia la sua opera teatrale più rappresentata sui palcoscenici nazionali,
sicuramente per la sua complessità e perché richiede un grande cast).
In questo articolo intendiamo contribuire con un aggiornamento
su questo argomento. Primo fermeremo a un inventario delle esibizioni
di Sei personaggi… realizzate a Buenos Aires (capitale dell’Argentina) e
in alcune città della Provincia di Buenos Aires (La Plata, Bahía Blanca,
San Isidro), e incorporeremo i dati delle esibizioni saltate in lavori pre-
cedenti;1 poi inseriremo queste messe in scena in una proposta di perio-
dizzazione dell’accoglienza di Pirandello in Argentina; per concludere,
prenderemo in considerazione alcuni aspetti della lettura di Sei perso-
naggi... del regista Jorge Lavelli, responsabile di una delle performance
più rilevanti nella progressiva de-totalizzazione teatrale e nel canone del-
la molteplicità del post-dittatura (Dubatti, 2012a, cap. VI e VII).

Messe in scena di “Sei personaggi…”

Tra i numerosi allestimenti realizzati in Argentina, da compagnie


nazionali o estere, segnaliamo i seguenti a Buenos Aires e nella Provincia
di Buenos Aires:

1
Per ragioni di estensione di questo articolo ci limitiamo a questo ritaglio
cartografico. Potremmo aggiungere numerose messe in scena in altre province ar-
gentine, ma supererebbe lo spazio disponibile. Ci riserviamo questi riferimenti per
un articolo futuro.
118 Jorge Dubatti

1922 – Regia teatrale di Darío Niccodemi al Teatro Cervantes (cir-


cuito commerciale d’arte). Trattandosi della prima presentazione dell’o-
pera a Buenos Aires, è importante notare che, l’anno successivo alla sua
prima a Roma, Sei personaggi… è già arrivato in Argentina. La storica
Beatriz Seibel ne scrive:

La compagnia teatrale italiana del Teatro Argentina di Roma diretta


dall’ “eminente commediografo” Darío Niccodemi, con la notevole at-
trice Vera Vergani, presenta un repertorio di 40 opere, proprie e di altri
autori, tra cui spicca Sei personaggi in cerca d´ autore (Seis personajes en
busca de autor), di Pirandello, che lo stesso Niccodemi aveva presentato
in anteprima a Roma l’anno precedente. In una funzione straordinaria
a favore dell’Associazione Dante Alighieri, Niccodemi tiene una con-
ferenza su “La donna nel teatro Moderno” e la stagione va da giugno
a ottobre. Autore e regista molto apprezzato, Darío Niccodemi (1874-
1934), giunse a Buenos Aires giovanissimo alla fine del XIX secolo e si
stabilì per diversi anni; rende critico e inizia a scrivere teatro, in prima
assoluta con Blanca Podestà e anche con María Guerrero nel 1920 (Sei-
bel, 2011, 19-20)

Seibel registra una singola presentazione, il 7 agosto 1922 (Seibel,


2011, 217).
1927 - Sotto la regia teatrale di Luigi Pirandello (in visita in Argen-
tina), Sei personaggi… viene presentato al Teatro Odeón di Buenos Aires
(circuito commerciale di teatro), con la compagnia del Teatro d’Arte di
Roma e l’attrice Marta Abba. Funzioni: 17 e 18 giugno.
1951 - Compagnia italiana Torrieri-Gassman-Zareschi, al Teatro
Odeón (circuito commerciale d’arte). Regia: Vittorio Gassman e Luigi
Squarzina.
1952 – Con la regia teatrale di Luis Mottura al Teatro Nacional
Cervantes (prima assoluta nel circuito ufficiale). Cast: Américo Acosta
Machado, Adriana Alcock, Pedro Aleandro, Alejandro Anderson, Al-
berto Barrie, Daniel De Alvarado, Jorge De La Cruz, Jorge de la Riestra,
Blanca Del Prado, María Dudeló, Chita Dufour, Celia Giraldy, Rober-
to Guthie, Hilda B Miller, Luis E. Monti, Esperanza Palomero, María
Elena Sagrera, Nicolás Taricano, Malisa Zini. Ricorda Seibel: “Con una
traduzione di Donato Chiacchio (…) vengono annunciati tutti i giorni
alle 22 ore e spettacoli di sabato e domenica sera” (2011, 66). La ver-
sione viene rilasciata settimanalmente dal 19 settembre al 30 novembre
1952.2
1955 - Al Teatro Casino, Compagnia Teatrale Italiana. Regia: Lucio

2
Non registrato nell’inchiesta di Massa-Lusnich, 1997, 73-85.
Pirandello in Argentina: nuovi approcci 119

Ardenzi. Cast: Enzo Ricci, Eva Magni, Anna Proclemer, Giorgio Alber-
tazzi, Tino Buazzelli e altri. Premiere: 30 agosto.
1960 - Teatro Nacional Cervantes, Compagnia Tonia-Celi-Autran,
dal Brasile. Regia: Adolfo Celi. Presentano l’opera di Pirandello, insie-
me ad altre di Guilherme Figueiredo (Un dio dormiva a casa), William
Shakespeare (Otello) e Jean-Paul Sartre (Dietro le porte chiuse) tra il 7 e
il 18 settembre.3
1960 - Regia di Marcelo Lavalle, all’Instituto Moderno de Teatro
(prima assoluta nel circuito di produzione indipendente), dalla compa-
gnia Teatro de Lys, con traduzioni di D. Chiachio e A. Muñoz. Cast:
Eduardo Espinosa (responsabile anche dei costumi e delle scenografie),
Cora Gonsebatt, Andrea Ducasse, Darío Borghi, Franco Bausi, Mirtha
Moreno, Ana Spelmans, Guillermo Gatti, Inés Suffern, Roberto Ro-
magnoli, Isabel Maciel, Graciela Pausa, Juan Mauro, Alberto Albizar,
Roger Centanino, Norberto Dinomo, Omar Sapia, Rubén Oliverio.
Nella loro ricerca su questa messa in scena, Cristina Massa e Ana Lau-
ra Lusnich hanno salvato la critica pubblicata sulla rivista Platea il 17
giugno 1960:
La “commedia da fare” di Pirandello ha perso le qualità di scandalo
che circondava la sua prima, e non preoccupa più né sorprende più quel
doppio gioco a cui partecipano i sei personaggi di fantasia e la realtà
condizionata di un gruppo di interpreti (...) Quell’apparente confusio-
ne di inquadrature che ai suoi tempi commuoveva il teatro e che veniva
definita follia, oggi è chiara e di profondo interesse. (Massa-Lusnich,
1997, 75)
Le critiche dei giornali Clarín (16 aprile 1960) e La Nación (21 apri-
le 1960) celebrano la validità del testo che (secondo Clarín) “divenne
un classico” (Massa-Lusnich, 75). Per quanto riguarda i riferimenti alla
messa in scena, secondo le ricercatrici, “i commenti, che coincidono
nella buona gestione dello spazio e del movimento di massa [sic], cri-
ticano il modo di agire, a volte ‘veemente’ e ‘declamatorio’ del cast”
(Massa-Lusnich, 75).
1967 - Regia di Juan José Bertonasco, al Teatro Nacional Cervantes
(circuito ufficiale). Seibel ricorda il cast: “Carlos Muñoz, Lydia Lamai-
son, Eva Dongé, Rodolfo Salerno, Alejandro Anderson, Roberto Airal-
di, Nélida Romero, Velia Chaves, Víctor Bruno, Mario Labardén, tra
gli altri” (2011, 92). Esegue spettacoli settimanali dal 2 novembre al 17
dicembre.
1976 - Regia di Hugo Urquijo, al Teatro San Martín, Sala Casa-
cuberta (circuito ufficiale). Traduzione di Roberto Tálice (in “voseo”).
Cast: Gianni Lunadei, Enrique Fava, Luisina Brando, Adriana Aizen-
berg, Flora Steinberg, Nelly Prono, Patricio Contreras, Livia Fernán,
120 Jorge Dubatti

Martín Zabalúa, Fernando Iglesias (Tacholas), Pedro Desio, Evangelina


Massoni, Diego Varzi, Mario Alarcón, Alejandro Marcial, Oscar Cruz.
Scenografia e costumi: Diana Raznovich. Perla Zayas de Lima fa un bre-
ve riferimento alla ricezione di questa messa in scena (1997, 100-101).
1998 – Regia, traduzione e adattamento di Jorge Lavelli, al Teatro
San Martín, Sala Martín Coronado (circuito ufficiale). Cast: Patricio
Contreras (Il padre), Rita Cortese (La madre), Leticia Brédice (La fi-
gliastra), Facundo Ramírez (Il figlio), Michael Huberk o Pablo Huley
(Il giovinetto), Bárbara Ferraresi o María Laura Medina (La bambina),
Lidia Catalano (Madame Pace), Danilo Devizia o Antonio Ugo (Il di-
rettore-capocomico), Claudia Lapacó (La prima attrice), Carlos Ber-
mejo (Il primo attore), Mónica Lacoste (La seconda donna), Gualberto
Rodríguez Córdoba (Il secondo attore), Natacha Córdoba (L’attrice
giovane), Pablo Bardauil (L’attor giovane), María Marchi (La terza attri-
ce), Miguel Ángel Martínez (Un attore più anziano), Gustavo Enrique
Böhm (L’altro giovane attore), Tony Lestingi (Il segretario del capoco-
mico), Sergio Corona (Il suggeritore), Sergio Baldini (Il trovarobe), Ar-
mando Capo (Il macchinista), René Muños e Ramón Mansilla (Due
macchinisti), Facundo Nievas e Joaquín Segade (Due uomini di utilità).
Assistente ai costumi: Marianela Gómez. Assistente scenografia: Gabriel
Caputo. Assistenti alla regia: Libertad Alzugaray e Fabián Barbosa. Co-
ordinamento della produzione: Marta Barnils. Progettazione illumino-
tecnica: Jorge Traferri e Jorge Lavelli. Scenografia e costumi: Graciela
Galán. Collaborazione artistica: Dominique Poulange. Su questa messa
in scena sono stati pubblicati diversi contributi su Rivista Teatro (AA.
VV., 1998, 26-60). Il testo della versione di Lavelli è stato pubblicato in
Editoriale Eudeba-Galerna (Pirandello, 1998). Torneremo brevemente
a questa messa in scena.
2003 – Con regia teatrale di Rodolfo Graziano, viene presentato nel
ciclo Teatrísimo del 2003 (teatro di lettura), al Teatro Regina (circuito
commerciale d’arte). Cast: Ricardo Alanís, Rolando Alvar, Walter Ber-
ges, Mariano Blanco, María Concepción César, Claudio D’Odori-
co, Magalí Ruiz Díaz, Beatriz Eidelman, Ruby Gattari, Rodolfo Gra-
ziano, Natalio Hoxman, Alejandra Ibarra Morón, Emma Ledo, Eze-
quiel Ludueña, Alicia Müller, Guillermo Renzi, Rubén Zeballos.
Assistenza alla regia teatrale: Ezequiel Ludueña.
L’editorializzazione4 è la seguente:

4
Chiamiamo editorializzazione la letteratura con cui lo spettacolo sceglie di
presentarsi al pubblico e le istituzioni di mediazione (giornalismo, critica, festival,
sale, produttori, enti ufficiali, ecc.) Tale letteratura può essere inclusa in cartelle
stampa, pagine web di gruppi e cartelloni pubblicitari, programmi portatili, ecc.
Pirandello in Argentina: nuovi approcci 121

I personaggi di un’opera teatrale che non hanno mai finito di scri-


vere sembrano rivendicare il drammaturgo che li ha lasciati a metà con-
cepiti. Sei personaggi in cerca d’autore, di Luigi Pirandello (1867-1936),
offre un affascinante gioco di verità e artificio. Una riflessione sulla re-
latività della vita e sui suoi inganni. L’opera più famosa di Pirandello,
scritta nel 1921, costituisce il punto più alto di una trilogia del “teatro
nel teatro”, che pone una delle sfide più importanti del teatro del Nove-
cento. Le due opere che completano la trilogia sullo stesso argomento
sono Così è (se vi pare) (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1930). In
Sei personaggi..., il vero dramma non è quello dei personaggi che preten-
dono di vivere, ma quello di essere un’opera alienata, diversa ogni notte,
in cui la presenza fisica dei suoi personaggi esige di recitare la prima
scena, incestuosa che tanto li ossessiona.5

2005 – Nella Sala Roberto Cossa, a La Plata (Provincia di Buenos


Aires), sotto il titolo De Pirandello a Sofocle (Sei personaggi in cerca di
Antigone), viene presentato uno spettacolo basato su Sei personaggi in
cerca d’autore, ma con i personaggi della tragedia di Sofocle Antigone.
“Sia i personaggi che gli attori improvvisano sulla storia di Antígona”,
si legge nell’editorializzazione.6 Versione e regia teatrale: César Palum-
bo. Cast: Daniel Almirón, Gloria Antonelli, Mirta Barbieri, Susana
Brac, Silvina Fernández, Isabel Palumbo, Osvaldo Stagnaro, Mimí
Torretta. Partecipato alla nona maratona teatrale “Corriamo dietro alle
idee”.
2009 – Regia e versione di Rubén Pires, viene presentato a La Clac,
Buenos Aires (circuito indipendente). Cast: Luciana Burak, Silvia Da-
bove, Esteban Godoy Vallejos, Rody Kohanoff, Carlos Menéndez,
Mirta Moreta, Juan Moretti, Soledad Smith Estrada. Costumi: Paula
Jmelnitzky. Scenografia e illuminazione: Rubén Pires. Fotografia: Javier
Flores. Assistenza alla direzione: Male. Stampa: Tehagolaprensa. L’edi-
torializzazione ha presentato lo spettacolo così:

Questa versione ha come epigrafe: “La verità è un sogno impossi-


bile”. Secondo Nietzsche, l’uomo non cerca la felicità, ma è spinto dal
desiderio di verità. Essa è difficile da afferrare, è costantemente modifi-

Per la loro sintesi e volontà comunicativa, per la loro ricerca di catturare l’attenzio-
ne e mobilitare i lettori a entrare in contatto con lo spettacolo, di solito sono me-
tatesti chiave che meritano di essere studiati con attenzione. Vedi Dubatti, 2020a.
5
Vedi: http://www.alternativateatral.com/obra2301-seis-personajes-en-busca-
de-autor
6
Vedi: http://www.alternativateatral.com/obra5737-de-pirandello-a-sofocles-
seis-personajes-en-busca-de-antigona
122 Jorge Dubatti

cata, è sfuggente e beffarda. L’opera funziona con un sistema di specchi


e riflessi in cui si vedono e non conoscono la propria immagine. Vedia-
mo tutti l’immagine che abbiamo di noi stessi allo specchio e raramente
ci vediamo. Lo spettacolo inizia in un teatro in cui il regista, il suo
assistente e due degli attori stanno provando una versione di Amleto
che stanno per eseguire. Poco dopo l’inizio delle prove, un gruppo di
Personaggi (il Padre, la Madre con due bambole, la Figliastra, il Figlio)
irrompe in teatro, guidati dal bigliettaio del teatro che li porta dal Di-
rettore. Il gruppo teatrale e i personaggi discutono di realtà e finzione,
i personaggi convincono il regista a scrivere la loro storia per essere
rappresentati. Lui vuole rappresentare il dramma con i suoi attori e
non con i personaggi, il che li oltraggia, che difendono le loro idee che
non c’è nessuno migliore di loro per rappresentare il loro dramma, dal
momento che sono loro che l’hanno vissuto, e per cosa che sono stati
creati.Cos’è la finzione e cos’è la realtà?... 7

2014 - Nella Sala El Tablado, a Bahía Blanca (Provincia di Buenos


Aires), la Escuela Provincial de Teatro ha presentato una versione con
messa in scena e direzione generale di Leonardo Cobreros. Cast: Nahir
Balut, Camila Del Valle, Daniela Domínguez, Rocío Eltenraij, Romina
Feijóo, Marcos Gómez, Federico López Fané, Ornela Marasco, Daniela
Márquez, Analí Menéndez, Ángeles Montangie, Patricia Novo, Nahuel
Pereyra, Virginia Sánra Pezzutti, Virginia Pezzutti Winschu, Mauricio
Zaquieres. Scenografia e illuminazione: Hernán Guzmán. Trucco: Mi-
guel Mendiondo, Alicia Reñones. Assistenza generale: Camila González
Zúñiga, Araceli Lamberto. Assistente al canto: Marisa Masi. Questo
spettacolo faceva parte dell’incontro Bahía Teatro 2014 (9a edizione).
2017 – Regia di Heller [sic], in traduzione inglese (Six characters in
search of an author), nella versione di Edward Storer, al The Playhouse
(The Suburban Players group, San Isidro, Provincia di Buenos Aires,
circuito indipendente). Cast: Juan Alastair Berry, Natasha Berry, Fer-
nanda Bigotti, Hans Biorklund, Isabella Buzzelli, Sofía Chater, Nés-
tor Cola Almeida, Martín Grisar, Larry Hampton, Marcos Hampton,
Demián Lagraña Taylor, Agustina Mache, Benjamín Maldonado, Ber-
tie Noble, Germán Piñeiro, Sylveen Smith, Verónica Taylor, Marcelo
Zavalía. Costumi: María Bach. Progetto dell’atrezzo: Sylveen Duggan.
Scenografia: Sabrina Grisar. Progettazione illuminotecnica: Martín Re-
bello. Funzionamento del suono e della luce: Wendy Hampton. Foto-
grafia: Belén Ferreri, Javier Mosijczuk. Progetto grafico: Gabriel Rome-
ro Day. Assistenti alla regia: Sylveen Duggan, Amalia Granja, Manuel

7
Vedi: http://www.alternativateatral.com/obra30896-seis-personajes-en-bu-
sca-de-un-autor
Pirandello in Argentina: nuovi approcci 123

Zavala Sáenz. Assistenza direzione scenica: Amalia Granja. Assistente


alla scena: Manuel Zavala Sáenz. Direttore di produzione: Sylveen Smi-
th. Direttore di scena: Sylveen Duggan.
Ecco come è stato presentato lo spettacolo nella sua editorializza-
zione:

A group of actors are preparing to rehearse a Pirandello play. Star-


ting the rehearsal, they are interrupted by the arrival of six characters.
The leader of the characters, the father, informs the manager that they
are looking for an author. Absurdist tragicomedy ensues! Set in Argen-
tina, in the here and now, this 3-act tragicomedy, first performed 96
years ago, is timeless because it captures much of the essence of both
life (such as it is) and theatre, plus how these two go together. Yet how
dysfunctional our own (and some theatrical) families can be!8

Verso una periodizzazione delle riscritture

Come osserva la disciplina del Teatro Comparativo (che studia i fe-


nomeni teatrali in contesti territoriali, interterritoriali, sovraterritoriali,
intraterritoriali, e nei processi permanentemente dinamici di territoria-
lizzazione, deterritorializzazione e riterritorializzazione), le messe in sce-
na implicano forme di riscrittura (Dubatti, 2020b, 187- 211). In questo
senso, la messa in scena di Sei personaggi... va pensata come stanziamenti
articolati con la volontà di stabilire politiche di differenza sul testo di
Pirandello, sia dalla produzione poetica dei registi, dei cast e dei team
creativi (traduttore, adattatore , scenografo, illuminatore, ecc.), oltre
che dagli spettatori. In due studi precedenti (Dubatti, 2012b e 2017)
abbiamo proposto una periodizzazione della ricezione appropriata dei
testi di Pirandello in Argentina, diversa da quella disegnata da Osvaldo
Pellettieri (nella sua introduzione al 1997, 14-15, e nel 1998, 53 -56).
Pellettieri parla di “tre fasi”: introduzione e affermazione (1922-1933);
canonizzazione (1933-1970); rimanenza (1970-1990). Possiamo pro-
porre un’altra periodizzazione e mettere in relazione le messe in scena
dei Sei personaggi... con i suoi diversi momenti:
- 1922-1933: inizio e progressivo consolidamento di Pirandello
come punto di riferimento per la modernizzazione teatrale internazio-
nale. In questo periodo, principalmente, sono rilevanti le rappresenta-
zioni straniere dei Sei personaggi… nel 1922 e 1927.

8
Véase: http://www.alternativateatral.com/obra50953-six-characters-in-sear-
ch-of-an-author
124 Jorge Dubatti

- 1934-2006: consacrazione di Pirandello come classico contempo-


raneo (soprattutto dal 1934, anno in cui gli è stato conferito il Premio
Nobel per la Letteratura, e fino al 2006 compreso, anno in cui è scaduto
il diritto d’autore). Il suo dramma è già considerato come materiale
disponibile tra i più rilevanti della drammaturgia mondiale, al pari di
altri grandi autori del XX secolo. Sei personaggi… è presentato in tutti i
circuiti della produzione teatrale nazionale (ufficiale, commerciale, in-
dipendente) ed è messo in scena da prestigiose compagnie nazionali ed
estere con criteri di riscrittura vicini alle indicazioni del testo originale
pirandelliano. In questo momento si possono distinguere due istanze:
1934-1983 (prima della post-dittatura), di maggiore soggezione e “ri-
spetto” ai testi originali di Pirandello; e 1983-2006 (già nella post-dit-
tatura), con una libertà sempre maggiore determinata dal canone della
molteplicità, ma comunque soggetta a vincoli di copyright e conseguen-
te necessità di autorizzare adattamenti. Un esempio di questa maggiore
liberazione post-dittatura è la riscrittura di César Palumbo De Pirandel-
lo a Sofocle (Sei personaggi in cerca di Antigone), dal 2005.
- Dal 2007 ad oggi: prosegue il riconoscimento di Pirandello come
classico contemporaneo, ma ora da approcci più aperti, con messe in
scena di riscritture che approfondiscono la politica della differenza, nel
canone della molteplicità o l’ascesa della micropoetica della post-dit-
tatura, beneficiato dalla liberazione del diritto d’autore dal 2007. In
questo terzo momento le messe in scena radicalizzano le loro differenze
dalla detotalizzazione e dal “ogni pazzo con il suo tema” (il micropoeti-
co e il micropolitico).

Un esempio notevole dell’istanza post-dittatoriale 1983-2006 è la


messa in scena di Jorge Lavelli al Teatro Municipal San Martín, espo-
nente del riconoscimento ufficiale di Sei personaggi... e di Pirandello
come classico contemporaneo, allo stesso tempo frutto di una più libe-
ra riscrittura che approfondisce la politica della differenza. Per Lavel-
li, come espresso in un’intervista a Guillermo Saavedra (1998, 44-47),
Pirandello diventa “un autore contemporaneo o un classico” (p. 44)
attraverso la sua “teoria del teatro” che sviluppa in opere come Sei per-
sonaggi… Con il suo modo di concepire il teatro, Pirandello “ha avuto
un’influenza capitale sulla drammaturgia di questo secolo come uno
dei suoi fondatori” (p. 44). Lavelli pensa al Pirandello del meta-tea-
tro dei Sei personaggi… come istigatore di discorsività (nel senso in cui
Foucault, 2010, usa questo termine), di grande produttività nel teatro
mondiale successivo. Lavelli si interessa all’opera anche per il suo anco-
raggio territoriale nell’Argentina del grottesco: avverte che, a differenza
di quanto gli è successo con la sua precedente regia al Théâtre National
Pirandello in Argentina: nuovi approcci 125

Populaire in Francia, il testo risuona in “una tradizione teatrale come


l’Argentina in che ha esplorato anche l’intersezione, la tensione tra uno
sfondo tragico e una forma quasi comica” (p. 45). Spiega anche come
sia stato permesso di adattare il testo (pp. 46-47) con crescente libertà
sulla scena argentina. Per Lavelli la cultura argentina (e in particolare il
pubblico) si appropria dei Sei personaggi… in modo diverso rispetto alla
cultura francese. Osserva in Argentina una grande complementarità con
la “passione pensante” pirandelliana. Chiudiamo questo articolo con le
sue parole a riguardo:

In una cultura come quella francese, ciò che attira maggiormente


Pirandello sono i suoi ragionamenti. Sono venuto a vedere più di una
versione francese di Pirandello quasi brechtiana, in cui l’emozione è
praticamente assente. D’altra parte, in un popolo più latino, più visce-
rale, come l’Argentina, Pirandello stimola meglio la sensibilità. E penso
che, in definitiva, la sensibilità sia un percorso molto più appassionante
perché ricrea, in modo più appropriato, il percorso del pensiero di que-
sto filosofo siciliano, che ha esercitato il ragionamento in modo profon-
do, ma lo ha incarnato visceralmente, con emozione. (p. 47)
(Traduzione italiana di Nora Lía Sormani)
126 Jorge Dubatti

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Pirandello in Lituania: il caso del teatro
di Novella di Nunzio

Il presente lavoro è dedicato alla ricezione di Pirandello in Lituania.


Nell’introduzione si offre un breve prospetto delle opere pirandelliane
tradotte (o rappresentate) sino a oggi in lituano. Nei quattro paragrafi
successivi, invece, il discorso si restringe al solo caso del teatro, con l’in-
tento di analizzare come e in che misura la drammaturgia di Pirandello
abbia partecipato, nel contesto di una ricezione di critica e di pubblico
non sempre favorevole, al processo di formazione, rinnovamento e in-
ternazionalizzazione del teatro lituano. In particolare, l’attenzione verrà
posta sul metateatro come strumento di tale processo e sulle pièce pi-
randelliane a carattere metateatrale rappresentate in Lituania: Enrico IV,
Questa sera si recita a soggetto e i Sei personaggi d’autore.

1. Introduzione

Analizzare la ricezione di un autore all’estero può rivelarsi un atto al-


quanto destabilizzante. Elementi ritenuti saldi e assodati entro i confini
nazionali tendono infatti a farsi mobili e meno ovvi, se percepiti e intesi
con occhi “altri”. Ora, se la mobilità interessa in particolare l’identità
linguistica del testo, generalmente introdotto nella cultura di arrivo at-
traverso il filtro della traduzione (o i filtri, nel caso in cui il traduttore
si relazioni al prototesto non direttamente, ma facendo riferimento a
un precedente metatesto); la minore ovvietà coinvolge invece aspetti
biografico-fattuali, contenutistici e critico-interpretativi legati all’autore
e alla sua opera sui quali uno studioso, per intenderci, locale non riter-
rebbe necessario soffermarsi, e che appaiono invece degni di attenzione
e chiarimento agli occhi di uno studioso straniero. Ciò si fa ancora più
manifesto nel caso in cui l’autore in questione entri nel Paese di arrivo
in modo marginale e controverso, come nel caso di Luigi Pirandello in
Lituania.
Restringendo lo sguardo alla sola Europa, non si può certo affer-
mare che la presenza di Pirandello nell’attuale Repubblica baltica sia
stata e sia, in ambito tanto critico-accademico quanto popolare, pari a
quella riscontrabile in altri Paesi del Vecchio continente. Da una parte,
è indicativo il fatto che i pochi studiosi lituani che se ne occupano,
130 Novella di Nunzio

chiaramente avendo in mente un destinatario a digiuno dell’argomento,


sentono la necessità di presentare a tutto tondo l’autore, illustrandone
la poetica e riassumendo i contenuti e le trame di opere – basti citare
L’umorismo e Il fu Mattia Pascal – in altri contesti geografico-culturali
largamente conosciute.1 Dall’altra parte, a fronte della vasta produzione
pirandelliana, in Lituania “c’è ancora molto lavoro da fare per i tra-
duttori”,2 come si legge in un rapporto sullo stato delle traduzioni in
lituano di opere letterarie italiane effettuato dall’Associazione dei tra-
duttori letterari lituani (Lietuvos literaturos vertejų sajunga) nel 2017,
in occasione dell’anno dedicato alla letteratura italiana.
In effetti, le traduzioni in lituano di testi di Pirandello sono a oggi
estremamente limitate e per giunta realizzate gran parte nel periodo
sovietico, ovvero in anni di per sé non troppo favorevoli alla traduzione
letteraria, alle sperimentazioni e allo scambio interculturale.Va inoltre
considerato che in Lituania, almeno fino alla fine del secolo scorso,3
l’italiano era meno conosciuto e praticato rispetto al russo, al tedesco o
al francese, per cui poteva capitare che i traduttori – come si è verificato
anche nel caso di Pirandello e come verrà specificato a breve – avessero
necessità di ricorrere alla mediazione di traduzioni precedenti, il più
delle volte in russo o in francese.
Partendo dalla novellistica, sono da segnalare due raccolte, conte-
nenti rispettivamente 5 e 22 testi: Prima notte: novelle (Pirmoji naktis:
novelės, Spaudos fondas, Kaunas 1934; Terra, Chicago 1953), per la
traduzione di Kostas Korsakas; e Scialle nero: novelle (Juodojiskrai-
stė:novelės, Valstybinė grožinė literatūros leidykla, Vilnius 1961), per
la traduzione di EduardasViskanta. Dei romanzi, l’unico a essere stato
tradotto – non dall’italiano ma dal russo – è Il fu Mattia Pascal (Velionis
Matija Paskalis: romanas, Vaga, Vilnius 1969; 1988), per la traduzione
di Juozas Naujokaitis.
Più articolato, invece, anche se sempre limitato rispetto alla vastità
dell’opera pirandelliana, il discorso sul teatro. Il 26 maggio 1928, nella
Lituania repubblicana del periodo interbellico (1918-1940), nonché nel

1
Cfr. G. Baužytė, On Philosophical and Aesthetical Problems in L. Pirandelo’s
Dramas, «Problemos», 110 (2014), pp. 42-50; G. Vanagaitė, Luigi Pirandello’s Wor-
ks in Lithuania: Why the Dialogue Did Not Take Place, «Interlitteraria», 21 (2016),
pp. 216-228.
2
2017-ieji – italų literatūros metai, 2017, «LLVS – Lietuvos literaturos vertejų
sajunga», https://www.llvs.lt/turinys/937. Tutte le traduzioni dal lituano e dall’in-
glese presenti in questo studio sono da attribuire a chi scrive.
3
Sulla diffusione della lingua italiana e sullo stato dell’Italianistica in Lituana,
cfr. La cultura italiana nel Baltico orientale: storie, relazioni e approcci (Studia Baltica
Pisana 4), a cura di R. Napolitano e D. Ardoino, Novi Ligure, Joker Edizioni, 2020.
Pirandello in Lituania: il caso del teatro 131

quadro della formazione del teatro lituano professionale, debutta al Tea-


tro statale di Kaunas, allora capitale della Repubblica, Così è (se vi pare)
(Šiaip arba taip), per la regia del regista, attore, pedagogo e drammatur-
go Borisas Dauguvietis (1885-1949). La traduzione del testo è a cura di
Jurgis Narijauskas (1876-1943), lo stesso che dieci anni dopo, nel 1938,
avrebbe approntato la prima delle tre versioni lituane della Commedia
dantesca realizzate sino a oggi.4 Del 1973 è la traduzione, a cura del già
menzionato Viskanta, dei Sei personaggi in cerca d’autore (Šeši personažai
ieško autoriaus), pubblicata all’interno di un’antologia di testi teatrali
(Dramos ‘Drammi’, Vaga, Vilnius).5 La stessa pièce debutta al Teatro
drammatico di Kaunas il 18 aprile 1976, per la regia di Jurgis Vytautas
Čibiras (1936-2009), mentre anni dopo, nel 2019, alcune scene dell’o-
pera verranno utilizzate all’interno dello spettacolo Sombras di Gintaras
Varnas (1961). Nel 1986 esce la traduzione dell’Enrico IV (Henrikas IV,
Vaga, Vilnius), sempre a cura di Viskanta, mentre la pièce conosce tre
allestimenti. Il primo, per la regia di Juozas Miltinis (1907-1994), at-
tore, regista e pedagogo teatrale, nonché interprete, in quell’occasione,
del ruolo protagonista, debutta il 25 marzo 1944 al Teatro drammati-
co di Panevėžys. Lo stesso Miltinis nel 1941 aveva tradotto l’opera dal
francese.6 Il manoscritto della traduzione, completo delle correzioni e
delle annotazioni sceniche del regista, è conservato presso Centro studi
dell’eredità di Juozas Miltinis (Juozo Miltinio palikimo studijų centras).
Il secondo allestimento, diretto all’attore, regista, drammaturgo, coreo-
grafo e pedagogo Giedrius Mackevičius (1945-2008), viene rappresen-
tato il 2 aprile 1977 al Teatro drammatico di Klaipėda. Il terzo e ultimo
allestimento va in scena al Teatro drammatico di Šiauliai il 29 novem-
bre 1997, nella Lituania ormai indipendente, per la regia di Rolandas
Atkočiūnas (1961). Due anni prima, nel 1995, la regista Danguolė Ba-
gdanskaitė aveva messo in scena al Mažasis teatras (‘Piccolo teatro’) di

4
J. Narijauskas, Dieviškosios komedijos, Vyskupijos sp., Telšiai, 1938. La secon-
da traduzione viene realizzata da Aleksys Churginas tra il 1968 e il 1971 (Vaga, Vil-
nius). La terza, a opera di Sigitas Geda, esce tra il 2007 e il 2011 (Vilnius, Lietuvos
rašytojų sajungos leidykla).
5
Accanto ai Sei personaggi pirandelliani, posti in terza posizione, nell’antologia
compaiono altri tre testi: Il sogno (Sapnas) di Strindberg, Ubu re (Karalius Ūbas) di
Jarry e Desiderio sotto gli olmi (Meilė po guobomis) di O’Neill.
6
Cfr. G. Vanagaitė, Luigi Pirandello’s Works, cit., p. 223, nota 8: “nella rela-
zione ‘Lithuanian Cultural Life Paradigm during the Nazi Occupation (Cases of
Panevėžys and Šiauliai)’ presentata al convegno internazionale ‘The War in Lite-
rature and Culture’ (23 ottobre 2015), Rita Aleknaitė-Bieliauskienė ha notato che
la traduzione di questa pièce da parte di Miltinis è avvenuta dal francese, e non
dall’italiano”.
132 Novella di Nunzio

Vilnius l’atto unico Bellavita. Infine, il 18 giugno 2008 l’attore e regista


Arvydas Dapšys (1956) presenta alla Menų spaustuvė (‘Tipografia delle
arti’)7 di Vilnius uno schizzo di Questa sera si recita a soggetto (Šįvakar
mes improvizuojame). La traduzione del testo, allestito solo in parte per
mancanza di fondi,8 è a cura di Inga Tuliševskaitė (1958), conosciuta già
al pubblico lituano in quanto traduttrice di Eco e Baricco.
Il prospetto appena delineato mette in luce il ruolo primario gioca-
to dal teatro nella diffusione dell’opera di Pirandello in Lituania; una
diffusione nondimeno che, lo si è già affermato, si rivela, oltre che mar-
ginale, anche controversa, ed è proprio il campo della drammaturgia,
attraverso le diverse reazioni di critica e pubblico, a testimoniare nel
modo più evidente la difficoltà della relazione tra Pirandello e la Litua-
nia, del resto riproponendo uno scenario che l’autore siciliano aveva già
più volte esperito in prima persona in Italia.9 Nel prosieguo di questo
studio il rapporto non sempre pacifico tra Pirandello e la Lituania verrà
dunque approfondito attraverso il caso specifico del teatro, l’unico tra
l’altro, considerate le date delle traduzioni e degli allestimenti, a con-
sentire un percorso attraverso le diverse fasi storico-politiche affrontate
dalla Lituania nel secolo scorso, dalla Repubblica interbellica allo stato
sovietico all’attuale Repubblica, dichiaratasi indipendente nel 1990 ed
entrata ufficialmente nell’ONU il 17 settembre del 1991.

2. Tra le due guerre: Šiaip arba taip – Così è (se vi pare)

Nel periodo della formazione del teatro nazionale in Lituania, tra


gli anni Venti e gli anni Quaranta, l’universo della critica e quello della
regia si trovano spesso in disaccordo e non sembrano seguire uno svi-
luppo comune.10 La critica, o perlomeno quella tradizionale, si presen-
ta tendenzialmente dilettantesca, attenta più ai testi e alla fedeltà della

7
Cfr. infra, p. 143-145.
8
Cfr. G. Vanagaitė, Luigi Pirandello’s Works, cit., p. 225: “a causa di una insuf-
ficienza di fondi, l’allestimento è stato montato solo in parte”.
9
A tale proposito, Alessandro Tinterri cita “la lettera apparsa sul ‘Tevere’ del
4 novembre 1929”, nella quale Pirandello esprime “tutta la sua amarezza per le
difficoltà che continuamente si opponevano alla rappresentazione delle sue novità”
(A. Tinterri, Le prime messinscene di Questa sera si recita a soggetto, in R. Alonge,
F. Angelini, U. Artioli et al., Testo e messa in scena in Pirandello, Roma, La nuova
Italia scientifica, 1986, p. 137).
10
Cfr. L. Blynaitė, Lietuvių tarpukario režisūros poslinkiai teatro kritikos vei-
drodyje / Improvements in lithuanian interwar direction reflected in theatre criticism,
«Menotyra», 4 (2006), p. 11.
Pirandello in Lituania: il caso del teatro 133

loro rappresentazione che non all’allestimento in sé e ai suoi elementi


specifici (regia, scenografia, tecniche attoriali), carente nell’analisi sceni-
ca, inappropriata e imprecisa nel linguaggio, mentre è minoritaria, per
quanto importante e degna di nota, l’azione dei “critici innovatori”, un
gruppo di intellettuali lituani – si ricordino Faustas Kirša (1891-1964),
Vytautas Bičiūnas (1893-1942), Balys Sruoga (1896-1947), Kastas
Meškauskas (1905-1932), Pulgis Andriušis (1907-1970) – interessati a
rinnovare nel profondo la critica teatrale, costituendola come disciplina
autonoma e gettandone le basi teoriche.11 La regia, invece, è impegnata
proprio in quegli anni a svilupparsi in senso professionale, facendosi
promotrice, almeno fino alla battuta d’arresto cui avrebbe portato il
sistema culturale sovietico, di importanti innovazioni. Negli anni tra le
due guerre, ricorda infatti la studiosa Raimonda Bitinaitė-Širvinskienė,
il teatro statale lituano “intraprese una missione difficile: non solo iniziò
a mettere insieme artisti professionisti, ma mostrò anche l’ambizione di
creare un teatro moderno”,12 o sarebbe meglio dire modernista, apren-
dosi con un ritardo di due decenni alle sperimentazioni portate avanti
nel primo quarto del Novecento dal teatro russo e dal teatro europeo
occidentale. È in questo frangente che si inserisce Šiaip arba taip, la
versione lituana di Così è (se vi pare) diretta da Dauguvietis.
La critica locale è d’accordo nell’attribuire a Dauguvietis un ruolo
chiave nella fondazione del teatro lituano di professione. Irena Aleksai-
tė, tra gli altri, sottolinea come l’artista avesse dato a questo proposito
un contributo notevole in termini sia quantitativi che qualitativi. Da un
lato, in risposta allo smisurato carico di lavoro cui tutti i registi erano
sottoposti dalla direzione del Teatro di Stato, al fine di stimolare un
pubblico ancora poco reattivo,13 Dauguvietis “batté il record nel 1924,

11
Cfr. A. Ališauskaitė, Lietuvių dramos teatro kritika – tradicija ir novatoriškum-
as. 1920-1940 metais, «Teatrologiniai eskizai», 3 (2006), p. 51: “durante il periodo
in questione, sono poche le recensioni in cui lo scrivente, studiando il materiale
drammaturgico e la sua significazione all’interno della performance, presenta un’a-
nalisi della drammaturgia della performance in sé (cioè l’uso del materiale dram-
maturgico nel processo creativo, indicatore dell’interpretazione del testo scelto e
dei suoi elementi semantici). Tali articoli sono preziosi, in quanto in essi si rivelano
non solo la preparazione e la creatività del recensore, ma anche, nel contesto litua-
no, i moderni criteri di valutazione delle performance. Nel contesto della critica te-
atrale lituana attiva tra la terza e quarta decade del XX secolo, analisi approfondite
di un dramma e del testo di una performance, o dell’intersezione interpretativa del
regista si trovano solo in alcuni articoli di Sruogos, Bičiūno, Kiršos e Meškausko”.
12
R. Bitinaitė-Širvinskienė, Kūrybos komunikacija teatre: dailininko atvejis
(1920-1940) / Creative communication: the case of the artist (1920-1940), «Informa-
cijos Mokslai» 72 (2015), p. 22.
13
Cfr. I. Aleksaitė, Pirmie jimodernizmo blykstelėjimai lietuvių prieškario teatre
134 Novella di Nunzio

realizzando, in sette mesi di stagione, la maggior parte delle produzioni,


addirittura 11 su 14”.14 Dall’altro lato, continuando a citare Aleksaitė,

è come se questo regista abbia attraversato sulla scena teatrale litua-


na le fasi delle tendenze e delle correnti artistiche che già da tempo
erano passate per i palcoscenici della Russia e dell’Europa occidentale,
affrettandosi a portarle, seppur in ritardo, sulla scena nazionale. Nella
[prima] fase della sua attività registica (1924-1929) troviamo non ti-
midi primi passi nei complessi labirinti dell’arte moderna, ma l’essenza
di quelle tendenze, percepita con discreta sottigliezza e rielaborata in
modo accattivante dal talento di Dauguvietis. Il regista è stato il primo
a immergersi nel teatro moderno, l’ha Creato.15

L’allestimento di Šiaip arba taip appartiene dunque alla fase cui la


critica lituana fa riferimento nel testo appena riportato. Come ricorda-
no, tra gli altri, la stessa Aleskaitė o Laura Blynaitė, lo spettacolo non
riceve i favori né del pubblico né della critica. Agli spettatori, che “non
erano abituati a tali lampi scenografici e innovazioni di difficile com-
prensione”, l’esperimento di Dauguvietis appare “incomprensibile e
strano”, risultando “ostico sia nel contenuto che nella forma”.16 Quanto
alla critica, i pochi e brevi commenti pubblicati sui periodici rimarcano
la scarsa presenza di pubblico in sala e manifestano un atteggiamento
diffidente verso il testo pirandelliano, definendo l’operazione di Daugu-
vietis come il tentativo di “mostrare i puzzle privi di senso […] forniti
dall’autore della pièce”.17
Il quadro appena delineato incontra tuttavia un’importante eccezio-
ne. Si tratta di un’entusiastica recensione uscita sul «Lietuvos aidas» il 31
maggio 1928, cinque giorni dopo il debutto dello spettacolo di Daugu-
vietis, e significativamente intitolata Una prima straordinaria (Nepapra-
sta premijera). Autore della recensione è il già menzionato Balys Sruoga
(1896-1947), scrittore, critico, drammaturgo e teorico della letteratura,
figura di spicco del gruppo dei “critici innovatori”– i suoi articoli sono
considerati “i più preziosi”18 tra quelli prodotti all’interno di quel con-

1920-1929 m. / First sparks of modernism in pre-war Lithuaniantheatre (1920-1929),


«Menotyra», 4 (2004), p. 9: “Nel periodo storico in questione, la creatività dei regi-
sti teatrali era particolarmente indebolita da un ritmo di lavoro anormale, debutto
dopo debutto. Evidentemente […] al teatro serviva ancora conquistare lo spettato-
re, che assisteva pigramente agli spettacoli. Così le prime teatrali si accavallavano”.
14
Ibidem.
15
Ivi, p. 10.
16
Ivi, p. 12.
17
L. Blynaitė, Lietuvių tarpukario režisūrospos linkiai, cit., pp. 11-15.
18
A. Ališauskaitė, Lietuvių dramos teatro kritika, cit., p. 51.
Pirandello in Lituania: il caso del teatro 135

testo intellettuale – e tra i primi e precoci esponenti del modernismo


lituano.19 Ora, nel campo letterario della Lituania pre- e interbellica, il
modernismo costituiva una forza ancora minoritaria, destinata a portare
i suoi frutti più maturi solo nella seconda metà del Novecento e nel con-
testo della classe intellettuale lituana in esilio e in fuga dall’occupazione
straniera. Afferma a tal riguardo Eugenijus Žmuida:
Come sappiamo, nella cultura lituana il modernismo è arrivato
in ritardo: la letteratura prebellica ha solo creato i presupposti per il
modernismo e in sostanza può essere definita premodernista. Il Ne-
oromanticismo, la tendenza artistica dominante in Lituania e in altri
paesi dell’Europa orientale nella prima metà del XX° secolo, per spirito
filosofico ed estetico era più vicino al romanticismo ottocentesco. Ha
lasciato penetrare e sperimentato alcuni elementi del modernismo, ma
è rimasto a un livello dichiarativo e decorativo, senza afferrare l’essenza
ontologica del modernismo: il tragico. Rispetto al modernismo dell’Eu-
ropa occidentale, le culture delle nazioni giovani non erano ancora
mature: in esse c’era troppo amore per la storia, la patria, l’umanità.
Nell’arte lituana il modernismo comincia con la caduta dello stato [re-
pubblicano] e la Seconda guerra mondiale e come fenomeno generale
continua fino alla fine del secolo. Tuttavia, nella Lituania occupata le
condizioni per la sopravvivenza naturale e l’espressione del moderni-
smo erano sfavorevoli anche nella seconda metà del secolo, pertanto a
creare una letteratura lituana modernista qualitativamente vicina alla
produzione occidentale è sostanzialmente la cultura della diaspora: Al-
fonsas Nyka-Niliūnas, Antanas Škėma, Algimantas Mackus, Henrikas
Radauskas e in parte Vytautas Mačernis, e Juozas Kėkštas.20

Si comprende allora la singolarità della posizione espressa da Sruoga


rispetto alla pièce di Pirandello e alla messa in scena di Dauguvietis. Pre-
cursore del modernismo lituano, e sensibile ad autori, opere e sperimen-
tazioni del modernismo europeo occidentale, Sruoga coglie in Così è (se
vi pare) un’opera rivoluzionaria oggetto di un evento scenico altrettanto
rivoluzionario, “una messa in scena atipica” potenzialmente capace di
rinnovare dalle fondamenta la tradizione teatrale in Lituania: “il nostro
teatro era scomparso; era sprofondato nel terreno. […] Invece, durante
l’intera premiere ha recitato per noi un valido e sconosciuto teatro euro-

19
Sul modernismo di Sruoga, e in particolare sui tratti modernisti della sua
prima stagione produttiva (1911-1929), cfr. G. Bankauskaitė-Sereikienė, Balys
Sruoga: tarp tradicijos ir modernumo / Balys Sruoga - traditional and contemporary
conception, Vilnius, Vilniaus universiteto leidykla, 2007.
20
E Žmuida, Alfonsas Nyka-Niliūnas ir modernizmas, in «Naujasis Židinys-Aid-
ai», 5-6 (2010), p. 189. Vale la pena notare che gli autori chiamati in causa da
Žmuida sono tutti più giovani di Sruoga di almeno una quindicina d’anni.
136 Novella di Nunzio

peo”. Agli occhi del critico è “come se” con lo spettacolo di Dauguvietis
“fosse successo qualcosa, una rivoluzione teatrale nostrana, come se le
nostre abitudini teatrali fossero state accatastate in una cassa di polvere
da sparo e fatte esplodere con un fiammifero”.21 Simili aspettative resta-
no però disattese: presto Sruoga cambierà opinione su Dauguvietis e le
sue regie, mentre la rivoluzione teatrale, nella forma auspicata da lui e
dagli altri critici innovatori, non si verificherà.22 Al di là di ciò, quello
che qui interessa sottolineare è l’effetto prorompente del debutto della
drammaturgia di Pirandello in Lituania e le potenzialità che in essa sono
state individuate se non altro da parte della cerchia dei critici innovato-
ri, nella prospettiva di un rinnovamento in senso modernista del teatro
nazionale lituano.

3. Nella Lituania occupata: Henrikas IV – Enrico IV 1 e 2 e Šeši perso-


nažai ieško autoriaus – Sei personaggi in cerca d’autore

Bisogna aspettare 17 anni prima che un altro testo pirandelliano rag-


giunga le scene lituane. Ci si riferisce al primo Henrikas IV, rappresentato
nel marzo del 1944 a Panevėžys per la regia di Miltinis, nel difficile con-
testo della Seconda guerra mondiale e dell’occupazione tedesca (1941-
1944), cui di lì a pochi mesi sarebbe subentrata nuovamente quella russa
(1944-1991). Si tratta anche in questo caso di una messinscena discussa.
Come ricorda Vanagaitė, Miltinis aveva avuto modo di formarsi nel con-
testo dell’Europa occidentale, conducendo i suoi studi teatrali a Parigi tra
il 1932 e il 1938 e recandosi a Londra nel 1938. Tale esperienza gli con-
sente di tornare in Lituania “con la chiara visione registica di un teatro
intellettuale e concettuale”.23 L’inizio della sua attività teatrale coincide
con la fondazione, nel 1940, del Teatro drammatico di Panevėžys, del
quale Miltinis resta direttore artistico fino al 1980, con una sola pau-
sa negli anni 1954-1959. In quel contesto fonda un teatro-laboratorio
dedicato alla formazione di giovani attori, attraverso il quale cerca di
mettere in pratica le sue idee e le sue sperimentazioni artistiche. Il lavoro
condotto su Pirandello è uno dei primi frutti di tale ricerca. Tuttavia,
tornando a citare Vanagaitė, “all’epoca [il] tipo di teatro [immaginato da
Miltinis] non esisteva in Lituania”. Non sorprende, dunque, che Hen-

21
B. Sruoga, Nepaprasta premjera [1928], in Raštai. Dešimtas tomas. Teatro kri-
tika. 1911-1929, Vilnius, Lietuvių literatūros ir tautosakos institutas, 2005, pp.
390-394.
22
Cfr. A. Ališauskaitė, Lietuvių dramos teatro kritika, cit., p. 51.
23
Vanagaitė, Luigi Pirandello’s Works in Lithuania, cit., p. 222.
Pirandello in Lituania: il caso del teatro 137

rikas IV si riveli un insuccesso: “l’allestimento, troppo intellettuale e dif-


ficile da capire, è stato rappresentato solo sei volte”24 e per giunta in una
sala quasi vuota: secondo la testimonianza di Stasys Paska (1920-1981),
attore della compagnia formata e diretta da Miltinis, “alla seconda o alla
terza replica erano stati venduti solo due biglietti”.25 Gli stessi attori del-
la compagnia, all’epoca tutti giovani e alle prime esperienze sceniche,
si trovano in difficoltà rispetto al dramma di Pirandello. Si consideri,
per esempio, quanto riportato nelle sue Memorie da Donatas Banionis
(1924-2014), interprete del giovane marchese Carlo di Nolli:

Probabilmente la sfida più grande per noi tutti in quel periodo fu


l’Enrico IV di Luigi Pirandello [...]. A dire il vero [...] non solo io, ma
nessuno di noi poteva capire la pièce, che Miltinis stesso aveva tradotto
[...], mosso dal desiderio di portare nel teatro lituano la drammatur-
gia mondiale. Sfortunatamente, il primo passo in questa direzione non
funzionò. Non solo noi attori non fummo in grado di capire il lavoro di
Pirandello: il sottotesto dell’opera non fu colto neanche dagli spettatori.
Lo spettacolo, insomma, non resse.26

L’attore fornisce inoltre notizie rilevanti sui commenti della critica


relativi tanto al lavoro di Miltinis quanto al dramma di Pirandello, del
quale nello specifico viene sottolineata la distanza dal pubblico lituano
e dai repertori cui esso era abituato:

Dopo aver lodato alcune scene e i ruoli più brillanti [...], un re-
censore terminò il proprio articolo con le parole di Miltinis: “tutto il
lavoro è solo all’inizio”. Un altro scrisse: “l’azione mette spesso il nostro
spettatore in una posizione scomoda. Da ciò viene fuori un’unica verità:
aggrapparsi alla propria verità con tutte le proprie forze e seguirla”. [...]
Enrico IV fu dichiarato un fallimento anche da Pulgis Andriušis, un
buon amico di Miltinis. La sua recensione si intitolava “Miltinis, torna
al Testamento di Sukčius!”. 27

Ciò cui fa riferimento il critico Andriušis è un precedente allesti-


mento di Miltinis, Il testamento di Sukčius (Sukčiaus testamentas), tratto
dalla commedia seicentesca Volpone di Benjamin Jonson e andato in
scena sempre al Teatro di Panevėžys nel 1941.
Banionis registra infine la reazione dello stesso Miltinis all’insucces-
so del suo Henrikas IV, riportandone le dirette parole:

24
Ibidem.
25
Cfr. T. Sakalauskas, Miltinio apologija, Vilnius, Scena, 1999.
26
D. Banionis, Memuarai, Vilnus, Versus Aureus, 2004, p. 27.
27
Ibidem.
138 Novella di Nunzio

dopo le prime due repliche, che avevano fatto il pieno di spettatori,


tra il pubblico si era sparsa la voce che a teatro non ci fosse niente da
vedere. Nelle repliche successive ci si esibiva in una sala semivuota… È
chiaro che per il repertorio intellettuale caro al mio cuore è necessaria
un’azione graduale.28

Come Sruoga una quindicina di anni prima aveva dovuto ricredersi


con delusione circa la speranza di una possibile rivoluzione del teatro
lituano, così Miltinis deve raffreddare l’entusiasmo creativo e innovato-
re di fronte a un universo culturale non ancora pronto alla novità delle
sue proposte artistiche.29 In entrambi i casi a fare da banco di prova
sono due opere pirandelliane. Ad ogni modo, la considerazione perso-
nale con cui Banionis conclude la pagina delle sue Memorie dedicata
all’esperienza dell’Henrikas IV miltiniano testimonia che la scrittura di
Pirandello aveva comunque lasciato un segno, spingendo a riflettere,
appunto pirandellianamente, sul problema dell’identità: “Enrico IV di
Pirandello mi ha insegnato qualcosa di buono. Una lezione sul mio
amor proprio: ho capito che non sono ancora nessuno, che è necessario
imparare, raccogliere se stessi briciola per briciola, modellarsi da soli e
crearsi così una personalità”.30
Le tematiche trattate da Pirandello – la costrizione alle maschere e
alla finzione sociale, il dramma della molteplicità e dell’inconoscibilità
dell’io, la follia, lo scontro tra la forma e la vita, tra ciò che appare e ciò
che è autentico – possono avere una risonanza particolare in un conte-
sto di oppressione politica. È quanto avviene nella Lituania sovietica,
all’interno della cui cornice il teatro pirandelliano sembra assumere si-
gnificati nuovi. Ciò si può certamente evincere tanto dall’Henrikas IV di
Mackevičius, la seconda delle tre messe in scena del testo pirandelliano
realizzate nel Paese baltico, quanto dai Šeši personažai ieško autoriaus, la
versione lituana dei Sei personaggi diretta da Čibiras.
Nella storia del teatro lituano del Novecento, Mackevičius è cono-
sciuto e studiato più che altro per i suoi drammi plastici, spettacoli basati
esclusivamente sull’interazione tra azioni fisiche, immagini e musica. A
ciò, infatti, è legata la sua fama di innovatore teatrale: in una monografia
a lui dedicata e uscita nel 2018, la curatrice Liucija Armonaitė lo presen-
ta come l’inventore in Lituania “di un nuovo genere, il teatro plastico”.31

28
Ibidem.
29
A dominare il teatro lituano in quel periodo era il Naturalismo russo, che
poneva il veto a qualsiasi altra forma di teatro non realistico (cfr. G. Vanagaitė,
Luigi Pirandello’s Works in Lithuania, cit., p. 223).
30
Ivi, pp. 27-28.
31
L. Armonaitė (a cura di), Giedrius Mackevičius (1945-2008) ir jo Teatras,
Lietuvos teatro, muzikosir kino muziejus, Vilnius 2018, p. 6.
Pirandello in Lituania: il caso del teatro 139

Dopo essersi laureato in biochimica all’Università di Vilnius nel 1967,


Mackevičius inizia la sua attività teatrale specializzandosi nella panto-
mima con Modris Tenisons (1945-2000), mimo lettone che, dopo aver
concluso la sua formazione artistica a Riga, si era trasferito in Lituania
e nel 1966 aveva fondato una compagnia professionale, attiva prima a
Vilnius e poi, dal 1967 a Kaunas. In seguito Mackevičius prosegue la
sua formazione in Russia, presso l’Università di arti teatrali di Mosca
(GITIS) e lì, mentre è ancora uno studente, viene invitato a dirigere un
laboratorio di pantomima. Nasce così il Teatro plastico drammatico,
rimasto operativo fino al 1990. In quel contesto, nel 1975 l’artista litua-
no allestisce uno dei suoi drammi plastici più famosi, Nugalėjimas (‘La
sconfitta’), dedicato alla figura di Michelangelo Buonarroti.
Estraneo a questa particolare forma di espressione teatrale, Henrikas
IV, presentato il 2 aprile 1977 al teatro di Klaipėda, è lo spettacolo di
diploma con cui Mackevičius conclude i suoi studi drammatici. Dopo
l’esperienza non proprio fortunata dell’Henrikas IV di Miltinis, la ripro-
posta del dramma di Pirandello è già di per sé indicativa di una sua par-
ziale assimilazione, se non da parte del pubblico, almeno da parte della
critica, nonché degli attori coinvolti nella messa in scena. Decisamente
diversa rispetto a quella di Baninionissi si mostra infatti la testimonianza
fornita da Rimantas Nedzveckas. Anch’egli interprete del giovane conte
Carlo di Nolli, proprio come Baninionis nell’Henrikas IV di Miltinis,
Nedzveckas si mostra alquanto consapevole rispetto al significato della
pièce pirandelliana, pur non mancando di evidenziarne la complessità,
e allo stesso tempo sottolinea il successo riscosso dall’allestimento di
Mackevičius, per lo meno tra gli esperti e i simpatizzanti presenti in
sala il giorno del debutto. Degno di nota, inoltre, il riferimento all’at-
tualità della pièce, in particolare alle problematiche che il personaggio
di Enrico IV solleva, e che è non è difficile mettere in relazione con la
situazione politica che la Lituania stava vivendo in quegli anni:

Enrico IV, scritta dall’autore italiano e vincitore del premio Nobel


Luigi Pirandello, è una pièce innovativa molto complessa e difficile da
digerire. Attraverso la figura di un uomo che crea un mondo illusorio
opponendosi alla realtà, l’autore ha sollevato questioni filosofiche e psi-
cologiche attuali. L’azione ruota attorno a un uomo comune che si tra-
veste da re, credendo di essere Enrico IV. Noi, cioè gli altri personaggi
della pièce, dovevamo da una parte aiutare il re a “governare” e dall’altra
farlo tornare alla realtà. Una tale doppia vita, un tale doppio gioco…
Durante le prove discutevamo molto, spiegavamo [il testo]. Giedrius ci
ha quasi “guidati per mano” fintanto che non abbaiamo capito e non
ci siamo sentiti pronti a iniziare. Il ruolo principale, Enrico IV, con l’e-
norme carico emotivo a esso legato, è stato affidato a Balius Barauskas.
140 Novella di Nunzio

L’attore, di grande talento, ha costruito un personaggio memorabile.


Anche Vytautas Paukštė, un attore già noto a quel tempo, ha recitato
nello spettacolo. Paukštė, che si distingue per il suo approccio analitico
e il suo grande rispetto nei confronti dei registi, ha discusso molto con
Mackevičius sia sulla pièce che sul personaggio di Dionisio Genoni. Io
ho interpretato il conte32 Carlo di Nolli, una delle persone incariate di
“riportare il re alla realtà”. La prima dello spettacolo di diploma, come
di consuetudine in quegli anni, non si è svolta senza un folto gruppo di
ospiti. C’erano critici da Mosca, insegnanti, compagni di corso di Gie-
drius, amici. Enrico IV è stato valutato molto positivamente da tutti.
Per il pubblico, invece, non ancora pronto per un lavoro filosofico di
quel tipo, lo spettacolo è risultato troppo complicato. 33

Il 18 aprile 1976, un anno prima del debutto dell’Henrikas IV di


Mackevičius, al Teatro drammatico di Kaunas andavano in scena i Šeši
personažai di Čibiras. L’oblio di sé, il rifiuto della realtà, la finzione di
essere un altro nel primo caso; il tentativo tanto disperato quanto assil-
lante di affermare se stessi in modo autentico nel secondo caso: un altro
stato esistenziale, quello dei sei personaggi limbici, che, proprio come
si è detto in relazione al finto re Enrico IV, bene si presta a riverberare
lo scenario della Lituania occupata. Le due condizioni esistenziali, inol-
tre, sono entrambe rappresentate da Pirandello attraverso meccanismi
metateatrali e anche con ciò è possibile instaurare un parallelo politico,
proiettando il piano del doppio teatro sul piano del doppio stato, op-
pressore l’uno, oppresso l’altro. L’allestimento di Čibiras e i problemi a
esso legati ruotano proprio intorno alla questione del metateatro, alle
modalità della sua rappresentazione e al significato filosofico, psichico e
morale che Pirandello attribuisce a tale meccanismo, e che Čibiras viene
accusato di trascurare.
Formatosi come Mackevičius al GITIS di Mosca, anche Čibiras si
caratterizza per l’approccio intellettuale e per l’interesse verso autori
classici e contemporanei del teatro europeo occidentale, quali tra gli
altri Molière, Friedrich Dürrenmatt, John James Osborne, Max Rudolf
Frisch e, appunto, Pirandello. “Nonostante alcuni innegabili successi»34,
però, i Šeši personažai di Čibiras lasciano perplessi. Lo spettacolo «vien-
ne accolto in maniera particolarmente sfavorevole sia dalla critica che

32
A differenza di Banionis, che usa il termine appropriato, cioè “markizas”
(‘marchese’) (cfr. D. Banionis, Memuarai, cit., p. 27), Nedzveckas usa invece “gra-
fas”, che significa appunto ‘conte’.
33
L. Armonaitė (a cura di), Giedrius Mackevičius (1945-2008) ir jo teatras, cit.,
p. 251.
34
L. Samuolis, Pirandelo variantų labirintuose, «Kauno tiesos», priedas «Kūryb-
os savaitė», 13/05/1976, p. 3.
Pirandello in Lituania: il caso del teatro 141

dal pubblico”;35 eppure sono proprio tali critiche a segnalare, in modo


analogo a quanto affermato per l’Henrikas IV di Mackevičius, un primo
cambio di rotta nei rapporti tra Pirandello e la Lituania e, dopo la chiu-
sura e la diffidenza dimostrate durante il periodo interbellico, una mag-
giore disponibilità verso la drammaturgia pirandelliana. Nel caso dei
Šeši personažai di Čibiras, infatti, il problema rilevato dai critici non sta
nella pièce in sé, che anzi sembra essere generalmente apprezzata, pur
nel riconoscimento della sua complessità. Di opera complessa e labirin-
tica parla infatti il critico Samuolis nella sua recensione.36 A essere ri-
marcata negativamente è piuttosto la presenza di una vistosa difformità
tra il testo di partenza e la sua realizzazione scenica: una polemica, que-
sta, che non può essere mossa senza una buona conoscenza del dramma
pirandelliano. Tale difformità – è questo il punto sul quale si vuole at-
tirare maggiormente l’attenzione – viene attribuita non alla libertà in-
terpretativa del regista, di per sé anche legittima, ma a un’eccessiva sem-
plificazione del dramma pirandelliano, facendo apparire “edulcorate le
situazioni conflittuali più incisive”37 e allo stesso tempo indebolendo, se
non abolendo, la portata estetico-teorica della pièce. In questo modo i
contenuti e i significati più profondi dei Sei personaggi, enfatizzati nella
loro espressione attraverso la tecnica del metateatro e legati al rapporto,
sulla scena come sulla vita, tra realtà e finzione, autenticità e affettazio-
ne, individuo e maschera, restano inespressi e inesplorati. In tal senso
è da ritenersi rilevante quanto espresso dalla più volte citata Aleksaitė
in un articolo dedicato alla stagione 1975-1976 del Teatro drammatico
di Kaunas. In riferimento ai Šeši personažai di Čibiras, la critica scrive:

a mio avviso, il concetto filosofico-estetico di Pirandello, relativo a


un’interazione reciproca molto complessa tra arte e realtà, non viene
fuori [dall’allestimento], mentre la questione estetica, che [nell’opera] è
avvolta nei diversi strati della struttura drammatica, rimane inespressa.
Mi pare che la performance degli attori del Teatro di Kaunas sia una
risposta troppo semplificata alla pièce […]. Gli importanti temi posti
dall’autore, relativi all’essenza dell’arte e al suo ruolo, ai limiti e alle
possibilità delle interpretazioni artistiche della realtà sono lasciati in
sospeso. 38

Con i Šeši personažai di Čibiras e l’Henrikas IV di Mackevičius si

35
G. Vanagaitė, Luigi Pirandello’s Works in Lithuania, cit., p. 224.
36
Cfr.L. Samuolis, Pirandelo variantų labirintuose, cit., p. 4.
37
Ibidem.
38
I. Aleksaitė, „Grūdas prie grūdo” (Apie praėjusį teatro sezoną), «Literatūra ir
menas», 28/08/1976, p. 3.
142 Novella di Nunzio

conclude l’esperienza del teatro di Pirandello nella Lituania occupa-


ta. Il drammaturgo riapparirà sulle scene lituane negli anni Novanta
con Bagdanskaitė, regista dell’atto unico Bellavita, ma soprattutto con
Atkočiūnas, che allestirà Enrico IV per la terza volta, anche se in un con-
testo in piena trasformazione e sensibilmente diverso rispetto a quello
in cui erano stati creati – e da cui erano stati più o meno esplicitamente
influenzati – i precedenti lavori di Miltinis e Mackevičius.

