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PREMESSA
Italiani, popolo migrante: un fenomeno certo antico, ma che negli ultimi decenni dell'ottocento ha
assunto caratteri di vero esodo. Un esodo biblico, che nell'arco di un secolo, dal 1876 al 1976 (cio
dal momento in cui si cominci a tenere i conti di quanti se ne andavano fino a quello in cui i rientri
e gli arrivi di immigrati stranieri diventarono superiori alle partenze) ha visto il nostro Paese perdere
quasi 27 milioni di persone. Pari agli abitanti della penisola al momento dell'unit d'Italia.
In pochi anni nei decenni a cavallo tra la fine dell'800 e l'inizio del nostro secolo furono quattro
milioni i nostri connazionali che si diressero verso gli Stati Uniti, in particolare New York raccolse
circa un terzo dell'intera cifra. Paradossalmente, sar proprio questa gente povera, espulsa dal
mercato del lavoro del proprio paese, che con le loro rimesse dall'estero (pari al 50% attivo della
bilancia dei pagamenti) permetter l'importazione delle materie prime e i beni capitali che
necessitarono alla nascente industria italiana. L'emotivit del nostro popolo dette a questo fenomeno
un carattere melodrammatico, l'emigrante divent l'eroe di una saga popolare intrisa di pianto, che
enfatizzava la condizione del meridionale come di un popolo reietto.
Attraverso la musica si pu leggere una storia dell'emigrazione parallela che parla pi dei
sentimenti, delle aspirazioni e delle motivazioni che portano a un fenomeno migratorio che
interesser moltissime persone. Attraverso la musica si pu leggere una storia dell'emigrazione
parallela che parla pi dei sentimenti, delle aspirazioni e delle motivazioni che portano a un
fenomeno migratorio che interesser moltissime persone.
La meta designata era l'America, quella America dove sembrava alla portata di chiunque
fare fortuna.
La grande occasione era l, bastavano cento lire per intraprendere un viaggio che sarebbe
durato mesi.
La canzone popolare ferma questo desiderio in una famosa composizione che ice: Mamma
mia dammi cento lire che in America voglio andar... Cento lire te le do, ma in America no
no, no.
Una canzone che tutti hanno sentito migliaia di volte e, magari anche canticchiato, ma, forse,
pochi hanno riflettuto sul suo significato: qua, infatti, troviamo tutti gli elementi che
caratterizzano l'emigrazione: la voglia di una nuova vita, il prezzo di questo sogno (le cento
lire), l'opposizione della madre che non vuole mandare il figlio in un posto cos lontano,
perdendolo per sempre.
Viaggi lunghi, spesso fatti in terza classe, disagi, paura: tutto questo non pu non fornire
materiale sia per chi parte, sia per chi resta.
E la musica l'espressione dell'anima e l'anima dei migranti cantava quello che aveva
lasciato alle spalle e cantava quello che pensava di trovare guardando avanti.
Oggi, come allora, la musica serve per tramandare i sogni e le speranze di coloro che,
legata la vali_
Negli anni dal 1867 al 1901 partirono per le Americhe dal porto di Genova 1.922.968
persone. Moltissimi di loro forse la maggior parte non avevano mai visto il mare, molti vi
persero la vita o non lo rividero mai pi, perch non fecero mai ritorno a casa.
Ancora, molte di queste persone conoscevano il mare solo per averlo immaginato nei versi
di una canzone. Dobbiamo cercare di immaginare cosa potette significare per questi uomini di
montagna passare decine di giorni in mezzo al mare, al di l delle condizioni di viaggio certo
non confortevoli.
Possiamo essere certi che, nel corso di queste
traversate, questi uomini, trovandosi tra paesani o
anche con emigranti provenienti da altre zone,
cantassero.
E che tra loro ci fosse qualcuno in grado di
comporre versi, adattandoli da canti gi noti, spesso
antichi di secoli. Oppure che, al termine della
traversata, ritrovandosi tra paesani nelle osterie,
sorgesse spontaneo il desiderio di raccontare e
immortalare la propria avventura in un canto da
tramandare.
