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Le coraggiose scelte narrative di Verga nascono da una crisi storica: è uno degli ultimi rappresentanti della
generazione romantico-risorgimentale e ne vive le contraddizioni.
Il protagonismo culturale e ideologico degli intellettuali, tipico dell’età romantica, percepibile nelle
prime opere verghiane, si rivela impossibile nella nuova Italia dominata dall’interesse economico e
dal potere delle banche e delle imprese industriali. Occorre qui limitarsi a un compito di
documentazione scientifica: da qui l’adesione al Verismo e all’impersonalità.
Se in un primo momento Verga reagisce cercando ancora una possibilità di valori alternativi nella
società arcaico-rurale siciliana, poi approda a un conseguente pessimismo materialistico che constata
ovunque il trionfo dell’interesse e della roba.
Malavoglia Mastro-don Gesualdo
Un filo di simbolismo romantico convive ancora Un’ottica integralmente critico-negativa, un
con il pessimismo materialistico dell’autore realismo duro e corrosivo, senza speranza.
Quanto alle soluzioni formali, l’impianto del racconto è ancora elementare, fondato sulla schematica
contrapposizione fra “buoni” e “cattivi” nei romanzi patriottici e sul semplice rovesciamento della situazione
nel rapporto fra uomo e donna in “Una peccatrice”.
In Eva il romanticismo giovanile di Verga appare ormai in crisi ma non ancora del tutto superato. Il mondo
arcaico-rurale della Sicilia si presenta infatti come un’alternativa alla modernità: in esso i valori
dell’idealismo romantico, i sentimenti, l’autenticità sembrano ancora possibili. La ballerina che rappresenta
la modernità è così contrapposta alla famiglia e alla Sicilia.
Per Verga si profila così una contraddizione: da un lato egli percepisce che il destino dell’artista può
realizzarsi solo nella modernità; dall’altro rimpiange i valori del passato proiettandoli nella Sicilia rurale e
premoderna.
Questa tematica torna nel romanzo Tigre reale dove la figura femminile è ancora contrapposta alla realtà
della famiglia e della campagna siciliana.
Fortissima è l’influenza scapigliata presente nei toni esasperati e violenti.
In queste due opere la narrazione è affidata a un narratore testimone delle vicende e confidente del
protagonista.
Questa struttura narrativa cambia nell’opera “Eros”: Verga utilizza una narrazione tutta oggettiva e
impassibile.
Con quest’opera Verga è ormai approdato a un realismo oggettivo. Solo conquistando l’impersonalità del
Verismo poteva fare un ulteriore passo avanti.
Nella poetica verista la psicologia può essere rappresentata solo dall’esterno, dedotta dai gesti, dalle parole e
dal comportamento.
L’esclusione della soggettività dell’autore implica l’impersonalità. Nell’opera non si devono vedere né i
sentimenti né l’ideologia dell’autore. Parliamo di scrittore-scienziato: deve limitarsi a documentare la realtà
oggettiva, senza proprie interpretazioni o reazioni psicologiche. Un’eclissi dell’autore, il quale deve sparire
dalla propria opera. Al narratore non è più concesso di intervenire con i propri commenti e con i propri
giudizi. È esclusa anche la presentazione dei protagonisti da parte del narratore: il lettore deve imparare a
riconoscerli dall’azione romanzesca stessa.
Con tale impostazione, Verga sostiene la necessità di procedere dal semplice al complesso: bisognerà partire
dalle classi più basse, nelle quali sarà più semplice cogliere il rapporto fra causa ed effetto, per poi risalire a
quelle più elevate, il cui studio è più complesso dato che la civiltà insegna all’uomo a razionalizzare i
comportamenti.
La narrazione deve essere condotta dal punto di vista dei personaggi: lo scrittore deve annullarsi assumendo
la loro prospettiva. Da qui la teoria della “forma inerente al soggetto”: sostiene l’esigenza di una correlazione
fra livelli sociologici e livelli stilistici; il lessico e la sintassi devono adeguarsi al mondo rappresentato. Ma è
importante notare come Verga rifiuti l’uso del dialetto sia per ragioni politiche (fautore accanito dell’Unità
d’Italia) sia per ragioni artistiche (teme che possa limitare la portata della propria opera riducendola a un
ambito regionale).