4. Dopo l’indipendenza: Henrikas IV – Enrico IV 3, Šįvakar mes impro-


vizuojame – Questa sera si recita a soggetto

Basta uno sguardo al repertorio di Atkočiūnas per capire come l’in-


ternazionalizzazione del teatro lituano professionale, ambita sin dagli
anni della sua creazione nel secondo decennio del Novecento, a partire
dalla fine del secolo e grazie alla raggiunta indipendenza politica si possa
ormai considerare un obiettivo non solo accessibile, ma anche ben ac-
colto. Dopo aver studiato a sua volta a Mosca, all’Istituto teatrale Boris
Shchukin, fermandosi poi a lavorare nella capitale russa per un paio
di anni, agli inizi degli anni Novanta Atkočiūnas torna ai Baltici, dove
continua a portare avanti la sua arte teatrale in Lituania e, dal 2005,
anche in Lettonia. Il respiro mondiale delle sue scelte drammaturgi-
che si impone subito con evidenza. Limitandosi ai soli anni Novanta, e
dunque al primo decennio di attività condotta in Lituania, si ricordano
autori quali Tennessee Williams, Arthur Miller, Samuel Beckett, August
Strindberg, Athol Fugard, Friedrich Dürrenmatt, Jean-Paul Sartre, Pe-
ter Ustinov, Athol Fugard e ovviamente Pirandello. È in questo contesto
che si inserisce l’Henrikas IV, andato in scena a Šiauliai il 29 novembre
1997.
Nemmeno il Pirandello di Atkočiūnas convince fino in fondo la cri-
tica. Come per i Šeši personažai di Čibiras, anche in questo caso le per-
plessità toccano più la regia che non la pièce in sé. Tuttavia, se l’accusa
rivolta a Čibiras era di aver semplificato troppo il testo pirandelliano,
quella rivolta ad Atkočiūnas, al contrario, è di averlo troppo forzato,
fino a sopraffarlo e a ricavare da esso un “manicomio teatrale”. 39 In
una recensione dal titolo sintomatico – Il drastico studio di un regista e
drammaturgo sul teatro e la sua follia – Vaidas Jauniškis (1965) sostiene:

Il linguaggio del regista è così forte che mette in secondo piano la


storia originaria del gentiluomo che cade da cavallo, si ferisce e perde la

39
G. Vanagaitė, Luigi Pirandello’s Works, cit., p. 224.
Pirandello in Lituania: il caso del teatro 143

testa [...]. Perché siamo venuti qui? esclamerà il pubblico. Per il teatro,
risponderà il regista. Dopotutto, sei venuto a vedere uno spettacolo e
non Pirandello.40

Su aspetti simili a quelli evidenziati da Jauniškis si sofferma anche il


critico d’arte Valentinas Didžgalvis (1954), che intitola il suo intervento
Parafrasi del pirandellismo, volendo con ciò indicare nell’Henrikas IV di
Atkočiūnas “non solo e forse non tanto un lavoro sul dramma specifi-
co scritto nel 1922, ma più che altro una parafrasi teatrale dei motivi
del relativismo caratteristici della poetica di Pirandello”.41 Due sono i
principali “pirandellismi” di cui Didžgalvis considera l’allestimento di
Atkočiūnas una parafrasi che va al di là dello stesso Enrico IV: il tema
della pazzia –“il regista ignora costantemente la trama dell’opera e pre-
senta una proiezione teatrale della follia”; 42 e il rapporto tra autenticità
e finzione, una questione esistenziale nella quale però rientra anche la
riflessione sul teatro, sulle sue tecniche e il suo linguaggio, sull’illusione
scenica e la sua rottura –

argomento [di Atkočiūnas] è il processo stesso della recitazione, l’ambi-


guità teatrale e le trasformazioni interne ed esterne di un essere umano
che agisce. Il suo argomento è la detronizzazione del teatro come mon-
do illusorio, falso e sempre ambiguo.43

Colpisce l’uso del termine “pirandellismo” – in lituano tradotto pi-


randelizmas – che Didžgalvis fa nel suo articolo, in quanto certamente
denota la competenza del recensore, ma suggerisce in aggiunta l’idea di
una penetrazione in Lituania, pur tra contrasti e perplessità, del dram-
maturgo siciliano e della sua poetica, tanto da arrivare a cogliere finan-
che le esagerazioni e i manierismi che da essa possono derivare. Non
stupisce allora che nel testo di presentazione di Šįvakar mes improvizuo-
jame, lo “schizzo di spettacolo”44 di Dapšys basato su Questa sera si recita
a soggetto, la figura di Pirandello quale grande innovatore del teatro ita-
liano e mondiale, “capace di rinnovare radicalmente l’approccio all’arte

40
V. Jauniškis, Drastiška režisieriaus ir dramaturgo studija apie teatrą ir jo pa-
mišėlius: [L. Pirandello pjesė Henrikas IV, Šiaulių dramos teatre, režisierius R.
Atkočiūnas], «Lietuvos rytas», priedas «Mūzų malūnas», 9/12/1997, p. 5.
41
V. Didžgalvis, Pirandelizmo parafrazės [L. Pirandello pjesė Henrikas IV, Šiaul-
ių dramos teatre, režisierius R. Atkočiūnas], «Šiaulių kraštas», 18/12/1997, p. 19.
42
Ibidem.
43
Ibidem.
44
Luigi Pirandello „Šįvakar mesi mprovizuojame“, «Menų spaustuvė», http://
www.menuspaustuve.lt/lt/renginiai/10999-luigi-pirandello-sivakar-mes-improvi-
zuojame-.
144 Novella di Nunzio

drammatica”45, appaia ormai priva di ombre.


Lo studio di Dapšys debutta il 18 giugno 2008 nel peculiare conte-
sto della Menų spaustuvė di Vilnius, una ex tipografia risalente al 1585
e adibita a spazio performativo a partire dagli anni immediatamente
successivi alla caduta del Muro di Berlino.46 Non è la prima volta che
Dapšys si confronta con la drammaturgia pirandelliana. Dopo esse-
re stato anche lui allievo del GITIS, nel 1987, presso la Scuola d’arte
drammatica fondata da Anatoly Vassiliev, prende parte all’allestimento
dei Sei personaggi in cerca d’autore, uno dei principali successi del noto
regista russo, vincitore del premio UBU nel 1988 come migliore spetta-
colo straniero presentato in Italia.47 Alcuni anni dopo, nel 1995, Dapšys
interpreta il notaio Denora in Bellavita di Bagdanskaitė. Il ritorno a
Pirandello nel 2008, nel ruolo non più di attore ma di regista, è moti-
vato, a detta dello stesso Dapšys, da una volontà di riforma generale del
linguaggio, delle tecniche e degli spazi teatrali (da qui la scelta di esibirsi
alla Menų spaustuvė): “Secondo il regista”, si afferma nella già menzio-
nata pagina di presentazione,

sebbene siano mancati i fondi per mettere insieme l’intera pièce e il


pubblico ne vedrà sono una parte, la squadra creativa era matura per
un evento teatrale diverso, che il regista chiama riforma. “Non è la re-
azione a una situazione specifica nel teatro lituano”, dice, “è piuttosto
una riforma interna cui tutti dobbiamo attuare periodicamente per noi
stessi”. La troupe di tredici attori opera per la prima volta alla Menų
spaustuvė, uno spazio che il regista afferma di aver scelto come terreno
favorevole alla sua riforma, perché qui “i rapporti e i vincoli sono meno
fissi”. 48

Un ruolo chiave rispetto alla riforma cui fa riferimento Dapšys è


svolto dal metateatro e dalla rottura della quarta parete che esso com-
porta: meccanismi che avevano giocato un ruolo di primo piano nella
rivoluzione teatrale pirandelliana e che nel teatro lituano erano rimasti
fino ad allora ancora poco esplorati, quando non fonte di diffidenza.
In effetti, a differenza di quanto constatato in riferimento ai Šeši per-
sonažai di Čibiras, allestimento nel quale al metateatro e alle questioni
a esso legate non veniva dato il giusto peso, nel lavoro di Dapšys tali

46
Cfr. Arts printing house, «Menų spaustuvė», http://www.menuspaustuve.lt/en/
about/menu-spaustuve.
47
La partecipazione dell’attore lituano ai Sei personaggi di Vassiliev viene ricor-
data in J. Lozoraiti, Personažai tebeieško autoriaus. Režisieriaus Anatolijaus Vasiljevo
lietuviškasis pėdsakas, «Kultūros barai», 7/8 (2014), p. 69.
48
Luigi Pirandello „Šįvakar mes improvizuojame“, «Menų spaustuvė», cit.
Pirandello in Lituania: il caso del teatro 145

questioni si fanno motore e fulcro dell’atto registico. L’artista lituano è


interessato alla pièce Questa sera si recita a soggetto proprio perché in essa
Pirandello “esamina argutamente il processo creativo del teatro stesso:
le interrelazioni tra autore, regista e attori e i principi dell’essere sul pal-
co”, e in questo modo “lo spettatore diventa un testimone della vita che
ribolle all’interno di tale teatro”.49 Non si tratta, quindi, semplicemente
di ravvivare il repertorio nazionale con un’opera di Pirandello “non an-
cora conosciuta” in Lituania, ma di utilizzare quella stessa opera come
strumento pratico, modello di creazione drammatica e performativa e,
di conseguenza, stimolo a una riflessione teorica più ampia sull’arte del
teatro:
l’azione della pièce si svolge in teatro: il regista realizza la riforma e,
invece di utilizzare l’opera scritta, suggerisce agli attori di improvvisare
in base alla storia creata da Pirandello. È questa la scena in cui inizia la
riforma del teatro descritta da Pirandello, e allo stesso tempo il viaggio
del regista Arvydas Dapšys, nonché del gruppo creativo da lui riunito,
per prendere possesso di un nuovo spazio e cercare un nuovo contatto
con il pubblico [...]. E, nonostante il percorso di questa pièce verso la
scena sia stato lungo, a causa del tempo impiegato nei lavori di ricostru-
zione della Menų spaustuvės e di altre difficoltà, il regista afferma che
già da tanto aveva in mente di allestirla. Attraverso questo lavoro egli
cerca di rispondere a molte domande: un’opera drammatica ha bisogno
di un autore oggi? Il teatro può fare affidamento solo sui propri mezzi?
Gli spettatori possono influenzare il corso di uno spettacolo, di una
performance creata qui e ora?50

È il contributo personale di Dapšy a quanto nel presente studio è


stato osservato attraverso il prisma della drammaturgia pirandelliana,
ovvero il percorso di formazione, rinnovamento e nazionalizzazione del
teatro lituano, iniziato negli anni della sua fondazione in senso profes-
sionale e portato avanti da una minoranza di registi e critici innovatori
– si ricordino soprattutto i nomi di Dauguvietis, Sruoga e Miltinis –
nell’ambito di una maggioranza legata a un teatro di tipo tradizionale
e non sempre disponibile alle sperimentazioni, tanto drammaturgiche
quanto metodologiche, provenienti dalla scena contemporanea estera,
europea e non.

49
Ibidem.
50
Ibidem.
146 Novella di Nunzio

5. Per concludere: Sei personaggi ancora in cerca d’autore

Si intitola così un articolo del 2014 che l’attore, regista e giornalista


lituano Julijus Lozoraitis (1954) dedica al genio russo Vassiliev, ai suoi
legami con la Lituania e alla sua eredità in quella terra. Nell’articolo, pur
occupandosi anche di altri allestimenti dell’artista, Lozoraitis dà spazio
soprattutto ai fortunatissimi Sei personaggi del 1987 (da qui il riferi-
mento pirandelliano usato nel titolo), ai quali attribuisce una funzione
chiave, riconoscendo in essi il manifesto della rivoluzione civile, prima
ancora che teatrale, portata avanti da Vassiliev in un contesto problema-
tico come quello sovietico:51

Quale civiltà ha dichiarato o avrebbe potuto dichiarare il teatro di


Vassiliev, nato nell’era sovietica? Analizzando ciò che è stato vissuto in
quel periodo, concluderei che le teorie e le attività di questo artista, il
cui fondamento è sia il talento creativo che una grande passione per la
creatività e la conoscenza, hanno fatto perno sulla forte e precisa intu-
izione di un’auspicata civiltà. Queste passioni e queste intuizioni sono
bastate a far nascere, in un ambiente totalitario del tutto incivile, un
fenomeno dai contenuti profondamente civili: la Scuola d’arte dram-
matica di Vassiliev e i suoi spettacoli Cerceau (1985), Sei personaggi in
cerca d’autore (1987), i Dialoghi di Platone (1988). [Ma] in che cosa
Sei personaggi in cerca d’autore è così speciale, perché proprio questo
spettacolo essenzialmente “al chiuso” è diventato il manifesto del nuovo
teatro?[…]Sei personaggi si distingue per ciò che ha messo chiaramente
in evidenza: l’arte del teatro è viva solo se gli stereotipi scenici sono co-
stantemente infranti dall’interno, se cambia instancabilmente il senso e
la qualità della recitazione, sottolineando la differenza tra i conflitti sul
palco e nella vita, se gli artisti entrano in empatia con lo stato d’animo
del pubblico, così come il pubblico entra in empatia con l’arte scenica,
i suoi elementi invariabili, le invenzioni.52

Gli elementi meta teatrali dei Sei personaggi sui quali insiste Lozo-
raitis, riconoscendo in essi il fulcro della rivoluzione teatrale apportata
da Pirandello e, tramite essa, da Vassiliev, sono pari a quelli che Dapšys,
impegnato in una medesima rivoluzione del linguaggio teatrale e delle
sue convenzioni, aveva enfatizzato in Questa sera si recita a soggetto. Per

51
Scrive Anna Bandettini in occasione del debutto italiano del Pirandello di
Vassiliev: “questo Sei personaggi è lo spettacolo che i moscoviti hanno considerato
scandaloso e che in Europa […] è stato salutato come una rivelazione”, A. Bandet-
tini, Scandaloso Vassiliev, «La Repubblica», 07/06/1988, https://ricerca.repubblica.
it/repubblica/archivio/repubblica/1988/07/06/scandaloso-vassiliev.html.
52
J. Lozoraitis, Personažai tebeieško autoriaus, cit., pp. 66-71.
Pirandello in Lituania: il caso del teatro 147

un approccio di questo tipo ai Sei personaggi anche in Lituania bisogna


aspettare Sombras di Gintaras Varnas. Lo spettacolo, che ha debuttato al
teatro nazionale di Kaunas il 6 settembre 2019, si basa su un montaggio
tra vari testi di Federico Garcia Lorca (Commedia senza titolo, Aspettia-
mo cinque anni, Il pubblico) e i Sei personaggi di Pirandello, e presenta
una forte componente meta teatrale, amplificata da questa struttura a
collage. In un’intervista al regista, Sombras viene presentato nei termini
di una “performance-riflessione” che “esplora la natura del teatro, il rap-
porto tra menzogna e verità in esso, l’essenza del teatro oggi”, e proprio
per questo, con un giudizio che dimostra la centralità di tali questioni
nella scena lituana contemporanea, viene definito “audace e attuale”. È
rilevante a questo proposito quanto Varnas afferma, motivando le sue
scelte testuali, in riferimento ai Sei personaggi: “la celebre pièce di Piran-
dello ha costituito un grande punto di svolta nella storia della dramma-
turgia, come un’opera moderna che guarda alla situazione del teatro da
una prospettiva completamente diversa […]. Lo stesso Lorca, in uno dei
suoi saggi, ha citato Pirandello come uno degli esempi della dramma-
turgia modernista dell’epoca”.53
Dopo le forzature effettuate da Čibiras, Varnas restituisce dunque al
dramma pirandelliano il suo significato più autentico. Tuttavia, come
si è visto, il suo “collage composto da vari drammi”54 non è incentrato
in modo esclusivo sui Sei personaggi. Si potrebbe pertanto concludere,
riecheggiando il titolo dello scritto di Lozoraitis, che in Lituania i Sei
personaggi sono ancora in cerca di un autore.

53
D. Dementavičiūtė-Stankuvienė, Teatras – melo tvirtovė ar tiesos užuovėja?
(interviu), «Nacionalinis Kauno dramos teatras», https://dramosteatras.lt/lt/teatras-
melo-tvirtove-ar-tiesos-uzuoveja/.
54
Ibidem.
Dai Sei personaggi alla Trilogia:
un itinerario tra testo e rappresentazione
di Mariagabriella Cambiaghi

È ormai opinione consolidata che la trilogia del teatro nel teatro di


Pirandello non fu un progetto elaborato organicamente dal principio,
ma una graduale presa di consapevolezza di una tematica centrale – da
tempo presente nella mente dell’autore – articolata in più componenti
e direzioni. A conferma di ciò, basti ricordare che l’espressione compare
solo nel 1933, all’interno della Premessa all’edizione Mondadori dell’o-
pera teatrale completa, allorché Pirandello decide di dedicare il primo
volume ai tre testi, Sei personaggi in cerca d’autore, Ciascuno a suo modo
e Questa sera si recita a soggetto, raccogliendoli insieme, perché, scrive:

[…] tutti e tre uniti, quantunque diversissimi, formano come una


trilogia del teatro nel teatro, non solo perché hanno espressamente
azione sul palcoscenico e nella sala, in un palco o nei corridoi o nel
ridotto del teatro, ma anche perché di tutto il complesso degli elementi
d’un teatro, personaggi e attori, autore e direttore-capocomico e regista,
critici drammatici e spettatori alieni o interessati, rappresentano ogni
possibile conflitto.1

Si tratta quindi di una scelta di poetica maturata nel tempo, che


pone una “sorta di sigillo”2 a posteriori su quello che si presenta come un
percorso fatto a tappe, quasi una sorta di itinerario di ricerca e analisi dei
meccanismi teatrali, svelati sul palcoscenico allo scopo di mettere sotto
analisi lo stesso processo della finzione teatrale. Agli occhi dell’autore
tutto il suo lavoro si voleva presentare come una “poetica in azione”, per
dirla con Goldoni, volta ad indagare il rapporto tra testo e traduzione
scenica direttamente sulle tavole di un palcoscenico.
Pur articolato negli anni, il progetto è accomunato da un medesimo
schema compositivo, costituito dal procedimento del “teatro nel teatro”

1
L. Pirandello, Premessa a: Maschere Nude - Sei personaggi in cerca d’autore,
ciascuno a suo modo, questa sera si recita a soggetto, Milano, Mondadori, 1933, p.1.
La premessa è riportata anche in L. Pirandello, Maschere Nude vol. II, a cura di
Alessandro D’Amico, Milano, Mondadori, 1993, p. 935.
2
R. Alonge, Luigi Pirandello, Bari-Roma, Laterza, 1997, p. 102.
150 Mariagabriella Cambiaghi

che consente al drammaturgo di creare un doppio livello di fruizione


per il pubblico, costituito da una pièce cornice, con una vicenda entro
la quale si inscrive una rappresentazione interna, alla quale i personaggi
della cornice partecipano come attori o semplicemente come spetta-
tori.3 La declinazione più ricorrente di questa tecnica di scrittura è il
modello della “prova in scena” – già consolidato nella tradizione da Mo-
lière a Goldoni – con una compagnia teatrale intenta a provare un altro
lavoro, che infatti Pirandello adotta nei Sei personaggi.
Già però nel 1924 il secondo testo, Ciascuno a suo modo, presenta
un impiego inaspettato e originale della formula, che ribalta l’ordine dei
piani: mentre l’uso canonico del “teatro nel teatro” prevede che in aper-
tura lo spettatore si trovi davanti la vicenda di una pièce cornice, entro
la quale ad un certo punto si inserisce una rappresentazione interna, qui
avviene il contrario e lo spettacolo inizia con un canonico e apparente-
mente tradizionale primo atto. Solo alla fine di questo, il pubblico reale
assiste a una nuova parte, che vede l’intervento di alcuni spettatori fittizi
sul palco, intenti a commentare quanto si è appena visto: è il primo
intermezzo corale che rivela che il primo atto altro non era che la pièce
interna di uno spettacolo costruito su più livelli. Se poi si aggiunge che
Pirandello raddoppia il procedimento, facendo seguire un secondo atto
e un secondo intermezzo corale, alla fine del quale per la confusione
ingenerata si decide la sospensione dello spettacolo, si ha immediata-
mente la percezione della mescolanza dei livelli che sconfinano l’uno
nell’altro e che arrivano ad essere tre, perché, ai due tradizionali, si ag-
giunge il livello dei protagonisti reali del fatto di cronaca rappresentato,
determinati ad intervenire per interrompere la recita.
La sperimentazione drammaturgica nell’uso del procedimento è
inoltre confermata dal fatto che non si tratta più di una prova, ma della
prima rappresentazione di una pièce a forte rischio di insuccesso da
parte del pubblico e della critica.
Uno schema altrettanto innovativo, che supera i tradizionali impie-
ghi del dispositivo drammatico del teatro nel teatro è quello adottato in
Questa sera si recita a soggetto nel 1930: anche qui Pirandello propone
l’idea dello spettacolo sperimentale prodotto in presenza del pubblico
reale, attraverso il progetto registico di Hinkfuss, che mira a creare di-
rettamente sulla scena una vicenda tratta da una fonte narrativa (una
novella dello stesso Pirandello), da lui ridotta a canovaccio, sul quale gli

3
Per una ricognizione dell’uso del teatro nel teatro in ambito italiano dal Sei-
cento al Novecento rimando al mio volume M. Cambiaghi, Le commedie in com-
media. Rappresentazioni teatrali nella finzione scenica, Milano, Bruno Mondadori,
2009.
Dai Sei personaggi alla Trilogia: un itinerario tra testo e rappresentazione 151

attori sono chiamati ad improvvisare.


I livelli implicati tornano ad essere tre: i personaggi rappresentati, gli
attori chiamati ad interpretarli e gli spettatori reali presenti in sala, con
cui i due livelli precedenti si mescolano e interagiscono.
Occorre, inoltre, registrare che uno dei fili rossi che percorrono i
tre testi della trilogia sotto il profilo strutturale, è la presenza di figure
“demiurgiche” ben delineate, utilizzate come elementi di raccordo tra
i diversi piani: si tratta del capocomico dei Sei personaggi e del dot-
tor Hinkfuss, il regista di Questa sera, che rivendicano una funzione
drammaturgica innovatrice nei confronti della tradizione e un ruolo
ordinatore dell’evento scenico, cui è possibile accostare – pur in modo
meno definito – la figura dell’attore brillante Diego Cinci in Ciascuno
a suo modo.4
In tutte le varianti, comunque lo schema compositivo consente
all’autore l’apertura di spazi di riflessione sul fare teatro, dal rapporto
con il materiale testuale di partenza, all’organizzazione dello spazio, fino
al lavoro dell’attore sulla scena.

Il lavoro sul testo

D’altronde, già dall’impostazione della prima opera si capisce che il


tema di fondo è quello del conflitto tra il testo e la messinscena, tra la
dimensione della creazione artistica e la materialità della scena teatrale.
I Sei personaggi cercheranno pure un autore, ma vanno da un capoco-
mico, con l’intento di sostituire con il lavoro sul palco quello dell’autore
che non ha voluto dare loro compiutezza.
Il progetto proposto dal Padre al capocomico ambisce a restituire
alla scena un valore compensativo di quello che la drammaturgia tra-
dizionale non ha saputo dare: alla fine del primo atto, il capocomico
e il Padre si riuniscono in camerino per “concertare” lo schema dello
spettacolo, in modo che il dramma si “trascriva se mai, avendolo così
davanti – in azione – scena per scena. Basterà stendere in prima, appena
appena, una traccia – e provare!”5
Si tratta di un vero e proprio “canovaccio”, con una scaletta organica
di scene e di atti, su cui impostare le azioni drammatiche e trascrivere
le battute secondo un processo di scrittura fatta appunto “in azione”: i
personaggi eseguiranno la “scena” e le loro battute e i loro atteggiamenti

4
Per le figure “demiurgiche” della trilogia cfr. ibidem, pp. 96-130.
5
Per il testo dei Sei personaggi in cerca d’autore qui e sempre cito da: L. Piran-
dello, Maschere nude, a cura di A. D’Amico, vol. II, cit., p. 705.
152 Mariagabriella Cambiaghi

saranno stenografati dal suggeritore per poi essere re-citati direttamente


dagli attori.
È lo stesso progetto che, pur con una complessità e ambizioni sce-
nografico-spettacolari diverse, guida la ratio del dottor Hinkfuss: l’eli-
minazione di un testo prescrittivo e compiuto va in favore di una situa-
zione aperta all’intervento creativo degli interpreti sollecitati dall’estro
del regista.
L’operazione ha il pregio di riconoscere alla scena un valore autono-
mo che supera la compiutezza del testo drammaturgico, aprendolo alla
dimensione della “scrittura scenica”, eseguita a caldo grazie al lavoro
sinergico dell’attore con i codici del teatro materiale.
Non è un caso che l’adozione della formula del “teatro nel tea-
tro”preveda in tutti i tre i testi il ritorno di termini legati alla prassi del
canovaccio e della “concertazione”. Come si è detto, nei Sei personaggi
il progetto del capocomico è appunto quello di “concertare” insieme al
Padre lo scheletro del “dramma da fare” e di fissare le battute diretta-
mente durante l’esecuzione; in Questa sera per giustificare il suo “roto-
letto”, Hinkfuss parla dell’opera dello scrittore come di “materiale per
la creazione scenica”6 e di azioni “concertate” con gli attori, già a partire
dalla loro turbolenta presentazione. Ancora, in Ciascuno a suo modo la
concertazione è presupposta della scrittura degli intermezzi, che preve-
dono parti improvvisate e lasciate aperte all’intervento personale degli
interpreti, salvo prescriverne l’obbligo di un andamento simultaneo;
un analogo procedimento è introdotto anche nell’intermezzo di Questa
sera, costruito con molteplici azioni simultanee, con il regista impegna-
to in palcoscenico a realizzare la sua ultima creazione, e gli attori nel
foyer a recitare quattro scenette che – si legge – “sono qui trascritte per
necessità di spazio l’una dopo l’altra”, con un testo che si potrà modifi-
care “aggiungendo o tagliando, ove occorra, qualche parola”7, in modo
che tutte le sequenze abbiano identica durata.
Innovazione drammaturgica e innovazione scenica tendono a coin-
cidere sempre più nel corso degli anni, mentre l’impianto strutturale del
dramma di tradizione risulta decisamente superato: al testo articolato
e definito secondo una struttura organica si va sostituendo la singola
sequenza, isolata e frammentaria, che si impone secondo modalità dif-
ferenti: ciò avviene nelle due scene madri dei Sei personaggi (quella del
cappellino e quella del giardino), ma anche nelle sequenze distinte di

6
Per tutte le citazioni dal testo di Questa sera si recita a soggetto si veda L. Pi-
randello, Maschere nude – Opere teatrali in dialetto, vol. IV, a cura di A. D’Amico,
Milano, Mondadori, 2007, p. 302.
7
Ibidem, p. 335 e p. 342.
Dai Sei personaggi alla Trilogia: un itinerario tra testo e rappresentazione 153

Questa sera, che vanno dalla processione al cabaret, dal teatro al salotto
della famiglia La Croce, fino alla casa di Mommina, o ancora ai due
atti di Ciascuno a suo modo, apparentemente tradizionali nel loro svol-
gimento, ma poi destrutturati e svelati nell’inconsistenza di “un’azione
condotta a vento, senza capo né coda”, di un dramma ripigliato, “come
a caso, da una discussione”,8 suscitando la perplessa reazione del pubbli-
co fittizio negli intermezzi.
La drammaturgia sbriciola le sue forme e le mette alla prova della
tenuta spettacolare, in modo che il valore artistico della messinscena ri-
salti nella sua autonomia, allontanandola dal ruolo di mera illustrazione
della parola compiuta sulla pagina.
In tale prospettiva, una riflessione a parte merita il corpus didascalico
dei tre testi, che va sviluppandosi in dimensioni e articolazione dal 1921
al 1930. Se nei Sei personaggi si assiste a un aumento delle notazioni
sullo spettacolo e sulla materialità della scena nel passaggio dalla prima
edizione del testo a quella del 1925, ripensata da Pirandello per il Te-
atro d’Arte e poi diventata canonica, è con Ciascuno a suo modo che la
didascalia inaugura una nuova modalità di scrittura che travalica i limiti
della tradizione. Soprattutto all’interno degli intermezzi si manifesta un
tipo di notazione che non si può semplicemente ricondurre alla con-
sueta didascalia di descrizione dell’ambiente o dei movimenti scenici,
ma associa la dimensione drammatica al commento critico sulla stessa.
Così, nel primo intermezzo corale, presentando gli spettatori fittizi, Pi-
randello cita direttamente sé stesso e pone in questione il suo teatro,
innestando una riflessione di “teatro sul teatro” direttamente sulla scena,
dove si apre un dibattito che si rivela suscettibile di sviluppi improvvisa-
ti e di dilatazione temporali:

Finalmente si potrebbe recitare a soggetto questo intermezzo corale, tan-


to ormai son noti e ripetuti i giudizi che si danno indistintamente di tutte
le commedie di questo autore: “cerebrali”, “paradossali”, “oscure”, “assurde”,
“inverosimili”. Tuttavia, saranno qui segnate le battute più importanti
dell’uno e dell’altro degli attori momentanei di questo intermezzo, senza
esclusione di quelle che potranno essere improvvisate per tenere viva la con-
fusa agitazione del corridojo.9

In Questa sera si recita a soggetto la scrittura didascalica presuppone


l’esempio degli intermezzi, diventando sicura metodologia di notazione

8
Per il testo di Ciascuno a suo modo le citazioni sono tratte da L. Pirandello,
Maschere nude, a cura di A. D’Amico, vol. III, Milano, Mondadori, 1994, pp. 92-
93.
9
Ibidem, p. 90.
154 Mariagabriella Cambiaghi

scenica e critica: le righe in corsivo che introducono i diversi quadri


sono parti integranti del progetto di Hinkfuss, che viene indagato sotto
il profilo teorico, oltre che operativo, tanto da assumere in qualche pas-
saggio il rilievo di una riflessione trattatistica. L’importanza nell’assunto
scenico è tale che, lungi dall’essere considerate parti “di servizio”, diret-
te a chiarificare il compito dell’allestitore, le didascalie divengono base
fondamentale per comprendere alcuni momenti chiave dello spettacolo.
È per questo motivo che spesso le messinscene contemporanee assorbo-
no brani di parti didascaliche, trasformandole in battute messe in bocca
al personaggio di Hinkfuss, il demiurgo creatore dell’evento scenico e
padrone delle meraviglie registiche.10
A questa altezza cronologica Pirandello pare essere divenuto consa-
pevole dell’impossibilità del testo tradizionale di contenere lo spettaco-
lo, prescrivendone dettagliatamente i tratti, come avevano pensato di
fare gli autori della grande drammaturgia borghese tra Otto e Nove-
cento. Al contrario, ora la notazione didascalica si fa traccia ipotetica e
si apre persino alla dimensione probabilistica, comprendendo diverse
soluzioni di svolgimento,11 quasi che la scrittura drammatica sia un ma-
teriale di sfida da verificare in sede di messinscena e non un’espressione
prefissata e definitiva. D’altronde, anche lo svolgimento di una singola
recita sembra non essere del tutto preventivabile, implicando la pos-
sibilità di una modifica di sera in sera, sulla base della reazione di un
pubblico sempre diverso.
Eppure, nel momento in cui Pirandello riconosce la relatività della
scrittura, ne ribadisce il valore essenziale e Questa sera – ultima parte
della trilogia – si chiude con il riconoscimento delle parti scritte come
necessario viatico per il teatro, un fondamento “classico”, certo non fisso
o inviolabile, ma indispensabile alla scena.

10
Un esempio significativo di tale processo di assorbimento della didascalia
nella parte di Hinkfuss è rappresentato dalla messinscena di Questa sera si recita
a soggetto con la regia di Federico Tiezzi (Piccolo Teatro di Milano, 2016). Su tale
regia si veda il mio saggio Un trattato scenico di metateatralità: lettura di Questa sera
si recita a soggetto tra pagina e scena, in Il teatro nello specchio. Storia e forme della
metateatralità in Italia dal Cinque al Novecento, a cura di Marco Sabbatini, Lecce,
Pensa Multimedia, 2018, pp. 11-26.
11
Il brano più interessante dello sperimentalismo pirandelliano in Questa sera si
recita a soggetto è costituito dall’Intermezzo, in cui si prevede una “rappresentazione
simultanea, nel ridotto del teatro e sul palcoscenico”, con gli spettatori reali liberi
di scegliere quale delle parti seguire. Tale decisione genera un margine di incer-
tezza sulle effettive possibilità di sviluppo delle situazioni presentate, conducendo
l’autore a prendere in considerazione – già in fase di scrittura – anche le soluzioni
estreme di un’unica scelta compatta da parte del pubblico reale, che renderebbe di
fatto impossibile la simultaneità della doppia rappresentazione.
Dai Sei personaggi alla Trilogia: un itinerario tra testo e rappresentazione 155

La recitazione dell’Attore

Il centro della questione metateatrale, e quindi anche della trilogia


pirandelliana, è la funzione dell’attore e il suo contributo creativo.
Nei tre testi della trilogia si pone in questione il nodo fondamenta-
le dell’attore contemporaneo, chiamato a un difficile compito di me-
diazione tra la ripetizione fedele del testo, con il rispetto delle volontà
dell’autore, e l’introduzione di una componente creativa e personale
nello spettacolo.
Nei Sei personaggi il problema si manifesta attraverso l’antagonismo
tra Attore e Personaggio che esplicita la dicotomia tra l’arte e la mate-
rialità della scena, dimostrando l’impossibilità di una restituzione fedele
di un’opera scritta sul palcoscenico, secondo il pregiudizio già presente
nel saggio del 1908, Illustratori, attori e traduttori, che si pone alla base
di tutta la poetica teatrale di Pirandello.
Che il margine di improvvisazione sia considerato qualcosa di estra-
neo alla prassi dell’attore di tradizione primonovecentesco è, del resto,
testimoniato dalla battuta degli attori della compagnia all’inizio del se-
condo atto, quando il capocomico propone l’esperimento della doppia
prova:

Il Primo Attore: Ma dice sul serio? Che vuol fare?


L’Attor Giovane: Questa è pazzia bell’e buona!
Un Terzo Attore: Ci vuol fare improvvisare un dramma, così su due
piedi?
L’Attor Giovane: Già! Come i Comici dell’Arte!”.12

È la reazione prevedibile di un interprete legato alla logica dei ruoli


di fronte alla sfida del completamento del testo attraverso i codici della
messinscena e al cimento con una parte non riconducibile entro confini
certi e prestabiliti.
Come è noto, l’esperimento fallisce e gli attori non riescono a ripete-
re la creazione dei personaggi, raggiungendo al più – nella scena del cap-
pellino, ambientata nel retro-bottega di Madama Pace – una “rimessa in
bello”, parziale e insoddisfacente, della sequenza realizzata in scena dal
Padre e dalla Figliastra, i quali non riescono a riconoscersi nelle battute e
negli atteggiamenti del Primo Attore e della Prima Attrice. Nell’ultimo
atto la messa in prova non riesce nemmeno a partire, come testimonia

12
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, in Maschere nude, vol. II, cit.
p. 706.
156 Mariagabriella Cambiaghi

la frase del capocomico “Bisogna fare la scena” che torna con insistenza
più volte a ribadire lo sforzo a drammatizzare la vicenda.
L’impossibilità del teatro di riprodurre l’Arte, così come la Vita,
trova ulteriore conferma in Ciascuno a suo modo, dove la commedia a
chiave, tratta da un fatto di cronaca, i cui protagonisti reali sono presen-
ti in teatro, suscita le proteste e l’indignazione di questi ultimi contro gli
attori, causando la sospensione dello spettacolo.
La relazione attore-personaggio continua a rimanere centrale nell’in-
teresse di Pirandello anche negli anni del Teatro d’Arte, che gli dà modo
di affrontarla in modo diretto, attraverso l’azione di capocomico e diret-
tore della compagnia. In un’intervista del 1925 egli stesso parla del suo
metodo di prova, volto ad integrare la parola e la messinscena:

[…] ed ecco qual è il metodo, ve lo spiego con poche parole: quello


di fare provare non gli attori, ma i personaggi e, per spiegarmi, fare
cominciare materialmente le prove dopo un intenso lavoro personale,
intimo, profondo, che fa di ogni attore il personaggio quale veramente
dovrebbe essere se vivesse. […] quando sono riuscito a compiere uno
per uno questo miracolo necessario di spirituale transustanziazione,
allora li riunisco tutti insieme e spiego loro come debbono muover-
si, come debbono parlare, quale tono di voce, quali accenti debbono
usare.13

Si comprende quindi come – tra il 1925 e il 1928 – Pirandello si sia


convinto che la recitazione richieda il contributo dell’attore, che muo-
vendo dalla comprensione della pagina scritta, la vivifica sulla scena gra-
zie a una rielaborazione personale del contenuto che si fa immagine e
vita nello spettacolo.
Il tema è poi ripreso in Questa sera si recita a soggetto, all’interno
di una riflessione sul concetto di improvvisazione nel lavoro dell’attore
contemporaneo: se la prima parte dello spettacolo dimostra come sia
impossibile cancellare ogni tratto di personalità negli interpreti, ridu-
cendoli a meccanici esecutori del progetto registico, la seconda dimostra
l’irrealizzabilità di una vera improvvisazione all’interno di un spettaco-
lo che non sia un monologo, ma debba tenere conto del contempora-
neo lavoro degli altri compagni. È il dramma dell’attore brillante cui
è affidata la parte di Sampognetta, il quale ha preparato una sentita
interpretazione del suo drammatico finale, ma che, arrivato sulla sce-
na, “non riesce a morire”, per mancanza di collaborazione degli altri

13
La “mise en scène” di Pirandello, in “L’Arte drammatica”, 5 settembre 1925,
poi L. Pirandello, Saggi e interventi, a cura di F. Taviani, Milano, Mondadori, 2006,
p. 1274.
Dai Sei personaggi alla Trilogia: un itinerario tra testo e rappresentazione 157

alla sua creazione individuale. In questo caso il conflitto si sviluppa nel


passaggio dalla prima alla seconda fase del pirandelliano “metodo” di
costruzione del personaggio: l’attore deve trovare un compromesso tra
la sua ispirazione interiore e la necessità di dividere la scena con gli altri,
disciplinando e moderando la sua libertà di azione.
Nella sequenza di Sampognetta, così come nella successiva parte del-
la morte di Mommina, Pirandello mette a fuoco il problema creativo
di un attore che lavora sul sotto-testo, sulla gestualità e sul costume
con una prospettiva alla Stansilavskij, mirando a diventare esso stesso il
personaggio, ma che si trova nel contempo costretto a dover canalizzare
la sua energia entro un progetto generale, per evitare di andare incontro
al fallimento globale dell’evento scenico.
La soluzione di Questa sera si recita a soggetto, con il richiamo alla
necessità delle parti scritte, pare in questa ottica il riconoscimento del
compromesso recitativo posto alla base dello spettacolo, come unione
di due polarità opposte, contenute nello stesso titolo dell’opera: da un
lato l’imposizione a “re-citare” qualcosa di già dato, di norma un testo
come binario guida dell’opera, e dall’altro l’impulso a vivificare con la
creazione “a soggetto” la parte sulla scena.

La riflessione sullo spazio

All’altezza degli anni venti del Novecento, l’elemento decisivo per


l’affermazione del “teatro nuovo” contro il “teatro vecchio”14 e i suoi
modelli di fruizione è l’utilizzo dello spazio teatrale. L’innovazione prin-
cipale consiste nella rottura della “quarta parete”, con il trapasso dell’a-
zione oltre i limiti della scatola scenica, per investire la platea, l’intera
sala e gradualmente gli ambienti dell’edificio teatrale. Anche sotto que-
sto profilo, l’esperienza decisiva che guida la scrittura di Pirandello risale
al 1925, l’anno chiave che inaugura la sua attività alla guida del Teatro
d’Arte di Roma.
Fino a questo momento, la scrittura pirandelliana è sempre conce-
pita nei limiti del palcoscenico: nella versione del 1921 dei Sei perso-
naggi in cerca d’autore, i personaggi arrivano dalla porticina di fondo
del palcoscenico e la loro azione con il capocomico e gli attori rimane
confinata sul palco e anche nel 1924 Ciascuno a suo modo presenta la
sua innovativa modalità di intervento del pubblico negli Intermezzi,
collocandola sempre entro i confini di una scena tradizionale.

14
La contrapposizione è dello stesso Pirandello nell’articolo Teatro vecchio e
teatro nuovo, in “Comoedia”, 1 gennaio 1923.
158 Mariagabriella Cambiaghi

L’incontro con la materialità del teatro pare convincere Pirandel-


lo della necessità di “visualizzare” la riflessione metateatrale, in primo
luogo superando la barriera della quarta parete, baluardo dell’illusione
teatrale dal Barocco alla fine dell’Ottocento, per trasmettere invece in
modo inequivocabile il messaggio di un teatro che non può e non deve
mirare a una riproduzione illusionistica del reale.
Così, nell’edizione 1925, i Sei personaggi entrano dal fondo della
platea e, se durante le fasi del dramma sono trattenuti entro i limiti del
palcoscenico, cui non possono sottrarsi (come dimostra il tentativo di
uscita del Figlio, impossibilitato però a superare il limite della ribalta),
nel finale la Figliastra fugge dalla scena-trappola, “attraversando la pla-
tea fino all’uscio di fondo”.15 Anche il capocomico utilizza più volte le
scalette per scendere in sala, in modo da cogliere meglio l’insieme della
scena e all’apparizione di Madama Pace, gli attori stessi fuggono in pla-
tea, spaventati dal suo manifestarsi.
Tale abitudine diviene sistematica nella prassi operativa del dottor
Hinkfuss, il regista tedesco di Questa sera si recita a soggetto, che utilizza
a più riprese lo spazio della platea per la realizzazione dei suoi “prodigi”:
dal fondo della sala fa il suo ingresso nel prologo e siede fra il pubblico
a più riprese per seguire l’azione degli attori nella prima parte; sempre
dal fondo del teatro entra la processione religiosa che apre lo spettaco-
lo interno progettato da Hinkfuss e poco dopo nel quadro del teatro
d’opera, la proiezione del filmato di un melodramma presuppone la
presenza in sala dei personaggi della famiglia La Croce, che completano
la sequenza spostandosi nel ridotto durante l’intermezzo, per dare vita
a quattro scene simultanee e concomitanti con l’ultimo esperimento
scenico realizzato da Hinkfuss sul palco.
Si potrebbe dire che fino a metà di Questa sera si assiste a una pro-
gressiva dilatazione dello spazio scenico oltre i confini della tradizione,
scavalcando non solo il limite della ribalta, ma anche quello della stessa
sala da spettacolo con l’intermezzo, per poi registrare un movimento
contrario, con un rientro nella norma della rappresentazione nella se-
conda parte riservata all’iniziativa degli attori, che infatti si svolge inte-
ramente nell’ambito del palcoscenico.
A riprova che lo sconfinamento dei limiti dello spazio sia ritenuto
da Pirandello elemento indispensabile alla esposizione della sua poetica
metateatrale e al coerente sviluppo della formula del teatro nel teatro,
si colloca la seconda stesura di Ciascuno a suo modo, realizzata per l’e-
dizione citata del 1933, in cui compare una Premessa al testo che pre-

15
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, in Maschere nude, vol. II, cit.
p. 758.
Dai Sei personaggi alla Trilogia: un itinerario tra testo e rappresentazione 159

vede un’azione avviata addirittura fuori dall’edificio teatrale, con uno


strillone che distribuisce agli spettatori entranti il foglio di un’edizione
straordinaria, contenente la trama della commedia che si sta per rappre-
sentare, due sequenze improvvisate e simultanee al botteghino e nel ri-
dotto del teatro, prima che l’azione vera e propria inizi sul palcoscenico
con il primo atto.
Pare quindi che qui Pirandello accarezzi il sogno del “teatro totale”,
caro alle avanguardie storiche, come strumento precipuo di rottura di
una prassi riconosciuta obsoleta e inadeguata a trasmettere adeguata-
mente i nuovi contenuti. Se valutata in tale ottica, la scelta diviene si-
gnificativa soprattutto in una prospettiva storica e non stupisce consta-
tare che la questione dello spazio sia - a distanza di quasi un secolo – la
parte rivelatasi più datata della trilogia del teatro nel teatro, tanto che
negli allestimenti degli ultimi decenni le indicazioni spaziali previste
dalle didascalie del testo sono spesso disattese.
Per limitarsi alle messinscene italiane, è interessante verificare come
la maggioranza delle edizioni di Questa sera si recita a soggetto rinun-
ci alla moltiplicazione degli spazi prevista nella prima parte del testo,
concentrando tutta l’azione sul palcoscenico; analogamente anche un
super-classico quale è Sei personaggi in cerca d’autore registra diverse ver-
sioni in cui i personaggi entrano dal fondo del palcoscenico, esattamen-
te come nell’edizione 1921, e la componente del teatro nel teatro viene
posta in secondo piano, per mettere in evidenza le problematiche del
rapporto attore- personaggio.16
Anche le poche ricorrenze sceniche di Ciascuno a suo modo paiono
trascurare la componente eversiva dell’uso plurimo dello spazio, pun-
tando invece sullo sperimentalismo della scrittura, come indicano gli
esempi diretti da Luigi Squarzina nel 1961 e da Giuseppe Patroni Griffi
nel 1988.17

16
Per le edizioni di Questa sera si recita a soggetto si vedano le scelte di Luca
Ronconi (1998), dove tutto lo spettacolo si svolge in palcoscenico e l’edizione di
Federico Tiezzi (2016), in cui l’azione sconfina appena oltre il limite del prosce-
nio su una scaletta- tribuna, che si protende verso la platea. Per i Sei personaggi, il
rimando spaziale più interessante è allo spettacolo In cerca d’autore. Studio sui sei
personaggi (2012) per la regia di Luca Ronconi, che presenta i confini di una stanza
mentale ove si svolge l’intero dramma.
17
Si tratta, in particolare, dell’edizione di Ciascuno a suo modo diretta da Luigi
Squarzina e prodotta dal Teatro Stabile di Genova nel 1961 e di quella con la regia
di Giuseppe Patroni Griffi, realizzata per il teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
nel 1988, all’interno di un singolare progetto di allestimento dei tre testi della tri-
logia del teatro nel teatro di Pirandello, allestiti in tre stagioni diverse con la stessa
compagnia e il medesimo apparato scenografico.
160 Mariagabriella Cambiaghi

Il fatto è che un secolo fa la possibilità di un teatro “altro” rispet-


to alla configurazione tradizionale passava in primo luogo attraverso
una scelta forte di diversa organizzazione spaziale, che certamente era in
grado di impressionare il pubblico, mentre oggi, dopo decenni di spe-
rimentazione e molteplici tipologie di messinscene, su uno spettatore
medio e appena competente, tali soluzioni si rivelano di minore presa.

“Non conclude”

Un altro tratto comune alla trilogia è la mancanza di un finale defi-


nito e risolutivo delle problematiche aperte nei testi. Il caso più clamo-
roso è certamente quello di Ciascuno a suo modo in cui, secondo il sogno
dell’avanguardia futurista, l’assalto del pubblico sul palcoscenico rasenta
la rissa e costringe il capocomico a dichiarare la sospensione dello spet-
tacolo, ma anche gli altri due testi della trilogia presentano scelte che
consentono di parlare di “finale aperto”.
Basti pensare che i Sei personaggi si presentano come creature in-
compiute e rifiutate dall’autore, che appunto non ha voluto svolgere il
loro dramma. Anche il loro obiettivo di svilupparlo direttamente sulla
scena trova ostacoli insormontabili e non arriva nemmeno a una con-
clusione, visto che la morte dei due personaggi più giovani (il Giovi-
netto e la Bambina) non risolve i conflitti interni al gruppo familiare.
Ciò ha fatto sì che la critica abbia parlato al proposito di un “finale in-
concludente […] con la storia che si riavvita su se stessa quando resta il
terzetto familiare iniziale”18 e addirittura di un “finale <che> non è puro
segmento residuale, ma che rappresenta un nuovo inizio”.19
Un finale sfumato e ambiguo è anche quello di Questa sera: in que-
sto caso la pièce interna arriva alla conclusione, coincidente con quella
della novella (che prevede la morte di Mommina sopraffatta dal dolore
e dall’emozione), ma la cornice non risolve in modo chiaro la questione
della relazione tra testo e messinscena, in un dramma che si è presentato
come conflitto tra un regista e una compagnia di attori. Non è certa-
mente un caso che l’unica modifica sostanziale del testo tra la prima
edizione del 1930 e quella definitiva del 1933 si registri proprio a questo
punto, con l’eliminazione della battuta relativa all’intervento del regista

18
G. Taffon, Maestri drammaturghi del teatro italiano del Novecento, Roma,
Laterza, 2005, p. 60.
19
R. Alonge, Il teatro nel teatro come meccanismo di censura del cuore di tenebra,
in Pirandello e il teatro. Questa sera si recita a soggetto, a cura di S. Milioto, Caltanis-
setta, edizioni Lussografica, 2015, p. 48.
Dai Sei personaggi alla Trilogia: un itinerario tra testo e rappresentazione 161

come guida degli attori. Proprio nel momento in cui Hinkfuss rivela il
suo contributo risolutivo alla creazione dell’attore, la riflessione conclu-
siva gli nega il riconoscimento formale di un ruolo centrale nello spetta-
colo, tagliando la sua spiegazione,20 per lasciare solo un riferimento alla
componente “delle parti scritte, sì, se mai, perché abbiano vita da noi,
per un momento”21: è però una chiusa enigmatica, che sembra allude-
re più a una concessione possibile (“se mai”), che non a un necessario
elemento fondativo per uno spettacolo, di cui si ribadisce solo il valore
effimero e transitorio.
La trilogia conferma così il finale aperto, emblema della drammatur-
gia sperimentale e di tanto teatro di ricerca del Novecento.

20
Nella prima edizione di Questa sera si legge infatti: “Il dottor Hinkfuss: No,
cari miei, […] col convincimento di tutti che qua, se c’è bisogno di voi che volete
obbedire all’arte, c’è anche bisogno di me, dovete convenirne; non foss’altro per
saper predisporre e regolare codesta vostra obbedienza”(L. Pirandello, Questa sera si
recita a soggetto, Milano, Mondadori, 1930, p. 214).
21
L. Pirandello, Questa sera si recita a soggetto, in Maschere nude, vol. IV, cit.,
p. 396.
Nel retrobottega dell’Esperimento.
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux
di Ivan Pupo

1. Una parola che non dice nulla

Il Figlio (senza muoversi dal suo posto, freddo, piano, ironico) Sì,
stiano a sentire che squarcio di filosofia, adesso! Parlerà loro del «De-
mone dell’Esperimento».
Il Padre Tu sei un cinico imbecille, e te l’ho detto cento volte! […]
Mi deride, signore, per questa frase che ho trovato in mia scusa.
Il Figlio (sprezzante) Frasi.
Il Padre Come se non fosse il conforto di tutti, davanti a un fatto
che non si spiega, davanti a un male che ci consuma, trovare una parola
che non dice nulla, e in cui ci si acquieta!1

La critica si è confrontata con l’espressione enigmatica – il «Dèmo-


ne dell’Esperimento» – verso cui il Figlio, in una delle prime sequen-
ze dei Sei personaggi, assume un atteggiamento di sprezzante ironia. Il
Padre l’ha coniata per dare un senso al «male», altrimenti inspiegabile,
che ha «consumato» le sue due famiglie – sue nel senso che l’una e l’altra
sono sorte per opera sua – la ‘bastarda’ e la ‘primigenia’. Nella versio-
ne originaria del testo quel male, responsabile di una doppia catastrofe
familiare, si dava come «bene impossibile», cioè come bene reso impos-
sibile da un equivoco di fondo, dalla presunzione, che il Padre aveva
avuto, di poterlo attuare facendo a meno dell’«umiltà», sottovalutan-
do o addirittura ignorando l’alterità degli altri. Nel 1921 il «Dèmone
dell’Esperimento» si specifica sulla sua bocca come peccato d’orgoglio
ed arroganza solipsistica:

1
L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, in Id., Maschere nude, a cura di
A. d’Amico, vol. II, Milano, Mondadori, 1993, pp. 690-691. D’Amico mette a
testo l’ultima edizione curata dall’autore nel 1933 (quella confluita nel primo vo-
lume della terza raccolta delle Maschere nude) e ristampa integralmente in apparato
la princeps del 1921. Per le citazioni dai Sei personaggi farò sempre riferimento al
meridiano curato da d’Amico, utilizzando le sigle SP (edizione definitiva del 1933)
e SP 1921 (prima edizione).
164 Ivan Pupo

Il Padre […] Perché il dramma, veda, consiste in questo, alla fine:


che rientrando questa madre nella mia casa, la famiglia di lei nata fuori
e, per così dire, sovrapposta, con la morte della bambina, con la trage-
dia di quel ragazzo, con la fuga della maggiore, finisce, non può sus-
sistere perché estranea! Cosicché, dopo tanto tormento, restiamo noi
tre – io, la madre, quel figlio – resi, dalla scomparsa di quella famiglia
estranea, estranei anche noi l’uno all’altro, in una desolazione mortale,
che è la vendetta, veda, come ha detto quello lì derisoriamente (indica
il Figlio), del Dèmone dell’Esperimento che è in me, purtroppo: cioè,
dell’attuazione di un bene impossibile, signore, quando manchi la fede
assoluta, quella fede che ci fa accettare umilmente la vita com’è; e noi
orgogliosamente intendiamo di sostituirci ad essa, creando per gli altri
una realtà che crediamo a modo loro; mentre non è, signore, perché cia-
scuno ha in sé la propria realtà che va rispettata in Dio, anche quando
sia nociva a noi!2

Roberto Alonge ha studiato con acutezza la «fenomenologia ses-


suale» al fondo della «foga sperimentatrice» del Padre, considerando
depistante e fumosa, «al tempo stesso mistificante e nobilitante» nei
confronti di quella laida fenomenologia, l’espressione cui il personaggio
ricorre per difendersi dalle accuse che gli si muovono e prima ancora
per alleggerirsi la coscienza ed acquietare il rimorso.3 A questa stessa
misteriosa «frase» Umberto Artioli aveva dato ben altro peso, facendo ri-
saltare un «palinsesto di natura religiosa»: il «Demone» invocato sarebbe
un’«allusione al serpente» della scena archetipica e l’«Esperimento una
riformulazione sotto altri sembianti del gesto trasgressivo» compiuto
da Adamo ed Eva. Le colpe sessuali del Padre si rivestono secondo Ar-
tioli di un linguaggio veterotestamentario, a conferma dell’importanza
dell’immaginario cristiano in tutta l’opera pirandelliana.4
Diceva giustamente Calvino che un classico è un «libro che non ha
mai finito di dire quel che ha da dire». Le interpretazioni della strana
formula che ho appena menzionato – fumo negli occhi da parte del

2
SP 1921, pp. 983-984. La battuta sarà espunta già dall’edizione del 1923.
3
In particolare le due maiuscole nel misterioso sintagma servirebbero a «sviare»
gli altri personaggi della «commedia da fare» – ma anche i lettori e gli spettatori
della pièce pirandelliana – dai sordidi moventi sessuali di un modo di agire appa-
rentemente strambo ed inspiegabile. Cfr. R. Alonge, Discesa nell’inferno familiare.
Angosce e ossessioni nel teatro di Pirandello, Torino, Utet, 2018, p. 89. Agli occhi del
critico l’affermazione del Padre di aver scacciato di casa la moglie per tenerla «fuori
e lontana dai complicati tormenti del suo spirito» è un’«altra formula fumosa, al
tempo stesso mistificante e nobilitante rispetto ad ardori e afrori poco onorevoli
[…]» (ibidem).
4
Cfr. U. Artioli, Pirandello allegorico. I fantasmi dell’immaginario cristiano, Ro-
ma-Bari, Laterza, 2001, pp. 129-140: 135-136.
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux 165

libertino in cerca di assoluzione, oppure frammento allusivo al racconto


della Genesi – non possono e non devono esaurire il campo esegetico. In
un saggio del 2004 dedicato all’influenza di Dostoevskij su Pirandello
avevo cercato di proporre una spiegazione alternativa.5 Vorrei qui pro-
vare a rilanciarla, allargando lo sguardo ad ulteriori verifiche testuali. Si
apra allora I demoni (1871-1872) nella traduzione francese che Piran-
dello poté leggere già nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, in corrispon-
denza della pagina in cui Pëtr Verchovenskij illustra e commenta la «vie
“ironique”» dell’amico Nikolaj Stavrogin a Pietroburgo, in particolare la
decisione che porta quest’ultimo a difendere e a beneficare Mar’ja, una
povera sciancata, l’ultima delle creature:

Nicolas Vsévolodovitch menait dans ce temps-là à Pétersbourg une


vie «ironique», si l’on peut ainsi parler, – je ne trouve pas d’autre ter-
me pour la définir […] Je ne raconterai pas en détail l’existence que,
par originalité, Nicolas Vsévolodovitch menait alors dans les bas-fonds
pétersbourgeois. Je parle seulement d’alors […] quant au mot “origi-
nalité”, c’est une expression que je lui emprunte à lui-même […] Bref,
mettons que tout cela n’ait été de sa part qu’un caprice, un amusement
d’homme blasé, ou même, comme le disait Kiriloff, une étude d’un gen-
re bizarre entreprise par un désoeuvré pour savoir jusqu’où l’on peut
mener une femme folle et impotente.6

Il lettore saprà solo in seguito delle nozze semi-clandestine di Sta-


vrogin e Mar’ja, ma intanto ha modo di riflettere sulle impressioni che
lo stile di vita e le scelte di Stavrogin hanno suscitato nella comitiva

5
Cfr. I. Pupo, Demoni di carta. Pirandello lettore di Dostoevskij, «Angelo di
fuoco», III, n. 5, 2004, pp. 57-107. Sono tornato recentemente sul rapporto tra i
due scrittori, restringendo però il campo di osservazione, in un saggio in corso di
stampa – La bellezza che non salva. “L’idiota” nella lente di Pirandello – che si potrà
leggere sulla «Modernità letteraria» del 2021.
6
Th. Dostoïevsky, Les possédés, traduit du russe par V. Derély, t. I, Paris,
Plon-Nourrit et Cie, 1886, pp. 197-199 (c.vo mio; nelle citazioni delle edizioni
ottocentesche mi attengo fedelmente alla trascrizione del nome dello scrittore rus-
so); F. Dostoevskij, I demoni, trad. it. di G. Pacini, Milano, Feltrinelli, 20175, pp.
265-267: «A quell’epoca Nikolaj Vsevolodovič conduceva a Pietroburgo una vita,
per così dire, ironica, non saprei definirla con un’altra parola […] preferisco di evi-
tare di parlare di quella vita di bassifondi, una vita alla quale allora si abbandonava
per stravaganza anche Nikolaj Vsevolodovič. Ripeto che sto parlando soltanto di
quell’epoca […] E quanto alla ‘stravaganza’, questa era l’espressione di cui lui stesso
si serviva […] Insomma, supponiamo pure che da parte sua si trattasse soltanto di
un capriccio, di un’idea fantastica di un uomo precocemente stanco, oppure perfi-
no, come sosteneva Kirillov, di un nuovo esperimento di un uomo troppo sazio, cu-
rioso di vedere fino a che punto si potesse condurre una pazza sciancata» (c.vo mio)
166 Ivan Pupo

degli amici, in particolare in Kirillov, e sulle valutazioni che lo stesso


Stavrogin dà del suo comportamento. Gli elementi per un confron-
to intertestuale sono numerosi e di estremo interesse. Se l’«originalité»
che Stravrogin si attribuisce può essere accostata alle «incomprensibili
stramberie» del Padre di cui si fa parola nella Prefazione ai Sei personag-
gi,7 l’«étude d’un genre bizarre», che è come il perno del commento di
Kirillov, ha molto da spartire con lo sperimentalismo che ha prodotto
tanto male nell’azione di secondo grado del capolavoro pirandelliano.
Il nesso è reso ancora più stringente dalle osservazioni della madre di
Stavrogin, in risposta al discorso di Pëtr:

[…] si Nicolas avait toujours eu auprès de lui un Horatio tranquille


[…] peut-être depuis longtemps aurait-il échappé à ce triste “démon de
l’ironie” qui a désolé toute son existence.8

Anche Stavrogin ubbidisce ad un demone che non si stancherà di


straziarlo per tutta la vita. Al di là di queste coincidenze, che non mi
sembra possano dirsi casuali, quel che mi porta ad indicare nel suo
modo di agire una delle radici del pirandelliano «Dèmone dell’Esperi-
mento»9 è la constatazione che in entrambi i casi la pietà sperimentata
rivela o lascia sospettare dietro di sé istanze e motivazioni incongrue
– crudeltà, cinica indifferenza morale, gusto della scommessa – che ne
tradiscono la qualità subdola, veramente luciferina. Si legga un brano
della lettera a Daša in cui Stavrogin, poco prima di impiccarsi, confessa
di essere sempre stato disponibile alla simultanea sperimentazione del
bene e del male:

J’ai mis partout ma force à l’épreuve […] Dans ces expériences,


comme dans toute ma vie précédente, je me suis révélé immensément

7
Cfr. SP, p. 662.
8
Th. Dostoïevsky, Les possédés, t. I, cit., p. 201 (c.vo mio); F. Dostoevskij, I
demoni, cit., p. 269: «E se in ogni momento accanto a Nicolas […] si fosse trovato
un mite e pacato Orazio […] ebbene forse già da tempo egli si sarebbe salvato dal
tetro, ‘subitaneo demone dell’ironia’ che per tutta la vita l’ha torturato» (secondo
c.vo mio). Ai «complicati tormenti» dello spirito del Padre, di cui si è già detto, si
allude nella Prefazione del 1925, laddove si parla di un «uomo tormentato e tor-
mentatore» (SP, p. 662).
9
Da tempo la critica ha segnalato come il tema del ‘matrimonio per burla’
con un’infelice accomuni I demoni e la commedia Ma non è una cosa seria (1919),
che Pirandello ricava da due novelle, trascurando però di mettere in relazione lo
sperimentalismo di Stavrogin e il «Dèmone dell’Esperimento» attivo nei Sei perso-
naggi. Cfr. E. De Michelis, Dostoevskij nella letteratura italiana [1972], in Dostoevskij
nella coscienza d’oggi, a cura di S. Graciotti, Firenze, Sansoni, 1981, p. 179.
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux 167

fort […] Mais à quoi appliquer cette force, – voilà ce que je n’ai jamais
vu, ce que je ne vois pas encore […] Je puis, comme je l’ai toujours pu,
éprouver le désir de faire une bonne action et j’en ressens du plaisir; à
côté de cela je désire aussi faire du mal et j’en ressens également de la
satisfaction.10

Oppure si tenga presente l’atto di accusa di Šatov per il quale Sta-


vrogin ha sposato Mar’ja solo per il piacere di sfidare il senso comune:
[…] Savez-vous pourquoi vous avez fait un mariage si honteux et
si lâche? Justement parce que la honte et la stupidité de cet acte vous
paraissaient être du génie! […] Il y avait là un audacieux défi au sens
commun, c’est ce qui vous a séduit! Stavroguine épousant une men-
diante boiteuse et idiote!11

10
Th. Dostoïevsky, Les possédés, traduit du russe par V. Derély, t. II, Paris,
Plon-Nourrit et Cie, 1886, p. 407; F. Dostoevskij, I demoni, cit., p. 880: «Io ho
provato dovunque la mia forza […] Nelle prove compiute per me stesso e in quelle
per dimostrarla agli altri – come anche prima in tutta la mia vita – essa si è rivelata
illimitata […] Ma a cosa applicare questa forza, ecco ciò che non ho mai compreso
e che non comprendo neppure adesso [...] Io tuttora – come sempre anche prima
– posso desiderare di compiere una buona azione e ciò mi procura un piacere; al
tempo stesso desidero compierne una malvagia e anche in questo caso provo pia-
cere». Lukács ha preso in considerazione questo brano, affrontando il «problema
degli esperimenti di Dostoevskij». Particolare importanza assume per il pensatore
ungherese l’esperimento compiuto per conoscere se stessi (ovvero, per fare due soli
esempi, la capacità di sopportare il fatto di aver trasceso i limiti morali, nel caso di
Raskol’nikov; il potere del proprio io sulla prostituta, nel caso del protagonista delle
Memorie del sottosuolo). Cfr. G. Lukács, Saggi sul realismo, trad. di M. e A. Breli-
ch, Torino, Einaudi, 1950, pp. 274-293. Secondo Guido Carpi, fin dal racconto
giovanile Una sconcia storiella (1862), e poi in moltissimi suoi testi, Dostoevskij
sottopone un personaggio-chiave al meccanismo dell’«autoimposizione della prova
emblematica». Cfr. G. Carpi, Storia della letteratura russa. 1. Da Pietro il Grande
alla rivoluzione d’Ottobre, Roma, Carocci, 2018, pp. 485-486.
11
Th. Dostoïevsky, Les possédés, t. I, p. 279; F. Dostoevskij, I demoni, cit., p.
346: «Ma lo sa perché lei allora si sposò, in modo così vile e vergognoso? Proprio
perché la vergogna e l’assurdità arrivavano in quell’atto alla genialità! […] Quell’e-
strema sfida al buon senso era troppo seducente ai suoi occhi! Stavrogin e quella
miserabile zoppa mezza pazza!». Riconoscendogli capacità di penetrazione psicolo-
gica, Stavrogin riconosce che l’interlocutore ha almeno in parte colto nel segno. Nel
capitolo IX della seconda parte, Da Tichon, proibito dalla censura e quindi assente
anche nella traduzione francese, il fulcro è costituito dalla confessione scritta di
Stavrogin: ad un certo punto vi si legge che la decisione di sposare segretamen-
te Mar’ja, influenzata dalla «paura dopo la faccenda di Matrëša», va intesa come
autopunizione, «passione dei rimorsi di coscienza» (lo intuisce Šatov in un brano
‘saltato’ dal traduttore, et pour cause). Dopo la sperimentazione dell’estremo male
– gli abusi su una bambina – la compassione si rivela in tutta la sua meschinità di
‘antidoto’, peraltro inefficace, contro il rimorso.
168 Ivan Pupo

Dopodiché si torni ai Sei personaggi per rileggere le scene in cui Ma-


dre e Figliastra, affidandosi anche all’eloquenza muta dei gesti e del riso,
screditano le argomentazioni del Padre, denunciandone l’ipocrisia:

Il Padre […] Guardi: la mia pietà, tutta la mia pietà per questa
donna / indicherà la Madre / è stata assunta da lei come la più feroce
delle crudeltà!
La Madre Ma se m’hai scacciata!
Il Padre Ecco, la sente? Scacciata! Le è parso ch’io l’abbia scacciata!
La Madre Tu sai parlare; io non so… Ma creda, signore, che dopo
avermi sposata… chi sa perché! (ero una povera, umile donna…)
Il Padre Ma appunto per questo, per la tua umiltà ti sposai, che
amai in te, credendo… / S’interromperà alle negazioni di lei […]12

La Madre Mi aveva tolto prima dal petto il figlio, signore!


