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SATIRA MENIPPEA

La satira menippea è un tipo di satira che prende il nome dai componimenti perduti del filosofo cinico e
scrittore di satire Menippo di Gàdara (III secolo a.C.), conosciuto solo attraverso notizie fornite da
Diogene Laerzio.

Dai componimenti satirici di Menippo prende corpo, nelle letterature classiche, un vero e proprio genere
letterario, caratterizzato da alcuni tratti distintivi:

il prosimetrum (cioè l'inserzione di versi in un contesto in prosa);

lo spudaiogeloion (cioè lo stile serio-comico);

una struttura narrativa a tre piani su cui si sposta l'azione (dagl'Inferi alla Terra all'Olimpo);

una prospettiva eccentrica (come, per esempio, dall'alto del cielo o dell'Olimpo) da cui criticare e
guardare con distacco il mondo;

il frequente inserimento di parole straniere (parole greche negli autori latini riconducibili alla menippea).

Altre caratteristiche formali e contenutistiche di questo particolare genere di satira erano la parodia
letteraria, un certo realismo popolare, nonché ambientazioni frequentemente fantastiche e grottesche.

In ambito latino, sono riconducibili alla satira menippea le Saturae Menippeae di Varrone (I secolo a.C.) e
l'Apokolokyntosis di Seneca (I secolo d.C.), una satira diretta contro l'imperatore Claudio; per quanto
riguarda il Satyricon di Petronio, è invece probabilmente più corretto parlare di romanzo attraversato da
tratti formali e stilistici riconducibili alla menippea (come il prosimetrum). In ambito greco, sono invece
da ricordare le opere di Luciano di Samòsata (II secolo), nelle quali il nome di Menippo compare anche
nel titolo (per esempio, Menippo o la negromanzia, o Icaromenippo).

La categoria di satira menippea è stata ripresa da un autorevole studioso come Michail Michajlovič
Bachtin, che ne ha ampliato i tratti formali distintivi, trasformandola in una sorta di genere carnevalizzato
onnicomprensivo, portatore fin nelle letterature moderne - Bachtin considera, per esempio, alcuni brani
di romanzi di Dostoevskij come "satire menippee" - di quell'elemento "carnevalesco" da lui ampiamente
studiato. Giacomo Leopardi s'ispirò alla satira menippea nella stesura delle sue Operette morali.

Dall'ottica della letteratura anglo-americana la satira menippea è invece stata ricondotta a una categoria
di genere dallo studioso canadese Northrop Frye. Ribattezzata anatomy (espressione ripresa da
L'anatomia della malinconia di Robert Burton), essa è posta accanto a novel, romance e confession nella
sua classificazione delle categorie di genere.

Fabula Milesia

Titolo originale Μιλησιακά o Μιλησιακοί λόγοι

Annie Swynnerton Cupid And Psyche 1891.jpg

Amore e Psiche, i protagonisti della fabula Milesia delle Metamorfosi di Apuleio

Autore Aristide di Mileto

1ª ed. originale 126-90 a.C. (?)

Genere Raccolta di novelle

Lingua originale greco antico

Modifica dati su Wikidata · Manuale

La Fabula Milesia (in greco antico: Μιλησιακά, Milēsiaká e Μιλησιακοί λόγοι, Milēsiakoí lógoi, «Storie
milesie») di Aristide di Mileto è una raccolta di novelle perduta, le cui storie, secondo le testimonianze
antiche, erano a sfondo erotico.[1]

Pur mancando del tutto dati biografici dell'autore e riferimenti cronologici all'epoca di composizione, si
tende a collocare l'opera tra la fine del II e l'inizio del I secolo a.C.,[2] ponendo l'attività dell'autore, in
modo congetturale, tra il 126 e il 90 a.C.

Descrizione

L'opera non ci è pervenuta né nella redazione originale greca, di cui si conserva solo un frammento,[3]
né nella traduzione latina di Lucio Cornelio Sisenna, di cui rimangono dieci frammenti;[4] restano però
alcune testimonianze dalle quali si evince che l'opera fosse piuttosto nota tra I e II secolo: il secondo libro
dei Tristia ovidiani,[5] il prologo degli Amores pseudolucianei,[6] un passo della Vita di Crasso di Plutarco.
[7] Ovidio accenna all'opera di Aristide parlando di Milesia crimina, termine che ne sottolinea la
licenziosità;[8] Plutarco la definisce ἀκόλαστα βιβλία[9] e lo Pseudo-Luciano ἀκόλαστα διηγήματα,[10]
termini di egual valore. Aristide si servì forse della tecnica dello «stile orale»: le vicende sarebbero state
raccontate da un narratore omodiegetico (interno al romanzo, in prima persona) che identificandosi
spesso nel protagonista avrebbe narrato i fatti come personalmente vissuti o uditi (e in questo senso
sono importanti gli Amores, ove troviamo Aristide intento a farsi raccontare fatti accaduti a Mileto);[11]
tuttavia le informazioni disponibili sulla raccolta sono troppo scarse per stabilire se il narratore fosse
effettivamente in prima persona e lo si è inferito principalmente dall'analisi del Satyricon o delle
Metamorfosi, che subirono influssi dalla Fabula Milesia.[12] Analogamente non è stato possibile
verificare l'ipotesi moderna secondo la quale almeno parte delle novelle sarebbero state prosimetriche,
che del resto non è confermata dalle testimonianze antiche,[13] né quella che propone una cornice
narrativa di collegamento tra le storie,[14] che comunque è plausibile.[15]

La data di composizione delle novelle non è nota, ma si sono ipotizzati gli anni a cavallo tra II e I secolo
a.C.; non è da escludere, però, che le origini delle novelle siano molto più antiche, poiché avrebbero
delle somiglianze con le favole sibaritiche di cui parlava già Aristofane nel V secolo a.C.[16]

Il titolo della raccolta presuppone una connessione con la città di Mileto. Forse si riferisce all'origine
dell'autore o al carattere lascivo e molle attribuito agli abitanti di quella città,[17] o forse ancora è una
parodistica imitazione dei titoli della tradizione logografa ionica di età ellenistica.

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