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VERGA
LA VITA
Giovanni Verga nasce a Catania il 2 settembre 1840, da una famiglia di Agiati
proprietari terrieri di tradizione liberale. In mancanza di scuole pubbliche,
viene mandato alla scuola privata di Antonio abate, che faceva leggere e
commentare ai suoi allievi i romanzi storici e poesie di carattere civile. Verga
si forma principalmente sui testi di romanzieri francesi come i Dumas, ed
Eugene Sue.
Nel 1857 si iscrive alla facoltà di legge dell'università di catania, ma
interrompe gli studi nel 1861 per dedicarsi alla pubblicazione del romanzo i
carbonari della montagna. Decide quindi di dedicarsi soltanto alla letteratura
e al giornalismo politico-culturale. Accanto alla passione letteraria in Verga
abbiamo anche l'impegno civile , egli infatti partecipa con entusiasmo alle
vicende legate alla spedizione dei Mille arruolandosi dal 1860 al 1864 nella
Guardia nazionale. Nel 1865, trascorre alcuni mesi a Firenze, diventata da
poco capitale d'Italia e importante centro culturale. Qui conosce anche Luigi
Capuana che diventerà suo grande amico. Negli anni Fiorentini vedono le
stampe il romanzo Una peccatrice e Storia di una capinera.
Nel 1872, si trasferisce a Milano divenuto in quegli anni il più
importante centro culturale editoriale d'Italia,vi risiederà stabilmente
per più di vent'anni. Allarga la sua cultura letteraria leggendo non solo
autori francesi ma anche i romanzieri russi Come Tolstoj e Dostoevskij.
Conosce Emilio Treves che diventa il suo editore. In questa fase si
impegna anche nella scrittura con un ritmo molto più intenso
pubblicando Eva,Eros e Tigre reale che andranno a formare il suo ciclo
mondano. Dalla metà degli anni settanta in poi Verga sviluppa un
pronunciato interesse per il naturalismo francese, da qui avremo la sua
successiva conversione al verismo. Infatti è del 1872 il bozzetto Nedda
di ambientazioni siciliana tuttavia le vere e proprie tecniche narrative
veriste saranno sviluppate soltanto a partire dal 1878 in Rosso Malpelo
e in altri racconti di quel periodo come La vita dei campi e i Malavoglia.
Nonostante ciò le sue opere veriste furono accolte freddamente e per
questo continuerà a scrivere i testi più vicini alla produzione della prima
metà degli anni 70 come Le novelle rusticane. Comporrà
successivamente Mastro Don Gesualdo che riscuoterà un discreto
successo ma nonostante ciò non riuscirà a portare avanti il progetto del
ciclo di romanzi I Vinti. Nel 1893, deciderà poi di tornare
definitivamente a Catania. Gli rimangono ormai pochi contatti con il
mondo intellettuale frequenta ancora Luigi Capuana, l'amico di sempre,
e anche Federico de Roberto che gli trasmette l'amore per la fotografia
e per il cinema. Successivamente nel 1920 verranno festeggiati i suoi 80
anni con la presenza del filosofo Benedetto Croce e anche di Luigi
Pirandello che pronuncerà il discorso ufficiale. In quello stesso anno,
verrà nominato senatore e morirà poi a Catania il 27 gennaio del 1922.
LA POETICA
Verga si potrebbe definire uno scrittore in decennio come aveva già suggerito
Luigi Capuana secondo il quale l'amico si sarebbe rivelato un autentico
scrittore soltanto dopo la conversione al verismo. Questa caratteristica del
percorso verdiano ha portato i critici a dividere la sua opera in due fasi
separate dalla svolta verso il verismo che viene solitamente associata alla
composizione della novella Nedda nel 1874 qui, quindi si allontana dai temi
patriottici montani della sua produzione precedente per accostarsi al mondo
contadino e popolare. In realtà la cosiddetta conversione letteraria non può
intendersi come improvvisa. Infatti in questo processo di maturazione hanno
giocato un ruolo di rilievo molti fattori geografici e geologici tra cui
sicuramente l’allontanamento dalla Sicilia ,il sodalizio intellettuale con un
altro scrittore catanese ovvero Capuana a cui si deve la decisione di Verga di
spostarsi nel capoluogo Lombardo e quindi la scoperta dei romanzi di Emile
Zola. E infatti proprio Capuana diffondere per primo in Italia le nuove Teorie
del romanzo naturalista.