Il Padre Ma non per crudeltà! Per farlo crescere sano e robusto, a
contatto della terra!
La Figliastra (additandolo ironica) E si vede!
Il Padre (subito) Ah, è anche colpa mia, se poi è cresciuto così?
Lo avevo dato a balia, signore, in campagna, a una contadina, non pa-
rendomi lei forte abbastanza, benché di umili natali. È stata la stessa
ragione, per cui avevo sposato lei. Ubbìe forse; ma che ci vuol fare? Ho
sempre avuto di queste maledette aspirazioni a una certa solida sanità
morale! / La Figliastra, a questo punto, scoppierà di nuovo a ridere frago-
rosamente.13

Le scelte del Padre rispondono ad interessi egoistici e ad un insano


erotismo (pure esso di ascendenza dostoevskiana)14. La moralità è una
facciata di comodo, una maschera ingannevole. Le umili origini e la ri-
conoscenza per il mutamento di stato garantiscono piena sottomissione
della sposa al «Dèmone dell’Esperimento», ovvero la sopportazione di
sacrifici ed umiliazioni: l’allontanamento del Figlio, il ripudio (senza
aver commesso alcuna colpa) da parte del coniuge e, dopo la morte del
Segretario, l’assai poco dignitoso ritorno alla casa maritale. In Delitto e
castigo (1866) Pëtr Petrovič Lužin, aspirante alla mano di Dunja, dopo
averne ricevuto il consenso, illustra a Pul’cheria Aleksàndrovna, madre

12
SP, pp. 693-693.
13
SP, pp. 694-695.
14
Nel rapporto che instaura con il segretario e con la famiglia bastarda, il Padre
dei Sei personaggi ricalca soprattutto le orme dell’eterno marito dostoevskiano, Pavel
Pavlovič Trusockij, l’ostinato persecutore degli amanti di sua moglie, costantemen-
te invischiato nelle panie morbose del desiderio triangolare. Sulla malsana carica
erotica della «stramberia» del Padre mi sono già soffermato, tenendo conto della
nota teoria di René Girard, in I. Pupo, Demoni di carta, cit., p. 75 e pp. 100-101.
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux 169

di Dunja, una sua teoria a proposito dei vantaggi che si ricavano dal
matrimonio con una ragazza povera. In una lettera Pul’cheria riferisce
l’episodio al figlio Raskol’nikov, provocandone l’indignazione. Eccolo
stracciarsi le vesti al cospetto di Lužin:

Est-il vrai, interrompit soidain Raskolnikoff d’une voix tremblante


de colère, est-il vrai que vous ayez dit à vostre future femme… à l’heure
même où elle venait d’agrée votre demande, que ce qui vous plaisait le
plus en elle… c’était sa pauvreté… parce qu’il est préférable d’épouser
une femme pauvre, pour la dominer ensuite et lui reprocher les bien-
faits dont l’a comblée?15

Forte del consenso ricevuto, Pëtr Petrovič ha commesso l’impruden-


za di mettere a nudo il proprio animo. Si capisce che debba correre ai
ripari, accusando Raskol’nikov di averlo volutamente, e con perfidia,
frainteso: non il gusto di comandare, di decidere in tutto e per tutto
delle sorti della partner, quasi fosse un piccolo Padreterno, ma il piacere
dell’onestà – della «solida sanità morale», per dirla con il Padre dei Sei
personaggi – avrebbe orientato le sue mire matrimoniali. Il lettore non
può avere dubbi sulla cattiva coscienza del personaggio:

Votre fils, continua-t-il en s’adressant à Pulchérie Alexandrovna, –


hier […] m’a offensé par la manière dont il altéré une phrase pronon-
cée dernièrement par moi pendant que je prenais le café chez vous.
J’avais dit que, selon moi, une jeune fille pauvre et déjà éprouvée par
le malheur présentait à un mari plus de garanties de moralité et de
bonheur qu’une personne ayant toujours vécu dans l’aisance. Votre fils
a, de propos déliberé, prêté un sens absurde à mes paroles, il m’a attri-
bué des intentions odieuses […]16

15
Th. Dostoievsky, Le crime et le châtiment, traduit du russe par V. Derély, t.
I, Paris, Plon-Nourrit et Cie, 1884, p. 186; F. Dostoevskij, Delitto e castigo, a cura
di S. Prina, Milano, Mondadori, 1994, p. 191: «“Ma non è forse vero che voi”
l’interruppe di nuovo Raskol’nikov, all’improvviso, con la voce tremante di
rabbia, nella quale s’avvertiva una sorta di gusto di offendere “non è forse vero che
avete detto alla vostra fidanzata… nel momento stesso in cui ricevevate il suo con-
senso, che eravate soprattutto lieto che lei fosse povera… perché è più vantaggioso
trarre la moglie dalla miseria, per poter poi vantare un maggior potere su di lei… e
rinfacciarle di averla beneficata?”».
16
Th. Dostoievsky, Le crime et le châtiment, traduit du russe par V. Derély, t. II,
Paris, Plon-Nourrit et Cie, 1884, p. 28; F. Dostoevskij, Delitto e castigo, cit., pp. 372-
373 (c.vo mio): «“Vostro figlio” e si rivolse a Pul’chèrija Aleksàndrovna “ieri […] mi
ha offeso, travisando un mio pensiero che io vi avevo comunicato una volta in una
conversazione privata, mentre bevevamo il caffè, ed esattamente che il matrimonio
con una fanciulla povera, già provata dal dolore della vita, è a mio parere più giovevole
170 Ivan Pupo

A mio parere l’intertestualità dostoevskiana, assai più di quella bi-


blica, aiuta a scavare nella dimensione sulfurea del Padre pirandellia-
no, ad interpretarne il linguaggio «mellifluo», i trucchi di simulazione
e dissimulazione cui ricorre per «ricomporre» una «dignità» gravemente
compromessa.17
Il «Dèmone dell’Esperimento» acquista senso in rapporto alla vo-
lontà di potenza. Il Padre e Lužin desiderano di poter disporre di una
moglie schiava, umile e disposta ad umiliarsi. La volontà di potenza pre-
suppone un alto concetto di sé. Troppo sicuro del fatto suo, Pëtr Petro-
vič non si aspettava di essere messo alla porta da una Dunja pallida d’ira:

Ce dernier [Lužin] ne s’attendait pas du tout à un pareil dénoû-


ment. Il avait trop présumé de lui-même, trop compté sur sa force et
sur l’impuissance de ses victimes.18

Dal canto suo il Padre sa di dover condividere con gli altri maschi le
debolezze della carne, ma è orgoglioso di poter vantare in questo campo
una condizione di superiorità che gli viene dal coraggio di metterle a
fuoco con il «lume dell’intelligenza»:

Il Padre […] manca solo il coraggio di dirle, certe cose!


La Figliastra Perché quello di farle, poi, lo hanno tutti!
Il Padre Tutti! Ma di nascosto! E perciò ci vuol più coraggio a dirle!
Perché basta che uno le dica – è fatta! – gli s’appioppa la taccia di cinico.
Mentre non è vero, signore: è come tutti gli altri; migliore, migliore
anzi, perché non ha paura di scoprire col lume dell’intelligenza il rosso

ai rapporti coniugali di quello con una che ha conosciuto solo l’agiatezza, poiché è
più confacente alla moralità. Vostro figlio, premeditatamente, ha ingigantito il signi-
ficato delle mie parole fino all’assurdo, accusandomi di intenzioni malvagie […]”».
17
D’altra parte non si potrebbero capire i romanzi di Dostoevskij prescindendo
dai continui riferimenti alle Sacre Scritture. Basti pensare all’epigrafe dei Demoni e
al modo in cui Stavrogin è definito dal fratello di Mar’ja: «saggio come un serpen-
te», espressione, ripresa nel titolo del capitolo V della Parte prima del romanzo, che
con evidenza chiama in causa il Serpente biblico. Cfr. S. Salvestroni, Dostoevskij e
la Bibbia, Magnano, Edizioni Qiqajon, 2000, pp. 136-138.
18
Th. Dostoievsky, Le crime et le châtiment, t. II, cit., p. 31; F. Dostoevskij,
Delitto e castigo, cit., p. 375: «Tutto dava a vedere che Pëtr Petrovič non s’aspettava
affatto una conclusione del genere. Aveva troppa fiducia in sé, nel proprio potere
e nell’impotenza delle sue vittime». All’inizio del capitolo successivo – una parte
‘tagliata’ da Derély nella sua traduzione, perché sentita come ridondante – Lužin
ci viene presentato come un uomo «morbosamente avvezzo a provar ammirazione
per se stesso», con un «alto concetto della propria intelligenza», incredulo che «due
donne misere e indifese potessero sfuggire al suo potere» (ivi, p. 377). A dispetto di
tutta questa autostima, Dunja alla fine non sposerà Lužin.
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux 171

della vergogna, là, nella bestialità umana, che chiude sempre gli occhi
per non vederlo […]19

C’è però intelligenza ed intelligenza. In questa battuta è in questione


il problema della pubblica confessione delle colpe. Dovrò tornarci. Mi
interessa ora il fatto che il Padre abbia scommesso sulla sua capacità di
farsi artefice del proprio destino e di quello degli altri, trasponendo nel
concreto vissuto idee ed «aspirazioni», morali ed insieme intellettuali, in
cui crede fermamente. È la questione stessa dell’Esperimento considera-
ta non più nelle sue segrete motivazioni, ma dal punto di vista dell’esito,
fausto o nefasto. Con la sua consueta ironia al vetriolo la Figliastra gira
il coltello nella piaga della scommessa perduta:

La Figliastra Sì, ma si faccia dire, ora, che fortuna è stata per noi
la sua intelligenza!
Il Padre Se si potesse prevedere tutto il male che può nascere dal
bene che crediamo di fare!20

La replica del Padre va letta come una conferma della natura dia-
bolica del suo «Esperimento». L’eterogenesi dei fini che ne costituisce
il sotto-testo filosofico rinvia ancora a Dostoevskij e insieme a Goethe.
Si prenda uno dei più celebri racconti di Dostoevskij, La mite
(1876), in cui un usuraio riesce a sedurre e sposare una povera sartina
orfana cui la miseria non concede il lusso della scelta sentimentale (in
questo più fortunato di Lužin). Sulla bocca del colto agente di pegni,
nella fase del corteggiamento, Dostoevskij pone una citazione dal Faust:

– Voyet-vous, continuai-je, moitié plaisant, moitié sérieux: «Moi, je


suis une fraction de cette fraction de l’être qui veut faire le mal et qui
fait le bien».

19
SP, p. 699.
20
SI, p. 693. Il fallimento dell’Esperimento comporta un implicito «deprez-
zamento evangelico dell’intelligenza», almeno di quella che pretende di svincolarsi
dall’accettazione umile della «vita com’è» (cfr. la battuta del Padre citata all’inizio
di questo saggio, in SP 1921, p. 983). Ci si avvale di una chiave di lettura proposta
da Gide per Dostoevskij. Per Gide «per poco che li leggiamo [i libri dello scrittore
russo] con uno sguardo attento, constateremo un deprezzamento non sistemati-
co, ma quasi involontario, dell’intelligenza: un deprezzamento evangelico dell’in-
telligenza». Cfr. A. Gide, Dostoevskij, Milano, Bompiani, 1946 [1ª ed. 1923], p.
138. Si pensi ancora a Delitto e castigo: se intellettuali sono le radici del delitto di
Raskol’nikov, il momento della rinascita colloca il giovane reo confesso al di là del
raziocinio e della dialettica, nel flusso vitale delle sensazioni. Che è poi lo stesso per-
corso di Vitangelo Moscarda, quello che dal suo «primo esperimento» lo conduce
all’ospizio di mendicità.
172 Ivan Pupo

Elle me regarda aussitôt, avec une attention où subsistait de la cu-


riosité enfantine:
­­– Attendez; quelle est cette pensée là? Où l’avez-vous prise? J’ai en-
tendu cela quelque part…
­­– Ne vous cassez pas la tête. C’est ainsi que Méphistophélès se pré-
sente à Faust. Avez-vous lu Faust?21

Esibendo il biglietto da visita del Mefistofele goethiano – «Io mi son


parte di quella possanza che vuole continuamente il male, e continua-
mente produce il bene»22 – il protagonista della Mite appare, oltre che
una reincarnazione dell’«uomo del sottosuolo», un demone moderno
che tenta con successo un’«infelice ingenua, “un’anima bella”».23 Se la

21
F. Dostoïevsky, Krotkaïa, traduit du russe par E. Halpérine, Paris, Plon-Nour-
rit et Cie, s.d. [ma 1886], pp. 17-18; F. Dostoevskij, La mite, in Id., Racconti, a cura
di G. Spendel, Milano, Mondadori, 1991, p. 760: «“Vedete,” osservai subito in
un tono tra scherzo e mistero, “io – io sono una parte di quella forza che vuole
fare il male e fa il bene…” / Mi volse uno sguardo rapido e curioso, che aveva del
resto qualcosa d’infantile: / “Aspettate… Che pensiero è questo? Da dove è presa
questa citazione? Dove l’ho sentita?...” / “Non lambiccatevi, con queste espressioni
Mefistofele si presenta a Faust. Avete letto il Faust?”. La mite era disponibile in ita-
liano già nel 1892 in un volumetto dell’editore Pierro di Napoli arricchito da una
prefazione di Luigi Capuana.
22
W. Goethe, Fausto, trad. di G. Scalvini e G. Gazzino, Firenze, Le Monnier,
18622, pp. 75-76. Fin da giovanissimo, almeno dai tempi di Bonn, Pirandello ha
modo di confrontarsi con il poema nella lingua originale (come peraltro documenta
la sua biblioteca ‘superstite’). Ho formulato in questo saggio l’ipotesi di reminiscen-
ze faustiane nei Sei personaggi sulla base di una traduzione italiana ottocentesca del
capolavoro di Goethe che potrebbe esser capitata tra le mani di Pirandello. Ricco è
il filone di studi dedicati ai rapporti tra Pirandello e Goethe, soprattutto sul piano
della riflessione estetica, ma non ci si è mai chiesti a fondo se e come il Faust abbia
contato nella formazione e nella creatività del Nostro. Eppure il traduttore delle
Elegie romane e di un florilegio delle Conversazioni con Eckermann ha dimostrato,
all’inizio e alla fine della sua carriera, gran dimestichezza con il poema goethiano:
non ancora ventenne pensa di comporre in versi una sua «cantina di Auerbach… in
Palermo»; in un’intervista del 1933 concessa a Cavicchioli cita, contestualizzandolo
esattamente, un verso tratto dal primo atto della Parte Seconda: «In questo nulla
spero di trovare il Tutto». Insomma ci sono i presupposti per un’indagine interte-
stuale che non si fermi alla traduzione, uscita nel 1900, di un frammento del Faust
di Lenau. Per le citazioni di Pirandello dal Faust di Goethe cfr. A. Barbina, L’ombra
e lo specchio. Pirandello e l’arte del tradurre, Roma, Bulzoni, 1998, pp. 28-29 e S.
Micali, Miti e riti del moderno. Marinetti, Bontempelli, Pirandello, Firenze, Le Mon-
nier, 2002, pp. 153-157: 156. Per altri aspetti del rapporto tra i due autori cfr. G.
Corsinovi, La persistenza e la metamorfosi. Pirandello e Goethe, Caltanissetta-Roma,
Salvatore Sciascia, 1997.
23
B. Basile, La finestra e l’icona, in Id., La finestra socchiusa. Ricerche tematiche
su Dostoevskij, Kafka, Moravia e Pavese, Bologna, Patron, 1982, p. 28. Si tenga
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux 173

storia finisce tragicamente, con la giovane che si suicida per sottrarsi alla
violenza psicologica del marito ‘diabolico’, vuol dire che alla citazione
colta si affida il compito di annunciare un’eterogenesi dei fini speculare
rispetto a quella enunciata nel Faust.24 Ne era perfettamente consapevo-
le Dostoevskij, come si evince dal suo taccuino di lavoro:
Che differenza c’è tra il demonio e l’uomo? Il Mefistofele di Goethe
dice alla domanda di Faust (chi egli sia): Io sono una parte di quella
parte del tutto che vuole il male, e fa il bene. Ahimé! l’uomo potrebbe
rispondere, parlando di sé, totalmente all’opposto: «Io sono una parte
di quella parte del tutto che vuole il bene eternamente, ha sete, è avida
di bene, ma il risultato delle cui azioni è sempre e solo il male».25

Pirandello non ha la possibilità di leggere questo appunto – i taccui-


ni di Dostoevskij rimasero inediti fino a tutto il 1970 – e tuttavia nei Sei
personaggi, precisamente nel racconto dell’«antefatto», quando fa suo,
tramite il Padre, il tema dell’eterogenesi dei fini, rovescia anche lui per
ben tre volte le parole del Mefistofele goethiano, dimostrando di aver
inteso la Mite in modo conforme ai piani del suo autore:
Il Padre Se si potesse prevedere tutto il male che può nascere dal
bene che crediamo di fare!26
Il Padre […] buono, umile come lei [il Segretario era umile come
la Madre], incapaci l’uno e l’altra, non che di farlo, ma neppure di
pensarlo, il male!
La Figliastra Lo pensò lui, invece, per loro – e lo fece!
Il Padre Non è vero! Io intesi di fare il loro bene – e anche il mio,
sì, lo confesso! […]27
La Madre E mi mandò via!

presente che, apparendo al delirante Ivan, nei Fratelli Karamazov (1879-1880), il


diavolo cita dalla stessa scena del Faust.
24
Giuseppe Ghini ha colto assai bene questo aspetto della ricezione del Faust
in Dostoevskij: «In polemica con tutte le antropologie illuministe, rousseauiane e
buoniste, Dostoevskij mostra qui l’eterogenesi dei fini propriamente umana, singo-
larmente speculare rispetto a quella demoniaca. Se perfino Mefistofele, agendo […]
“per conto di Dio” non può che compiere il bene, l’uomo, volendo autonomamen-
te, utopisticamente compiere il bene, non può che ottenere il male». Cfr. G. Ghini,
Il bene «inevitabile» del Faust russo, in La storia di Faust nelle letterature europee, a
cura di M. Freschi, Napoli, Cuen, 2000, p. 183.
25
Dostoevskij inedito. Quaderni e taccuini 1860-1881, a cura di L. Dal Santo,
Firenze, Vallecchi, 1981, p. 388. L’appunto si legge nel X Quaderno datato 1876-
1877.
26
SP, p. 693.
27
SP, p. 694.
174 Ivan Pupo

Il Padre Ben provvista di tutto, a quell’uomo, sissignore, – per


liberarla di me!
La Madre E liberarsi lui!
Il Padre Sissignore, anch’io – lo ammetto! E m’è seguito un gran
male! Ma a fin di bene io lo feci… e più per lei che per me: lo giuro!28

Il Mefistofele goethiano è una semplice pedina sulla scacchiera del


disegno divino. Nel Prologo in cielo lo stesso Signore lo fa intendere
chiaramente, enunciando per la prima volta nel poema una concezione
ottimistica del Male. Secondo le modalità speculari che Pirandello aveva
appreso leggendo la Mite, l’eterogenesi dei fini si fa sentire anche nel
dramma familiare dei Sei personaggi, costringendo il Padre a riconoscere
tutto il male scaturito dai suoi progetti29. Non è un hapax nel teatro
dell’Agrigentino. Nell’Amica delle mogli (1927) il «diabolico» Francesco
Venzi denuncia l’«effetto di male» che la condotta di Marta, benché
improntata a gentilezza, generosità, «immacolata bontà», produce im-
mancabilmente:
Venzi […] perché tutta codesta sua bontà immacolata –
Marta – ma io non me la riconosco, sa!
[…]
Venzi – sì – e dà il martirio a tutti con codesta sua immacolata bon-
tà: affascina questo, affascina quello – le donne non meno degli uomini
– ne siamo presi tutti – ne soffriamo tutti – e questa è la sua vendetta! -.
[…]
Marta – ma di che vendetta?
Venzi – di non esserci accorti a tempo del bene che avevamo vici-
no! di tutto codesto miracolo di gentilezza, di pietà, di generosità, che
seguita a dimostrarci, sempre, in tutto; e con effetto di male, sempre!30

28
SP, p. 695.
29
A questo proposito Franca Angelini commenta: «La condizione umana qui
descritta nella Figura del Padre è quella, tragica, di chi non dispone della possibilità
di progettare il proprio destino; e di chi, come il Padre, elabora principî morali
che non è in grado di osservare». Cfr. F. Angelini, Sei personaggi in cerca d’autore di
Luigi Pirandello, in Letteratura italiana. Le opere. Vol. IV Il Novecento. Tomo I L’età
della crisi, Torino, Einaudi, 1995, p. 485.
30
L. Pirandello, L’amica delle mogli, in Id., Maschere nude, a cura di A. d’Ami-
co, con la collaborazione di A. Tinterri, vol. III, Milano, Mondadori, 2004, p. 728.
Il «diabolico» Francesco Venzi ha un altro tratto in comune con il Padre dei Sei per-
sonaggi: se il primo, oltre a «pensarle certe cose», come è «naturale» che sia, è poi «in
grado anche di dirle» (ivi, p. 727), il secondo dimostra di aver il «coraggio di dirle,
certe cose» cui conduce la miseria della carne, mentre tutti gli altri si limitano a
farle di nascosto (SP, p. 699). Per uno stimolante ritratto del villain dell’Amica delle
mogli cfr. R. Gigliucci, Introduzione a L. Pirandello, L’amica delle mogli (secondo
l’edizione Bemporad 1927), a cura di R. Gigliucci, Roma, Lithos, 2020, pp. 5-20.
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux 175

Si direbbe che anche Marta dell’Amica delle mogli abbia ceduto alla
tentazione degli esperimenti luciferini. Risalendo alla loro matrice let-
teraria è possibile vedere sotto un’altra luce la «condanna» che affligge il
Padre nei Sei personaggi:
Il Padre (solenne) Il momento eterno, com’io le ho detto, signore!
Lei / indicherà la Figliastra / è qui per cogliermi, fissarmi, tenermi ag-
ganciato e sospeso in eterno, alla gogna, in quel solo momento fuggevo-
le e vergognoso della mia vita. Non può rinunziarvi, e lei, signore, non
può veramente risparmiarmelo.
Il Capocomico Ma sì, io non dico di non rappresentarlo: formerà
appunto il nucleo di tutto il primo atto, fino ad arrivare alla sorpresa di
lei – / indicherà la Madre.
Il Padre Ecco, sì. Perché è la mia condanna, signore! Tutta la nostra
passione, che deve culminare nel grido finale di lei! / Indicherà anche lui
la Madre.31

Ricordiamoci del patto stipulato da Faust. Se questi dovesse dire


all’attimo «T’arresta! Oh, sei pur bello!», riconoscendovi l’esperien-
za di un suo pieno godimento, in quello stesso istante perderebbe la
scommessa e apparterrebbe a Mefistofele. L’attimo «imbalsamato vivo»
nell’animo tormentato del Padre non corrisponde affatto ad un appa-
gamento del desiderio, nondimeno lo condanna in eterno agli inferni
della vergogna e del rimorso.32 La sottile riscrittura ha qui l’aria di una
parodia. Altre volte invece il calco, forse ancora più evidente, non sem-
bra presupporre un’intenzione ironica. Mefistofele riappare nello studio
di Faust nei panni di un giovin signore:
Mefistofele Così mi piaci; e noi ce la intenderemo insieme, spero.
E già, per cacciarti del capo le fantasticaggini, eccomi a te razzimato
come un gentiluomo […] e, senza più, ti consiglio che tu faccia il mede-
simo, e svincolato e fuori d’impaccio, esca meco a sperimentare la dolce
vita.
Fausto In qualsivoglia veste io proverò le noie e l’angustia di questo
viver mortale. Son troppo vecchio per attendere solo a’ piaceri, e troppo
giovane perché tacciano in me tutti i desideri.33

31
SP, pp. 735-736.
32
Per le parole pronunciate da Faust nel momento decisivo del patto con Me-
fistofele cfr. W. Goethe, Fausto, cit., p. 85. Del grido della Madre che interrompe
la scena dell’incesto si dice nella Prefazione ai Sei personaggi che esso è destinato a
risuonare per sempre inalterato e inalterabile, «imbalsamato vivo nella sua forma
immarcescibile». Cfr. SP, p. 664. Per altri significati ed altre fonti del momento
eterno, sintagma ricorrente in Pirandello, si veda il mio saggio, già citato, in corso
di stampa sulla «Modernità letteraria».
33
W. Goethe, Fausto, cit., p. 81 (c.vo mio).
176 Ivan Pupo

Impossibile non pensare a questo sfogo del Padre:

[…] Ah miseria, miseria veramente, per un uomo solo, che non


abbia voluto legami avvilenti; non ancor tanto vecchio da poter fare a
meno della donna, e non più tanto giovane da poter facilmente e senza
vergogna andarne in cerca!34

2. Esperimenti sul palcoscenico

Alla fine del primo ‘atto’ il Capocomico accetta di «concertare» la


commedia da fare, cedendo alle insistenze del Padre:

Il Direttore Eh… quasi quasi, mi tenta… Così, per un giuoco…


Si potrebbe veramente provare…
Il Padre Ma sì, signore! Vedrà che scene verranno fuori! Gliele pos-
so segnar subito io…
Il Direttore Mi tenta... mi tenta. Proviamo un po’… Venga qua
con me nel mio camerino […] Vediamo, tentiamo… Forse potrà venir
fuori veramente qualcosa di straordinario…35

Ho riportato lo scambio di battute nell’edizione del 1921 (dove il


Capocomico è designato come Direttore, ma continuerò a chiamarlo
Capocomico), perché mi interessa ora la traduzione che ne fa Crémieux
nel 1923:

Le Directeur Heu… Vous me tentez presque… C’est une


expérience à faire…
Le Père Mais oui, monsieur le directeur. Et vous verrez les scènes
qui sortiront de là… Je peux déjà vous les indiquer…
Le Directeur Vous me tentez vraiment. Nous allons essayer… Ve-
nez un peu avec moi dans mon bureau […] Voyons, essayons… Il pour-
rait sortir de là quelque chose de vraiment extraordinaire36.

34
SP, 698. Il sintagma «non ancor vecchio e non più giovane» torna, a proposi-
to del vedovo Pardi, nella tarda novella pirandelliana I piedi sull’erba (1934).
35
SP 1921, p. 985, c.vo mio.
36
L. Pirandello, Six personnages en quête d’Auteur, traduction di B. Crémieux,
«Les cahiers dramatiques», supplement au «Théatre et Comoedia Illustré», n. 4,
août 1923 (d’ora in poi C 1923), p. 10. Si tenga conto anche del copione di scena
dei Sei personaggi che Georges Pitoëff utilizzò per la memorabile messinscena pa-
rigina del 1923, un dattiloscritto in cui la traduzione di Crémieux è postillata dal
regista russo. Cfr. I. Pupo, La giornata perduta di un Capocomico, in Id., Crimini
familiari e scena teatrale. Ibsen, Pirandello De Filippo, prefazione di R. Alonge, Na-
poli, Liguori, 2015, pp. 83-137.
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux 177

Il sottotitolo dei Sei personaggi – «commedia da fare», un’indicazione


di genere destinata a cadere solo nell’edizione del 1933 – ricompare
sulla bocca del Padre: «Guardino, guardino: la commedia è da fare»37.
Crémieux fa riecheggiare la battuta nelle parole con cui il Capocomico
si mette in gioco, mostrandosi disponibile a soddisfare le richieste dei
Personaggi. Se il Padre puntualizza: «Comprenez bien: la pièce est à
faire»38, il Capocomico concede: «C’est une expérience à faire».
L’accordo tra Padre e Capocomico non sarebbe possibile senza una
comune tendenza alla sperimentazione. La strana frase che ci ha finora
impegnato sul versante dell’intertestualità – nella traduzione di Cré-
mieux il Figlio accenna al «démon de l’expérience»39 – va intesa anche
in senso autoriflessivo e meta-teatrale.40 Alcune delle più coraggiose
aperture al nuovo nei Sei personaggi sono firmate dal Capocomico e dal
Padre. Al primo Pirandello affida il compito di ridisegnare il ruolo del
Suggeritore, lasciando intendere la necessità della sua eliminazione.41
Quello del Capocomico è un modo nuovo di fare teatro, e insieme an-
tichissimo, dal momento che la «realizzazione scenica improvvisa»42 da
lui tentata, basata su una semplice «traccia»43, appena uno schema della
«commedia da fare», richiama la tradizione dei «Comici dell’Arte»44 che
l’Attor Giovane espressamente ricorda alla fine del primo ‘atto’45.

37
SP 1921, p. 960 e SP, p. 684.
38
C 1923, p. 4.
39
«Le fils […] Il va vous parler du démon de l’expérience» (C 1923, p. 5).
40
Intenderei in questo modo la definizione del «Dèmone dell’Esperimento»
come «allegoria dell’opera d’arte» che si legge in una preziosa biografia pirandellia-
na: A. Andreoli, Diventare Pirandello. L’uomo e la maschera, Milano, Mondadori,
2020, p. 353. Giustamente Annamaria Andreoli individua un’eco dai Fratelli Ka-
ramazov nel commento sprezzante del Figlio – «Frasi» – alla «formula di comodo»
del Padre, in particolare una variante della seguente battuta di Alëša: «Eh le frasi
[…] Le frasi toccanti consolano l’anima… e, senza di esse, il dolore sarebbe troppo
acerbo per gli uomini». Cfr. F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Torino, Einaudi,
2014, p. 477 e A. Andreoli, Le maschere familiari di un capolavoro, introduzione a L.
Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, Milano, Mondadori, 2019, p. XXXVII.
41
Con intenzioni parodistiche Pirandello capovolge il ruolo del Suggeritore: «Il
Capocomico (seguitando, al Suggeritore) Lei segua le scene, man mano che saranno
rappresentate, e cerchi di fissar le battute, almeno le più importanti!» (SP, p. 709;
vedi anche SP 1921, pp. 993-994). Sulla battaglia che Pirandello conduce per l’a-
bolizione del suggeritore si sofferma Dario Niccodemi, il capocomico che dirige la
‘prima’ dei Sei personaggi, nel suo Tempo passato, Milano, Treves, 1928, pp. 86-87.
42
Se ne parla nella Prefazione del 1925. Cfr. SP, p. 657.
43
SP, p. 705 e SP 1921, p. 985.
44
SP xxi e xxv, p. 986
45
«L’attor giovane Già! Come i Comici dell’Arte!». Cfr. SP, p. 706 e SP 1921,
p. 986. Per la fascinazione esercitata su Pirandello dal mito della commedia dell’Ar-
178 Ivan Pupo

All’iniziativa del Padre si deve invece la trovata dei cappellini e la


sorprendente teatralizzazione del settimo Personaggio. Nella Prefazione
del 1925 si afferma che la «fantastica nascita» di Madama Pace è «so-
stenuta da una vera necessità», ma si fa altresì presente che «nulla in
questa commedia esiste di posto e di preconcetto: tutto vi si fa, tutto vi
si muove, tutto vi è tentativo improvviso»46. In effetti, preparando l’ap-
parizione di Madama Pace, il Padre non esibisce la sicumera del mago,
ma piuttosto l’umiltà del ricercatore disposto a verificare in laboratorio
la bontà di una sua ipotesi. Come dire che l’espediente dell’evocazione
medianica è messo alla prova del palcoscenico:

Il Padre Ecco, signore: forse, preparandole meglio la scena, attratta


dagli oggetti stessi del suo commercio, chi sa che non venga tra noi…47

Traducendo la battuta del Capocomico nel modo che si è visto –


«C’est une expérience à faire» – Crémieux rende più coeso e più ricco
un campo semantico già presente nel testo originario. Può essere utile
confrontarla con la definizione che nel Tommaseo-Bellini si dà di espe-
rire: «provare non per dimostrare, ma per tentare, far saggio»48. Che poi
è esattamente quello che fa l’Autore negli anni della Grande Guerra
decisivi, per sua stessa ammissione, per la sua vocazione teatrale. Così
ricorda Pirandello in un articolo apparso su «Le Temps» il 20 luglio del
1925, nella traduzione di Crémieux:

C’est exactement pendant la guerre que j’ai éprouvé l’impossibilité


de m’appliquer avec calme et sérénité, je ne dis pas seulement à des tra-
veaux de longue haleine, mais même à la creation de brèves nouvelles49.

Sperimentare ha significato per Pirandello anche adattare ad un nuo-

te, per le rilevanti tracce di questo mito nella trilogia meta-teatrale e negli ultimi
scritti sul teatro, si veda G. Romei, Un intervento poco conosciuto di Luigi Pirandello:
Prefazione a E. Levi, Lope de Vega e l’Italia, «Rivista di studi pirandelliani», n. 8-9,
giugno-dicembre 1992, pp. 95-97.
46
SP, p. 665, c.vo mio.
47
SP, p. 717, c.vo mio.
48
Cfr. la voce Esperire in N. Tommaseo, B. Bellini, Dizionario della lingua
italiana, vol. II, parte I, Torino, Unione tipografico-editrice, 1869, p. 558. Il dizio-
nario è presente nella biblioteca di Pirandello.
49
L. Pirandello, En confidence, «Le Temps», 20 luglio 1925, p. 2 (c.vo mio).
Così ri-traduce Claudio Vicentini, al quale va il merito di aver per primo richia-
mato l’attenzione su questo articolo: «È esattamente durante la guerra […] che ho
sperimentato l’impossibilità di applicarmi, con calma e serenità, non dico a lavori
di ampio respiro, ma addirittura alla creazione di brevi novelle» (c.vo mio). Cfr. C.
Vicentini, Pirandello il disagio del teatro, Venezia, Marsilio, 1993, p. 56.
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux 179

vo contesto, cioè alle «passioni contrastanti» della «strana famiglia»,50


una suggestione dei Demoni di Dostoevskij già ampiamente sfruttata,
con maggiore aderenza alla fonte, in una novella del 1912, L’imbecille (e
poi riproposta nell’atto unico del 1922 tratto dalla novella). La Figlia-
stra si accorge che il Giovinetto ha una rivoltella in tasca:

La Figliastra […] Che hai lì? Che nascondi? Fuori, fuori questa
mano! / Gli strapperà la mano dalla tasca e, tra l’orrore di tutti, scoprirà
ch’essa impugna una rivoltella. Lo mirerà un po’ come soddisfatta; poi dirà,
cupa: / Ah! Dove, come te la sei procurata? / E poiché il Giovinetto, sbi-
gottito, sempre con gli occhi sbarrati e vani, non risponderà: / Sciocco, in
te, invece d’ammazzarmi, io, avrei ammazzato uno di quei due; o tutti
e due: il padre e il figlio!51

Nonostante il contesto completamente diverso e una variante di non


poco conto, il modello appare ancora riconoscibile. Rappresentando
una scena che a ben vedere non è mai avvenuta, combinata solo per
rendere più intellegibile il dramma agli spettatori, la Figliastra definisce
il Giovinetto «sciocco» – dopo avergli dato poco prima, significativa-
mente, dell’«imbecillino»52 – perché, invece di ammazzarsi, non ha uc-
ciso il Padre e il Figlio. Nella fonte dostoevskiana il capo dei nichilisti,
Pëtr Stepanovič Verchovenskij, ottiene da Kirillov – giovane ingegnere
ateo che progetta di togliersi la vita – un contributo alla causa rivolu-
zionaria, facendogli firmare, prima del fatale gesto, una dichiarazione
in cui si assume la responsabilità dell’assassinio di Šatov (ucciso invece
proprio da Pëtr e dai suoi complici, timorosi di una sua denuncia).
Nell’Imbecille, racconto ed atto unico, le parti si invertono, perché è il
morituro Luca Fazio, che da qualche tempo medita il suicidio, a dettare
al politicante senza scrupoli – il «fiero repubblicano» Leopoldo Paroni,
un Verchovenskij in sedicesimo, potenziale mandante dell’assassinio di
Mazzarini, capo della fazione a lui avversa – il biglietto che ne patenta la
buffoneria, la pochezza politica ed umana, l’imbecillità.
C’è poi un passaggio del colloquio tra il nichilista e l’aspirante
suicida nei Demoni che sembra aver esercitato una diretta e puntuale
influenza sull’idea di base dell’Imbecille e sulla battuta della Figliastra.
All’ateo Kirillov che con il suicidio vorrebbe proclamare la pienezza del
suo libero arbitrio, Pëtr indica un’altra via per raggiungere lo stesso sco-

50
Per queste espressione si veda la Prefazione (SP, p. 657).
51
SP, p. 752.
52
«La Figliastra […] quando […] quest’imbecillino qua / spingerà avanti il
Giovinetto, afferrandolo per una manica sgarbatamente / farà la più grossa delle corbel-
lerie, proprio da quello stupido che è […]». Cfr. SP, p. 686 e SP 1921, pp. 962-963.
180 Ivan Pupo

po, una soluzione alternativa che l’interlocutore rifiuta con sdegno:

– Savez-vous une chose? observa-t-il d’un ton agacé, – à votre place,


pour manifester mon indépendance, je tuerais un autre que moi. Vous
pourriez de la sorte vous rendre utile. Je vous indiquerai quelqu’un,
si vous n’avez pas peur. Alor, soit, ne vous brûlez pas la cervelle au-
jourd’hui. Il y a moyen de s’arranger.53

“Potresti non ucciderti oggi, rinviare il gesto estremo, per uccidere


qualcuno che ti indicherò e tornare così utile alla causa rivoluzionaria”.
È esattamente quello che nell’Imbecille avrebbe detto Paroni a Pulino,
se ne avesse avuto l’opportunità, ed è proprio quello che dice Mazzarini
a Fazio. Se fosse fino in fondo rispettosa del modello dostoevskiano che
ha ispirato il suo Autore, la Figliastra dovrebbe intimare al Giovinetto:
“Potresti non ucciderti oggi, rinviare il gesto estremo, per fare una strage
in famiglia e tornare così utile ai «diavoli in testa» che mi straziano”.

3. Una confessione senza ritegno

Ostinandosi a non voler rappresentare la terribile scena con la Ma-


dre, in cui peraltro non avrebbe detto nulla, il Figlio arriva a buttare a
terra il Padre che si è mostrato insofferente della sua insubordinazione
per partito preso. Il gesto ha il significato di un parricidio simbolico ed
è accompagnato da queste esacerbate parole:

Il Figlio […] Ma che cos’è codesta frenesia che t’ha preso? Non
ha ritegno di portare davanti a tutti la sua vergogna e la nostra! […]54

Ad essere stigmatizzata non è solo la generica «smania di aver vita»


53
Th. Dostoïevsky, Les possédés, t. II, cit., pp. 336-337; F. Dostoevskij, I de-
moni, cit., p. 812: «“Sa invece come la penso io”, osservò in tono irritato, “al suo
posto io, per manifestare il mio libero arbitrio, ucciderei qualchedun altro, e non
me stesso. Lei così potrebbe tornare utile. Le indicherò io chi, se lei non si spaventa.
In tal caso potrebbe non uccidersi oggi. Ci potremmo mettere d’accordo». Spetta
ad Eurialo De Michelis il merito di aver individuato per primo nel «caso di Kirillov
nei Demoni» l’ipotesto dell’Imbecille pirandelliano. Solo che lo studioso si ferma
alla variante, all’inversione delle parti, senza tener conto del brano dostoevskiano
appena citato dal quale la ripresa da parte di Pirandello appare puntualissima, par-
ticolarmente aderente alla fonte. Cfr. E. De Michelis, Dostoevskij nella letteratura
italiana [1972], in Dostoevskij nella coscienza d’oggi, cit., p. 180. Per altre conside-
razioni sul modello dostoevskiano dell’Imbecille si veda il mio saggio, già citato, in
corso di stampa sulla «Modernità letteraria».
54
SP, p. 754.
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux 181

che il Padre sente insieme alla Figliastra, secondo quanto si legge nella
Prefazione alla pièce.55 Il Figlio non sopporta che il genitore metta in
piazza i panni sporchi di famiglia, che dica «certe cose» senza pudore,
che «scopra con il lume dell’intelligenza il rosso della vergogna» da tutti
condivisa. Si potrebbe dire che la sua è una protesta di riservatezza. In
questo la Madre gli è solidale, tant’è che ella supplica il Capocomico di
impedire al Padre di «ridurre ad effetto il suo proposito»,56 che è quel-
lo di rappresentare e far rappresentare con dovizia di dettagli la scena
dell’incontro nel bordello di Madama Pace. L’impazienza di viverla su-
bito sulle tavole del palcoscenico risponde nella Figliastra ad un’esigenza
vendicativa,57 nel Padre al bisogno di castigarsi, di sfogare il «rimorso».
Si tratta solo di questo? La Figliastra non ne sembra affatto convinta:

Il Capocomico Benissimo! E le par poco il peso di tanto rimorso


su lui? Gli dia modo di rappresentarlo!
La Figliastra E come, scusi? Dico, come potrebbe rappresentare
tutti i suoi «nobili» rimorsi, tutti i suoi tormenti «morali», se lei vuol
risparmiargli l’orrore d’essersi un bel giorno trovata tra le braccia, dopo
averla invitata a togliersi l’abito del suo lutto recente, donna e già ca-
duta, quella bambina, signore, quella bambina ch’egli si recava a vedere
uscire dalla scuola?58

Si evidenzia qui lo spiccato narcisismo del Padre, il suo crogiolarsi


nell’autocondanna, onde poter suscitare nell’ascoltatore pietà, sgomen-
to e anche un po’ di ammirazione. La sua pubblica confessione aspira a
racchiudere, oltre alle miserie della carne, una straordinaria quantità di
nobiltà e di moralità che afferisce alla sfera della contrizione. Con lo spi-
rito critico e la puntigliosità che la contraddistinguono per tutta la du-
rata della pièce, la ragazza aveva già giudicato insopportabile la tendenza
del libertino a lasciare delle scappatoie alla coscienza che gli rimorde:
La Figliastra […] Ah, che schifo, allora, che schifo di tutte co-
deste complicazioni intellettuali, di tutta codesta filosofia che scopre
la bestia e poi la vuol salvare, scusare… Non posso sentirlo signore!59

55
SP, p. 662.
56
SP, p. 688.
57
«La Figliastra […] Vergogna? È la mia vendetta! Sto fremendo, signore,
fremendo di viverla, quella scena!» (SP, p. 691). Si veda anche quest’altra battuta:
« […] Ma sì, subito! subito! Mi muoio, le dico, dalla smania di viverla, di viverla
questa scena! […]» (SP, p. 720).
58
SP, p. 691.
59
SP, p. 699. Parlando di ‘confessione con scappatoia’ del Padre pirandelliano,
penso alla «parola con scappatoia» di cui parla Bachtin nel suo studio su Dostoe-
182 Ivan Pupo

Tocca poi al Capocomico indurre il Padre ad attribuirsi una certa


spontanea vocazione teatrale:

Il Capocomico Eh via, lei deve aver recitato!


Il Padre Ma no, signore: quel tanto che ciascuno recita nella parte
che si è assegnata, o che gli altri gli hanno assegnato nella vita. E in me,
poi, è la passione stessa, veda, che diventa sempre, da sé, appena si esalti
– come in tutti – un po’ teatrale…60

Nella «coazione a confessare» del Padre entrano dunque a pieno


titolo esibizionismo, volontà narcisistica di esposizione, anche a spese
del bisogno di estrinsecarsi degli altri, mancanza di pudore, esaltazione
istrionica, tendenza a scusarsi e a giustificarsi per liberarsi dei sensi di
colpa.61 È come se il Padre, con l’occhio costantemente rivolto al pub-
blico, stesse facendo un esperimento o lanciasse una sfida, nella pretesa
di dire la verità estrema su di sé. A ben guardare, più un atto di orgoglio
che di umiltà. Il suo «proposito» di far venire fuori «tutto quel che gli
bolle in pentola»62 può essere messo in relazione con le motivazioni del-
la confessione in Dostoevskij? Limitiamoci a due soli esempi.
In Delitto e castigo Svidrigajlov racconta a Raskoln’nikov certe sue
turpi azioni, senza nascondergli il piacere di scandalizzarlo:

­­Quel austère moraliste! […] Où la vertu va-t-elle se nicher? Ha!


Ha! Savez-vous que vous m’amusez beaucoup avec vos exclamations
indignées.63

vskij, dove la «scappatoia è il lasciarsi aperta la possibilità di mutare il senso ultimo,


totale della propria parola» da parte del personaggio. Così, ad esempio, la voce di
Nastas’ja nell’Idiota «si scinde nella voce che la riconosce colpevole, “donna perdu-
ta”, e nella voce che la giustifica e l’accetta». Cfr. M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e
stilistica, trad. di G. Garritano, Torino, Einaudi, 2002, p. 305 e p. 338 (ma si ve-
dano le pp. 311-352 per altre esemplificazioni della confessione nei romanzi dello
scrittore russo).
60
SP, p. 705.
61
Per la «coazione a confessare» nel teatro di Pirandello si veda C. Segre, Intrecci
di voci. La polifonia nella letteratura del Novecento, Torino, Einaudi, 1991, pp. 45-
57: 54.
62
SP, p. 733.
63
Th. Dostoievsky, Le crime et le châtiment, t. II, cit., p. 230: F. Dostoevskij,
Delitto e castigo, cit., p. 594: «Schiller! Il nostro Schiller! Schiller, davvero! Où va-
t-elle la vertu se nicher? [in francese nel testo] Ma sapete che io vi racconterò appo-
sta delle cose del genere al solo scopo di sentire le vostre esclamazioni. È un vero
godimento». Come si vede, in questo caso la traduzione di Derély si discosta dalla
lettera del testo originario. Vittorio Strada parla di un colloquio tra «una schöne
Seele schilleriana di stampo russo e una non meno russa anima sovrana lucida e
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux 183

Nell’Idiota (1868) si assiste ad un petit-jeu. Alla festa di Nastas’ja,


per ingannare il tempo, ciascuno a turno deve raccontare la più brutta
di tutte le cattive azioni della propria vita. Non mancano osservazioni
acute sulla torbida psicologia cui si affida questo singolare gioco di so-
cietà:

Cette idée est ridicule […] mais, du reste, elle se comprend: c’est
une façon comme une autre de se vanter.64

Vous me prouvez aussi […] qu’on peut trouver un plaisir enivrant à


raconter ses turpitudes, sans même y être invité par personne…65

Bisogna riconoscere che nei Sei personaggi il Padre non arriva mai a
tanto cinismo ed immoralismo. Ma un suo fratello nella narrativa, per
più aspetti a lui somigliante, Marco Leuca della novella Pena di vivere
così,66 vi perviene senz’altro, avendo modo di sviluppare le sue potenzia-
lità dostoevskiane nel corso degli anni, lungo il percorso che dalla prima
edizione del testo datata 1920 porta alla sua ultima revisione nell’autun-
no del 1936. Nella princeps la confessione di Leuca alla moglie, da cui
è tornato dopo una «parentesi di aberrazione», ricorda molto quella del
Padre, anche nelle sue scappatoie:

Le si è intenerito davanti fino alle lacrime parlando di queste priva-


zioni [non ha più un «soldo in tasca» per l’ingordigia dell’amante]; ma
non le ha chiesto nulla; né poteva dopo quella confessione che voleva
parer fatta con l’intento di scusare, se non in tutto, in parte la sua abie-

beffarda di libertino sadiano». Cfr. V. Strada, Il problema di “Delitto e castigo”, in


Id., Tradizione e rivoluzione nella letteratura russa, Torino, Einaudi, 1969, p. 80.
64
Th. Dostoïevsky, L’idiot, traduit du russe par Victor Derély et précédé d’une
préface par le V.te E. Melchior de Vogüé, t. I, Paris, Plon-Nourrit et Cie, 1887, p.
187; F. Dostoevskij, L’idiota, trad. di G. Pacini, Milano, Feltrinelli, 201917, p. 193:
«È un’idea ridicola [quella del petit-jeu] ma del resto comprensibile: è solo una
vanteria di genere particolare».
65
Th. Dostoïevsky, L’idiot, t. I, cit., p. 191; F. Dostoevskij, L’idiota, cit., p.
196: «Lei […] non fa che convincermi del fatto che effettivamente si può provare
un piacere addirittura estatico a raccontare le proprie azioni più turpi, anche senza
esserne richiesto…».
66
Lucio Lugnani ha messo in evidenza importanti sovrapposizioni del racconto
con la pièce del 1921 nel suo commento a Pena di vivere così. Cfr. L. Lugnani, Note
a Tutte le novelle vol. III. 1914-1936, a cura di L. Lugnani, Milano, Bur, 2007, p.
783. Si tenga presente che nel primo numero – dicembre-gennaio 1920-1921 --
del «Nuovo romanzo mensile», la rivista in cui il racconto appare per la prima volta,
una nota redazionale accenna alla «nuova commedia Sei personaggi» cui Pirandello
sta «ultimamente lavorando».
184 Ivan Pupo

zione, rovesciandola addosso a quella donna [l’amante] e accusando sé


soltanto per la debolezza della propria natura così purtroppo inchine-
vole a cedere a tutte le tentazioni dei sensi […]67

È probabile che solo per un «po’ di sollievo alla colpa che pesa»68
Leuca chieda il riavvicinamento, qualche visitina alla moglie di tanto in
tanto: così almeno fa intendere il suo avvocato.
In occasione della tarda revisione, un lavoro lasciato incompiuto
per la morte dell’Autore, questo profilo morale già decisamente basso
si rende ancor più inquietante, perché vi si innesta la psicologia del
libertino sadiano, cioè la natura di un Svidrigajlov. Uscito dalla casa
della moglie, dopo l’impudica confessione dei suoi turpi vizi, ecco il
personaggio ritratto – all’inizio del sesto paragrafo scritto ex-novo, privo
quindi di qualsiasi riscontro nella redazione del 1920 – come «ubriaco
di soddisfazione» per aver «rappresentato bene la sua parte»69 di uomo
sinceramente addolorato, in cammino sulla via della redenzione. Se il
Padre nei Sei personaggi resta come «impietrato» al «gemito» della Ma-
dre, coatta spettatrice della scena del bordello,70 questo nuovo Leuca
reso più spregevole dalla riscrittura, sorta di Mr Hyde del Padre, ubriaco
di un vino tracannato nelle cantine di Dostoevskij, assapora con per-
versa voluttà gli effetti ambivalenti – repulsione-attrazione – che «certe
oscene immagini di vizi insospettati» hanno provocato nella sua candida
ascoltatrice. L’attore consumato plaude a se stesso, constatando la per-
fetta riuscita del suo luciferino esperimento:

E che gusto a vederla impallidire a certe descrizioni, con gli occhi


intorbidati, poverina, e pur fissi fino allo spasimo, dietro quelle lenti in
cima al naso. Eh, perché, sì, faranno schifo, ma quando certe cose che
nessuno vede, c’è chi trova il modo di farle vedere, è inutile, attirano la
curiosità […]71

67
L. Pirandello, Pena di vivere così (1920), in Id., Novelle per un anno, a cura
di M. Costanzo, introduzione di G. Macchia, vol. II, Milano, Mondadori, 19965
(d’ora in poi NA2), p. 1022.
68
Ivi, p. 1014.
69
L. Pirandello, Pena di vivere così (revisione del 1936), in NA2, p. 223.
70
«La Madre Oh Dio! Dio mio! / Il Padre (resterà al gemito, come impietrato
per un lungo momento […]» (SP, p. 724).
71
L. Pirandello, Pena di vivere così (revisione del 1936), in NA2, p. 223.
La genesi del personaggio: un percorso tra filosofia,
psicologia, metapsichica, teosofia attraverso
i seduttivi input critici di Luigi Capuana
di Graziella Corsinovi

La splendida prefazione con cui nel 1921 Pirandello motiva la na-


scita dei Sei Personaggi in cerca d’autore, la più rivoluzionaria opera
teatrale del ’900, sintetizza le fondamentali direttrici della genesi del
personaggio, a questa data ormai completamente compiuta, maturata
lungo percorsi multipli, riccamente articolati, che risalgono alle varie
componenti della sua formazione culturale. Essa comprende l’esplora-
zione di testi di letteratura, di filosofia, di psicologia ed anche di scritti
sullo spiritismo, sulla metapsichica, sulla teosofia1 che dimostrano lo
straordinario interesse dello scrittore per un mondo aperto alla vertigi-
ne del mistero, al brivido dell’oltre, al lato oscuro e indecifrabile di una
realtà in crisi, ormai crollata nella sua solidità oggettivistica e nelle sue
appaganti certezze scientifiche.
Il parallelo tra il personaggio, nato dalle fantasia dell’artista e la cre-
atura nata da donna è dovuto all’influsso dell’irrazionalismo vitalistico
del Séailles:2

1
Sull’argomento va rivisitato lo splendido saggio (che ho avuto l’onore di
prefare) di A. Illiano, Metapsichica e letteratura in Pirandello, Vallecchi,1982, che
apre, con ampia e rigorosa documentazione storico- critica, un’ area di indagine su
competenze e conoscenze dello scrittore estremamente utili per ricomporre tutti i
tasselli della sua Weltanschauung e della genesi del personaggio.
2
G. Séailles (1852-1922) filosofo francese esponente dell’irrazionalismo vita-
listico e spiritualista, pubblicò anche notevoli monografie su Leonardo da Vinci
(1892) su Ernest Renan1896) ed altri autori. Ma il testo più importante per l’in-
flusso che ebbe su Pirandello per la visione del mondo e per l’ideologia estetica,
fu Essai sur le génie dans l’art, Parigi, Alcan, 1883-92. Pirandello, secondo una
sua tipica e ricorrente modalità, si appropria dei concetti altrui in succum et in
sanguinem, facendoli talmente suoi da non premurarsi quasi mai di citare la fonte
all’interno del suo argomentare critico. L’esemplificazione di questo procedimento
pirandelliano potrebbe essere vastissima; ma rinviamo, in proposito, al lavoro det-
tagliato e documentato dell’Andersson. Passando in rassegna scrupolosamente e
con un preciso raffronto testuale i brani originali tratti sia dal Séailles sia dal Binet,
li confronta con le relative traduzioni di Pirandello. Interi passi (più di cento bra-
ni!) sono tradotti dal francese con minime varianti e, come ha dimostrato Gosta
186 Graziella Corsinovi

Quale autore potrà mai dire come e perché un personaggio gli sia
nato nella fantasia? Il mistero della creazione artistica è il mistero
stesso della nascita naturale. Può una donna, amando, desiderare di
diventar madre; ma il desiderio da solo, per intenso che sia, non può
bastare. Un bel giorno ella si troverà a esser madre, senza un preciso
avvertimento di quando sia stato.
Così un artista, vivendo, accoglie in sé tanti germi della vita, e
non può mai dire come e perché, a un certo momento, uno di questi
germi vitali gli si inserisca nella fantasia per divenire anch’esso una
creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza
quotidiana.
Posso soltanto dire che, senza sapere d’averli punto cercati, mi tro-
vai davanti, vivi da poterli toccare, vivi da poterne udire perfino il re-
spiro, quei sei personaggi che ora si vedono sulla scena. E attendevano,
lì presenti, ciascuno col suo tormento segreto e tutti uniti dalla nascita
e dal viluppo delle vicende reciproche, ch’io li facessi entrare nel mon-
do dell’arte, componendo delle loro persone, delle loro passioni e dei
loro casi un romanzo, un dramma o almeno una novella.3

Nati vivi, volevano vivere.

Si nasce alla vita in tanti modi, in tante forme: albero o sasso, acqua
o farfalla. . . o donna. E che si nasce anche personaggi!. . . E vivi, come
ci vede!4

La appartenenza del personaggio, creatura d’arte nata dalla fantasia


dello scrittore, allo stesso flusso di energia-il libero movimento vitale-che
permea la materia universale e che prosegue sul piano spirituale l’azione
della natura,deriva dunque da Gabriel Séailles, autore basilare, insieme
al Binet,5 per la formulazione della Weltanschauung pirandelliana. Ma

Andersson, compaiono negli scritti di Pirandello fin dal 1893, si ripresentano nei
saggi, nei romanzi, nei drammi, innestandosi al discorso critico o narrativo con
una frequenza e una densità che non lasciano dubbi sulla persistenza profonda di
nuclei ideologici e tematici tratti dai due scrittori. Si veda G. Andersson, Arte e
teoria-Studi sulla poetica del giovane Luigi Pirandello,Almqvist and Wiksell, Stoc-
colma, Uppsala, 1966. Lo studioso ha poi ulteriormente approfondito l’analisi in
un altro scritto: Il saggista Gosta Andersson, Pirandello lettore di Gabriel Séailles in
“Atti del Convegno” su Pirandello saggista, Palermo, Palumbo, 1982, pp. 303-31.
3
Sei personaggi in cerca d’autore in L. Pirandello, Maschere nude-Tutto ilteatro,
Roma, Newton Compton, 2005, p. 46. Per comodità, le citazioni saranno ricavate
da questa edizione.
4
Ivi.
5
A. Binet (1857-1911) medico psicologo sperimentale, a cui si deve il primo
test di intelligenza, chiamato scala Binet-Simon, è l’autore di Les altérations de la
personnalité, Paris, Alcan, 1892, testo letteralmente saccheggiato da Pirandello. Al
riguardo rimando anche a G. Corsinovi,Tra filosofia e psicologia: Gabriel Séailles e
La genesi del personaggio: un perorso tra filosofia, psicologia, metapsichica 187

ancora altre indicazioni preziose, utili alla costruzione del personaggio


e della ideologia pirandelliana derivano da Séailles, parafrasato nell’U-
morismo:

La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare


in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi, perché noi già
siamo forme fissate… Le forme, in cui cerchiamo d’arrestare, di fissare
in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vor-
remmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni,
lo stato in cui tendiamo a stabilirci. Ma dentro di noi stessi, in ciò che
chiamiamo anima e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto,
sotto gli argini oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una
coscienza, costruendoci una personalità.6

Le forme e le finzioni di Séailles vengono a coincidere con le teorie


psicologiche del Binet, medico e psicologo sperimentale per il quale la
coscienza non esiste se non come momentanea costruzione di forme,
di finzioni mentali. L’io, non più centro unitario di comportamento,
è costituito da un aggregarsi variabile di frammenti psichici che crea-
no immagini di realtà che noi consideriamo vere ma che, invece, sono
fragili illusorie elaborazioni della psiche, mutevoli nel tempo e nello
spazio, di per sé autonome, slegate e indipendenti dal dato di fatto che
le ha generate:

Ma il fatto è come un sacco: vuoto, non si regge!7


Ci fosse fuori di noi una realtà, per voi e per me, ci fosse una si-
gnora realtà mia e una signora realtà vostra, dico per se stesse, uguali e
immutabili. Non c ‘è. C ‘è in me e per me una realtà mia quella che io
mi do; una realtà vostra in voi e per voi; quella che voi vi date; le quali
non saranno mai le stesse né per voi né per me.8

Emblematica al riguardo è la commedia-parabola Così é (se vi pare)


in cui si assiste ad un vorticante gioco di molteplici ipotesi di verità
senza realtà, di supposizioni che danno consistenza e parvenza di realtà

Alfred Binet, fonti francesi dell’ideologia pirandelliana, in “Il DISSGELL in terra


francese”, Un omaggio a Renata Carocci, Genova, Brigati, 2005, pp. 67-81. Un
testo importante per Pirandello è anche quello di G. Marchesini, Le finzioni dell’a-
nima, Bari, Laterza, 1905, citato ne L’umorismo, in Saggi poesie e scritti varii a cura
di M. Lo Vecchio Musti, Milano, Mondadori, 1960, p. 147.
6
L’umorismo in Saggi, poesie…, cit. p. 152 .
7
È la frase del Padre in Sei personaggi in cerca d’autore, L. Pirandello, Maschere
nude-Tutto i l teatro, Roma, Newton Compton, 2005 p. 46.
8
Uno nessuno centomila in Tutti i romanzi, Meridiani ( a cura di G. Macchia),
Milano, Mondadori , Vol. II, p. 769.
188 Graziella Corsinovi

alle proiezioni psichiche, alle illusioni, ai ricordi, ai sogni, alle speranze,


di fatto l’unico dato accertabile della nostra dimensione mentale.
È sufficiente ricordare, tra le tante, le novelle I nostri ricordi, Il ca-
pretto nero, I pensionati della memoria, La realtà del sogno, La camera
in attesa (basta credere che il figlio disperso in guerra non sia morto
e, il figlio, per la madre è vivo, contro ed oltre ogni realtà di fatto) poi
divenuta La vita che ti diedi e anche l’atto unico Sogno (ma forse no) per
confermare la centralità delle fictiones mentali come sostitutive della
datità oggettuale.9
I ricordi, le illusioni, le speranze possiedono dunque una loro
autonoma identità, una loro vita indipendente, come ombra che si
proietta intorno alla materia vivente ma è separata, staccata dal cor-
po, un inutile corpo che è soltanto il punto di partenza di un mondo
illusorio: Quanto valga un’ombra l’umorista sa bene: il Peter Schlemil di
Chamisso insegni.10
E proprio nella novella Colloqui con i Personaggi11 abbiamo la equi-
parazione -identità tra ombre e personaggi, con la malinconica e stupen-
da ombra della madre, ombra ma anche personaggio che vive nell’oltre
della memoria del tempo e dello spazio:

Qualcosa brulicava in quell’ombra, in un angolo della mia stanza.


