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La bella estate.

Ultima parte

1) Ascoltate il frammento che segue a proposito dei premi Strega su


Pavese, e fate particolare attenzione a ció che si dice tenendo conto di
che significherebbe in questo contesto:
Recuperare qualcosa mai vissuta.

Dopo di esso stabilite vicinanze o lontananze tra Ginia e Pavese nel finale del
libro
https://www.youtube.com/watch?v=r9uIGSZA_Yo (min 26: 08 a 37: 56)

2) Leggete i seguenti frammenti e vincolateli al finale del libro


a. Ma in questo è perfettamente un romanzo di Cesare Pavese, anzi si
potrebbe dire che tra le varie opere essa sia una delle più rappresentative
non tanto del suo stile e della sua poetica (per questo ci sono certo gli
scritti più celebri – La luna e i falò, La casa in collina, I dialoghi con
Leucò), quanto dell’uomo che fu Pavese, delle sue illusioni e
disillusioni, che egli trasferisce simbioticamente nei protagonisti dei tre
racconti che vanno a costituire il libro.
b. La bella estate, vista come momento della vita. L’estate è la stagione
della giovinezza, il momento di passaggio dall’adolescenza all’età
adulta: è bella nell’ottica di chi si appresta a viverla, carico di
aspettative e sogni da un lato infantili, dall’altro idillici, proiettati in
un universo pieno di innocenza e favoleggiamento tipico di chi non è
ancora sceso a patti con il reale.
È così che chi legge entra nella storia, attraverso l’occhio incantato di Ginia,
che vede ancora ogni cosa come un sospiro di meraviglia. Ma non esiste, o
meglio non esiste in questo mondo (forse esisteva nell’età del mito – come ci
dice nei Dialoghi con Leucò) una bellezza pura, che non chieda di pagare lo
scotto: assaporare l’entusiasmo dell’essere vivi scaturisce tragiche
conseguenze e diventare giovani adulti altro non è che un traumatico
disilludersi. E così Ginia, che vuole amare, conosce cosa significa avere un
corpo: non esiste una verginità perenne, né il lieto fine da favola casta.

I rapporti umani sono messi a nudo da Cesare Pavese in tutta la loro


contraddittorietà: l’amicizia appare costantemente minacciata dall’interesse
e dalla frivolezza, il sentimento d’amore altro non è che tentazione, o tuttalpiù
l’avventura di una notte. Non c’è spazio per il romanticismo: l’unico modo
rimasto per sentire, l’unica profondità concessa è nella solitudine

Cesare Pavese è in grado, ad uno sguardo sensibile ed attento, di


tratteggiare il ritratto dell’essere umano svelandone i tormenti esistenziali
causati da un’epoca di decadenza, senza abbellimenti, se non quelli di una
natura lontana e sfumata, che però quando viene raggiunta e conquistata si
rivela tanto secca ed arida quanto la nevrotica urbanità da cui i suoi
personaggi sempre desiderano fuggire (se non sono ancora ragazzini ingenui).
Cosa rimane alla fine?

c. È bello svegliarsi e non farsi illusioni. Ci si sente liberi


e r e s p o n s a b i l i . U n a f o r z a t r e m e n d a è i n n o i , l a l i b er t à . S i
può toccare l’innocenza. Si è disposti a soffrire.
d . La protagonista vive in un ambiente artistico dove i valori morali sono
degradati. Questo atteggiamento negativo dell'autore nei confronti delle
donne può essere visto come un simbolo negativo, ed è il risultato delle
delusioni amorose che lo hanno spinto ancor più nella cupa solitudine.
Ne La bella estate affiorano la sua paura di vivere, il suo terrore del
sesso, il suo complesso verso le donne con le quali non riusciva a
realizzare un'intesa durevole. Questo racconto sintetizza la sua idea
della ''bella estate'', della stagione più felice della vita che per lui non si
realizzò mai.
e . Al centro dell'opera pavesiana, come si è cercato di dimostrare e come
evidenzia Salvatore Guglielmino, c'è lo scontro "[…] drammaticamente
sentito e mai risolto tra desiderio di comunicazione e regressione nella
propria intimità psicologica, nella ricerca di una propria mitologia
dell'infanzia e della terra d'origine, in una parola della propria
solitudine"