Le prime prove letterarie del giovane Verga, si caratterizzano per un
forte dinamismo patriottico in cui trovano espressione l'entusiasmo
civile e i valori risorgimentali.E’ il caso di Amore e patria, I carbonari
della montagna e Sulle Lagune. Negli anni successivi Verga si concentra
prevalentemente sulla narrazione di vicende private segnate dalla
passione amorosa infatti Verga giunto a Firenze da alle stampe nel 1866
Una peccatrice che è un racconto della tragica passione che unisce
Pietro brusio ,giovane provinciale, e Narcisa valderi, contessa di Prato,
che alla fine del romanzo ,distrutta dall'oppio, si suicida. Il romanzo
Quindi mette in crisi la scena esistenziale e creativa del giovane
scrittore diviso tra il tentativo di dominare la sua infatuazione e la
ricerca di celebrità letteraria. Il successo e la popolarità arrivano
soltanto con l’opera successiva Storia di una capinera pubblicata nel
1871. Incluso dallo stesso scrittore nel genere romantico e sentimentale
I primi anni del periodo Milanese si contraddistinguono per una più
intensa attenzione di Verga per l' ambientazione di romanzi e per la
descrizione delle dinamiche sociali da cui nascono le vicende narrate.
Le opere appartenenti a questa fase produttiva costituiscono infatti il
ciclo mondano. E si inseriscono nel contesto tardo romantico ma
accolgono anche suggestioni dalla Scapigliatura indirizzata verso una
critica alla società moderna. Costante la presenza anche di un
protagonista maschile; egli infatti è un vinto incapace di vivere
autenticamente in un mondo vacuo e superficiale.
Quindi come già detto la produzione di Verga si può dividere in due fasi:
prima e dopo il verismo. La critica ha molto discusso sulla differenza fra
queste due fasi. Quel che è certo è che in realtà l'inquieto
sperimentalismo di Verga emergeva anche nelle prove narrative
precedenti alla pubblicazione del lungo racconto intitolato la Nedda. In
questo contesto Verga arriva a mettere al centro della sua creazione
letteraria la descrizione del mondo rurale siciliano. Questo era già
protagonista in Nedda, dove però il narratore fa ancora sentire la sua voce
più volte nel racconto. Una vera cesura stilistica e di contenuto si registra
a partire dalla novella Rosso Malpelo in cui lo scrittore non si invita più al
pozzetto regionale e l'interesse per una vicenda di emarginazione sociale.
A questo punto è matura una nuova poetica realizzata attraverso dei
nuovi canoni di oggettività e impersonalità in questo modo dirà lo
scrittore <<l'opera d'arte sembrerà essersi fatta da sé>>.