Si sforza si utilizzare un lessico immediato, semplice e naturale.
L’intellettuale ha ormai perso il ruolo ideologico e la centralità protagonistica che aveva avuto durante il
Romanticismo.
Di questo periodo è un ciclo di romanzi prima denominato “La Marea”, poi “I Vinti” che rappresenti:
La vita dei pescatori e dei contadini I Malavoglia
La borghesia di provincia Mastro-don Gesualdo
La nobiltà cittadina La duchessa di Leyra
Il mondo parlamentare romano L’onorevole Scipioni
Quello degli scrittori e degli artisti L’uomo di lusso
Il tema del diverso, dell’escluso, dell’emarginato ha un netto rilievo nell’arte di Verga, dalle opere giovanili
a quelle della maturità. Sui motivi dell’identificazione nella figura dell’escluso e del vinto è decisiva una
componente “psicologica sociale”: Verga sente come proprio il destino degli artisti sempre più isolati nella
società e appartiene a una generazione formatasi nel clima romantico e trovatasi a vivere nella delusione
dell’Italia postunitaria. Influisce inoltre la stessa provenienza sociale di Verga, appartenente a un ceto (la
borghesia agraria), ormai relegato ai margini della storia del processo stesso di industrializzazione.
In questa trepida identificazione con la figura dell’escluso, Verga anticipa i grandi temi moderni
dell’impotenza e dell’estraneità dell’arte nel mondo della mercificazione e dell’alienazione capitalistica.
Contro questa realtà oggettiva è inutile ribellarsi, è meglio riconoscerla e assumerla come prospettiva di vita
per farsi paradossalmente forti proprio di tale accettazione.
Chi è sradicato, insomma, può godere di questo privilegio di chiaroveggenza, tramutando la disperazione in
orgoglio conoscitivo, il senso di isolamento e d’impotenza in un vantaggio speculativo ed esistenziale, che
può permettergli di utilizzare gli stessi strumenti elaborati dalla borghesia conto di questa e di servirsi della
propria esclusione come di un punto di osservazione da cui partire per scoprire il meccanismo
dell’emarginazione e dell’oppressione.
Vari esempi:
Jeli: pastore che si sente a proprio agio solamente quando è solo in campagna; sperimenta
l’isolamento e l’esclusione all’interno della società;
La Lupa: da tutti evitata e condannata per la spregiudicatezza delle proprie azioni;
Rosso Malpelo: un personaggio emblematico della diversità: non solo è un orfano e dunque più
debole ed indifeso dei suoi coetanei, ma ha anche i capelli rossi, che simboleggiano la sua estraneità
e sembrano legittimare la persecuzione sociale di cui è vittima.
ROSSOMALPELO
La voce narrante è quella della comunità di contadini e di minatori che si accanisce contro il protagonista
perché ha i capelli rossi e dunque sarebbe, di per sé, cattivo. Per la prima volta Verga sperimenta l’artificio
dello straniamento.
Lo straniamento mostra come strano un fenomeno normale, presentandolo da un’ottica inedita. Il punto di
vista del narratore non coincide con quello dell’autore, né con quello del lettore. Sospende il meccanismo di
identificazione del lettore con la vicenda e lo induce a un atteggiamento critico.
In Verga l’artificio di straniamento si collega all’artificio di regressione: l’autore, persona colta, regredisce
nel punto di vista di una voce ignorante. Come all’inizio di Rosso Malpelo (“Malpelo si chiamava così
perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo”): la voce
narrante spiega i fatti con nessi causali che l’autore non potrebbe accettare né condividere ma quest’ultimo
non interviene mai a ristabilire la verità. Si apre in tal modo un divario fra il punto di vista esplicito del
narratore e quello implicito dell’autore. Proprio questo divario, dovuto all’artificio di regressione, fonda lo
straniamento.