Ed ecco affiorare i temi soliti della psicologia
contadina, quelli gi presenti negli antichi canti lirico
- narrativi, ma ora attualizzati nell'esperienza del viaggio oltremare.
La partenza, innanzitutto, e il conseguente abbandono di una persona cara, che in un
diffusissimo canto, forse composto da strofe nate in momenti distinti e quindi variamente
aggregate tra loro, suscita reazioni sentimentali opposte, ben esemplificative della molteplicit
di stati d'animo che dovette accompagnare la scelta della partenza per le terre d'oltremare.
La meta designata era l'America, quella America dove sembrava alla portata di chiunque
fare fortuna.
La grande occasione era l, bastavano cento lire per intraprendere un viaggio che sarebbe
durato mesi.
La canzone popolare ferma questo desiderio in una famosa composizione che ice: Mamma
mia dammi cento lire che in America voglio andar... Cento lire te le do, ma in America no
no, no.
Una canzone che tutti hanno sentito migliaia di volte e, magari anche canticchiato, ma, forse,
pochi hanno riflettuto sul suo significato: qua, infatti, troviamo tutti gli elementi che
caratterizzano l'emigrazione: la voglia di una nuova vita, il prezzo di questo sogno (le cento
lire), l'opposizione della madre che non vuole mandare il figlio in un posto cos lontano,
perdendolo per sempre.
Viaggi lunghi, spesso fatti in terza classe, disagi, paura: tutto questo non pu non fornire
materiale sia per chi parte, sia per chi resta.
E la musica l'espressione dell'anima e l'anima dei migranti cantava quello che aveva
lasciato alle spalle e cantava quello che pensava di trovare guardando avanti.
Oggi, come allora, la musica serve per tramandare i sogni e le speranze di coloro che,
legata la vali_
gia con dentro abiti e sogni, prendevano un bastimento a vapore e tentavano di trovare
una strada
diversa, lontana dalla terra d'origine.
Negli anni dal 1867 al 1901 partirono per le Americhe dal porto di Genova 1.922.968
persone. Moltissimi di loro forse la maggior parte non avevano mai visto il mare, molti vi
persero la vita o non lo rividero mai pi, perch non fecero mai ritorno a casa.
Ancora, molte di queste persone conoscevano il mare solo per averlo immaginato nei versi
di una canzone. Dobbiamo cercare di immaginare cosa potette significare per questi uomini di
oltre alle rimarchevoli "cento lire" che servivano allora per il viaggio, evidenzia l'angoscia della
mamma conscia che, partito il figlio, difficilmente l'avrebbe rivisto. Ma molte mamme non riescono
a fermare il proprio figlio, che di alternative alla fame nella sua terra ne trova ben poche.
Al 1868 si deve tuttavia "Addio a Napoli", in seguito nel repertorio di Caruso, Murolo, Dalla e De
Gregori, che s'impernia sul tema dell'addio dell'emigrante alla sua terra natia.
Il 6 agosto del 1906 dal porto di Genova partiva il vapore Sirio, una delle
navi pi moderne della flotta italiana, con a bordo circa 2.000 emigranti
che andavano in America. Il vapore viaggiava a 17 nodi l'ora, una
velocit ancor oggi considerevole, e, per abbreviare il viaggio, segu una
rotta molto vicina alle coste spagnole. Il 9 agosto urt contro uno scoglio
che si trovava alla profondit di circa 3 metri e incominci un lento
inabissamento. Il Sirio impieg venti giorni per affondare
definitivamente, ma la paura e la disorganizzazione presero il
sopravvento e finirono annegate o disperse circa 300 persone per la
compagnia assicurativa, oltre 700 per i giornali dell'epoca.La ballata
molto diffusa in tutto il nord Italia.
Rende molto bene l'idea di quello che fu un nostro Titanic, colpevolmente poco noto forse perch
non sfavillante come il pi celebre e maestoso transatlantico.
Il tema del Titanic, molto prima del film di James Cameron, era stato ripreso da De Gregori in un
suo celebre pezzo, che esula da questa monografia in quanto ricostruzione in chiave storiografica.