Il verismo rappresenta per Verga lo strumento per rappresentare la vita morale,
sentimentale e affettiva dei ceti più bassi. La descrizione del cosiddetto popolo non è
effettuata più dall'alto come accadeva con la narrativa pre-verista; Verga Infatti guarda
questo mondo con l'occhio della persona colta e rinuncia a ogni forma di giudizio. Questo
risultato è ottenuto grazie alla tecnica narrativa del impersonalità e all'adozione di un
ottica estranea tanto all'autore che ai suoi probabili elettori. Infatti Verga tende a occultare
il significato delle vicende che racconta convinto che siano la natura stessa delle cose e la
loro rappresentazione a renderli visibili. Nelle novelle così come nei romanzi veristi la
forma deve essere inerente al soggetto cioè non si deve avvertire alcuno scarto tra la voce
narrante è quella dei personaggi. Abbandonato il narratore onnisciente Verga opta per una
sorta di narratore anonimo popolare che racconta i fatti dall'interno di una comunità. La
rinuncia dello scrittore a far sentire direttamente il proprio giudizio e la propria
interpretazione non azzera però la distanza tra il punto di vista nel radiatore e quello
dell'autore. Quest'ultimo infatti arriva ugualmente al lettore anche se per via indiretta
attraverso l'artificio dello ‘’straniamento’’. La tecnica si basa sul principio di far apparire al
lettore strano ciò che è normale o viceversa normale ciò che è strano come per esempio in
Rosso Malpelo la reazione del protagonista alla morte del padre è presentata come uno
strano comportamento a conferma della natura malvagia del ragazzo.
La prospettiva ideologica in cui si muove Verga è influenzata dalle teorie positivistiche
assunte però in maniera acritica e spesso ribaltate nei loro esiti. Nei romanzi
naturalisti si riflette pienamente questa concezione deterministica della realtà infatti
l'individuo è alla mercè di forze cieche come il moment(tempo), il milieu(ambiente) e
la race(ereditarietà biologica). Anche in Verga agisce una visione sostanzialmente
materialistica dell'esistenza dominata dagli egoismi individuali e dalla logica del
profitto economico. Ma i principi della materialità dell'ambiente e dell’ereditarietà
che opprimono i suoi personaggi si inseriscono in un orizzonte più vasto dominato da
una grandiosa e oscura divinità: un destino che pesa su tutti e su tutto. Quella
verghiana è una concezione del mondo e della vita umana da cui è esclusa ogni
illusione. Di fronte allo sviluppo storico dell'umanità il suo atteggiamento appare
contraddittorio infatti se da un lato condivide la visione progressiva della storia tipica
della sua epoca, dall'altro mostra come il progresso sia anche una macchina
mostruosa che stritola e distrugge i deboli, i fiacchi e i vinti. Verga riconoscere il
carattere determinato e irreversibile del corso storico ma cerca di mostrare come
dietro il progresso tanto esaltato si nascondono tragedie individuali.
La visione del mondo di Verga prende forma nelle raccolte di novelle e alimenta
l'ambizioso progetto esposto nella Prefazione ai Malavoglia cioè dar vita a un
ciclo di 5 romanzi detto dei Vinti in cui si rende possibile studiare gli effetti
prodotti sui singoli e sulle comunità sociali dal desiderio di progresso. La spinta a
migliorare il proprio stato è infatti la molla fatale, distruttiva che porta gli individui
a staccarsi dalle proprie tradizioni e dai propri valori di riferimento. È l’<<ideale
dell'ostrica>> esposto nella novella Fantasticheria, cioè come l'ostrica staccata
dallo scoglio in cui la natura l'ha chiamata a vivere è destinata a morire, così
l'uomo che rinuncia alle proprie radici per star meglio, sarà destinato a piegare il
capo sotto l'incalzare dei più forti. Il ciclo di romanzi doveva essere impostato
secondo una logica cioè che partisse dalle classi più basse per arrivare a quelli più
elevate. Il meccanismo esistenziale che muove i comportamenti avrebbe dovuto
essere sempre lo stesso pur variando nelle forme man mano che si risaliva la
piramide sociale, infatti la logica è quella di procedere dal semplice al complesso.
Di questo progetto videro la luce soltanto i primi due romanzi cioè I Malavoglia e
Mastro Don Gesualdo.