Traspare, in questa spiegazione, qualche tratto del determinismo che caratterizza la poetica verista verghiana:
l’uomo è determinato dall’ambiente in cui è inserito, nelle proprie azioni, nei propri valori, nelle proprie
aspettative. Per questo, all’osservatore esterno e allo scrittore stesso non rimane che una via per cercare di
“comprendere siffatta caparbietà”, di indagare i meccanismi, i rapporti, le tensioni, che regolano
quell’ambiente sociale:
bisogna farci piccini anche noi, chiudere tutto l’orizzonte fra due zolle, e guardare col microscopio le piccole
cause che fanno battere i piccoli cuori. 7
È così, in Fantasticheria, introdotto quello che la critica ha definito “artificio della regressione”, ossia la
scelta di Verga di delegare, nel proprio romanzo, “la funzione narrativa ad un anonimo ‘narratore’ popolare,
che appartiene allo stesso livello sociale e culturale dei personaggi che agiscono nella vicenda” 8. Un
artificio, questo, coerente e funzionale all’impostazione positivistica della letteratura verista verghiana:
l’autore ritiene che la realtà sia oggettiva, osservabile scientificamente (lo testimonia il riferimento al
microscopio, nella citazione sopra riportata). Per poterlo fare occorre dunque, secondo lui, assumere la giusta
disposizione e il giusto punto di vista. Non più quello della donna destinataria della lettera di Fantasticheria,
ma quello dello scienziato scrittore disponibile a farsi “piccino”, con un repertorio formale proporzionato alla
realtà oggetto della propria rappresentazione. Solo così lo scrittore potrà, nei Malavoglia, comprendere e
indagare la storia dei protagonisti. E capirne le intime ragioni, come quella dell’"ideale dell’ostrica",
ulteriore riferimento teorico tematizzato in Fantasticheria:
Proprio l’ideale dell’ostrica, e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo che quello di non esser nati
ostriche anche noi. Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li
ha lasciati cadere mentre seminava principi di qua e duchesse di là, questa rassegnazione coraggiosa ad una
vita di stenti, questa religione della famiglia, che si riverbera sul mestiere, sulla casa, e sui sassi che la
circondano, mi sembrano – forse pel quarto d’ora – cose serissime anch’esse 9.
Tale è dunque la “religione” che, nell’ideologia verghiana, indirizza e determina l’agire dei singoli, e che, nel
romanzo, decreta il naufragio della famiglia dei Malavoglia, staccatisi dal proprio posto e incapaci di nuotare
in un mare diverso. È soprattutto ciò che accade al personaggio di ’Ntoni, il quale - fatta l’esperienza della
vita in città - è roso da un’inquietudine che si potrebbe accostare, secondo un incrocio di richiami testuali,
allo stesso dubbio della donna, che apre la novella: “non capisco come si possa viver qui tutta la vita”. Ma, se
per questa figura femminile, una simile impressione è naturale e caratterizzante della propria condizione, per
’Ntoni sarà invece la spinta per il distacco dal proprio scoglio di Aci Trezza, con le conseguenze nefaste e lo
smarrimento definitivo narrati nei Malavoglia, secondo la rigida ideologia già teorizzata in Fantasticheria.
IL MARITO DI ELENA, NOVELLE RUSTICANE E ALTRE RACCOLTE DI RACCONTI SINO AL
VAGABONDAGGIO
Il marito di Elena è un romanzo che si ispira a Madame Bovary di Flaubert: Elena è affetta da bovarismo, è
ammalata di fantasie romantiche. Il romanzo rivela uno scompenso non casuale: di fronte alla corruzione di
Elena, il personaggio maschile, Cesare, appare impotente. Verga da congedo definitivo alla cultura
romantica.
Infatti Novelle rusticane e Per le vie segnano una svolta decisiva: il mondo romantico non è più proponibile;
tutti i personaggi verghiani appaiono dominati dalla roba, e cioè dalla logica economica e dalle leggi
dell’interesse e dell’egoismo.
Sul piano letterario progressivamente prevale una scrittura oggettiva.
Novelle rusticane
Verga vi comincia a studiare il mondo dei campi e di malaria, di contadini, di quartieri popolari.
Viene meno il motivo dell’amore-passione e dai singoli personaggi l’attenzione si sposta alla dimensione
collettiva, analizzata nelle sue dinamiche sociali ed economiche.