E' del 1919 "Santa Lucia lontana", che ben presto diventer l'inno degli emigranti:
Ma se ghe penso
alloa mi vedo o ma,
veddo i mae monti
e a ciassa da Nonsi
rivedo o Righi
e me s'astrenze o cheu;
che, ripresa in epoche successive da Bruno Lauzi, Gino Paoli e da Mina, esprime la nostalgia per la
Genova lontana.
Un canto trentino
Mi s che vegniria
se 'l fus da chi a Milan,
ma per andare in Merica
l' massa via lontan.
che esprime il disagio dell'emigrante misto all'orgoglio per il contributo dato allo sviluppo di quel
paese lontano.
Fermandoci in Veneto, uno incredibile, se
rapportato ai giorni nostri: chi direbbe oggi,
nell'opulento nord est, terra promessa di colf
e badanti d'oltrecortina che un tempo
l'emigrazione avveniva nell'esatta direttrice
opposta? Un canto del bellunese recita
Andiamo in Transilvania
a menar la carioleta
che l'Italia povereta
no' l'ha bezzi da pagar.
E gi, dal triVeneto si emigrava in Romania soprattutto nella zona di Craiova.....a quei tempi il ricco
nord est era molto piu' povero della Romania, c' da pensarci a fondo.
Del 1927 la tristemente profetica "Miniera", di Bixio-Cherubini, si veda appresso la nota su
Marcinelle, i cui versi
l'emigrante fiorentino esprime qui per un'intenzione che trover seguito nei decenni successivi:
non pi emigrazione stanziale, definitiva, si delinea la tipologia cosiddetta dell'emigrante
"temporaneo": andare, lavorare e tornare un giorno in patria col gruzzoletto.
Tuttavia il bacione a Firenze rappresenta un'eccezione per il suo tempo: il regime fascista mal
tollera che si parli dell'italiano come di un disgraziato costretto ad andare a carcarsi il pane altrove,
magari in un paese straniero, culla di quelle ideologie sprezzantemente definite demo-pluto-
giudaiche, quindi l'emigrazione negli anni '30 diventa sostanzialmente tutt'altra cosa, diventa la
gioiosa missione civilizzatrice del nuovo italiano, il colonizzatore che va a prendersi il suo "posto al
sole" e contemporaneamente a portare la civilt romana a quei popoli selvaggi.
Nascono cos le "Faccette nere", "Carovana del Tigrai", "Ti saluto (vado in Abissinia")", tutti
pezzi pervasi di smanie di conquista di terre nuove e redenzione del selvaggio in nome
dell'ideologia nuova. Del resto c'era stato un precedente illustre col "Tripoli bel suol d'amore" che
aveva accompagnato la conquista della Tripolitania e
della Cirenaica del 1912.
Nonostante la fascistizzazione del ministero degli esteri
con tutta la sua rete consolare e l'enorme sforzo profuso
nel tentativo di trasformare gli italiani all'estero in una
quinta colonna (come teorizzato da Roberto Farinacci),
Mussolini and incontro a una disfatta planetaria. Numeri
alla mano, infatti, alla gran quantit di Fasci
fortissimamente voluti dai consolati perfino nel Siam,
corrispondeva un numero di membri cos piccolo da
essere ridicolo.
Le legnate della guerra fanno sparire presto tutte le ubbie
imperialistiche e quinto colonnare italiane, e di colpo si torna alla nostra condizione di popolo
errante. L'emigrante napoletano pensa con preoccupazione alla sua terra lontana,timoroso di
ritrovare la sua citt distrutta e trasformata dal conflitto mondiale, come traspare dalla celeberrima
"Munasterio 'e Santa Chiara", luogo martoriato dal bombardamento alleato e divenuto un
simbolo. Da quelle macerie Napoli e tutta la societ italiana usciranno profondamente cambiate.
Particolare, e dovuta proprio alla sconfitta bellica, la condizione di Trieste, terra di migranti e per
giunta divisa dalla madrepatria italiana. Teddy Reno, al secolo Ferruccio Ricordi, propone nel 1949
"Trieste mia" che recita
precorritrice della "Vola Colomba" di 3 anni dopo, inno dell'italianit triestina, ma questa
un'altra storia.
