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GIOVANNI VERGA

VITA

Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di agiati proprietari terrieri. I primi studi li svolse
con maestri privati tra cui Antonino Abate, da cui assorbì il patriottismo e il gusto letterario romantico. A 18
anni si iscrive alla facoltà di legge che non terminò per dedicarsi alla letteratura e al giornalismo politico.
Pubblicò a sue spese il romanzo “I carbonari della montagna”. Verga lascia la provincia e si reca una prima
volta a Firenze che al tempo era la capitale e ci soggiorna a lungo sapendo che per diventare scrittore
doveva venire a contatto con la vera società letteraria italiana. Si trasferisce poi a Milano dove entra in
contatto con gli ambienti della scapigliatura. In questo periodo scrisse tre romanzi: Eva, Eros e Tigre reale.
Avviene la svolta verso il verismo con la pubblicazione del racconto “Rosso Malpelo” e seguono la “Vita dei
campi”, “I Malavoglia”, “Novelle rusticane”, “Per le vie”, “Cavalleria rusticana” e “Mastro-don Gesualdo”.
Andò poi a vivere definitivamente a Catania e compone l’ultimo dramma intitolato “Dal tuo al mio” e si
chiude in un silenzio totale dedicandosi alle proprietà agricole che aveva ed era ossessionato dalle
preoccupazioni economiche. Le sue posizioni politiche erano chiuse e conservatrici. Muore nel gennaio del
1922, l’anno della marcia su Roma e la salita al potere del fascismo.

I ROMANZI PREVERISTI

1) Una peccatrice: (1866, Catania): romanzo fortemente autobiografico che narra la storia di un
intellettuale piccolo borghese siciliano che conquista il successo e la ricchezza ma vede inaridirsi
l’amore per la donna sognata, causandone così il suicidio.
2) Storia di una capinera: (1871, Firenze): romanzo sentimentale che narra di un amore impossibile e di
una monacazione forzata assicura a Verga un notevole e duraturo successo
3) Eva: (Milano): storia di un giovane pittore siciliano che brucia le sue illusioni e ideali artistici
nell’amore per una ballerina, simbolo della corruzione di una società materialista, protesa verso i
piaceri che disprezza l’arte e asservisce al suo bisogno di lusso.
4) Eros: storia del progressivo inaridirsi di un giovane aristocratico corrotto da una società raffinata e
vuota.
5) Tigre reale: giovane innamorato di una donna fatale e divoratrice di uomini.

I romanzi sono reputati esempi di realismo e si iscrivono in un clima ancora tardo romantico rappresentando
ambienti aristocratici, sono anche scritti in un linguaggio enfatico ed emotivo.

LA SVOLTA VERISTA

❖ Rosso Malpelo: nel 1878 dopo 3 anni di silenzio. È un racconto che narra la storia di un garzone di
miniera che vive in un ambiente duro e disumano con un linguaggio nudo e scabro. Fu la prima
opera della maniera verista ispirata a una rigorosa impersonalità.
❖ Nedda: un bozzetto di ambiente siciliano che descriveva la vita di miseria di un bracciante ma il
racconto non può essere considerato un preannuncio della svolta.

L’andamento verso il verismo si reputa come una conversione, una chiarificazione progressiva di propositi
già radicati. Una concezione materialistica della realtà e L’impersonalità. Verga però non vuole
abbandonare gli ambienti dell’alta società per quelli popolari.

POETICA E TECNICA NARRATIVA DEL VERGA VERISTA

Alla base del nuovo metodo narrativo vi è il concetto di impersonalità. Secondo la sua visione, la
rappresentazione artistica deve conferire al racconto l'impronta di cose realmente accadute, per fare
questo deve essere raccontato in modo da porre il lettore faccia a faccia col fatto nudo e schietto. Per
questo lo scrittore deve eclissarsi, al contrario della narrativa tradizionale, e mettersi nella pelle dei suoi
personaggi, vedendo le cose coi loro occhi ed esprimerle con le loro parole. Il lettore avrà l'impressione di
assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi. Nonostante questo possa creare confusione nelle prime
pagine, gli attori si faranno conoscere con le loro azioni e le loro parole, creando l'illusione completa della
realtà, eliminando ogni artificiosità letteraria. La teoria dell'impersonalità è, per Verga, un suo personale
programma di poetica, di un modo di dar forma all'opera, Verga è consapevole che l'impersonalità è solo
un procedimento espressivo, per ottenere certi effetti artistici. Il narratore si mimetizza nei personaggi stessi e
il punto di vista dello scrittore si colloca tutta all'interno del mondo rappresentato. I fatti non passano
attraverso la lente dello scrittore. Un esempio è fornito dall'inizio di Rosso Malpelo: “Malpelo si chiamava
così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo”.
L’affermazione non deriva dall'intellettuale borghese che era Verga e rivela una visione primitiva e
superstiziosa della realtà, estranea alle categorie razionali di causa ed effetto, che vede nell'individuo
diverso un essere segnato da un'oscura maledizione. Il narratore non informa mai sul carattere e sulla storia
dei personaggi, al contrario di Manzoni, e non offre dettagliate descrizioni dei luoghi dove si svolge l'azione.
qualora la voce narrante dovesse commentare o giudicare i fatti, lo fa in base alla visione elementare e
rozza della collettività popolare.

