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DALL’EROICO ALL’EROICOMICO - Da Tasso a Tassoni

Entrelacement: quando il narratore sta raccontando una storia, la interrompe, passa ad una seconda
storia e immagina che le due storie si uniscano in parallelo.
Interventi metapoetici: il narratore in prima persona dice quello che sta facendo.
Se invece si salta da una storia all’altra e si intrecciano questo è il romanzo.

Genere eroicomico:
La secchia rapita di Tassoni, caratterizza il primo ‘600.
E’ un genere parodico che nasce sulle spalle di un genere già esistente e fortemente codificato,
riscrivendolo, parodiandolo, mettendolo in discussione. L’eroicomico segna la fase di declino del
genere eroico.

ARIOSTO
L’Ariosto è un autore che non ha lasciato nessuna riflessione di carattere teorico, tanto che se
vogliamo ricercare una sua riflessione sul poema dobbiamo ritrovarla all’interno del suo poema:
riflette sulle varie file, tele da dire tutte insieme (principio di molteplicità all’interno del poema) e
riflette anche sulla figura del narratore.
Negli anni che vanno dal 1530 al 1550 si assiste in generale ad un intensificarsi delle teorizzazioni
poetiche, legato alla riscoperta delle poetiche antiche, in particolare a quella di Aristotele.
Il Furioso aveva avuto successo editoriale eccezionale, già la seconda redazione che è del 1521
aveva avuto 5 tirature; quella del 1532 venne stampata 16 volte. Editoria veneziana.
Cominciarono anche le traduzioni, quella di un re spagnolo è del 1553.
Da un lato ci troviamo in presenza di un poema che ha avuto un successo strepitoso, di cui Tasso
dovrà tenere conto; dall’altro ci troviamo di fronte all’inizio di canonizzazione del genere, cioè
stabilire delle regole fisse, definire che cos’è un romanzo o un poema epico.

POETICA DI ARISTOTELE
Principi che verranno messi in campo per criticare l’Orlando Furioso, sia per stabilire delle regole
per il nuovo poema epico: principio fondamentale è che la poesia è imitazione; imitare, secondo
Aristotele, è connaturato all’animo umano e connesso strettamente al piacere. Si imitano le persone
in azione e anche la loro sostanza morale. E’ chiaro, nel proemio, il carattere pratico, cioè si tratta
dell’arte poetica e si dice in che modo bisogna costruire un racconto.
Imitazione fatta con mezzi diversi.
Aristotele poi spiega cosa differisce la poesia dalla storia: la differenza fondamentale sta nel fatto
che la storia indica quello che è accaduto, la poesia si limita invece ad imitare ciò che può accadere;
il principio fondamentale su cui riposa la poesia è quello della verosimiglianza. Un altro principio
fondamentale: unità della favola; la favola deve essere una con principio, mezzo e fine.
Aristotele descrive come deve essere costruita la trama del racconto, che deve essere intero, cioè
dotato di un principio, mezzo e fine. Principio è ciò che per se stesso non viene dopo altro.
La lunghezza del racconto è abbracciatile con la memoria.

Il Furioso dopo la pubblicazione del III Furioso, inizieranno anche le critiche al poema.
L’ultima edizione è del ’32, Ariosto muore nel ’33. Il primo documento relativo al poema è già
un’apologia, cioè una difesa di Ludovico Dolce che esce nel ’35. Il primo commento al poema è la
sposizione di Fòrnari del 1549.
CRITICHE AL FURIOSO
La prima critica è diretta al titolo: si dice che il titolo propone un tema, cioè la pazzia di Orlando,
che allude solo ad uno dei tre filoni di cui il racconto è costituito. Il titolo si connette strettamente al
principio dell’unità. In realtà questo titolo mostra già una pecca che non mostra l’unità e la
completezza della favola.
La seconda critica è quella sulla trama. Si dice che Ariosto salta da una cosa in un’altra intricando, è
la famosa tecnica dell’entralacement, tipica del romanzo arturiano in prosa, già perfezionata da
Boiardo, e condotta poi da Ariosto alla sua ultima perfezione.
Ariosto rende costantemente visibile un narratore, che tiene tra le mani varii fili, rischia ogni volta
di perdersi nell’intreccio che ha creato, ma riesce comunque a governarlo.
Principio dell’oggettività del racconto epico: il narratore non compare in prima persona, se non nel
proemio.
L’altro principio è quello della verosomiglianza.
Altre critiche si puntano sul decoro, il fatto che pur presentando un eroe di antica tradizione epica,
Ariosto ce lo presenta in una condizione degradata. Cadute comiche, che non rispettano il canone
dell’epica.