Perfino la celeberrima "Romagna mia", che sugella la consacrazione di Secondo Casadei nel 1955
anche al di fuori dei confini regionali, ha di fondo il nostro tema
il romagnolo protagonista del canto, , quindi nostalgicamente lontano dalla sua terra.
E se Claudio Villa nel 1960 piangeva sul "Binario" quelle fredde parallele della vita che gli
portavano via l'amata, Nino d'Angelo gli far eco
oltre vent'anni dopo in "Maledetto treno" in cui
malediceva, appunto, il treno che gli aveva portato
via la bella per chiss dove.
Tragedie assurde come nel '56 la morte nelle
miniere di Marcinelle in Belgio o nell'agosto del
1965 quando un ghiacciaio delle Alpi Svizzere si
rovesci sui cantieri allestiti per la costruzione
della diga di Mattmark, facendo strage di uomini
ispir struggenti brani come
cos apriva la sua "Ballata di Attilio", una canzone cruda e scarna cantata da Franco Trincale quasi
quarant'anni fa. Raccontava la storia di uno dei tanti italiani che, lasciata la propria terra per un
futuro migliore all'estero, trovava invece la morte. Marcinelle, il cui toponimo diverr in Italia
simbolo stesso di tragedia, venne cantata anche da Otello Profazio, ne "Lu trenu de lu soli" del
1963.
Comincia per il cosiddetto boom economico, e l'emigrazione cambia faccia, assumendo
prevalentemente caratteri interni, dal mezzogiorno al nord Italia, o pi semplicemente dalla
campagna alla metropoli.
L'urbanesimo ed il difficile distacco dai campi nel "Ragazzo della via Gluck", pezzo
autobiografico di Celentano del '66 che racconta la sua storia attraverso l'artificio del colloquio con
se stesso nei panni dell'amico rimasto nei campi, a giocare a piedi nudi nei prati, mentre lui in
centro respirer il cemento. Tema ripreso vent'anni dopo da Ramazzotti in "Adesso tu", quando lui,
ormai cantante di successo ma "nato ai bordi di periferia" non dimentica tutti gli amici che sono
ancora la.
Il tragico commiato dal mondo di Tenco non sfugge al nostro tema
Torno a casa
siamo in tanti sul treno
occhi stanchi
ma nel cuore il sereno
Dopo tanti mesi di lavoro
mi riposer
dietro quella porta
le mie cose io ritrover
la mia lingua sentir
quel che dico capir....
Struggente il canto dei Ricchi e Poveri e Jos Feliciano in "Che sar", nell'abbandonare il
celeberrimo "Paese mio che stai sulla collina....",
lasciato alla sua noia, abbandono, niente...per andare a
cercar fortuna lontano. Da rimarcare il fatto che "gli
amici miei son quasi tutti via...." E' chiaro che non si
tratta di una scelta ma di una necessit.
L'icona dell'emigrante in Mino Reitano col suo
manifesto "L'uomo e la valigia", il giovane e
speranzoso ragazzo del sud che parte in cerca di gloria
verso la "grande citt" e " giorni di nebbia" che ci
fanno inequivocabilmente capire dove si vada,
lasciando la bella al paese nato mentre il giovane Al
Bano nel 1968 aveva raccontato la sua esperienza ne "La siepe", malinconico addio del ragazzo
pugliese alla mamma che resta nel suo mondo delimitato, appunto, dalla siepe di casa.
Continua l'Epopea della migrazione interna con "Montagne verdi", pezzo del 1972 firmato da
Bigazzi e dal fratello Gianni per Marcella Bella, in un clima quasi da feuilletton in cui la ragazza
siciliana narra della sua tristezza nell'abbandonare la ridente terra natia per il freddo e nebbioso nord
Progetto Emigrazione 9 Ada Negri Belgioioso
Prof. Rita Padalino
Italia.
Nel repertorio di Giovanna Marini,c' una canzone del '73, "Gli stagionali", che parla
dell'emigrazione italiana in Svizzera, ripresa nel suo penultimo album, "Buongiorno e buonasera".