LE NOVELLE
DEFINIZIONE NOVELLA :
Narrazione di solito breve, perlopiù in prosa, di fatti reali o immaginari, avventurosi o fantastici; il genere letterario
rappresentato da tale forma è la novellistica
Verga è autore di moltissime novelle,che possono essere divise in tre categorie:
•Vita nei campi (1880), raccoglie novelle in cui è descritto il mondo della campagna siciliana e la sua vitalità
originaria. I personaggi di questi racconti sono estranei alle situazioni artificiali della vita cittadina e risultano
dominati da passioni elementari. È un mondo fuori dalla storia, fondato sulla ripetizione di ritmi sempre uguali,
fatto di lavoro, miseria, violenza, gerarchie, egoismi e codici di comportamento immutabili. La voce popolare
narrante spesso descrive i personaggi con sarcasmo e aggressività, creando un contrasto con la tragicità delle
vicende narrate.
•Novelle rusticane (1882), ripropongono ambienti e personaggi della campagna siciliana, ma in prospettiva più
amara e pessimista, portando in primo piano la miseria e la fame. Il mondo descritto in queste novelle si basa sul
possesso della “roba”, sulla ricerca della ricchezza, di fronte alla quale gli uomini perdono principi e valori. Il
mondo rurale non è idealizzato, ma rappresentato in tutti i suoi aspetti, sia positivi che negativi.
•Per le vie (1883), riprende i temi di Novelle rusticane, ma in un’ambientazione cittadina. Verga torna a raccontare
la città come aveva fatto nei romanzi giovanili; questa volta non parla però dell’ambiente borghese e mondano, ma
preferisce la classe povera cittadina.
NOVELLE PER LE VIE
VITA DEI CAMPI
RUSTICANE Il Bastione di
Cavalleria rusticana Monforte
Il Reverendo
La lupa Cos'è il re In piazza della Scala
Nedda Don Licciu papa Al veglione
Fantasticheria Il mistero Il canarino del n. 15
Amore senza benda
Jeli il pastore Malaria
Semplice storia
Rosso Malpelo Gli orfani
L'osteria del "Buoni
L'amante di La roba Amici"
Gramigna Storia dell'asino di Gelosia
Guerra di santi S. Giuseppe Camerati
Pane nero Via Crucis
Pentolaccia
I galantuomini Conforti
Il come, il quando, Libertà L'ultima giornata
ed il perché
Di là del mare
LA ROBA
Protagonista della novella è Mazzarò, un contadino analfabeta, il quale è riuscito
ad appropriarsi di tutti i beni del padrone ed è quindi riuscito ad accumulare tanta
“roba” (da qui il titolo) sacrificando per essa tutta la sua vita, anche gli affetti più
cari. Si è impossessato dell’uliveto, delle vigne, dei pascoli e dello stesso palazzo.
La roba è psicologicamente il sintomo di un’angoscia, l’incubo della miseria che
diventa una profonda ammirazione per i beni materiali che gli proibisce ogni
distrazione e gli impone persino la riduzione dei bisogni al minimo della
sopravvivenza: è un uomo senza pace e senza gioia, oppresso dalla propria
ricchezza e tormentato dall’idea di perderla.
Tuttavia, il racconto non è la celebrazione dell’avidità o della sete di ricchezza, bensì
una condanna all’ossessione della roba: neanche in punto di morte la figura di
Mazzarò si eleva spiritualmente e moralmente poiché il protagonista dedica anche
il suo ultimo attimo di vita alla roba, non rendendosi conto che è stata proprio
questa la causa della sua morte,l’unica cosa che lo turba è infatti che non potrà
portare la sua roba con sè nell’aldilà.
COMMENTO
Mazzarò è un vinto senza speranza perché sordo e cieco di fronte a quelle
che sono le cose importanti della vita. Riesce con l’astuzia ad emanciparsi
dalla condizione di bracciante, ma ciò non migliora la sua vita, anzi la
peggiora in quanto comincerà ad accumulare ricchezze,possedimenti e
oggetti di ogni tipo.