Ombre nell’ombra, che seguivano commiseranti la mia ansia, le mie
smanie, i miei abbattimenti, i miei scatti, tutta la mia passione, da
cui forse eran nate o cominciavano ora a nascere. Mi guardavano, mi
spiavano. Mi avrebbero guardato tanto, che alla fine, per forza, mi sarei
voltato verso di loro. …… E mi accostai a quell’angolo, e mi forzai a
discernerle a una a una, quelle ombre nate dalla mia passione, per met-
termi a parlare pian piano con esse.   II. E m’è avvenuto, accostandomi
per la prima volta all’angolo della stanza ove già le ombre cominciano a
vivere, di trovarvene una che non m’aspettavo, ombra solo da jeri.    –
Ma come, Mamma? Tu qui?12

La proiezione psichica, forma – finzione o immagine mentale, è au-


tonoma, indipendente dalla stessa psiche che la elabora, sostituendo,
con la sua verità illusoria, la realtà oggettuale ormai deprivata di ogni
attendibilità. Importante non è ciò che è ma ciò che si crede che sia:

9
Mi permetto di rinviare a G. Corsinovi, Il corpo e la sua ombra, Bastogi,
Foggia 1997.
10
L’umorismo, in Saggi poesie scritti vari , cit. p. 160.
11
Colloqui coi personaggi pubblicato in “ Giornale di Sicilia” 17-18 agosto
1915, ora i n Novelle per un anno, Appendice, Milano, Mondadori vol. II, p. 1197.
12
Ibidem.
La genesi del personaggio: un perorso tra filosofia, psicologia, metapsichica 189

questa del resto è l’unica possibilità che abbiamo di accostarci a ciò


che rimane, in sé, inconoscibile, un noumeno Kantiano che sta oltre,
avvertibile ma inafferrabile,come chiarisce Pirandello in uno splendido
passo dell’Umorismo:13

In certi momenti di silenzio interiore, in cui l’anima nostra si spo-


glia di tutte le finzioni abituali… noi vediamo noi stessi nella vita, e
in se stessa la vita, quasi in una nudità arida, inquietante; ci sentiamo
assaltare da una strana impressione come se, in un baleno ci si chiarisse
una realtà diversa da quella che normalmente percepiamo, una realtà
vivente oltre la vita umana, fuori dalle forme dell’umana ragione… Il
vuoto interno si allarga, varca i limiti del nostro corpo, diventa vuoto
intorno a noi… come se il nostro silenzio interiore si sprofondasse negli
abissi del mistero…. A questa coscienza normale a queste idee riconnes-
se… non possiamo più prestar fede perché sono un nostro inganno per
vivere e che sotto c’è qualcos’altro.14

La particolare esperienza psicologica del silenzio interiore,15 (qua-


si una declinazione novecentesca del lucido tedio leopardiano) in una
sospensione del tempo e dello spazio, mette in contatto l’io con l’oltre,
l’interiorità individuale con un’ altra realtà, sotterranea ed oscura.
In una vertigine d’abisso, si aprono allora i varchi all’altro lato del re-
ale (Die Andere Seite, direbbero gli espressionisti)16 in cui si percepisce,
attraverso improvvisi e insospettati squarci di dérèglement e di follia, la
presenza di un quid misterioso, sfuggente e inconoscibile.
Ed è questa particolare esperienza che consente a Pirandello di
aprirsi ad un oltre più specifico, legato all’ occulto, al paranormale, allo
spiritismo, al metapsichico e al teosofico.
Dopo la crisi del positivismo e delle scienze esatte “In un mondo in
cui le impalcature scricchiolano” (H. Bahr)17 non è un caso che si cer-
chino altri strumenti di indagine, che si schiudano percorsi conoscitivi
inediti e alternativi. Non è un caso che, a partire dal 1848, in America

13
Umorismo cit. p. 152.
14
L’umorismo, in Saggi poesie e scritti varii a cura di M. Lo Vecchio Musti,
Milano, Mondadori, 1960, p. 152.
15
Proprio partendo da questo passo fondamentale, con il consueto acume e
la abituale lucidità critica Lone Klem ha messo a fuoco alcuni punti nodali della
questione dell’oltre. L. Klem, Certi momenti di silenzio interiore, in Pirandello e la
fede, cit. pp. 313-324.
16
Mi permetto di rinviare al mio saggio Pirandello e l’espressionismo, Genova,
Tilgher, 1979-87, pp. 40-71.
17
L’espressione è di H. Bahr, Der Expressionismus, traduzione italiana di M. De
Micheli, Milano, 1945.
190 Graziella Corsinovi

nascano si sviluppino e si moltiplichino movimenti spiritistici,18 me-


dianici e paranormali che si diffondono in tutta Europa19 e in tutto il
mondo, suscitando l’interesse anche di medici fisiologi neurologi psi-
chiatri filosofi e scienziati. Collegandosi alle scoperte sul magnetismo,
sull’energia psichica e cosmica e alle inquietanti sperimentazioni della
psicopatologia, su allucinazioni, sonnambulismo, scissione e sdoppia-
mento della personalità, i fenomeni metapsichici avevano catturato
l’attenzione del mondo culturale.
Scienziati di vario tipo, si erano impegnati a valutarli sperimen-
talmente,20 con l’intenzione, spesso disattesa, di negarli e di scoprirne
l’inaffidabilità. Ma ad incidere molto su queste nuove frontiere dell’
occulto fu la teosofia, una corrente filosofico- religiosa, quasi una vera e
propria dottrina,21 che si intrecciava con le suggestioni di medianismo
e spiritismo. Conosciuta e diffusa già nel Rinascimento e nel Seicento
(Shakespeare22) era storicamente derivata dal neoplatonismo di Ploti-
no, ma conobbe una nuova fortuna e una diversa configurazione grazie
alla medium filosofa russa Helène Blavatsky23 che fondò una società
teosofica nel 1873 a New York.
Dotata di clamorose doti medianiche, formulò una dottrina sin-
cretica ed esoterica che univa, nei suoi sette principi e piani di realtà,
lo studio comparato e la fusione delle religioni, delle filosofie, della
scienza con il misticismo orientale. La teoria teosofica si diffuse in tut-
ta Europa grazie alla attività dei coniugi Annie Bésant e Charles - W.
Leadbeter e di Théophile Pascal,24 teosofi, tra gli altri numerosi adepti,

18
Cfr. anche E L. E. Froom, Lo spiritismo moderno, Firenze, Edizioni A. d. V.,
1976.
19
La loro origine si colloca in America, ma ha poi grande diffusione in tutta
Europa. Si rinvia a Illiano, cit. pp. 21-23.
20
Basti ricordare che medici e scienziati avevano studiato questi fenomeni
sottoponendo spesso i medium (tra cui la famosa Eusapia Paladino) a sperimenta-
zioni scientifiche; tra questi anche illustri medici e psichiatri: Lombroso, Richet,
Morselli. cfr. Illiano, cit.
21
Cfr. R. Santoro, Pirandello teosofo nella biblioteca di casa Paleari, in “L’archi-
pendolo”,12 settembre 2015.
22
Si vedano al riguardo i Saggi su Shakespeare- un’interpretazione teosofica dei
personaggi shakespeariani, titolo originale: Essays on Shakespeare– A Theosophical
Interpretation. Questi saggi furono pubblicati per la prima volta su ‘The Theo-
sophical Movement,’ Bombay, Volume 13, 1942 – 1943. Traduzione di Emma
Cusani e Nicola Fiore.
23
Esiste una vastissima bibliografia sulla Blavatsky e sulla teosofia, cui riman-
do, perché facilmente consultabile anche tramite internet. Nello specifico, faccio
riferimento al saggio di Illiano, cit. pp. 20-30, nel quale le indicazioni sull’argo-
mento sono decisamente esaustive.
La genesi del personaggio: un perorso tra filosofia, psicologia, metapsichica 191

che ebbero parte preminente nella divulgazione della dottrina, favorita


dalla traduzione in francese dei testi della Blavatskj e anche dalla diffu-
sione delle riviste periodiche Publications théosophiques di Parigi.25
La teosofia, distinta dallo spiritismo, ma per più aspetti consonan-
te e confluente con esso, è una sorta di religione-filosofia, tendenzial-
mente laica, che concepisce la realtà universale come emanazione di un
principio spirituale eterno, radice prima di tutto ciò che esiste nell’u-
niverso, prospettando una visione cosmica decisamente affine a quella
dell’ irrazionalismo vitalistico del Séailles.
Tutta la realtà, anche per la teosofia, è epifania di un principio Pri-
mo, espansione di un’ energia originaria che è spirito materiale o mate-
ria spirituale -Esprit matériel o matière spirituelle.
I fenomeni paranormali e le teorie teosofiche non potevano non
esercitare una grande attrazione anche su scrittori e letterati26 che ne
inglobavano le suggestioni per la loro attività creativa, come appunto
fece lo stesso Pirandello. Disponibile a tutte le forme di conoscenza e di
esperienza, aperto per sua natura alle fratture e alle contraddizioni del
reale, lo scrittore si interessa appassionatamente al mondo dell’occulto
e si documenta su spiritismo e metapsichica e teosofia, con vigile senso
critico, ma anche con affascinata curiosità, stimolato e coinvolto dal
maestro e amico Capuana,27 attivo organizzatore di sedute spiritiche
e di esperimenti medianici nei circoli romani interessati al mondo del
paranormale cui partecipava, con assiduità, lo stesso Pirandello. Che
Pirandello avesse letto i testi di autori legati allo spiritismo,28 al para-

24
Th. Pascal, autore del libro Les sept principes de l’homme ou sa constiution oc-
culte (d’après la théosophie), Parigi 1895, al quale si deve probabilmente il cognome
Pascal di Mattia (come già rilevato dal Macchia) come quello di Meis deriverebbe
da Camillo De Meis, autore di Dopo la laurea, Bologna, Stabilimento tipografico
G. Monti, 1868-69, libro molto apprezzato dal Capuana.
25
Vedi Illiano, cit. pp. 8-10.
26
In Italia, Remigio Zena, Confessioni postume: quattro storie dell’altro mondo
(1892-1912) Torino 1977, Antonio Fogazzaro, Malombra, Milano, Brigola,1881,
ma soprattutto Luigi Capuana con il saggio Spiritismo?1884 e Mondo occulto, Luigi
Pierro, Napoli,1896, mostrarono un forte interesse e una sicura competenza sulla
parapsicologia. Un volume recente, edito a cura di Simona Cigliana, raccoglie i
principali scritti pubblicati dal novelliere siciliano sull’argomento medianico- spi-
ritico tra il 1884 e il 1906 e, da allora, mai più ricomparsi a stampa: Spiritismo?,
Mondo occulto, che dà il titolo alla raccolta, La religione dell’avvenire, Il Di là, La
medianità, Lettera aperta a Luigi Pirandello a proposito di un fantasma, Misteri dello
spiritismo, I pianeti abitati secondo un illuminato (E. Swedenborg), Catania, Edizio-
ni del Prisma, 1995.
27
Capuana, oltre ad essere animatore di centri occultistici, aveva fatto esperi-
menti sul sonnambulismo provocato. Vedi Illiano. cit. p. 13.
192 Graziella Corsinovi

normale, alla teosofia,29 ne sono dimostrazione novelle romanzi testi


teatrali che ne propongono variamente problematiche e tematiche. Te-
stimonianza esplicita di tali letture è il X capitolo del Fu Mattia Pascal
in cui si elencano i libri presenti nella piccola biblioteca di Anselmo
Paleari: essi sono i testi di teosofia della Blavatsky La clef de la théosophie
(1895), La doctrine secrète 1899 di Annie Bésant, La mort et l’au-delà,
1896, Karma 1899 di C. W. Leadbeater, Les formes pensées, Parigi, Le
plan astral,1889 Parigi - Il piano astrale Roma 1905 di Théophile Pa-
scal,30 Le sept principes de l’homme ou sa constitution occulte, 1895 A B C
de la theosophie 1897.31
L’influsso di spiritismo, di paranormale, di esoterismo e di teosofia,
più che nei principi e nei paradigmi dottrinali (a cui del resto Piran-
dello, così come per altre ideologie o ismi, non ha mai dichiarato uffi-
cialmente di aderire) evidente in molti testi pirandelliani, è declinato
in varie modalità, ma sempre coerentemente finalizzate alle intenzioni
creative ed estetiche del testo.
La componente paranormale e teosofica,32 lasciata sul piano con-
cettuale problematicamente irrisolta, attraversa, come un brivido sus-
sultorio l’universo creativo pirandelliano e si insinua nelle screpolature
della realtà, attraverso cui, l’oltre, invia i suoi segnali e i suoi enigmatici
bagliori.
All’interno del ricchissimo campionario pirandelliano del metapsi-

28
Dal 1864 uscirono in Italia gli “Annali dello spiritismo in Italia,” organo
principale del movimento spiritistico nostrano.
29
Sulla presenza dell’arcano in Pirandello si veda il bel saggio di R. Dal Monte,
Arcani nell’opera di Luigi Pirandello, Aprile 2004, Insegnanet - Acqua Multiméd-
iaInsegnanet, rivista di italianistica on-line del Dipartimento di Italianistica del
Magistero della Facoltà di Lettere dell’ELTE di Budapest. Della stessa, si veda
anche Sotto la cappa del camino: magia ed esoterismo nella narrativa del primo Piran-
dello, Padova, 2007; si veda anche l’articolo di Salvatore Ferlita, Scrittori sull’orlo
di una scelta spiritista, La Repubblica, 20 dicembre 2006 e A. Pupino, Maschere e
fantasmi, Roma, Salerno editrice, 2000. G. Macchia, Pirandello o la stanza della
tortura, Milano, Mondadori, 1981 ha sottolineato la non casuale omonimia con il
Mattia del romanzo pirandelliano. Vedi anche Illiano, cit. p p. 20-30.
30
Cfr. E. Providenti, Luigi Pirandello. Lettere giovanili da Palermo e da Roma
1886-1889, Bulzoni, Roma 1993 e Colloqui con Pirandello, Firenze, Polistampa,
2004 Roma, Salerno Editore, 2000. Vedi anche Illiano, cit. pp. 20-30.
31
Il fu Mattia Pascal, in Tutti i romanzi, a cura di G. Macchia, I Meridiani 2
voll., Milano, Mondadori, 1973 vol. I. Cap. X, p. 435.
32
Per una ricognizione storico-biografica delle conoscenze del mondo ultra-
sensibile da parte di Pirandello si veda anche il saggio di S. Milioto, I giganti della
montagna: la villa incantata, il manipolo bizzarro del mago Cotrone e una postilla al
titolo, in Le due trilogie pirandelliane, Atti del Convegno del Centro Nazionale di
studi pirandelliani, Palermo, Palumbo, 1992, pp. 111-125.
La genesi del personaggio: un perorso tra filosofia, psicologia, metapsichica 193

chico, declinato in una ampia gamma di registri, filosofico-speculativo,


umoristico, onirico, surreale, fantastico, dovremo fare riferimento, per
limiti di spazio, solo ad alcuni testi che ci sembrano particolarmente si-
gnificativi e pertinenti. Tra questi, una novella degli inizi Le nonne 190233
poi divenute Le Donne,34 streghe di siciliana memoria (che riappariran-
no, con forte carica espressionistica ed intensa temperatura drammatica,
anche nella Favola del figlio cambiato 1930-3235 e nei Giganti della Mon-
tagna), La casa del Granella, Lo spirito maligno, Dono della Vergine Maria,
Il corvo di Mizzaro, Dal naso al cielo, il romanzo Il turno (in cui Diego
Alcozer è perseguitato dagli spiriti delle mogli defunte).
Ne La casa del Granella,in cui sembra prevalere la chiave umoristica,
l’ipotesi del paranormale irrompe, lacerando e sconvolgendo la cosiddet-
ta normalità. Emblematica, in questa novella, è la figura (quasi alter ego
di Pirandello) dell’avvocato Zummo che, da scettico e miscredente qual
era, attraverso una serrata documentazione sui fenomeni paranormali,
si trasforma in un appassionato e convinto sostenitore dello spiritismo,
sino a farsi portavoce della possibile esistenza e presenza di entità occulte:
ormai i fenomeni così detti spiritici, per esplicita dichiarazione degli
scienziati più scettici e più positivi, erano innegabili. Lesse dapprima
una storia sommaria dello Spiritismo, dalle origini della mitologia fino
ai dì nostri, e il libro del Iacolliot su i prodigi del fachirismo; poi tutto
quanto avevano pubblicato i più illustri e sicuri sperimentatori, dal
Crookes al Wagner, all’Asakov, dal Gibier allo Zoellner, al Janet, al de
Rochas, al Richet, al Morselli. 36

Altrettanto significativa, oltre che spassosa, nel Fu Mattia Pascal, è


la seduta spiritica tenutasi in casa Paleari; per quanto ne venga poi sma-
scherata la matrice truffaldina, essa si svolge rispettando esattamente
l’iter e le tecniche dell’evocazione medianica.
Così è descritto l’evento:
Il tavolino scricchiolava, si moveva, parlava con picchi sodi o lievi;
altri picchi s’udivano su le cartelle delle nostre seggiole e, or qua or là,
su i mobili della camera, e raspamenti, strascichii e altri rumori; stra-
ne luci fosforiche, come fuochi fatui, si accendevano nell’aria per un

33
Comparsa per la prima volta su “La Riviera Ligure”, aprile 1902.
34
Si veda in proposito la singolare e gradevole ricostruzione fatta da A. Camil-
leri, Biografia del Figlio cambiato, Rizzoli 2000, pp. 41-48.
35
L. Pirandello, Maschere nude-Tutto il teatro, Roma, Newton Compton,
2005. Per comodità, le citazioni saranno desunte da questa edizione.
36
La casa del Granella,Novelle per una anno, a cura di M. Costanzo, Meridiani
Mondadori, 3 voll. 1985-90, vol. I, p. 321.
194 Graziella Corsinovi

tratto, vagolando, e anche il lenzuolo si rischiarava e si gonfiava come


una vela; e un tavolinetto porta-sigari si fece parecchie passeggiatine
per la camera e una volta finanche balzò sul tavolino intorno al quale
sedevamo in catena; e la chitarra come se avesse messo le ali, volò dal
cassettone su cui era posata e venne a strimpellar su noi... 37  

Anche nei Sei personaggi, l’apparizione-materializzazione di Mada-


ma Pace (la cui figura ridicolmente poliglotta è probabile caricatura
della famosa medium Eusapia Palladino)38 avviene sulla scena secondo
la prassi di una seduta spiritica:
Ecco, signore: forse, preparandole meglio la scena, attratta dagli
oggetti stessi del suo commercio, chi sa che non venga tra noi...
(Invitando a guardare verso l’uscio in fondo della scena): Guardino!
guardino!39

L’evocazione ha un eccezionale impatto drammaturgico; si tratta


di uno straordinario colpo di scena che, mentre ribadisce la genialità
di Pirandello nello sfruttamento creativo del paranormale, conferma
i diversi piani di realtà40 su cui è strutturato il dramma, che rinviano
indirettamente ma chiaramente ai piani di realtà della teosofia.
Esempio di una sintesi e di una convergenza tra spiritismo e teosofia
è la figura del professor Dionisio Vernoni, della novella Dal naso al cie-
lo. 41Accanito sostenitore dell’occultismo è anche un convinto fautore
di presenze invisibili, viventi su altri piani di realtà:42
«non voleva acquietarsi all’irritante rinunzia della scienza di fronte
ai formidabili problemi dell’esistenza, al comodo (egli diceva vigliacco)
ripararsi del così detto pensiero filosofico entro i confini del conoscibile
[…]” . . . . . cominciò a parlare di occultismo e di medianismo, di tele-
patia e di premonizioni, di apporti e di materializzazione43

37
Il fu Mattia Pascal, ed. cit. vol. I p. 504.
38
Tra gli esperimenti fatti da medici e psichiatri su Eusapia Palladino, ci furo-
no anche quelli di Morselli e Lombroso che dovettero riconoscere l’autenticità dei
fenomeni paranormali ad essa inerenti. Vedi Illiano cit.
39
Sei personaggi in cerca d’autore, ed. cit. p. 85.
40
Si veda la Prefazione ai Sei personaggi: “ Non tutti i personaggi stanno in
apparenza sullo stesso piano di formazione… Sono, tutti e sei,… sullo stesso pia-
no di realtà, che è il fantastico della commedia. In L. Pirandello, Maschere nude
(2 voll). a cura di M. Lo Vecchio Musti, Milano, Mondadori, 1986, vol. I, p. 39.
41
Novelle per un anno, Ed cit. vol. II, p. 425 Pubblicata nel 1907 su Il Mar-
zocco, 7 aprile.
42
Ivi, p. 427.
43
Ivi, p. 434.
La genesi del personaggio: un perorso tra filosofia, psicologia, metapsichica 195

Tematiche e concetti teosofici si trasformano dunque in input fe-


condi per creazioni narrative e drammatiche di grande suggestione, ma
offrono anche più di un supporto allo sviluppo di nuclei teorici essen-
ziali alla ideologia estetica pirandelliana proprio in relazione alla genesi
del personaggio.
Alla teosofia, della cui ampia conoscenza è testimonianza il già cita-
to elenco di testi teosofici nella biblioteca di Paleari,44 si riconducono
anche alcuni punti nodali del romanzo.45
Uno dei risultati più originali dell’utilizzo di questi concetti teoso-
fici è lo straordinario atto unico del 1916 All’uscita46 in cui però con-
fluiscono le formulazioni della psicologia per le quali la nostra realtà
psichica è finzione, ombra, apparenza che persiste anche quando il
corpo non c’è più, forse perché non è mai esistito, perché mai possedu-
to se non attraverso il filtro delle proiezioni psichiche: le vane apparenze
che si diedero in vita - Apparenze di apparenze.47
Splendida pièce teatrale, peraltro raramente rappresentata, con un’a-
bile mescolanza di reminiscenze leopardiane (in particolare dell’Ope-
retta morale Il coro di Federico Ruysch e delle sue mummie) e di teorie
teosofiche, (le anime dei morti, finché non sono compiuti i loro ultimi
desideri sostano per alcun tempo sul piano astrale) Pirandello realizza
un piccolo gioiello di drammaturgia espressionista.
L’incontro, all’uscita di un cimitero, tra Apparenze di morti, il Filo-
sofo, l’Uomo grasso, la Donna uccisa, il Bimbo dalla melagrana, addensate

44
Nel Cap. X de Il fu Mattia Pascal cit.
45
Il XVII e penultimo capitolo de Il fu Mattia Pascal ha un titolo – Reincar-
nazione – che sembra preso in prestito dalla sterminata bibliografia teosofica
dei coniugi Leadbeater-Bésant. Alla teosofia, della cui ampia conoscenza è
testimonianza il già citato elenco di testi teosofici nella biblioteca di Paleari, si
riconducono anche alcuni punti nodali del romanzo. Per esempio, quando
Pascal, suicida presunto, rinato con il nome di Adriano Meis, dichiara di sentirsi
come imprigionato nel guscio del Kâmaloka (zona di sospensione Karmica
dopo la morte) in esilio dalla vita, ma con tutti gli appetiti e desideri della vita
non ancora decantati: E non avevo risolto nulla, io, intanto. Mi trovavo ora
coi libri d’Anselmo Paleari tra le mani, e questi libri m’insegnavano che i
morti, quelli veri, si trovavano nella mia identica condizione, nei «gusci» del
Kâmaloka, specialmente i suicidi, che il signor Leadbeater, autore del Plan
Astral (premier degré du monde invisible, d’après la théosophie), raffigura
come eccitati da ogni sorta d’appetiti umani, a cui non possono soddisfare,
sprovvisti come sono del corpo carnale, ch’ essi però ignorano d’aver perduto.
46
Mi permetto di rinviare al mio saggio All’uscita, ascendenze leopardiane,
influssi teosofici esiti d’avanguardia in Pirandello: tradizione e trasgressione, Genova,
Tilgher, 1983, pp. 139-154.
47
All’uscita cit.
196 Graziella Corsinovi

ancora per qualche tempo nella fragile dimensione dell’ombra corporea


e aggrappate al loro ultimo desiderio non realizzato, pur possedendo
ancora una dimensione tutta umana, dominato come è dalle passioni
e dai tormenti dell’esistere, si pone in uno spazio metapsichico, nella
sovrarealtà di uno stato di sospensione ontologica che deriva il suo fa-
scino singolare dalle vibrazioni metapsichiche dell’oltre.
Il debito nei confronti della teosofia, dunque, e, in particolare, del
libro Il piano astrale di Leadbeater, non è di poco conto. Non è senza
significato che, nella prima stesura del Fu Mattia Pascal,48 all’inizio del
V capitolo (Maturazione) Pirandello si dilunghi in considerazioni (stor-
nate poi nell’edizione Treves del 1910)49 di carattere teosofico derivate
dal Leadbeater, anche se (come è tipico di Pirandello!) del suo nome
non si faccia cenno. Attribuendo le proprie letture al protagonista del
romanzo, lo scrittore gli fa dire:

- Ho letto testé in un libro- - che i pensieri e i desiderii nostri


s’incorporano in un’essenza plastica, nel mondo invisibile che ne
circonda, e tosto vi si modellano in forma di essere viventi, la cui
apparenza corrisponde all’intima loro natura. E questi esseri, non
appena formati, non sono più sotto il dominio di chi li ha genera-
ti, ma godono d’una lor propria vita, la cui durata dipende dall’in-
tensità del pensiero o del desiderio generatore. Per fortuna, i pensieri
della maggior parte egli uomini son così vaghi e indeterminati, che
gli esseri che ne risultano han labilissima vita e momentanea: bolle di
sapone. Ma un pensiero che spesso si riproduca o un desiderio vivo e
costante formano un essere che può vivere anche parecchi giorni. 50

Queste considerazioni diventeranno fondamentali per la genesi


del personaggio, genesi che ha le sue radici, oltre che nella concezio-
ne organicistica di Le génie dans l’art del Séailles51 e nell’autonomia
delle finzioni psichiche create dalla mente, soprattutto proprio nelle
teorie teosofiche de Le plan astral e del libro Le forme-pensiero – Les
formes-penséesParigi 190552, di Leadbeater e Bésant.
Occorre, a questo punto, esporre alcune considerazioni che riguar-
dano l’ossatura portante del personaggio, la cui invenzione si realizza
nella convergenza di almeno tre linee strutturali: la prima è la conce-

48
Apparsa nel 1904 su “Nuova Antologia”.
49
Si veda la lunga nota posta nelle varianti al romanzo con la citazione del
passo che compariva su “Nuova Antologia,” nell’edizione critica cit.
50
Vedi nota precedente.
51
E anche da Goethe, fonte peraltro dello stesso Séailles.
52
Libro pubblicato prima nel 1901 a Londra Thought Forms e poi tradotto in
francese Le sformes-pensées. Si rinvia ancora a Illiano cit. pp. 70-71.e p. 159 n. 7.
La genesi del personaggio: un perorso tra filosofia, psicologia, metapsichica 197

zione vitalistica organicistica di Séailles,53 per cui la creatura della fan-


tasia è identica a quella del parto naturale (Si nasce alla vita in tanti
modi, in tante forme: albero o sasso, acqua o farfalla. . . o donna. E
che si nasce anche personaggi!. . . E vivi, come ci vede ); la seconda, è
la tipologia delle proiezioni psichiche, forme -finzioni - immagini men-
tali teorizzate dal Binet che rivendicano lo statuto di entità indipen-
denti e la terza, comprensiva delle prime due, decisiva e coagulante,
è costituita dalle teorie teosofiche di Leadbeater e Bésant sviluppate in
Le plan astral e in Le forme-pensiero – Les formes –pensées Parigi 1905.54
Le “esoteriche formulazioni del Leadbeater” spiegavano infatti come
“la forza del pensiero può dare vita non solo a forme e fisime immagina-
rie, ma anche ad esseri reali e percepibili”55 e confermavano l’identità
tra forza psichica, capace di “oggettivare, materializzare il pensiero,
dargli forma visibile e tangibile”56 e intelletto immaginativo.”57
Soprattutto, esse proponevano l’idea di un personaggio che, nato
per genesi spontanea dalla fantasia dell’autore, una volta “immerso
nell’essenza (elementale) plastica del piano astrale” assume “forma
di un essere vivente, e una volta formato non è più del tutto sotto
il controllo del suo creatore.”58
E qui entra in gioco certamente il Capuana, verso il quale il debito
di Pirandello è forse maggiore di quanto di solito si riconosca, a solleci-
tare le riflessioni e le intuizioni pirandelliane sul personaggio.59
Nelle osservazioni che già il Capuana60 aveva fatto sull’affinità tra
allucinazione artistica e allucinazione spiritica,61 sulla nascita62 e sulla
tipologia dei personaggi nati della fantasia dello scrittore63 (personaggi

53
E anche da Goethe, fonte peraltro dello stesso Séailles.
54
Libro pubblicato prima nel 1901 a Londra Thought Forms e poi tradotto in
francese Les formes- pensées. Si rinvia ancora a Illiano cit. pp. 70-71e p. 159 n. 7.
55
Illiano, cit. p. 63.
56
L. Capuana, Nuovi ideali di arte e critica, Catania, Giannotta, 1899,
riportato da Illiano, cit. pp. 62-63.
57
Ivi.
58
Illiano, cit. p. 66 cita il passo del Leadbeater sia in inglese che in francese.
59
Già L. Tonelli in Alla ricerca della personalità, Catania 1929, p. 11 aveva
osservato acutamente l’affinità tra Capuana e Pirandello nella Conclusione della
Voluttà di creare di Capuana “dove i personaggi incompiuti sono spasimanti di
desiderio per una piena realizzazione vitale” . Vedi Illiano cit. p. 16.
60
Vedi Illiano cit.
61
In Spiritismo? alle pagine 219-225 segnalato da Illiano un passo che anticipa
la formulazione pirandelliana.
62
Ivi pp. 241-247.
63
Cfr. R. Santoro. “Influssi da ormai quasi certe letture dei libri di Annie
Bésant e del Leadbeater e della formulazione del rapporto esistente tra autore e
198 Graziella Corsinovi

che, divenuti entità autonome, dotate di vita propria, possono ribellarsi


a chi li ha creati o, se imperfetti, possono chiedere di essere portati a
termine da un altro scrittore) Pirandello aveva potuto trovare più di un
suggerimento e di uno stimolo allo sviluppo della geniale invenzione
del personaggio in cerca d’autore.
Capuana aveva elaborato e sviluppato criticamente l’idea dell’indi-
pendenza del personaggio nel saggio La crisi del romanzo,64 e poi ne Gli
Ismi contemporanei,65 in cui, alcune considerazioni si impongono come
il precedente teorico più immediato delle affermazioni pirandelliane:

E quando quella creatura viva si è impossessata dell’immaginazione


dell’artista non si lascia più guidare o comandare; lei comanda e guida,
lei agita, sconvolge, imbroglia e scioglie a suo modo gli avvenimenti,
senza che l’artista possa disubbidirle... Un romanziere ha l’obbligo di
dimenticare, di obliterare se stesso, di vivere la vita dei suoi personaggi.66

Le analisi capuaniane costituiscono, a nostro avviso, un paradigma


imprescindibile per lo scrittore agrigentino che, per così dire, poteva
trovare “scodellate”67 le sue stesse ipotesi creative. Quasi impossibile,
per Pirandello, sottrarsi alle suggestioni critiche di Capuana, le cui te-
orie erano già state felicemente utilizzate da lui per l’articolo sul teatro,
L’azione parlata 1899, in cui l’autore… deve diventare il personaggio,
immedesimarsi con la sua creatura fino a sentirla com’essa si sente,
a volerla com’essa si vuole.68
La tipologia del personaggio pirandelliano, giunta al suo stadio più
maturo e più alto nei Sei personaggi, il cui perno drammaturgico sfrutta

personaggi da lui stesso plasmati, i quali vivono poi di vita propria sino all’estrema
conseguenza dei “personaggi in cerca di un autore” sono stati individuati in ordine
sparso in più di un racconto del Siciliano: Lontano (“Nuova Antologia”, gennaio
1902), Stefano Giogli, uno e due (“Il Marzocco”, 18 aprile 1909) Una piastra e
quattro centesimi, che poi avrà come titolo Lo spirito maligno (“Corriere della Sera”
22 maggio1910); La tragedia d’un personaggio, (“Corriere della Sera”, 19 ottobre
1911).”
64
Il saggio apparve su “ Le Grazie”, 16 gennaio 1897.
65
Catania, Giannotta, 1898.
66
L. Capuana, Scienza della letteratura, Catania, Giannotta, 1902, p. 18.
67
Il termine è di Pirandello in L’uomo, la bestia e la virtù e si riferisce al decolleté
prosperoso della signora Perella.
68
…la parola viva che muova, l’espressione immediata, connaturata con
l’azione, la frase unica, che non può esser che quella, propria a quel dato personaggio
in quella data situazione: parole, espressioni, frasi che non s’inventano, ma che
nascono, quando l’autore si sia veramente immedesimato con la sua creatura
fino a sentirla com’essa si sente, a volerla com’essa si vuole. In L’azione parlata,
Il Marzocco 7 maggio 1899, ora in Saggi poesie …cit.
La genesi del personaggio: un perorso tra filosofia, psicologia, metapsichica 199

la geniale invenzione del personaggio in cerca d’autore, si era delineata


già nelle novelle Personaggi 190669 La tragedia di un personaggio 1911
e Colloqui coi personaggi 1915,70 in stretta prossimità temporale con gli
studi del Capuana e in un arco cronologico in cui i suoi scritti erano già
stati tutti pubblicati.71 La genesi del personaggio pirandelliano dunque,
a partire dalla novella Personaggi 190672 per proseguire con La tragedia
di un personaggio 1911 e Colloqui coi personaggi73 fino a Sei personaggi in
cerca d’autore, riceve un forte contributo dalle analisi capuaniane, anche
se, entrambi gli scrittori, attingono alla stessa fonte: il testo teosofico di
Leadbeater Les formes pensées.74
Basti riportare l’inizio della novella Colloquii coi personaggi,in cui
i personaggi autonomi, indipendenti, ribelli, esigono di vivere, anche
dopo la loro creazione in cui si sentono irrisolti, imprigionati ed esiliati,
e vogliono portare a termine, come prevede la teosofia, il loro cammino
esistenziale, qualunque esso sia.
Presentati simpaticamente come persone petulanti, i personaggi
vanno a bussare alla porta dello scrittore per farsi ricevere e uno, in
particolare, lo incalzerà per essere compiutamente realizzato sul piano
dell’arte, nonostante l’esplicito proibitivo avviso:

Avevo affisso alla porta del mio studio un cartellino con questo
AVVISO         
  
Sospese da oggi le udienze a tutti i personaggi, uomini e donne, d’ogni
ceto, d’ogni età, d’ogni professione, che hanno fatto domanda e presentato
titoli per essere ammessi in qualche romanzo o novella.
N. B. Domande e titoli sono a disposizione di quei signori personaggi
che, non vergognandosi d’esporre in un momento come questo la miseria
dei loro casi particolari, vorranno rivolgersi ad altri scrittori, se pure ne
troveranno.            

Mi toccò la mattina appresso di sostenere un’aspra discussione con


uno dei più petulanti, che da circa un anno mi s’era attaccato alle co-
stole per persuadermi a trarre da lui e dalle sue avventure argomento
per un romanzo che sarebbe riuscito – a suo credere – un capolavo-

69
La novella apparve sulla rivista genovese “Il Ventesimo” V,30,1906. E poi in
Italica, LVI, 2 1979
70
Entrambe in Novelle per un anno, ed. cit.
71
Spiritismo? Giannotta, 1884 La crisi delromanzo1894, Gli Ismi contemporanei
1897, Catania, Giannotta, 1898, Scienza della letteratura, Catania, Giannotta,
1902.
72
Si rinvia alla nota 69.
73
Entrambe in Novelle per un anno, ed. cit.
74
Vedi nota 63.
200 Graziella Corsinovi

ro. Lo trovai, quella mattina, innanzi alla porta dello studio, che s’aiu-
tava con gli occhiali e in punta di piedi – piccolo e mezzo cieco com’era
– a decifrare l’avviso. In qualità di personaggio, cioè di creatura chiusa
nella sua realtà ideale, fuori delle transitorie contingenze del tempo, egli
non aveva l’obbligo, lo so, di conoscere in quale orrendo e miserando
scompiglio si trovasse in quei giorni l’Europa. S’era perciò arrestato alle
parole dell’avviso: «in un momento come questo»...75

Ma è ancora Capuana, questo inquieto e affascinante letterato-scien-


ziato, eclettico e dinamicamente curioso di tutto, che, in un passo stra-
ordinariamente suggestivo di Nuovi ideali di arte e di critica 189976,
sembra offrirci la chiave più adeguata per introdurci nel mondo oltra-
no77 de I giganti della montagna, sintesi e acme di tutte le risorse del pa-
ranormale e del teosofico, sfruttate in prodigiosa e magica cooperazione.
Le originali affermazioni di questo passo sembrano lanciarsi in ipo-
tesi avveniristiche e quasi profetiche su una possibile arte del futuro
che, liberata dai vincoli e dai limiti della materialità del mezzo espres-
sivo (marmo tela parola), potrebbe realizzarsi come reificazione imme-
diata, visibile dell’intelletto immaginativo:

Immagina dunque cosa potrà essere l’opera d’arte quando il pen-


siero non incontrerà più ostacoli nel marmo nella tela nella parola…
quando l’opera d’arte si esplicherà e si formerà con la stessa rapidità e
la stessa nettezza dell’idea, cioè quando il pensiero diventerà visibile,
tangibile quantunque fuggevole. . . quando insomma le creazioni
dell’intelletto immaginativo, vivranno… fuori di noi. 78

Ed è proprio quello che avviene nella Villa della Scalogna, il cui


padrone, non a caso, è il mago Cotrone. La magia dell’arte crea eventi
straordinari, prodigi che non hanno più bisogno di mezzi materiali per
verificarsi e che sono possibili solo nel mondo della fantasia e della
sovrarealtà, ai confini della coscienza e dell’esistenza, in un Tempo e
luogo indeterminati; fra la favola e la realtà. Qui, dove i margini tra psi-
chico e fenomenico sono fluidi e interscambiabili e dove scorre libero
il movimento della vita, tutto può accadere: possono apparire entità
misteriose, nascere altre infinite realtà e vaporare i fantasmi:79

75
Colloqui con i personaggi in Novelle per un anno, ed. cit.
76
Giannotta, Catania 1899.
77
L’aggettivo è di Pirandello.
78
Nuovi ideali di arte e critica, cit. Il grassetto è nostro.
79
Non è forse inutile ricordare che il titolo iniziale del I atto dei Giganti della
Montagna era I fantasmi, pubblicato su “Nuova antologia” nel dicembre del 1931.
La genesi del personaggio: un perorso tra filosofia, psicologia, metapsichica 201

Le figure non sono inventate da noi; sono un desiderio dei nostri


stessi occhi.80 I fantasmi … non c’è mica bisogno d’andare a cercarli
lontano: basta farli uscire da noi stessi.
Facciamo i fantasmi. Tutti quelli che ci passano per la mente.81

I fantasmi (dal greco fantazein) nati dall’ immaginazione creativa


sono della stessa natura di quelli evocati dal mondo ultrasensibile, si
confondono e fondono con essi e possono convivere, secondo la visione
teosofica, anche con molti altri esseri non percepibili dai nostri limitati
cinque sensi:

L’orgoglio umano è veramente imbecille…. Vivono di vita natu-


rale sulla terra… altri esseri di cui nello stato normale noi uomini
non possiamo avere percezione ma solo per difetto nostro, dei cin-
que nostri limitatissimi sensi.82

Anche lo spazio concesso da sempre alle proiezioni psichiche, al so-


gno, al ricordo, alla follia, più veri e reali di ogni altra realtà, (si vedano
La realtà del sogno, Effetti di un sogno interrotto, Sogno (ma forse no)83 si
dilata e si intensifica nei Giganti della montagna.
Agli orli della vita, in una dimensione atemporale e metapsichica,
in uno spazio-tempo indeterminato, forse quello stesso del piano astrale
della teosofia in cui il pensiero si immerge (plonger è il verbo usato dal
Leadbeater!) nell’essenza elementale i sogni, i fantasmi, gli spiriti, i per-
sonaggi possono assumere spontaneamente consistenza di immagine:

Siamo qua come agli orli della vita gli orli a un comando si distac-
cano: entra l’invisibile… Avviene ciò che di solito nel sogno. Io
lo faccio avvenire anche nella veglia.84 Vaporano i fantasmi… E
allora è una continua sborniatura celeste: respiriamo aria favolosa…
Gli angeli possono come niente calare in mezzo a noi e tutte le cose che
ci nascono dentro sono per noi stessi uno stupore. Udiamo, voci, risa;
vediamo sorgere incanti figurati a ogni gomito d’ombra.85

Strani prodigiosi fenomeni, paranormali, metapsichici, onirici, sur-


reali, accadono nei Giganti: i fantocci si animano da sé, gli strumenti

80
I giganti della Montagna ed. cit. p. 1253.
81
Ivi, 1252.
82
Ivi.
83
Rispettivamente, novella e atto unico; per l’analisi di quest’ultimo, rimando
a G. Corsinovi, Il corpo e la sua ombra, cit.
84
Ivi, p. 1251.
85
Ibidem.
202 Graziella Corsinovi

suonano da soli, i sogni escono dal corpo dei protagonisti e si condensa-


no in ectoplasmi che agiscono per conto proprio. Eventi misteriosi che
si pongono tutti in stretta contiguità con le tematiche, le problematiche
estetiche e metapsichiche della produzione pirandelliana precedente,
ma che ora, nel contesto del Mito, appaiono come reinventate da una
creatività sfolgorante, investite da un flusso di poesia che accentua il re-
gistro lirico, onirico, surreale tipico anche delle splendide novelle della
fase creativa più matura: Effetti d’ un sogno interrotto, Visita, Di sera, un
geranio, Soffio, Un ritratto ecc.86
Questo stato di magica ed indifferenziata leggerezza creativa presup-
pone l’ aver oltrepassato il limite della materialità e della corporeità (il
corpo è tenebra e pietra), essere su altro piano - quello astrale - (agli orli
della vita) ed essersi liberati di tutto, diventando, come già Vitangelo
Moscarda, 87 dimissionari della vita:

Io mi sono dimesso. Dimesso da tutto: liberata da tutti questi im-


pacci ecco che l’anima ci resta grande come l’aria piena di sole e di
nuvole, aperta a tutti i lampi, abbandonata a tutti i venti superflua
e misteriosa materia di prodigi che ci disperde e solleva in misteriose
lontananze. Guai a chi si vede nel suo corpo e nel suo nome.88

Gli accadimenti paranormali, le evocazioni spiritiche, le improvvise


musiche e i suoni misteriosi, le luci, i colori, i lampi, tutte magie delle
Villa e del Mago Cotrone, magie cioè dell’arte e dell’intelletto imma-
ginativo, provengono da un oltre in cui si annullano i confini tra reale
e immaginario, ormai totalmente unificati nello stesso flusso di energia
che li permea e li accoglie e in cui, uomo, natura, cose, parlano le stesse
parole nell’incanto indistinto e nell’indefinito primigenio che è lo scor-
rere in noi dell’anima stessa del cosmo.
In questo mondo magico di sogni e di realtà ultrasensibili dunque,
Persone e personaggi, non più separati da un ipotetico e fittizio grado di
realtà, annullano tutte le distinzioni e fluttuano immersi nel gran mar
dell’essere, perché, come dice Shakespeare, Siamo fatti anche noi della
stessa sostanza di cui son fatti i sogni; nello spazio e nel tempo d’un
sogno è racchiausa la nostra breve vita.89

86
In Novelle per un anno, ed. cit.
87
Uno nessuno centomila, ed. cit.
88
I giganti della montagna p. 1345.
89
William Shakespeare: La tempesta, Atto V, scena I.
Ricezione, messinscene e traduzioni del dramma
Sei personaggi in cerca d’autore negli Stati Uniti
Maria Rosaria Vitti-Alexander

Vivendo e lavorando all’estero, il tema assegnatomi per questo inter-


vento, ricezione, messinscena e traduzione del dramma Sei personaggi in
cerca d’autore, negli Stati Uniti mi ha portato a rispolverare gli anni dei
miei studi americani e a ritrovare dei ricordi e delle esperienze che mi
hanno scolpita in tanti modi. Ma rimando alla fine del mio intervento
per condividerli con voi.
Passiamo invece al compito assegnatomi. Pirandello negli Stati Uni-
ti, quando e come viene accolto e tradotto il nostro grande scrittore.
Il dramma Sei personaggi in cerca d’autore arriva per la prima volta
negli Stati Uniti, a New York City per la precisione, il 30 ottobre 1922
per una rappresentazione al 44th Street Theatre. Nel 1921 il dramma
aveva avuto la sua prima a Roma, con il clamoroso insuccesso che tutti
conosciamo per poi invece trionfare, quello stesso anno, a Milano. L’an-
no successivo, dopo le strepitose rappresentazioni avute in Francia con
la regia di George Pitoëff, in Germania con quella di Max Reinhardt,
il dramma sbarca negli Stati Uniti portato da Brock Pemberton. Brock
Pemberton era molto noto nel mondo artistico americano, stimato
produttore teatrale, direttore e fondatore del premio teatrale The Tony
Award che ha avuto, e continua tuttora ad avere grande successo. La
traduzione dei Sei personaggi scelta per questo esordio negli Stati Uniti è
di Edward Storer, scrittore e traduttore inglese. Lo Storer ha vissuto e la-
vorato in Italia dal 1917 al 1941 a Roma, e durante quegli anni è venuto
a conoscere e ad amare la cultura italiana, dando inizio ad una densa
carriera di traduttore di autori italiani. La collaborazione tra Storer e
Pemberton continua con altri lavori pirandelliani tra cui la scelta della
traduzione di Storer dell’Enrico IV che Pemberton presenta al pubblico
americano il 21 gennaio 1924 con il titolo di The living Mask.
Gli anni che vanno dal 1922 al 1924 sono stati molto significativi
per il teatro americano per la ricca affluenza di lavori teatrali stranieri,
Luigi Pirandello è il drammaturgo italiano più presente.
La scelta del posto per la prima dei Sei personaggi era caduta sul Prin-
cess di Brodway, sulla 44th Street. In un piccolo teatro quale il Princess,
le qualità teatrali si possono vedere e percepire ed è facile instaurare
204 Maria Rosaria Vitti-Alexander

contatto diretto tra pubblico e palcoscenico. Il Princess si rivela luogo


perfetto per stimolare l’interesse di un ristretto pubblico di conosci-
tori di teatro d’avanguardia, e poi partire da qui per la conquista di
un pubblico di massa. Tattica che ha funzionato molto bene con i Sei
personaggi se si leggono le pagine dei giornali. Il 31 ottobre tutti i gior-
nali più importanti di New York dedicano la prima pagina all’evento,
“The New York Times”, “The New York Herald”, “The New York Te-
legram”, “The New York Tribune”. Finanche in quelli serali appaiono
scritti sulla prima pirandelliana, quali “The New York Evening Post” e
“Evening World”.1 Tutti concordano nel trovare il dramma pirandellia-
no affascinante , “intriguing” (accattivante) per ripetere l’aggettivo più
impiegato. I giornalisti evidenziano un nuovo modo di fare teatro, si
parla di un drammaturgo che mette insieme “philosophical fooling and
shrewd criticism of the art of the theater” (arguzie filosofiche e critica
intelligente dell’arte del teatro).
Gli Americani non conoscono Pirandello ed anche quelli che han-
no visto lo spettacolo non sanno molto di lui, parte quindi una lun-
ga campagna per rivelare lo scrittore agrigentino ai lettori americani
con una diffusione di articoli che forniscono informazioni su questo
nuovo personaggio che sembra stia catturando l’attenzione del pubbli-
co americano. Un esempio è l’articolo sul “New YorkTimes” intitolato
“Who is Pirandello ?”2 di James Kirkwood. Kirkwood fa una carrellata
sul luogo di nascita del drammaturgo, gli studi in Italia e in Germania,
la necessità di fare il professore. La sua carriera di scrittore iniziata con
la poesia per poi passare alla prosa con il suo primo lavoro Il turno. Poi
l’arrivo del Fu Mattia Pascal che Kirkwood chiama “fantastic work” che
lo fa riconoscere come scrittore di assoluto calibro. Menziona le novel-
le di Pirandello, “365 according to his count, which earned him the
sobriquet of ‘gay pessimist” (365 secondo il suo calcolo, che gli hanno
guadagnato il soprannome di pessimista gaio). Il 1922 è anche l’anno
che vede la pubblicazione di ben tre lavori teatrali di Pirandello Six Cha-
racters, Henry IV, Right you are (If you think you are) con la traduzione di
Edward Storer, il volume è pubblicato da E.P. Dutton & Co.
Dopo il sensazionale trionfo dei Sei personaggi, il teatro Princess di
Broadway cambia nome e diventaTeatro Pirandello, e per l’intera sta-
gione teatrale offre Sei personaggi per un totale di 137 rappresentazioni.
A febbraio del 1923 Sei personaggi riceve da Jack Crawford il primo
Premio tra i lavori teatrali stranieri e campeggia sulla rivista teatrale
“Drama”. Jack Crawford era un apprezzato critico letterario, autore di

1
New York Times, March 25, 1923.
2
New York Times, November 5, 1922.
Sei personaggi in cerca d’autore negli Stati Uniti 205

romanzi, e di lavori teatrali, e professore di Inglese alla Yale University.


La presenza pirandelliana negli Stati Uniti continua lenta ma in
modo regolare. Nel 1952 si registra un rinnovato stimolo per i lavori pi-
randelliani grazie all’interesse di Eric Bentley che annuncia al pubblico
americano: “ the time is about here for a revival of interest in the Italian
playwright Luigi Pirandello. (Il tempo per un risveglio d’interesse per il
drammaturgo italiano Luigi Pirandello è qui). Eric Bentley, di nascita
inglese e traslocato a New York, è diventato un’icona del mondo arti-
stico americano, importante critico teatrale, drammaturgo, cantante,
editore e traduttore, amato e apprezzato a tal punto da essere nel 1988
eletto nell’American Theatre Hall of Fame.3
Bentley aveva organizzato una rappresentazione al Battle Theatre a
Cambridge di Right you are ( If you think you are) (Così, è se vi pare) e per
il testo aveva utilizzato la sua traduzione in quanto argomenta: “ Piran-
dello has not been fortunate in his English translation” (Pirandello non
è stato fortunato con le traduzioni in inglese dei suoi lavori). Continua
il Bentley: “Evidently, when Pirandello came to be translated, people
thought that he required a good deal of explanation. So, speeches that
might take two lines in Italian came out six lines in English. That made
his plays very long, unnecessarily long.” (Evidentemente, quando Pi-
randello è stato tradotto, i primi traduttori hanno ritenuto necessario
dare molte spiegazioni. Quindi brani che consistevano di due righe in
italiano sono divenuti brani di sei righe in inglese. Ciò ha creato pezzi
teatrali molto lunghi, inutilmente lunghi). Dunque Bentley si propone
di cambiare tutto ciò: “My aim has been to translate Right you are (If
you think you are) as literally as possible, to take the play as nearly back
to Pirandello as possible, and yet to put the dialogue into contemporary
English. I think I must have reduced the conventional English transla-
tion by about one-third” (Il mio scopo è di tradurre Così è (se vi pare) il
più letteralmente possible, riportare il pezzo teatrale il più possibile al
testo pirandelliano, e allo stesso tempo utilizzare un inglese contempo-
raneo. Penso di aver ridotto la traduzione inglese convenzionale di circa
un terzo).4
Eric Bentley ha toccato due tasti importanti in riguardo ad una re-
visione necessaria delle traduzioni che esistevano e in molti casi ancora
presenti negli Stati Uniti, e il bisogno di utilizzare una lingua inglese
che riflette l’americano di oggi. Due temi, a mio parere, strettamente
connessi all’andamento fluttuante della popolarità, e ad una presenza
più capillare e viva dei lavori di Luigi Pirandello. Non dimentichiamo

3
Daily Boston Globe, March 23, 1952.
4
Daily Boston Globe, March 23, 1952.
206 Maria Rosaria Vitti-Alexander

che Eric Bentley era venuto a conoscere ed amare gli scritti pirandel-
liani durante gli anni lavorativi trascorsi in Italia, dove aveva studiato e
diretto pezzi teatrali pirandelliani in italiano e in tedesco, e da grande
glottologo che era aveva riconosciuto le carenze nelle tante traduzioni
che circolavano.
Nel 1950 Sei personaggi, trova una riuscitissima presentazione al Dra-
matic Club di Mount Holyoke College con Denis Johnson, direttore di
produzione. La scenografia, la presentazione, e le novità introdotte per
la rappresentazione e la sua nuova traduzione del lavoro pirandelliano
che vede una lingua più sciolta e più vicina all’americano parlato, por-
tano alla ribalta il nome di Denis Johnson. Nel 1958 viene infatti con-
vocato per una riscrittura a libretto d’opera del dramma Sei personaggi.5
Mi rimetto alla presentazione della prima di Sei personaggi come
opera lirica ad un articolo di Antonio Illiano: “The premiere of Six Cha-
racters in Search of an Author, an opera in three acts based on Pirandello’s
masterpiece, was staged at the New York City Center on 26 April 1959
as part of an operatic season devoted exclusively to American operas and
sponsored by the New York City Opera Company. Hugo Weisgall, the
outstanding composer from Baltimore, created the music for a libretto
by Denis Johnson, the noted Irish playwright who was then teaching
at Mount Holyoke College.” (La prima dei Sei personaggi, opera in tre
atti basata sul capolavoro di Pirandello, è stata presentata al New York
City Center il 26 aprile 1959 come parte di una stagione operistica de-
dicate esclusivamente a opere americane e sponsorizzate dal New York
City Opera Company. Hugo Weisgall, il prominente compositore di
Baltimore, ha creato la musica per un libretto di Denis Johnson, il noto
drammaturgo irlandese allora professore al Mount Holyoke College)
The opera, clearly one of the most provocative of the repertoire,
was one of the four selected to go on a tour of American cities and was
subsequently performed in Boston and Washington before returning to
New York for the 1960 spring season.(L’opera, chiaramente una delle
più provocative del repertorio, è stata una delle quattro scelta per un
giro organizzato di città americane per poi essere presentata a Boston e
Washington prima di ritornare a New York City per la stagione operi-
stica di primavera 1960.)6
Dunque il dramma Sei personggi viene presentato il 26 aprile1959
al New York City Center come opera lirica in tre atti. Il libretto con-

5
Dramatic Club Produces Johnston Translation: Lighting, Scenery, Highton
Theme.
6
A. Illiano, “Six Characters”, An American Opera, Review of Natioanl Litera-
tures: Special Edition, Vol. 14.
Sei personaggi in cerca d’autore negli Stati Uniti 207

sisteva di ventiquattro voci, diciassette nel gruppo “The Real People”


( Le Vere Persone) e sette del gruppo “The Characters” (I Personaggi).
“The Real People” in aggiunta al direttore, all’assistente, ecc. includeva
un interessante Chorus of “The Seven Deadly Sins” (Coro dei Sette
Peccati Mortali), I soliti sette peccati mortali che conosciamo tutti ma
con l’aggiunta di uno, che essendo così peccaminoso non ha neanche
un nome, dunque “The Unheard of Sin” (Il peccato sconosciuto). I pec-
cati erano Pride, Envy, Sloth, Lust, Anger, Avarice, Gluttony (orgoglio,
invidia, pigrizia, ira, avarizia, gola) e il peccato sconosciuto. Non ci si
può dimenticare di un cast aggiuntivo il Chorus ad Libitum che dava
al direttore d’orchestra l’opzione di coinvolgere tutto il personale che si
trovava nel teatro, quali carpentieri, elettricisti, portieri, donne di puli-
zia ecc. Questa produzione è stata registrata e distribuita con l’etichetta
del New York Records.
Nel 1958 si assiste ad un evento importante per la diffusione della
presenza pirandelliana nel Nord America. Marta Abba, ultima musa di
Pirandello e per la quale il Maestro ha scritto lavori indimenticabili, de-
cide di coinvolgersi nella divulgazione delle sue opere, e convoca nel suo
appartamento a New York alcuni docenti di letteratura e drammatur-
ghi di sua conoscenza. Si ha così la nascita della Pirandello Society of
America. La Società inizia con la pubblicazione di un semplice giorna-
lino per diventare dopo pochi anni una conosciuta ed apprezzata rivista
annuale di critica letteraria che si vanta della collaborazione di studiosi,
drammaturghi e studenti da ogni parte del mondo.
Le rappresentazioni operistiche di Sei personaggi continuano nel
Nord America. Nel 1974 l’opera viene presentata da studenti all’Oberli-
ne College, nel 1995 a Manhattan College, e nel 2002 a Urbana Cham-
paign. Continuano anche le produzioni di professionisti, nel 1990 al
Lyric Opera of Chicago, al Lyric Opera Center for American Artists, nel
2000 si ha una presentazione al McCarter Theatre a Princeton.
Con il proliferare di rappresentazioni teatrali e operistiche dei lavori
pirandelliani assisitiamo nel 1976 ad una ulteriore pietra miliare per la
conoscenza e diffusione del Nostro. Nel 1976 Sei personaggi viene tra-
smesso per la prima volta al Public Broadcasting Service all’ Hollywood
Television Theatre. Questa produzione PBS si è servita di una nuova
traduzione, quella di Paul Avila Mayer perché modernizzata nella lingua
parlata e nei correnti usi di espressioni idiomatiche. Dunque televisio-
ne, e per restare in soggetto l’apertura del dramma avviene in un studio
televisivo vuoto invece di un palcoscenico teatrale non allestito.
È importante specificare che negli Stati Uniti tutte le università han-
no dipartimenti di Lingua e Letteratura Italiana e dipartimenti di Labo-
ratori Teatrali. Molto spesso questi due dipartimenti lavorano all’uniso-
208 Maria Rosaria Vitti-Alexander

no, soprattutto quando si tratta di uno studio di pezzi teatrali stranieri.


Per la lingua italiana Pirandello occupa sempre un posto di riguardo.
Come esempio di una collaborazione ben riuscita ho scelto di riporta-
re nei minimi dettagli il lavoro fatto dall’Actors Theatre of Louisville
che, in collaborazione con l’Università di Louisville, ha messo insieme
un fantastico programma su Pirandello. Dal 25 settembre al 24 otto-
bre1986 The State Theatre of Kentucky, di Louisville presenta: Classics
in Context, The American Pirandello Festival.
The Plays erano: in the Pamela Brown Auditorium: The rules of the
game, Six characters in search of an author; in the Victor Jory Theatre:
Cecé, The man with the flower in his mouth.
Le rappresentazioni erano poi seguite da The Films, e da The Lectu-
res:
Moments of involuntary Sojourn: Pirandello (1971)
A remarkable photo-documentary that traced the life of Pirandello,
directed by Gerardo Guerrieri.
This love of ours (1945)
Universal Studios’ Classics, This love of ours stars Merle Oberon,
Claude Rains and Charles Korvine. Based on Pirandello’s romantic co-
medy, As before, better than before.
Film # 1 As you desire me (1932). Greta Garbo come la purissima im-
magine “pirandelliana.” Diretto da George Fitzmaurice, il film realizza
tutti i dettagli artistici degli anni 30.
Film # 2 The late Matthew Pascal (1925). Questo stupendo classico
film muto era accompagnato da musica originale scritta ed eseguita da
Steve Gews. Diretto da Marcel L’Herbier.
Film # 3 Amarcord (1973). Questo film era una divertente retrovi-
sione dell’Italia degli anni 30.
Per finire il festival offriva agli ospiti di questo incredibile Pirandel-
lian Festival tre conferenze tenute da distinti studiosi pirandelliani. La
prima conferenza “ Love and Theatre: Pirandello’s life as inspiration” era
di Pietro Frassica, professore associato alla Princeton University. La se-
conda conferenza: “The playwright’s legacy: Pirandello and the Modern
age, di Louis Fantasia, Direttore dell’International Shakespeare Globe
Center. La terza conferenza: “A pirandellian decade: social history, in-
tellectuals, and fascism in Italy in the 1920s” era di Alessandro Falassi,
conoscitore di folklore italiano e di storia popolare. Un programma ben
organizzato come si può vedere e testimone di una forte presenza piran-
delliana negli USA.
Nel 1987, Robert Brustein, direttore artistico dell’American Reper-
tory Theatre a Cambridge dirige tre pezzi teatrali pirandelliani, Tonight
we Improvise (Questa sera si recita a soggetto), Six Characters (Sei perso-
Sei personaggi in cerca d’autore negli Stati Uniti 209

naggi) e Right you are (If you think you are) (Così è, se vi pare). Nel 1988
per la presentazione di Sei personaggi per il primo International Festival
of The Arts in New York City al Joyce Theatre, Brustein ne modernizza
il testo per mettersi al passo con il teatro Americano riducendo il dram-
ma a 90 minuti per avvicinarsi ad una produzione più realisticamente
americana in durata “a play that an American theatre company might
actually be rehearsing” (un pezzo teatrale che una compagnia teatrale
Americana può veramente provare). Brustein, come aveva fatto Bent-
ley prima, vede l’assoluta necessità di avvicinare al mondo americano
i lavori pirandelliani. “We don’t need realism anymore. What we have
to show is what the stage can do that films can’t do, and Pirandello is
the perfect playwright to demonstrate that” (Non serve più il realismo.
Quello che dobbiamo mostrare è quello che il palcoscenico può fare
che i film non possono, e Pirandello è il perfetto drammaturgo che
lo dimostra). In questa produzione è attraverso specchi che il dramma
viene rappresentato per spingere il pubblico a distinguere la realtà o un
riflesso della realtà. Quando si arriva alla scena finale i Sei personaggi
riappaiono come immagini fotografiche.7
Altro esempio di collaborazione tra dipartimenti arriva nel 1992 con
la presentazione dei Sei personaggi al Nazareth College, Department of
Theatre Arts, la traduzione quella di Paul Avila Mayer e diretto dal pro-
fessor David M. Ferrell. Nel 1996 è la prestigiosa Juillard School a met-
tere in scena i Sei personaggi, seguito dal The Jean Cocteau Repertory al
Baruch College con una indimenticabile rappresentazione. Altro lavoro
interessante per le innovazioni apportate al dramma pirandelliano è il
lavoro di Hofstra University in concomitanza con il Drama and Dance
Department, del 2006. Diretto da Cindy Rosenthal il dramma piran-
delliano viene accorciato drasticamente (l’intera durata è di un’ora e
mezzo) senza interruzioni, l’inizio del lavoro teatrale vede gli attori che
provano Hamlet di Shakespeare invece di Pirandello. Lo spettacolo vede
un tutto esaurito e grande gradimento del pubblico.8
Negli ultimi anni sono iniziati ad uscire lavori che riflettono l’uso di
tecnologie sempre più moderne ed avanzate. Come esempio ho preso
il lavoro del Decio Theatre dell’Università di Notre Dame del 2014.
Con adattamento di Patrick Vassel, Sei personaggi trova il suo “perfect
modern counterpart: reality- TV. “ Ma non un qualunque reality -TV,

7
Pirandellian Specters in Contemporary Practice: Six Character in Search of
an Author, Interactive Media, and Performance, Susan Tunneriello, PSA Volume
XXII, 2009.
8
PSA, “From Narrative to Drama”, Presentation by Dr. Mimi D’Aponte, Vol.
XIII (Commemorating The Society’s 40th anniversary)
210 Maria Rosaria Vitti-Alexander

ma The Irish Bachelor una riproduzione ironica di un vero programma


televisivo intitolato l’Irish Bachelorette che gli student avevano organiz-
zato e presentato l’anno prima. Vassel esplora con successo la relazione
tra “life” e “form”, la vita di un uomo che cambia in continuazione,
dinamica, aperta al movimento, e la sua “form” invece che è per sempre
statica. In questa sua rappresentazione Vassel spiega: “ The conflict of
life and form plays out on three levels in the play. The level of Piran-
dello’s characters and their human narratives, the level of the fictional
recreation of Notre Dame students as reality-TV actors, and the level
of the real life of the Notre Dame audience.” (Il conflitto tra la vita e la
forma si sviluppa in tre livelli nel pezzo teatrale: il livello dei personaggi
e le loro storie umane; il livello fittizio, la ricreazione degli studenti di
Notre Dame come attori di reality-tv; al livello di vera vita del pubblico
di Notre Dame). La rappresentazione dei Sei personaggi è stata fatta
con “on stage mounted and hand-held video cameras” (video camera a
mano e altre montate sul palco) che a loro volta erano collegate ad una
televisione sul palcoscenico e due schermi sulle pareti laterali. I cambia-
menti di scene erano accompagnati da complessi cambiamenti di luci
e durante la rappresentazione la richiesta di partecipazione diretta del
pubblico avveniva con cartelli alzati con la scritta “Awww, ” “Laughter”,
“Applause” che vedevano in risposta urla di approvazione, di diniego e
applausi. “In these unique ways Pirandello’s tragic narrative is contex-
tualized in the contemporary theatre.” (in questi modi unici la tragica
narrativa di Pirandello è contestualizzata nel teatro contemporaneo).
Alla fine della rappresentazione il padre con in braccio il corpicino del
bambino morto entra nello spazio del pubblico dicendo: “Reality, Sir?
This really” (Realtà, Signore? Questa è realtà) in tal modo da coinvolge-
re completamente il pubblico nel dramma.9
Le presentazioni di Sei personaggi continuano da università a uni-
versità con un ritmo continuo e con tecniche sempre più tecnologiche
per creare l’atmosfera di una commedia “in the making” come Piranello
stesso ha sempre specificato. L’aggettivo ‘pirandellian’ è ormai entrato a
far parte del gergo comune, e i lavori pirandelliani sono presenti non
solo nei teatri universitari ma anche in piccoli teatri nascosti in angoli
remoti di città americane. L’ultima rappresentazione di Sei personaggi
infatti l’ho vista proprio in un piccolo teatro a Rochester New York, il
MuCCC, ricavato da una vecchia chiesa in disuso e riabilitata a centro
culturale con il suo piccolo teatro a semicerchio per un pubblico di un
centinaio di spettatori.
Per tornare all’inzio di questo mio intervento vorrei concludere con
il mio ricordo personale.
Ero agli inizi dei miei studi universitari negli Stati Uniti, sola e no-
Sei personaggi in cerca d’autore negli Stati Uniti 211

stalgica del mio paese, quando mi sono decisa a continuare gli studi
d’italiano mentre studiavo l’inglese. Il mio professore di letteratura era
anche il direttore del Laboratorio Teatrale dell’università, e l’anno della
mia dichiarazione di un Master in Italiano coincideva con la presenta-
zione di Sei personaggi in cerca d’autore. Naturalmente ho partecipato
anch’io, ero la Figliastra. Negli anni sono seguite altre rappresentazioni
e altri personaggi per me in Il berretto a sonagli, Cosi è, se vi pare, Pensaci
Giacomino, ecc. Terminato il PhD ho accettato il lavoro al Nazareth
College dove insegno tuttora, e al mio arrivo, quasi fosse stato organiz-
zato per me, il Dipartimento di Teatro Visual Arts aveva messo sulla
scena Sei personaggi in cerca d’autore. Dunque, mi viene da dire, è una
storia d’amore tra me e il dramma Sei Personaggi.

