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GIOVANNI VERGA

LA RIVOLUZIONE STILISTICA E TEMATICA


Con l’adesione di Verga al verismo l’autore abbandona la prospettiva onnisciente, quell’atteggiamento di
dominio ideologico e di giudizio dall’alto, per il punto di vista dei personaggi: lo scrittore si annulla, non
manifesta più direttamente i propri sentimenti e le proprie ideologie, e assume invece l’ottica narrativa dei
suoi stessi personaggi.
Prima dell’adesione Dopo l’adesione
Brano di riferimento: Nedda Brano di riferimento: Rosso Malpelo
Il narratore interviene di continuo per commentare Il narratore coincide con il personaggio popolare
la vicenda e per prendere le parti della sua che racconta la vicenda dal punto di vista della
protagonista. comunità che perseguita il povero ragazzo: l’ottica
del racconto è quella stessa degli aguzzi e l’autore
non interviene mai a difendere il proprio
personaggio
“Le comari la chiamavano sfacciata, perché non era “Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli
stata ipocrita, e perché non era snaturata”: Le rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo
spiegazioni causali sono date dall’autore-narratore, malizioso e cattivo”: la voce narrante spiega i fatti
che interviene direttamente a ristabilire la verità con nessi causali che l’autore non potrebbe
difendendo la ragazza dalle accuse. accettare né condividere ma quest’ultimo non
interviene mai a ristabilire la verità. Si apre in tal
modo un divario fra il punto di vista esplicito del
narratore e quello implicito dell’autore (artificio
dello straniamento).

Le coraggiose scelte narrative di Verga nascono da una crisi storica: è uno degli ultimi rappresentanti della
generazione romantico-risorgimentale e ne vive le contraddizioni.
 Il protagonismo culturale e ideologico degli intellettuali, tipico dell’età romantica, percepibile nelle
prime opere verghiane, si rivela impossibile nella nuova Italia dominata dall’interesse economico e
dal potere delle banche e delle imprese industriali. Occorre qui limitarsi a un compito di
documentazione scientifica: da qui l’adesione al Verismo e all’impersonalità.
Se in un primo momento Verga reagisce cercando ancora una possibilità di valori alternativi nella
società arcaico-rurale siciliana, poi approda a un conseguente pessimismo materialistico che constata
ovunque il trionfo dell’interesse e della roba.
Malavoglia Mastro-don Gesualdo
Un filo di simbolismo romantico convive ancora Un’ottica integralmente critico-negativa, un
con il pessimismo materialistico dell’autore realismo duro e corrosivo, senza speranza.

LA FASE ROMANTICA DELL’APPRENDISTATO CATANESE: DAL ROMANZO PATRIOTTICO AL


ROMANZO D’AMORE
La formazione giovanile di Verga è provinciale e attardata, ancora tutta interna al clima romantico. Basta
pensare al suo primo romanzo pubblicato “I carbonari della montagna”: è proposto come un “romanzo
storico”, quando ormai da 20 anni la stagione di questo tipo di romanzo era già tramontata e la narrativa si
stava orientando verso il romanzo di storia contemporanea o il romanzo-confessione.
Nella produzione catanese si avverte una chiara linea di sviluppo:
amore e patria L’elemento patriottico è determinante
i carbonari della montagna
Sulle lagune L’elemento patriottico costituisce lo sfondo della
storia d’amore
Una peccatrice L’aspetto storico-patriottico è lasciato cadere e il
romanzo s’impernia tutto su una storia d’amore
passionale

Quanto alle soluzioni formali, l’impianto del racconto è ancora elementare, fondato sulla schematica
contrapposizione fra “buoni” e “cattivi” nei romanzi patriottici e sul semplice rovesciamento della situazione
nel rapporto fra uomo e donna in “Una peccatrice”.

I ROMANZI FIORENTINI E DEL PRIMO PERIODO MILANESE: LA FASE TARDO-ROMANTICA E


SCAPIGLIATA
Milano si presenta a Verga come immagine stessa della “frenesia” della modernità e, nello stesso tempo,
come spinta e prospettiva indispensabile al lavoro artistico.
Il passaggio dalla preistoria alla storia dell’arte verghiana avviene con il primo romanzo fiorentino “Storia di
una capinera” volto a documentare un’ingiustizia sociale: la monacazione coatta di cui erano vittime le
ragazze povere (Maria e Gertrude esempi).
Punti di interesse del romanzo sono:
1. Sceglie la forma del romanzo epistolare, assume il punto di vista di un personaggio semplice e il suo
linguaggio ingenuo ed elementare;
2. Adotta il fiorentino (secondo i dettami del manzonismo);
3. Compare il tema dell’orfano e dell’escluso;
4. Prevale la legge della roba e del denaro, mentre i sentimenti risultano impotenti.
5. La donna rappresenta l’ideale romantico dell’amore-passione come forza inarrestabile e invincibile
contrapposta alla società, non conosce la rinuncia e resta fedele ai propri sentimenti.
Il successivo romanzo è “Eva”: romanzo di svolta e interessante che risente fortemente dell’ambiente
milanese, dell’impatto con la realtà sociale ed economica più avanzata del paese e con la cultura europea che
vi circolava.
Verga persegue in esso per la prima volta una poetica del vero: mostra quindi di aver assimilato la lezione
della Scapigliatura milanese (atteggiamento di protesta e di denuncia).
Temi:
1. Il rapporto fra arte e modernità, fra sentimenti e artificio;
2. L’esame di coscienza dell’artista in crisi (vede irrealizzabili gli ideali romantici);
3. Il fallimento dell’amore;
4. Il contrasto fra modernità (la città) e il mondo premoderno (la provincia siciliana).