Tutto per lui si traduce in denaro, in perdita o in ricchezza, persino la morte
della madre, che gli costa dodici tarì! Puó essere considerato un eroe? In
effetti, lotta e si sacrifica una vita intera, ma è un eroe sconfitto,
malinconico, pieno di solitudine: non si rende conto che i suoi beni
andranno perduti una volta morto e compie atti di un eroismo vuoto e
tragico pur di portare la sua roba con sé, come per esempio l’uccisione di
parte del bestiame, nel tentativo disperato trasportarlo fino all’aldilà.
Quest’uomo è vittima del destino e, come in tutte le novelle di Verga, non lo
può cambiare.
NEDDA
Nel prologo Verga narra come un giorno, standosene pigramente dinanzi al caminetto con il fuoco acceso,
mentre fantasticava fosse riemersa nel pensiero un'altra fiamma da lui vista ardere un giorno nel camino
di una fattoria alle pendici dell'Etna.
Intorno a quella fiamma sono ad asciugarsi una ventina di ragazze, raccoglitrici di olive, fradice di pioggia.
Una sola tra loro resta solitaria in disparte, Nedda. Alle domande delle compagne, la timida fanciulla
narra della sua miseria e della madre gravemente malata. Alla fine della settimana, con i pochi soldi della
paga, Nedda parte per ritornare a casa. Giunta a casa, trova la madre quasi agonizzante: a nulla servono
l'intervento del medico e l'estrema medicina procurata dallo zio Giovanni. L'anziana donna muore. Dopo
averla seppellita, Nedda accetta una nuova occupazione ad Aci Catena.
Il lavoro è ora più redditizio e consente alla ragazza maggiore serenità, si sposerà con Janu,un ragazzo del
suo paese. I due hanno un rapporto passionale e gioioso, ma esso non porta alla felicità. Nedda infatti
resterá incinta prima del matrimonio; contemporaneamente Janu si ammala di malaria e tuttavia, per
affrettare le nozze, non rinuncia a lavorare. Cade però da un ulivo e viene consegnato morente a Nedda.
La fanciulla rimane sola: abbandonata, disprezzata, sfruttata; presto le muore anche la figlioletta rachitica.
La battuta che conclude la novella riassume il significato della concezione del vivere maturata da
Nedda:Oh! benedette coi che siete morte! Oh benedetta voi, Vergine Santa! che mi avete tolto la mia
creatura per non farla soffrire come me!
LE NOVITÀ
Questa novella viene descritta da Verga come un semplice racconto scritto solo
per far soldi, fu pubblicato per la prima volta sulla rivista italiana di scienze,
lettere e arti il 15 giugno 1874, e quindi in volumetto autonomo dall'editore
Brigola alla fine di quell'anno, ottenendo un successo che neppure l'autore si
attendeva.
In realtà Nedda segnava, per Verga e per la narrativa italiana un'autentica
rivoluzione letteraria, per quanto silenziosa e in un primo momento passata
inosservata. Come scrisse il critico Luigi Russo: “Con Nedda cambia la visione
della vita, cambia anche il contenuto della nuova arte: non più duelli, non più
amori raffinati di artisti e ballerine (come nelle novelle precedenti) ma passioni
semplici, tragedie silenziose e modeste di povere contadine; La vita è dove
pulsa un cuore e soffrono dei corpi sotto il peso ingiusto delle fatiche, più
schietta che non dove battono polsi frebbili di un amore di moda o società”.
ROSSO MALPELO
La novella narra la storia di un ragazzo maltrattato da tutti che vive una vita ai
margini, non amato neanche dalla sua famiglia.