f.  È, La bella estate, il racconto della scoperta della vita e della città, a
cui Pavese arriva subito dopo la sanguigna vicenda rurale di Paesi tuoi,
laddove il fuoco appiccato a una casa da Talino ci richiama il rogo –
accidentale – della casa in Tobacco Road (1932) di Erskine Caldwell
nella profonda America rurale.[7] (Non è però Caldwell, e nemmeno
Steinbeck o Faulkner, l’autore americano che più “gravava sulle spalle”
di Pavese al tempo di Paesi tuoi, ma James Cain, con il suo ritmo della
narrazione, come lo scrittore stesso avrebbe dichiarato).[8]  È, La bella
estate, la scoperta da parte di Ginia, ragazza sedicenne che lavora in un
atelier di moda, della città e della vita. All’atmosfera del libro si
possono collegare queste annotazioni che nel proprio diario Pavese
verga sotto la data del 25 dicembre 1937: “Ricordi come i tuoi sogni di
case operaie e limpide, i tuoi corsi alberati su un prato, la tua città
fredda sotto le montagne, le insegne al neon rosso di fronte alla piazza
delle montagne, le domeniche erranti verso questa piazza, sui selciati, e
poi il tuo lacerante sogno di compagnie piemontese-internazionali, di
ragazze che vivono sole e lavorano, di plebea eleganza e serenità e poi
tutte le tue poesie del primo anno; si sono annichilati per sempre col 9
aprile? Non c’è tutta la tua giovinezza nel cinema e nella piazza
Statuto? morta, morta assolutamente?”.[9]

   Questa è la tensione di Pavese verso la città come ambigua-ambivalente


ricerca del luogo della civiltà. Così è per Ginia: la scoperta della città e della
trasgressione, e anche del sesso. Eccola passeggiare con Amelia, l’amica più
grande che per vivere si fa ritrarre nuda: “Se ne andarono al centro, tutte e due
senza cappello, seguendo il fresco dei corsi, e per cominciare presero il gelato
e leccandolo guardavano la gente e ridevano. Con Amelia era tutto più facile,
e ci si divertiva di gusto come se niente importasse e quella sera dovessero
succedere le cose più varie. Con Amelia che aveva vent’anni e camminava e
guardava sfacciata, Ginia sapeva di potersi fidare. Amelia non s’era neanche
messe le calze, per il caldo; e quando passarono vicino a una sala da ballo, di
quelle con l’orchestra sottovoce e i paralumi sui tavolini, Ginia aveva paura di
dovercela accompagnare. Non c’era mai stata, e trattenne il fiato”.[10] Eppure,
la città stessa sembra essere più uno sfondo, una quinta di una vicenda
interiore che si gioca in “interni”, tra soffitte di pittori bohémiens, caffè e
atelier di modelle.

   Ecco la “bella estate”  come festa, e la vita come una “festa mobile” (per
dirla con Hemingway, un autore per certi aspetti non così lontano da Pavese,
al di là delle pose vitalistiche dell’americano). Ed ecco anche le donne che
vivono sole, prefigurate dalla pagina diaristica citata prima. Ma, per dirla con
Piccioni, il racconto di Pavese sembra configurarsi come un “diario dei fatti
altrui”,[11]per quel distacco che l’autore vuole mantenere (per esempio, con
l’uso della terza persona). E Pavese stesso è consapevole del carattere quasi
diaristico di molti suoi racconti, carattere che cerca di sconfessare nella
costruzione più complessa degli altri due romanzi della trilogia.

La dinamica interna dei tre romanzi conduce i giovani dall’innocenza al


peccato e poi al sacrificio, che non è espiatorio, bensì necessario secondo una
legge morale che non promette future salvezze, ma che offre una dura e fatale
virtù a chi si sottopone ad essa”.[15] 
E già “Nella Bella estate è la coscienza della perdita inevitabile
dell’innocenza (di un destino che priva dell’innocenza e punisce); ma si tratta
di un’innocenza già precaria, propria di un mondo dal quale è assente la festa,
poiché Ginia quando ancora è apparentemente innocente sente già come colpa
la propria nudità e sarà sempre ignara della vera innocenza che l’antica festa
garantiva nell’orgia”.[16]

[7] Cfr. Erskine Caldwell, La via del tabacco (1932) , tr. it. di Maria Martone,
Einaudi, Torino 1953, 1995: vedi in particolare, per il rogo della casa, le pp.
194 sgg. fino alla fine del romanzo.

[8] Cfr. Cesare Pavese, L’influsso degli eventi, incluso nei Saggi letterari,


Einaudi, Torino 1968, pp. 222-223.

[9] Cesare Pavese, Il mestiere di vivere (1952), Opere di Cesare Pavese 10,


Einaudi, Torino 1982, p. 68.

[10] Pavese, La bella estate cit., pp. 15-16.

[11] Leone Piccioni, Vita e morte di Cesare Pavese in Lettura leopardiana e


altri saggi, Vallecchi, Firenze 1951, p. 339.

[12] Pavese, La bella estate cit., p. 60.

[13] Gioanola cit., p. 223.

[14] In una nota del proprio diario, alla data del 26 novembre 1949, Pavese
qualifica La bella estate  come “naturalismo” e gli altri due romanzi come
“realtà simbolica” (Il mestiere di vivere cit., p. 342).

[15] Jesi cit. p., 165.


3) Dopo aver analizzato le citazioni precedenti pensate come potrebbe
inserirsi o meno al testo completo il seguente concetto:
LA FESTA MANCATA
4) Che vi suggeriscono le seguenti immagini alla luce del testo letto
5) Serve la frase che segue a Ginia? Perché?

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