DIFENSORI DELL’ORLANDO FURIOSO


Due strade diverse: da un lato si comincia a cercare all’interno del Furioso i riferimenti classici per
poter dare al poema una patente di classicità e per affiliarlo ai classici. Ariosto aveva in mente dei
riferimenti classici; molto numerosi i riferimenti e calchi da Virgilio, nei commenti al poema
possiamo ricordare quelli di Ludovico Dolce, Fausto da Longiano, Girolamo Ruscelli, Alberto
Lavezzuola. Molti episodi del Furioso sono ispirati all’Eneide, come quello di Astolfo tramutato in
mirto.
Nel Furioso esiste un personaggio che si modella sul personaggio eroico classico Enea, che è
Ruggero, al quale spetta il ruolo di essere progenitore degli Estensi.
Una seconda corrente insiste sul valore della modernità del poema; cioè dell’esistenza di un genere
nuovo che è appunto il romanzo. Vanno in questa direzione Pigna e Giraldi Cinzio; che scrivono
romanzi e i discorsi intorno al comporre dei romanzi. Quello che viene posto intorno a queste due
opere, intorno agli anni ’50, è la validità del tempo nelle leggi estetiche.
Un’accusa fondamentale al Furioso è quella di violare il decoro: i suoi personaggi spesso sono
contro la legge del decoro. I difensori del poema legano due tipi di giustificazione a questa
affermazione: anche nei caratteri è bella la varietà umana, cioè principio della varietà che si oppone
a quello dell’unità; così come nella storia è bella la varietà, cioè l’insieme di storie diverse, alla
stessa maniera all’interno della rosa dei personaggi è bello che questi siano variabili.
Una seconda difesa è quello che anche nel vizio c’è esemplarità.
Un’altra accusa che abbiamo visto è quella dell’eccessiva figura del narratore, che va contro il
principio della verosimiglianza. Ariosto interviene in prima persona nel racconto e questa va contro
il principio di verosimiglianza.
Un altro elemento che disturba l’oggettività e la verosimiglianza del racconto è l’ironia. I proemi
sono per eccellenza i luoghi dove la figura del narratore compare.

USO DELLA FORMA METRICA


La tradizione cavalleresca si era formata fin dal Boccaccio in ottava rima, forma metrica creata o
quantomeno usata per prima da lui, ma era presente anche nella tradizione popolare del cantare in
ottava rima. Una delle obiezioni che viene mossa è appunto l’impiego popolare dell’ottava in un
poema epico.
L’ottava è una forma episodica, cioè composta da 8 versi, dei quali una sestina a rime alternate
ABAB e un distico baciato CC e sigilla la forma. Chiude con un distico baciato e riapre con un
movimento successivo.
La rima così accentuata è un modo per rompere questa fluidità del discorso.
L’unica valida alternativa poteva essere da una parte la terzina dantesca; verrà sperimentata dallo
stesso Ariosto nei capitoli in terza rima; ma in realtà è troppo incatenata per soddisfare la
narrazione.
L’altra possibilità che avrà più successo sarà l’uso dell’endecasillabo sciolto come corrispettivo
dell’esametro latino; in questo caso l’uso ha la meglio sulla teoria, ossia anche se per tradizione
considerato di narrazione di tipo epico; il suo uso è mortifero, non da mai pause al lettore. L’uso
dell’ottava impone che si continui.
L’Italia non aveva mai avuto un vero e proprio poema epico, in questo periodo la teoria diventa
fondamentale.

POEMI PRE-TASSIANI
Poemi pre-tassiani che vanno da quell’arco di tempo dal 1532 fino agli anni ’80, che sono quelli
della Liberata. Questi poemi sono spesso dimenticati. Molte volte i poemi divennero
esemplificazioni della teoria stessa: da questo deriva il fatto che sono poemi di non gradevole
lettura.
Le riflessioni poetiche vennero spesso affidate alle prefazioni, alle apologie, alle dediche. Anche
perchè in questa parte del ‘500 l’apparato paratestuale (tutto ciò che gira intorno al testo), si
amplificò in maniera notevole.