5. Il tema della ballerina:


è un topos della letteratura e della pittura moderna, da Baudelaire agli impressionisti e da Degas a
Picasso. L’arte si presenta infatti, nel mondo moderno, come artificio, esibizione pubblica,
seduzione: la ballerina è un’artista ma che dipende completamente dei gusti e dal denaro del
pubblico (dipendenza dell’arte dal mercato, dal gusto e dal denaro del pubblico).
La sua bellezza consiste nell’artificio, nell’illusione: la femminilità ideale si associa
all’illuminazione di una scena, su cui la donna si offre esibendo la sua seduzione a pagamento. Ciò
che attrae gli artisti non è la donna reale, ma la capacità di sedurre incarnando i molteplici desideri
degli spettatori: il legame tra l’artista e la ballerina è solo simbolico. La donna, acrobata, ballerina,
attrice e prostituta diventa tramite di una identificazione, che rivela una nostalgica connivenza
dell’artista moderno con il mondo dello spettacolo e del mercato.
Questo personaggio nuovo dell’immaginario moderno è la risposta ironica e provocatoria della
degradazione cui è ridotta l’arte, in un secolo dominato dal potere del denaro: una rivelazione
metaforica della dipendenza dell’arte dal mercato, dal gusto e dal denaro del pubblico.
In Eva e nel mito della ballerina Verga adombra questo carattere ineludibile dell’arte moderna: il
destino dello scrittore è analogo a quella della ballerina; come questa si vende al pubblico con baci e
finti sorrisi, così la menzogna, attraverso il mercato, è penetrata nell’arte, corrompendo ogni valore e
sentimento autentico.

In Eva il romanticismo giovanile di Verga appare ormai in crisi ma non ancora del tutto superato. Il mondo
arcaico-rurale della Sicilia si presenta infatti come un’alternativa alla modernità: in esso i valori
dell’idealismo romantico, i sentimenti, l’autenticità sembrano ancora possibili. La ballerina che rappresenta
la modernità è così contrapposta alla famiglia e alla Sicilia.
Per Verga si profila così una contraddizione: da un lato egli percepisce che il destino dell’artista può
realizzarsi solo nella modernità; dall’altro rimpiange i valori del passato proiettandoli nella Sicilia rurale e
premoderna.
Questa tematica torna nel romanzo Tigre reale dove la figura femminile è ancora contrapposta alla realtà
della famiglia e della campagna siciliana.
Fortissima è l’influenza scapigliata presente nei toni esasperati e violenti.
In queste due opere la narrazione è affidata a un narratore testimone delle vicende e confidente del
protagonista.
Questa struttura narrativa cambia nell’opera “Eros”: Verga utilizza una narrazione tutta oggettiva e
impassibile.
Con quest’opera Verga è ormai approdato a un realismo oggettivo. Solo conquistando l’impersonalità del
Verismo poteva fare un ulteriore passo avanti.

PRIMAVERA E ALTRI RACCONTI E NEDDA, “BOZZETTO SICILIANO”


Ritornano in “Primavera” il vittimismo tardoromantico e l’analisi scapigliata.
Protagonista è una povera ragazza che si innamora di un giovane artista e che viene abbondata non appena a
lui si offre una possibilità di successo: la ragazza non ha la forza dell’amore-passione; è una vittima
rassegnata e inconsapevole.
Il ragazzo, invece, non esita a preferire all’amore il successo, cela in lui solo l’egoismo dell’ambizione.
I sogni sono sconfitti dalle leggi materiali della vita (abbandono posizioni romantiche).
Novella (bozzetto siciliano) “Nedda”: storia di una povera contadina siciliana, vittima del bisogno e
dell’avversità, il primo deciso avvio del narratore della vita degli umili.
1. Sceglie come protagonisti umili personaggi della sua terra collocati in un ambiente contadino
descritto realisticamente;
2. Non è una novella verista: manca del tutto l’impersonalità, l’autore interviene di continuo a
difendere il proprio personaggio;
3. Dal punto di vista stilistico e linguistico non assume l’ottica e il linguaggio del personaggio: il
linguaggio è quello di un fiorentinismo di maniera, mentre le espressioni locali sono introdotte
attraverso la sottolineatura del corsivo (estraneità al registro).
4. Nel racconto si mescolano toni patetici tipici della letteratura tardoromantica e filantropico-sociale a
primi accenni a una disponibilità lirico-simbolica e realistica: per sottolineare il parallelismo fra la
vita umana e quella animale