Hai capelli rossi, nessuno sa come si chiama, così gli viene dato questo nomignolo
tutt’altro che simpatico: secondo la tradizione siciliana chi ha i capelli rossi è una
persona cattiva(anche se Verga non si fa portavoce della credenza popolare diffusa,
è solo uno che riporta la realtà delle cose),anche se lo stesso tratta male tutti,
avvalorando la tesi di chi lo crede malvagio.L’unica persona a cui davvero tiene è suo
padre,che però morirà, peggiorando ancor di più i suoi comportamenti
“Dopo la morte del babbo pareva che gli fosse entrato il diavolo in corpo, e lavorava
al pari di quei bufali feroci che si tengono coll’anello di ferro al naso. Sapendo che
era malpelo, ei s’acconciava ad esserlo peggio che fosse possibile, e se accadeva una
disgrazia, o che un operaio smarriva i ferri, o che un asino si rompeva una gamba, o
che crollava un pezzo di galleria, si sapeva sempre che era stato lui; e infatti ei si
pigliava le busse senza protestare, proprio come se le pigliano gli asini che curvano
la schiena, ma seguitano a fare a modo loro”.
Malpelo, però, parte del sistema in cui vive, vi è dentro fino al collo: lui è
sfruttato e malmenato, ma anche lui si comporta malamente, picchiando e
maltrattando Ranocchio, un ragazzino che lavora nella sua stessa cava,
diventandone l’oppressore
“Ora lo batteva senza un motivo e senza misericordia, e se Ranocchio non si
difendeva, lo picchiava più forte, con maggiore accanimento […]”. Malpelo vive
in un sistema perverso e distorto e lui stesso, con la sua cattiveria è artefice del
proprio destino. è un reietto, abbandonato da tutti, persino dalla madre. Non ha
amici su cui contare, è solo. Quella di Malpelo è una tragedia sorda, senza vinti
né vincitori: è vittima del sistema e anche di sé stesso. È senza alternativa tant’è
che:
“[…]Prese gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col
pane, e il fiasco del vino, e se ne andò; né più si seppe nulla di lui […]”.
L’Unità d’Italia, che determina la chiamata al servizio militare per ‘Ntoni e Luca. Il primo
viene a contatto col mondo e non riesce più a tornare alle sue origini, mentre il secondo
muore in battaglia.
La Rivoluzione Industriale, i cui effetti inducono i Malavoglia a tentare il commercio di lupini
e a indebitarsi con Zio Crocefisso.
Il romanzo rappresenta la fiumana del progresso che travolge i vinti, coloro che non
riescono a stare al passo con la storia. Nella storia il mondo tradizionale, rappresentato dai
Malavoglia, si oppone alla logica economica moderna, rappresentata dagli altri abitanti del
villaggio.
Il vecchio ‘Ntoni e il giovane ‘Ntoni rappresentano due modi diversi,
entrambi destinati alla sconfitta, di confrontarsi con il mutamento:
Il vecchio ‘Ntoni difende i valori antichi e la famiglia, ma tenta la strada
del commercio che lo porta alla rovina.
Il giovane ‘Ntoni a contatto con il mondo della città perde le proprie
radici e non si riconosce più nei valori tradizionali, decidendo alla fine per
una partenza senza ritorno.
La vicenda dei Malavoglia assume un carattere mitico, diventa simbolo
assoluto e descrive le vicende di tante famiglie dell’epoca e la fine di un
mondo che interessò moltissime persone. Tuttavia quello tradizionale
non è un mondo idealizzato poiché viene rappresentato in tutti i suoi
aspetti negativi. La nostalgia che deriva dalla lettura delle vicende narrate
nasce solo dalla distanza, dal nostro trovarci altrove, nel mondo borghese
e moderno che ha sostituito quello tradizionale.
Lingua e stile
Per scrivere questo romanzo Verga ha fatto ricorso a una rigorosa
documentazione, raccogliendo informazioni di prima mano sulla vita
dei contadini e dei pescatori, sui loro usi, tradizioni, proverbi e modi
linguistici. Non si tratta però di una scrittura documentaria o sociale,
ma piuttosto di una scrittura che cerca di offrire in modo intenso
un’immagine dei valori arcaici.
