Sei sulla pagina 1di 5

LA VITA

Fedro fu un favolista latino nato secondo alcune fonti in Tracia nel 20 a.C.,
perciò durante il regno d’Augusto. Era uno schiavo e fu affrancato proprio
dallo stesso Augusto (libertus Augusti) da cui avrebbe ereditato il
prenome Gaio e il nome Giulio, le circostanze della liberazione sono ignote.
Conferma delle sue origini trace, è la repressione romana della rivolta
avvenuta in Tracia tra il 13 e l’11 a.C.: in quell’occasione parte della
popolazione fu fatta schiava. Proprio allora Fedro potrebbe essere stato
condotto a Roma, finendo nella famiglia di Augusto.
Il poeta latino, invece, rivendica la sua appartenenza al popolo
macedone: nel libro III dice che la madre lo generò “sulle balze del monte
Pierio” e quindi in Macedonia; probabilmente si tratta di una civetteria
letteraria, poiché quel monte è reso noto secondo la leggenda come luogo di
nascita delle Muse.
Incerto è anche il suo nome latino, giacché la tradizione manoscritta ci
dà il genitivo Phaedri nell’Inscriptio del I libro, per cui si potrebbero
ricavare i nominativi Phaedrus o Phaeder.
Per via di alcune sue allusioni politiche nei suoi manoscritti Fedro fu
perseguitato da Seiano, braccio destro di Tiberio, e per questo dopo la
condanna, subì numerose umiliazioni e la povertà. Visse fino al 50 d.C.
perciò fu attivo sotto Tiberio, Caligola, e Claudio.

LE OPERE

Scrisse cinque libri di favole in senari giambici che lui stesso chiamò
“esopiche”, perché sono, per lo più, traduzioni o rifacimenti di favole
greche attribuite a Esopo, anche se, talvolta, rispetto al suo modello,
Fedro introduce nelle sue favole aneddoti storici, scenette sentimentali
e un archetipo di satira.
Fedro pratica un genere letterario ritenuto minore e marginale rispetto
alle grandi correnti dell'età imperiale. Le sue favole sono poco originali,
indebitate con la tradizione esopica e con una raccolta di favole di età
ellenistica (questo, soprattutto nel I libro); quanto alla rielaborazione letteraria,
nessuna delle favole di Fedro può superare le opere dei grandi poeti.
Tuttavia Fedro è il primo autore che ci presenta una raccolta di temi
favolistici, concepita come autonoma opera di poesia, destinata alla
lettura.
Il merito del poeta sta, infatti, nel dare alla favola una misura, una
regola, una voce ben definita e riconoscibile: egli, insomma, pur
definendosi come il continuatore di un genere già a suo modo
"stabilizzato" da Esopo, tuttavia lo innova e lo porta a perfezione,
adattandolo alla tradizione culturale latina. Lo stesso Fedro è
orgogliosamente consapevole di questo "traguardo", è partito da una più
vincolata aderenza al modello ed è giunto ad una più spiccata e propria
originalità. Alla fine Fedro può affermare che le sue composizioni sono
"Aesopias, non Aesopi", "esopiane, ma non di Esopo", ovvero
composte secondo lo stile e i caratteri della favola esopica, ma non
semplici traslitterazioni di quella.
Oltre alle 93 Favole, divise nei 5 libri, sono sicuramente sue anche le
circa 30 favole raccolte nella cosiddetta "Appendix Perottina", che
prende nome dall'umanista Niccolò Perotti, curatore della raccolta. Di
altre ci resta la parafrasi in prosa.
Il I libro (31 favole) fu scritto subito dopo la morte di Augusto; il II (8) durante
il ritiro di Tiberio a Capri; il III (19) il IV (25) e il V (10) sotto Caligola e sotto
Claudio. La scarsa estensione del II e del V libro è forse un indizio che la
raccolta, così come ci è giunta, è in verità un estratto di una più ampia.
Di tutta la sua opera rimangono solo estratti; lo dimostra
l’ineguaglianza dei singoli libri giunti a noi, che constano rispettivamente
di 31, 8, 19, 25 e 10 favole.