SAN GIORGIO TRISSINO


Uno dei più famosi poemi è quello di San Giorgio Trissìno, “L’Italia liberata dai Gothi”. Trissino
era nato a Vincenza da famiglia patrizia, nel 1478, morirà a Roma nel 1550; aveva studiato greco e
dopo l’esilio da Vicenza, a causa del suo essere fautore del partito imperiale, si era stabilito a
Firenze e poi a Roma. Quello di Trissino è un classicismo conforme ai canoni aristotelici, scrisse,
tra l’altro, un’opra intitolata “Poetica”, che imitava la poetica di Aristotele ed esplicita quali sono le
basi del suo classicismo.
Questi principi furono anche messi in pratica in una serie di opere; per es. nel campo della tragedia
compose la “Sofonisba”, pubblicata nel 1524, che è proprio una tragedia regolare. Nello stesso
tempo nella commedia “Simillimi” che è quasi una riscrittura dei menecmi di Plauto. Anche nel
campo dell’epica, poema regolato, che si intitola “L’Italia liberata dai Gothi” del 1547-48, un
complesso poema, stampato prima in 9 libri e poi in 18, ben 27 libri. Prefazione e dedica
all’imperatore Carlo V: le grandi imprese degli uomini furono celebrate dai poeti e cantate e la loro
fama non sarebbe quella che è oggi se non fossero stati cantati da quei poeti.
Trissino impiega il topos partendo da Alessandro Il Grande: è importante che i signori, nello
specifico Carlo V, si tengano in qualche maniera amici gli scrittori.
Trissino poi passa a dire quali imprese ha scelto, ossia le imprese di Giustiniano, che a suo parere
non sono state abbastanza celebrate; Trissino selezionerà un episodio preciso, cioè la guerra
condotta da Belisario, suo capitano, contro i goti. In base al principio dell’unità della favola,
l’azione deve essere una sola. Una volta selezionata un’azione unica all’interno del ciclo
giustignaneo, da indicazioni su com’è costruita questa favola: con principio, mezzo e fine; guidata
dai maestri Aristotele e Omero. La favola è resa più interessante dalle azioni, passioni…
Insiste sulla diligenza.
E insiste sull’energia: è una profusione di dettagli, la descrizione minutissima delle cose, “il
particolareggiare”.
Fatica e diligenza sono alla base trissiniana.
Tasso tocca il problema del pubblico: com’è possibile conciliare la correttezza alle regole trissiniane
con il piacere della lettura? Come mai Ariosto che li ha violati tutti quanti è amatissimo e Trissino è
stato contestato e noioso?
Trissino è un innovatore anche dal punto di vista metrico: Trissino osserva che non siamo in grado
di riprodurre l’esametro e per questo accogliamo l’endecasillabo, ma è meglio l’endecasillabo
sciolto, perchè la rima a suo dire è contraria alla continuazione della materia e alla concatenazione
dei sensi e delle costruzioni.
Come accade nella tradizione classica, l’azione scaturisce dal cielo, dal cosiddetto concilio degli dei
pagani sono soppiantati dal dio cristiano. Il caso, che è il motore del poema ariostesco, è sostituito
in questo caso, dalla provvidenza.

LUIGI ALAMANNI
“L’Avarchide”, edita nel 1575, presentata al lettore come una toscana Iliade. Alamanni, fiorentino,
muore nel 1556, autore di un poemetto di tipo didascalico in endecasillabi sciolti; ha scritto anche
satire ed epigrammi. Aveva composto anche il “Girone cortese” del 1548, ma l’Anarcoide è un
tentativo interessante di fondere la materia romangesca, cioè il racconto dell’assedio leggendario
posto da Re Artù ad Avarico, all’interno di uno schema di tipo omerico.