Per fare questo Verga utilizza la tecnica dell’impersonalità, che esclude
la partecipazione dell’autore. Tuttavia questo non determina che anche
il lettore sia escluso. Verga si eclissa dai suoi romanzi, nasconde i propri
giudizi e presenta i fatti dal punto di vista popolare affinché il lettore
possa giudicare le vicende in modo indipendente e vedendole da
dentro.
Ritratto dello scrittore Giovanni Verga
Il narratore popolare del romanzo corrisponde con l’intera comunità di
Aci Trezza e ci presenta un punto di vista collettivo. Nel racconto delle
vicende non c’è distinzione tra pubblico e privato: tutto è pubblico,
oggettivo e presente e il narratore allude spesso a realtà e valori che
considera condivisi da tutti.
Dal punto di vista stilistico Verga usa spesso la ripetizione di formule,
nomignoli e proverbi, procedimento tipico dell’epica e della letteratura
popolare. Tipico della letteratura popolare è anche l’atteggiamento
aggressivo e ironico verso i personaggi che vengono descritti.
Per questo romanzo Verga crea una lingua nuova. Proietta nelle strutture
dell’italiano le forme sintattiche, gli elementi colloquiali e la capacità di
condensazione del dialetto siciliano. Ne nasce una lingua immediata ed
espressionistica, che si dirige verso il plurilinguismo.
Mastro- don Gesualdo
(introduzione generale) Dopo i “Malavoglia” il secondo Romanzo del “ciclo dei
vinti” è “Mastro Don Gesualdo” che viene comunque considerata un’opera di
tutto rispetto e non inferiore rispetto al primo, venne pubblicato a puntate da
luglio a dicembre nel 1888, sulla Nuova Antologia, e poi in volume presso
l’editore Treves nel 1889 . Secondo un’attenta ricostruzione operata dai critici il
periodo in cui si svolge la vicenda del Romanzo va dal 1820-1821 (moti carbonari)
fino al 1848-1849 (rivoluzione del ’48); non si è del tutto certi dell’arco temporale
fornito dai critici perché Verga non fornisce date precise, ma cita degli eventi
storici che consentono più o meno una ricostruzione di questo tipo.
Ambientato in un paese chiamato Vizzini, in provincia di Catania(dove si
ambientano molte delle opere di Verga tra cui la novella “Cavalleria rusticana”):
questo non perché lo dice Verga, non perché sia citato all’interno del Romanzo
ma perché è una ricostruzione fatta dagli stessi critici. A differenza dei
“Malavoglia” qui Verga utilizza molto la tecnica dell’ellissi, infatti spesso fabula e
intreccio non coincidono.
Il Romanzo inizia, in media res, narrando l’incendio che avviene in casa Trao: la famiglia
Trao era una nobile famiglia decaduta della città di Vizzini e la casa dei Trao confinava
con quella di Mastro Don Gesualdo; tutto il paese partecipa per spegnere l'incendio e
così il narratore ha la possibilità di presentare i vari personaggi, primo fra tutti il
protagonista. (Trama)Il romanzo è diviso in 4 parti:
1) La storia comincia nel mezzo della narrazione con l’incendio durante il quale don
Diego, esponente di spicco della famiglia Trao, scopre nella camera della sorella Bianca
don Ninì Rubiera, suo cugino. Nella narrazione traspare che Bianca è rimasta incinta,
infatti viene proposto un matrimonio con Ninì ma la madre di lui non vuole che il figlio
sposi una donna senza dote. Allora i nobili del villaggio dopo una riunione decidono di
scongiurare lo scandalo facendola sposare a mastro don Gesualdo che accetta di buon
grado, mirando ad un miglioramento della sua condizione sociale. Segue poi il racconto
di una “giornata tipo” dell’infaticabile Gesualdo: dall’attenta cura dei suoi affari e delle
sue terre ai difficili rapporti familiari con il fratello sfaticato, la sorella che mira solo alle
sue ricchezze, e che era innamorato di una popolana, Diodata, che gli ha dato due figli
ma che egli non vuole sposare ufficialmente per non compromettere la propria ascesa
sociale.