Fedro non ebbe molta fama, solo Marziale lo nomina tra gli autori
latini; poi di lui si perdono le tracce fino al 4° secolo, cioè fino alla
raccolta di Aviano. In seguito, si venne formando un corpus di favole latine
in prosa, in cui molte delle favole latine in prosa di Fedro, furono inserite come
anonime e tradizionali, sì che nel Medioevo, quando Fedro era ignoto, si ebbero
tre redazioni principali di favole. Di questa la più nota è quella intitolata
Romulus oppure Aesopus latinus , dove Fedro, non viene nominato, ma dove
ne sono riprodotte cadenze tipiche e dove la derivazione da lui è dimostrata dal
fatto che spesso le favole in prosa si possono ridurre in senari. Solo nel 1596
Pierre Pithou (Pithoeus) pubblicò a Troyes la prima edizione di Fedro
da un manoscritto del 9° secolo; in seguito furono ritrovati altri
manoscritti e nel secolo 19° fu edita una trentina di “favole nuove” di
Fedro su una raccolta fatta alla fine del secolo 15° da Niccolò Perotti,
che non si sa però da quale fonte le avesse attinte.

LA FAVOLA

La favola ha origini antichissime e si è sviluppata in ogni angolo del pianeta.


Nella sua forma orale veniva tramandata di padre in figlio con scopo
moralistico e pedagogico è presente in gran parte delle culture del mondo,
talvolta con forti correlazioni con la mitologia. La favola è anche un genere
letterario a partire dalle produzioni di Esopo dal 6° sec. a.C.,
quest’ultimo raccoglie per primo il materiale favolistico greco e
orientale riealaborandolo in racconti.
La favola è composta da un breve apologo, ovvero un racconto
essenziale in prosa senza dettagli descrittivi, dove i protagonisti sono
animali antropomorfizzati (dal greco anthropos, uomo, e morfè,
forma), più raramente piante, oggetti inanimati o personaggi
fantastici, che simboleggiano vizi e virtù degli uomini. Oltre al vero e
proprio racconto, la favola presenta una morale che può precedere
(promitio) o seguire (epimitio) la narrazione.
LA FUNZIONE DELLA FAVOLA

Le favole di Esopo come quelle di Fedro, hanno principalmente uno


scopo didascalico ed educativo. Nelle narrazioni, assistiamo a continui
insegnamenti pratici, soprattutto con uno sfondo di deterrente morale che si
riflette sulla fisicità dei personaggi.
Gli "exempla" di Fedro sono magistrali nella loro piccolezza, riflettono,
infatti, in situazioni elementari, tutte le caratteristiche della vita reale.
L'inganno, la verità, l'apparenza, la stoltezza e l'astuzia: queste
caratteristiche astratte sono esposte di frequente in Esopo e Fedro, ma
tutte in correlazione con la morale finale, con un fine educativo. Ogni
animale antropomorfo ricopre una ben determinata maschera: ad
alcuni viene assegnata la parte dei virtuosi (agnello, colomba) ad altri
quella dei cattivi, dei prepotenti o degli egoisti (lupo, volpe, falco), in
modo da fornire caratterizzazioni tra loro contrapposte di virtù e di vizi
propri degli uomini.
Conoscendo le favole si apprendono le molteplici nature degli uomini:
è questa la cosiddetta morale della favola, “fabula docet”.
Le favole erano diffuse soprattutto tra gli strati più bassi della società
ed insegnavano come far fronte ai soprusi dei potenti, grazie alla forza
dell’astuzia e dell’accortezza. Dobbiamo ricordarci, infatti, le origini
umili del “liberto Fedro”, egli sicuramente non fu indifferente alle
condizioni sociali degli emarginati, degli schiavi, dei diseredati, dei
meno abbienti.
Fedro attraverso le sue favole intraprese una vera e propria campagna contro i
soprusi dei potenti e dei tiranni, sebbene a volte celate, non risparmiava aspre
critiche contro queste classi di persone. Queste polemiche sociali nei confronti
dei potenti non passarono inosservate: Fedro rischiò la condanna a morte
da parte di Elio Seiano, che al processo rappresentava testis, accusator
e iudex. L’inimicizia di Seiano nacque a causa delle critiche espresse
attraverso la favola del leone vecchio e del lupo feroce, in cui si
scorgono Tiberio e Seiano stessi, e Claudio.
Nelle favole di Fedro si delinea sempre più la coscienza che nel mondo
sempre ha regnato, regna e regnerà incontrastata la legge del più forte
e del più prepotente: agli umili, ai poveri, ai sottomessi non resta altro
che provare a eludere questa forza, per quanto possibile, con l'astuzia
e con l'arguzia.