L’IDEOLOGIA VERGHIANA

Secondo Verga chi osserva la lotta per l'esistenza non ha il diritto di giudicarla. Verga ritiene che l'autore
debba eclissarsi dall'opera perché non ha il diritto di giudicare la materia che rappresenta. Alla base della
visione di Verga stanno posizioni radicalmente pessimistiche: la società umana è dominata dal
meccanismo della lotta per la vita, dove il più forte schiaccia il più debole. La generosità e l'altruismo non
possono esistere davvero perché gli uomini sono mossi dall'interesse economico, dalla ricerca dell'utile,
dall'egoismo e dalla voglia di sopraffare gli altri. Questa legge è universale e domina ogni società, umana e
non. Verga ritiene che non si possano dare alternative alla realtà esistente e che solo la fiducia nella
possibilità di modificare il reale può giustificare l'intervento dall'esterno nella materia; dunque, ogni
intervento giudicante appare inutile e privo di senso poiché questa legge rimarrà per sempre. La letteratura
non può contribuire a modificare la realtà; la tecnica impersonale usata da Verga scaturisce dalla sua
visione del mondo pessimistica ed è per lui il modo più adatto per esprimerla. Il pessimismo consente a
Verga di cogliere con grande lucidità ciò che vi è di negativo nella realtà e metterlo in luce con
implacabile precisione. Verga rappresenta con grande acutezza l'oggettività delle cose, lasciandole
parlare da sé, eloquentemente. Il pessimismo è dunque la condizione del suo valore conoscitivo e critico e
assicura Verga l'immunità da quei miti che trasformano la letteratura in mediocre veicolo di grossolana
mitologia (mito del progresso, mito del popolo). Nelle opere veriste di Verga non si riscontra l'atteggiamento
populistico che consiste nella pietà sentimentale per le miserie degli umili. Il duro pessimismo che si
concentra sugli aspetti più crudi della realtà mortifica in Verga ogni possibile abbandono al patetismo
umanitario. La scelta di regredire nell'ottica popolare, il raccontare dal punto di vista della lotta per la vita
costituisce la dissacrazione più impietosa di ogni mito populistico progressivo. Il pessimismo induce Verga a
vedere che anche il mondo primitivo della campagna è eretto dall'interesse economico, egoismo, ricerca
dell'utile e sopraffazione, che pongono gli uomini in costante conflitto tra loro.

IL VERISMO DI VERGA E IL NATURALISMO ZOLIANO

La principale differenza tra Verga e Zola si nota nelle tecniche narrative. Nei romanzi di Zola la voce che
racconta riproduce il modo di vedere e di esprimersi dell'autore, che guarda dall'esterno e dall'alto la
materia, intervenendo con giudizi, sia espliciti che impliciti. Tra il narratore e i personaggi vi è un distacco
netto ed esplicito. Una parziale eccezione è costituita dall'Assomoir, dove Zola si propone di riprodurre il
gergo particolare dei proletari parigini. Per gran parte del romanzo sussiste una netta distinzione fra il piano
del narratore e quello dei personaggi e il gergo è impiegato solo se e dove sono i personaggi popolari ad
esprimersi. Le zone dove è il narratore a parlare presentano prevalentemente un linguaggio letterario e
colto lontanissimo dal gergo, da cui traspare il giudizio dell'autore. Zola risulta estraneo alla originalissima
tecnica verghiana della regressione e la sua impersonalità è diversa da quella di Verga: per Zola
l'impersonalità significa assumere il distacco dello scienziato, e si allontana dall'oggetto per osservarlo
dall'esterno e dall'alto; per Verga significa immergersi ed eclissarsi nell'oggetto. Zola è uno scrittore
borghese democratico che ha di fronte a sé una realtà sviluppata dal punto di vista industriale. Verga è il
tipico galantuomo del sud, il proprietario terriero conservatore e ha di fronte a sé una borghesia parassitaria
e masse contadine estranee alla storia.