L’ADESIONE AL VERISMO E IL CICLO DEI “VINTI”: LA POETICA E IL PROBLEMA DELLA


“CONVERSIONE”
Tre eventi favoriscono l’adesione di Verga al verismo:
1. L’influenza dell’Ammazzatoio di Zola proposto da Capuana come modello ai narratori che seguono
la poetica del vero;
2. La formazione di un gruppo letterario che si ispira al Naturalismo (Zola) e che intende creare in
Italia il “romanzo moderno”;
3. Viene diffusa l’inchiesta di Sicilia e scoppia “la questione meridionale”;
La poetica elaborata da Verga e da Capuana:
 Sul piano filosofico, rivela una impostazione di tipo positivistico, materialistico e deterministico:
 Positivistica: parte dal presupposto che la verità sia oggettiva e scientifica; solo un approccio
scientifico può permettere di conoscere la realtà;
 Materialistica: il comportamento umano è assimilato a quello di ogni altro animale;
 Deterministica: nega la libertà del soggetto, il quale è sempre determinato dall’ambiente in
cui vive;
 Sul piano letterario, da tale impostazione deriva una poetica antiromantica: esclude l’idealismo (gli
ideali modificano la realtà  veristi la realtà è determinata dai comportamenti dell’uomo) sia la
soggettività dell’io narrante quindi l’espressione diretta dei sentimenti e dell’interiorità.

Nella poetica verista la psicologia può essere rappresentata solo dall’esterno, dedotta dai gesti, dalle parole e
dal comportamento.
L’esclusione della soggettività dell’autore implica l’impersonalità. Nell’opera non si devono vedere né i
sentimenti né l’ideologia dell’autore. Parliamo di scrittore-scienziato: deve limitarsi a documentare la realtà
oggettiva, senza proprie interpretazioni o reazioni psicologiche. Un’eclissi dell’autore, il quale deve sparire
dalla propria opera. Al narratore non è più concesso di intervenire con i propri commenti e con i propri
giudizi. È esclusa anche la presentazione dei protagonisti da parte del narratore: il lettore deve imparare a
riconoscerli dall’azione romanzesca stessa.
Con tale impostazione, Verga sostiene la necessità di procedere dal semplice al complesso: bisognerà partire
dalle classi più basse, nelle quali sarà più semplice cogliere il rapporto fra causa ed effetto, per poi risalire a
quelle più elevate, il cui studio è più complesso dato che la civiltà insegna all’uomo a razionalizzare i
comportamenti.
La narrazione deve essere condotta dal punto di vista dei personaggi: lo scrittore deve annullarsi assumendo
la loro prospettiva. Da qui la teoria della “forma inerente al soggetto”: sostiene l’esigenza di una correlazione
fra livelli sociologici e livelli stilistici; il lessico e la sintassi devono adeguarsi al mondo rappresentato. Ma è
importante notare come Verga rifiuti l’uso del dialetto sia per ragioni politiche (fautore accanito dell’Unità
d’Italia) sia per ragioni artistiche (teme che possa limitare la portata della propria opera riducendola a un
ambito regionale).
Si sforza si utilizzare un lessico immediato, semplice e naturale.
L’intellettuale ha ormai perso il ruolo ideologico e la centralità protagonistica che aveva avuto durante il
Romanticismo.

Di questo periodo è un ciclo di romanzi prima denominato “La Marea”, poi “I Vinti” che rappresenti:
 La vita dei pescatori e dei contadini  I Malavoglia
 La borghesia di provincia  Mastro-don Gesualdo
 La nobiltà cittadina  La duchessa di Leyra
 Il mondo parlamentare romano  L’onorevole Scipioni
 Quello degli scrittori e degli artisti  L’uomo di lusso

ROSSO MALPELO E LE ALTRE NOVELLE DI VITA DEI CAMPI


La prima opera Verista di Verga è la raccolta di otto novelle con il titolo complessivo di Vita dei campi.
Protagonisti sono contadini, pastori, minatori di una società premoderna (quella delle campagne siciliane).
La novità sta nella voce narrante che non è più quella dell’autore ma quella degli stessi personaggi popolari.
Alla base agisce una spinta ideologicamente contradditoria: da un lato Verga intende mostrare come agisce la
molla dell’interesse individuale e dei bisogni materiali; dall’altro continua a immaginare il mondo arcaico-
rurale in una luce romantica, vedendolo come una realtà capace di conservare certi valori. La contraddizione
viene risolta facendo trionfare il primo aspetto sul secondo.
Sul piano stilistico, il tono di alcuni racconti è epico-lirico. Sul piano tematico, è di natura romantica il tema
dell’amore-passione. È però significativo che il trasgressore (il quale, in nome dell’amore, attenta all’ordine
familiare) finisca sempre sconfitto: in genere l’amante è ucciso dal marito, oppure i due amanti chiudono la
loro vita nell’emarginazione.
Un altro tema costante è quello dell’esclusione dalla società:

Il tema del diverso, dell’escluso, dell’emarginato ha un netto rilievo nell’arte di Verga, dalle opere giovanili
a quelle della maturità. Sui motivi dell’identificazione nella figura dell’escluso e del vinto è decisiva una
componente “psicologica sociale”: Verga sente come proprio il destino degli artisti sempre più isolati nella
società e appartiene a una generazione formatasi nel clima romantico e trovatasi a vivere nella delusione
dell’Italia postunitaria. Influisce inoltre la stessa provenienza sociale di Verga, appartenente a un ceto (la
borghesia agraria), ormai relegato ai margini della storia del processo stesso di industrializzazione.
In questa trepida identificazione con la figura dell’escluso, Verga anticipa i grandi temi moderni
dell’impotenza e dell’estraneità dell’arte nel mondo della mercificazione e dell’alienazione capitalistica.
Contro questa realtà oggettiva è inutile ribellarsi, è meglio riconoscerla e assumerla come prospettiva di vita
per farsi paradossalmente forti proprio di tale accettazione.
Chi è sradicato, insomma, può godere di questo privilegio di chiaroveggenza, tramutando la disperazione in
orgoglio conoscitivo, il senso di isolamento e d’impotenza in un vantaggio speculativo ed esistenziale, che
può permettergli di utilizzare gli stessi strumenti elaborati dalla borghesia conto di questa e di servirsi della
propria esclusione come di un punto di osservazione da cui partire per scoprire il meccanismo
dell’emarginazione e dell’oppressione.
Vari esempi:
 Jeli: pastore che si sente a proprio agio solamente quando è solo in campagna; sperimenta
l’isolamento e l’esclusione all’interno della società;
 La Lupa: da tutti evitata e condannata per la spregiudicatezza delle proprie azioni;
 Rosso Malpelo: un personaggio emblematico della diversità: non solo è un orfano e dunque più
debole ed indifeso dei suoi coetanei, ma ha anche i capelli rossi, che simboleggiano la sua estraneità
e sembrano legittimare la persecuzione sociale di cui è vittima.

ROSSOMALPELO
La voce narrante è quella della comunità di contadini e di minatori che si accanisce contro il protagonista
perché ha i capelli rossi e dunque sarebbe, di per sé, cattivo. Per la prima volta Verga sperimenta l’artificio
dello straniamento.
Lo straniamento mostra come strano un fenomeno normale, presentandolo da un’ottica inedita. Il punto di
vista del narratore non coincide con quello dell’autore, né con quello del lettore. Sospende il meccanismo di
identificazione del lettore con la vicenda e lo induce a un atteggiamento critico.
In Verga l’artificio di straniamento si collega all’artificio di regressione: l’autore, persona colta, regredisce
nel punto di vista di una voce ignorante. Come all’inizio di Rosso Malpelo (“Malpelo si chiamava così
perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo”): la voce
narrante spiega i fatti con nessi causali che l’autore non potrebbe accettare né condividere ma quest’ultimo
non interviene mai a ristabilire la verità. Si apre in tal modo un divario fra il punto di vista esplicito del
narratore e quello implicito dell’autore. Proprio questo divario, dovuto all’artificio di regressione, fonda lo
straniamento.

Testo Rosso Malpelo [vita dei campi]