Bibliografia

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2. “The Washington Post”, William Lyon Phelps, “Italian Dramatist, ” Ja-
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212 Maria Rosaria Vitti-Alexander

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Author, ” October 1966.
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23. “The Journal of The Pirandello Society of America”, Vol. XXII, 2009.
24. “The Journal of The Pirandello Society of America”, Vol. XXVII, 2014
25. “The Journal of The Pirandellian Society of America”, Vol. XXXVIII,
2016.
26. “The Journal of The Pirandellian Society of America”, Volume XX, 2007.
27. “The Pirandellian Society of America”, From Narrative to Drama, Volume
XIII.
Ricezione, messinscena e traduzione
di Sei personaggi (1921) allo Shaw Festival in Canada
di Donato Santeramo

Quest’anno si celebra il centenario della prima rappresentazione di


Sei personaggi in cerca d’autore presentata al Teatro Valle di Roma il 9
maggio del 1921; versione messa in scena allo Shaw Festival nel 2000 e
2001 con notevole successo di pubblico e di critica.
Detto ciò, la prima cosa da notare, però, è che ogni messa in scena
di quest’opera pirandelliana è quasi sempre una versione nuova del testo
originale a cui Pirandello mise mano nel 1923 e nel 1925, apportando
modifiche fondamentali e operando aggiunte e notevoli tagli al testo.
Prima di analizzare lo spettacolo andato in scena allo Shaw Festival è
forse opportuno esaminare i cambiamenti apportati da Pirandello al
testo originale del 1921.
Una delle produzioni che esercitò una forte influenza sul dramma-
turgo e che ebbe sicuramente un ruolo fondamentale nella riscrittura
dell’opera fu l’allestimento di Sei personaggi in cerca d’autore da parte
di Georges Pitoëff presso la Comédie des Champs Elysées di Parigi.
Nell’aprile del 1923, due anni prima di iniziare la sua avventura di ca-
pocomico, Pirandello assisté alla prova in costume e alla prima di tale
lavoro. La commedia raccolse un enorme successo, aumentando il pre-
stigio internazionale di cui Pirandello, peraltro, già godeva.1
Non c’è dubbio che la regia di Pitoëff abbia contribuito notevolmen-
te al successo francese del dramma pirandelliano poiché la sua interpre-
tazione mirava a sottolineare gli aspetti impressionistici dell’opera, e fu

1
Si ribadiscono nella prima parte del presente lavoro le risultanze contenute nel
mio Luigi Pirandello: La parola, la scena e il mito, NEU, Roma, 2007. Sei personaggi
in cerca d’autore aveva riportato un trionfo l’anno prima a Londra e a New York.
L’anno dopo, il 30 dicembre, Max Reinhardt mise in scena il dramma al Deutsche
Theatre di Berlino. Tuttavia, al testo del dramma vennero apportati cambiamenti
così consistenti che la messa in scena di Reinhardt è stata definita “rappresentazione
dell’esistenza simbolica”. Cfr. M. Rössner, “La fortuna di Pirandello in Germania”,
in Quaderni di teatro, novembre 1986, pp. 40-53. Sei personaggi in cerca d’autore
venne diretta da Pitoëff solo perché rifiutata inizialmente da Jacques Copeau. Di-
fatti, Benjamin Crémieux, che aveva tradotto il dramma in francese, lo aveva in un
primo momento offerto al Le Vieux Colombier. Si veda: R L. Lelièvre, Le théâtre
dramatique italien en France. 1855-1940, Parigi, Armand Collin, 1959, pp. 415-23.
214 Donato Santeramo

il frutto di una lettura del testo caratterizzata da importanti interventi


e novità: tra questi, a) tagli rilevanti al testo, b) la riscrittura di alcune
scene, in particolar modo quella “nel giardino”, c) forte ridimensiona-
mento del tema dell’incesto, d) l’aspetto spettrale dei Personaggi, e) la
dizione studiatamente innaturale, quasi ieratica, usata dagli attori, e in
particolare dal padre, f ) l’uso di un fondale bianco e g) l’attenuamento
delle luci.2 Furono queste le innovazioni che contribuirono all’enorme
successo della pièce, sebbene la novità più originale, forse anche provo-
catoria, fosse l’utilizzo di un montacarichi, che normalmente serviva per
portare gli attrezzi di scena dal piano superiore, per far entrare in scena
i Personaggi.3 Quel montacarichi veniva usato anche per l’uscita di sce-
na dei Personaggi, nel finale del dramma, e con tale espediente Pitoëff
intese evidenziare i tratti non umani dei Personaggi i quali scendevano
“dal cielo” con un mezzo che aboliva gli aspetti naturalistici dell’azione,
per poi tornarvi alla fine della commedia. L’intervento più rilevante ap-
portato al testo pirandelliano del 1921 fu, tuttavia, l’allungamento della
scena “nel giardino” che, nella messa in scena parigina, Pitoëff costruì in
scena davanti agli occhi degli spettatori. Inizialmente, Pirandello accolse
con fastidio gli interventi del regista franco- russo, ma in seguito, come
scrive Dario Niccodemi, li approvò,4 sebbene poi si attivasse per riven-
dicare l’integrità del testo e reclamare il controllo sulla sua creazione.
Quando Pirandello presentò Sei personaggi in cerca d’autore al Teatro
Odescalchi, il 18 maggio 1925, due anni dopo aver assistito alla messin-
scena francese, aveva all’attivo la regia di dieci titoli. Era la seconda volta
che curava la regia di un suo dramma, avendo già messo in cartellone
l’atto unico Sagra del Signore della Nave per inaugurare l’attività della
compagnia. Prima di iniziare ed elaborare l’allestimento teatrale di Sei

2
Per un reso conto dettagliato dei cambiamenti effettuati dal regista franco-rus-
so si vedano: Cfr. S. D’Amico, “Introduzione a Sei personaggi in cerca d’autore” in
Maschere nude, Milano, Mondadori, 1993, pp. 639-640 e J. Lorch, Pirandello, Six
Characters in Search of an Author. Cambridge, Cambridge University Press, 2004,
pp. 56-60.
3
Per recensioni e commenti sulla produzione di Sei personaggi realizzata da
Pitoëff nel 1923, vedere: James N. Alley, “French Periodical Criticsm of Pirandel-
lo’s Plays” in Italica XXV.2 (1948), pp. 138-49; A. Mortier, Quinze ans de théâtre,
Parigi, Albert Messein, 1933, pp. 278-79; A. Antoine, L’information , 16 aprile
1923; G. Marcel, Alsace Française, 3 maggio 1934; A. Pitoëff, Ludmilla, ma mère,
Parigi, Julliard, 1955 ; G. Giudice, Pirandello, Torino, Utet, 1963, pp. 368-75; e la
recensione di Artaud in A. Artaud, Œuvres complètes, pp. 160-1. Vedere anche R.
Alonge, “Le messe in scene dei Sei personaggi in cerca d’autore” in Testo e messa in
scena in Pirandello, Urbino, La Nuova Italia Scientifica, 1986, pp. 63-84.
4
La lettera di Niccodemi è stata pubblicata nel quotidiano La Repubblica del
13 gennaio 1990.
Sei personaggi (1921) allo Shaw Festival in Canada 215

personaggi in cerca d’autore, Pirandello prese visione di tutte le varian-


ti che erano state introdotte nelle varie presentazioni della commedia.
Virgilio Marchi, scenografo del Teatro d’Arte, ricorda che “tutte le va-
riazioni registiche delle rappresentazioni avvenute fino a quel momento,
anche all’estero, furono vagliate”. 5
La conoscenza delle soluzioni applicate alla messa in scena di Sei
personaggi in cerca d’autore del Teatro d’Arte è fondamentale ai fini della
comprensione della versione definitiva del testo, anche se molti cambia-
menti furono effettuati già nella versione del 1923.6
Tutti gli interventi operati da Pirandello sul testo del 1921 hanno
una considerevole importanza sotto il profilo strutturale ed estetico e
attestano l’ampliamento del raggio d’azione del drammaturgo siciliano.
Con l’eliminazione della quarta parete, ad esempio, egli espande lo spa-
zio della messa in scena: se nella prima versione s’incontra pur sempre
l’imitazione di una rappresentazione teatrale che si svolge davanti a un
pubblico, in quella del 1925 i confini dell’esperienza teatrale vengono
ampliati fino a comprendere il pubblico; pur non essendo prevista la
partecipazione diretta degli spettatori all’azione del dramma, non si può
non avvertire la forza coinvolgente e soverchiante del dramma che pren-
de campo nell’intera sala teatrale, minacciando di invadere lo spazio tra-
dizionalmente “sicuro” della platea. La collocazione di parte dell’azione
scenica in platea, comporta l’aggiunta di un piano ulteriore al dramma,
e tale operazione ha l’intento di indurre uno stato di soggezione negli
spettatori, in quanto azzera la distanza tra ciò che si presumeva reale,
ossia il livello di esistenza degli spettatori, e ciò che si presumeva fittizio,
ossia quanto avviene sul palcoscenico. Da parte di Pirandello, quindi, vi
è un gesto forte di appropriazione di uno spazio che di norma non com-
pete né al commediografo né al palcoscenico.7 L’aggiunta di un livello
rappresentativo nuovo rispetto a quelli già presenti nella prima versione
moltiplica i conflitti tra ciò che è presunto reale e il fittizio.
Il dualismo finzione/presunta realtà è tuttavia complimentato dalle
modifiche apportate ai Personaggi che non sono di minore importan-
za, e che introducono un livello ulteriore. Nella prefazione del 1925,

5
V. Marchi, “Ricordi sul Teatro d’Arte” in Teatro Archivio, 4 maggio 1981.
6
In effetti, la versione definitiva venne pubblicata nel 1933. Il testo è identico
a quello della versione del 1925, a parte alcune modifiche alla punteggiatura, men-
tre tra le prefazioni alla commedia del 1925 e del 1933 ci sono alcune differenze
rilevanti. Per un reso conto dettagliato dei cambiamenti fatti dal drammaturgo
siciliano si veda: D’Amico, op. cit., pp. 641-650.
7
Anche i futuristi miravano al coinvolgimento dello spettatore nell’azione, ma
la situazione è ben diversa: lo spettacolo futurista era principalmente un happening,
un evento, per cui tutto quel che avveniva era indubbiamente “reale”.
216 Donato Santeramo

viene dichiarato a chiare lettere che il luogo d’origine dei Personaggi è


“l’oltre”, e la loro estraneità alla sfera del reale perde ogni residua con-
notazione naturalistica nella misura in cui, sulla scorta dell’indicazione
di Pirandello, essi celano il viso dietro maschere che ne sottolineano la
permanente staticità.8
In conclusione, di questo lungo, ma necessario preambolo, è op-
portuno ricordare che un altro fondamentale intervento è il tema
dell’incesto, che aveva un ruolo portante nella versione del 1921, (pre-
sumibilmente il motivo ispiratore di fondo dell’intero dramma), e che,
nella messa in scena del 1925, viene ridotto ad elemento contestuale
pressoché marginale. L’originaria centralità di un tema così comples-
so si ricollega a dolorose vicende personali di Pirandello: la moglie del
commediografo, nel suo disordine mentale, coltivò l’ossessione che egli
avesse una relazione incestuosa con la figlia.9
La messa in scena di Sei personaggi in cerca d’autore tenutasi allo
Shaw Festival nella provincia dell’Ontario in Canada10 nel 2000 e ri-
presa l’anno successivo, con la regia di Tadeusz Bradecki* e una nuova
traduzione di Domenico Pietropaolo**, è tratta, come si è accennato,
dalla prima stesura del dramma, e tale scelta non fu solamente stilistica,
ma anche, e forse soprattutto, di natura poetica.11
La decisione di utilizzare la prima stesura che, in un certo senso, Pi-
randello aveva abiurato, è di fondamentale importanza in quanto l’azio-
ne sulla scena si sposta da un discorso quasi completamente improntato
sulla meta teatralità e sul rapporto tra finzione e realtà, ad uno che si
concentra soprattutto sulla natura dei Personaggi e la loro relazione con
il mondo; nonché, come si è già detto, sul supposto incesto tra il Padre
e la Figliastra.12

8
Cfr. D’Amico, op. cit., pp. 643-645.
9
Riguardo alla genesi testuale dei Cfr. Sei personaggi, è di speciale interesse
C. Vicentini, “Sei personaggi in cerca d’autore. Il testo”, in Testo e messa in scena in
Pirandello, op. cit., pp. 49-62
10
Bisogna sottolineare che lo Shaw Festival, che si tiene annualmente dal 1962
nella cittadina di Niagara-on-the-Lake, ospita tre teatri con una capienza totale di
1465 spettatori e che nell’ultima stagione 2019, l’ultima pre-pandemia per inten-
derci, ha accolto ben 276.000 spettatori.
11
Six Characters in Search of an Author, Shaw Festival 2000, traduzione di D.
Pietropaolo, con la regia di T. Bradecki. Vorrei ringraziare Tadeusz Bradecki per
avermi concesso un’intervista per questo saggio e della sua disponibilità.
12
Nell’intervista concessomi il 30 dicembre 2020, Bradecki confessa che non
conosceva le versioni del dramma posteriori al 1921 in quanto in Polonia avevano
ripubblicato negli anni solo la traduzione della prima versione. Venne a conoscenza
della nuova versione in colloqui avuti con Pietropaolo, ma fu deciso di andare
avanti con la versione del 1921 perché ritenuta, secondo Pietropaolo, intervistato
Sei personaggi (1921) allo Shaw Festival in Canada 217

Lo spettacolo, che registrò il tutto esaurito per tutta la stagione,


nientemeno tutti i biglietti per l’intera stagione furono venduti prima
che aprisse ufficialmente al pubblico, fu portato in scena anche l’anno
successivo, cosa rarissima per lo Shaw Festival. Il motivo per questo
inaspettato e strepitoso successo fu probabilmente dovuto a vari fattori:
dalla scarsità di messe in scena di drammi pirandelliani registrata negli
anni in Canada, e dal trionfo ottenuto dal regista, Bradecki in vari al-
lestimenti fatti a Shaw negli anni precedenti. Un altro fattore che cer-
tamente contribuì allo straordinario successo di critica dello spettacolo
si deve alla nuova e appassionata13 traduzione del testo pirandelliano di
Domenico Pietropaolo,14 una traduzione “fatta su misura” per lo Shaw
Festival.15
Le recensioni furono quasi unanimi nel dichiarare il successo dell’o-
perazione anche se ce ne furono alcune il cui plauso era ‘tiepido’, ma la
cui critica era rivolta più al dramma che allo spettacolo. Nessun critico,
tranne Jon Kaplan del settimanale NOW, prese atto che lo spettacolo
era basato sulla prima versione del dramma.16
La traduzione di Pietropaolo è abbastanza fedele all’originale, anche
se ha prediletto la dicibilità delle battute alla fedeltà al testo pirandellia-
no. D’altra parte, i Personaggi sono presentati come diversi, o quanto
meno, appartenenti ad un mondo“altro”, usano un linguaggio arcaico,

il 2 gennaio 2021, molto efficace e rappresentativa del teatro naturalistico di fine


Ottocento. Infine, a causa del grande successo delle versioni successive, la versione
del ‘21 era stata trascurata nonostante le qualità del testo.
13
H. Violanti, “Blurring the Lines Shaw Production Asks Where Reality Ends
and the Play Begins”, The Buffalo News: Buffalo, N.Y August 25, 2000.
14
Un ringraziamento va anche a Domenico Pietropaolo che mi ha messo a
disposizione la sua traduzione, la registrazione dello spettacolo per la produzione
radiofonica del dramma, (6 Characters in Search of an Author, CBC Audio, 2 cas-
settes), il programma dello spettacolo e di avermi concesso un’intervista.
15
Violanti, cit. Lo spettacolo si tenne al Court House Theatre, dall’11 agosto
al 23 settembre 2000 e dal 9 luglio al 22 settembre nel 2001. (Nella riedizione del
2001 ci sono alcune novità, in particolare alcuni ruoli principali sono affidati a
nuovi attori). La ripresa dello spettacolo, secondo alcune recensioni del 2001, è an-
cor più “agghiacciante” della rappresentazione dell’anno precedente. In particolare,
Blair Williams, che sostituisce nella parte del capocomico Barry MacGregor, rende
il personaggio più moderno e allo stesso tempo più melodrammatico. Si vedano
rispettivamente: J. Kaplan “Primo Pirandello. Six Characters in Search of an Author
by LUIGI PIRANDELLO, directed by Tadeusz Bradecki, with Blair Williams,
Norman Browning, Kelli. Aug 30, 2001: https://nowtoronto.com/culture/theatre/
primo-pirandello e K. Taylor, Six Characters in Search of an Author. Shaw Festival.
Niagara-on-the-Lake. https://www.theglobeandmail.com/arts/a-production-in-se-
arch-of-its-magic/article769426/.
16
Kaplan, op. cit..
218 Donato Santeramo

molto più formale e stilizzato degli Attori; tale loro linguaggio li col-
loca in una dimensione temporale diversa rispetto a quella in cui si sta
svolgendo l’azione sul palcoscenico, e, dunque, il presente. Il linguaggio
degli Attori e del Capocomico è invece colloquiale, spesso popolato da
riferimenti ed istanze, specialmente tecnologiche, contemporanee. Inol-
tre, la voce dei Personaggi è fortemente impostata mentre quella degli
Attori della compagnia è discorsiva.
Nel programma dello spettacolo, nella nota sulla traduzione, Pietro-
paolo spiega che il testo pirandelliano usa “il linguaggio culturale del suo
tempo”, familiare agli spettatori contemporanei che avevano una certa
dimestichezza con il mondo teatrale del tempo in cui fu scritto e avreb-
bero riconosciuto e facilmente compreso i riferimenti presenti nel testo.17
L’intento del traduttore, quindi, è stato principalmente quello di rendere
il testo in inglese contemporaneo ai propri spettatori, senza sconvolgerne,
ed anzi rispettandone, lo spirito. Notando la diversità del pubblico dello
Shaw Festival rispetto a quello che assistette allo spettacolo nel 1921,
Pietropaolo spiega come la sua intenzione sia stata quella di rendere l’e-
sperienza degli spettatori presenti il più possibile vicina alle loro vite e alla
loro esperienza, senza però stravolgere il senso e lo stile pirandelliano.18
Quindi, si tratta non solo di una traduzione attuale, ma di un testo ricco
di riferimenti culturali (per esempio, viene sostituito il riferimento fatto
dal Padre nel testo pirandelliano a Don Abbondio con Falstaff) e tecnici
(gesti vocali) facilmente accessibili per il pubblico presente in sala.19 Pie-
tropaolo ha anche svolto, seppur non ufficialmente, il ruolo di dramatur-
ge collaborando con il regista e tutta la produzione dello spettacolo per
rendere la traduzione parte integrante della visione di insieme. 20
Bradecki, nelle note sulla regia scritte nel programma dello spetta-
colo, scrive che ha tenuto in considerazione che la pièce pirandelliana si
fa beffa, in modo ambiguo del teatro naturalistico, perché “paradossal-
mente la sua messa in scena richiede la creazione di un’illusione di una
prova teatrale, molto naturalistica”.21 Per il regista polacco, lo spettacolo

17
D. Pietropaolo, “A Note on the Translation, ” Programma di scena.
18
Ibidem.
19
Ibidem.
20
Pietropaolo, nell’intervista concessami, spiega che aveva organizzato delle
letture della sua traduzione con degli attori e che aveva anche allestito, con gli
studenti di un seminario che stava insegnando al Drama Centre dell’Università di
Toronto, una messa in scena della sua traduzione con la regia di Guillaume Bernar-
di, per appurare che le “battute funzionassero sintatticamente in inglese”. Poi, una
volta che iniziarono le prove allo Shaw Festival, ha lavorato con gli attori diretti da
Bradecki, a volte riscrivendo qualche battuta che avevano difficoltà ad enunciare e
assicurandosi che il ritmo del testo tradotto sulla scena scorresse.
21
T. Bradecki, “Director’s Notes,”, Programma di scena.
Sei personaggi (1921) allo Shaw Festival in Canada 219

riporta alla mente quello che Émile Zola definisce un “romanzo speri-
mentale”, e cioè l’esatta, veritiera presentazione di fatti tali da rivelare
(come in un laboratorio scientifico) il meccanismo della vita che li ha
prodotti.22 Il paradosso è al centro del dramma. Infatti, per Bradecki
il primo paradosso presente nel testo pirandelliano è che il testo venga
prima recitato e poi scritto: “l’esperimento” si rivela, scrive però, un
fallimento, e i Personaggi che vivono il proprio dramma non sono in
grado di recitarlo, mentre gli Attori che possono recitarlo non posso-
no veramente viverlo.23 Un altro paradosso del dramma pirandelliano,
sempre secondo Bradecki, è che la pièce parla della crisi del teatro ed è,
al contempo, una risposta alla crisi stessa.24
Nella messa in scena dello Shaw Festival, il dramma si apre, come da
copione, su un palcoscenico allestito per delle prove. Le luci nel teatro
sono accese. Dal punto di vista della scena, si è fatta una scelta iperrea-
listica, nel senso che il pubblico è cosciente che le prove dello spettacolo
a cui stanno assistendo avvengono non in un teatro anonimo, ma nel
House Theatre dello Shaw Festival e che gli Attori fanno battute che al-
ludono sia alla vita di Niagara-on-the-Lake sia all’entourage teatrale del
Festival.25 Non solo, gli Attori sono vestiti in modo casual e conversano
di avvenimenti di cronaca contemporanei.26 Squilla perfino un cellulare
mentre si sentono da una radio le note di un brano dei Queen “Crazy
Little Thing Called Love”. Tutto questo per assicurare che lo spettatore
presente in sala si senta parte di qualcosa che sta avvenendo in tempo
reale, nel tempo storico presente e nel teatro in cui si trova. A far da con-
trasto a questa contemporaneità e simultaneità tra ciò che esiste fuori
dal teatro e ciò che sta avvenendo dentro, è l’arrivo dei Personaggi che, a
differenza degli Attori, sono vestiti di nero e in modo conforme allo sti-
le eduardiano/vittoriano tardo ottocentesco. Inoltre, come accennato, i
Personaggi si esprimono in un inglese formale, quasi stilizzato, tanto da
far sembrare la loro recitazione legnosa, e parlano con una pronuncia
fortemente britannica.
Per di più, com’è noto, il testo è arricchito da Pirandello di riferi-
menti storici, come quando, inaspettatamente, nel primo atto, la Fi-
gliastra intona, poi accompagnata dagli Attori della compagnia, i primi

22
Ibidem.
23
Ibidem.
24
Ibidem.
25
Le scene erano di P. Hartwell.
26
C. Hoil, “Six Characters in Search of an Author, (review)”, in Stage-door:
http://www.stage-door.com/Theatre/2000/Entries/2000/9/26_Six_Characters_
in_Search_of_an_Author.html
220 Donato Santeramo

versi di Prends garde a Tchou-Tchin-Tchou di Dave Stampler, un brano


ispirato all’operetta del Chou-Chin Chou del 1916, basato sulla storia
di Ali Baba e dei Quaranta Ladroni. Tuttavia, mentre nella messa in sce-
na dello Shaw Festival il brano dei Queen all’apertura dello spettacolo
ha la funzione di posizionare storicamente l’esperienza dello spettatore
nel presente, l’impromptu del brano inserito da Pirandello ha la tripla
funzione a) di “comic relief ”; b) di storicizzare la Figliastra e i Perso-
naggi, facendoli cantare un brano del 1917 e c) di sottolineare, vista la
trama del musical che ha ispirato la canzone, che tutto ciò che appare
non è necessariamente reale.
Bradecki sviluppa questa parte perché cerca di proporre dell’umori-
smo nella pièce teatrale che pochi altri registi hanno tentato. In essenza,
il regista sembra voglia contrapporre sulla scena, con forza, la comicità
degli Attori alla tragicità dei Personaggi.27 Nell’intervista concessomi, il
regista spiega che oggi gli è molto chiaro che Pirandello sia stato ispirato
da Il teatro comico di Goldoni in quanto “si possono rintracciare mol-
ti paralleli, ovviamente non contenutistici ma strutturali”, tra l’opera
settecentesca e Sei personaggi in cerca d’autore. È altresì interessante no-
tare che Bradecki, per ricreare la scena nel giardino, allontanandosi sia
dal testo pirandelliano sia dalla traduzione di Pietropaolo, fa chiedere
all’apparatore di usare “due lampade per gli alberi” e un “pezzo di stoffa”
per rappresentare la vasca, quasi a voler contrastare l’estremo natura-
lismo in scena e proporre un direttore che offrisse una specie di sce-
na espressionistica agli spettatori. Ci sono altre istanze in cui Bradecki
sembra strizzare l’occhio alle versioni del 1923 e 1925: per esempio,
l’eliminazione della quarta parete, che come abbiamo visto è assente
nella versione del 1921, e che è introdotta dal regista polacco proprio
alla fine dello spettacolo, quando, una volta che i Personaggi hanno
lasciato la scena, fa sì che gli Attori della compagnia si “accorgano” della
presenza del pubblico omaggiando così le versioni successive dell’opera.
Inoltre, nella susseguente messa in scena del 2001, poco prima, alla fine
della prima parte, il ruolo del suggeritore è affidato all’attore britannico
Tony Van Bridge, “leggenda vivente” del teatro inglese, il quale, men-
tre si chiude l’atto, inizia a borbottare, prima sottovoce poi in maniera
sempre più udibile, versi dall’Enrico IV di Shakespeare, inserendosi così
nello spettacolo come se stesso, ricevendo applausi a scena aperta dal
pubblico. Questo episodio, un ulteriore abbattimento della quarta pa-
rete, aggiunge un ulteriore livello di meta-teatralità alla messa in scena.
La scelta di produrre una nuova traduzione di questo straordinario
testo pirandelliano e di mettere in scena la versione del 1921 ha in-

27
Hoil, op. cit., Si veda anche: Violanti, op. cit.
Sei personaggi (1921) allo Shaw Festival in Canada 221

dubbiamente indebolito l’aspetto meta-teatrale del dramma rispetto alle


versioni precedenti, ma d’altra, ha rafforzato la tragicità dell’azione. In-
fatti, lasciando intatte le tante battute riguardanti il possibile e avvenuto
incesto sulla scena ha ripristinato con forza quel senso tragico che Luigi
Pirandello aveva considerato concluso e che, forse, nel 2000, all’inizio
del nuovo millennio, era da recuperare nell’opera.

* Tadeusz Bradecki Diplomato all’Accademia teatrale statale di Cracovia dal


1977 al 1983. Direttore artistico e direttore generale dello Stary Theatre, Cracovia,
Polonia, 1990-1996. Anche direttore artistico del Teatro Slaski, Katowice, Polonia,
2007-2013. Per molti anni regista residente sia allo Stary Theatre di Cracovia che
al Teatro Nazionale di Varsavia. Ha diretto oltre 80 produzioni in tutto il mondo.
Dal 1998 è membro individuale dell’Unione dei teatri d’Europa.
Premi: Ha ricevuto numerosi premi come miglior regista in vari festival teatrali,
sia in Polonia (Wroclaw, Opole, Stettino, Festival di Torun) che all’estero (Saraje-
vo, Mess Festival, 1998, Premio Swinarski, 1987). Premiato anche come Cavaliere
dell’Ordre des Lettres et Artes francese, 1993.
Tra le sue regie più recenti:
2019: Banquet - W. Gombrowicz – Miejski Theatre, Gdynia, Poland
Hamlet - W. Shakespeare – Dramatyczny Theatre, Warsaw, Poland
2017: The Rover - Aphra Behn – National Theatre School, Montreal, Canada
Art - Y. Reza - Slaski Theatre, Katowice, Poland
Servant of Two Masters - C. Goldoni, Dramatyczny Theatre, Warsaw, Poland
2016: Comedy of Errors – W. Shakespeare, Miejski Theatre, Gdynia, Poland
Artaud at Rodez – Ch. Marowitz, Drama Center, London, UK
The Possessed – W. Gombrowicz, Slowacki Theatre, Krakow, Poland
2014: The Liar – C. Goldoni – National Theatre School, Montreal, Canada
Measure for Measure – W. Shakespeare – Hungarian National Theatre,
Tirgu Mures, Romania
Il teatro comico – C. Goldoni – Miejski Theatre, Gdynia, Poland

** Domenico Pietropaolo è professore di letteratura italiana e studi teatrali


all’Università di Toronto, dove è stato inoltre direttore del Graduate Centre for
Study of Drama e del Department of Italian Studies come pure preside di St. Mi-
chael’s College. I suoi interessi principali sono la drammaturgia dello spettacolo e
lo studio dei processi teatrali, la letteratura medievale italiana, il teatro moderno e
il Futurismo. Le sue pubblicazioni principali includono i volumi Semiotics of the
Christian Imagination, Semiotics and Pragmatics of Stage Improvisation, Dante
Studies in the Age of Vico, The Baroque Libretto (con M.A. Parker) e numerosi
saggi di storia letteraria e teatrale.
Sei personaggi in cerca di regista.
Gli ultimi cinquant’anni di messinscene
di Paolo Puppa

La fortuna del teatro di Pirandello, lui vivo, è una storia intessuta di


ritardi (arriva ad un contrastato successo a quasi 50 anni, parecchi un
secolo fa), di incomprensioni, di fraintendimenti, tramata di diffidenze
per il suo essere poco omologato in Italia negli anni dei telefoni bianchi
e delle rose scarlatte, anche per l’ambiguo rapporto col regime (l’affer-
mazione sua e quella del fascismo sono coeve), e nonostante la fama
mondiale che lo porta al Nobel nel 1934, due anni prima della morte.1
Oggi viceversa il drammaturgo siciliano costituisce una sicurezza per i
box offices, un incentivo per i rientri ministeriali, ossia per la componente
parassitaria del nostro palcoscenico. Registi consolidati e prime donne
disinvolte, capocomici improvvisati e produttori affaristi, tutti si ritrova-
no nel fare di questo autore nichilista e disperato un fautore di conforti e
di moralità a poco prezzo. E intanto il commediografo, non il narratore,
grazie alla sua scena si conquista il diritto di entrare nel vocabolario col
suo cognome, trasformato in aggettivo antonomastico: pirandelliano.
Ma procediamo con ordine. Incongruenze e mobilità pulsionali,
sono queste le strategie della scrittura umoristica, trasferita in bloc-
co dall’autore sulla ribalta, come microfono che dilata i messaggi con
maggiore visibilità. Eppure, lungo tutta l’opera pirandelliana i continui
passaggi argomentativi tesi ad affermare il primato del caos, il flusso
tanto spesso propugnato e ribadito, la perdita di una parola dialogante
e articolata proprio nei Sei personaggi in cerca d’autore, non si traduco-
no nella mimesi linguistica del caos stesso. Tant’è vero che si mantie-
ne ben salda la comunicazione, in una voluta discrepanza tra il piano
ideologico e quello espressivo. Basti considerare il trittico del romanzo
in prima persona, dove Mattia, Serafino e Vitangelo, vale a dire i tre
protagonisti dell’ascesi, costituiscono per progressivi aggiustamenti e
ritocchi, la nascita, l’ascesa, il trionfo e la caduta finale di una nuova
voce narrante. Voce che non perde mai il filo dell’eloquio e anzi si im-

1
Sulla carriera di Pirandello e sulla ricezione travagliata dello stesso, cfr. F.
Taviani, La minaccia di una fama divaricata. Introduzione a L. Pirandello, Saggi e
interventi, a cura di Id., e una testimonianza di A. Pirandello, Milano, Mondadori,
2006, pp. XIII-CII.
224 Paolo Puppa

pegna nella volontà suasoria, tramite continui appelli rivolti al lettore.


Allo stesso modo, la manifesta soggettività che smentisce l’oggettività
del narratore onnisciente2 nel passaggio al teatro non mette in crisi la
macchina verbale. E nondimeno, a leggere o ad ascoltare con attenzione
gli enunciati teorici professati con tanta ridondanza sul palcoscenico,
più che la commedia regolare coi suoi tre atti canonici sarebbe adatto il
teatro notturno delle avanguardie storiche, dal futurismo al surrealismo,
sarebbero opportune le trasgressioni estetiche esplose prima e dopo la
Grande Guerra e le catastrofi socio-economiche contigue. Sarebbe più
consono ancora l’incrocio tra cinema muto e musica propugnata dallo
stesso Pirandello, in grado di tradurre obliquamente la centrifugazione
dell’io, che ha inghiottito l’altro al di fuori, oppure lo scopre dentro di
sé. A sua volta, anche l’intervento registico ricade nella paradossale valo-
rizzazione dell’unità psichica delle dramatis personae, favorita tra l’altro
dal contributo di grandi interpreti, il cui carisma finisce per risultare
consolatorio e tranquillizzante. Si verifica insomma la sconcertante co-
abitazione tra la retorica del notturno e la solarità dell’attore celebre,
tra il discorso sul terremoto ideologico e sintattico provocato dal testo
e il ripristino della figura umana e del messaggio morale garantito dal
mattatore. In fondo, l’avvento della regia, se segna una crescita culturale
rispetto alla civiltà di Ruggero Ruggeri e di Lamberto Picasso, non ha
minimamente ovviato a questa contraddizione, anzi l’ha ulteriormente
rimossa. Naturale, per conseguenza, che sia proprio l’attore l’elemento
più sollecitato da una simile drammaturgia, e dai testi più confacenti in
apparenza al lavoro dell’interprete. Enrico IV, ad esempio, costituisce
una sorta di iniziazione per i mattatori o aspiranti tali nel secondo do-
poguerra, da Benassi a Randone, da Valli ad Albertazzi.
Nel 1921, alla prima turbolenta del 9 maggio al Valle di Roma, i
Sei personaggi in cerca d’autore stavano dentro il palcoscenico, non scen-
devano in sala. È solo nel ’25, il 18 maggio all’Odescalchi sempre a
Roma, probabilmente dopo le grandi regie di Georges Pitoëff nel ’23 a
Parigi, e di Max Reinhardt a Berlino nel ’24, e grazie anche all’influenza
esercitata dal giovane Alberto Savinio che gli propone invano nel ’25
il suo Capitano Ulisse, che il testo sconfina in platea, moltiplicando le
soluzioni meta-teatrali.3 Ebbene in seguito, allorché si vuole scrostare il
pirandellismo depositatovi sopra, si ricorre proprio al copione del ’21
senza gli sconfinamenti in sala, mettendo in campo la passionalità e
la verità dei personaggi contro la sclerosi dei ruoli. È Orazio Costa, il

2
M. A. Grignani, Quaderni di Serafino Gubbio operatore: sintassi di un’impas-
sibilità novecentesca, in “Rivista di studi pirandelliani”, n° 3, giugno 1985, p. 7.
3
Cfr. P. Puppa, Savinio versus Pirandello, in «Ariel», nn°1-2, 1995, pp. 89-101.
Sei personaggi in cerca di registra. Gli ultimi cinquant’anni di messinscene 225

primo regista uscito dall’Accademia Silvio d’Amico nel ‘37, a riportare


appunto lo spettacolo il 29 novembre del 1946 e poi il 16 settembre
del ’48 nel recinto del palco, togliendo le escursioni in e dalla platea.
In compenso, sul fondo del palco viene dipinta una platea simulata, da
cui escono i Personaggi.4 Ma la sua strategia intende mettere in eviden-
za il dramma del vissuto reale, smentendo la propria etichetta di fred-
do e intellettualistico filologo della partitura affrontata. Non fantasmi,
dunque, ma creature di sangue, a partire dai costumi differenziati dalla
Grande Guerra, quello degli attori datati 1910, quello dei personaggi
anni ’20, coevi al debutto storico. E pur nel rispetto abituale professato
per il testo, retrocesso come detto alla prima redazione del 1921, per-
tanto tutto contenuto nel palco, non esita a mutarne il finale, in quanto
il Padre avanza verso il proscenio col ragazzino morto tra le braccia, sop-
primendo la battute del capocomico. Un’avversione quasi per le dina-
miche meta-teatrali, come attesta la sua svalutazione di opere quali Que-
sta sera si recita a soggetto, sempre scartata nel suo vastissimo repertorio.
A trionfare, in particolare, nella ripresa del ’48 è la Figliastra sarcastica
e fiammeggiante di Rossella Falk, facendo decollare l’avventura della
Stabile romana, destinata a durare per sei stagioni.5 Lo segue in tale
opzione che privilegia decisamente il quadro, cioè il dramma familistico
di impianto tardo verista, ai danni della cornice meta, Giorgio Strehler
il 12 marzo del ’53 al Théâtre Marigny,6 a fare piazza pulita dei ricordi
leggendari parigini relativi al celebre allestimento del ’23 di Georges
Pitoëff, rimasto due mesi in cartellone, la discesa delle creature-larve
dall’ascensore e i lividi e spiritistici giochi di luce.7Tuttavia, non si può
parlare di un’autentica passione verso il copione da parte del nostro più
autorevole regista novecentesco, se confrontato coi reiterati approcci ai
Giganti della montagna,8 che gli consentivano sia forti identificazioni

4
Cfr. A. Bisicchia, Pirandello in scena. Il linguaggio della rappresentazione, No-
vara, De Agostini, 2007, p. 107.
5
Sull’opera complessiva di Costa, cfr. almeno M. Boggio, Orazio Costa. Mae-
stro di teatro, Roma, Bulzoni, 2007.
6
Cfr. A. D’Amico, “Sei personaggi”, uno e due: ovvero dallo stupore al terrore, in
AA.VV. (a cura di A. Tinterri), Il teatro italiano dal naturalismo a Pirandello, Bolo-
gna, Il Mulino, 1990, p. 382.
7
Cfr. J. Lorch, The 1923 text of “Sei personaggi in cerca d’autore” and Pitoëff pro-
duction of 1925, “The Yearbook of the British Pirandello Society”, n° 2, 1982, pp.
32-47. Ma sul regista francese, di origini georgiane ed ebreo, cfr. J. De Jolimaron,
Georges Pitoëf metteur en scène, Lausanne, L’Age d’homme, 1979.
8
Questo a partire dal primo approccio nel 1947, proseguito poi con una ri-
visitazione nel 1967, la più celebre e riuscita con una straziata Valentina Cortese
nei panni della Contessa Ilse, sino all’ultima edizione scenica del 1994. Su questa
figura centrale nell’affermazione della regia in Italia, basilare il capitolo Strehler.
226 Paolo Puppa

personali colla figura di Cotrone sia la consonanza sul destino precario


della poesia nella società moderna.
Questa tendenza si esalta anche se in maniera contraddittoria nella
messinscena di Giorgio De Lullo, all’esordio nella stagione ’63 a Mosca
e in tournée colla sua celebre Compagnia dei Giovani, nei paesi dell’Est
Europa, e a Roma il 17 gennaio 1964. Qui, la distinzione tra attori e
personaggi, grazie all’intuizione dello scenografo e costumista Pier Lui-
gi Pizzi, evita abiti di scena e lascia ai personaggi fogge quotidiane. In
effetti, il regista utilizza l’edizione del ’21, vedi l’entrata dei Personaggi
dal palco e non dalla sala, e il monologo tremulo della Figliastra alla
sorellina, quasi un avviamento alla morte sacrificale della bambina, ri-
portato all’inizio del secondo momento e non nel terzo. In compenso,
recupera altresì quella del ’25, collo sviluppo esponenziale dei soggetti
nell’introduzione dello spettacolo, tra note di colore degli attori colti
nella vita quotidiana impegnati nei capricci e nelle rivalità.9 Inoltre, an-
che grazie al rapporto di un interprete colto e complesso come Romolo
Valli, il Padre risultava un vero intellettuale, lacerato da un’autentica
auto-indagine. Certo, qualcosa era rimasto in lui di un altro suo padre
precedente, sofferto e dignitoso nella propria accorata malinconia, en-
tro il casting del Diario di Anna Frank di Goodrich e Hackett nel 1956
(replicato per 230 serate), quasi un’indiretta prova generale del collega
genitoriale nei Sei personaggi di sette anni dopo. Solo che stavolta l’at-
tore tendeva a degradare la dignità fiammante del primo con un che di
liso e piccolo-borghese, attraverso pure un consunto impermeabile, a
frenare il piacere argomentativo e sillogistico del personaggio e intanto
ruminava follie private tentando di esorcizzarle tra le consuete riflessioni
dialettiche e metalinguistiche.
Ben più lontano però, da simili mediazioni tra vecchio e nuovo
si spinge il 3 gennaio del 1973 al Beat romano, spazio deputato per
eccellenza alla ricerca più radicale, Memé Perlini col suo intrigante e
spiazzante Pirandello chi?. Intervento tutto giocato in una delirante mi-

Tra favola e angoscia in C. Meldolesi, Fondamenti del teatro italiano. La generazione


dei registi, Sansoni, Firenze 1984, pp. 301-359; per gli aspetti produttivi e la scena
pubblica, cfr. Il Piccolo Teatro di Milano, a cura di L. Cavaglieri, Bulzoni, Roma
2002 e anche P. Puppa, Teatro e spettacolo nel secondo Novecento, Bari-Roma, Later-
za, 2012, 8° ed., pp. 54-77.
9
Cfr. A. Cascetta, In scena, In L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, Ets,
Pisa 2007, pp. 164-165. Da notare che a interpretare la parte del suggeritore De
Lullo utilizza Luigi Battaglia, storico suggeritore nel Teatro d’Arte pirandelliano,
mentre nella ripresa dello spettacolo di Pitoëff del 1937 al Théâtre des Mathurins
il ruolo veniva coperto da Antonin Artaud, cfr. A. Bentoglio, Sei personaggi in cerca
d’autore di Pirandello per Giorgio De Lullo, Pisa, Ets, 2007, p. 83.
Sei personaggi in cerca di registra. Gli ultimi cinquant’anni di messinscene 227

mesi onirica di alcune sequenze tratte dall’inventario più celebre dello


scrittore siciliano, recuperato quale campionario logoro e insieme rilan-
ciato nel montaggio enigmatico di seriazioni, inversioni, alternanze di
fascinose epifanie e di brusche dissoluzioni. Quasi la figura retorico-let-
teraria della reviviscenza di metafore spente di cui tratta Albert Henry.10
Qui occorre aprire una parentesi. Bisogna sottolineare in effetti il filtro
esercitato dagli eredi di Pirandello, figli da un lato e Marta Abba dall’al-
tro, nel regime della tutela dei diritti attiva anche in scena e mantenuta
pure oltre la scadenza regolare degli stessi, a discapito della libertà spe-
rimentale di interpretazioni innovative e al limite alternative. Si pensi
alle traversie incontrate da Massimo Castri nel 1984 allorché pretende
di leggere Il piacere dell’onestà in chiave di mélò ottocentesco.11 In un
certo senso, la conservazione severa e un po’ bigotta del commediogra-
fo siciliano, consacrato ormai quale classico, è garantita pure da simili
controlli, le cui finalità ovviamente non si riducono a considerazioni
meramente estetiche.
Perlini, diplomato all’Accademia delle Belle Arti di Urbino, dise-
gnatore di illustrazioni per libri dell’infanzia, e cartoon designer, nato
pertanto in couches sperimentali, privilegia ovviamente l’approccio fi-
gurativo, azzerando la progressione narrativa del copione, fortemente
orientato verso un cinema espressionista, tanto da essere considerato
uno tra i fondatori del Teatro Immagine.12 Quel che del testo gli in-
teressa innanzitutto è il genere commedia da fare, e allo stesso tempo
prospetta un «convegno di spiriti»,13 recuperando il gusto medianico
caro all’autore che ne Il fu Mattia Pascal ospitava con grande risalto
proprio una seduta del genere. Da un lato, uno sguardo volutamente
disinformato sulla letteratura critica sedimentata sopra il testo, ingenuo
alla lettera verso la tradizione accumulata su di esso, dall’altra fantasmi
che appaiono per un attimo prima di dissolversi, sciorinando battute
stereotipe sotto i tagli di luce provocati da un proiettore. La frammen-

10
Cfr. A. Henry, Métonymie et métaphore, Klincksieck, Bruxelles 1971, pp.
189-201 della trad. it. di P. Bertinetto, Metonimia e metafora, Torino, Einaudi,
1975.
11
Sulle messinscene pirandelliane di Castri, che tenta con coraggio di adeguare
i significanti visivi e sonori ai significati delle battute, cfr. almeno Id., Pirandello
ottanta, a cura di E. Capriolo, Milano, Ubulibri, 1977; P. Puppa, Il salotto di notte,
Libero Scambio, Torino 1980, dedicato alla regia di Così è (se vi pare) del 1979; più
in generale, Massimo Castri e il suo teatro, a cura di I. Innamorati, Roma, Bulzoni,
13.
12
Cfr. S. Margiotta, Il nuovo teatro in Italia 1968-1975, Introduzione di L.
Mango, Corazzano(Pisa), Titivillus, 2013, pp. 231-232.
13
Cfr. A. Ripellino, Pirandello a testa in giù, “L’Espresso”, 21 gennaio 1973.
228 Paolo Puppa

tazione veniva accentuata dalla partitura sonora minimalista, dal ritmo


ansante e avvolgente, di Philip Glass. All’inizio, il buio totale si lascia
perforare da un raggio che rivela un pavimento coperto da sabbia, con
un sentore circense, confermato da colombe che volano, con contorno
di figure penzolanti da trapezi, di ballerine che danzano difendendosi da
materassi sollevati a ostacolarne i movimenti, attori colla faccia dal pe-
sante trucco che si prendono a schiaffi, teste e gambe riprese come arti
separati, piatti di plastica e così via, fino allo spegnersi di una candela
che chiude uno spettacolo dall’esplicita valenza onirica, come se titoli
della produzione pirandelliana surrealista, tipo Sogno (ma forse no)del
1931 o Non si sa come del 1935, trovassero il loro perfetto correlativo
scenico, la loro parafrasi puntuale. Certo, siamo nelle aree marginali del
circuito maggiore, meno collegate col mercato produttivo e istituziona-
le, si pensi ai teatri stabili, e dunque risulta possibile sottrarsi al ricatto
forense e allo sguardo minaccioso degli eredi. Si può azzardare che nel
settore della scena giovanile-non garantita Pirandello viene tradito con
amore, più che essere rispettato con disamore. Si pensi, per l’impatto
trasgressivo, oltre oceano, a Questa sera si recita a soggetto, dato dal Li-
ving Theatre di Julian Beck e Judith Malina nel 1955, agli albori della
loro attività statunitense, e in anticipo sulle successive grandi tournée
europee, col testo di fatto riscritto, specie nella cornice, tra continui
riferimenti alla propria condizione di compagnia maledetta.14
In altri allestimenti nostrani, la carica eversiva si stempera concen-
trandosi nella rappresentazione caricaturale riservata al lavoro teatrale
dei professionisti della ribalta. Così, il 26 ottobre del 1980, nel suo
consueto manierismo espressionistico ecco Giancarlo Cobelli, portato
al plurilinguismo recitativo, con Turi Ferro e Carla Gravina nei ruoli
principali, rispettivamente del Padre e della Figliastra, nonché sorretto
da una vocazione ad una scena putrescente,15 a infierire sugli attori per
guittismo, sciatterie e ridicolaggini divistiche. Qui, il bordello diventa
un bunker post atomico, disturbato da esplosione di bombe e da sirene
di polizia.
Il 18 febbraio del 1983 il napoletano Patroni Griffi, anche prolifico

14
L’uscita pubblica avviene il 6 novembre del 1959, con influssi decisivi nel la-
voro successivo del gruppo, cfr. l’intervista rilasciata a Richard Sogliuzzo nel 1975,
poi in Julian Beck, il Living Theatre, Pirandello, «Teatro festival», n°1, 1985, pp.
9-12; cfr.J. Malina, Il Pirandello del Living, in «Teatro e Storia», n° 13, 1992, p.
342-344. Cfr. anche P. Solari, Giornate a Berlino, in Almanacco letterario Bompiani,
Milano 1938, p. 78.
15
Cfr, P. Puppa, Teatro e spettacolo nel secondo Novecento, cit., p. 161. In gene-
rale, su questa cifra manieristica, E. Groppali, Il teatro di Trionfo, Missiroli, Cobelli,
Venezia, Marsilio, 1977.
Sei personaggi in cerca di registra. Gli ultimi cinquant’anni di messinscene 229

autore di copioni sofisticati intrisi da una sessualità multipla e da uno


spleen mitteleuropeo, si accosta per la prima volta al testo, chiamato da
Giulio Bosetti, a sua volta interprete e regista in una rappresentazione
prudente nell’ottobre del ’76. Si accosterà altre due volte, a breve distan-
za, l’11 aprile del 1988 per lo Stabile di Trieste e il 19 luglio del 1997
per Sicilia Teatro. Costante nei tre allestimenti, il modo di presentare
gli attori mostrati in piena sciatteria e grossolanità, mentre la bimba
muore precipitando in una botola. In particolare, nel secondo incontro,
da segnalare la resa al limite comica, nel ruolo del Direttore, di Vittorio
Caprioli, trionfante per cinismo atrabiliare16 mentre nel terzo gli attori
anagraficamente ringiovaniti si distraggono colla Settimana enigmistica
e il Direttore si avvale di un aiuto regista ostentatamente gay.
Il 10 aprile del 1991 ecco l’edizione scenica a Taormina di Franco
Zeffirelli (reduce dal precedente di Così è (se vi pare) con Paola Borboni
nel 1984), con scelte molto trendy, con tanto di computer in evidenza,
lo spazio scenico risolto in uno studio televisivo: stavolta, le prove dello
spettacolo interrotto non riguardano più Il giuoco delle parti ma I giganti
della montagna, per la comunanza di motivi animistici e misteriosofici
nonché per la condivisa atmosfera magica di fantasmi. In particolare,
il Capocomico di Giancarlo Zanetti viene caricato di tutti i peggiori
difetti, onusto della cialtronaggine della fauna che gravita ai bordi della
Tv nazionale, tra gente che parla di Formigoni e di Zucchero, dunque
distratta dalla cronaca giornalistica del tempo
Il 10 novembre del ‘93, l’allestimento di Mario Missiroli, altro regi-
sta caratterizzato da registri grotteschi intesi alla parodia della tradizione
antica italiana, così come da cifre luttuose, si avvale del Padre torbido e
introspettivo di Gabriele Lavia, con una punta di sicilianità nell’accen-
to, familiare all’interprete per parte di padre nato in quell’isola, e della
elegante nonchalance di Gianrico Tedeschi nei panni del Direttore. In
più a marcare in profondità la distanza tra attori e personaggi sceglie
di impegnare i primi, in costume d’epoca, nelle prove della goldonia-
na Trilogia della villeggiatura. Lo stesso Missiroli nei suoi Giganti del-
la montagna del 1979 faceva arrivare nella scena conchiglia di Enrico
Job gli attori srotolandoli dall’alto di una rete per tonni. Nel medesimo
anno, il 19 novembre a Bologna, debutta la messinscena bolognese di
Nanni Garella che utilizza giovani interpreti cui assegna all’inizio brani
delle novelle meta-teatrali, centrati sul tema dell’autore assediato dai
personaggi. Ed è lo stesso regista, che si qualifica come tale, a sostenere
la parte del Direttore. Il 20 giugno del 2001, la sinergia tra un gran-
de vecchio, professore e storico della letteratura e poeta come Edoardo
16
Cfr. A. Bisicchia, op. cit., p. 111.
230 Paolo Puppa

Sanguineti e un giovane talento delle neoavanguardie, di illustri prosa-


pie come Andrea Liberovici, figlio d’arte, in quanto nato dal musicista
Sergio Liberovici e dalla cantatrice Margot Galante Garrone, produce
per lo Stabile genovese il singolare Sei personaggi.com, un febbrile trave-
stimento pop del testo originale, con raffinate soluzioni sonore e parlato
misto, plurilinguistico, solcato da citazioni letterarie e intarsi tra registri
alti e bassi.
A volte, la lettura registica si limita a modificare, anche con pochi
scarti, la tradizione interpretativa, scrostando automatismi ricettivi as-
sicurati dai tanti allestimenti succedutesi di anno in anno. Per esempio,
nel 1976 Carlo Cecchi impone a sé e agli altri attori l’uso delle maschere
per L’uomo, la bestia e la virtù, realizzando tra l’altro le volontà dell’auto-
re, fino a quell’edizione mai rispettate in scena. La strategia deformante,
sottesa nel copione, si è in tal modo enormemente arricchita attraverso
valenze stranianti, dalla fragranza brechtiana, con effetti allucinanti e
macabri, agevolando nello spettatore il distacco derisorio verso il plot e
impedendogli qualsiasi solidarietà colle vittime malcapitate della vicen-
da. Ebbene, il 14 ottobre del 2003 sempre Cecchi, si prova con qualche
indubbia bruscaggine a scuotere dalla base l’albero dei Sei personaggi. Lo
fa assumendo su di sé il ruolo di Capocomico, colle consuete inflessioni
partenopee, del tutto disincantato nei confronti delle formule piran-
delliane, svuotate e citate con indifferenza, e tirate soppresse, rimpiaz-
zate da frasi fatte nel chiacchiericcio contemporaneo. Il suo è di fatto
uno Sciosciammocca un po’ cinico e un po’ Charlot/Totò con tanto di
bastoncino e bombetta, più impegnato a dare lezione di intonazione
agli attori risucchiati dai valori televisivi che a cogliere la drammaticità
delle nuove creature in cui si imbatte. A caratterizzare la tipologia di
un allestimento pauperistico e schernevole verso la tradizione alta (in
questo caso, anche la magia illuminotecnica del momento finale), basti
considerare che a rendere il giardino luttuoso del finale, si utilizza quale
sineddoche per l’albero un accumulo verticale di stracci.17 Oppure, i
Personaggi sputati fuori da un girevole e avvolti in pacchi di carta da cui
si liberano, in tal modo allusivi alla loro origine dallo scrittoio autoria-
le18 la Figliastra che parla strascicando la esse, una Madama Pace gigan-
tesca e sagomata da travestito, colla battuta finale su “Realtà! Finzione”
affidata a un pappagallo meccanico calato dal soffitto nella sua gabbia.
A lungo elaborato nel Centro Teatrale di Santa Cristina in Umbria,
vicino a Gubbio, a contatto cogli studenti della scuola, quindi coi tem-

17
Cfr. Cascetta, op. cit., p. 169.
18
Cfr. F. Angelini, Pirandello rappresentato. Sei personaggi in cerca d’autore, in
«Ariel», n° 3, 2003, p. 244.
Sei personaggi in cerca di registra. Gli ultimi cinquant’anni di messinscene 231

pi rallentati del seminario, in un rapporto fervido e appassionato nel


seguirli e nel concreare ogni volta forme diverse, ecco la sorprendente e
neurotica versione di Luca Ronconi, al battesimo a Spoleto il 7 luglio
del 2012. Ripulito da tutto il sovraccarico del meta, tolto altresì il dop-
pio recitativo degli attori, sparito il teatro nudo. Al loro posto, si affer-
ma con effetti claustrofobici un Kammerspiel espressionista di esplosiva
tensione concentrazionaria, uscito dalla stanza della tortura di Giovanni
Macchia,19 un luogo disseminato solo di qualche sedia e di un tavoli-
no.20 In tale maniera, quasi fosse una radiografia della mente dell’au-
tore, resta solo l’oggetto ansioso, liberato dalle vertiginose cornici, il
tentato incesto (ma qui in fondo consumato, almeno considerati certi
accenni di stanchezza post imbestiamento21). Il che viene attivato sin
dall’arrivo dei sei extraterrestri, macchie che sporcano il muro, lemuri
che scivolano dentro la stanza-cervello del direttore man mano sedotto
dalla strana storia, o meglio dentro il cervello di noi stessi, segni amorfi
che prendono consistenza attraverso successivi aggiustamenti. Ad esem-
pio, un rotolare verminoso nello spazio, un cercare posture sempre più
insidiose e insidianti, ora distanti ora riavvicinate. In tal senso, l’arrivo
dalla porticina sul fondale e poi la camminata di Madama Pace resta il
marchio della serata, un tremolio neogotico, un segno grottesco come
se Bacon avesse dipinto pure lo spostarsi del corpo vecchio dal water
alla strada. È la seduta spiritica da casa Paleari trasferita giustamente
in questo spazio a chiamarla, a pretenderla. Così le voci rallentate, sia
dei manichini vintage della troupe, colla prima attrice solo una pallida
eco della Nora Ricci nella messisncena di De Lullo, sia quelle ingolfate
del suggeritore che biascica le didascalie del Giuoco delle parti come se
non le comprendesse, o quelle nevrasteniche della Figliastra, l’efficace e
aggressiva Lucrezia Guidone, pronta a ripercorrere le vertigini labirinti-
che della phonè di Marisa Fabbri. E ancora la Madre mediterranea colla
vocina di una vecchia araba col burka, e poi la sequenza da luci rosse col
coitus interruptus, colle posture via via animalesche dei due protagoni-
sti, ora carponi ora distesi a terra. E poi il Figlio che non collabora ma
che dialoga col muro, costruendo ombre e rifrazioni espressioniste nelle
differenti posizioni autistiche. Da notare poi che il regista infila nella se-
quenza della prova del Giuoco delle parti un frammento del I’atto, colla
battuta di Leone rivolta a Guido, amante della moglie, come quest’ul-

19
Cfr. G. Macchia, Pirandello o la stanza della tortura, Milano, Mondadori,
1981.
20
Cfr. R. Alonge, Ronconi/Pirandello: dai Sei personaggi a L’innesto, in «Il castel-
lo di Elsinore», n° 68, 2013, pp. 101-107.
21
Ivi, p. 104.
232 Paolo Puppa

tima gli piaccia solo nei momenti in cui canta da bambina. Il motivo
fondante di questa interpolazione spiega forse la ragione della presenza
del Giuoco… nei Sei personaggi, per la disturbata relazione tra marito
e moglie in quel testo, dove l’adultera Silia interessa a Leone quando
sembra una bambina. I due poi divengono appunto Padre e Figliastra
nel cambio dei ruoli ad opera degli interpreti.22
In fondo, qui Ronconi sembra far proprie alcune suggestioni dell’au-
tore, come nello scenario per il cinema, scritto da Pirandello nel 1928
in tedesco con Adolf Lantz, dove lo si vedeva alla scrivania, mentre si
passava i Personaggi dalla mano dentro la testa.23

Infine, per concludere, retrocediamo di qualche anno, spostandoci


per un attimo nella Mosca del disgelo gorbacioviano. Ecco allora i Sei
personaggi dati da Anatolij Vassiliev scatenandovi le tecniche dell’im-
provvisazione, divenute autentico centro motore del laboratorio. Lo
spettacolo, come nel caso di Ronconi, esce da una lunga sosta presso
la Scuola d’Arte drammatica moscovita e dal relativo studio-workshop,
iniziato almeno vent’anni prima, e venuto allo scoperto nel febbraio
del 1987 in una piccola sala di Mosca coll’opportunità che la ricer-
ca sperimentale arrivi nei circuiti del centro, un po’ quel che ha fat-
to Pirandello nei confronti dell’eversione futurista incanalata nella sua
drammaturgia chiusa. Lo spettacolo giunge in Italia al Teatro Studio
di Milano il 6 luglio del 1988, salutato come spettacolo della glasnost.
Un’operazione, la sua, tutta basata su spostamenti vertiginosi di scene e
battute, entro il copione, tempi decelerati e accelerati all’improvviso, in
un’esplosione compulsiva di soggetti provati lungo interminabili prove.
Il taglio stilistico si basa sul realismo fantastico, e sulla moltiplicazione
di interpreti rispetto ai ruoli selezionati, con parole che trasmigrano da
una bocca all’altra, e con cambi bruschi di attori. Tutta la prima parte è
un’invenzione assoluta del regista, con inserimenti bizzarri e pittoreschi,
a sottolineare l’italianità dell’autore, quale ad esempio la figura di Tom-
masino Argenti, modellato sull’ emigrante meridionale. Ad esempio, il
Direttore ad un certo punto viene recitato da un nano, in difficoltà per
l’abito lunghissimo, all’insegna del freak più scombinato e scatenato.24

22
Cfr. P. Puppa, Il «giuoco»…in cerca d’autore, in Id., La parola alta. Sul teatro
di Pirandello e D’Annunzio, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 27-50.
23
Cfr. F. Callari, Pirandello e il cinema, Venezia, Marsilio, 1991, p. 216.
24
Scelta però dettata pure dall’immagine di Hinkfuss di Questa sera si recita a
soggetto, minuscolo e ipertrofico regista ripreso dal Capocomico dei Sei personaggi,
cfr. Cascetta, op. cit., p. 185. Per il regista russo, importante Id, A un unico lettore.
Colloqui sul teatro, Roma, Bulzoni, 2000.
Sei personaggi in cerca di registra. Gli ultimi cinquant’anni di messinscene 233

Lo spazio è quello perimetrato di una stanza attraversata in diagonale


da una tenda grezza e sgualcita. I personaggi, tra cui la procace e mera-
vigliosa Figliastra, al centro della scena molto focalizzata del bordello, si
mescolano cogli spettatori, sedendosi fra di loro o sulle loro ginocchia.
Ed è lo stesso regista ad un certo punto a mostrarsi seduto in prima
fila, a controllare il montaggio, un po’ alla maniera di Tadeusz Kantor,
il grande artista polacco della Classe morta del 1975. Cadono altresì le
gerarchie di valore tra personaggi e attori, questi ultimi non più umiliati
o vilipesi.25 E intanto circolano nell’aria scaldandola a turbare la sala,
strimpellate dalla chitarra, canzoni e canzonette, nel gusto del pittoresco
e del melò, tipo Besame mucho e Santa Lucia.

25
Cfr. J. Lorch, Six Characters in Search of an Author, Cambridge, Cambridge
University Press, 2005, p. 194.
“Divina inarrivata inarrivabile Vera”
e la Compagnia di Dario Niccodemi
di Sarah Zappulla Muscarà
nel ricordo di Vera Vergani

Il 2 settembre 1920 Luigi Pirandello tiene, al “Teatro Bellini” di


Catania, il Discorso in occasione degli ottanta anni di Giovanni Verga,
il magnifico ‘vecchio’ di cui dichiara di aver “sempre seguito fedelmente
e con orgoglio il costume come quello d’un maestro non tanto d’arte
(che non si fa per scuola) quanto di vita”. Sdegnosamente assente in
celebrazioni così tardive e in conformità all’austera e riservata indole,
Verga delega a rappresentarlo il devoto amico Federico De Roberto.
A chiusura della cerimonia, dovuta in gran parte all’impegno di Nino
Martoglio, la messa inscena della Compagnia di Angelo Musco di Dal
tuo al mio. La ‘sacralizzazione’ di Verga, pur dopo le divergenze, più o
meno velate, degli anni precedenti, è ora da parte di Pirandello senza
incertezze, e non soltanto per la crescente polemica nei confronti di
d’Annunzio ma pure per la feconda avventura della stagione dialettale
che ha superato le iniziali riserve e suggellato la riappropriazione di
quel “sapore idiotico, dialettale” che anni dopo sarà ascritto a Verga
parimenti che a Dante. Lo scrittore si limiterà a ricevere, dopo la ma-
nifestazione, in casa sua, in via S. Anna, 8, pochi amici fra cui Dario
Niccodemi, Presidente della Società Italiana degli Autori, che gli farà
dono di un “orribile” (così lo definisce Ercole Patti) bassorilievo di me-
tallo e marmo ancora oggi custodito nella casa-museo.
Mesi dopo, nel febbraio 1921, all’età di quarantasette anni (era
nato a Livorno nel 1874), Niccodemi dà vita a una nuova Compa-
gnia teatrale assumendone la direzione, deciso a far tesoro della lezione
acquisita come segretario a fianco della Réjane (pseudonimo di Ga-
brielle-Charlotte Reju), la “Duse francese”, nella Parigi che contava, da
Antoine, il fondatore del “Théâtre Libre”, al poeta belga Maeterlinck,
al regista russo Stanislavskij, a contatto con gli ambienti in cui primeg-
giavano Bataille e Bernstein e con le novità della cultura europea. E già
allora, per la maestria scenica che sa far presa sul pubblico della piccola
borghesia, è uno dei drammaturghi più acclamati e abile sceneggiatore.
Una vita la sua ispirata dalla passione per il teatro e segnata da traguardi
ambiziosi. Scrive Antonio Gramsci: “Il Niccodemi è un Giorgio Ohnet
236 Sarah Zappulla Muscarà

in ritardo, e Giorgio Ohnet era già in ritardo a Eugenio Sue, a Victor


Hugo e alla infinita schiera degli scrittori di appendici”. E Lev Tolstoj
dichiara di preferire La nemica ai romanzi di Verga e ai drammi di Pi-
randello. Quanto grande il successo delle commedie di Niccodemi lo
ribadisce Marco Praga a Nino Martoglio, il 29 agosto 1918, paventan-
do le dimissioni, poi avvenute, di Sabatino Lopez, Direttore generale
della Società Italiana degli Autori, a proposito della violenta polemica
sull’invadenza del repertorio francese e sulle percentuali autori-attori
che coinvolse la Società Italiana degli Autori da una parte e Martoglio
e Pirandello dall’altra:

Se il Lopez si dimetterà, come supponi, le cose non andranno sem-


plicemente come credi. Alcuni lo seguiranno. Forse il Niccodemi. E
tu sputi. Ma quando avrai sputato, non muterai lo stato delle cose che
sarà gravissimo, esiziale. Oggi il Niccodemi è l’indispensabile per tutte
le Compagnie. L’Emma [Gramatica] fa qui a Viareggio 20 recite: oggi è
alla 15. a. À dato: Maestrina, Scampolo, Prete Pero due volte, e annunzia
Nemica per domani. In tutte le compagnie è così. Chi non fa Scampolo
fa Rifugio. Chi non fa Maestrina fa Titano. - Te ne freghi? Bene. Ma vo-
gliamo vincere o perdere? Vogliamo far trionfare le nostre idee o uscir-
ne con le ossa rotte? E se ti dico – bisogna menager Niccodemi, non
stralunare gli occhi. Sono il Praga rigido, inflessibile, severo, lottatore,
che avete conosciuto sempre: ma non sono uno che ama combattere
coi mulini a vento, non sono uno di cui si debba dire: gran galantuomo
e bel lottatore, ma fesso!

Via via una delle più apprezzate in Italia e all’estero, attiva per tutti
gli anni Venti del Novecento, la Compagnia Niccodemi, che metterà
in scena classici ma soprattutto autori contemporanei, è costituita da
attori giovani, determinati, entusiasti, destinati ad assurgere a livelli di
primo piano e a conquistare presto fama internazionale. Il debutto al
“Teatro Valle” di Roma il 4 marzo 1921 con Romeo e Giulietta di Sha-
kespeare, tradotto e adattato dallo stesso Niccodemi. La critica esprime
qualche riserva ma loda Vera Vergani. L’indomani Eleonora Duse, a
cui in un incontro casuale la giovane, visibilmente emozionata, si era
presentata come ‘attrice’, le scrive:

Non ho dimenticato il bell’incontro l’estate scorsa in Cadore. Le


auguro ogni bene e sono felice con lei per questa sua prima vittoria.
Eccole delle violette di campagna romana. Roma, Primavera 1921.
Eleonora Duse.

È alla Compagnia Niccodemi che Pirandello affida la commedia Sei


personaggi in cerca d’autore, in un primo momento destinata a Ruggero
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 237

Ruggeri, l’attore prediletto (“m’ero figurato ‘Lei’ nella personificazione


della parte del ‘Padre’”), a cui deve rinunciare perché impegnato in
un altro lavoro. I rapporti tra l’autore più rappresentato e amato dal
pubblico e quello più problematico e tormentato, che ha già riscosso
i primi rilevanti successi con il teatro in dialetto e con il travolgen-
te Musco, ma spasmodicamente teso alla conquista di ancor più va-
sti orizzonti, negli anni precedenti hanno registrato qualche ombra.
Come il rifiuto della commedia Ma non è una cosa seria da parte della
Compagnia Guasti-Galli che ha fatto sorgere in Martoglio il sospetto
che non sia avvenuto “spontaneamente ma che avevano dovuto, certo,
subire l’influenza e la malignità di qualche autore incapace, non dico
di creare ma di intendere una commedia di Pirandello”, come scrive
al fraterno amico e sodale Pirandello il 19 aprile 1918. Il riferimento
è a Niccodemi il quale, fra l’altro, qualche giorno prima, aveva detto
a Martoglio che Pensaci, Giacomino! non gli piaceva. Sospetto confer-
mato a Pirandello da Fausto Maria Martini che attribuisce il rifiuto
alla minaccia di Niccodemi “di togliere Scampolo alla Dina [Galli]”. La
commedia sarà messa in scena dalla Compagnia di Emma Gramatica
al “Teatro Rossini” di Livorno il 22 settembre 1918. Di pochi mesi
successiva la polemica ben più violenta relativa alla riduzione delle ta-
riffe concesse dalla Società Italiana degli Autori ai capocomici che vede
Pirandello e Martoglio contrapposti alla posizione della Commissione
d’arte drammatica di cui è autorevole componente, anche per i notevoli
incassi delle sue commedie, Niccodemi. Le ripercussioni che la vicenda
finisce con l’avere anche sulla stampa, all’epoca molto attenta ai fatti di
scena e retroscena, determinano infine le dimissioni di Lopez, previste
da Praga, dalla carica di direttore generale della Società.
Sarà Vera Vergani la splendida Figliastra dei Sei personaggi in cerca
d’autore. Una famiglia originaria di Cividale del Friuli d’artisti inquieti,
bizzarri, stravaganti, creativi, quella di Vera Vergani, nipote dei fratelli
Guido e Vittorio Podrecca, politico e giornalista, fondatore della rivista
satirica “L’Asino”, l’uno, creatore del “Teatro dei Piccoli”, marionette
speciali, l’altro, sorella di Orio, giornalista, scrittore, commediografo.
È lui a narrarcene gli inizi. Il 30 settembre 1905, a nove anni, recita
per beneficenza (nel teatro dedicato alla natia Adelaide Ristori) nella
commedia Così va il mondo, bimba mia di Giacinto Gallina, istruita
dalla vedova Paolina Campisi. Ma la Vergani nasce a Milano, in via
Vigna, il 6 febbraio 1896, da dove, dopo aver conseguita la licenza
tecnica, la famiglia nel 1909 si trasferisce a Roma. Dietro le insistenze
di Ferruccio Benini, amico di casa, che sarà il suo primo maestro (con
Laura Zanon Paladini), ottiene l’autorizzazione a entrare in arte, e nella
stessa cittadina del Friuli dell’esordio sette anni prima viene applaudita,
238 Sarah Zappulla Muscarà

il 4 ottobre 1912, nella farsa Le distrazioni del signor Antenore. Dopo un


anno e mezzo di tirocinio in parti modeste (nove lire al giorno il com-
penso) lascia, con il favore di Benini, il teatro dialettale veneziano per
passare alla Compagnia Talli-Melato-Giovannini. Al “Diana” di Mila-
no nel marzo 1914 è comparsa nella Marcia nuziale e sei mesi dopo nel
ruolo di Giana nel Ferro di d’Annunzio, a fianco di Maria Melato. Al-
lontanatesi dalla Compagnia Jone Frigerio e Luigia Piacentini, la Ver-
gani assume le loro parti di prima attrice giovane e di seconda donna.
Nel giugno 1915 la Compagnia Talli all’“Olympia” di Milano mette
in scena L’Invasore di Annie Vivanti. Il successo personale della Verga-
ni protagonista indurrà Ruggero Ruggeri, presente in sala, a pressarla
perché assuma il ruolo di prima attrice nella sua Compagnia. Lo farà
nella quaresima del 1916 e vi rimarrà fino al carnevale 1920 al “Valle”,
cimentandosi in un repertorio multiforme che spazia dalla commedia
al dramma. Antonio Gramsci, che l’ha vista ne Il piacere dell’onestà, il
2 febbraio 1919 sull’“Avanti!” di lei scrive “vive, ama, soffre la fugace
esistenza di cui le è affidata la creazione”. Fra i personaggi più impegna-
tivi, l’Ofelia dell’Amleto di Shakespeare, Silia de Il giuoco delle parti di
Pirandello, Mila di Codra de La figlia di Iorio di d’Annunzio a fianco di
Ruggeri, Aligi.
Anche la prova nel cinema muto entusiasma tanto che nel 1917
L’Unione Cinematografica Italiana la scrittura per tre anni, compenso
lire ventimila per soggetto, nel mese di riposo della Compagnia Rug-
geri, finché scioltasi definitivamente l’attrice lavora soltanto nel cinema
dove in dieci mesi realizza sei soggetti con la retribuzione di 60. 000
lire per soggetto.
La bellissima Vergani ha deciso infatti di prendersi un anno di ri-
poso dal teatro per prepararsi alla formazione della nuova Compagnia
con Niccodemi direttore, amministratore Angelo Borghesi, di grande
esperienza, il cui debutto è previsto nel carnevale del 1921. Ancora
una volta anfitrione Benini che al tavolo del Caffè Savini insiste perché
Niccodemi, in partenza per Parigi, vada con lui al “Teatro Manzoni” a
vedere un’attrice di rilievo ne Il cappello di paglia di Firenze di Labiche
e Marc-Michel. Quella sera Niccodemi non parte per Parigi e la gio-
vane attrice sarà subito scelta per la Compagnia di complesso che ha
in animo di allestire. Di lei sarà mentore affettuoso. In tempi di crisi
in cui le migliori compagini di artisti si sciolgono, teso a operare quel
rinnovamento auspicato dai critici più accorti, Niccodemi mette in pie-
di la Compagnia Drammatica Italiana (“dichiarai guerra a oltranza al
mio quieto vivere e mi feci Direttore, o, come antipaticamente si dice,
capo-comico”), presto fra le più apprezzate per eleganza, affiatamento,
disciplina, rigorosamente curata in ogni componente, il repertorio, gli
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 239

attori, i costumi, la messa in scena. Saranno i dieci anni più importanti


della carriera della Vergani che rivelerà le sue doti interpretative e la sua
forza drammatica in special modo in due opere fortemente antitetiche:
Sei personaggi in cerca d’autore e La figlia di Iorio.
È “la commedia da fare” con cui Pirandello rivoluziona la scena in-
ternazionale, sconvolgendo il rapporto tra autore e attori, palcoscenico
e pubblico, realtà e finzione, a lasciare un segno indelebile anche nella
‘storia’ di direttore e interpreti. Pur così distante come commediografo
dall’agrigentino, scrive nel suo Diario Niccodemi, il 17 aprile 1921, di
essere rimasto alla lettura del copione “stordito, tanto dalla grandezza
veramente nobile del tema, quanto dalla stranezza della forma. Lo ri-
leggerò. Forse tutto si chiarirà alle prove”. Pirandello aveva letto il testo
per la prima volta una sera agli inizi della primavera del 1921 con la
consueta travolgente passione a Silvio d’Amico, Alberto Cecchi, Mario
Labroca, inizialmente rimasti perplessi, ad Arnaldo Frateili e al figlio
Stefano (suo “primo ascoltatore e lettore”, come soleva definirsi), che
lo conoscevano già. Ma è la fascinosa narrazione di Niccodemi della
“memorabile”, travolgente e insieme sconvolgente lettura del copione
da parte di Pirandello alla Compagnia, del “logorante martirio delle
prove”, dell’illustrazione delle sue teorie sceniche, a restituirci plastica-
mente, succus et sanguis, il giuoco delle parti, la drammatizzazione viva e
sofferta della parola, il conflitto tra la concezione e la realizzazione. È il
“prodigio” dell’“incarnazione” quello che l’autore chiede all’attore che
deve “sentire il personaggio come l’autore l’ha sentito”, “renderlo sulla
scena come l’autore l’ha voluto”, impossibile da realizzare senza l’eli-
minazione del suggeritore. Così scrive già nel 1905 in Nell’arte e nella
vita. Vignette e scene, anticipando di alcuni anni il successivo Illustrato-
ri, attori e traduttori del 1908. E aggiunge di aver letto gli elogi di un
giornale inglese a Eleonora Duse perché in qualsiasi ruolo era sempre
la stessa mentre “sarà tanto più grande, quanto più saprà negare la sua
particolare essenza per assumere quella ideata e vivente nel dramma”.
Perché “non il dramma fa le persone; ma queste il dramma”. Ma vale
la pena riattraversare per intero la narrazione di Niccodemi, essa stessa
teatro, che ci restituisce il pirandelliano “vivo e animato compendio
generale di tutte le eccezioni contro tutte le regole”:

La lettura alla Compagnia dei Sei personaggi in cerca d’autore fu


memorabile. L’ammirazione incominciò quando finì la comprensio-
ne. E questa finì subito. Era impossibile seguire quell’impeto o non
lo si poteva seguire che fisicamente. Eravamo tutti travolti nel torren-
te, ansimanti, immobili. L’entusiasmo tra gli attori scoppiò unanime,
irresistibile, convinto, e profondo. Ma nessuno aveva capito niente.
Eravamo sbalorditi, nel caos. La luce si fece, a poco a poco, alle prove
240 Sarah Zappulla Muscarà

innumerevoli. Gli attori deferenti, attenti e silenziosi, raccolti nel reli-


gioso rispetto che a tutti ispira l’incomprensibile, si lasciano condurre
per i tormentati meandri di quella poderosa e aggrovigliata concezione
piena di abbaglianti fosforescenze cerebrali, di scatti, di ripiegamenti,
di curiosi espedienti scenici e di risorse geniali; d’un’atmosfera sugge-
stiva come quella d’un vizio. Gli strati di nebbia si diradano lentamente
e i primi bagliori appaiono, risplendono, si spengono, si riaccendono,
rimangono. Una chiarezza è conquistata. Tutti respirano contenti e so-
disfatti come per dire: “questa non ci sfugge più”. Ma i comici sono un
po’ sperduti. Non riescono a farsi un’opinione di quel che dicono. E
questo non può essere. Un comico senza opinione sul lavoro che recita
è come una lampada spenta o una barca senza remi o un motore senza
magnete. In palcoscenico bisogna sempre avere un’opinione, buona o
cattiva non importa, ma averla. E i giorni passano e il mistero rimane
opaco e non si svela. Fin dalla prima prova la modesta sedia vicina
alla cuffia del suggeritore diventa per Pirandello una poltrona di pla-
tea. Dirige. Sa mirabilmente e chiaramente spiegare anche le cose più
oscure. Anzi, più sono oscure e più chiaramente le spiega. Sa calarsi a
fondo nel torbido di certe anormalità psicologiche e renderle evidenti.
Sa chiedere e sa ottenere; ma un curioso sdoppiamento avviene nella
sua persona. C’è in essa l’autore che guida ed insegna e c’è lo spettatore
che guarda e che gode. Per tutti le linee della commedia sono ancora
confuse, imprecise, informi; ma lui le vede subito chiare e inconfon-
dibili. Tutti sono nell’abbozzo mentre lui è nel quadro compiuto; la
commedia è già viva sul palcoscenico. E vedere come la segue, come la
respira e come la parla è uno spettacolo imperioso d’umano interesse.
Lo sforzo mnemonico è visibilmente prodigioso; ripete le parole del
suo testo senza mancarne una o, piuttosto, le sue labbra le disegnano
tutte in un ardente silenzio. Il suo viso è d’una mobilità incredibile. Fa
pensare a una folla di visi in azione. Ripete, rifà le contrazioni visuali
degli attori. I suoi occhi vanno da un interprete all’altro; prendono e
danno, seminano e raccolgono, sorridono, fremono, approvano. Ogni
muscolo è in movimento; la bocca percorrendo la gamma di tutte le
sue possibilità espressive diviene innumerevole, il mento trema convul-
so, i nervi sono tesi fino allo spasimo; il viso è pieno di lampi che si sus-
seguono fulminei in una varietà infinita; le infuocate pareti del cranio
sono come trasparenti e sembra di vedere il lavorio miracoloso di quel
cervello, di quel motore frenetico che manda scintille e gemiti nello
sforzo sovrumano. La scena monta, s’allarga, s’inasprisce, si accanisce,
urla fra due, tre, quattro personaggi e Pirandello è due, tre, quattro
personaggi. Segue il crescendo moltiplicando le risorse della sua espres-
sione, lo accentua col gesto, lo accelera col movimento tormentoso di
tutta la persona. La parola acre la mormora con inaudita violenza, con
un abbassare del mento sul petto e uno scricchiolar di mascelle come
quello della belva che azzanna a volo la carne del suo bramato pasto.
Muto è più efficace di tutti. In lui, seduto, c’è più movimento che
in tutti. La scena è lui. La riassume, la riassorbe e la ributta fuori da
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 241

tutti i pori del suo viso, come le bocche spalancate in certe rocce delle
coste della sua Sicilia - i mostri omerici – risucchiano il mare con una
potente incalcolabile aspirazione per poi rigettarlo in pulvischio con la
violenza del tifone. Ma ad un tratto tutta quella forza umana infrena-
bile cade come colpita a morte. Il corpo rimane inerte, le braccia pen-
zoloni, il viso àtono, gli occhi spenti. E un segno di disapprovazione.
Interrompo la prova. Pirandello si alza, cerca, spiega, rettifica. Incerto
ed esitante in principio, si accalora subito, ridiventa subito efficace.
Prende di petto l’attore in difetto e spiega, spiega con un torrente di
parole. Le sue mani, con le dita aggruppate all’estremità sembrano due
pine all’insù agitate da un vento di tempesta. – “Non è colpa tua” –
dice affettuoso e cordiale all’attore. “È colpa del suggeritore. Tutto è
colpa del suggeritore”. Ce l’ha a morte col suggeritore. È il suo acer-
rimo inconciliabile nemico. – “Finché ci sarà il suggeritore” – dice –
“non ci potrà essere né verità né naturalezza nella recitazione. Bisogna
sopprimerlo, sopprimerlo”. – E con un largo gesto della mano sembra
che gli taglia la testa. – “Il suggeritore è la rovina del teatro”. Si accalo-
ra. Gli attori gli sono attorno, stupefatti, allibiti dallo sconvolgimento
rivoluzionario di tutte le loro convinzioni che tendono invariabilmente
a un buon suggeritore. – “Quando io dirigerò, gli attori dovranno stu-
diare e imparare a memoria le loro parti”. Tacita ma effimera ribellione
degli attori. – “Dovranno studiare accanitamente, in casa loro, soli,
nel silenzio e nella meditazione”. Gli attori credono di sognare. – “E
quando verranno sul palcoscenico non dovranno essere più gli attori,
ma i personaggi stessi della commedia o del dramma che dovranno
recitare”. Lo sgomento degli attori, benché muto, diviene evidente.
– “Così avranno in sé stessi una realtà non relativa, ma assoluta, non
la falsa verità del palcoscenico ma quella positiva e inconfutabile della
vita. Ora non è possibile. L’attore si specchia nel suggeritore e, per
forza, deve sentirsi grottesco nei confronti del personaggio che deve
rappresentare. Non può essere personaggio; rimane attore, attore che
dice con più o meno intelligenza, con più o meno talento o genio, ma
macchinalmente, le parole che il suggeritore gli spedisce di contrab-
bando dalla sua cabina senza fili, ma non senza voce, perché il pubblico
sente quasi sempre la sua voce o, se non la sente, la indovina, il che è
egualmente disastroso per lo spettacolo”. Gli attori sentono mancarsi a
poco a poco. – “E il suggeritore non si contenta di suggerire le parole,
ma ha delle inflessioni sue, delle smorfie sue particolari, suggestionanti
per l’attore poco sicuro; il suggeritore recita nella sua tana. Bisogna ve-
derlo in azione. È come un energumeno imprigionato che si agita, che
stringe i pugni per dar maggior forza alla parola, che atteggia le mani ai
lati della bocca per farne un più sordo e udibile megafono, che, insom-
ma, dirige lo spettacolo a seconda dei suoi nervi, del suo stato d’animo
o del suo umore”. E Pirandello, pittoresco, d’una facondia colorita e
inesauribile spiega e giustifica le sue concezioni teoriche della scena. In
verità io credo che sbagliano coloro che credono a un Pirandello che
preme e macera spietatamente il suo cervello per trarne ad ogni costo
242 Sarah Zappulla Muscarà

delle cose “differenti”; per sconvolgere le leggi del peso e della resisten-
za nell’architettura scenica, per scombussolare i valori etici ed estetici
del teatro. Anche parlando il grande scrittore parla in un altro modo,
vede, sente, vuole in un altro modo.