LA STRUTTURA DELLA FAVOLA

La favola è generalmente suddivisa in 3 parti:


• prologo: anche di un solo verso, mira a fissare il principio-base con cui
deve essere letta la favola;
• corpo centrale: la vera e propria favola
• epilogo: tira le somme e a volte contiene la morale.
Sia il prologo (promitio) che l’ epilogo (epimitio) hanno un fine
moralistico.
Nonostante la varietà di situazioni e personaggi presenti nelle favole, la
struttura di queste segue, generalmente, strutture ordinate da "passaggi"
quasi obbligati:
1 - Accenno di situazione iniziale
2 - Contrasto di carattere tra i personaggi
3 - Azione dei personaggi
4 - Ruolo indistinto tra protagonista e antagonista
5 - Confronto dialogico
6 - Scoperta della verità attraverso il dialogo;
7 - Morale.

Nelle favole, è quasi del tutto assente un realismo descrittivo e


linguistico, anzi il loro mondo è piuttosto generico, il linguaggio asciutto
e poco caratterizzato (“BREVITAS”).

Fedro non si limita sempre ai canoni della favola imposti da Esopo,


bensì spesso inventa di suo, ricava anche aneddoti dalla storia,
seguendo anche una scelta oculata che rispettasse il criterio della
"VARIATIO". Così, non troviamo soltanto quegli animali-personaggi
già assodati dalla tradizione (i più frequenti, e con un ruolo da
dominatori, sono il lupo, la volpe, il cane, il leone, l'aquila, il serpente
ecc.), né le solite anonime figure umane (il ladro, i viandanti, il
brigante, il buffone, il contadino ecc.), ma anche personaggi storici
(Simonide, il poeta Menandro, il tiranno Demetrio, Cesare, Socrate) o
mitologici (Prometeo, Giove, Giunone), nonché lo stesso Esopo,
assurto a simbolo dell'arguzia popolare.
Il "padre fondatore" del genere lascia - qui - quasi la sua palma a
Fedro, divenendo poco più che un semplice personaggio fra gli altri,
anche se di rilievo.
La lingua usata da Fedro è semplice e corretta, comprensibile a tutti,
anche alle persone meno colte.

PRINCIPALI SIMILITUDINI E DIFFERENZE FRA I DUE AUTORI

Fedro dice di recuperare Esopo, mettendo in versi e rendendo più bella


la materia recuperata. Quando Fedro riprende le favole di Esopo, non
recupera l’esametro, ma usa il senario giambico greco, considerato uno
dei versi con il ritmo più vicino alla lingua parlata: voleva creare
un’opera raffinata, che però fosse comprensibile a tutti, con
l’intendimento di rivolgersi anche a classi sociali poco elevate.

Trimetro giambico greco = senario giambico latino → usato nella


commedia, che ha parecchi punti in comune con la favola:
▪ vogliono far divertire il pubblico
▪ hanno carattere realistico, presentano ambienti della vita
quotidiana, i personaggi sono donne e uomini comuni
▪ la favola spesso assume la forma del dialogo, per questo il
senario giambico è il metro più appropriato, secondo la visione di
Fedro.

Fedro muove dal tentativo di superare gli schemi ripetitivi e i limiti della
favola animalesca (nel primo libro i protagonisti sono animali; poi
diventano personaggi storici, divinità, ma comunque uomini)
allontanandosi così in maniera netta dalla tradizione di Esopo.
Fedro non solo si esercita con nuovi schemi e contenuti, ma anche con nuove
scelte formali; mette in poesia storie che i predecessori avevano
trattato solo in prosa. Lo stile è semplice, ma non rinuncia
all’elaborazione stilistica, quindi le opere risultano essere più raffinate
di quelle di Esopo.

Sia Fedro che Esopo si attengono ai canoni di brevitas:


▪ mole limitata dei libri
▪ estensione limitata delle opere
▪ concisione → recuperano l’alessandrinismo, con cui in un
solo verso esprimono con chiarezza un gran numero di
concetti, condensando in poche battute molti pensieri.

Nelle favole di Fedro emerge una visione della vita che coincide con il
punto di vista degli umili, dei ceti poveri, come era per Esopo.
Nell’opera ci molti spunti di politica, polemica sociale. Fedro però non
propone alternative, la morale è statica e rinunciataria: si denuncia il
male ma lo si considera inevitabile, manca la proposta per contrastare
i potenti e i prepotenti: questi si propongono con la violenza e contro
questa non si può nulla.
Tuttavia, contro la violenza e le ingiustizie si può agire d’astuzia.
La libertà è il valore fondamentale, e va anteposta a tutto e a tutti.
Nonostante tutte queste considerazioni, Fedro è pervaso da un
pessimismo disincantato; carattere che è molto meno marcato in
Esopo, il quale lascia aperto uno spiraglio alla speranza di un
cambiamento.

Potrebbero piacerti anche