2)Gesualdo diventa il più ricco del paese, viene infatti rappresentato indaffarato nel
gestire il suo denaro poiché una volta diventato il più ricco del paese Gesualdo decide
di trasferire i suoi affari a Catania e in altre città dell'isola per diventare sempre più
potente.
Dunque nei primi due blocchi narrativi si racconta l'ascesa economica di Mastro Don
Gesualdo. Negli altri due blocchi narrativi invece si racconta del fallimento affettivo e
soprattutto economico di Mastro Don Gesualdo, della sua malattia e della sua morte.
3)La protagonista è Isabella, che Bianca Trao ebbe dal cugino e figlia non naturale di
Gesualdo. Ella si rifugia in campagna per sfuggire ad un’epidemia di colera e proprio in
campagna si innamora di suo cugino dal quale poi aspetta un bambino. Egli vorrebbe
sposarla perché anche la sua famiglia è ormai in decadenza, al cugino converrebbe
sposare Isabella perché figlia di Mastro Don Gesualdo, ma lui rifiuta e costringe la figlia
a sposare il Duca di Leyra un nobile palermitano, e così portare i suoi affari a Palermo.
Ma il Duca si accorge che Isabella è incinta e costringe Gesualdo a cedergli molte
proprietà.
4)Il fatto di aver perso buona parte del suo patrimonio demoralizza al
massimo Gesualdo e questa situazione lo porterà ad ammalarsi e il
Duca per evitare che faccia testamento lo costringe a trasferirsi a
Palermo. Dove
Mastro don Gesualdo muore quindi solo e povero, vedendo la figlia e il
genero dilaniare il suo patrimonio.
TEMI
In questo romanzo vi è una maggiore stratificazione sociale, viene rappresentato il
proletariato, il mondo degli operai, la piccola borghesia, l'alta borghesia ma anche la
nobiltà decaduta. Infatti Gesualdo viene presentato come un borghese arricchitosi
con vari investimenti, la sua è una vita priva di affetti e caratterizzata dall'utile e
dall'interesse economico che prevale anche nelle scelte affettive infatti non esiste
più il valore della famiglia che era un valore importantissimo all'interno de "I
Malavoglia". Qui Verga vuole descrivere l’affermazione di una nuova stirpe di
affaristi (come l'imprenditore Gesualdo) che nel Sud Italia si contendono il potere
politico ed economico con i vecchi latifondisti di provenienza nobiliare. Si affermano
i nuovi "valori" dell'utilitarismo borghese, come logica della “roba” che caratterizza
non solo la legge di vita del protagonista principale ma, di fatto, tutte le relazioni tra
i personaggi del libro. La legge dell’esistenza diventa quella di un impietoso
darwinismo, per cui solo il più forte e il più adatto sopravvivono: Gesualdo dapprima
cavalca con successo il vettore del “progresso”, ma poi ne viene drammaticamente
stritolato, diventando quindi uno dei "vinti" più rappresentativi del ciclo verghiano.
LA LINGUA
La lingua utilizzata dall'autore è principalmente l'italiano, lasciando spazio
qua e là a qualche espressione parlata tipica del dialetto siciliano e adotta
una sintassi modellata sul ritmo della lingua parlata dal popolo. Inoltre
per ottenere l'impersonalità Verga adotta quindi il punto di vista della
gente, differenziandosi dal narratore onnisciente.
Al discorso indiretto libero di Gesualdo, prevalente nel corso del romanzo,
si accostano interventi, tra l’ironico e il sarcastico, del "coro" popolare,
che sottolineano gli aspetti più grotteschi ed assurdi di un mondo schiavo
della nuova mania della modernità: l’accumulo di “roba”.