VITA DEI CAMPI

La rapida svolta avvenuta in soli tre anni, con l'adozione di nuovi modelli narrativi, avvenne grazie
all'influenza della letteratura di Zola, i cui i romanzi erano già diffusi. Ma fu proprio l'Assomoir a suggerire a
Verga la tecnica narrativa della regressione, che divenne l'elemento caratterizzante della sua narrativa
verista. L'Assomoir fornì a Verga solo uno spunto iniziale che egli poi sviluppò in direzione diversa da quella
di Zola. Un'influenza determinante esercitò Capuana, che contribuiva a diffondere la conoscenza di Zola.
La nuova poetica inaugurata con Rosso Malpelo è continuata da Verga in una serie di altri racconti
pubblicati su varie riviste nel volume Vita dei Campi: Cavalleria rusticana e La lupa. Anche in questi
racconti viene applicata la tecnica narrativa dell'impersonalità, che consiste nell'eclisse dell'autore e nel
trasferimento della voce narrante nel punto di vista del mondo popolare. Accanto alla rappresentazione
verista e pessimistica si può trovare un atteggiamento romantico, basta pensare alla figura della "donna
fatale" dipinta nelle Lupa, che scatena la violenza sanguinaria. In Verga in questo periodo vi è una
contraddizione tra tendenze romantiche, della sua formazione e le nuove tendenze veriste, che lo portano
a studiare il meccanismo sociale e a comprendere che anche il mondo rurale è dominato dalle stesse
leggi del mondo cittadino.

IL CICLO DEI VINTI

Verga concepisce anche il disegno di un ciclo di romanzi che riprende il modello già affermato dai
Rougon- Macquart di Zola, che pone al centro la volontà di tracciare un quadro sociale, delineare la
fisionomia della vita italiana moderna, passando in rassegna tutte le classi. Criterio unificante è il principio
della lotta per la sopravvivenza, che lo scrittore ricava dalle teorie di Darwin sull'evoluzione delle specie
animali. Verga decide però di narrare i vinti e non i vincitori. Nel primo romanzo “I Malavoglia” il narratore si
adegua alle categorie mentali e al linguaggio dell'ambiente popolare, mentre nel Gesualdo si innalza in
corrispondenza di ambienti sociali più elevati. ll primo romanzo del ciclo è I Malavoglia, che trattavano
della ricerca del meglio, si passa poi all'avidità di ricchezza nella borghesia con Mastro-Don Gesualdo, alla
vanità aristocratica con la Duchessa de Leyra. Anche lo stile e il linguaggio si adatta alle condizioni sociali.

LE NOVELLE RUSTICANE, PER LE VIE, CAVALLERIA RUSTICANA

Nel 1883 escono le novelle rusticane che ripropongono personaggi e ambienti della campagna siciliana, in
una prospettiva amara e pessimistica che evidenzia il dominio esclusivo dei movimenti economici nell'agire
umano. Un'indagine analoga viene fatta nelle novelle di “Per le vie” pubblicata nello stesso anno. Nel 1884
Verga tenta l'esperienza del teatro con il dramma Cavalleria Rusticana, che ottiene un clamoroso successo
di pubblico.

- Cavalleria rusticana: è la storia di compare Turiddu fidanzato con Lola, dopo essere tornato dal
militare trova la fidanzata con un uomo ricco: Alfio Carrettiere, che poi sposa. Lui, poverissimo, deve
invece lavorare come guardiano di terra presso il vicino di casa di Alfio, Cola. Per vendicarsi fa
innamorare di sé la figlia di Cola, Santa. Lola si ingelosisce e approfittando dell'assenza di Alfio, invita
Turiddu a casa sua. Santa se ne accorge ed informa Alfio, i due si affrontano a duello: Alfio acceca
con della sabbia Turiddu e lo accoltella a morte
- La roba: un contadino di umili origini di nome Mazzarò, dopo aver lavorato tutta la vita, riesce ad
accumulare una ricchezza considerevole senza mai godersi però nulla. Mangiava pane e cipolle
per risparmiare; non spendeva soldi per niente, non fumava e non aveva vizi. Non aveva parenti, ne
figli, né alcun affetto. Diventando vecchio impazzisce per dover lasciare la sua roba, incominciò ad
ammazzare animali dicendo: roba mia vienitene via con me.