In una recente intervista Giovanna si rammaricata del fatto che la canzone popolare italiana non
abbia saputo contribuire a rendere eroi gli emigrati. Di canzoni sul tema dell'emigrazione, dice la
Marini, ce ne sono, basti pensare a quelle trovate da Roberto Leydi, alle numerosissime
sull'emigrazione in America o ancora a quelle sulle tragedie che hanno colpito gli emigrati italiani
in Europa, come Mattmark o Marcinelle. Ma questo non bastato a darci
una coscienza pi profonda del fenomeno. Sono convinta che se noi in
Italia abbiamo tanta difficolt come popolo ad accettare gli immigrati
extracomunitari perch nessun governo ha reso eroi gli emigrati italiani
che sono partiti per lavorare all'estero. Per noi gli emigranti per essere
degli eroi devono morire o farsi rapire. Ma se partono semplicemente in
cerca di lavoro perch nella loro terra non ne trovano, sono soltanto dei
poveri disgraziati, poco furbi, dei falliti in patria che pagano oltretutto le
tasse.
Un buon tema su cui riflettere.
Unico caso di emigrante non italiano nella nostra canzone il "Pablo"
di De Gregori, emigrante spagnolo in Svizzera, Pablo che tradisce la sua
patria d'origine per la svizzera verde. Qualcuno vide Neruda dietro il Pablo cantato da Francesco,
ma De Gregori stesso ha smentito tale accostamento dichiarando che proprio di un comune
emigrante intendeva cantare le gesta.
Non uno mai stata incisa su disco, ma anche Lucio Battisti nel 1980 ha dedicato, assieme a
Mogol, un pezzo sul tema. "Il paradiso non qui"; considerata da Mogol un brano validissimo
tanto da indurgli a dire "l'ho sempre considerato uno dei brani pi belli scritti in quel periodo:
non ho mai capito perch Lucio non ha voluto inciderlo". Il testo riporta frammenti della vita di un
italiano emigrato in Inghilterra per lavoro, una lettera scritta all'amico restato in Patria che
sottolinea come il Paese ospitante ha saputo offrire un lavoro, un diverso modo di campare, anche
se le donne sono diverse e si comportano in modo non conosciuto, il vino non molto buono e
costa caro, sicuramente vivere qui duro. Un misto di orgoglio per la propria capacit di
adattamento e di rimpianto per le cose lasciate.
L'emigrazione agli sgoccioli. E' del 1981 Pasquale Ametrano, l'operaio materano emigrato a
Monaco di Baviera magistralmente dipinto da Carlo Verdone in "Bianco Rosso e Verdone". Si pu
terminare con questa macchietta mica tanto lontana dalla realt, diverso ma integrato (Pasquale ha
una moglie tedesca e parla tedesco, mentre di italiano conosce solo il suo dialetto materano) il
fenomeno dell'emigrazione dall'Italia, quanto meno l'emigrazione da
"poveracci".
L'ultimo accenno all'amore che si allontana che si allontana col treno "cattivo"
ci sovviene da una adolescente Laura Pausini del '93 che ne "La Solitudine" ha
ora il volto di Marco, il fidanzatino che andato via al seguito del padre che ha
cambiato lavoro, anche se da pi l'idea del figlio di funzionario di banca
trasferito piuttosto che del povero emigrante.
Canto di emigrazione della seconda met dell'ottocento molto diffuso in tutta l'area padana.
Narra una vicenda individuale, e in ci resta fedele ad uno dei caratteri distintivi del canto
lirico - narrativo dell'Italia settentrionale, la ballata del cantastorie un affresco collettivo,
ricco di immagini che potremmo gi definire "di massa", e in effetti quasi cinematografici.
La madre del canto originario ha lo spessore tragico di un'antica profetessa inascoltata,
propria della sensibilit contadina arcaica, la "Maledizione della madre", canto nel quale
risuona la cupezza di vincoli e tab ancestrali.