Il racconto è la storia di un ragazzo che lavora in una cava di rena. Poiché ha i capelli rossi, è ritenuto
malvagio e tiranneggiato da tutti (righi 1-2). All’inizio è protetto dal padre (Mastro Misciu rigo 23), ma,
questi muore in un incidente di lavoro (righi 25-27; 51-55), resta solo e indifeso. Rosso assimila la violenza
che subisce e cerca di insegnarne la lezione anche all’unico amico che abbia, un ragazzo sciancato,
Ranocchio.
Il racconto occupa una posizione fondamentale sull’arco dell’opera verghiana: è infatti il testo che dà inizio
alla fase verista dello scrittore. La voce che racconta è al livello dei personaggi, è interna al mondo
rappresentato. L’autore si è eclissato.
L’apertura del racconto presenta immediatamente il procedimento della regressione e dello straniamento
“Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo
malizioso e cattivo”: la voce narrante spiega i fatti con nessi causali che l’autore non potrebbe accettare né
condividere ma quest’ultimo non interviene mai a ristabilire la verità. Si apre in tal modo un divario fra il
punto di vista esplicito del narratore e quello implicito dell’autore.
Lo straniamento ha la funzione di negare i valori, di mostrarne l’impraticabilità in un mondo denominato dal
meccanismo brutale della lotta per la vita.
Non tutto il racconto è impostato sull’effetto di deformazione e straniamento della figura del protagonista. Se
nella prima parte Malpelo è visto dolo dall’esterno, nella seconda parte emerge il punto di vista del
protagonista stesso. Affiora così la visione cupa e pessimistica del ragazzo indurito dalla disumanità di quella
vita di fatiche (rigo 89).
Rosso ha colto perfettamente l’essenza della legge che regola tutta la realtà e non nasce in lui la rivolta:
proprio perché ha capito fino in fondo, sa che la legge è immodificabile. Ma in lui c’è anche l’orgoglio di
aver capito: e ciò lo distingue dal mondo in cui vive.
Si delinea in lui la figura di un eroe intellettuale, portatore di una consapevolezza lucida dei meccanismi di
una realtà tragica quanto immodificabile. Si presenta in lui il pessimismo dello scrittore stesso.
Testo La Lupa [Vita dei campi]
Viene fatto il ritratto iniziale della Lupa che ne mette in luce le caratteristiche principali (r 1-3 in particolare).
È condotto dal punto di vista della comunità contadina e dunque con similitudini, immagini e modi di dire
popolari. La prospettiva della comunità avvolge il personaggio in un’aria mitica: lei passa e tutti ne parlano
con timore quasi superstizioso che si accompagna tuttavia a una sorta di rispetto.
La Lupa è una rappresentazione del “diverso”, di chi è escluso dalla società:
 Rigo 5
 Rigo 9-10
 Rigo 20
 Rigo 52-53
 Rigo 90-91
Ella obbedisce solo alla forza della propria passione, sino a sfidare la morte. Rivive in lei il mito romantico
che unisce amore e morte; l’energia della passionalità romantica, che Verga trovava inquinata e corrotta nella
società nobiliare e alto-borghese, sembra poter rinascere in un ambiente primitivo e rusticano.
Lo spazio assume una connotazione lirico-simbolica drammatica. La solitudine e la sete d’amore della Lupa
si identificano con il paesaggio aspro e bruciato.
Il dualismo rosso/nero corrisponde al dualismo amore/morte espresso dalla protagonista. Il nero infatti è il
colore del male, del caos, della morte, mentre il rosso è il colore del fuoco, delle labbra della Lupa e,
soprattutto, è il colore della passione e anche del sangue e del sacrificio che sta per consumarsi.
Testo Fantasticheria [Vita dei Campi]
La novella Fantasticheria è un vero e proprio testo programmatico per il lavoro che Giovanni Verga stava
compiendo sul testo de I Malavoglia.
Il racconto di Fantasticheria - condotto secondo l’artificio della lettera di un personaggio maschile
(espressione del punto di vista dell’autore) a una figura femminile ricordando i giorni trascorsi insieme in
visita ad Aci Trezza.
Fantasticheria contiene alcune considerazioni di poetica fondamentali per comprendere il lavoro che Verga
stava già compiendo sul proprio romanzo. Risulta evidente, ed è tematizzata, la distanza tra la prospettiva dei
due personaggi (quello della voce narrante, e quello della donna a cui egli indirizza la lettera) di estrazione
alto-borghese, da un lato, e il mondo di Aci Trezza, dall’altro.
“Non capisco come si possa viver qui tutta la vita” è la battuta della donna, che snobisticamente rifiuta ogni
esercizio di comprensione, e presto si stanca del soggiorno in riva al mare. La voce narrante - dietro la quale,
come anticipato, si celano le considerazioni dell’autore reale - insiste sulla questione:
Eppure, vedete, la cosa è più facile che non sembri: basta non possedere centomila lire di entrata, prima di
tutto; e in compenso patire un po’ di tutti gli stenti fra quegli scogli giganteschi, incastonati nell’azzurro, che
vi facevano batter le mani per ammirazione. Così poco basta perché quei poveri diavoli [...] trovino fra quelle
loro casipole sgangherate e pittoresche [...] tutto ciò che vi affannate a cercare a Parigi, a Nizza ed a Napoli. 6

Traspare, in questa spiegazione, qualche tratto del determinismo che caratterizza la poetica verista verghiana:
l’uomo è determinato dall’ambiente in cui è inserito, nelle proprie azioni, nei propri valori, nelle proprie
aspettative. Per questo, all’osservatore esterno e allo scrittore stesso non rimane che una via per cercare di
“comprendere siffatta caparbietà”, di indagare i meccanismi, i rapporti, le tensioni, che regolano
quell’ambiente sociale:

bisogna farci piccini anche noi, chiudere tutto l’orizzonte fra due zolle, e guardare col microscopio le piccole
cause che fanno battere i piccoli cuori. 7