Per le vie
Novelle di ambientazione milanese. Verga si sofferma sugli ambienti popolari di una grande città industriale.
Protagonisti sono camerieri, operai, disoccupati e prostitute. Dominano i rapporti di forza determinati dalla
scala gerarchica e dal denaro. Ogni possibilità di egualitarismo è messa sotto accusa.
Per il materialista Verga l’umano comportamento è e sarà sempre determinato esclusivamente dall’egoismo
individuale.
Vagabondaggio
Ambiente siciliano, contadino e borghese. L’incupimento pessimistico porta a ideare personaggi
prevalentemente cinici e squallidi, senza più contraddizioni interne.
La tecnica narrativa continua a essere quella dell’impersonalità, che registra i fatti senza commentarli. Lo
stile si avvale del discorso indiretto libero•, che pone l’accento sull’interiorità di Mazzarò. Il tono epico della
fiaba popolare La strategia dei diversi punti di vista•, come quello del viandante, del lettighiere e del
narratore, conferisce al racconto un tono leggendario. In particolare, l’inizio della novella ricorda una celebre
fiaba dello scrittore francese Charles Perrault (1628-1703), Il gatto con gli stivali, dove un personaggio
domanda ripetutamente a chi appartengano i campi e i boschi che sta percorrendo. Allo stesso modo, le
domande del viandante e le risposte del lettighiere vogliono creare un’atmosfera favolosa intorno alle
ricchezze di Mazzarò.
Punti di vista del narratore
Il viandante Il viandante è un osservatore colto. Il suo punto di
vista proietta sul paesaggio la prospettiva
dell’autore (noia, tristezza, malinconia, morte) e
anticipa la sconfitta di Mazzarò: (rr. 1-8).
Il lettighiere Il lettighiere dà un nome al proprietario di tutta
quella «roba»; inoltre sottolinea il contrasto tra il
potere di Mazzarò e la misera vita che conduce, tra
la sua capacità di accumulare beni e il suo aspetto
umile. Il suo punto di vista, espresso con l’artificio
dello straniamento, rappresenta l’immobilismo
della società rurale, che non riesce a spiegarsi il
successo di Mazzarò: (rr. 25-30).
Il narratore popolare Il narratore popolare appartiene allo stesso mondo
di Mazzarò: in un lungo flashback ne delinea la
personalità e l’incredibile ascesa economico-
sociale. Il narratore popolare non interviene
direttamente nel racconto, ma talvolta fa sentire la
propria ironia facendo apparire strano agli occhi del
lettore ciò che è normale per Mazzarò. Il suo punto
di vista coincide con le scelte utilitaristiche del
personaggio e trova logico quello che potrebbe
sembrare un controsenso (rr. 31-36). Quando il
punto di vista non coincide con quello del
personaggio, il narratore ne prende le distanze:
• la morte della madre, nell’ottica di Mazzarò,
esclude qualunque considerazione affettiva e il
funerale che era costato anche 12 tarì ne sottolinea
ironicamente la mentalità meschina;
• i disagi dei mezzadri e dei debitori sono per
Mazzarò seccature;
• il fanatismo di Mazzarò che ammazza a colpi di
bastone le sue anatre e i suoi tacchini è criticato con
distacco oggettivo mediante l’espressione come un
pazzo.
Determinismo darwiniano
L’applicazione alle società umane delle teorie dell’evoluzione, della selezione naturale e della «lotta per la
vita» di Charles Darwin (1809-1882). In questa prospettiva, l’evoluzione di una comunità sarebbe
determinata dalla lotta per l’esistenza, nella quale il più forte vince sul più debole.
MASTRO-DON GESUALDO
Il secondo romanzo del ciclo dei Vinti è Mastro-Don Gesualdo.
L’intenzione iniziale era quella di raffigurare un arrampicatore sociale: un mastro che diventando ricco si
merita il titolo di “don”, senza però riuscire a far dimenticare le sue origini.
Sullo sfondo ci sono:
Una rivolta carbonara
L’epidemia di colera
La rivoluzione del 1848
La nascita della borghesia terriera
Decadimento della nobiltà cittadina