In questo canto antico l'impazienza del pretendente o della fanciulla stessa che,
precorrendo il tempo fatalmente determinato del distacco della figlia dal grembo materno,
suscita la maledizione della madre e la successiva disgrazia (giacch il confine tra profezia e
maledizione labile). E l'infrazione di una norma sociale, quella che sancisce l'unit del gruppo
famigliare e il suo legame con la terra d'appartenenza.
E invece quelle dei miei fratelli son st quelle che m'han trad
E invece quelle dei miei fratelli son st quelle che m'han trad
E invece quelle dei miei fratelli son st quelle che m'han trad
Testo n. 2
Mamma mia dammi cento lire
Che in America voglio andar;
mamma mia dammi cento lire
che in America voglio andar.
Cento lire io te le do
Ma in America no,no,no
Cento lire io te le do
Ma in America no,no,no.
"Se ghe pensu" si diffuse in tutto il mondo e fin per simboleggiare il sentimento autentico
dell'emigrante della seconda generazione, che anela al ritorno a casa dopo una vita di lavoro in
terre lontane.
Trionfa quel melenso nazional-popolare che forse, con il crollo della civilt contadina,
divenuto veramente il sentimento pi rappresentativo del mondo popolare modernizzato ed
urbanizzato, almeno fino ai grandi rivolgimenti sociali e di costume degli anni Settanta.
Il testo semplice, la melodia malinconica e struggente, siamo ben lontani dalle asperit
simboliche, dagli squarci sulle profondit psicologiche offerte dai vecchi canti contadini.
Il canto di emigrazione cambiato, non sar pi il riflesso spontaneo ed immediato di
un'esperienza collettiva, ma il prodotto pianificato di un'industria del sentimento che vedr il
popolo passare dal ruolo di creatore del proprio discorso a quello di fruitore passivo, soggetto
al quale sar precluso di riadattare ad una propria, ormai smarrita, misura esistenziale
autonoma.
"Se ghe pensu", far piangere intere famiglie di emigranti, quelli rimasti, quelli ritornati e
quelli che solamente hanno visto partire i loro cari.
La vera tragedia, quella dei corpi inghiottiti dalle acque e dei molti di cui si persero le
tracce, era ormai lontana, e con essa la verit di canti troppo aderenti al reale e alle sue
contraddizioni, troppo interni alle dinamiche proprie di una declinante cultura popolare di
tradizione.
Il nuovo sentimentalismo che aveva conquistato il mondo popolare serv forse, soprattutto,
a rimuovere quei dolori di tanto pi grandi.
La paternit della canzone sicuramente attribuibile a Mario Cappello (tanto per i versi
quanto per la musica) mentre Attilio Margutti collabor soltanto alla stesura musicale.
L'anno di nascita del brano il 1925. La prima interpretazione del brano fu quella del
soprano Luisa Rondolotti, che lo cant al Teatro Orfeo, una sala genovese che oggi non esiste
pi.
La canzone narra la storia di un genovese costretto a emigrare in America Latina in cerca di
fortuna, ma ripensando alla bellezza della sua citt e sopraffatto dalla nostalgia per essa,
decide di ritornare.
La canzone apre e chiude con il riferimento alla povert del protagonista, che dopo essere
partito senza un soldo (sensa n-a palanca), torna trent'anni dopo a Genova lasciando tutto
quello che aveva guadagnato in America pur di rivedere la sua terra (E sensa tante cse o l'
parto)
Non gli importa che il figlio preferisca rimanere: lui partir in un viaggio a ritroso (nel tempo e
nello spazio) per formare di nuovo il suo nido a Genova. Questa canzone testimone
dell'attaccamento dei genovesi verso la loro citt e (finalmente) sfata il mito della loro avarizia,
Progetto Emigrazione 15 Ada Negri Belgioioso
Prof. Rita Padalino
riconoscendo loro valori pi alti di quelli materiali: ad un'iniziale bramosia di benessere (Aveva
lottato per risparmiare e farsi la palazzina e il giardinetto), pian piano la nostalgia gli attanaglia il
cuore.