È così, in Fantasticheria, introdotto quello che la critica ha definito “artificio della regressione”, ossia la
scelta di Verga di delegare, nel proprio romanzo, “la funzione narrativa ad un anonimo ‘narratore’ popolare,
che appartiene allo stesso livello sociale e culturale dei personaggi che agiscono nella vicenda” 8. Un
artificio, questo, coerente e funzionale all’impostazione positivistica della letteratura verista verghiana:
l’autore ritiene che la realtà sia oggettiva, osservabile scientificamente (lo testimonia il riferimento al
microscopio, nella citazione sopra riportata). Per poterlo fare occorre dunque, secondo lui, assumere la giusta
disposizione e il giusto punto di vista. Non più quello della donna destinataria della lettera di Fantasticheria,
ma quello dello scienziato scrittore disponibile a farsi “piccino”, con un repertorio formale proporzionato alla
realtà oggetto della propria rappresentazione. Solo così lo scrittore potrà, nei Malavoglia, comprendere e
indagare la storia dei protagonisti. E capirne le intime ragioni, come quella dell’"ideale dell’ostrica",
ulteriore riferimento teorico tematizzato in Fantasticheria:

Proprio l’ideale dell’ostrica, e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo che quello di non esser nati
ostriche anche noi. Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li
ha lasciati cadere mentre seminava principi di qua e duchesse di là, questa rassegnazione coraggiosa ad una
vita di stenti, questa religione della famiglia, che si riverbera sul mestiere, sulla casa, e sui sassi che la
circondano, mi sembrano – forse pel quarto d’ora – cose serissime anch’esse 9.

Tale è dunque la “religione” che, nell’ideologia verghiana, indirizza e determina l’agire dei singoli, e che, nel
romanzo, decreta il naufragio della famiglia dei Malavoglia, staccatisi dal proprio posto e incapaci di nuotare
in un mare diverso. È soprattutto ciò che accade al personaggio di ’Ntoni, il quale - fatta l’esperienza della
vita in città - è roso da un’inquietudine che si potrebbe accostare, secondo un incrocio di richiami testuali,
allo stesso dubbio della donna, che apre la novella: “non capisco come si possa viver qui tutta la vita”. Ma, se
per questa figura femminile, una simile impressione è naturale e caratterizzante della propria condizione, per
’Ntoni sarà invece la spinta per il distacco dal proprio scoglio di Aci Trezza, con le conseguenze nefaste e lo
smarrimento definitivo narrati nei Malavoglia, secondo la rigida ideologia già teorizzata in Fantasticheria.
IL MARITO DI ELENA, NOVELLE RUSTICANE E ALTRE RACCOLTE DI RACCONTI SINO AL
VAGABONDAGGIO
Il marito di Elena è un romanzo che si ispira a Madame Bovary di Flaubert: Elena è affetta da bovarismo, è
ammalata di fantasie romantiche. Il romanzo rivela uno scompenso non casuale: di fronte alla corruzione di
Elena, il personaggio maschile, Cesare, appare impotente. Verga da congedo definitivo alla cultura
romantica.
Infatti Novelle rusticane e Per le vie segnano una svolta decisiva: il mondo romantico non è più proponibile;
tutti i personaggi verghiani appaiono dominati dalla roba, e cioè dalla logica economica e dalle leggi
dell’interesse e dell’egoismo.
Sul piano letterario progressivamente prevale una scrittura oggettiva.

Possiamo parlare di due fasi


della ricerca verista di
Verga: una prima,
rappresentata da Vita dei
campi e dai Malavoglia, in
cui persistono ancora certi
valori romantici; e una
seconda, da Novelle
rusticane a Mastro-Don
Gesualdo, in cui questi sono
scomparsi del tutto e motivo
centrale dell’arte verghiana
diviene la roba.

Novelle rusticane
Verga vi comincia a studiare il mondo dei campi e di malaria, di contadini, di quartieri popolari.
Viene meno il motivo dell’amore-passione e dai singoli personaggi l’attenzione si sposta alla dimensione
collettiva, analizzata nelle sue dinamiche sociali ed economiche.
Per le vie
Novelle di ambientazione milanese. Verga si sofferma sugli ambienti popolari di una grande città industriale.
Protagonisti sono camerieri, operai, disoccupati e prostitute. Dominano i rapporti di forza determinati dalla
scala gerarchica e dal denaro. Ogni possibilità di egualitarismo è messa sotto accusa.
Per il materialista Verga l’umano comportamento è e sarà sempre determinato esclusivamente dall’egoismo
individuale.
Vagabondaggio
Ambiente siciliano, contadino e borghese. L’incupimento pessimistico porta a ideare personaggi
prevalentemente cinici e squallidi, senza più contraddizioni interne.