Racconta un altro testimone, stavolta della stesura dei Sei personaggi


in cerca d’autore, con il consueto suo fluido stile, Orio Vergani, assiduo
frequentatore di casa Pirandello, giovane amico dei figli, lo scrittore
Stefano (con cui ideò il “Teatro d’Arte”, detto “Teatro dei Dodici” o
“degli Undici”, diretto da Pirandello) e il pittore Fausto, spettatore “fer-
mo, per non dare fastidio, essendo giunto in anticipo sull’ora prevista”:

Seguivo là il gioco di quel volto che non era più il volto di Pirandel-
lo, ma quello dei suoi personaggi. La voce che dettava era, alla distanza
di pochi metri, inintelligibile; ma il tono mutava, saliva, scendeva, toc-
cava le note del pianto, del disgusto, dello sgomento, dell’orrore, della
stupefazione. (…) Se il personaggio rideva, Pirandello rideva; se il per-
sonaggio implorava, Pirandello implorava; se il personaggio piangeva,
Pirandello piangeva. E se l’altro personaggio del dialogo, per rispon-
dere, imprecava, Pirandello imprecava, e la commozione scompariva
subito dall’occhio e l’ira lo colorava.

Grande interprete anch’egli dei Sei personaggi in cerca d’autore, con-


direttore e brillante, Luigi Almirante, che aveva fatto parte della Com-
pagnia Di Lorenzo-Falconi, nel corso di un’intervista rievoca lo ‘spa-
vento’ che colse tutti alla ‘magnifica’ lettura pirandelliana del copione
rivendicando a sé i tagli con cui per tre anni è stato recitato. Nessuna
sorpresa, il drammaturgo era disposto ad accogliere i suggerimenti che
“alla prova della sua propria vita” di un’opera teatrale, il palcoscenico,
potevano giungergli dagli attori, e tante le modifiche apportate al co-
pione dei Sei personaggi già nella prima messa in scena e nelle tappe suc-
cessive sino alla versione interamente rielaborata nel 1925. Scrive Almi-
rante, a cui fu affidato il copione come primo attore della Compagnia:

Pirandello si presentò con questo copione e l’ha letto magnifica-


mente. E siamo rimasti tutti spaventati perché non avevamo idea di
questa roba! Non si può rifiutare un libro di quel genere. Ma certo che
teatralmente parlando a noi ci parve impossibile che si potesse rappre-
sentare una cosa del genere. E Niccodemi era il più costernato di tutti.
Ma ha avuto una scappatoia: siccome era presidente della Società degli
Autori, la cui sede era a Milano, se ne scappò ed io sono rimasto con
questo uomo formidabile e questo copione in mano. E me lo sono
portato a casa. Io non ho mai letto nulla di simile. E sì che ho letto
tutta la vita! Qui c’è la creazione vera e propria. Per me questa è una
tragedia greca. E poi abbiamo fatto quello che ci ha detto lui: non ab-
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 243

biamo inventato niente. Io ho fatto dei tagli credendo che il pubblico


non avrebbe sopportato quella roba lì. E per tre anni è stato recitato
così, con quei tagli che ci sono là e che Pirandello ha approvato. Allora
Pirandello mi chiamava “maestro” a me. Era timido.

“Voce stridula, nasale e figura di rara e brutta magrezza” (Leonardo


Bragaglia), Luigi Almirante (detto Gigetto), per lui Pirandello dise-
gnerà, anni dopo, la figura di Bellavita. Tre settimane di prove e poi la
prima al “Teatro Valle” il 9 maggio: Vera Vergani la Figliastra, Luigi Al-
mirante il Padre, Jone Frigerio la Madre, Luigi Cimara il Figlio, Alfonso
Magheri il Capocomico, Margherita Donadoni Madama Pace, Emma
Sanipoli la Prima Attrice, Mario Brizzolari il Primo Attore. Stracolmo il
teatro, venduti 1. 040 posti, incasso 11. 479 lire (poltrone maggiorate a
16 lire, palchi a 80 lire). Al grido “Manicomio! Manicomio!”, “Buffone!
Buffone!” la baraonda finale. Raccontava la Vergani di essere stata lei a
fargli fermamente scudo con il proprio corpo e a bloccare gli scalmanati
che stavano per abbattere la porta del camerino dove si erano rifugiati
Pirandello e la figlia Lietta che uscirono dalla porta di servizio che dava
su via del Melone, un vicolo angusto. Come ricordava, anni dopo, an-
che Orio Vergani travolto, con Galeazzo Ciano e Remigio Paone, dagli
esagitati che aveva invano tentato di respingere, mentre si sforzava inu-
tilmente, frenato dalla balbuzie, di urlare loro “Vigliacchi!”:
Uscì con la figlia sottobraccio. Nella luce del primo lampione fu
riconosciuto. Lo si circondò per difenderlo. Belle dame ridevano ri-
petendo, con le bocche laccate: “Manicomio!”. Eleganti giovani incra-
vattati di bianco sghignazzavano e insultavano. La figlia, al braccio del
padre, tremava e non riusciva quasi a muovere un passo. Altra gente ac-
correva, fischiando e ridendo. Anche i pizzardoni non sapevano se do-
vevano intervenire per “quel matto di Pirandello”. Un tassì si avvicinò.
Pirandello, nella luce della piazzetta, riceveva in viso, con le labbra
toccate dall’ironia, gli insulti. Noi si doveva evitare di venire alle mani,
finché non fosse partita l’automobile. Fece salire la figlia, poi montò
a sua volta, e nel quadrato del finestrino mentre dava l’indirizzo della
casa lontana e mesta dove, all’indomani, avrebbe ripreso a lavorare, si
vide ancora il suo viso. I giovanotti eleganti lanciavano delle monetine.
E le signore anche, aprendo in fretta le loro preziose borsette.

E Niccodemi il 9 maggio appunta con la consueta precisione pur fra


le tante prevedibili incombenze:

1ª di Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Serata di


battaglia. Esecuzione che non è esagerato chiamare inappuntabile. Vera
rivela con mirabile vigoria la sua semplice ed umanissima drammaticità.
Il pubblico, come dinanzi a una bella rivelazione, applaude con entusia-
244 Sarah Zappulla Muscarà

smo. Almirante veramente straordinario per chiarezza ed intelligenza. In


certi momenti però è stato leggermente manierato, e più che all’attore
dev’essere attribuito alla falsità di certe perorazioni che non hanno nien-
te di scenico. Magheri addirittura perfetto. Seppe fare sparire l’attore e
diede alla sua parte una verità ed un colore efficacissimi. Tutti gli altri
attenti, seri, composti. Il pubblico fece prodigi d’attenzione per penetra-
re nel groviglio di bizzarrie cerebrali di questo potente lavoro; e ci rimase
per due atti; ma al terzo, come se quel che avveniva in scena oltrepassas-
se tutte le comprensioni e tutte le pazienze, si ribellò. E fu la battaglia.
Poche volte ho veduto maggiore passione di dissidio in un teatro.

Più attutito il ricordo della bagarre romana nell’intervista a Maria


Monvel del settembre 1924 di Lietta, che dopo pochi mesi dal matri-
monio, l’11 febbraio 1922, insieme al marito, il diplomatico Manuel
Aguirre, richiamato in patria, si è trasferita in Cile:

Nei giorni in cui stavo per sposare Manuel, ci fu la prima a Roma


dei Sei personaggi in cerca d’autore. Il teatro era pieno, e quando la rap-
presentazione finì, gli spettatori restarono in piedi per un’ora, un’ora!,
acclamando impazziti. Gli applausi si mescolavano alle manifestazioni
di protesta, perché alcuni gridavano, fischiavano, spaventati dal nuovo
modo di fare teatro di mio padre. Siamo usciti subito da una porta di
servizio, ma anche così il pubblico ci trovò e ci circondò, assiepandosi
e acclamando in delirio. Fu una bella serata!

Forse per questi violenti contrasti scarsi gli incassi delle tre successi-
ve repliche. Già circa l’esito della seconda rappresentazione il 10 mag-
gio Niccodemi registra:

Poca gente. La stampa, eccettuate due o tre eccezioni, è stata


d’un’incomprensione totale, assoluta, enciclopedica. Ed è stata, come
le accade spesso, vile. Non conduce l’opinione del pubblico, ma la su-
bisce. Alla prova generale mi sono sentito dire dell’esecuzione cose che,
forse, mai nessun direttore ha udito; e dopo lo spettacolo, nei reso-
conti, i più entusiasti della prova generale hanno appena tributato un
omaggio a Vera e ad Almirante e a Magheri che meritavano degli inni.
La stampa italiana, contrariamente a quella degli altri paesi, tutti, ha
l’abitudine di dilungarsi smisuratamente nel racconto e critica della
commedia e di non dire che poche righe, alla sfuggita, dell’interpreta-
zione che tante volte salva la commedia.

La commedia, che l’amministratore Borghesi ribattezza Sei perso-


naggi in cerca d’incasso, il 13 è sostituita con la Tignola di Sem Benelli, la
piazza successiva, Firenze, annullata, come Niccodemi informa l’autore
da Bologna il 4 luglio:
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 245

Mio caro Pirandello, volevo scriverti appena arrivato qui per dirti
la sola e imprevedibile ragione della mancata recita della tua commedia
a Firenze, che avevo annunciato fin dai primi giorni parlandone come
della cosa più interessante del nostro bagaglio. E la misi, di proposito,
in fine di stagione per permettere al pubblico di affezionarsi alla com-
pagnia e dar battaglia in condizioni migliori. Ma negli ultimi giorni,
Almirante è stato colto da un forte abbassamento di voce. (…) Tu sai la
mia grande e schietta ammirazione, specie per quella commedia. (…)
Qui la farò nella terza settimana; eppoi la farò ovunque.

Pirandello, che aveva sollecitato Bemporad perché la commedia ve-


desse la luce in contemporanea con il debutto, è irritato e deluso dei
“troppi ritardi”, come aveva scritto Stefano all’editore il 2 maggio 1921:

Il Babbo è assai malcontento dei troppi ritardi che subiscono tutti


i suoi volumi. Quand’egli Le consegnò, nei primi dell’aprile scorso, il
manoscritto dei Sei personaggi tenne a farLe osservare il danno che gli
sarebbe venuto ove non avesse avuto pronto il volume per l’epoca della
prima rappresentazione del lavoro: e lo affidò a Lei dietro promessa
che si sarebbe fatto tutto il possibile e anche l’impossibile per riuscire
a stampare il volume in un mese: tour de force che non esorbitava cer-
tamente dai mezzi della Sua Casa, ove essi fossero stati, tutti e subito,
messi in opera con fervore. Altrimenti il Babbo, per aver pronta la
stampa del lavoro, l’avrebbe data a “Comœdia”: ossia avrebbe usufruito
del suo pienissimo diritto di pubblicare i suoi lavori in una rassegna,
prima di cederli alla Casa Editrice dei suoi volumi. Siamo già alla vi-
gilia della rappresentazione e, nonché il volume pubblicato, neanche le
prime bozze sono state inviate al Babbo per la correzione!

Dopo le assicurazioni di Bemporad circa la cura dell’ “allestimen-


to” dei volumi di Pirandello, cui conferma “stima e amicizia”, la lunga
lettera conciliativa di Stefano successiva alla prima dei Sei personaggi, il
16 maggio:

Il Babbo è lontanissimo dal credere ch’Ella non si dia ogni pensiero


nel curare l’allestimento dei suoi volumi, e Le è profondamente ricono-
scente per i sentimenti di particolare stima e amicizia ch’Ella ha voluto
riesprimergli e ch’Egli sente per Lei con uguale sincerità e intensità.
Egli si rende anche conto delle varie difficoltà del momento e stima
Suo dovere non pretendere l’impossibile; anche se per un momento
poté credere o illudersi, che mercé uno sforzo di tutti, intenso e fuori
dell’ordinario, si sarebbe riusciti una volta tanto a realizzare un fatto
che Gli stava particolarmente a cuore. I Sei personaggi sono andati in
scena il 9 u. s. suscitando – più assai di quanto s’era preveduto – le di-
scussioni appassionate del pubblico, che, mezz’ora dopo della fine, an-
cora tutto in teatro accanitamente applaudiva e contrastava il successo
246 Sarah Zappulla Muscarà

dell’opera, e poi si riversava nelle vie adiacenti al Teatro, improvvisando


dimostrazioni che tennero impegnati per un’altra mezz’ora Carabinieri
e R. Guardie accorse di rinforzo: il fervore e la concitazione esplo-
devano in invettive e in pugilati! Non ostante le opposizioni, più di
trenta chiamate all’Autore e agli interpreti… E dopotutto ciò, il giorno
seguente – come avevamo previsto – la critica, sbalestrata dalla novità
e originalità della concezione, non seppe sostenere il lavoro: e poi, alle
repliche – tutte applauditissime e senza il benché minimo contrasto –
avvenne quel fenomeno che si ripete quasi costantemente per le opere
del Babbo: la tardiva e inutile resipiscenza dei critici… quando il male
era fatto: il pubblico invece che illuminato fu frastornato; andò scarso
alle repliche e queste furono quattro in tutto, in luogo delle quindici
che si riprometteva il Niccodemi. Il Babbo sa per antica esperienza che
non c’è altro mezzo per parare tanto danno morale e materiale: aver
pronto il volume! Ma ormai “cosa fatta, capo ha”.

E ancora mesi dopo, il 22 settembre, a proposito di un debito del


padre nei riguardi dell’editore, Stefano tiene a sottolineare che dal pun-
to di vista artistico, ma anche economico, non c’è alcuna differenza
fra teatro, Sei personaggi in cerca d’autore, e narrativa, Uno, nessuno e
centomila, a cui Pirandello sta lavorando e che finirà di scrivere soltanto
nel 1925:

I Sei personaggi nel valore che gli dà il Babbo, non è affatto da meno
del romanzo, e rappresenta un culmine della sua Arte, e l’essere espres-
so in forma drammatica non è una limitazione riguardo al pubblico
cui si rivolge, perché, come tutto il teatro del Babbo, non va soltanto
al cosidetto pubblico di teatro, ma è opera letteraria destinata a tutto il
pubblico che legge, e a una sicura affermazione certo meglio nel libro
che nella integrazione scenica.

Del 22 settembre 1921 pure il reinvio da parte di Pirandello dell’e-


dizione a stampa della commedia, appena apparsa per i tipi di Bempo-
rad, alla Vergani che gliela aveva restituita per averne la dedica:

Roma, 22. IX. 1921


Via Pietralata, 23
Mia grande Amica,
l’arrivo de I sei personaggi da Brescia, così, senza un rigo d’accom-
pagnamento, non so dirvi quanto mi fece arzigogolare per parecchi
giorni, giacché quell’arrivo mi si rappresentò subito come un viaggio
di ritorno dopo il viaggio d’andata che io avevo fatto fare ai suddetti Sei
personaggi, in tre copie, a Brescia: una copia per Voi, una per Dario,
una per Almirante. Veramente queste tre copie erano andate prima a
Siena “presso la villa del Conte Sergardi”, e m’erano tornate indietro
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 247

“respinte al mittente”, perché il destinatario, già partito, non aveva la-


sciato il suo nuovo indirizzo – (così stava scritto sulla fascia). Appena
aprii il pacchetto col timbro: “Compagnia drammatica italiana diretta
da Dario Niccodemi” e vi trovai dentro una copia de I Sei personaggi,
mi sentii come perseguitato da un cronico respingimento al mittente di
essi Sei personaggi. Ma per fortuna, sulla copertina vidi segnato a lapis,
di traverso, un nome e, sotto, una data: Mimy, 1921. Dico per fortuna,
perché se non avessi visto questo nome e questa data, avrei scaraventato
il libro fuori della finestra, proprio col furore d’un perseguitato. Non
faccio per dire, ho un certo ingegno, e capii subito che doveva trattarsi
d’una Mimy che voleva la mia firma su quel libro. Ma quale Mimy?
Ho dovuto aspettare fino a jeri per saperlo. E oggi vi rimando firmato
il libro, non senza la preghiera di ammirare la mia sollecitudine a cui
nessuno crede. Grazie, mia gentile Amica, delle vostre affettuose parole
e anche di quanto mi dite del mio povero Nino Martoglio! Ho potuto
scherzare, scrivendovi, perché posso sempre scherzare, affacciandomi
alla finestra d’un mio nuovo dolore. E questo vi assicuro che è stato
forte e che mi durerà a lungo, perché ho perduto un amico, vero e raro.
E in che modo, poi! Basta. Ci rivedremo a Milano. Abbiatevi, cara
Amica, il saluto più affettuoso e devoto del vostro
Luigi Pirandello

L’allusione è alla tragica scomparsa, il 15 settembre 1921, di Nino


Martoglio, l’amico di tanti successi e di tante battaglie, rinvenuto ca-
davere nella tromba dell’ascensore in costruzione dell’Ospedale Vitto-
rio Emanuele di Catania, dove era ricoverato il figlio tredicenne Luigi
Marco. Una scomparsa per tanti aspetti avvolta nel mistero. Del 19
settembre la lettera di ringraziamento di Niccodemi:

Via Sant’Andrea 9
19 settembre
Mio caro Pirandello,
Grazie del tuo volume. Ho riletto con piacere immenso i Sei per-
sonaggi. E questa lettura ha riconfermato nel mio spirito la fierezza
d’avere messo in scena il lavoro, d’averne capito subito la potenza, il
significato, le dinamiche poderose; d’aver sentito, subito, il suo fascino
abbagliante di fosforescenze nuove. Dunque, grazie ancora. La com-
media andrà in iscena al Manzoni nella prima quindicina di ottobre.
Verrai? Dimmi se è possibile e probabile. Mi farebbe un gran bene
vederti per tante cose che sarebbe noioso scrivere. Altra cosa: vuoi man-
darmi Ma non è una cosa seria? Credo che potrei darne una interpreta-
zione efficace. Ma conosco male la commedia e vorrei rileggerla. Che
ne dici? Dalla feroce e assurda e inverosimile sciagura di Martoglio vivo
pensandoci, come in un incubo. Non posso cancellare dalla mia mente
la visione che inconsciamente e dolorosamente vi si è formata. Che
248 Sarah Zappulla Muscarà

atroce, che squallido, che desolante avvenimento! Mah! A presto caro


Maestro. Ti abbraccio affettuosamente
Dario Niccodemi

Pirandello sarà presente alla messa in scena al “Teatro Manzoni” di


Milano, che avrà luogo prima del previsto, il 27 settembre, e rappre-
senterà la consacrazione della commedia e dei suoi interpreti. L’auto-
re dovrà presentarsi sul palcoscenico più volte. “Un trionfo”. Nove le
repliche. Quindi il 12 dicembre al “Margherita” di Genova e il 30 al
“Carignano” di Torino. Infelice l’esito economico del 13 che Niccode-
mi così commenta:

14 mercoledì. Jersera seconda recita di Sei personaggi in cerca d’au-


tore. Dato gli incassi di questa stagione fortunata, quello di jersera è
stato uno dei più scarsi. Pubblico venuto per curiosità, senza vivo inte-
resse, quasi indifferente. E si capisce. La stampa è stata elogiosa ma ha
detto chiaramente al pubblico che se andava alla commedia di Piran-
dello non avrebbe capito niente.

Ancora un anno dopo, il 24 dicembre 1922, Pirandello ironizza con


Niccodemi:

Molto mi compiaccio che i buoni veneziani abbiano, dopo due


anni, rumoreggiando, fatto segni d’orrore e di furore per i Sei perso-
naggi in cerca d’autore. Così farebbero, ne son sicuro, anche gli abitanti
della beatissima Luna. E ci son critici in Italia che si chiamano Dome-
nico Lanza e Gino Damerini.

Di notevole interesse la voce dell’autore che, non uso “rispondere ai


critici”, come precisa, di fronte ad una analisi che definisce per taluni
aspetti “definitiva”, non può fare a meno tuttavia di contestarne gli
errori. Così scrive pertanto a Eugenio Levi che si è occupato dello spet-
tacolo sul “Convegno” del 30 ottobre 1921:

Roma, 4 dicembre 1921


Caro Levi, Leggo soltanto oggi nel “Convegno” del 30 ottobre la
Sua nota sui Sei personaggi in cerca d’autore. La rivista, dopo il primo fa-
scicolo della prima annata che conteneva il Suo mirabile studio sul mio
umorismo, e una mia novella, non mi è stata più mandata. Mi si poteva
mandare, io dico, almeno questo fascicolo di ottobre, in cui Lei di nuo-
vo ha voluto parlare di me e dell’opera mia. La nota sui Sei personaggi mi
sarebbe sfuggita, se l’altro ieri Emilio Cecchi non me l’avesse segnalata
come una delle più acute e profonde indagini che siano state fatte sinora
sul mio teatro e sull’arte mia. Non è mio costume rispondere ai critici.
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 249

Ma sento di poter fare un’eccezione per Lei che con tanta penetrazione
s’è addentrato nel mio spirito e nella mia opera di scrittore, e anche con
un così vivo amore, per quanto ora accenni a volersi almeno in parte (mi
sembra) disincantare. L’analisi della mia ultima commedia nei suoi tre
sensi è definitiva. L’opera è sviscerata e messa in valore per quel che vuol
essere artisticamente, ed è, come meglio non si potrebbe. Dove Lei, a
mio modo di vedere, sbaglia, è nel mettermi anche eticamente e storica-
mente in valore. Lei crede che la mia arte sbocchi “fatalmente in quella
che in senso largo si può chiamar decadenza” e che sia da collocare “tra
le varie esperienze per cui è passato lo spirito italiano nell’ultimo otto-
cento”, e pone quello che chiama il mio nihilismo tra le varie avventure,
che oggi ci sembrano così lontane, del verismo asimbolico di Verga,
dell’estetismo furente del D’annunzio e dell’impressionismo crepusco-
lare del Pascoli. Ebbene no, caro Levi. Sembrano così lontani anche a
me – lontanissimi – il Verga, il D’Annunzio! Forse un po’ meno il Pasco-
li, la cui angosciata sensibilità può sonare ancora “attuale”. Come vuol
mettermi tra loro? In un’avventura di “ieri”? Sono purtroppo e “senza
alcun sospetto” nell’avventura “d’oggi” e “di domani”. Guardi: me l’ha
detto, or è poco, e fatto vedere e toccare con mano il Tilgher parlando
dei “relativisti contemporanei”, tra i quali mi mette e tra i quali con mia
grande sorpresa mi son dovuto riconoscere, tardi apprendendo ciò che
essi dicono, che è proprio lo stesso – o su per giù – di quanto ho detto
e seguito a dire io, senz’avere la più lontana notizia di loro, perché da
me solo e dai tormenti del mio spirito e dalle tragiche oscure esperienze
della mia vita, illuminata dal mio solo intelletto, è venuta questa mia
concezione del mondo. La quale, mi permetta di dirLe, caro Levi, non è
per nulla nihilista, come a Lei pare, perché ritorna per necessità, inevita-
bilmente, all’Assoluto, che solo per necessità “appare” negato, in quanto
è l’Infinito che necessariamente “si finisce” in forme, che non sono un
“male” di cui ci si debba “liberare”, ma la “vita” (o il male della vita, se
Lei vuole), che è da soffrire inevitabilmente, in questo “esilio” della for-
ma. Il tormento, per ogni spirito veggente, è di vedersi vivere in essa, sen-
tendone la necessità fatale e inovviabile. Ci fu data nascendo: oggi e non
ieri e non domani; e dobbiamo rassegnarci ad essa, accettandola qual è;
e come, deperendo man mano, si maturerà. Ma nella mia rappresenta-
zione questo tormento è così poco nihilistico, che accetta con lo stesso
“valore di realtà” la finzione che gli altri si fanno o si son fatta di noi; vale
a dire, oltre la forma involontaria in cui siamo nati, e oltre quella che
per sincera finzione incosciente o cosciente e volontaria, ci diamo noi,
anche quella che gli altri involontariamente o volontariamente ci dan-
no. La forma degli altri, come una “realtà” anche per noi. E con questo
non dovrei ribellarmi neppure a quella che mi dà Lei. Non mi ribello.
Ma perché sento che Lei mi vuol bene, La invito a guardare (Lei che sa
e può) ancora più addentro in me, nella mia presente e viva attualità.
Sono sicuro che riuscirà a veder quanto ancora, fors’anche per difetto
della mia espressione, non vede. Mi creda sempre, con affetto, Suo
Luigi Pirandello
250 Sarah Zappulla Muscarà

Affascinato dall’Enrico IV visto al “Teatro Manzoni” di Milano,


Niccodemi definisce Pirandello “davvero uno spirito superiore. Ha de-
gli occhi strani, a momenti impressionanti, si direbbe che c’è la pazzia
di un altro. Mi ricorda Anatole France, anche fisicamente” (febbraio
1922). Quella “guardatura da cui sbilucia una mente geniale”, esibi-
ta, non senza un sottile compiacimento, dal padre di Simone-Stefano,
Ludovico-Luigi, nel romanzo Timor sacro, fortemente autobiografico.
Una “vitalità degli occhi nella pelle grigiastra” tale da parere al figlio si
divertisse a infondere loro, maliziosamente, “un’espressione intensa e
cupa, o al contrario a renderli vivaci e provocanti”. Dal “terribile sorriso
mefistofelico” appare il nonno alla piccola Maria Luisa, figlia di Lietta.
L’1 giugno 1922, a Bologna, ha luogo l’inaugurazione del primo
Teatro sperimentale italiano, presieduto da Niccodemi, con la comme-
morazione di Verga (scomparso il 27 gennaio) da parte di Pirandello
e le messe in scena di Caccia al lupo, interpreti Luigi Carini e Nera
Grossi-Carini, e Cavalleria rusticana, interpreti Emma Gramatica, Vera
Vergani, Luigi Cimara, Camillo Pilotto e Luigi Almirante. L’indomani
la Compagnia s’imbarca a Genova per la prima tournée in Sud America,
rotta Buenos Aires. Vieppiù consapevole del valore rivoluzionario del
teatro pirandelliano, a bordo del piroscafo “Principe di Udine”, nel suo
Diario Niccodemi annota:

Ho letto ier sera Il berretto a sonagli. Non conoscevo questo lavoro,


che con Liolà e Pensaci, Giacomino! forma il trittico più caratteristi-
co, più saporito e più pienamente umano di tutta l’opera teatrale di
Pirandello. Forte lavoro questo Berretto a sonagli, pieno di intenzioni
schiettamente risolte. Tutto in esso è potentemente scolpito. La parte
di Ciampa è una creazione d’un singolare vigore. Non so proprio per-
ché degli attori come Ruggeri, invece di immiserirsi nel solito reperto-
rio, lasciano questo Ciampa, rigurgitante di sangue, di vita e di affetti,
al teatro dialettale. Son molto colpevoli i nostri cosiddetti grandi attori.
Mi convinco ogni giorno di più che il teatro italiano esiste e che sono i
miserabili intendimenti dei nostri attori che lo intisichiscono.

A Buenos Aires, dove Niccodemi era noto e apprezzato per avervi,


in giovinezza, svolto l’attività di critico e autore drammatico, la Com-
pagnia debutta al “Teatro Cervantes”, il più elegante della città, il 23
giugno, con la Vena d’oro di Guglielmo Zorzi, conquistando subito una
grande popolarità. I Sei personaggi sono messi in scena il 7 agosto 1922,
un anno dopo quella prima romana che aveva suscitato tanto scalpore.
Nonostante la concorrenza della spagnola María Guerrero e del
francese Gabriel Signoret, per gli attori della Compagnia, il cui reper-
torio era costituito in gran parte di novità, fu un susseguirsi di successi,
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 251

con gli spettacoli replicati tanto da doversi fermare più a lungo del
previsto, fino al 15 ottobre 1922. Scrive Niccodemi da Buenos Aires il
1° settembre ad una amica:

Avrai saputo del successo della Compagnia; ma per quanto tu ne


abbia saputo non puoi farti un’idea esatta della sua entità. È stata pro-
prio la resurrezione del teatro e della lingua italiana in America. Ma il
successo più grande e più autentico è stato quello di Vera. È un vero
fanatismo per l’attrice e per la donna. Tu sai che io non esagero mai i
nostri successi, ma quello di Vera è talmente prodigioso che ne parlo
anch’io e con una gioia, una tenerezza e una commozione che tu sola
puoi capire. Le signore e le signorine di questa società se la strappano
addirittura e sono tutte d’accordo che mai eppoi mai, attrici italiane
ebbero uguale trionfo. Vera è quasi sulla vetta e non ha ancora ventotto
anni! Ma i progressi sono incredibili. Me ne accorgo anch’io che la
vedo crescere ogni giorno. E cresce, cresce tanto, che non si può più
prevedere fin dove arriverà. (…) Ora Vera non ha più bisogno di nes-
suno. Può camminare sola e può andare dove vuole.

Un giornalista con tono scherzoso definì la tournée “una missione


diplomatica”, anche perché, successiva alle conferenze del Generale En-
rico Caviglia, aveva contribuito non poco a promuovere il teatro e la
lingua italiani.
Frutto forse di gelosia per l’orgogliosa primogenitura la livorosa let-
tera di Niccodemi a Veruzzi (ma pure Viruzzio), vezzeggiativo di Vera
(a lei non gradito), in quegli anni legati da un rapporto non soltanto
di lavoro, presente alla prova generale e alla prima della tanto osannata
messa in scena parigina di Georges Pitoëff. Traduttore l’amico Benja-
min Crémieux, che aveva proposto invano la commedia a vari attori
francesi, impauriti dalla novità pirandelliana, prima di trovare in un te-
atro periferico d’avanguardia due sconosciuti profughi russi, Ludmilla
(ventisettenne) e Georges Pitoëff (trentottenne), ardimentosi teatranti
subito divenuti celebri:

Hôtel Meurice
228 Rue De Rivoli
PARIS
Aprile 1923
Lunedì sera

Veruzzi: esco ora da una prova più o meno generale ma più che men
geniale dei Sei personaggi. Non puoi immaginare che cosa sia divenuta,
nelle voci e nei gesti di questi dilettanti, l’avventura cerebrale di Piran-
dello! Non lo puoi immaginare e io non te lo posso dire. Un particolare
basterà per darti la misura di questa deformazione: per far contrasto col
252 Sarah Zappulla Muscarà

nero dei sei personaggi le attrici della compagnia sono state vestite di
rosso, di verde, di giallo, di celeste, e così, la realtà del palcoscenico du-
rante una prova, è divenuta la realtà di un ballo per celebrare il 20 set-
tembre in una cittadina di lontana provincia. La signora Pitoëff è vestita
di nero ma con una cappa bianca e scarpe e calze bianche; sembra una
vedova in carnevale. Nessuna razza, niente stile, niente eccezionalità,
ma una vedova borghese, composta e declamatoria; un’attrice francese,
in una commedia di Gavault o di de Flers, alla quale far dire delle parole
di Pirandello. Veruzzi, poco fa, nel mio spirito, tu eri grande come la
Duse! E gli altri! Che roba! Tutto grigio, tutto unito, tutto regolato, tut-
to definito! Nessuna ambientazione di stranezza; atmosfera abituale di
tutte le commedie in tutti i teatri di Parigi. Gli attori truccati come dei
macchiettisti di music-hall; le attrici scintillanti come una vetrina della
Rinascente nei giorni di liquidazione. E, basta dirti, che la prova di oggi
era repetition decouturières. Già! Per quelle attrici che devono provare,
forse di mattina, in un teatro, forse di second’ordine, c’erano le coutu-
rières che bisbigliavano in platea sull’effetto delle loro creazioni! Questo
mi pare che basti per darti un’idea dell’idea sbagliata con cui è stata
messa in scena la commedia. E Pirandello, commovente d’imbecillità
e di servilismo mentale, approvava, gongolava, s’estasiava. Ma quando
si voltava dalla mia parte e s’incontrava col pericolo dei miei occhi di-
ventava rosso come un peperone della sua Sicilia. È un pover’uomo!
Sono sicuro che quando scrive le sue commedie è in istato d’assoluta
incoscienza. Pirandello uomo è il succubo di Pirandello autore. Non c’è
in lui ombra di discernimento critico. Quando segue una prova il suo
viso si plasma nel viso dell’attore che recita, ne segue le contrazioni e
le rifà, ride o s’addolora come ride e s’addolora l’interprete; anche lì è
succubo, la sua personalità sparisce sopraffatta dalla fittizia personali-
tà dell’attore. I personaggi della sua commedia cercano e non trovano
l’autore che completi la loro vita; lui, autore, trova sempre l’attore che
soddisfa la sua profonda incoscienza critica; e lo trova tanto in via de-
gli Avignonesi, come a Parigi, come dappertutto. Dopo la prova però,
temendo forse la burrasca che mi rombava dentro, mi ha detto le mille
mirabilia della nostra interpretazione, della tua specialmente. Povero
Pirandello. Si direbbe che vive nel continuo stupore di avere tanto in-
gegno! Una sola ed unica cosa buona, dovuta alle possibilità del palco-
scenico. I suoi personaggi capitano in ascensore; e quella gabbia di ferro
sapientemente illuminata d’un verde crudele, colle sei larve pallide, è
molto impressionante, specie alla fine del lavoro, quando l’ascensore
ritorna in su, nella stessa luce, verso il vuoto dell’irrealtà. Questo, forse,
e non altro, sarà il successo del lavoro a Parigi. Ti prego, appena ricevi
questa lettera, di far partire Federico per Milano dove spero di essere
venerdì sera o sabato mattina. Bisogna che Federico ci arrivi un giorno
prima per poter preparare la macchina per il ritorno a Roma, dove sarò
certamente domenica sera. Veruzzi penso tanto a te, vorrei averti qui
per vedere l’ampiezza dei tuoi occhi su questa Parigi che offre, sempre,
il più completo e sintetico spettacolo della trepidante e ansiosa e avida
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 253

banalità umana! Ma, presto, ci verremo insieme e ti garantisco che il


tuo successo personale tra questi attori, che sono come inchiodati ad
un invariabile sistema, sarà grandioso. Bacio la tua bella fronte Dario.

Famosa diverrà quella che Niccodemi definisce “una sola ed unica


cosa buona, dovuta alle possibilità del palcoscenico”, troppo piccolo
per nascondervi i sei personaggi prima che entrassero in scena, da qui la
trovata di Pitoëff del montacarichi di servizio su cui, avvolti da una luce
verdastra, quasi provenienti dall’al di là, arrivano e infine scompaiono.
La sera della prova generale, scrive Henrì-René Lenormand, il monta-
carichi si ferma a metà tra lo spazio inferiore e la scena:

alla fine gli sforzi degli elettricisti e dei macchinisti rimisero in moto
il montacarichi che depositò davanti al pubblico il suo carico umano
appesantito da un peso supplementare di angoscia.

Lievemente differente la versione di Robert Paris:

Pitoëff aveva avuto l’idea di far scendere i sei personaggi dall’alto


tramite un montacarichi che, però, il giorno della prima, ebbe un gua-
sto e si fermò a un metro e mezzo dal suolo costringendo gli attori a
saltare sulla scena.

Lo stesso 9 aprile Pirandello informa i figli:

Parigi, 9. IV. 1923


Hôtel Meurice
Miei carissimi figli,
arrivato benissimo. Girato tutto il giorno. Parigi meravigliosa. Vi-
sto Hébertat, direttore Campi Elisei. Oggi prima prova generale, detta
prova della sarta (non so perché). Sarà per me la prima prova della com-
media. Crémieux mi dice un gran bene dell’interpretazione. Vedremo.
Jersera è arrivato col treno di lusso Niccodemi. Non so se potrò accetta-
re tutti gli inviti che mi fioccano da tutte le parti: ricevimenti, colazioni,
cene. I letterati del cenacolo della Nouvelle Revue Française mi hanno
invitato per sabato sera: ma o la cena s’anticiperà d’un giorno, o io non
potrò accettare, perché venerdì notte Niccodemi, Giordani e io inten-
diamo ripartire per Roma. Mi ha invitato a cena per sabato anche René
Doumic, direttore della “Revue des Deux Monds”. Insomma cose gran-
di, come diceva quel tale. Vi scrivo telegraficamente, perché non ho un
momento di tempo. Perverrò coi giornali. Intanto vi bacio tutti. Luigi.

Alla prima parigina, presso “La Comédie-Française des Champs-


Élysées” di Jacques Hébertot, interpreti Georges Pitoëff (il Padre), Lud-
milla Pitoëff (la Figliastra), Marie Kalff (la Madre), Michel Simon (il
254 Sarah Zappulla Muscarà

Capocomico), sono presenti, fra gli altri, con Dario Niccodemi e Ales-
sandro Varaldo, Presidente e Direttore della Società Italiana degli Auto-
ri, Paolo Giordani, Adriano Tilgher, Enrico Palermo. L’indomani, l’11
aprile 1923, da Parigi così Pirandello telegrafa a Vera Vergani:
Teatro Argentina Roma. Confermo intera più che mai mia esultan-
te ammirazione divina inarrivata inarrivabile Vera Pirandello.

Continua intanto la collaborazione tra Pirandello e Niccodemi alla


cui Compagnia il drammaturgo destina, non a caso, con la ripresa di
Così è (se vi pare), la nuova commedia Ciascuno a suo modo, come docu-
mentano testo e didascalie e come conferma l’originale regia:
Grazie cordialissime per l’annunzio che mi dai della ripresa di Così
è (se vi pare). Ho sempre pensato che la tua compagnia, sotto la tua di-
rezione, avrebbe potuto darne l’interpretazione più felice e armoniosa.
Giordani t’avrà riferito sulla nuova commedia che preparo per te e di
cui avrai forse letta un’ampia indiscrezione fatta recentemente sul “Cor-
riere della Sera”. Credo che mi riuscirà bene e conto d’averla pronta al
più presto.

Di Ciascuno a suo modo, il 28 aprile 1923, di ritorno da Parigi, alla


figlia Lietta Pirandello annuncia la prossima messa in scena:
l’attore americano Arnold Daly s’è accaparrato il Ciascuno a suo modo
per New York prima ancora che lo abbia finito di scrivere per Dario
Niccodemi, che deve darlo all’Argentina di Roma nella seconda quin-
dicina di Maggio. Sono veramente arrivato al colmo della mia carriera
letteraria. (…) Intanto, prima che ti giunga questa lettera, sarà forse
rappresentato a Roma Ciascuno a suo modo.

Niccodemi non farà in tempo perché partirà per una nuova lunga
tournée in Sudamerica dove ha progettato di darla in prima assoluta,
come Pirandello scrive sempre a Lietta il 2 giugno:

Devi sapere che a Buenos Aires si darà per la prima volta nel mon-
do, cioè prima ancora che in Italia, la mia nuova commedia Ciascuno
a suo modo, che la Compagnia non ha fatto in tempo a mettere [in
scena] a Roma.

Ma Ciascuno a suo modo sarà rappresentata per la prima volta un


anno dopo, al “Teatro Filodrammatici” di Milano, il 23 maggio 1924,
interpreti Vera Vergani con Luigi Cimara (entrambi nel ruolo doppio
Morello-Moreno e Nuti-Rocca), Sergio Tofano (Cinci), Mario Brizzolari
(Palegari), Ruggero Lupi (Savio).
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 255

Grande il successo di Ciascuno a suo modo nella terza tournée a Bue-


nos Aires del giugno 1925 e, ancora una volta, di Vera Vergani, ormai
ben nota, a cui si è dischiusa una platea sempre più vasta, sotto la guida
accorta, sapiente, rigorosa di Niccodemi che non manca di spronarla a
proseguire “sulla strada maestra” a cui è vocata, a non cessare di studia-
re, a non adagiarsi sulle lodi, per afferrare il nucleo sfuggente del perso-
naggio, per divenire, mediante la michelangiolesca “arte del levare”, da
“grande artista” “grande attrice”:

Agosto 1922
Veruzzi:
So che avrai un pacchettino di sterline. Ti do questo borsellino
per mettercele dentro. Me lo regalò Réjane dopo la prima recita della
mia prima commedia L’Hirondelle, a Bruxelles 1904. Diciotto anni fa!
Siccome sei sulla strada maestra per la quale raggiungerai la meta a
cui aspiri e a cui il destino ti conduce, questo oggettino che venne
dall’amore d’una grande artista ti deve essere caro. Non te lo regalo;
te lo trasmetto. È come una grande eredità spirituale ch’esso contiene,
e tiene, nella sua rete d’oro. Vorrei che contenesse anche tutto il mio
augurio e tutta la mia tristezza. Bacio la tua bella fronte, Veruzzi, e colle
mani giunte e colle lagrime agli occhi ti prego. Dario.

E anni dopo, non temendo di confessare, a ogni prova, pur con


il trascorrere del tempo, “le stesse indefinibili esasperazioni e le stesse
invincibili paure”, sia che si tratti di una sua commedia, come L’ombra,
sia che si tratti di una commedia altrui, le scrive:

Hôtel Meurice
228 Rue de Rivoli
PARIS
Sabato sera
1 febbraio 1926
Viruzzio,
sono stato alla prova de L’ombra e non so che cosa dirti. Berangere
è vibrante è commossa è convincente ma è lineare. Non ci sono né
chiarezze né ombre visibili. Si vede il blocco intiero e questo è ormai
impenetrabile alle rettifiche ad osservazioni che io potrei fare. È troppo
tardi e se parlassi porterei uno sconvolgimento pericolo[so] nello spi-
rito tanto fervido e tanto devoto di quella donnina, è certo che quello
che ho visto mi ha messo nel cuore il convincimento che tu sei una vera
grande artista. Cogli anni, a forza di lavoro e d’esperienza, diminuirai
per divenire, anche, una grande attrice. Da una grande artista viene
sempre fuori una grande attrice; il contrario, invece, si produce di rado
perché, spesso, le doti che si acquistano sciupano quelle che si hanno.
Sono contento di quello che ho visto? Sono scontento – non lo so io
stesso. Sono nervoso come alla vigilia del Rifugio, sedici anni fa. Pro-
256 Sarah Zappulla Muscarà

prio non ci si agguerisce nel mestiere. I nervi si rinnovano ogni volta


ed hanno ogni volta le stesse indefinibili esasperazioni e le stesse invin-
cibili paure. La rappresentazione de L’ombra ha destato molta curiosità
che rassomiglia molto a dell’interessamento da parte degli artisti e della
critica. La prova generale, che avrà luogo nel pomeriggio di martedì,
sarà fatta in presenza di quel famoso tout Paris che dà fama agli artisti,
ma non so quel che accadrà. Ho paura della lunghezza del lavoro per-
ché hanno trovato opportuno di riaprire tutti i tagli coi quali noi reci-
tiamo la commedia. E guai a turbare gli attori a poche ore dal cimento.
Certo nessuno qui, farebbe quel che tu hai osato nella commedia di
Fraccaroli. Qui, tutto è stabilito, regolato, definito e non si può toccare
niente. E io non tocco niente. Vedremo. Ma ti garantisco che quando
riprenderò il treno del ritorno sarò molto contento, checché avvenga
qui. Vedo con piacere gl’incassi formidabili del Problema centrale, sono
contento per noi e tanto per Fraccaroli al quale proprio voglio bene
perché col suo carattere esce dalla volgare schiera dei nostri soliti cari ed
infidi amici. Ho fatto la commissione dei libri. Lunedì andrò da Keller.
Saluta la mamma. Baci dal tuo povero Daruzzi.

Ad Arnaldo Fraccaroli Dario Niccodemi dedicherà il volume di ri-


cordi del 1929 Tempo passato.
Sempre di alto livello le rappresentazioni dei Sei personaggi da parte
della Compagnia Niccodemi. Anche se Pirandello, reduce da un lungo
giro a Praga, a Vienna, a Budapest, dove ha ricevuto “onori trionfali”,
così il 31 gennaio 1927 esprime a Ugo Ojetti il suo forte risentimento
per la trascuratezza con cui è stato trattato dal “Corriere della Sera”:

Far soldi nell’America Latina, facendo fallire gli impresarii, com’è


avvenuto alla Compagnia Niccodemi, Melato-Betrone e Fiori-Almi-
rante, è un conto; ricevere gli osanna dalla critica e dal pubblico delle
Capitali d’Europa, affrontando il paragone dei più reputati teatri del
mondo, è un altro, ne converrai.

Da parte sua Niccodemi, narrando le “tribolazioni” di capocomico


ma pure i successi (quest’ultimi “una specie d’araba fenice sempre più
nascosta e sempre più impenetrabile”) e in particolare il lungo lavoro e
la grande passione nel promuovere il teatro italiano, insidiato dall’ab-
bondanza della produzione straniera, specie francese, scrive:

Chiedo con molto orgoglio che mi si dica quale compagnia abbia


potuto fare di più per il teatro italiano. Ma io vorrei con tutta la mia
anima che mi si dessero i mezzi di non rappresentare che commedie
italiane. Sarebbe la mia soddisfazione e la mia gloria. Nessuno più di
me ascolta i giovani quando sanno farsi ascoltare con dei lavori rap-
presentabili. Nessuno, più di me, ha messo volontà, amore e fervore,
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 257

a disposizione della commedia italiana. Ho il vanto, e lo dico, d’essere


stato il fratello di ogni autore italiano, di aver patito le sue ansie, con-
diviso le sue speranze, goduto dei suoi successi, sofferto dei suoi scora-
menti. Arnaldo Fraccaroli, poco tempo fa, mi ricordava una frase che
avrei detto alla prima rappresentazione della sua bella Morosina. Pare
che io fossi nel ridotto del Manzoni a consumare la mia inquietudine a
forza di passeggiate frementi. Passò Fraccaroli colla sua sorridente im-
perturbabilità e io lo investii dicendogli: “Quando ero soltanto autore
soffrivo solo per le mie commedie; ora che sono direttore soffro anche
per le commedie degli altri!” Ed era vero. Ogni prima recita diviene
una mia prima recita. I nervi mi si consumano come se le commedie
fossero tutte mie; l’ansietà di tutti gli autori penetra in me e mi fa sof-
frire le pene del purgatorio. E così le tribolazioni del direttore non han-
no mai fine, si rinnovano ogni giorno, ogni giorno sono più assillanti e
più acute e più sottili. Questo è davvero un bel mestiere!

Ma un bel mestiere è stato, pur con le tante ansie e le inevitabili


delusioni, quello di commediografo e di capocomico per Niccodemi, se
si pon mente agli straordinari successi. Il 19 maggio 1927 Niccodemi
metterà in scena un altro lavoro di Pirandello, L’amica delle mogli, al
“Teatro Manzoni” di Milano, l’ultimo con la Vergani protagonista che
continuerà ad inanellare successi finché, al culmine di una brillante
carriera, all’età di trentacinque anni, il 13 gennaio 1930, al “Teatro
Manzoni” di Milano, abbandona le scene con La figlia di Iorio, per spo-
sare il Comandante Leonardo Pescarolo, conosciuto durante un viaggio
transatlantico per una tournée.
Poco tempo dopo, gravemente ammalato (encefalite letargica), Nic-
codemi scioglierà la Compagnia. Scomparirà nel 1934.
Quando, nel maggio 1985, andammo a trovare Vera Vergani a Pro-
cida, dove si era rintanata in una villa immersa in un giardino profu-
mato di limoni, sorpresa esclamò: “Come mi avete scovata?” Fu una
splendida giornata in cui, con delicatezza, pur consapevoli del patto
che aveva sancito con Leonardo, non parlare mai del loro passato (affa-
scinante anche quello del Comandante) per non suscitare la reciproca
gelosia e perché i figli non crescessero con il mito della madre grande
attrice e non se ne sentissero schiacciati, ne sollecitammo il racconto
di una vita d’eccezione. L’invitammo pure a venire ad Agrigento per
il successivo Convegno pirandelliano. “Ma io non viaggio e dormo fra
lenzuola di lino” la sorridente risposta. L’amoroso ricordo di Leonardo
il commiato: “Le mie labbra ne hanno raccolto l’ultimo respiro”.
258 Sarah Zappulla Muscarà

APPENDICE
I Sei personaggi in cerca d’autore nelle cronache contemporanee.

Deluso dall’esito della seconda replica romana dei Sei personaggi, con
scarso pubblico dopo il pandemonio e i resoconti talora ingiusti della pri-
ma serata, Niccodemi rimprovera la stampa italiana (in tempi in cui, in
verità, dedicava alle cronache teatrali uno spazio oggi impensabile) di sof-
fermarsi sulla trama e sulla critica dei testi, facendosi condizionare dal
pubblico e riservando laconicamente solo poche veloci righe all’esecuzione e
all’interpretazione degli attori, a cui pure ne sono affidate le sorti.
Testimonianze e cronache teatrali documentano, tra l’altro, che la pri-
ma romana, seppur scatenò discussioni appassionate e turbolente tra spet-
tatori entusiasti (non soltanto amici e sostenitori dell’autore) e spettatori
ostili, fino a giungere al tentativo di aggressione e allo scontro fisico, non
fu priva di successo se più di trenta furono le chiamate finali ad autore e
interpreti. Ma sono le baruffe, come inevitabile, più che la singolare e fuori
dall’ordinario messa in scena, ad attirare l’attenzione, previste per altro se
Silvio d’Amico confessò, anni dopo, di aver fatto ricorso a un impegno a To-
rino (uno spettacolo che segnava il ritorno sulle scene della Duse) per evitare
di doversene occupare, passando così la palla al suo Vice, Arnaldo Frateili.

–, Teatri e concerti. «Sei personaggi in cerca d’autore» al Valle, «Il Tempo»,


Roma, 7 maggio 1921.
(…) La commedia di Pirandello ha lo scopo di mostrare come si concreta
una commedia nella fantasia di un autore, e rivela l’intimo conflitto tra il
mondo della fantasia e il mondo del teatro (…) Il pubblico del Valle lunedì
sera assisterà ad una originale opera d’arte, una delle più significative dell’illu-
stre e fecondo scrittore siciliano.

Arnaldo Frateili, «Sei personaggi in cerca d’autore» di Luigi Pirandello a Tea-


tro Valle, «L’Idea Nazionale», Roma, 10 maggio 1921.
Tutto il teatro pirandelliano, nel suo contenuto di umanità e di ideologia,
sembra riassumersi e chiarirsi in quest’ultimo lavoro che è il più significativo
della sua arte. I suoi personaggi qui gridano la loro realtà appassionata, e sem-
brano implicitamente ribellarsi all’accusa di essere dei fantocci paradossali; il
dramma afferma il suo svolgimento necessario, contro coloro che lo giudicava-
no una costruzione di ingegnosa ma fredda cerebralità; l’opera d’arte spiega le
deformazioni prodotte dalla tecnica teatrale e dalla recitazione degli attori, at-
traverso le quali essa è giunta al pubblico. (…) Un’opera di teatro eccezionale,
che sta assolutamente a sé, che non è suscettibile di ulteriori sviluppi, in quan-
to, pur essendo del tutto nuova come concezione e come tecnica, non può
dare certo origine ad un genere di teatro che, come questo, dia un calcio così
deciso a tutte le consuetudine teatrali. (…) Se la maggior parte del pubblico
è riuscita ieri sera ad «ambientarsi» con relativa facilità in una così eccezionale
vicenda teatrale, e a seguire gli intenti dell’autore, chiari assai spesso, ma mai
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 259

trasparenti per la stessa loro elevata natura, è perché l’ingegno dello scritto-
re, nel rendere scenicamente il tormento della creazione era commosso. Ed è
riuscito a comunicare questa sua commozione agli spettatori. Il successo del
primo atto è stato pieno, e ha procurato cinque chiamate agli interpreti. L’au-
tore, chiamato insistentemente non si è presentato perché non era in teatro. Il
secondo atto s’è chiuso con applausi entusiastici all’autore e agli interpreti, che
hanno dovuto presentarsi più di dieci volte alla ribalta. Qualche isolata disap-
provazione non ha fatto che rinfocolare il calore dei plaudenti. Il terzo atto è
stato anche ascoltato, senza nessuna reazione, fino all’ultima battuta. Alla fine
è scoppiata la battaglia, la più violenta forse che ricordi il Valle. La lotta tra i
plaudenti e i disapprovanti ha toccato intensità sonore mai raggiunte. Venti
minuti dopo la fine dello spettacolo buona parte del pubblico era ancora a
teatro a discutere ad alta voce, chiamando tra grandi applausi l’autore che do-
vette presentarsi un numero infinito di volte, mentre i più fieri avversari della
commedia urlavano in coro il loro sdegno. Anche dal gruppo però di questi
avversari, abbiamo sentito partire un grido spontaneo di «Un applauso per gli
attori!». Quel che ha fatto Dario Niccodemi e la sua compagnia per mettere
in scena degnamente questo lavoro pirandelliano, che presentava difficoltà di
esecuzione quasi insormontabili, è non solo artisticamente perfetto, ma com-
movente per lo slancio con cui questa opera paziente di costruzione di un così
perfetto spettacolo è stata compiuta. È impossibile fare gli elogi dei singoli
attori, perché bisognerebbe nominare tutta la compagnia che ieri sera era tutta
in scena. Diremo solo che Vera Vergani, Almirante, il Magheri hanno superato
le loro possibilità, che erano molte. Dario Niccodemi, dopo il secondo atto, fu
chiamato al proscenio con l’autore, al quale egli aveva prestato un’opera così
intelligente e fraterna. Le dimostrazioni dei plaudenti a Luigi Pirandello, e le
manifestazioni ostili di qualche testardo abitante del «loggione» si rinnovarono
anche sulla pubblica via, e si protrassero a lungo, risvegliando nel silenzio della
notte echi che devono aver sorpreso e spaventato non poco quelli che dormi-
vano il loro sonno meritato nei pressi del Teatro Valle. La commedia questa
sera si replica.

Umberto Mancuso, «Sei personaggi in cerca d’autore». Commedia… da fare,


di Luigi Pirandello, al «Valle», «Il Popolo Romano», Roma, 10 maggio 1921.
Una commedia… da fare dà, ai critici modesti anche agli immodesti, più
da fare di una commedia fatta; posto che compito loro è piuttosto studiarsi
di rifare o disfare, o contraffare. Ma in questo forte e strano lavoro di Luigi
Pirandello il dramma, un dramma qualunque, era già fatto, o quasi, e l’autore
se n’è servito come specchio di un altro, più vero e più profondo dramma, il
suo proprio. Giacché – diciamolo subito, perché ieri sera i pochi ma sinceri e
accaniti avversari accusavano anzitutto il lavoro d’incomprensibilità – si tratta
qui, secondo noi, anziché di sei personaggi in cerca di autore, dell’autore stes-
so in cerca o in presenza di sei personaggi e delle loro passioni; si tratta dello
sforzo per strappare brani di verità alla vita e comporne figurazioni sceniche,
che non risultano più vere; di trarre dalle tragedie, molteplici e diverse, dei
protagonisti vivi gli elementi necessari e sufficienti per una tragedia verosimile;
di adattare le realtà obbiettive, se pure questa parola significa qualcosa, alle
260 Sarah Zappulla Muscarà

necessità esteriori dell’arte e del teatro. Tutta la preoccupazione degli autori è


nel nascondere il travaglio della creazione loro; Pirandello osa e sa presentarci
quel travaglio. (…) Facile è aggiungere, a tale critica interiore del Pirandello,
la critica esteriore sui suoi difetti in generale e su quelli speciali di questa com-
media, dal punto di vista teatrale. Anzitutto, a veder sempre e soltanto ciò che
succede dietro le quinte, il pubblico finisce con lo stancarsi. (…) Bisogna poi
riconoscere che Pirandello lesina troppo gli elementi strettamente indispensa-
bili per capire, e che questo vezzo – frequente e abusato nel suo teatro – non
contribuisce sempre e soltanto a tener viva l’attenzione. (…) Dobbiamo (…)
rassegnarci a valutare il teatro pirandelliano, in special modo questa commedia
antiteatrale, quale prodotto d’un artista che della scena, come della novella o
del romanzo, si serve senza preoccupazioni formali, per esprimere certe sue,
certe nostre verità, amare e profonde, non per anco dette: ed in ciò riesce gran-
de. (…) Serata di battaglia, quattro chiamate alla fine del primo atto, cinque o
sei alla fine del secondo, molte altre alla fine del terzo, ma non senza violenti
contrasti. L’autore aveva riservato al pubblico elegantissimo e affollatissimo
del Valle un’altra sorpresa: e si è presentato più volte alla ribalta. Giustamen-
te si è voluto applaudire anche Dario Niccodemi. Questo nuovo lavoro di
Pirandello dà una nuova misura della perfezione raggiunta dalla compagnia
di Niccodemi, per le sue eccezionali difficoltà. L’Almirante, abbandonando
la maschera del brillante per quella del tormentato e flebile Padre, ha vinto
una bella battaglia, eccellentemente coadiuvato da Vera Vergani nella scabrosa
parte di Figliastra, dal Cimara e dagli altri. Il Magheri è stato un capocomico
perfetto. Bene tutti gli attori.

Fausto M. Martini, Le novità al «Valle». «Sei personaggi in cerca d’autore» di


Luigi Pirandello, «La Tribuna», Roma, 10 maggio 1921.
(…) Luigi Pirandello, con una singolarità di concezione veramente genia-
le – e diamo a questa parola il suo valore preciso – dissociando gli elementi
della sua esperienza d’arte e procedendo quindi con una tecnica che vorremmo
chiamare divisionistica, ha esteriorizzato sulla scena il dramma tumultuoso,
che ogni artista ha più volte sofferto, delle figure nate nel cervello del creatore
le quali gli chiedono imperiosamente la loro parte di sangue, di colore, di vita.
(…) Nessuna vicenda drammatica prospettata sulla scena mi ha dato il brivido
di quei sei personaggi che si affannano, travolti in una irruenza veramente pas-
sionale, per strappare al loro creatore una quanto più possibile generosa elemo-
sina di vita. (…) Un prodigio di collaborazione offerta da Dario Niccodemi e
dai suoi comici all’insigne scrittore siciliano. Dario Niccodemi, che il pubblico
volle più volte alla ribalta accanto all’autore e ai suoi attori, concertò il quadro
con una cura squisita in ogni particolare e con una intelligenza chiarificatrice
di tutte le più riposte intenzioni dell’autore alla quale si deve in gran parte se
queste apparvero palesi più di quanto era lecito sperare alla massa degli ascol-
tatori. E il plauso fervoroso e insistente degli spettatori testimoniò al direttore
della compagnia e all’instancabile inscenatore questa loro grata ammirazione.
Ma gli onori della serata dal punto di vista della interpretazione vanno per la
maggior parte a Vera Vergani, nella quale, dopo la prova di ieri sera, possiamo
salutare, oltre all’attrice squisita e corretta che abbiamo ammirato più volte,
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 261

una vigoria d’espressione drammatica che la pone in prima linea tra le attrici
italiane e una così acuta intelligenza della difficile parte assunta che testimonia
in lei un connubio raro sul palcoscenico: tra le vigorie dell’espressione dram-
matica che sembrano quasi istintive tanto appaiono genuine e le facoltà riflesse
della mediazione intelligente sul personaggio che ella incarna. E siamo lietis-
simi che il consenso incondizionato degli spettatori di ieri sera ci conforti in
questa nostra affermazione senza riserve. L’Almirante, nella sua cupa dramma-
ticità, fece del capo dei sei personaggi una autentica creazione, e il Magheri fu
un capocomico di una così schietta naturalezza che toccò il colmo dell’abilità:
seppe vivere una parte che da qualunque altro attore avrebbe corso il rischio
di essere recitata. Bene tutti gli altri, e soprattutto il Cimara negli scatti che in-
terrompevano la monotonia della sua breve parte di solitario, la Frigerio cui si
deve qualche brivido di autentica commozione corso nel pubblico, il Frigerio,
il Turco, la Donadini e la Sampoli. (…)

Ferruccio Rubbiani, Teatri. «Sei personaggi in cerca d’autore» di L. Pirandel-


lo al «Valle», «Il Giornale del Popolo», Roma, 10 maggio 1921.
(…) Il lavoro del Pirandello ha avuto (…) ieri sera applausi e fischi. (…)
Se il Pirandello voleva trovare un’altra forma di espressione alla sua concezione
della vita, non si può affermare che egli ci sia teatralmente riuscito attraverso Sei
personaggi in cerca d’autore; se poi egli ha voluto commentare nel modo da lui
ritenuto più efficace la verità del suo teatro, egli c’è riuscito. L’ha commentata
e confermata. Un atto dignitoso di coraggio, fatto da un uomo di grandissimo
ingegno e di indiscussa abilità, una prefazione degna alla raccolta completa del
teatro pirandelliano. Lo scrittore siciliano ha trovato nella Vergani, nell’Almi-
rante, nella Frigerio, nel Cimara, nel Magheri degli intelligenti collaboratori,
per i quali sarà davvero titolo d’onore la interpretazione di ieri sera.