o figgio o l'inscisteiva: "Stemmo ben,
O l'a parto sensa 'na palanca, dove ti vu an, pap?.. pensiemmo dppo;
l'a z trent'anni, forse anche ci. o viaggio, o m, t' vgio, no conven!"
l'aiva lottu pe mette i din a-a banca "Oh no, oh no! mi me sento ancon in
e poisene ancon n giorno turn in z gamba,
e fse a palassinn-a e o giardinetto, son stffo e no ne psso prppio ci,
co-o rampicante, co-a cantinn-a e o vin, son stanco de sent: seor, caramba,
a branda attacca a-i rboi, a so letto, mi vuggio ritornmene ancon in z...
pe dghe 'na schena seja e mattin. Ti t' nascio e t'h parlu spagnllo,
Ma o figgio ghe dixeiva: "No ghe pens mi son nascio zeneise e... no ghe mllo!"
a Zena cse ti ghe vu torn?!"
Ma se ghe penso alla mi veddo o m,
Ma se ghe penso alla mi veddo o m, veddo i m monti e a ciassa da Nnsi,
veddo i m monti e a ciassa da Nnsi, riveddo o Righi e me s'astrenze o chu,
riveddo o Righi e me s'astrenze o chu, veddo a lanterna, a cava, laz o mu...
veddo a lanterna, a cava, laz o mu... Riveddo a-a seja Zena inlmina,
Riveddo a-a seja Zena inlmina, veddo l a Fxe e sento franze o m
veddo l a Fxe e sento franze o m e alla mi penso ancon de ritorn
e alla mi penso ancon de ritorn a ps e osse dove'h m madonna.
a ps e sse dove'h m madonna.
E sensa tante cse o l' parto
O l'a passu do tempo, forse trppo, e a Zena o g'ha formu torna o su no.
Testo in italiano
Mm'avite scritto
ch'Assuntulella chiamma
chi ll'ha lassata e sta luntana ancora...
Che v'aggi''a d? Si 'e figlie vnno 'a mamma,
factela turn chella "signora".
Traduzione
Mi avete scritto
che la piccola Assunta chiama
chi l'ha lasciata ed ancora lontana
Cosa devo dirvi? Se le figlie vogliono la mamma,
fatela tornare quella signora.
Nel linciaggio di New Orleans accaduto nel 1891 furono linciati 9 italiani, tutti siciliani,
accusati ingiustamente di aver ucciso il capo della polizia urbana.
In un tribunale dell'Alabama, nel 1922 (processo Rollins versus Alabama), una donna
italiana venne dichiarata "non appartenente alla razza bianca" criterio sul quale si
fondava il giudizio della corte.
Durante il processo agli anarchici italiani Sacco e Vanzetti, avvenuto a Boston nel 1927, il
pregiudizio contro gli immigrati italiani emerse con chiarezza e contribu, pur non essendo
l'elemento decisivo, alla loro condanna a morte.
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Libero Bovio (Napoli, 8 giugno 1883 Napoli, 26 maggio 1942) stato un poeta, scrittore,
drammaturgo, giornalista italiano, autore di testi di molte celebri canzoni in lingua napoletana.
Insieme a Salvatore Di Giacomo, Ernesto Murolo ed E. A. Mario stato un artefice della
cosiddetta epoca d'oro della canzone napoletana.
Figlio di Giovanni, originario di Trani, professore di filosofia di idee
repubblicane e di Bianca Nicosia, maestra di pianoforte, si
appassion sin da giovane alla musica ed al teatro dialettale.
Inizi a frequentare senza troppa convinzione scuole tecniche che
dovette abbandonare alla morte del padre, per cercare un impiego.
Fu assunto prima in un giornale locale Don Marzio e poi al Museo
Archeologico Nazionale di Napoli, presso l'Ufficio Esportazioni, dove
ebbe l'opportunit di scrivere molto, anche se non smise mai di
dedicarsi alle sue vere passioni che rimasero la musica ed il teatro.
Il suo talento di scrittore di testi di canzoni napoletane malinconiche
e ricche di disinganno si espresse ai massimi livelli quando divenne
direttore di case editrici musicali, come La Canzonetta, dal 1917 al
1923 e dall'anno seguente alla Santa Lucia.