La roba [Novelle rusticane]


Lo sviluppo tematico delle macro-sequenze mette in risalto la logica economica. Mazzarò, schiavo della
«roba», come Verga chiama il complesso di beni e proprietà, derivandolo da un’espressione dialettale, non sa
provare altro sentimento che non sia dettato dalla soddisfazione del possesso. La sua vita si consuma nella
solitudine e, destinata alla sconfitta, si conclude nella follia.
Sviluppo tematico Macrosequenze
Il paesaggio è roba Nella campagna smisurata, tutto quanto si vede è
«roba» di Mazzarò. Su pascoli, fattorie, uliveti
domina una sola figura, quella di Mazzarò, che si
identifica con i suoi possedimenti, conquistati
grazie alla sua intelligenza e tenacia.
I successi di un arrampicatore sociale Mazzarò, lavorando sodo, è subentrato all’inetto
barone ed è diventato un grande proprietario
terriero, ma non per questo è tenero con mezzadri e
debitori. Se qualcuno gli domanda un soldo,
risponde di non averne. Ed è vero, perché considera
il denaro carta sudicia e lo investe subito per
acquistare nuove terre.
L’insensatezza della logica economica Sopraggiunta la vecchiaia, colto da una folle
gelosia, comincia a distruggere rabbiosamente a
colpi di bastone la sua «roba», perché non può
portarla con sé.

La tecnica narrativa continua a essere quella dell’impersonalità, che registra i fatti senza commentarli. Lo
stile si avvale del discorso indiretto libero•, che pone l’accento sull’interiorità di Mazzarò. Il tono epico della
fiaba popolare La strategia dei diversi punti di vista•, come quello del viandante, del lettighiere e del
narratore, conferisce al racconto un tono leggendario. In particolare, l’inizio della novella ricorda una celebre
fiaba dello scrittore francese Charles Perrault (1628-1703), Il gatto con gli stivali, dove un personaggio
domanda ripetutamente a chi appartengano i campi e i boschi che sta percorrendo. Allo stesso modo, le
domande del viandante e le risposte del lettighiere vogliono creare un’atmosfera favolosa intorno alle
ricchezze di Mazzarò.
Punti di vista del narratore
Il viandante Il viandante è un osservatore colto. Il suo punto di
vista proietta sul paesaggio la prospettiva
dell’autore (noia, tristezza, malinconia, morte) e
anticipa la sconfitta di Mazzarò: (rr. 1-8).
Il lettighiere Il lettighiere dà un nome al proprietario di tutta
quella «roba»; inoltre sottolinea il contrasto tra il
potere di Mazzarò e la misera vita che conduce, tra
la sua capacità di accumulare beni e il suo aspetto
umile. Il suo punto di vista, espresso con l’artificio
dello straniamento, rappresenta l’immobilismo
della società rurale, che non riesce a spiegarsi il
successo di Mazzarò: (rr. 25-30).
Il narratore popolare Il narratore popolare appartiene allo stesso mondo
di Mazzarò: in un lungo flashback ne delinea la
personalità e l’incredibile ascesa economico-
sociale. Il narratore popolare non interviene
direttamente nel racconto, ma talvolta fa sentire la
propria ironia facendo apparire strano agli occhi del
lettore ciò che è normale per Mazzarò. Il suo punto
di vista coincide con le scelte utilitaristiche del
personaggio e trova logico quello che potrebbe
sembrare un controsenso (rr. 31-36). Quando il
punto di vista non coincide con quello del
personaggio, il narratore ne prende le distanze:
• la morte della madre, nell’ottica di Mazzarò,
esclude qualunque considerazione affettiva e il
funerale che era costato anche 12 tarì ne sottolinea
ironicamente la mentalità meschina;
• i disagi dei mezzadri e dei debitori sono per
Mazzarò seccature;
• il fanatismo di Mazzarò che ammazza a colpi di
bastone le sue anatre e i suoi tacchini è criticato con
distacco oggettivo mediante l’espressione come un
pazzo.

Un personaggio storicamente connotato


Mazzarò, oltre a rappresentare la proverbiale avarizia del contadino morbosamente attaccato alla «roba», è
una figura storica presente nel mondo rurale del secondo Ottocento, quando si passò dal latifondo di
proprietà dell’aristocrazia alla nuova azienda borghese. L’autore sottolinea come a questo mutamento
strutturale delle campagne non abbia corrisposto un’analoga trasformazione nelle dinamiche sociali: gli
oppressi di ieri sono pronti a diventare gli spietati padroni di oggi. Si tratta di una visione pessimistica, che si
ricollega all’influenza del determinismo darwiniano. Mazzarò, infatti, è il risultato dell’ambiente cui
appartiene, di cui condivide la mentalità e i valori. Si è sostituito all’aristocratico barone, ma non è diverso
da lui: controlla il lavoro dei mietitori con la frusta in mano, fa lo strozzino con chi ha bisogno, non esita a
usare l’inganno se qualcuno tenta di resistergli.