Adriano Tilgher, «Sei personaggi in cerca d’autore» di Luigi Pirandello al


Valle, «Il Tempo», Roma, 10 maggio 1921.
Le commedie di Pirandello sono, di solito, difficilissime a raccontare, per-
ché quello che in esse veramente importa non è mai la brutta trama, il fatto,
l’azione, ma esclusivamente il processo che si svolge nello spirito dei suoi per-
sonaggi, e che si attua, di consueto, per mezzo di una serie di ragionamenti con
cui essi rendono chiara ad altri ed a se stessi insieme, conquistano per se stessi e
spiegano ad altri, la posizione spirituale alla quale sono giunti o si sono ferma-
ti. Raccontare la commedia alla cui prima rappresentazione assistemmo iersera
al Valle sarebbe poi a dirittura impresa disperata e vana. (…) Qui ci basti met-
tere nel giusto rilievo, oltre la indiscutibile genialità dell’intuizione e la potente
realizzazione scenica che essa ha trovato per tutto il primo atto, la strabiliante
scienza tecnica, la consumata esperienza teatrale, grazie alla quale Pirandello
ha preso per i capelli un pubblico disorientato e perplesso, l’ha obbligato a farsi
ascoltare ed applaudire, l’ha tenuto fermo fino presso alla fine, che, troppo
assurda com’è, ha scatenato una vera tempesta. (…) Realizzazione imperfetta,
dunque, ma idea geniale e, in conclusione, tentativo che non rimarrà sterile
ma sarà fecondo di conseguenze che ci auguriamo salutari al nostro teatro.
(…)La compagnia Niccodemi superò valentemente le paurose difficoltà dell’e-
262 Sarah Zappulla Muscarà

sperimento scenico: il Magheri fu un eccellente direttore; la Vergani rese mira-


bilmente tutto quel che c’è di grazia un po’ bruta e di felina smania di vendetta
nella figura della figliastra; questa giovine attrice progredisce a vista d’occhio
e si rivela artista robusta, intelligente, mirabilmente plastica; l’Almirante (che
in qualche tratto avremmo voluto un po’ meno avvilito e mortificato) rese in
genere assai bene la complicata e tormentata figura del padre. Molto bene tutti
gli altri. Moltissime chiamate alla fine del primo e del secondo atto, alla fine
del quale Pirandello fu evocato alla ribalta non so più quante volte. Ma, a dir
vero, fu successo imposto da una minoranza ad un pubblico disorientato e
perplesso, e, in fondo, voglioso assai di capire. Al terzo atto però, il più fiacco
di tutti, e che finisce in modo assurdo, si scatenò una tempesta cui i fautori
del lavoro tennero validamente testa. E così finì una serata che fu veramente di
battaglia per tutti, per l’Autore, per gli attori, pel pubblico e, anche, pei critici.

Cesare Giulio Viola, Le prime rappresentazioni al Valle. «Sei personaggi in


cerca d’autore» di Luigi Pirandello, «Il Paese», Roma, 10 maggio 1921.
(…) Le bombe contro le forme consuetudinarie del teatro contemporaneo,
si può dire che Luigi Pirandello le abbia fatte scoppiare di santa ragione sul
palcoscenico del Valle. E anzitutto ha mandato a gambe all’aria quanto si suole
chiamare apparato scenico. Oh! Caramba e Rovescalli si sarebbero messe le
mani nei capelli a vedere quale attentato, iersera, è stato compiuto contro la
loro industria floridissima. (…) Siamo stati immessi noi, e più che noi, il pub-
blico, in una sconcertante intimità teatrale: abbiamo visto, finalmente, per vo-
lere di Luigi Pirandello, gli eroi che ogni sera ci prodigano truccati il loro pian-
to e il loro riso, denudati dei loro costumi, domesticamente en pantoufless per
dirla in breve. (…) Noi abbiamo avuto, iersera, la tragedia degli spermatozoi
che pretendono di essere accolti e discussi quali uomini in carne ed ossa; han-
no essi diritto alla cittadinanza d’arte, e possono essi vivere se ancora non sono
nati al mondo? (…) Questa commedia ha il segno d’un ingegno balenante che
si disperde, però, in reti di sofismo capzioso. Ci pare a volte che l’autore smetta
la sua maschera di sofferenza, per volgersi a ridere della nostra attenzione. Il
teatro italiano non esce aumentato d’una nuova opera d’arte. E come in tutte
le commedie del Pirandello, il dramma non supera la vicenda dei personaggi,
per assurgere a verità universali. Nasce e muore sulle tavole del palcoscenico.
Vera Vergani ci è apparsa, finalmente, iersera in un personaggio in cui la sua
maschera tragica e la sua voce trovarono atteggiamenti e tonalità sensuali e
torbide, cupe di perdizione, e il suo corpo scatti da belvetta indomita. L’Almi-
rante fece dimenticare che, ogni sera, la sua presenza sul palcoscenico del Valle
è ragione di gaiezza pel pubblico. Chi dette prova d’una valentia singolare fu
il Magheri nella parte del Capocomico. Benissimo gli altri. Quattro chiamate
al primo atto. Quattro agli attori e quattro all’autore al secondo. Al terzo atto
scoppiò la tempesta, lo spettacolo si chiuse in una battaglia che faceva pensare
a uno scontro tra fascisti e comunisti.

Cavor, «Sei personaggi in cerca d’autore» di Luigi Pirandello al «Valle», «L’E-


poca», Roma, 10 maggio 1921.
Iersera al Valle serata di burrasca: il pubblico non era sereno, sembrava che
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 263

gli elementi con i quali doveva comporre il giudizio su questa nuovissima ope-
ra di Luigi Pirandello fossero, almeno in parte, estranei alla realtà di essa. (…)
Il pubblico non riusciva a trovare una via di accordo e questo mi è sembrato
perfettamente logico. Quando un autore esce intieramente dai consueti confi-
ni della tecnica, imposti da una tradizione secolare, per asservire il teatro a un
proposito nuovo e cioè a renderlo soltanto lo strumento didascalico di un’idea,
è evidente che il pubblico deve rimanere disorientato. E accanto a coloro che
si appagano del lampeggiare continuo di un mirabile ingegno e a questo con-
sentono ogni bizzarria, ci sono coloro che, amanti di una realtà tradizionale e
intolleranti di vederne sofisticate le linee, senza una ragione profonda di ne-
cessità, si ribellano: così il contrasto si fa violento e accanto a colui che si esalta
nell’applauso, sta vicino colui che reagisce con la protesta violenta. Poiché
stavolta Luigi Pirandello ha voluto esasperare se stesso e il pirandellismo. (…)
Il manifesto di annunzio portava come sottotitolo: commedia da farsi. Non ho
veramente compreso bene perché commedia: avrei meglio capito discorso da
pronunziare, libro da scrivere, dimostrazione da compiere, ma commedia no.
(…) L’esecuzione è stata assolutamente mirabile per armonia di affiatamento e
per efficace comprensione di ciò che l’autore ha desiderato. (…) Vera Vergani
ha saputo rendere il personaggio che interpretava con una vibrante e appassio-
nata verità: non si poteva da questa geniale attrice desiderare una penetrazione
più acuta di ciò che l’autore aveva voluto. E altrettanto deve dirsi di Almirante
che ha creato il suo personaggio in modo superbo. Ottimi furono il Cimara,
lodevolmente sacrificatosi in una particina, il Magheri, il Turco, la Frigerio, la
Donadoni e gli altri. (…)

Vice, Teatri e concerti. Prime Rappresentazioni. «Sei personaggi in cerca d’au-


tore» di L. Pirandello al «Valle», «Il Giornale», Milano, 10 maggio 1921.
Luigi Pirandello ha vinto ieri sera una delle migliori battaglie che possano
annoverarsi nel teatro di prosa. È stato un successo, un successone, un vero e
proprio delirio. E il fecondo scrittore siciliano così esageratamente modesto
non ha potuto esimersi di presentarsi alla ribalta molte volte e godere, de visu,
dell’ovazione magnifica tributata all’autore, a lui stesso. Era uno sventolio di
fazzoletti, di cappelli, grida di entusiasmo, tante e poi tante maniche s’agita-
vano e si battevano fragorosamente. Qualche dissidente al terzo atto fu zittito
dall’intiero pubblico; e gli animi dei pirandelliani si erano così eccitati e en-
tusiasmati da fare temere un’azione punitiva contro i pochi dissidenti all’u-
scita dal teatro. Fortunatamente prevalse il buon senso e per reazione venne
invaso il palcoscenico per tributare un’altra ovazione all’autore della straordi-
naria commedia. Fu assai notato il dinamismo di alcuni giovani nel palco di
terz’ordine n. 6, i quali fecero tutto quanto era umanamente possibile fare in
un teatro per esprimere, apologisticamente, la sconfinata ammirazione verso
l’opera e l’autore. (…) Nei Sei personaggi in cerca d’autore c’è tutto: dramma,
commedia, filosofia, umanesimo. E ogni cosa, ogni gesto è trattato da scrit-
tore principe. (…) è il campione tipo del novo teatro. Campione meraviglioso,
straordinario, eccezionale di una merce che non esiste e non può esistere. Vera
Vergani fu superiore ad ogni elogio. La deliziosa creatura superò se stessa nella
incarnazione del difficile personaggio. Almirante e Magheri le fecero degna
264 Sarah Zappulla Muscarà

corona. Bene gli altri fra i quali noto la Frigerio, la Donadoni, il Turco, Cimara
nella brevissima parte, Brizzolari. (…)

p. m. , Le novità al Valle. «Sei personaggi in cerca d’autore» di Luigi Pirandel-


lo, «Corriere d’Italia», Roma, 10 maggio 1921.
(…) Quella di iersera è stata la più forte battaglia che si sia combattuta a
teatro nel nome di Luigi Pirandello. Per poco non son corse le bastonate, e
non ci sono stati dei feriti o almeno dei contusi. (…) Tra i due partiti in teatro,
specialmente nel loggione, si accendevano dispute accanite; son corse apostrofi
violente; sembrava di stare a un comizio; finché si sono spenti a poco a poco
i lumi, il teatro si è vuotato, senza che per questo terminassero le discussioni
e le invettive, di cui si è avuto uno strascico in via dei Canestrari di fianco
all’Università. Meritava la commedia tanto fervore di battaglia? (…) Basti dire
che nessuno iersera ha capito niente. E ne è la prova la diversità dei giudizi
che ne davano gli entusiasti. Chi vedeva nel lavoro la rappresentazione scenica
del travaglio della creazione artistica; chi vi scorgeva la dimostrazione di una
tesi, come quella che l’arte è inferiore alla vita, tesi che non può mai venire in
mente ad un artista; chi una perorazione sceneggiata del teatro di Pirandello,
come se ne hanno esempi illustri nella storia del teatro. (…) Eccellente l’ese-
cuzione della Compagnia Niccodemi specialmente per parte della Vergani,
dell’Almirante e del Magheri.

Tom [Eugenio Checchi], «Sei personaggi in cerca d’autore» di L. Pirandello,


al Valle, «Giornale d’Italia», Roma, 10 maggio 1921.
(…) Al pubblico che gremiva ieri sera in modo inverosimile il teatro «Val-
le», accadde il medesimo guaio che tocca a chi assista a una conferenza dagli
ultimi posti di una sala sterminata. Le parole gli arrivano smozzicate agli orec-
chi: le frasi non compiute: e il ragionamento non ha né capo né coda. Così ieri.
Quei sei personaggi che hanno dentro di sé un dramma – e che dramma! – da
buttar fuori come li ha giudicati e gabellati il pubblico? Alcuni hanno indo-
vinato che si tratta di una mistificazione: che quel padre, quella madre, quei
figli sono ombre, astrazioni, fantasie: altri, invece, e io temo costituissero la
maggioranza, hanno creduto alla loro esistenza fisica. Dopo lo spettacolo, un
gruppo di signori d’ambo i sessi, traversando la piazza del Pantheon, discuteva
animatamente. E una signora scappò fuori a dire: – Ma perché i sei personaggi
volevano per forza esser loro a recitare il dramma? – È chiaro – rispose un’altra
spettatrice. – Volevano, recitando, guadagnare tanto da vivere. Sono poveri
diavoli. Nessuna fra le colonne di granito egiziano del portico d’Agrippa fece
cenno di muoversi… E giudizii non meno sbagliati, non meno inverosimili,
non meno paradossali si pronunziarono in teatro durante lo spettacolo, con
animatissime discussioni a voce alta negli intervalli, dopo gli scroscianti ap-
plausi che accolsero i primi due atti, dopo i vivaci contrasti ostili dell’ultimo
atto. Finita la recita, e continuando nella folla che usciva i dissensi, piovevano
anche bastonate e pugni. Ma si trattava di battaglia artistica; e dove non entri,
neanche di sbieco, la politica, le battaglie artistiche sono sempre le benvenute.
(…) Per concludere. La commedia di Pirandello è luminosa attestazione di
un singolare originalissimo ingegno: ma è un’opera che più di tutte le altre
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 265

del medesimo autore si discosta dalle solite formole della tecnica teatrale: e,
appunto per questo, rimane un po’ ostica a una parte del pubblico. (…) Di
fronte a tanti autori che si cibano pitagoricamente con le cicorie e le lattughe
di un simbolismo parolaio e superficiale, Luigi Pirandello (avrebbe detto il
Guerrazzi) si nutre con la midolla del leone. La interpretazione non poteva
essere migliore di come fu da parte di tutti: mirabili Vera Vergani, Luigi Almi-
rante, il Magheri. (…)

G. B. , Teatri e concerti. «Sei personaggi in cerca di autore» la nuova comme-


dia di Pirandello, «Il Resto del Carlino», Bologna, 10 maggio 1921.
(…) Con tutti i suoi difetti, il lavoro di Pirandello deve essere annoverato
fra i più forti e originali, non pure del teatro italiano, ma del teatro europeo: di
spirito altissimo, di forme nuove e audaci. La compagnia di Dario Niccodemi
lo ha recitato in modo perfetto: Vera Vergani (la «figliastra») e l’Almirante (
il «padre») hanno saputo rendere il carattere dei due personaggi ossessionati
dalla loro coscienza di «personaggi» con un’arte davvero mirabile; il Cimara
nella parte di «figlio», la Frigerio in quella di «madre», il Magheri in quella di
«capocomico», sono apparsi eccellenti. Ottimi tutti gli altri. Era difficile recita-
re questa commedia perché gli attori debbono di continuo manifestare il con-
trasto fra la recitazione e la vita, in un gioco arduo e pericolosissimo di toni e di
mezzi toni. Dario Niccodemi ha vinto la suprema prova della sua compagnia.

a. d. d. , Teatri. «Sei personaggi in cerca d’autore» di L. Pirandello «al Valle»,


«La Voce Repubblicana», Roma, 10 maggio 1921.
(…) Luigi Pirandello ha costruito teatralmente questo suo nuovo «gioco
delle parti» con una tecnica magistrale: egli negando nella commedia il teatro
ha fatto del teatro, ha tessuto la sua trama abbozzata sul telaio di una tecnica
consumata; per questo il lavoro è stato ascoltato fino alla fine con un inte-
resse sempre vivo. Il merito degli interpreti deve essere messo in prima linea:
Luigi Almirante, che il pubblico ha sempre applaudito come uno dei nostri
più piacevoli brillanti, ieri sera ha riprodotto, con una grande penetrazione il
padre, uno dei più amari personaggi di Pirandello. La Vergani nelle vesti della
figliastra è stata magnificamente ambigua, dando risalto magnificamente alla,
per quanto sommaria, psicologia di chiaro scuri. Il Magheri ha saputo fare sul
serio il capocomico, e potrà essergli augurale. Bene tutti gli altri. (…)

t. s. , Le novità al Valle. «Sei personaggi in cerca d’autore» di Luigi Pirandello,


«Il Messaggero», Roma, 10 maggio 1921.
(…) Siamo (…) sopra un terreno assolutamente scabroso ed eccezionale.
Infatti. Che cosa si è proposto di dimostrarci il Pirandello? Forse che il teatro
è finzione? (…) I Sei personaggi in cerca di autore non si pronunciano; e se noi
siamo indotti ad ammirare in essi la fosforescenza della mente che li ha creati e
l’abilità prodigiosa della mano che li ha fatti muovere – è proprio il caso di dire
che la «commedia» cammina sul filo di una spada – non possiamo, per questo,
fare a meno di dissentire dalla tesi che tutti e sei si propongono, mentre non
ci riesce di affermare il recondito senso di ironia che l’autore ha certamente
creduto di porre nelle loro parole. Del resto anche il pubblico è stato del nostro
266 Sarah Zappulla Muscarà

avviso. Esso ha tributato onori quasi trionfali alle prime due parti del lavoro ed
ha seppellito la terza – una stucchevole ripetizione delle altre – sotto un coro
di fischi di cui non sono riusciti ad avere ragione taluni zelatori irriducibili.
Le chiamate sono state in complesso una diecina; sei agli artisti – fra i quali si
sono distinti la Vergani, l’Almirante e il Magheri – e quattro al Pirandello che,
una volta, è comparso alla ribalta insieme con Dario Niccodemi, inscenatore
perfetto. (…)

i. t. , Teatri. Al Valle, «Avanti!», Roma, 10 maggio 1921.


Ho letto una volta in un racconto fantastico alla Poe la storia di uno scien-
ziato tra pazzo e geniale che s’era fitto in capo di sorvegliare e di analizzare
minutamente con una sua speculazione crudele il lavoro di creazione ideativa
nel cervello di un artista. Naturalmente esperienza tragica, dato il carattere
dell’anatomista, e che si sarebbe invece conclusa assai diversamente se il prota-
gonista avesse avuto il temperamento scettico ed ironico, bonario e pessimista
ad un tempo di Luigi Pirandello. Il quale ha proprio tentato in questa sua
commedia da fare lo stesso ansioso e pauroso processo. (…) L’introspezione
che diventa vivisezione. E che pertanto mentre obbliga un autore della forza e
dell’ingegno di Pirandello ad esagerare la sua maniera fino quasi al grottesco di
se stessa, non può arrivare né a persuadere né tanto a commuovere il pubblico.
(…) Ché davvero questa ultima commedia è la più fredda tra la produzione pi-
randelliana per quanto ne confermi la costante originalità. Come la sua esecu-
zione ha confermato la valentia impeccabile di questa Compagnia, nella quale
ha primeggiato con un magnifico slancio di tutta la sua bellissima sensibilità
e sensualità Vera Vergani. A cui va attribuita molta parte del successo imposto
del resto dallo zelo ostinato degli amici quasi frenetici.

–, «Sei personaggi in cerca d’autore» di Pirandello al «Valle», «Il Messaggero


– il Meridiano», Roma, 10 maggio 1921.
Applausi calorosissimi hanno, ieri sera, salutati i due primi atti della nuova
commedia di Luigi Pirandello; l’ultimo atto non ha trovato benigni gli spetta-
tori, i quali hanno – è crudele ricordarlo – fischiato. (…) L’elemento ironico si
confonde – nella commedia di Pirandello – con l’elemento passionale: sì che il
pubblico, a un certo momento, finisce per non capirci più nulla. E tutti sanno
che il pubblico quando – sia pure per colpa sua – non capisce niente diventa
cattivo; e la sua malvagità aumenta e si manifesta poco simpaticamente, allor-
ché sul palcoscenico le vicende si ripetono senza necessità; e, allora, fischia.
Com’è accaduto ieri sera. L’esecuzione è apparsa efficace: tanto che il pubblico
ha voluto salutare al proscenio anche… Dario Niccodemi. (…)

–, «Sei personaggi in cerca d’autore» di Luigi Pirandello al teatro Valle, «Il


Piccolo Giornale d’Italia», Roma, 10 maggio 1921.
In presenza di pubblico enorme, la nuova strana, singolarissima, e in alcu-
ne parti indecifrabile, commedia di Luigi Pirandello, fu accolta con entusia-
stiche acclamazioni nei primi due atti. Nel terzo atto approvazioni ed applausi
furono paralizzati da vivaci contrasti che ottennero il sopravvento. Ma ciò
come non toglie importanza e valore all’opera d’arte, così non distrugge il
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 267

fatto che quello di iersera non sia stato un successo. E il successo, ne siamo
certi, verrà confermato alle repliche che incominciano stasera. La interpreta-
zione degli artisti fu ottima: specie quella di Vera Vergani, dell’Almirante, del
Magheri. L’autore, insistentemente chiamato, dovette presentarsi varie volte
al proscenio.

–, Ultime teatrali. Una battaglia di pubblico alla prima d’un nuovo lavoro di
Pirandello, «Corriere della Sera», Milano, 10 maggio 1921.
(…) L’originalità dell’impostazione e della presentazione dei tipi e dei loro
contrasti ha appassionato la maggioranza del pubblico, che ha applaudito una-
nimemente il primo atto e si è apprestato col maggior favore a seguire lo svol-
gimento della vicenda. Ma nei due atti seguenti l’azione enunciata al primo
non procede. (…) Una gran parte del pubblico, tuttavia, ha continuato a giu-
dicare degno, oltreché singolare nel suo svolgimento, il tentativo dell’autore
di farlo assistere al retroscena della creazione di una commedia e lo ha voluto
alla ribalta sei o sette volte, fra applausi frenetici: il resto del pubblico, invece,
fischiava non meno freneticamente. (…) Il pubblico è sostato lungamente nel
teatro a discutere e, uscitone, vi è rientrato per riprendere i contrasti delle due
fazioni, come se non una commedia si fosse conclusa ma un comizio.

–, Successo tra vivacissimi contrasti del nuovo lavoro di L. Pirandello «Sei


personaggi in cerca d’autore», «La Stampa», Torino, 10 maggio 1921.
(…) La rappresentazione ha dato luogo ad una serata tempestosissima, del-
la quale da molti anni non si è avuto esempio nei teatri romani. Le due corren-
ti del pubblico, l’una disposta all’entusiasmo e l’altra allo scetticismo, si sono
cozzate dando luogo ad incidenti e a battibecchi fra la platea e la galleria. La
corrente favorevole ebbe però il sopravvento; e l’autore fu molte volte evocato
alla ribalta insieme con gli artisti. Il nuovo lavoro di Pirandello è originalissi-
mo, e non ricorda in nulla altri lavori teatrali. (…) Ottima l’interpretazione di
Vera Vergani e di Luigi Almirante.

Tomaso Smith, «Sei personaggi in cerca d’autore», «Il Messaggero», Roma,


11 maggio 1921.
(…) Il pubblico ha tributato onori quasi trionfali alle prime due parti del
lavoro e ha seppellito la terza – una stucchevole ripetizione delle altre – sotto
un coro di fischi di cui non sono riusciti ad avere ragione taluni zelatori irri-
ducibili. Le chiamate sono state in complesso una decina; sei agli artisti – fra
i quali si sono distinti la Vergani, l’Almirante e il Magheri – e quattro al Pi-
randello che, una volta, è comparso alla ribalta insieme con Dario Niccodemi,
inscenatore perfetto.

–, Cronache del teatro. «Sei personaggi in cerca d’autore», «Idea Nazionale»,


Roma, 11 maggio 1921.
La singolarissima e potente commedia di Luigi Pirandello è stata rappre-
sentata una seconda volta iersera, davanti a quello che può dirsi, in fondo, il
vero pubblico. Si sa che il pubblico delle «prime», se pretende d’essere il più
preparato e il più intelligente, è anche quello più suscettibile di obbedienza
268 Sarah Zappulla Muscarà

a preconcetti e a mode intellettuali. Il pubblico delle altre sere, nella sua ap-
parente bonarietà, può essere in realtà il più esigente; e in definitiva, è il suo
giudizio quello che conta. Ora cotesto pubblico ieri ha consacrato con una
schietta approvazione il successo della commedia. (…) La recitazione della
compagnia Niccodemi, che in quest’opera così fuori da tutte le consuetudini
della scena, ci ha dato la misura del proprio valore, è stata altrettanto felice
che nella prima sera. Eccellente, fra tutti, Almirante, il quale disegna con un’a-
spra sofferenza, degna di un vero artista, la figura del «padre». Vera Vergani,
la «figliastra», bellissima nel suo pallore sinistro, gli si contrappone con una
veemenza ammirabile, e Cimara, il «figlio», e la Frigerio «la madre», e gli altri
personaggi muti si compongono misteriosamente intorno a loro. Ottimo per
spontaneità il Magheri nella parte del capocomico, secondato con fresca verità
da tutti i suoi comici. (…)

–, «Il fiore sotto gli occhi» al Valle, «La Tribuna», Roma, 11 maggio 1921.
Domani, nella recita diurna del giovedì, la Compagnia Niccodemi ripren-
derà la fortunata commedia di Fausto Maria Martini, Il fiore sotto gli occhi. (…)
Iersera il pubblico del «Valle» assisté con molta attenzione e vivissimo interesse
alla seconda rappresentazione della nuova commedia di Luigi Pirandello: Sei
personaggi in cerca d’autore. Il pubblico, numerosissimo ed esente da qualsiasi
nervosità, tributò un successo pieno e incontrastato al forte audacissimo lavoro
del Pirandello e fece grandi feste agli interpreti, a Vera Vergani, alla Frigerio,
alla Donadoni, all’Almirante, al Magheri, al Cimara e agli altri tutti (…)

–, Annuncio spettacolo, «Il Messaggero», Roma, 11 maggio 1921.


Al Valle la seconda rappresentazione della nuova commedia Sei personaggi
in cerca d’autore di L. Pirandello ebbe miglior esito della prima sera. Senza
contrasti ne venne applaudito ogni atto. Vera Vergani si riaffermò eccellente
interprete e fu molto bene secondata dal Margheri, dall’Almirante, dalla Fri-
gerio e dalla Donadoni. (…)

–, Annuncio spettacolo, «Il Paese», Roma, 11 maggio 1921.


Valle – La seconda recita della nuova commedia di Luigi Pirandello Sei
personaggi in cerca d’autore ottenne iersera, esente da qualsiasi nervosità, un
successo pieno e incontrastato. La mirabile esecuzione di Vera Vergani, della
Frigerio, della Donadoni, di Almirante, di Magheri, di Cimara e degli altri
tutti, fu acclamatissima. (…)

–, Corrispondenza da Roma. Teatro Valle, «Arte Drammatica», Roma, 14


maggio 1921.
Vi devo parlare di due novità (…) una italiana: Sei personaggi in cerca d’au-
tore di Luigi Pirandello. Vi dico subito che (…) non mi è affatto piaciuta.
(…) Io non amo di correre tormentosamente dietro alle oscure ed involute
evoluzioni paradossali del fecondissimo autore siciliano. (…) Io amo le cose
semplici e piane (…) Dicono: «Ma finalmente ci troviamo di fronte ad una
nuova forma d’arte. Finalmente siamo usciti dalle pastoie del convenziona-
lismo. Finalmente abbiamo dell’originalità vera!». (…) Questi Sei personaggi
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 269

in cerca d’autore mi sembrano degli esseri che non vivono nel nostro mondo,
che non respirano la nostra aria, che non fumano le nostre Macedonia. (…)
Interpretazione eccellente ma prezzi da pescicani. Ottantotto lire un palco!
Ah! Nerone…

Arturo Nicolai, «Sei personaggi in cerca d’autore», «A. D. Corrispondenza


da Roma», 14 maggio 1921.
(…) Nei primi due atti il successo fu clamoroso. Al terzo atto i plaudenti si
batterono con l’usato ardore e le mani diventarono rosse ma i sibili soverchia-
rono gli applausi. I due eserciti avversari rimasero sulle loro posizioni.

–, Motivi scenici. «Sei personaggi in cerca d’autore» di Luigi Pirandello,


«Nuova Antologia», Roma, 16 maggio 1921.
Luigi Pirandello ha scritto il suo «teatro comico» con la novissima origi-
nale commedia Sei personaggi in cerca d’autore. (…) Il romanziere, ironista,
vivisettore implacabile, ha messo a nudo i procedimenti della sua arte: e però
non ha scritto una commedia, ma la gestazione di essa nella mente dell’autore
che imagina e nella comune traduzione che può ricevere su la scena. (…) Il
Pirandello ricerca la verità nello spirito dei suoi personaggi; e però l’analisi
resta analisi, la verità ci sfugge, l’incubo non si scioglie. (…) Il successo, che
è stato caloroso nei due primi atti, fu contrastato nell’epilogo che sconvolse,
disorientò. (…) Bisogna reintegrare la esposizione drammatica che fa l’autore
della nascita del personaggio, sdoppiandosi mirabilmente con associazione li-
rica nel suo personaggio principale, perché anche il terzo atto sia inteso come
vuole essere.

Marcello Giaquinto, Corrispondenza da Roma, «Piccolo Faust», Bologna,


18 maggio 1921.
(…) Minor numero di repliche, ma non per questo minor successo ha
ottenuto l’ultimo lavoro di Luigi Pirandello: Sei personaggi in cerca d’auto-
re – commedia… da fare. Il lavoro ha suscitato discussioni calorosissime e
polemiche: questa è per me la prova migliore che esso abbia un suo spiccato
carattere e un indiscutibile valore. La commedia, se pur da fare, ha certo in sé
elementi tali da fermare la nostra attenzione: è il frutto di una mente geniale.
Non è però, a mio avviso, opera di teatro, perché questo ha leggi e canoni
fondamentali cui non si può derogare. (…) La concezione è audace ma bella.
Vera Vergani è stata veramente grande nella figurazione di uno di questi perso-
naggi. Ella ha vissuto nello spirito di esso. Anche molto bene ha recitato Luigi
Almirante, attore di classe. Ammirati gli altri: il Magheri, il Cimara, in una
parte di minor rilievo, la Frigerio. (…)

–, In palcoscenico. Arena del sole, «Corriere d’Italia», Roma, 13 agosto 1921.


(…) Questa sera una interessante novità del più audace e più profondo tra
i nostri scrittori teatrali: Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, un
lavoro che suscitò a Roma il più alto clamore per l’audacia della concezione e
che perfino il pubblico fu trascinato a discutere animatamente. (…)
270 Sarah Zappulla Muscarà

gace, Teatri e concerti. «Sei personaggi in cerca d’autore» di Pirandello all’Are-


na del Sole, «Il Resto del Carlino», Bologna, 14 agosto 1921.
(…) Siamo dinanzi a un Pirandello completo. Tutta l’arte di questo scritto-
re, che sul teatro e nella novella, con paradossale pessimismo ha dato vita a un
gran numero di personaggi, qui si è concentrata in uno sforzo supremo. (…)
Sul primo momento vi trovate come fuori di strada; l’azione vi sembra irta di
difficoltà; il significato dei personaggi appare indecifrabile, certi atteggiamenti
sorpassano la vostra immaginazione, ma al termine dell’azione, quando torna-
te a rievocare ciò che avete veduto, vi convincete che nulla di misterioso e di
inesplicabile è stato portato sulla scena. A me è sembrata la cosa più naturale
di questo mondo, la più semplice. (…) Il Pirandello ha voluto drammatizzare
il pensiero, togliendolo dal cervello, rivestendolo d’abiti, dandogli parole e
mostrandolo attraverso le prime difficoltà tra gli inevitabili contrasti dell’astra-
zione con la realtà. Ardua fatica certo questa, e che rivela una mente che non
cerca la vana compiacenza del successo immediato sulla folla. (…) la più viva
ammirazione per questo autore che ha un metodo, una forma, un dialogo,
tutti suoi, discutibili, ma degni del più grande rispetto. L’interpretazione è
stata un coefficiente assoluto dell’eccellente esito del lavoro. E vanno ricordati
Vera Vergani in atteggiamenti di figura diremo quasi fantastica, l’Almirante, il
Magheri, il Cimara, la Frigerio, la Sanipoli. (…)

gher., Arena del sole, «Sei personaggi in cerca d’autore» di Luigi Pirandello,
«Corriere d’Italia», Roma, 14 agosto 1921.
(…) Il successo di quest’opera è precisamente ciò che per una commedia
fatta sarebbe l’insuccesso: la discussione degli spettatori che diventano alla loro
volta personaggi in cerca di autore o meglio di idee in cerca di espressioni, o
energie in cerca di idee. E fu perfettamente raggiunto. Bisogna però aggiunge-
re che l’interpretazione fu assolutamente superiore. (…) Senza un complesso
di attori come questo (e cito i nomi della Vergani e di Almirante –, che crea-
rono i due personaggi principali – e quelli di Magheri, della Frigerio, di Ci-
mara) difficilmente sarà possibile ottenere questa integrità di risultati. Siamo
di fronte ad una potente esercitazione del pensiero che supera di gran lunga le
realizzazioni raggiunte per questa via anche all’estero: lo stesso Bernard Shaw
che ha, in comune col nostro, molti atteggiamenti dello spirito, risolti però
in terreno etico, e in una funzione di critica contingente, può invidiare allo
scrittore siciliano questo gagliardo sforzo. (…)

Orio Vergani, Serata d’onore, «Idea Nazionale», Roma, 23 agosto 1921.


Mettiti – come si dice – nei miei panni, spettatore ignoto, e passa tran-
quillamente per questa porta verniciata di giallo in fondo al corridoio dei pal-
chi, che finora ti è stata interdetta e dove, dietro un finestrino ovale, vigila il
vecchio custode rimbecillito, dalla voce fioca e dal passo strasciconi. Tu – che
sei abituato a vederlo dietro il suo vetro come uno strano e muto animale
d’acquario, addestrato da un misterioso ammaestratore a tramutare i proprii
sguardi sonnacchiosi in occhiate sospettose di persona cui non si riesce a darla
ad intendere – non meravigliarti se stasera ti lascierà passare senza obbiezioni.
Serata, questa, in onore di una prima attrice, che a te, stando nei miei panni,
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 271

sembrerà di conoscere bene, molto bene. (…) Senti questo profumo? Tutto il
retroscena ne è invaso. Sono i fiori che alla fine del secondo atto, trasportati
in palcoscenico, faranno sembrare allo scettico l’attrice una fioraia impazzita
in una sua vetrina immensa. Ne han portati a mazzi, a ceste, a cumuli: li
hanno disposti tutti attorno alla porta del camerino della festeggiata; posati
in terra, sui tavolini e sulle sedie in modo da formare quasi un corridoio di
fiori. (…) E i doni? non avete visto i doni. Venite … sono qui in camerino, su
due larghe guantiere. (…) Sì è proprio una bella serata. C’è stato un applauso
a scena aperta. È durato un minuto, due, tre, cinque minuti. Non finiva più
(…) l’attrice (…) non comprende più nulla in quel vociare pazzo della folla
che applaude, stordita dalle onde dei profumi che la investono, abbacinata
dalla ribalta e dai proiettori, divinamente sperduta tra il viluppo dei fiori. Ma
il sipario non cessa di aprirsi, e il vortice dell’applauso la riattira sconvolta al
proscenio, ancora, ancora, ancora. Va ella incontro all’applauso, incontro al
pubblico, come nessuna amante è mai corsa all’amante, come nessun assetato
è mai corso alla sorgente. (…) Donna, è follemente felice di essere follemente
piaciuta. Si compie il suo destino di grazia e di passione. E tu, spettatore igno-
to, non aver tristi pensieri. Non voler essere logico; godi si questo momento
dominio del solo istinto. Ora tutto è finito. (…) Tace lo spettatore ignoto,
preso dalla melanconia. Ma non ne dice, no, la ragione. Pensa all’attrice che
riposa e alla illusione del suo sogno che si inghirlanda.

–, Teatri di Bologna, «Piccolo Faust», Roma, 14 settembre 1921.


(…) Sei personaggi in cerca d’autore del Pirandello, applaudita con calore a
tutti gli atti, senza ombra d’un contrasto. Abbiamo qui un Pirandello comple-
to. Tutta l’arte di questo scrittore si è concentrata in un magnifico sforzo. (…)
Sul principio vi trovate fuori strada, ma al termine dell’azione, vi convincete
che nulla di misterioso e di inesplicabile è stato portato sulla scena. Ardua
fatica che meritava gli applausi ottenuti anche per virtù della interpretazione
di Vera Vergani, dell’Almirante, del Magheri, del Cimara, della Frigerio, della
Sanipoli. (…)

–, I Teatri. Teatro sociale. Una novità di Pirandello, «La Provincia di Bre-


scia», Brescia, 14 settembre 1921.
«Sei personaggi in cerca d’autore» – nuovissima – e che è preceduta da
pieni successi conseguiti al cospetto dei più difficili e intelligenti pubblici. La
commedia susciterà, come sempre è avvenuto di questa e degli altri lavori del
Pirandello, calorose e accanite discussioni. (…)

–, I Teatri. Teatro sociale. La serata di Vera Vergani, «La Provincia di Bre-


scia», Brescia, 14 settembre 1921.
Con la serata in onore di Vera Vergani questa sera la Compagnia Nicco-
demi prende commiato dal nostro pubblico dopo averlo interessato, divertito
e soddisfatto con delle esecuzioni rispettose del decoro artistico. Vera Vergani
– dicevamo– dà la serata in suo onore e il semplice annunzio basterà ad interes-
sare vivamente a questa recita – purtroppo ultima – il pubblico che nel corso
della stagione essa ha avvinto, commosso nelle molteplici sue interpretazioni
272 Sarah Zappulla Muscarà

tutte sorrette e inspirate a uno scrupoloso senso d’arte e ad un così affasci-


nante sentimento di squisita femminilità. Vera Vergani avrà questa sera le più
calorose e vibranti manifestazioni di plauso e di ammirazione che essa merita
veramente le siano tributate, omaggio alla giovane, bella e intelligente attrice.
Un pubblico – come al solito – numerosissimo e distinto assisteva iersera alla
rappresentazione della nuova commedia di Luigi Pirandello: Sei personaggi in
cerca d’autore. (…) La recitazione fu impeccabile: l’Almirante, in una indovi-
nata truccatura, ebbe un’espressione mirabile; Vera Vergani fu nuova, diversa,
efficacissima; il Cimara benissimo in una parte di poche risorse e di poco
lavoro. Benissimo anche il Magheri.

Renato Simoni, Corriere teatrale. Manzoni. «Sei personaggi in cerca d’au-


tore» tre atti di Luigi Pirandello, «Corriere della Sera», Milano, 28 settembre
1921.
(…) Tutto il teatro di Pirandello culmina in questa opera gelida e potente,
torbida e luminosa, nella quale si raggruppano, in una negazione finale, tutte
le negazioni ironiche e malinconiche, crudeli e pietose che egli è andato suc-
cessivamente allineando davanti a noi. Poche riserve mi sento di fare: la prima
è che il dramma dei sei personaggi tende spesso, anche quando non vorrebbe,
a diventare acremente intellettuale, mentre avrebbe avuto più ampie risonanze
se fosse disceso più risolutamente nel buio della vita sentimentale; l’altro che
c’è spesso una sottigliezza di dicitura ed una contorsione di movimenti logici,
per i quali l’aroma amaro del dramma si volatilizza e si sparpaglia. Nel terzo
atto, poi, qualche cosa c’è di monco (…) e una certa mancanza di chiarezza an-
che formale. Ma ci troviamo di fronte ad un’opera che ha il respiro delle belle,
difficili e ardimentose altezze. Il pubblico lo sentì e fu unanime nell’applauso.
Tre chiamate dopo il primo atto, otto dopo il secondo, tre dopo il terzo. Lu-
igi Pirandello, acclamato, dovette presentarsi alla ribalta. Che pittoresca viva
acuta accorta artistica interpretazione fu quella della compagnia Niccodemi!
La commedia fu compresa dagli attori nelle sue più riposte intenzioni. Vera
Vergani mi apparve, non più una gentile promessa del teatro, ma una attrice
padrona del suo ingegno e dei suoi mezzi. Squisitamente recitò l’Almirante.
Tutti gli altri gareggiarono in intelligente precisione: la Frigerio, il Magheri, il
Cimara, la Donadoni e la Sanipoli. (…)

E. P. [Elio Possenti], Ultime teatrali. «Sei personaggi in cerca d’autore» di L.


Pirandello al Manzoni, «La Perseveranza» Milano, 28 settembre 1921.
(…) È una demolizione, questa commedia del Pirandello, del teatro cor-
rente. È la vendetta dell’artista contro il mestiere. Vendetta raffinata tanto da
ottenere il plauso di quel pubblico che ha decretato successi clamorosi proprio
a quanto il Pirandello batte in breccia. E in ciò sta il profondo umorismo della
nuova opera dell’acuto scrittore. (…)Una grande amarezza traspare da tutto il
lavoro, che è di una giovialità disperata; l’amarezza di un artista dinnanzi alle
difficoltà e al disagio dell’espressione teatrale. Ma con ciò il Pirandello ha fatto,
ugualmente, opera di teatro: opera completa e complessa nella quale i moti-
vi filosofici si innestano ai motivi polemici, e le questioni d’arte ai problemi
d’umanità. Opera che soltanto un talento raffinato, in piena maturità di ener-
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 273

gie, poteva darci. E noi siamo lieti che il pubblico (non indaghiamo se più o
meno convinto) abbia decretato al Pirandello un calorosissimo successo. (…)
Bisogna dire che al successo ha contribuito l’interpretazione della Compagnia
Niccodemi, veramente ammirevole da parte di tutti: la Vergani e l’Almirante
hanno recitato in modo degno della lode più calorosa. (…)

g. m. , «Sei personaggi in cerca d’autore» di L. Pirandello al «Manzoni», «L’I-


talia», Milano, 28 settembre 1921.
(…) Il lavoro non ebbe (…) quella vivacità di opposizioni e di polemiche
che solleva di solito il teatro pirandelliano: effetto probabilmente dei più sottili
artifici e delle più scaltre risorse con cui l’autore seppe presentare al pubblico
la sua commedia. La novità e l’originalità della forma disorientarono gli spet-
tatori, ma suscitarono la loro curiosità, tenuta poi viva sempre sino alla fine,
anche se in ultimo il giuoco appariva stanco, sforzato, ansimante, dalla sottile
dialettica, dalla acrobatica ginnastica cerebrale del commediografo, dalla sua
istintiva passione pel sofisma e per paradosso. (…) ma io non arrivo a capire
perché quando si ha un simile ingegno, invece di dare al teatro delle opere
di passione e di verità, di vita e di poesia, ci si debba smarrire negli arabeschi
complicati o nei geroglifici poco comprensibili di una dialettica capziosa, di
una analisi altrettanto sottile quanto vana. (…) Rimane l’agilità di acrobata,
la bravura della danza sul filo di ferro, la prestidigitazione dello jongleur che
sbalordisce loggione e platea coi suoi abili trucchi e le sue sapienti manipola-
zioni: qualità che hanno il loro valore, non voglio negarle, per uno scrittore di
teatro al quale possono anche, come iersera, assicurare il successo. (…) Ottima
l’esecuzione: particolarmente notevoli la Vergani, l’Almirante, il Magheri; il
Cimara era sacrificato in una parte quasi insignificante. (…)

g. r. , I Teatri. Manzoni. «Sei personaggi in cerca d’autore» di Luigi Pirandel-


lo, «Il Popolo d’Italia», Milano, 28 settembre 1921.
Commedia da fare. O, piuttosto, commedia da smontare: pezzo per pezzo
come per un gioco crudele, che diventa ironia, che pare anche scherno, e che
è, tante volte, ricerca acuta, tormentosissima ed efficace di una più riposta
verità. (…) Questo ingegno spavaldo ed originalissimo (…) ha saputo buttare
dal palco i soliti mezzi scenici con i quali solitamente si porge al pubblico una
favola con dentro un’idea. Nulla: ma idee, idee, ad ogni tratto, improvvise,
inattese, curiosissime; e soltanto una mano di ferro per agguantare l’attenzio-
ne e stringerla fino a spremere l’angoscia. Esecuzione perfetta: bisognava che
fosse perfetta. E la compagnia di Dario Niccodemi ha saputo darci ancora
una volta una prova, forse la più difficile, della sua disciplina e del suo buon
volere. Gigetto Almirante nella difficile parte del padre, Vera Vergani e gli altri
magnificamente. Trionfo. (…)

–, Le prime rappresentazioni. «Sei personaggi in cerca d’autore» di L. Piran-


dello, «Il Secolo», Milano, 28 settembre 1921.
Il lavoro singolare al quale abbiamo ieri sera assistito è certamente titolo di
gloria per l’artista che l’ha concepito, anche se può in alcune sue parti sembra-
re non compiuto. Ma sotto qualsiasi punto di vista si voglia giudicare è senza
274 Sarah Zappulla Muscarà

dubbio la più significativa opera dell’originale scrittore siciliano. (…)Realtà o


finzione, creazione dello spirito e immaginazione della fantasia, l’opera d’arte
vibra di una profonda commozione che si comunica a chi ascolta. Comunque
avere affrontato questo tema audacissimo è di per sé la prova del vigoroso e
geniale intelletto di Luigi Pirandello. (…) Dario Niccodemi e i suoi comici
hanno collaborato con amore e contribuito ad una interpretazione, che pur
presentando difficoltà enormi, ci è apparsa degna di ogni elogio, curata in ogni
minimo particolare, docile, obbediente, aderente alle intenzioni dell’autore.
Vera Vergani ebbe espressione di rigorosa drammaticità; Luigi Almirante alla
cupa figura del «padre» seppe imprimere i segni delle sue belle qualità di attore
sobrio ed intelligente; Magheri fu un capocomico spigliato, vero, divertentis-
simo; Cimara nella parte del «figlio», quando glielo consentiva la parte, trovò
accenti caldi di passione e di umanità; la Frigerio, la «madre», comunicò al
pubblico più volte il brivido intenso di commozione e di drammaticità, con
i suoi scatti di dolore e di disperazione. Tutti gli altri attori contribuirono
ottimamente alla perfezione del quadro. (…) Il pubblico elegantissimo che
gremiva la sala, fu soggiogato. In complesso vi furono una ventina di chiamate
agli attori e all’autore, al quale il pubblico fece una calorosa dimostrazione di
simpatia. (…)

–, Le novità teatrali. «Sei personaggi in cerca d’autore» 3 atti di Luigi Piran-


dello, al Manzoni, «Avanti!», Roma, 28 settembre 1921.
(…) Luigi Pirandello spreca un sacco d’ingegno per ripeterci, con forma
originalissima senza dubbio, ma un po’ pesa e insistente, una verità millenaria:
come chi adoperasse una grueper sollevare un gomitolo. Ma forse il segreto
di questi tre atti è assai meno ermetico: probabilmente, dopo averci dedicate,
con maggiore o minor fortuna, commedie, drammi e tragedie in buon nu-
mero, con principio, mezzo e fine, Pirandello come Rodin i suoi frammenti
di scultura, ci ha voluto anche offrire le sue concezioni come abbozzi, schizzi,
impressioni… (…) La commedia «da fare» piacque ed interessò come una
commedia «già fatta». Gli applausi scoppiarono fitti ed insistenti, attori ed
autore ebbero chiamate senza numero e Sei personaggi in cerca d’autore si repli-
cheranno più sere. Bisogna aggiungere che vantano una esecuzione perfetta; la
Vergani, l’Almirante, particolarmente, sono magnifici di spontaneità nell’arti-
ficio, di passione esacerbata e grottesca; il Magheri di una naturalezza e di una
misura incomparabile.

–, Teatri. Manzoni. «Sei personaggi in cerca di autore» di Luigi Pirandello,


«La Sera», Milano, 28 settembre 1921.
Il pubblico che iersera gremiva la sala del Manzoni (…) decretò un trionfo
alla commedia di Luigi Pirandello, che, rappresentata or non è molto al Valle
di Roma, aveva suscitato vivaci discussioni nella stampa della capitale. (…)Di-
ciamo subito che il verdetto solenne dell’uditorio milanese è rispondente alla
maggiore sincerità. L’audacia, l’originalità, la finezza, la squisitezza della nuova
commedia del forte scrittore siciliano sono tali che soggiogano. (…) La natu-
ralezza, l’umanità del dialogo, la spontaneità dello svolgimento, lo scintillio
delle argomentazioni sono pregi insigni della nuova commedia di Pirandello.
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 275

Il quale ha avuto una delle maggiori fortune agognate dagli scrittori di teatro:
quella di avere interpeti magnifici negli artisti della Compagnia Niccodemi.
Vera Vergani fu superba nella spasimante parte di «figliastra» e più volte riuscì
a comunicare al pubblico la passione amara erompente dalle sue parole; Luigi
Almirante compose mirabilmente il personaggio del «padre» e tutti gli altri – il
Magheri, il Cimara, il Frigerio, la Donadoni, la Sanipoli – furono ottimi. (…)

–, Teatro o Manicomio, «L’Arte Drammatica», Milano, 1 ottobre 1921.


(…) Ma quella specie di tre atti che ò ascoltato martedì sera sono del teatro
o sono roba da manicomio? Ah! per dio, sarò oggi Orazio sol, contro Toscana
tutta ma quella è roba da manicomio! Ma dove le trovano le altezze artistiche?
le manifestazioni di un ingegno profondo? Ma quella è una canzonatura che
l’autore à voluto fare ai pubblici ed alla critica, nella sua mania di volere fare
lo Shaw italiano, ma nego che (come commediografo non come letterato) il
Pirandello abbia la genialità, l’acutezza, la ferocia critica di Bernardo Shaw!
(…) Nego questo sia teatro, nego sia manifestazione d’arte: questo è manico-
mio, se ideato sul serio, una canzonatura se ideato per beffa!! (…) Pirandello
à avuto una grande fortuna (oltre quella dell’enorme successo) ed un grande
merito: la fortuna di trovare Dario Niccodemi che gli à messo in iscena il suo
strambo lavoro come non era possibile desiderare meglio: il merito che a que-
sto suo strambo lavoro dobbiamo più che l’affermazione, la rivelazione di una
giovane attrice: Vera Vergani! Dario Niccodemi oramai à dato prova d’essere
un direttore dalla tempra non comune: siamo al ben riconosciuto valore di
Talli e per la concezione delle interpretazioni, e per la fusione delle tonalità, col
vantaggio su Talli che, non essendo attore, il Niccodemi non impone un suo
speciale metodo di dizione. L’esecuzione della stramberia pirandelliana è stata
meravigliosa per tutti e guai se non fosse stata tale! Vera Vergani, si è rivelata: à
dato prova d’ingegno e forza che non è comune: con un intuito meraviglioso
à perfettamente reso lo strano ed illogico personaggio affidatole ed alla sua
recitazione calda ed appassionata si deve il trionfo del finale del secondo atto
che poi è quello che à determinato il trionfo del lavoro! (…) All’arte di Vera
Vergani deve l’autore la maggiore parte del suo meritato trionfo! Anche Luigi
Almirante fu molto ammirato dal pubblico e molto applaudito: confesso che a
me non à interamente soddisfatto e che trovai recitasse troppo, lui che avrebbe
dovuto caratterizzare la diversità tra la verità della vita e la finzione della scena:
però à sempre dato un’interpretazione artistica che vale molto e che è prova
del suo forte ingegno. Cimara à dato lodevole prova di disciplina, lui, primo
attore, facendo quella particina. La Jone Frigerio fu d’una bellissima compo-
stezza. Un successo, per la sua bella dizione naturale e simpatica l’à riportato
il Magheri. (…) Ottima la Emma Sanipoli bene il Brizzolari, la Donadoni e
tutti, tutti splendidi per fusione e verità. (. . . )

Umberto Fracchia, «Sei personaggi in cerca di autore», «Comœdia», Milano,


5 ottobre 1921.
Il 27 settembre si è rappresentata per la prima volta a Milano Sei personaggi
in cerca d’autore, commedia in tre atti di Luigi Pirandello che, al Valle di Roma,
la primavera scorsa, suscitò appassionate dispute e litigi che si chiusero a tarda
276 Sarah Zappulla Muscarà

notte, con furibonde cazzottature, nei dintorni del Pantheon. A Milano, il suc-
cesso dei Sei personaggi in cerca d’autore è stato pieno e incontrastato. Ragione
per cui abbiamo avuto modo di ammirare in una sola sera due cose veramente
ammirevoli: una commedia originale e in molti tratti stupenda; e un pubblico
che si mostrò degno di ascoltare un’opera d’arte con tutto il rispetto e l’in-
telligenza che si possono richiedere a un pubblico di teatro. Intendiamo dire
qualche cosa di più e di diverso. Poiché con Sei personaggi in cerca d’autore Luigi
Pirandello non ha soltanto per tre atti tenuto aperto il velario sopra un qualsiasi
dramma umano, ma ha messo a nudo, dinanzi agli occhi profani, proprio il se-
greto doloroso dell’arte, il penoso travaglio attraverso il quale l’artista esprime il
proprio mondo del pensiero e dell’immaginazione, e ha confessato, con accenti
profondamente appassionati e veri, per mezzo di figure carnali aventi voce e
anima, il dramma in cui spesso l’opera d’arte è condannata a rimanere una cosa
informe, non espressa, non interamente viva: condannata a morire prima an-
cora di essere nata. Poiché germinano nella fantasia dell’artista le idee per virtù
di quella misteriosa e inebbriante forza che, una volta, in tempi più candidi, si
chiamava inspirazione. (…) Questo scrittore da molto tempo ci ha abituati ad
assistere, nel suo teatro, a così temerarie audacie (proprio d’ordine tecnico) in
confronto delle quali le famose «magie» di alcuni grandi vecchi commediografi
sembrano giochi infantili. Tutti possono ricordare, ad esempio, il primo atto di
Come prima, meglio di prima. Per cui vien fatto di pensare che, rifuggendo dalle
situazioni semplici, e rifiutandosi le più naturali facilitazioni per uscire dalle
situazioni scabrose in cui pone se stesso e i propri personaggi, egli si compiaccia
di creare a bella posta difficoltà sopra difficoltà per il solo gusto di superarle tut-
te una dopo l’altra nei modi più bizzarri e impreveduti. (…) Questo, appunto,
ha compreso il pubblico del Manzoni coronando con replicati applausi la fine
dei Sei personaggi in cerca d’autore, di cui aveva già calorosamente applaudito il
primo e il secondo atto. Luigi Pirandello dovette presentarsi più volte, contro le
proprie abitudini, al proscenio. Gli spettatori videro così, per la prima volta, un
uomo di una certa età, vestito di grigio, dall’aspetto savio e modesto, con una
fronte piuttosto alta e nuda, e una piccola barba grigia a punta, che si inchinava
a ringraziare. Sei personaggi in cerca d’autore ebbe dalla Compagnia di Dario
Niccodemi un’interpretazione straordinariamente vivace, intonata ed espres-
siva. Vera Vergani – la figliastra – con una truccatura d’una evidenza e d’una
verità che non avrebbero potuto essere più crude, seppe essere un personaggio
solo a metà reale: cioè rimanere in quello stato di incompletezza, di irrequietez-
za, di volubilità dolorosa, come voleva l’imperfetta natura di cui l’aveva dotata
l’autore. Sostenne senza un attimo di stanchezza una parte fra le più difficili di
tutto il teatro contemporaneo. Pari al loro compito furono anche l’Almirante
– il padre –, il Cimara – il figlio –, la Frigerio – la madre. Con maggiore vigore
ed efficacia poteva recitare il Magheri, nella sua parte di Capocomico. La com-
media ha avuto nove repliche.

–, La Compagnia Niccodemi stabile all’Argentina, «L’Idea Nazionale»,


Roma, 6 ottobre 1921.
O semistabile: la qual cosa pare che, nelle tradizionali condizioni del no-
stro teatro, sia il massimo possibile di stabilità. La notizia non è ufficiale; l’ab-
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 277

biamo avuta per una indiscrezione, ma da fonte sicura. (…) l’Ars Italica ha
concluso le sue lunghe pratiche con Dario Niccodemi: dimodoché la Nicco-
demi-Vergani-Cimara-Almirante diverrà, dal primo di Quaresima in poi, la
Compagnia del Teatro Argentina, dove farà il centro della sua attività, trat-
tenendovisi almeno per 120 giorni dell’anno, e precisamente nella stagione
primaverile. Dario Niccodemi, in mezzo ai successi milanesi (Sei personaggi in
cerca di autore di Pirandello, che ha ottenuto un trionfo, continua tuttora a
replicarsi con immensa affluenza di pubblico), sta già preparando il suo nuovo
programma. (…)

Massimo Bontempelli, «Sei personaggi in cerca d’autore», «Industrie Italiane


Illustrate», Milano, 7 ottobre 1921.
(…) In un tempo antiteatrale, quale è il nostro, esso è, in Italia, lo sforzo più
laborioso e più tenace e più originale che siasi fatto per innalzare una barriera
invalicabile contro la invecchiata abitudine teatrale, e per preparare il teatro
a una nuova sensibilità. Teatro di distruzione, certo, ma di quelle distruzioni
rivoluzionarie, che possono essere segni, prodromi e fondamenti di una rico-
struzione. È necessario fare una lode senza riserve a tutta la esecuzione. E una
specialissima a Vera Vergani, che creò in modo perfetto il carattere complesso
della figliastra: tra dolente e aspro, smanioso e disperato; carico di una specie
di cinismo volutamente sovrapposto al suo ferito sentimento primordiale di
donna e di fanciulla; magnificamente commisto di umano e di bestiale.

Emmepì [Marco Praga], «Sei personaggi in cerca di autore» ovvero: Pirandel-


lo più Pirandello che mai, «L’Illustrazione Italiana», Milano, 10 ottobre 1921.
(…) Luigi Pirandello (…) originale come sempre, si è detto: «Io non scri-
verò la tragedia ma porterò su la scena i sei personaggi – (in verità son sette;
non è molto forte in aritmetica il nostro grande scrittore) – perché la trage-
dia la vivano, sia pur raccontandola in parte (…) e se il gioco mi riesce, io
avrò imposta la tragedia pur senza averla fatta rappresentare». (…) Il pubblico
del Manzoni ha accolto trionfalmente questa strana commedia ch’è, indub-
biamente, un’opera d’arte di una originalità rara. E l’esecuzione è ben degna
di lei. Vera Vergani è sfrontata, spavalda, impudente e impudica, ed è bella,
nelle vesti della fanciulla sciagurata. Ha data una di quelle prove che non si
dimenticano. E una magnifica prova ha data Luigi Almirante, un attore di
non comune intelligenza, ch’io preferisco nelle parti caratteristiche, truccate,
com’è questa del Padre. Il Magheri, a parer mio, potrebbe caratterizzare di più
la parte del Capocomico che gli è affidata, dare un tono più espressivo a ciò
ch’egli dice, ch’è il frutto della più vieta mentalità capocomicale in contrasto
con la verità vissuta dai sei personaggi. Gli altri interpreti hanno poco da dire;
ma sono sempre presenti nell’azione, vi prendono parte, la completano, la
integrano, con amore intelligente. (…)

Silvio D’Amico, «Sei personaggi in cerca d’autore», «Idea Nazionale», Roma,


11 ottobre 1921.
(…) L’originalità e il valore dell’opera di questo scrittore di teatro non de-
riva da nessun altro e oggi occupa un posto singolarissimo nel teatro europeo
278 Sarah Zappulla Muscarà

(pensate un po’ a quel che ci manda la Francia, da alcuni anni a questa parte!)
(…) Tutte le sue creature gli assumono, tra le mani, quell’aspetto di fantocci
che recitano una parte, anzi tante parti in una volta. Di qui deriva quel che
in esse avvertiamo d’ingrato, di scheletrico e d’aspro; e quella sua desolazione
d’umorista atroce, alla quale con tanto stento abbiamo dovuto assuefarci.