Il successo
Riscosse il suo primo successo nel 1910 con Surdate, musicata da
Evemero Nardella, nella quale esalto le virt terapeutiche delle
canzoni, e grazie alle sue proficue collaborazioni con i musicisti pi
in voga del momento, intorno al 1915 confezion canzoni come
Tu ca nun chiagne (musica di Ernesto De Curtis), Reginella (musica di Gaetano
Lama), Cara piccina, Chiove, 'O Paese d' 'o sole e Lacreme napulitane, queste ultime
due composte intorno al 1925 e legate al tema dell'emigrazione. Il pessimismo
sentimentale di Bovio si espresse anche con due importanti canzoni d'amore, quali L'addio
(musica di Nicola Valente) e Chiove (musica di Evemero Nardella). Tra i testi in italiano deve
essere ricordato quello della famosa canzone Signorinella, musicata da Valente.
Terminato il periodo bellico, spos, nel 1919, Maria Di Furia
che gli dar due figli.
Il Teatro
Fu anche autore di opere teatrali, tra cui Gente nosta, 'O
prufessore, 'O Macchiettista e anche di canzoni dai toni pi
drammatici di quelle che gli avevano dato la fama, come
Lacreme napulitane, Carcere, 'E figlie, Zappatore,
Guapparia.
Nel 1934 fond una nuova casa editrice musicale, La
Bottega dei 4, assieme a Nicola Valente, Ernesto Tagliaferri
e Gaetano Lama.
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GENERE: Drammatico
REGIA: Raffaello Matarazzo
SCENEGGIATURA: Aldo De Benedetti, Nicola Manzari
ATTORI:
Amedeo Nazzari, Yvonne Sanson, Aldo Silvani, Rosalia Randazzo, Teresa Franchini, Nino
Marchesini, Roberto Murolo, Aldo Nicodemi, Gianfranco Magalotti, Lilly Marchi, Amelia
Pellegrini, Giulio Tommassoni
E una canzone scritta da Jimmy Fontana, Franco Migliacci e Carlo Pes ed interpretata da Jos
Feliciano e i Ricchi e Poveri, presentata al Festival di Sanremo del 1971 dove si classific al
secondo posto
La canzone Che sar fu ispirata dal paese di Cortona di Franco Migliacci, ma curioso come la
storia raccontata "del paese sulla collina lasciato" corrisponda molto alla storia personale di
Jos Feliciano, nativo del paese collinare di Lares della allora povera isola caraibica di Porto
Rico e che lasci per New York come tanti altri latino americani e portoricani a cercare fortuna
per gli USA.
La canzone infatti, specie nella versione spagnola di grande successo in quei paesi,
considerata come un "inno alla immigrazione" delle popolazione latine. Ed proprio a causa di
Che sar che dal 1971 la musica di Jos Feliciano fu ufficialmente bandita dal governo dell'isola
di Cuba, paese dove precedentemente aveva ottenuto una grandissima popolarit per i suoi
dischi di storici bolero latino americani, proprio perch con questo successo avrebbe
incentivato la fuga dall'isola. In verit poi per la musica di Jos Feliciano rimasta comunque
molto popolare e suonata nei locale e nelle case dell'isola anche se mai pi ufficialmente
distribuita e suonata dalla radio.
Analizziamo solo alcuni versi del brano, nell'abbandonare il celeberrimo "Paese mio che stai
sulla collina...." lasciato alla sua noia, abbandono, niente...per andare a cercar fortuna lontano,
una terra del rimorso pi che del rimpianto, a rimarcare il fatto "gli amici miei son quasi tutti
via...." E' chiaro che non si tratta di una scelta ma di una necessit.
Montagne verdi
La canzone parla del fenomeno migratorio italiano (migrazione interna) con Montagne verdi,
pezzo del 1972 firmato da Bigazzi e dal fratello Gianni per Marcella Bella, in un clima quasi da
feuilletton in cui la ragazza siciliana narra della sua tristezza nell'abbandonare la ridente terra
natia per il freddo e nebbioso nord Italia.