Determinismo darwiniano
L’applicazione alle società umane delle teorie dell’evoluzione, della selezione naturale e della «lotta per la
vita» di Charles Darwin (1809-1882). In questa prospettiva, l’evoluzione di una comunità sarebbe
determinata dalla lotta per l’esistenza, nella quale il più forte vince sul più debole.

MASTRO-DON GESUALDO
Il secondo romanzo del ciclo dei Vinti è Mastro-Don Gesualdo.
L’intenzione iniziale era quella di raffigurare un arrampicatore sociale: un mastro che diventando ricco si
merita il titolo di “don”, senza però riuscire a far dimenticare le sue origini.
Sullo sfondo ci sono:
 Una rivolta carbonara
 L’epidemia di colera
 La rivoluzione del 1848
 La nascita della borghesia terriera
 Decadimento della nobiltà cittadina

POETICA, PERSONAGGI, TEMI DEL MASTRO-DON GESUALDO


Il metodo impersonale di Verga si fonda sul silenzio della voce dell’autore e sull’assunzione di una o più
voci interne al mondo narrato.
Non siamo più in un mondo arcaico e rurale, ma nel mondo moderno della borghesia in ascesa; non c’è più
una sola classe sociale, ma un mondo stratificato (dai contadini all’aristocrazia).
Le voci, i linguaggi e i punti di vista dei personaggi si intrecciano così in una ricca polifonia.
Il sistema dei personaggi: ora il racconto si incentra su un solo protagonista, Gesualdo.
1. Gesualdo: obbedisce alla logica economica, ma ne paga il prezzo con un senso crescente di
isolamento e di rimorso nei confronti degli affetti da lui violati.
2. Bianca e Diodata: vittime delle leggi sociali; la prima non può sposare il cugino Ninì; la seconda non
può sposare Gesualdo.
3. Isabella: in lei si ripete il destino della madre in quanto non può sposare l’uomo che ama (il cugino
Corrado).
Con Diodata (contadina), Bianca (piccola nobiltà) e Isabella (sposa il duca e arriva al grado più illustre
dell’aristocrazia di Palermo) si sale gradualmente nella scala sociale.
I protagonisti del Verga sono dei "vinti" dalla vita che non trovano soluzioni ai problemi e sono costretti a
subire; vengono descritti e presentati così come sono attraverso al Verismo.
L’arco cronologico: un romanzo storico senza fiducia nella storia e nella capacità dell’uomo di costruirla e
determinarla. L’uomo infatti è e sarà sempre dominato dagli istinti e dagli interessi materiali.

Testi Mastro-Don Gesualdo


Come altri romanzi di Verga anche questo si ispira a una novella, ma Mastro Don Gesualdo è diverso dal
Mazzarò, protagonista della novella "La roba". Mentre quest'ultimo è molto avaro e si priva di qualsiasi
comodità pur di accumulare sempre più, Gesualdo non è così avaro come lo accusano i nobili del paese, è
semplicemente parsimonioso perché, avendo costituito lui stesso la sua "roba", sa quanta fatica costa
accumularla e quindi risparmia sul superfluo, pur non facendo mancare nulla del necessario alla moglie e alla
figlia, che invece non lo ripagano del suo affetto.
Gesualdo capisce troppo tardi che avrebbe dovuto sposare Diodata, che solo lei, proveniente dalla stessa
classe sociale, avrebbe potuto dargli quell'amore negatogli da Bianca. Giunto alla fine dei suoi giorni
Gesualdo riflette sul fallimento della propria esistenza, mentre il Mazzarò della novella non capisce il suo
fallimento e cerca di distruggere più "roba" possibile per portarla con sé nell'aldilà.
È presente la mimesi, ossia, nel discorso diretto, il linguaggio imita quello che poteva essere usato dai vari
personaggi.
La voce narrante è in terza persona e la focalizzazione è interna, cioè il lettore sa tanto quanto il narratore.
Secondo i canoni del Verismo, l'autore non esprime direttamente il suo punto di vista, ma lascia al lettore
ogni considerazione; il punto di vista assunto è invece quello della gente, attraverso la tecnica del discorso
indiretto libero, prevale però il punto di vista di Gesualdo, espresso per lo più attraverso lunghi monologhi.
Il messaggio conclusivo del romanzo
Gesualdo non esce mai dalla solitudine, nemmeno in punto di morte. La sua morte desolata rivela che nella
roba non c’è salvezza. Nella fine di Gesualdo opera quella legge del contrappasso che sembra regolare la
vita: ogni successo viene punito, rovesciandosi nel suo contrario e accelerando il fallimento e il senso di
interiore sconfitta del protagonista.
Testo La prefazione ai Malavoglia

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