La roba ha come tema chiave l'immagine del self-made man, la celebrazione dell'accumulo capitalistico,
l'eroismo e la disumana negatività del protagonista e lo stravolgimento dei valori.

IL MASTRO DON GESUALDO

Nel 1889 esce il secondo romanzo del ciclo dei vinti, Mastro-don Gesualdo. A differenza dei Malavoglia,
l'azione si svolge nei primi decenni dell'Ottocento, in un’ Italia preunitaria e ha una collocazione geografica
nella cittadina di Vizzini. Gesualdo Motta, con la sua intelligenza ed energia infaticabile, da semplice
muratore arriva ad accumulare una fortuna. La sua ascesa sociale inizia con il matrimonio con Bianca Trao,
discendente da una famiglia nobile, ma in rovina. Il protagonista credeva che il matrimonio potesse aprirgli
le porte del mondo aristocratico, tuttavia, resta escluso dalla società nobiliare che lo disprezza per le sue
origini. Anche la moglie non lo ama. Nasce una bambina Isabella, che però è frutto di una relazione di
Bianca con un cugino. Isabella crescendo respinge a sua volta il padre vergognandosi delle sue origini e gli
crea un'altro dolore innamorandosi di un cugino povero e fuggendo con lui. Per riparare, Gesualdo la dà in
moglie al Duca de leyra, ma deve sborsare una dote spropositata. Tutte queste amarezze minano la salute
di Gesualdo che si ammala di cancro al piloro, il protagonista trascorre i suoi ultimi giorni in solitudine e
muore solo, sotto lo sguardo infastidito e sprezzante di un servo.

Verga resta fedele al principio dell'impersonalità e colloca il romanzo in un ambiente borghese e


aristocratico, innalzando il livello del narratore, per riprendere i suoi diritti e ha uno sguardo lucidamente
critico e sarcastico, mettendo in luce le bassezze dei personaggi. Il Gesualdo ha al centro una figura di
protagonista, e si stacca dallo sfondo popolato di figure. E’ la storia di un individuo eccezionale, dalla sua
epica ascesa e della sua caduta.

Nel Gesualdo scompare la bipolarità tra personaggi depositari dei valori e rappresentanti della legge e
della lotta per la vita, presente nei Malavoglia. Il conflitto tra i due poli qui si interiorizza, passando all'interno
di un unico personaggio. Gesualdo conserva in sé un bisogno di relazioni umane autentiche, nonostante
passi la sua intera vita alla conquista della roba. Gli impulsi generosi e i bisogni affettivi sono soverchiati
dall'attenzione gelosa all'interesse economico, la roba è il fine primario della sua esistenza, portandolo ad
essere disumano. Il romanzo sottolinea che in Verga non vi è più alcuna tentazione idealistica, respingendo
fuori dei suoi confini i valori disinteressati: Verga è approdato ad un verismo rigorosamente conseguente ed
il suo pessimismo è diventato assoluto.

Gesualdo, dalla sua lotta per la roba, ha ricavato odio, amarezza e dolore. Proprio perché conserva in sé
un'esigenza di affetti autentici e di moti generosi, può assumere coscienza di questo totale fallimento del
suo ambizioso disegno e di tutta la sua esistenza e trarre alla fine un desolato bilancio. La lotta epica
dell'eroe faustiano della roba ha come fine un totale fallimento esistenziale. Gesualdo è un vincitore
materialmente, ma è un vinto sul piano umano.

L’ULTIMO VERGA

Dopo il Gesualdo Verga lavora al terzo romanzo del ciclo dei vinti: La duchessa de Leyra, mai portato a
compimento. Di questo romanzo ci resta solo il primo capitolo. Gli ultimi due romanzi del progetto iniziale
(L'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso) non saranno neanche affrontati. Ormai lo scrittore era stanco e
vecchio e trovava difficoltà ad affrontare con il metodo prescelto gli ambienti dell'alta società e le
psicologie complesse raffinate. Inoltre, vi era il logoramento dei moduli veristi, sostituiti da una nuova
narrativa di vasto successo, che trattava della stessa materia ma da una prospettiva diversa da quella
veristica. Nell 1893 Verga torna a Catania, rinunciando alla letteratura. Pubblica ancora raccolte di novelle,
I ricordi del Capitano d'Arce e Don Candeloro & C. Tuttavia, lavora ancora per il teatro, riducendo per le
scene La Lupa e facendo rappresentare Dal tuo al mio. Sono opere stanche che non aggiungono nulla di
nuovo alla sua produzione.

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