Eugenio Levi, «Sei personaggi in cerca d’autore», «Il Convegno», Milano,


30 ottobre 1921.
Cercare perché Pirandello abbia negato la vita ai suoi sei personaggi dopo
averli creati è un compito altrettanto ozioso quanto pieno di pericoli. La Fi-
gliastra che fa un mestiere piuttosto pettegolo può permettersi un’indagine
siffatta; ma il critico, se non altro per evitare una compagnia non sempre pia-
cevole, avrebbe dovuto guardarsi dal battere questo sentiero. Invece – forse
perché quanto più i tempi sono rei tanto più le male femmine hanno fortuna
– anche se non è stata accolta la soluzione arrischiata della Figliastra, è stato
preso sul serio il problema. Una volta avviati su questo cammino, si doveva
giungere, come si è giunti, a cercare il senso della commedia nel dissidio fra la
concezione e l’espressione, fra ciò che il poeta vorrebbe realizzare e ciò ch’egli
realizza in effetti: tema che in sé e per sé, per quanto decrepito, può sempre
avere il suo interesse, ma che, addotto in campo a proposito di questa comme-
dia, ottiene l’unico risultato di dar la misura della facilità con cui questo scrit-
tore riesce a sviare i suoi critici. Poiché, in sostanza, il problema posto in quei
termini non ha nessuna ragione di esistere. Il fatto che Pirandello non abbia
potuto o voluto comporre un dramma colle sue sei creature vuol essere una
semplice occasione della commedia; e, anche se si mettesse in chiaro ch’è stato
un capriccio, la realtà artistica dell’opera non ne soffrirebbe per nulla. Per
cercare invece questa realtà, bisogna che la critica, seguendo il perfido gioco
d’inversione dell’autore, anziché trattare i personaggi come materia inerte, cer-
chi in loro i veri e attivi protagonisti. Essi ci vengono incontro fin dal principio
collo stesso atteggiamento sbarazzino che avrebbero potuto assumere, per
esempio, i prigionieri d’Atlante, se, al crollo del castello, si fossero ostinati a
ricercare per loro conto quella realtà che il mago aveva finto per loro e di cui
era poi stato costretto a privarli. Sospesi fra il limbo e la vita, elementi di una
commedia da fare (o rottami di una commedia disfatta) umorizzano — e que-
sto è il primo e più immediato senso dell’opera — il tradizionale ruolo passivo
della persona. Non bisogna vedere in essi, come qualcuno ha visto, un’inten-
zione d’ironia e tanto meno di satira. L’unica loro arma, se arma si può chia-
mare, è quella a doppio taglio dell’umorismo. Quando la Figliastra ride della
prima attrice, o il Padre ride del primo attore, sarebbe ingiusto credere ch’essi
vogliano mettere alla gogna il guittismo dei comici; tutt’altro. Quello stridulo
scoppio di risa è la espressione di meraviglia o di risentimento di chi non si
riconosce perché rimesso in bello da interpreti che fanno fin troppo onore al
loro mestiere. Ma l’umorismo dei sei personaggi meglio si accentua quando si
trovano non più di fronte agli attori, ma addirittura di fronte all’autore, poiché
un nuovo autore essi riconoscono nel capocomico. Veramente tipico è il dolo-
re della Figliastra, quando ella s’avvede che egli non vuol dare espressione alla
scena in cui il Padre la invita a togliersi l’abito del suo lutto recente. Ma sareb-
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 279

be un errore il credere che lutto si riduca al vieto dissidio fra la verità troppo
cruda e le esigenze del teatro. Senza forse che la Figliastra se ne renda conto,
qui si adombra un contrasto ben più profondo e ben più irrimediabile. Non si
tratta del personaggio mal riuscito che chieda conto al suo creatore della defor-
mazione artistica a cui egli lo ha sottoposto. Non è in giuoco il pio Goffredo
che rinfacci al Tasso «Tu mi hai fatto troppo pio», o l’onesto Jago che dica a
Shakespeare «Tu mi hai fatto troppo malvagio», ma sono in gioco piuttosto
quegli stessi personaggi a proposito dei quali l’artista ha rispettato tutti i cano-
ni della poetica tradizionale, compreso il «servetur ad imum. . . . etsi bicon-
stet». È in gioco per esempio, Penelope, che non si vede perfettamente nel
ruolo di quella ventenne fedeltà che le strugge il roseo incarnato del volto;
oppure Nausicaa che sembra dire a Omero: «Sono anche meno ritrosa di
quanto tu mi hai voluto; e quando per desiderio della perfida Atena mi sono
trovata sola in circostanze così singolari con Odisseo, ben altro rossore mi ha
imporporato le guance». È insomma nella passione di quelle sei creature la
passione della vita contro l’arte che fatalmente la trasforma servendosi del
mezzo che un insolente traslato — di cui comprendiamo ora la segreta giusti-
zia! — assimila all’onesto mestiere di Venedico Caccianimico. Ma fino a tanto
che questi sei personaggi si limitano a umorizzare il loro ruolo di contro all’ar-
te che lo interpreta e che lo crea, il loro umorismo è per noi ancora abbastanza
innocente o, almeno, non ci tocca ancora da vicino. Anzi, fino a un certo se-
gno, la nostra realtà di spettatori tende ad allearsi con loro. Senonché, conti-
nuando nella loro missione umoristica, essi – ed è questo il secondo senso
dell’opera – vengono a trovarsi in contrasto non più cogli attori in quanto tali,
ma cogli attori in quanto uomini. In altre parole la realtà fantastica del perso-
naggio si sente in antitesi colla realtà di fatto dell’uomo che lo rappresenta.
L’antitesi qui colpisce anche noi, perché anche la nostra è una realtà di fatto; e
quindi, mentre prima potevano essere coi personaggi, ora siamo risospinti,
come per un giuoco di luci, dalla parte degli attori; anzi la causa di costoro
diventa la nostra. La commedia entra ormai a vele spiegate nella consueta
metafisica pirandelliana: la metafisica del mondo concepito come rappresenta-
zione. La realtà del personaggio è più vera della realtà dell’uomo, perché la
realtà finta della fantasia è più vera della realtà comune della vita. Anzi la vita,
questa trama di scene che ci parevano reali ieri per parerci illusioni domani,
non può avere altra realtà di quella che ci finge la fantasia. Così l’inconsistenza
del vivere umano è tanto più sentita quanto più i sei personaggi gridano la loro
realtà; ed essi la gridano, scandendo con ritmo disperato tutta la segreta passio-
ne del verso che ci pareva così innocuo nella veste in cui ce l’ha tramandata il
teatro antico: «Haec res agetur nobis, vobis fabula». Ma non si accontentano di
gridare; danno le prove. La realtà di fatto ha dei limiti relativi nell’assenza e un
limite assoluto nella morte; la realtà fantastica s’infischia di questi confini. Dei
sei personaggi, uno, la Figliastra, è ancora in casa, anche dopo aver preso il
volo; e due, la Bambina e il Giovinetto, partecipano all’azione anche dopo
morti. E se un altro morto, il secondo amico della Madre, non è lì, ciò è sol-
tanto perché la sua presenza non ha nulla di reale nel dramma; anzi, egli colla
sua assenza definisce negativamente la sua stessa realtà, e contribuisce a defini-
re negativamente la realtà della Madre. Come non bastasse questa sopravviven-
280 Sarah Zappulla Muscarà

za alla lontananza e alla morte, la realtà fantastica conosce il prodigio della fe-
condità; e infatti da essa nasce quella Madama Pace che Pirandello non ha rea-
lizzato e che le sue creature sono riuscite a realizzare. La metafisica pirandellia-
na trionfa, perché la realtà fantastica tanto stravince che la realtà di fatto si
perde, o almeno si smarrisce, dubita di se stessa. E quando rintrona dietro gli
alberi il colpo di rivoltella, a cui fa eco il grido straziante della Madre, gli attori
perdono la testa; gli uni affermano che il Giovinetto è morto, gli altri urlano alla
finzione sì che il capo-comico non sa più che pesci pigliare. E il pubblico con
lui. Per quanto vulnerata sia già in questo secondo senso della commedia la
concezione della vita umana, questa non è che una preparazione a un’altra più
atroce. Poiché quelle sei creature, continuando la loro missione umoristica,
non si sentono più reali degli uomini soltanto per il semplice fatto di essere
personaggi, ma anche per essere quei certi personaggi e non altri: quei perso-
naggi insomma che portano in se stessi quel certo dramma e non un altro, che
è poi il dramma consueto del mondo pirandelliano. In virtù di questo dramma
che essi vivono e che noi riviviamo, il personaggio, per un nuovo gioco di luci,
non è ora per noi altro che un uomo che differisce dagli altri uomini solo per-
ché ha assunto, per determinate circostanze, caratteri fissi. Da una parte e
dall’altra di fronte alla nostra illusione di spettatori, siamo ora dunque nella
vita, nella nostra stessa vita, in questa eterna rappresentazione la quale eterna-
mente oscilla fra la commedia e la tragedia. O è commedia, e allora non con-
clude; o conclude e allora è tragedia. Se l’uomo resta nella prima, è semplice-
mente un uomo, maschera vestita che passa; se entra nella seconda, è un perso-
naggio, maschera nuda che resta. L’unico mezzo per noi dunque di trasformar-
ci d’inconclusi in conclusi, d’irreali in reali è quello di prendere la nostra umani-
tà. Questo è il terzo e ultimo senso, il più riposto e il più amaro dell’opera. Per
una forza occulta che al Padre appare come il dèmone dell’esperimento le nostre
sei creature sono uscite dalla commedia e sono entrate nella tragedia. Tutte
hanno visto qualche cosa non dovevano vedere, hanno toccato una maschera
che non dovevano toccare, e la visione le ha irrigidite. Sono tutti in certo modo
diventati estranei l’uno all’altro, e d’altra parte non si possono distaccare l’uno
dall’altro, perché tutti insieme si vedono vivere in quell’attimo eterno, in cui per
loro si è trasformato l’attimo fuggente di questa nostra vita mortale. Che dire di
questa commedia? Più lui di così Pirandello non poteva essere. Mai forse ci è
apparsa così giovine, così inesausta l’audacia delle sue invenzioni; mai forse,
come qui, scintilla l’arguzia della sua disincantata melanconia, i consueti pregi
dell’arte pirandelliana raggiungono qui un’efficacia inconsueta. Quello stesso
senso della loro realtà che i sei personaggi infondono negli attori, tanto che la
Figliastra suscita le comiche gelosie della prima attrice, finisce col turbare anche
il pubblico, e il brivido dell’infinita vanità dei destini umani non resta nel
dramma come materia inerte, ma si trasfonde in noi per quel tanto almeno di
cui quest’arte è capace. Ancora una volta e meglio delle altre volte Pirandello ha
risolto il problema da cui dipende il successo del suo teatro; egli ha vinto col
suo magistero il suo pubblico facendogli accettare la sua spietata Weltanschaung,
o almeno facendogliene dimenticare le origini. E, se nell’opera d’arte non si
cercasse che l’espressione del processo spirituale dell’artista, la critica non
avrebbe altro compito che prender atto del pregio di questa commedia e cercar-
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 281

le il suo posto. E si potrebbe dire che questi Sei personaggi in cerca di autore
mentre in un certo senso continuano ampliandolo ed inasprendolo il motivo
che fino ad ora trovava la sua miglior espressione in Così è (se vi pare), in un
senso più largo riassumono vittoriosamente tutti i motivi del teatro e del rac-
conto pirandelliano. Purtroppo non basta che l’opera d’arte esprima l’umanità
(o l’inumanità) dell’artista; occorre ch’essa esprima la nostra umanità, o almeno
l’umanità del tempo a cui l’opera appartiene. Occorre insomma che l’opera
risponda non all’ethos dello scrittore, ma al nostro ethos: o meglio occorre che
tra l’ethos dello scrittore e il nostro non ci sia dissidio. Che nell’opera di Piran-
dello un tale dissidio ci sia, ho già cercato di dimostrare parlandone a lungo in
questa stessa rassegna; e già anche ho cercato di dimostrare che per giungere a
noi quest’arte deve smentire il suo ethos. Né mancano in questa commedia
esempi di una siffatta smentita, commozioni improvvise di personaggi come
dimentichi della Erstarrung a cui dovrebbero essere condannati! Il padre stesso,
il più pirandelliano dei sei, esce dal suo ruolo quando esclama: «Ciascuno ha in
sé la propria realtà che va rispettata in Dio, anche quando sia nociva a noi».
Queste parole infatti nel mondo pirandelliano hanno un senso molto ambi-
guo, o addirittura non hanno senso alcuno, poiché un’etica che non ammette
nessun bene oggettivo, non ha diritto di farvi ricorso quando le fa comodo. In
un mondo in cui gli stessi morti hanno l’unica realtà che loro danno i vivi, Dio
non può avere altra realtà all’infuori di quella che gli danno gli uomini. Ma
sono appunto queste contraddizioni che giovano per liberare l’arte pirandellia-
na; e io stesso ne ho più volte cercate. Senonché chi farà la storia della lettera-
tura contemporanea non potrà tenerne conto che con molta cautela; e ci sarà
sempre il pericolo ch’esse riescano tutt’al più a dimostrare ciò che quest’arte
poteva essere e non è stata. Presa per ciò che effettivamente è, più essa si arric-
chisce di nuovi contributi, e più sembra discostarsi dal compito che abbiamo
diritto di esigere dalla poesia: la rappresentazione dello spirito. II nichilismo di
Pirandello non ci fa dimenticare abbastanza il verismo, di cui non si sa dire se
sia il presupposto o la conseguenza ed è forse l’uno e l’altra insieme. Quelle
forze che ci apparivano disperatamente statiche in Verga non sono affatto di-
ventate dinamiche, come potrebbe parere, in Pirandello; si sono soltanto tra-
sposte dal di fuori al di dentro, ma sono ancora incerte. L’uomo di Pirandello
non si libera, come non si libera l’uomo di Verga. Il mondo di Pirandello soc-
combe curvato sotto il peso dei suoi stessi egoismi, come soccombe il mondo
di Verga, il piccolo mondo di Mastro Don Gesualdo, folgorato sotto i cieli dell’i-
sola tragica. Entrambe queste arti servono alla loro materia, anziché comandar-
le. Importa poco se l’uomo di Pirandello sia schiavo del determinismo psichi-
co, mentre quello di Verga è schiavo del determinismo storico-sociale. Metafi-
sica idealistica o materialistica, Hegel o Comte, fa lo stesso. Quando un’arte
non si emancipa abbastanza da una metafisica chiusa, quando essa dà un senso
alla sue creature prima che esse se lo conquistino da sole, essa è destinata a ve-
dere solo da lungi la terra promessa. Niente giova tanto a farci capire la tragedia
di questo realismo pessimistico quanto il confronto con quello della letteratura
russa annunziato da Gogol’ e già definitivamente conchiuso nei Karamázov.
Già in altra occasione ho affermato che la crudeltà con cui Pirandello incide
l’anima dei suoi poveri eroi ricorda la mano di Dostoevskij. Ma mentre Piran-
282 Sarah Zappulla Muscarà

dello va in fondo per andare in fondo, con una bravura di cui del resto siamo
disposti a riconoscergli il segreto, e sa già e ci fa già sapere ch’egli non potrà
trovare altro che una conferma delle negazioni che sono in lui e in lui solo;
Dostoevskij, in tutte le sue abbiezioni, ch’egli discopre scendendo sempre più
in giù negli abissi, vede offesa ma non mai sopraffatta l’idea ch’egli porta seco
e che noi abbiamo nel cuore: perché mai quelle tenebre riescono a offuscar
questa luce. Nel secondo c’è sempre il male che si libera; nel primo non c’è che
il male che si descrive. Così questo mondo pirandelliano in cui lo spirito è tutto,
manca di spiritualità. Quelle antitesi, quelle inversioni nelle tavole dei valori
tradizionali che il mirabile ingegno di Pirandello discopre sempre più nuove,
sempre più insolenti, non escono mai da se stesse, conchiuse come in un gioco
crudele. Manca in questo mondo il sorriso superiore dell’umorismo che ricom-
pone ciò che prima ha disfatto, quel sorriso che, per esempio, nel mondo man-
zoniano ci appare come l’arcana espressione del divino che assolve le contrad-
dizioni della vita. Così quell’arte, così assoluta in astratto, soffre per mancanza
d’assoluto. Per questo essa sbocca fatalmente in quella che in senso largo si può
chiamar decadenza; ed è lì che bisogna collocarla, fra le varie esperienze, per cui
è passato lo spirito italiano nell’ultimo Ottocento. Tra le varie avventure – che
oggi ci sembrano così lontane appunto perché erano semplici avventure, in cui
lo spirito italiano non si è mai sentito interamente espresso – accanto, per
esempio, al verismo asimbolico di Verga, all’estetismo furente di D’Annunzio,
all’impressionismo crepuscolare di Pascoli bisognerà fare un posto anche alla
poesia nichilista, che in tutte quelle esperienze è inchiusa e che tutte le inchiu-
de. In essa troverà il suo significato anche l’arte di Pirandello. Ma insieme al
bene, a cui questa deve la vita, converrà mettere in evidenza anche il male, di
cui essa muore. E questo forse potrà esprimersi con una sola parola. Quest’arte
soffre dello stesso male di cui soffrono i suoi eroi. Si vede vivere.

–, Compagnia Niccodemi-Vergani-Cimara-Almirante-Borghesi, «Corriere del


Teatro», Milano, dicembre 1921.
Di quante compagnie drammatiche italiane mi è occorso di conoscere da
molti anni a questa parte, non ne ricordo nessuna che sia stata come questa,
siffattamente composta, regolata, addestrata e diretta per dare interpretazioni
organiche di opere comiche e drammatiche, in una tonalità media ancorché
in una estensione assai ampia, con così buoni risultati. Consideriamo un po’ il
repertorio (…) Sei personaggi in cerca d’autore. (…) non saprei qual paragone
trovare per rappresentare l’eccellenza di quella interpretazione. (…) Almirante
si è rivelato attore di un’ampiezza assai superiore al suo ruolo, e di una genialità
di invenzioni sceniche di primissimo ordine. Accanto a lui Vera Vergani vi ha
assunto la tragica figura della Figlistra, furente e glaciale: e mi è parsa la più
bella delle sue figurazioni sceniche.

Corrado Marchi, Politeama Margherita. «Sei personaggi in cerca di autore» di


Luigi Pirandello, «Corriere Mercantile», Genova, 13 dicembre 1921.
(…) Svegliandoci dal lungo torpore, possiamo annunciare, a chi ha saputo
attendere, nel silenzio e nell’ombra, che abbiamo un commediografo il quale
nobilita, definitivamente, il teatro italiano e che si va formando – ogni sera di
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 283

più – una attrice degna, già oggi, di nobile fama?Non fosse che per questo e ol-
tre ogni aforisma ipercritico come, però, oltre ogni colpevole indulgenza verso
vanesi e mediocri, noi mettiamo la serata di ieri fra quelle che segnano una data.
Le ovazioni del pubblico – furono quindici le chiamate! – non vennero affievo-
lite dai dissidenti. Del resto, fischi e, dopo, cazzotti, significano che, nei pochi
e nei molti, ritorna la facoltà di pensare e di parteggiare; vale a dire di vivere.

t. c. , «Sei personaggi in cerca di autore» di L. Pirandello, al Margherita, «Il


Lavoro», Genova, 13 dicembre 1921.
Mentre stiamo redigendo questi brevi cenni sul dramma di Pirandello ap-
presentato ieri sera, davanti ad un pubblico imponente, al Margherita, siamo
ancora invasi da un senso di profondo sbigottimento. (…) Luigi Pirandello
ha sfidato il pubblico, ma lo ha anche soggiogato perché tranne una piccolis-
sima parte, alla fine dell’ultimo atto, ha applaudito freneticamente, entusia-
sticamente come poche volte. (…) Strana commedia, ma potente commedia!
(…) Che dire dell’esecuzione? Fu mirabile per espressione, per l’affiatamento.
Fra gli attori mettiamo in prima linea Luigi Almirante che ha abbandonato la
maschera irresistibilmente comica di ogni sera per assumere quella tragica di
padre. Parve veramente magnifico e tutti si chiedevano se era quegli che tanta
ilarità sa suscitare nelle platee! Sono miracoli che soltanto i nostri attori sanno
fare. Bravo, bravo davvero. La Vergani nella parte di figliastra assurse a grande
drammaticità e dimostrò ieri sera di essere un’attrice che in poco tempo ha
raggiunto una mèta davvero luminosa. (…) La commedia di Pirandello suscitò
negli intervalli ed alla fine una infinità di discussioni: ciò dimostra che il lavoro
interessò vivamente e appassionò al più alto grado. (…)

c. p. , Politeama Margherita. «Sei personaggi in cerca di autore». Commedia


da fare di Luigi Pirandello. Tre atti, «Il Secolo XIX», Genova, 13 dicembre 1921.
(…) Se, come dice Henri De Regnier, alla parola capolavoro si danno le ca-
ratteristiche e le qualità inerenti ad un’opera d’arte, in cui un autore ha portato
ad un grado di espressione indiscutibile l’impiego di certi suoi mezzi, quello
che abbiamo udito ieri sera è indubbiamente il capolavoro di Luigi Pirandello.
Ma è un capolavoro che non mi persuade, ma anzi mi ha tutta l’aria di un
«bluff» colossale. (…) Oggi molta gente, per paura di essere arretrata, per paura
di sembrare inintelligente, manda giù anche tutto il teatro di Pirandello. Vorrei
parlare a quattr’occhi, con più di uno di costoro; vorrei vedere che cosa ci han-
no dietro la mascherina di un falso intellettualismo e di una male intesa mo-
dernità. Io a teatro accetto tutto. Ma questo teatro non mi ha ancora persuaso,
e oggi meno che mai. Basta, basta, con venti commedie all’anno!. . . All’autore
siciliano pare che non gli si possano dire queste cose. E perché? Ma se non
c’è retrobottega di rigatteria letteraria in cui non si fa che ripetere questo; ma
se non esiste artista che non frema innanzi ad una tale pletora di produzione
cerebrale che passerà come una moda qualsiasi; Pirandello è un fenomeno. In-
teressante fino a ieri; fino a oggi… Ripeto: questo è il suo capolavoro, ma oltre
il quale, però, non sarà più possibile nemmeno discuterlo. L’esecuzione della
commedia ci ha rivelato ancora una volta di quali prodigi sia capace la compa-
gnia di Dario Niccodemi. Questa è soprattutto una commedia di fusione; e la
284 Sarah Zappulla Muscarà

fusione c’è stata mirabile. Vera Vergani trovò gli accenti più strani e più vibranti
per esprimere la parte della figliastra; l’Almirante nella figura del padre creò un
misto di grottesco e di umano efficacissimi; brava assai la Donadoni; il Cimara
stilizzò una figura di figlio suggestiva; e ricorderò ancora la Frigerio, il Magheri
e tutte le altre parti. (…) All’uscita le discussioni infinite. Corse anche qualche
cazzotto; ma i cazzotti letterari, non fanno male. Chi urlava al capolavoro e
che Pirandello è l’uomo più geniale dell’Europa; chi diceva tutto il contrario.
Memorabile serata, e di una vivacità insolita. (…)

–, Arte e Artisti. «Sei personaggi in cerca di autore». Tre atti di Luigi Pirandello
al «Margherita», «Il Caffaro», Genova, 13 dicembre 1921.
(…) Quest’opera, che sconvolge con audace impeto le forme tradizionali e
manca francamente di rispetto a consuetudini di teatro cristallizzate negli au-
tori, negli attori e nel pubblico, è grido di umana disperazione che si sprigiona
dal buio per perdersi nel nulla. (…) Questi tre atti sono (…) una singolare
tragedia, quale soltanto uno scrittore dell’epoca nostra ammalata d’indagine
sottile, di tormento indefinibile, d’incontentabilità cronica ed assillante poteva
scrivere. Non è teatro questo: o, meglio, non è teatro di persone e di cose,
inteso nel senso convenzionale – rappresentativo e riconoscibile per connotati
e per contorni esatti – è lo specchio annebbiato dell’incerto, del contradditto-
rio, dell’inespresso, del tragico, del quotidiano in eterna attesa della sua stessa
rivelazione, posto innanzi ai nostri occhi con mezzi e con procedimento uguali
al suo contenuto. (…) L’interpretazione fu superba. Nulla mancò nel mera-
viglioso concerto di voci e d’atteggiamenti e tutto fu detto in modo perfetto.
Vera Vergani fu una grande attrice. L’aggettivo è da parte mia insolito, ma io
non esito a scriverlo, perché ne ho la piena coscienza. Essa trovò accenti tanto
profondi di odio, di strazio, di accanita perdizione da provocare in noi uno
stato d’animo non obliabile. Di Luigi Almirante dirò che questa sua personi-
ficazione lo pone in primissima linea tra gli attori nostri e che dimostra in lui
una maturità e un’altezza d’arte più che rare. L’angoscia dell’inesprimibile fu
da lui non riprodotta, ma vissuta terribilmente. Come potrei fargli migliore
elogio?Ebbene, se potessi, glielo farei. Molto furono lodati il Magheri nella
parte di capocomico, interpretata con efficace vivezza, ed il Cimara. Tra gli altri
ricorderò la Frigerio, la Sanipoli e il Brizzolari. (…)

–, Teatri e Concerti. Politeama Margherita, «Il Secolo XIX», Genova, 14


dicembre 1921.
Ieri sera alla replica della commedia di Pirandello assisteva un pubblico ab-
bastanza numeroso e la commedia ha suscitato le stesse approvazioni, gli stessi
dissensi, le stesse discussioni della prima sera. L’esecuzione, però, è parsa un
vero capolavoro. Vera Vergani dà, in questi tre atti, tutta la prova del suo forte
temperamento che è in pieno sviluppo. Poche volte un’attrice ci ha fatto una
impressione tanto turbante. C’è in lei la tensione di uno spasimo così intenso
che in alcuni momenti raggiunge una vera profondità tragica. E l’Almirante
dà qui prova di qualità creative che forse molti non supponevano in lui. (…)
Tutto in lui è di una misura equilibrata e perfetta. Dirò anche del Magheri, che
è un curioso attore, di una personalità tutta sua, con inflessioni di voce caratte-
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 285

ristiche ed un suo fare spigliato assai comunicativo. Bene ancora il Cimara, che
deve solo delineare il tipo, ed ha poco da dire, e tutto il complesso. Insomma il
teatro italiano è veramente oggi arricchito di una compagnia che era nel nostro
sogno e che Dario Niccodemi ha realizzato compiutamente. (…)

–, Teatri ed Arte. Politeama Margherita. Una novità per serata d’onore di


Luigi Almirante, «Corriere Mercantile», Genova, 15 dicembre 1921.
Non un gran pubblico ieri sera, alla prima replica di Sei personaggi in cerca
d’autore, del Pirandello: – deserta la maggior parte dei palchi, vuote più file di
poltrone, stipata la platea, rigurgitante il loggione. Il successo del dramma fu
caloroso come l’altra sera, nonostante qualche contrasto. (…)

–, Una novità al Carignano, «Gazzetta del Popolo», Torino, 30 dicembre


1921.
Questa sera la Compagnia di Dario Niccodemi che agisce con molto suc-
cesso al teatro Carignano darà una interessante novità di Pirandello Sei perso-
naggi in cerca d’autore. Questa commedia originale è stata rappresentata con
successo in altre città d’Italia ed ha suscitato vive discussioni. (…) Si tratta,
ad onta di queste stranezze apparenti, di un avvenimento artistico di singolare
interesse.

–, I Teatri. Al Carignano:«Sei personaggi in cerca di autore», «La Stampa»,


Torino, 30 dicembre 1921.
(…) Stasera al Teatro Carignano una fra le più interessanti novità della
stagione. (…) A Roma, a Milano, a Genova, pure suscitando appassionate di-
scussioni e contrasti vivaci di opinioni, quest’opera del fecondo autore siciliano
si è imposta per la vivacità del dibattito e la originalità della concezione. (…)

–, Una novità al Carignano, «L’Ordine Nuovo», Torino, 30 dicembre 1921.


(…) Ci si trova di fronte all’opera d’arte più notevole che sia nata quest’an-
no, non solo per il teatro. Perciò vorremmo che il pubblico, chiamato a darne
un giudizio stasera, non fosse il solito pubblico borghese, frettoloso, filisteo.
Chi vuol ascoltare l’opera con qualche preparazione la legga prima nell’edizio-
ne Bemporad apparsa da poco.

b. a. , L’esecuzione dei«Sei personaggi in cerca d’autore», «L’Ordine Nuovo»,


Torino, 31 dicembre 1921.
(…) Nei nostri ricordi di questi anni non v’è spettacolo che per dignitosa
completezza ne possa sostenere il confronto. Lodi speciali vanno dirette ad
Almirante che superò i limiti della sua personalità di caratterista e di brillante
e fu, come doveva, or mellifluo, or aspro e duro, con profonda umanità di
vicenda. Vera Vergani aveva il compito più grave da assolvere e fu insuperabile.
In lei più intensamente che negli altri si realizza l’inquietudine del fantasma
vivente, in lei si scorge l’amorosa cura dell’autore che soprattutto è stato com-
mosso dalla sua personalità netta, spavalda, quasi impudente. (…) La perfetta
figura drammatica di Vera Vergani si suol realizzare in una speciale forma di
intensità di vita, in lei non v’è la passione dell’ironia di Alda Borelli o la presen-
286 Sarah Zappulla Muscarà

za della religiosità di Eleonora Duse: la sua umanità ha bisogno di esprimersi


nettamente secondo una direzione spirituale organica che si limita a crescere di
misura, permanendo identica, classicamente precisa. Qui è la sua grandezza di
attrice, nella serena forza di analisi con cui riduce a evidenza plastica il mistero
che la tormenta. (…)

d. l. , Rassegna Drammatica e Musicale. «Sei personaggi in cerca d’autore»


(Commedia da fare – 3 atti di Luigi Pirandello), «La Gazzetta del Popolo», To-
rino, 31 dicembre 1921.
(…) Gli ascoltatori di ieri sera da che furono conquistati nei loro applausi,
anche clamorosi, ai tre atti, in mezzo a contrasti di parecchi dissidenti? Dal
dramma o dalla commedia che l’autore non scrisse, ma si contentò di presen-
tare con l’apparato barocco e fantasioso dei sei personaggi smanianti le loro
passioni su di un palcoscenico? o dalla materiale innovazione di un ambiente
di commedia? o dalla illusione che fa arrestare i viandanti (…) dinanzi alla
novità di una architettura bizzarra? Non importa sciogliere il problema. Certo
sarebbe stato preferibile che Luigi Pirandello non si fosse limitato a scrivere una
Commedia da fare. Ma offrire al pubblico e al tempo una pagina di teatro orto-
dosso, nel vecchio o nuovo, ma sempre unico senso di teatro, cosa più difficile
che costruire con i mattoni degli artifici mascherati dalle nuvole della fantasia.
Ho detto male dei Sei personaggi che disgraziatamente anche cercandolo non
hanno trovato il loro autore: devo dir bene invece degli interpreti, in grazia alla
cui finzione la così detta realtà di Pirandello è stata è stata accolta con applausi.
Interpreti diligenti e intelligenti. Prima fra tutti Vera Vergani.

–, Una commedia di Pirandello, «Il Piccolo Giornale d’Italia», Roma, 31


dicembre 1921.
Sei personaggi in cerca di autore di Pirandello hanno riempito ieri sera il
nostro Carignano di un pubblico nervoso e curioso, sollevando discussioni e
commenti. La commedia ebbe in complesso buone accoglienze, pur tra vivaci
contrasti. Buona la interpretazione della compagnia Niccodemi. (…)

–, I Teatri. «Sei personaggi in cerca di autore» di Luigi Pirandello, «La Stam-


pa», Torino, 31 dicembre 1921.
(…) La prova (…) di creare una commedia senza copione, commedia che
non vuol essere altro che lo specchio della realtà. È una prova ardua e, per
quanto buona volontà ci mettano il capocomico, Pirandello e i suoi sei perso-
naggi, non riesce. (…) La commedia da fare non si fa (…) pei conflitti che si
generano tra i sei personaggi, ciascuno dei quali o vuole predominare, o inten-
de appartarsi, o non vede che quello che è nel suo dramma l’attimo più vivo e
pei contrasti che scoppiano tra i protagonisti veri, e cioè i sei personaggi e gli at-
tori che sulla scena dovrebbero rappresentarli. (…) Non abbiamo la commedia
tradizionale ma un felice tentativo di realizzazione del modo con il quale Luigi
Pirandello concepisce le sue opere e cioè che i personaggi di una commedia,
quando sono vivi, vivi veramente davanti al loro autore, questi non fa altro che
seguirli nell’azione, nelle parole, nei gesti che essi gli propongono. (…)
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 287

–, Le novità al Carignano. «Sei personaggi in cerca di autore». Commedia da


fare di Luigi Pirandello, «Il Momento», Torino, 31 dicembre 1921.
(…) Complessivamente si ha l’impressione che l’autore abbia tirato sul suo
capo una gran tenda, e con lo scalpello anatomico si sia dato a sezionare e scar-
nire gli elementi costitutivi della psicologia di certi uomini in date circostanze e
relativamente alla loro esprissibilità scenica: a un dato limite dell’indagine vien
fatto di domandare: E poi? Pirandello risponde che questa fatua commedia della
vita non conclude, né può concludere mai, perché se domani conclude, addio,
è finita. Troppo poco, dopo aver esasperato così la nostra curiosità! (…) Noi
abbiamo avuto iersera l’impressione di assistere ad un capolavoro incompleto;
un capolavoro di cerebralità, la cui attrazione incatenante e sconcertante non ha
nulla da spartire coi semplici e tradizionali valori estetici, ma nasce dalle inquie-
tudini di un’analisi potente e acuta e dalla petulante fantasia iniziale. È uno di
quei lavori che ingenerano discussioni senza fine: segno augusto di genialità e di
originalità. La sua vita sulla scena è condizionata ad una interpretazione eccezio-
nale ed alla attenzione perseverante del pubblico. Abbiamo avuto l’una e l’altra
cosa. Pubblico delle grandi occasioni; esecuzione impeccabile, anzi addirittura
meravigliosa. La compagnia Niccodemi ha vissuto minuto per minuto tutta
la varia complicazione Pirandelliana; ed è doveroso segnalare in prima linea la
signorina Vergani e l’Almirante. (…) Accanto ad essi il Cimara, la Frigerio, il
Magheri hanno contribuito con una sempre vigile e consapevole disciplina a
dare le sfumature della realtà e del simbolo che tumultuavano sulla scena. (…)

Giuseppe Baretti [Piero Gobetti], Novità teatrali. «Sei personaggi in cerca


d’autore», «L’Ordine Nuovo», Torino, 1 gennaio 1922.
(…) Nei rapporti dialettici che vengono a instaurarsi tra creatore e creature
e pubblico (idealmente partecipe) non resta ferma (mai in nessun momento)
una staticità di significato e chi voglia cogliervi un’identità del personaggio a un
simbolo, chi voglia fissare l’azione in un significato comprensivo che ne escluda
l’imprevisto, l’irriducibile per sempre – ne resta irrimediabilmente sconcertato.
(…) Ciò che possa provare lo spettatore ignaro assistendo alla novità noi non
sappiamo e non vogliamo sapere: del giudizio nostro c’è buona prova e garanzia
l’aver letta amorosamente l’opera e riletta più volte con gioia di comprensio-
ne sempre più intensa. (…) Lo sforzo compiuto dai personaggi per chiarirsi,
l’ansia con cui ricordano le scene passate si realizza perfettamente in visioni or
liriche, or pittoresche, or macabre addirittura, or vibranti di tragica insoddisfa-
zione ed esprimenti la paura dell’incompletezza. (…)

–, «Sei personaggi in cerca di autore» all’Argentina, «La Tribuna», Roma, 20


marzo 1922.
All’«Argentina» (…) si annuncia per domani sera una interessantissima ri-
presa: Sei personaggi in cerca d’autore, che già l’anno scorso, al «Valle», suscitò
così vivo fervore di consensi e di discussioni.

–, «Sei personaggi in cerca di autore» all’Argentina, «Idea Nazionale», Roma,


21 marzo 1922.
Questa sera, all’Argentina, la Compagnia di Dario Niccodemi riprenderà i
288 Sarah Zappulla Muscarà

Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, l’originalissima e profonda


commedia che così vivo successo ebbe l’altr’anno al Valle. Benché la commedia
non sia più nuova per Roma, questa desiderata ripresa di uno dei più signifi-
cativi lavori del nostro teatro ha tutto il valore di un importante avvenimento
d’arte. Il pubblico che ogni sera affolla l’Argentina, questa sera sarà, se è possi-
bile, anche più numeroso e più scelto.

–, «Sei personaggi in cerca di autore» all’Argentina, «Tempo», Roma, 22 mar-


zo 1922.
La ripresa dei «Sei personaggi in cerca d’autore», l’originale commedia di
L. Pirandello che il pubblico ricordava nella interpretazione dell’anno scorso
al Valle, ha segnato iersera all’Argentina un esaurito e un rinnovato caloroso
successo per l’autore e per gli interpreti fra i quali ricordiamo a maggior lode
la Vergani e l’Almirante. Le chiamate, venti?, trenta?, non si contano. Ma alle
acclamazioni del pubblico non hanno risposto se non gli interpreti; l’autore,
secondo il suo costume, non si è presentato. (…)

–, «Sei personaggi in cerca di autore» all’Argentina, «La Tribuna», Roma, 22


marzo 1922.
All’«Argentina» la sala era ieri sera affollatissima per la ripresa della interes-
sante commedia di L. Pirandello: Sei personaggi in cerca d’autore. Ogni atto ven-
ne accolto lietamente. Ottima l’esecuzione. La Vergani, il Cimara, l’Almirante
ne furono interpreti efficacissimi e acclamatissimi. Stasera «Gli innamorati» di
Goldoni.

m. , «Sei personaggi in cerca di autore» all’Argentina, «Il Popolo Romano»,


Roma, 22 marzo 1922.
(…) La grande tragedia di Luigi Pirandello appassionò gli spettatori come,
e forse meglio, la sera che la prima volta fu presentata al loro giudizio, l’anno
scorso. Spettatori intelligentissimi, quelli dell’Argentina, iersera – certo: ma,
crediamo, spettatori che, così come moltitudine, si avvicinarono all’opera pi-
randelliana più con l’intuizione che con l’intelletto. Con l’intuizione (…) per-
ché è difficile, perché è forse impossibile a una moltitudine di salire a certe al-
tezze e di scendere in certe profondità. (…) L’interpretazione della compagnia
di Dario Niccodemi fu perfetta. Vera Vergani e Luigi Almirante furono artisti
tali, non solo da farsi ammirare dagli spettatori, ma da appagare il maggior
desiderio del poeta drammatico. Vera Vergani ci parve anche più sicura e più
profonda che l’anno scorso. Ottimi davvero tutti gli altri. (…)

–, «Sei personaggi in cerca di autore», «Idea Nazionale», Roma, 22 marzo 1922.


La «commedia da fare» di Luigi Pirandello (…) è stata ripresa iersera dalla
compagnia Niccodemi, dinnanzi a un pubblico vasto e magnifico come quello
di una prima. (…) I suoi attori, avvezzi a tutt’altro genere di arte, assumono
mirabilmente in quest’opera i toni aspri, angosciati e talvolta grotteschi ch’es-
sa richiede; e si compongono nel sinistro quadro con un’agevolezza, con una
spontaneità, che farebbe credere a una loro lunga consuetudine con questa
ingrata materia. Come Almirante renda, nella truccatura, nell’atteggiamento,
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 289

nella dizione rotta e pur lucidissima di allucinato, il personaggio del Padre, è


ormai troppo noto perché vi sia bisogno di insistervi sopra: la sua è un’inter-
pretazione perfetta, degna di un attore di razza. Ma forse non si è ancora lodata
abbastanza quella di Vera Vergani che alla torva e vivissima figura della Figlia
dà accenti e movenze d’una verità atroce, con una vivacità e insieme con una
misura che poche volte a un autore è concesso di trovare ne’ suoi interpreti.
Tutti gli altri (…) furono eccellenti per naturalezza, per fusione e per dramma-
ticità. La commedia, ascoltata con la intensa attenzione tradizionale, ebbe un
successo grande.

–, «Sei personaggi in cerca d’autore», ingeniosa comedia de Pirandello, estrona-


da anoche en el Cervantes, «La Razón», Buenos Aires, 8 de agosto 1922.
Había despertado particular interés el estreno de la comedia en tres actos
«Sei personaggi in cerca d’autore», de Luigi Pirandello, ofrecido anoche por la
compañia dramática italiana que actúa en el Cervantes. Pirandello es uno de
los comediógrafos más originales de la Italia de hoy. Aquí no se ignoraba este
titulo discernido por la critica de su pais. Desde luego, el titulo de la obra,
prometía tanto como los mismos antecedentes del autor. «Sei personaggi in
cerca d’autore» se empezó a representar, pues, en medio de la más profunda
expectativa. (…) La situación, como se ve, es bizarra, Pirandello concibe que un
personaje de teatro, que es un ente fícticio, puede corporizar con todos los atri-
butos sensoriales e intelectuales de una persona o ente real. No cuesta mucho
comprender cuanto partido puede spear un hombre de teatro, de la ingeniosa
ocurrencia. (…) De los tres actos de la comedia, el primero tal vez resulte un
poquito recargado de detalles y, por eso, algo fatigoso. Los restantes son breves
y vivos. El público los celebró, bien que no siempre penetrase en la entraña del
asunto ya que el tópico, confesímoslo, es en cierto modo ajeno a su experiencia.
Las señoras Vergani y Frigerio y los señores Almirante, Magheri y Brizzola-
ri, soportan los papeles de responsabilidad. Todo el cuadro que interviene en la
obra, por lo demás, merece mencionarse por su disciplina e idoneidad.

-, «Sei personaggi in cerca d’autore» volvió a rapresentarse con éxito en el Cer-


vantes, «La Nación», Buenos Aires, 11 de agosto 1922.
Esta comedia de Luigi Pirandello, que está conceptuado como el autor de
imaginación más original y procedimientos más imprevistos del teatro con-
temporáneo, es sin duda, un hallazgo novedoso por su asunto y las condiciones
de su desarrollo. Parece que Pirandello se ha propuesto mostrar en esta obra,
de sconcertante y poco atrayente para el esbectador común, los conflictos y
problemas de la creación dramática, la distancia que va de la concepción a la
expresión y a la ejecución escénica: las angustias de la imaginación creadora
por trasformar la realidad y haceria entrar en la esfera del arte. Todo esto en
una pieza que partecipa de lo trágico y de lo cómico y que constituye sin duda
alguna un esfuerzo que tiene mucho de genial. (…) En la dificil interpretación
de la pieza de Pirandello, que el público escuchó con curiosidad y aplaudió, en
su mayor parte sin gran convencimiento, efectuaron una labor my notable las
Sras. Vergani y Frigerio y los Sres. Almirante, Magheri y Brizzolari.
290 Sarah Zappulla Muscarà

–, «Sei personaggi in cerca di un autore», «Gazzetta di Venezia», Venezia, 10


dicembre 1922.
La commedia di Pirandello Sei personaggi in cerca di un autore ha fatto
gremire ieri sera dall’alto in basso la Fenice. Le accoglienze del pubblico sono
state varie. Una buona parte di esso ha applaudito con un calore molto pro-
babilmente superiore all’intima persuasione; è di moda, per gli intellettuali,
ammirare Pirandello. Un’altra parte ha reagito agli applausi con zittii e fischi, e
la reazione fu anch’essa, forse, superiore alla necessità ed alla opportunità, come
avviene di quasi tutte le reazioni. Infine una terza parte non ha né applaudito
né fischiato: ha ammirato l’ingegno straordinario di Pirandello e s’è, sincera-
mente, annoiata. (…) I tre atti furono recitati ammirabilmente; soprattutto
ammirabili furono Vera Vergani e l’Almirante che si rivelano di sera in sera,
sempre più compiutamente, interpreti degni di grande fama e di grande lode.
La concertazione generale della commedia, veramente esemplare, rivelò d’altro
canto nuovamente la perizia di direttore e lo spirito fraterno della collaborazio-
ne che Dario Niccodemi mette al servizio degli autori siciliani. (…)

–, Teatri. Fenice. «Sei personaggi in cerca d’autore», «Il Gazzettino», Venezia,


13 dicembre 1922.
(…) Lavoro di una indiscutibile originalità e di una realizzazione tanto
ardua da sgomentare chiunque non possieda il virtuosismo teatrale del Piran-
dello. (…) Tecnicamente la commedia è un modello: in essa sono scene stu-
pende per vigore tragico e umano. Fra gli esecutori merita d’essere ricordato per
primo Luigi Almirante di una personalità fortissima. Semplice e incisivo egli
ha saputo comunicare veramente l’intimo dramma vissuto. Ottimi il Magheri,
Vera Vergani, la Frigerio, il Brizzolari. (…) Il teatro era affollatissimo. Dopo
ognuno dei tre atti si ebbero ripetute chiamate qualche volta leggermente con-
trastate da isolati zittii.
S. Z. M.
“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia di Dario Niccodemi 291

Bibliografia essenziale
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S. Z. M.
Il piccolo schermo dei Sei personaggi…
di Anton Giulio Mancino

«Troveranno gli spettatori, entrando nella sala del teatro, alzato


il sipario, e il palcoscenico com’è di giorno, senza quinte, né scena,
quasi al bujo e vuoto, perché abbiamo fin da principio l’impressione
d’uno spettacolo non preparato».
Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore.

Per comprendere il profondo senso filmico dell’opera televisiva Sei


personaggi in cerca d’autore serve un salto temporale di dieci anni. Quin-
di un secondo balzo in avanti di quasi altri quarant’anni. Servono in-
somma Dario Argento con Profondo rosso (1975) e Roman Polanski con
Venere in pelliccia (Venus in Furs, 2013) come parziali esempi in grado di
dimostrare che nel 1965 viene compiuta con Sei personaggi in cerca d’au-
tore un’operazione non passiva della messa in quadro rispetto alla messa
in scena. Eppure da quando la Rai-Tv ha trasmesso lo storico spettacolo
della Compagnia dei Giovani diretto da Giorgio De Lullo con Rossella
Falk, Romolo Valli, Elsa Albani, Ferruccio De Ceresa e Carlo Giuffrè,
la sua forma audiovisiva è passata sempre in secondo piano. La data
della prima messa in onda, il 24 settembre del 1965, sembrerebbe essere
stata significativa per ragioni primarie sul piano teatrale e secondarie su
quello cinematografico o televisivo, prevalendo la possibilità offerta nel
corso dei decenni di poter comprendere semmai il tipo di lavoro scenico
fatto da De Lullo con la sua Compagnia dei Giovani sul testo di Luigi
Pirandello.
La novità dunque sarebbe esclusivamente riservata allo spazio e alla
performance in palcoscenico? E le immagini televisive si limiterebbero
a contenerli e a tramandarne il valore assoluto, senza poter vantare con-
testualmente una specifica e ulteriore rielaborazione? Chiunque voglia
quindi studiare sia l’effetto scenico di questa commedia di Pirandello
in generale, sia nello specifico il tipo di approccio scelto dalla Compa-
gnia dei Giovani, non deve far altro che riferirsi direttamente a questa
“cosa”? Insomma, se non «registrazione»,1 come altro chiamarla? Il sug-

1
Cfr. A. Bentoglio, «Sei personaggi in cerca d’autore» di Pirandello per Giorgio
De Lullo, Pisa, ETS, 2007.
294 Anton Giulio Mancino

gerimento lessicale invece merita di essere dal principio un altro. Molto


semplice: la produzione Rai dei Sei personaggi in cerca d’autore, è infatti
un film, senza virgolette. Non l’anonima, seppur preziosa e duratura
ripresa televisiva della messa in scena teatrale.
Oggi non sussisterebbero dubbi, ma all’epoca in cui molti spettacoli
nei teatri ebbero un seguito immediato sul piccolo schermo, al valore
aggiunto della messa in quadro si badava poco. La regia passava dalla
scena allo schermo senza soluzioni di continuità.
Perciò a volerla affrontare con il senno di poi, nella fattispecie piran-
delliana che qui si presenta, la questione registica stessa risulta contro-
versa e irrisolta. Non si può assolutamente parlare di identità tra l’alle-
stimento teatrale e quello che occorre chiamare film, se non chiamando
in causa il rapporto peculiare che intercorre tra il Sei personaggi in cerca
d’autore numero uno, visto dagli spettatori in teatro nel 1964, e il Sei
personaggi in cerca d’autore numero due visto dai telespettatori a partire
dal 1965. Per rendersi sufficientemente conto della fondamentale «dif-
ferenza» nella «ripetizione», secondo la correlazione assegnata da Gilles
Deleuze,2 basterebbe provare magari a domandarsi chi abbia effettiva-
mente diretto Sei personaggi in cerca d’autore con l’occhio puntato dietro
le telecamere Rai di allora o pensando a quel che esse avrebbero dovuto
riprendere, quando e come, per restituire l’evento teatrale pregresso. La
titolarità ufficiale, seguendo i titoli di testa, spetta a Giorgio De Lillo,
nella cui doppia «regia» viene coadiuvato da Luciana Conghia e Lui-
gi Durissi i quali figurano come «assistenti alla regia». I crediti relativi
alle mansioni più strettamente audiovisive, dalle «luci» (Sergio Pesce),
all’«assistente di studio» (Mario Giobbe), al «capo squadra tecnica» (Er-
nesto Latini), al «primo controllo camere» (Sergio Maggi), al «tecnico
audio» (Giulio Ambrogi) e ai «cameramen» (Stelio Bergamo, Giorgio
Bedalov, Vincenzo Bitonti, Giancarlo Caramico) vanno tutte a inserirsi
tra i due suddetti «assistenti alla regia» e infine la «regia» che si distingue
a caratteri maiuscoli. Ma, senza voler troppo approfondire la questione,
onde potersi concentrare sull’effetto cinematografico d’insieme, si può
parlare per questo film di «regia» collettiva. In altre parole, nell’ordine
Giorgio De Lullo, Luciana Conghia e Luigi Durissi, il quale tra l’altro
interpreta sul palcoscenico e davanti alle macchine da presa «il direttore
di scena», non fanno che completare il lavoro del «direttore capocomi-
co», affiancato all’improvviso dal gruppo dei «Sei» intrusi capeggiati dal
«padre» Romolo Valli. Di concerto esprimono quasi tutti idee di regia
aderenti alla verità interna o esterna di «personaggi». Questi tanti “regi-

2
Cfr. G. Deleuze, Différence et répétition, Presses Universitaries de France, Pari-
gi 1968, tr. it., Differenza e ripetizione, Milano, Raffaello Cortina, 1997.
Il piccolo schermo dei Sei personaggi... 295

sti”, titolati o aggiunti, sia pure in veste tragica di «personaggi in cerca


d’autore» si avvicendano, si contrappongono e sovrappongono. Tanto
che già nel gruppo male assortito dei soli «personaggi» alla vocazione
“registica” umiliata e umiliante del «padre» si contrappone spesso quella
rancorosa e antagonista della «figliastra». E assieme, a turno, «padre» e
«figliastra» diversamente vittime dell’ignominia scavalcano le indicazio-
ni del «direttore capocomico» che impartisce a sua volta, come tutti,
ordini al «direttore di scena». Quest’ultimo però, nel ruolo anche di
«assistente alla regia», si preoccupa fuori quadro di dirigere le telecamere
assumendosi in parte la contingente regia televisiva del film.
Il primo dato incontrovertibile è che se l’«autore» reclamato dal se-
stetto di «personaggi» resta confermato Pirandello, solo sul palcoscenico
effettivo le sue mansioni vengono ripartite tra De Lullo, fuori dalla sce-
na, e in scena da De Ceresa e Durissi in veste di teatranti di professione,
quindi da Valli e dalla Falk specialmente in quanto teatranti per disgra-
zia esistenziale. Mentre su quel medesimo palcoscenico e in funzione
delle telecamere si aggiungono anche fuori quadro sempre De Lullo e
Durissi, con il concorso esclusivamente fuori quadro della Conghia.
Questione di aritmetica. Calcolando per difetto, ecco che Sei personaggi
in cerca d’autore, sul piccolo schermo vanta tre registi in più, con com-
piti differenti e supplementari. Poco importa se tali compiti vanno ad
aggiungersi a quelli già ricoperti in scena o fuori scena. Resta il fatto,
per niente tautologico, che un film è un film e che sono stati espletati
con competenza e pertinenza cinematografica. Detto altrimenti Sei per-
sonaggi in cerca d’autore, nel momento in cui ci si richiama all’originale
televisivo realizzato nel 1965, va considerato per quel che è stato dal
principio: un film, appunto, che moltiplica ulteriormente il meccani-
smo del teatro che riflette su se stesso, diventando di fatto un film che
riflette a sua volta un esperimento di teatro sul teatro. In estrema sintesi,
un film sul teatro a sua volta sul teatro.
La crescita a livello esponenziale del fattore registico è innegabile. E
la prova schiacciante contenuta nella scena, del film, che accompagna
come accade appunto al cinema o in televisione, i titoli di testa. Non
c’è infatti alcuna corrispondenza, né sulla carta in Pirandello, né nello
spettacolo portato in teatro per la prima volta nel 1964 dalla Compa-
gnia dei Giovani, di questo lento e prolungato ingresso nel teatro che la
macchina da presa restituisce in un sinuoso, impersonale piano-sequen-
za costruito interamente in soggettiva.
L’«autore» non così scontato di questa idea forte sul piano audiovi-
sivo, non quello evocato sin dal titolo della commedia, che sia stato De
Lullo, la Conghia o Durissi, poco importa stabilirlo ex post, ha certa-
mente portato allo scoperto un problema di fondo di ordine cinemato-
296 Anton Giulio Mancino

grafico molto dibattuto. Adoperando il linguaggio, le parole e i concetti


di Pirandello, come suggerisce questo fluido incipit, serve interrogarsi
sulle «parti» in commedia che assumono le varie macchina da presa
attive, come soggetti autonomi nel parallelo «gioco» di un film degno
di essere definito tale. La soluzione anche di ordine teorico oltre che
pratico al quesito, comune a qualsiasi film, non solo prerogativa di Sei
personaggi in cerca d’autore scambiato a torto per un non-film, è conte-
nuta nel discorso implicito che esibisce quest’unico, insistito e duraturo
movimento che dall’ingresso conduce in teatro, attraversa l’androne,
procede lungo un corridoio, supera la tenda d’accesso alla platea e arriva
in prossimità del palcoscenico dove stanno per cominciare allusivamen-
te le prove del Giuoco delle parti. E senza mai concedere allo spettatore
televisivo un controcampo in grado di rivelare a chi appartenga questo
punto di vista inaugurale. Non è neppure un caso a ben guardare che
le caratteristiche «marche» filmiche l’avvio del singolare “doppione” dei
Sei personaggi in cerca d’autore le condivida con l’unico film di un altro
grande autore teatrale, Samuel Beckett, in veste di sceneggiatore del cor-
tometraggio intitolato appunto Film (1964) diretto da Alan Schneider
e interpretato senza proferire parola da Buster Keaton. Due partenze in
soggettiva, quella di Film e a un anno di distanza di Sei personaggi in
cerca d’autore non sono una coincidenza involontaria, bensì un segnale
junghiano di «coincidenza nel tempo, d’una specie di contemporanei-
tà», donde «il termine “sincronicità”, allo scopo di definire un ipotetico
fattore esplicativo che sta a fronte della causalità con pari legittimità di
questa».3 La «sincronicità» degli esempi concomitanti qui riportati che
si illuminano a vicenda rientra piuttosto nel territorio junghiano che
Giorgio Galli ha poi sviluppato in termini di «coincidenze significative»
applicandolo di volta in volta alla storia, all’esperienza personale, alla
politica e alla letteratura.4
Il sostrato a cui fa riferimento l’utilizzo della tenace soggettiva di Sei
personaggi in cerca d’autore necessita di essere approfondito, perché con-
duce nel cuore della seconda delle «figure dell’assenza» che consentono a
Marc Vernet di confutare sistematicamente l’impressione di «trasparen-
za» che di solito si sopravvaluta al cinema. Ovvero nell’epicentro della
teoria del cinema.
Perché l’individuazione della macchina da presa, che nella sua visto-
sa partecipazione inaugurale di esperimento divulgativo di Sei personag-

3
Cfr. C. G. Jung, Synchronizität als ein Prinzip akausaler Zusammenhänge
(1952), tr. it. La sincronicità, Torino, Bollati Boringhieri, 1980, p. 32.
4
Cfr. G. Galli, Le coincidenze significative. Da Lovecraft a Jung, da Mussolini a
Moro la sincronicità e la politica, Torino, Lindau, 2010.
Il piccolo schermo dei Sei personaggi... 297

gi in cerca d’autore altrimenti ostenta, costituisce da sempre un tabù del


discorso filmico:

siccome la storia tendeva rimuovere il discorso, è meglio non attirare


troppo l’attenzione su questa parte dello spazio dove è collocata la mac-
china da presa e che deve restare non fuori campo ma fuori quadro,
secondo l’opposizione che distingue lo spazio della finzione (campo e
fuori campo) e lo spazio delle riprese, che deve restare fuori quadro.
[…] Una prima caratteristica di questo fuori campo “della macchina da
presa” - si vede subito che l’espressione è rozza, perché la macchina da
presa resta evidentemente fuori quadro - sarebbe allora che al contrario
di tutti gli altri segmenti di fuori campo può esistere senza ragione vali-
da. […] La descrizione abitualmente fatta del dispositivo denominato
“inquadratura soggettiva” indica la necessità di almeno due inquadra-
ture. La prima mostrerebbe nell’immagine un personaggio che guarda
fuori campo verso uno dei due lati del quadro; poi una seconda inqua-
dratura complementare farebbe comparire in campo quanto il perso-
naggio fissava, sistemando la macchina da presa all’incirca nel punto
dove doveva essere il personaggio e secondo l’angolazione stimata del
suo sguardo.5

In tema di ex persone condannate al destino in perpetua replica tea-


trale di «personaggi», per afferrare l’impatto decisamente pirandelliano
del procedimento messo in atto da Sei personaggi in cerca d’autore sul
piccolo schermo

si può quindi dare per acquisito il fatto che la “soggettiva” non ha nien-
te della macchina da presa restata fuori quadro, e poco della soggetti-
vità, poiché nulla si apprende degli stati d’animo del personaggio. Una
cosa tuttavia è sicura: non si può dire che l’inquadratura “soggettiva”
annulli il personaggio. La descrizione tradizionale di questo dispositivo
ci insegna almeno questo: quando c’è un raccordo sullo sguardo fuori
campo così che la macchina da presa gli si sostituisca nella seconda
inquadratura, prendendone il posto essa non si limita a renderlo invisi-
bile: essa lo riduce al suo sguardo, che rimane così nel campo il solo ele-
mento della sua presenza nel quinto segmento percettibile - per non dire
visibile. In questa seconda inquadratura di raccordo, può accadere che
non ci sia niente che segnali propriamente la presenza della macchina
da presa e che la soggettività attribuita dipenda solo dal raccordo con
l’inquadratura precedente.
È pure possibile che la seconda inquadratura presenti parametri vi-
sivi, marche percettibili che ne indicano lo statuto soggettivo. […] La

5
M. Vernet, Figures de l’absence. De l’invisible au cinéma Le figure dell’assenza.
L’invisibile al cinema, Parigi, Cahiers du Cinéma-Editions de l’Étoile, 1988, tr. it.
Figure dell’assenza. L’invisibile al cinema, Torino, Kaplan, 2008, pp. 34-35.
298 Anton Giulio Mancino

prima caratteristica di queste marche è innanzitutto la loro codificazio-


ne. D’altronde sono a tal punto codificate da poter essere autonome:
detto altrimenti, appaiono indipendentemente da una posizione della
macchina da presa che mimi la posizione del personaggio al quale esse
attribuiscono l’origine della visione. E la loro autonomia può essere tale
che possono assolvere alla propria funzione senza offuscare quella che
si considera abitualmente la trasparenza dello spazio cinematografico.6

Ma se una soggettiva si dà costantemente a vedere marcando di ne-


cessità, a beneficio dello spettatore, l’inquadratura in svariati modi,

l’identificazione primaria dello spettatore (con la macchina da presa)


può talvolta farsi carico dell’identificazione secondaria (con il perso-
naggio), senza tuttavia confondersi “fisicamente” con essa. Le due si
confondono quando, nello spazio delle riprese come in quello della
storia, la posizione e l’asse della macchina da presa coincidono con la
posizione del pèrsonaggio e l’asse del suo sguardo: questo la nozione di
soggettiva comunemente designa; e questo i primi narratologi del cine-
ma hanno ribattezzato focalizzazione od ocularizzazione, allorquando
erano più attenti al realismo baziniano - confondendo personaggio e
persona, ma soprattutto spazio cinematografico e spazio reale -, che a
come il linguaggio cinematografico gestiva il racconto filmico. Iden-
tificazione primaria e secondaria non si confondono quando il perso-
naggio è nell’immagine, e nondimeno lo spettatore pensa di poter at-
tribuire l’immagine a quanto il personaggio vede o pensa. […] Questa
dissociazione spaziale della macchina da presa e del soggetto a favore di
un’associazione empatica dovrebbe far preferire al termine “soggettiva”
(o “semisoggettiva” come dice [Jean] Mitry) quello di campo personaliz-
zato (come si parla di “ambiente personalizzato”), per segnalare come il
campo abitualmente neutro riceva marche particolari che modificano il
suo statuto a beneficio di un personaggio, del quale in questo modo la
macchina da presa assume in parte o del tutto la posizione, geografica
o meno, fisica o meno. […] Insomma, nel linguaggio cinematografico
esistono esponenti dell’immagine che segnalano nel campo la presenza
di un personaggio che guarda, assente o meno dallo schermo. Codifi-
cati, e dunque talvolta autonomi, questi esponenti sono più o meno
costanti nella storia del cinema. […] Se nella descrizione tradizionale
della soggettiva si ha a che fare con due inquadrature successive, in cui il
visto si deduce dal vedente, è anche possibile inferire il vedente dal visto
solo riconoscendo nell’immagine uno o più esponenti, con il compito
di significare nel campo la presenza-assenza di un personaggio fuori
campo, “dotato di sguardo”.
Il meno rilevato di questi parametri si potrebbe chiamare compo-
sizione voyeuristica, tipica di quelle situazioni nelle quali non si vuole

6
Ivi, p. 36.
Il piccolo schermo dei Sei personaggi... 299

presentare nell’immagine colui che guarda. Ovviamente ci vuole ben


altro che un semplice tratto visivo riguardante il campo. Ci vuole per
esempio l’indicazione di una situazione diegetica in cui un personaggio
visto nell’immagine è minacciato e dunque osservato da un terzo. Po-
sta questa condizione, sarà sufficiente svincolare la macchina da presa
dal personaggio visibile al quale è normalmente attaccata e spostarla a
qualche distanza, dietro un ostacolo alla visione non antropomorfo, per
rendere percepibile la presenza di un personaggio invisibile.7

A questo punto, chiarita a larghe linee la strategia operativa della


soggettiva cinematografica come strumento per spiazzare lo spettatore
e costringerlo a interrogarsi, attraverso la macchina da presa che si fa
schermo di una non-persona dai contorni occultati di personaggio as-
sente, la palla torna al caso di studio di Sei personaggi in cerca d’autore.
Per questo non c’è da sorprendersi che l’espediente utilizzato in questo
film intrinsecamente pirandelliano grazie al senso di spiazzamento esi-
stenziale trasferito di continuo dai personaggi agli spettatori televisivi,
abbia contagiato due cineasti molto in confidenza con la suspense, la
paura, e le soggettive. Dario Argento e Roman Polanski a turno, volenti
o nolenti citano la scena televisiva di Sei personaggi in cerca d’autore,
quando cioè un signor nessuno, ulteriore e invisibile «personaggio in
cerca d’autore» al riparo da sguardi indiscreti, avanza fino ad arrivare ai
piedi del palcoscenico. Non lo si vede in volto perché è costui a guar-
dare. E guardando non si fa guardare, come nei gialli, nei thriller o nei
polizieschi in cui si vuole mantenere celata l’identità dell’assassino o del
colpevole. La sola “colpa” del «personaggio» in commedia di Pirandello
è quella di esistere. E lo spettatore non ha altra scelta che seguirlo, ve-
dere ciò che lui vede, senza poterlo identificare poiché la sua presenza/
assenza coincide con quella del fantasma di un autore “ricercato”.
In Sei personaggi in cerca d’autore quindi la macchina da presa si
vede poiché vede al posto degli spettatori davanti al televisore. Entrando
l’entità cinematografica alza subito lo sguardo dalle pareti al soffitto,
passando in rassegna i vari maestosi lampadari. La prima svolta perpen-
dicolare destra mantiene sullo schermo la rassegna dei nomi e dei ruoli
degli attori e dei personaggi, la seconda svolta che porta diritto in platea,
oltre la tenda, restituisce una a una tutte le figure che hanno concorso
specificamente alla «regia» anche del film. Se si ha ben impressa nel-
la memoria questa premessa estremamente filmica che ha come spazio
dell’azione quello teatrale, secondo un principio di rispecchiamenti re-
ciproci, diventa facile ritrovarla testualmente riprodotta quando la pre-
sunta e altrettanto invisibile entità criminale varca la soglia della platea
7
Ivi, pp. 36-39.
300 Anton Giulio Mancino

in Profondo rosso, per assistere ad una dimostrazione pubblica, molto


teatrale e perciò “plateale” di parapsicologia.
Sarebbe lecito chiedersi a questo punto se Dario Argento abbia volu-
to citare proprio Sei personaggi in cerca d’autore, visto che specialmente
in Profondo rosso, ma anche in molti altri suoi film adopera volentieri at-
tori di teatro (la più alta concentrazione è proprio in Profondo rosso con
Gabriele Lavia, Glauco Mauri, Giuliana Calandra), compresa Rossella
Falk, a proposito di Compagnia dei Giovani, in Nonhosonno (2000).
Senza contare le tante volte che sceglie il teatro come scena del delitto.
Fatto sta che volente o nolente, considerata l’evidenza, anche stavol-
ta c’entrano o la volontà o le «coincidenze significative». E ritornano
puntuali nell’analogo incipit di Venere in pelliccia di Polanski, altro film
senza equivoci che pure rimette in scena e a maggior ragione in quadro
una fatale prova teatrale. Daccapo lo spettatore partecipa della foca-
lizzazione dapprincipio impersonale e sovrumana che come tale torna
alla fine a riconfigurarsi con opportuno movimento della macchina da
presa, sempre in soggettiva, simmetrico e opposto. Il soggetto/autore
della soggettiva resta sconosciuto finché il movimento della macchina
da presa che lo veicola non investe lo spazio esterno, di proprietà riser-
vata del film. Varcata da subito la sintomatica soglia del teatro come
in Sei personaggi in cerca d’autore e Profondo rosso giunge in Venere in
pelliccia il raccordo temporaneo tra campo e controcampo che provvede
a ricondurre il movimento soggettivo al personaggio femminile con il
compito diabolico di stravolgere l’impianto e il rinnovato «gioco delle
parti», ergo gli abiti e la posizione del potere (registico, maschile, auto-
riale e autoritario).8
Nei casi sia di Argento che di Polanski occorrerebbe peraltro inten-
dersi sulla componente che si scopre prima o poi femminile dell’in-
quadratura soggettiva. In Venere in pelliccia questa reincarnazione del
bisogno pirandelliano di Sei personaggi in cerca d’autore di decostruire
il dispositivo tradizionale, univoco e ordinario, attraversa dapprincipio
l’ampio viale parigino collocandosi e scivolando tra due file simmetriche
di alberi, deviando quindi a destra per introdursi nel teatro. E al termine
esce replicando a ritroso il percorso mantenendo la soggettiva, libera
ormai dall’obbligo di qualsiasi controcampo personificante. L’indizio
principe del procedimento semantico attuato va cercato nell’edificio
canonico in cui la donna sostituita e reinterpretata dalla macchina da
presa si immette: non si tratta semplicemente di un teatro, ma un «t…

8
Cfr. A. G. Mancino, La dismissione dell’uomo contemporaneo, «Cineforum», n.
530, dicembre 2013, pp. 20-23.
Il piccolo schermo dei Sei personaggi... 301

eatre». Sull’insegna in alto manca di proposito, nell’accezione lacaniana


quella «H» cubitale che siglerebbe altrimenti la piena corrispondenza
tra la commedia e il film, e con essa il consueto dominio, ergo la fago-
citazione («EAT») del teatro nei confronti del cinema che per decenni
ha penalizzato anche l’insospettabile, acuta consistenza filmica di Sei
personaggi in cerca d’autore.
Parlare di “riduzione” televisiva dello spettacolo teatrale per questo
film che si schermisce, in tutti i sensi, sul piccolo schermo, è improprio
oltre che ingeneroso. Le carrellate in avanti di cui si è detto scandite dai
pirandelliani colpi di martello, simili ad una colonna sonora ritmica e
minimalista, creano una combinazione di immagini e suoni che precede
il testo principale e universalmente noto. Ma anche quando è in cor-
so l’ordito di Pirandello la componente cinematografica non smette di
contare con l’agile complicità di inquadrature virtuosistiche che postu-
lano uno spettatore di tipo cinematografico o televisivo, senza soluzioni
di continuità. Nonostante siano state adoperate più telecamere la dialet-
tica tra campo e controcampo non è mai schematica, fissa e ridondante.
C’è persino un ricorso molto attento agli obiettivi grandangolari nelle
inquadrature larghe per mantenere a fuoco tutti durante l’interazione
fisica e verbale. Mentre nelle gamma di inquadrature strette, dai primi
piani fino ai primissimi piani e ai dettagli degli occhi, principalmente
quelli di Valli e della Falk che pronunciano le battute chiave del testo,
lo sfondo resta sfocato per aumentare la concentrazione di quel tipo di
spettatore in differita. Nel teatro avvolto nella penombra non ci sono
neppure spettatori, come a teatro quando si assiste fisicamente in silen-
zio allo spettacolo. Davvero, sulla falsariga esatta delle indicazioni scrit-
te in corsivo da Pirandello, il teleschermo restituisce quel primigenio
«palcoscenico com’è di giorno, senza quinte, né scena, quasi al bujo e
vuoto». I «personaggi» ripresi sempre dal basso, senza smarrire il colle-
gamento con il soffitto, i riflettori che irradiano luce e le assi di legno
che calcano, si distinguono ogni volta dagli attori di routine, stretti in
mediocri prospettive frontali.
Se si volesse individuare, in punta non di piedi ma di cinema, un
altro esemplare con cui questo Sei personaggi in cerca d’autore dialoga in
quegli anni, nel comune obiettivo di creare un cortocircuito contiguo
tra meta-teatro pirandelliano e meta-cinema felliniano, la scelta obbli-
gata cadrebbe sul capolavoro 8½ (1963) tra i cui protagonisti guarda
caso c’è Rossella Falk.
INDICE

Rino Caputo, Università Roma Tor Vergata


Il Personaggio e l’Autore. Pirandello celebra Dante 5

Michael Rössner, Presidente dell’Istituto di studi culturali e storia


del Teatro e dell’Accademia delle Scienze, Vienna - Università di Bonn
Sei personaggi trovano due (o vari) autori: le vie traverse 19
del successo dei Sei personaggi nel mondo di lingua tedesca

Pasquale Guaragnella, Università di Bari


Grovigli d’autore e senno di poi. Note sulla Prefazione 31
ai Sei personaggi

Guillame Bernardi, Regista, York University di Toronto, Canada


Come fare laboratorio teatrale 57
con i Sei personaggi in cerca d’autore

Alessandro Tinterri, Università di Perugia


Sei personaggi in cerca d’autore ovvero 65
Pirandello nostro contemporaneo

Beatrice Alfonzetti, Università “La Sapienza” di Roma


La “tragedia classica rinnovata” dal finale fisso e circolare 79

Annamaria Andreoli, Università dell’Aquila-Presidente dell’Istituto


di Studi Pirandelliani e del Teatro Contemporaneo di Roma
Dinamiche di generi nei Sei personaggi in cerca d’autore 95

María Belén Hernández González, Università di Murcia, Spagna


Sei personaggi in cerca d’autore nella scena spagnola; 103
prospettive dopo un secolo

Jorge Dubatti, Direttore dell’Istituto di Arte e Spettacolo


Università di Buenos Aires, Argentina
Pirandello in Argentina: nuovi approcci. Sei personaggi in cerca 117
d’autore in scena a Buenos Aires e nella provincia di Buenos Aires

Novella Di Nunzio, Università di Vilnius, Lituania


Pirandello in Lituania: il caso del teatro 129
304

Mariagabriella Cambiaghi, Università Statale di Milano


Dai Sei personaggi alla Trilogia: un itinerario tra testo 149
e rappresentazione

Ivan Pupo, Università di Cosenza


Nel retrobottega dell’esperimento. 163
Sei personaggi tra Dostoevskij e Crémieux

Graziella Corsinovi, Università di Genova


La genesi del personaggio: un percorso tra filosofia, 185
psicologia, metapsichica, teosofia attraverso i seduttivi
input critici di Luigi Capuana

Maria Rosaria Vitti-Alexander, Nazareth College, Rochester


New York, Stati Uniti
Ricezione, messinscene e traduzioni del dramma 203
Sei personaggi in cerca d’autore negli Stati Uniti

Donato Santeramo, Queen’s University, Kingston, Toronto, Canada


Ricezione, messinscena e traduzione di Sei personaggi (1921) 213
allo Shaw Festival in Canada

Paolo Puppa, Università di Venezia


Sei personaggi in cerca di regista. Gli ultimi cinquant’anni 223
di messinscene

Sarah Zappulla Muscarà, Università di Catania


“Divina inarrivata inarrivabile Vera” e la Compagnia 235
di Dario Niccodemi

Anton Giulio Mancino, Università di Macerata


Il piccolo schermo in cerca dei Sei personaggi... 293
Finito di stampare nel mese di marzo 2021
dalle Edizioni Lussografica di Caltanissetta

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