BERNARDO TASSO
Padre di Torquato, scrive “L’Amadigi”. Il rapporto tra padre e figlio è molto complesso, è un
sintomo letterario di questo rapporto, molto stretto, è quello rappresentato da l’apologia della
Gerusalemme Liberata.
Tasso prende le difese del poema paterno dagli attacchi degli oppositori.
Bernardo è stato anche un importante teorico, nel 1556-57, mentre completava ala stesura del
poema, lo sottopose al giudizio di Giraldi Cinzio e il carteggio fra i due è ritenuto un vero e proprio
avvio della codificazione del romanzo di genere autonomo.
Bernardo cerca un compromesso fra le esigenze della varietà del poema cavalleresco e il bisogno
aristotelico di unità. Inizialmente le sue intenzioni erano quelle di costruire un poema di una sola
azione e in versi sciolti, ma poi le insistenze del Principe di Salerno, dal quale era a servizio, lo
convinsero invece ad usare l’ottava e ad aumentare le concessioni nei riguardi del diletto.
Il poema sarà diviso in canti, queso perchè il canto è un’unità strettamente legata all’unione
canterina e alle recitazioni di piazza.
Bernardo cerca un compromesso: accetta la divisone in canti ma rifiuta di usare i prologhi morali
come li aveva usati Ariosto. Li sostituisce con delle indicazioni di tipo temporale.
“L’Amadigi” di Gaula, dal quale prende ispirazione, è un romanzo spagnolo di fine ‘400 in prosa.
Aveva scritto anche un altro poema interessante sempre per il rapporto padre-figlio, il “Floridante”,
che fu completato da Torquato.
Dibattito tra Giraldi e Bernardo:
La considerazione interessante è la similitudine, posta in esordio alla Liberata, del poeta-medico che
deve coprire l’amaro della medicina per renderla più gradevole; coprire con il diletto per arrivare
all’utile. Giraldi spiega nel loro carteggio del poema-manifesto: non volle comporre un poema di
una sola azione, ma si è proposto di spiegare nei suoi versi tutta la vita di Ercole. Difende anche
l’uso del proemio, che Bernardo aveva escluso.
Giraldi non rinuncia al canto ma cerca di nobilitarlo, dicendo che sia chiama canto per un principio
più alto.
FRANCESCO BOLOGNETTI
“Il Costante” del 1555-56, poema storico, tratto dalla Roma periferica della Roma imperiale,
intitolato ad un personaggio. Costante di Bolognetti discende da Enea, il personaggio storico è
Ceonio Albino, nominato Costante, che si dedicò alla liberazione dell’imperatore Valeriano
prigioniero del re di Persia. Nella realtà storica la liberazione non ci sarà e Costante sarà un eroe
perdente; Tasso criticherà la scelta di modificare il finale della storia narrando il contrario di quello
che è avvenuto. Per Tasso non si può modificare il finale della storia, esige la fedeltà per ciò che è
accaduto.

D. CATTANEO
Scultore svedese, morto nel 1572, autore di un poema intitolato “Dell’amore di Marfisa” del 1562.
Come altri padri, questo poema è citato dal Rinaldo, come maestro degli antichi.
La Marfisa è un ambizioso tentativo di trasporre un personaggio celebre romanzesco, Marfisa
(personaggio dell’Orlando Furioso) in un ambito epico-tragico.
Nella base storica: il poema antico diventa allusivo di fatti contemporanei.
Tasso fu testimone dell’elaborazione del poema e a lui dedica anche un dialogo vent’anni dopo la
sua morte.

SOGGIORNO VENEZIANO DI TASSO (1559-60)


La prima parte importante del pensiero tassiano è il Rinaldo e il Gerusalemme, che nascono
entrambi nell’ambiente veneziano, durante il soggiorno che fece tra il 1559-1560, proprio mentre
Bernardo correggeva L’Amadigi.
Tasso aveva conosciuto “L’Italia liberata dai Gothi”. Bernardo aveva dichiarato in una lettera che
Trissino aveva fallito.
“Il Rinaldo” venne stampato a Venezia con una lunga prefazione, considerata tra i primi interventi
teorici del giovane Tasso.
Rinaldo, prefazione: tema dei riprensori, dei critici è un tema che si sviluppa poi particolarmente in
questo periodo, perchè continue critiche e polemiche intorno all’epica e romanzo. Si trova a studiare
presso l’università di Padova diritto; il padre aveva istradato il figlio allo studio delle leggi, ma
Tasso si sposterà presto su altri tipi di studio. Mentre studia legge si mette a comporre il Rinaldo.
Sente il bisogno di citare quegli intellettuali che l’hanno incoraggiato nella composizione del
poema: Danese Cattaneo, Girolamo Molino, Cesare Pavesi, Domenico Venier, autori letterati che
girano intorno all’ambiente padovano. Questi personaggi che lo indirizzano al genere epico e alle
discussioni intorno ad esso. Tasso introduce la figura del padre, importantissima soprattutto in
questa fase. La carriera cortigiana è una carriera pericolosa, Tasso ha visto le sorti del padre; ma lui
ha il desiderio di farsi conoscere per mezzo della poesia piuttosto che delle leggi e grazie
all’appoggio degli amici. Il poema osa presentarsi al giudizio del pubblico.
Rinaldo—> titolo: personaggio del ciclo romanzesco carolingio. Posizione intermedia: Tasso dice
che si è voluto discostare dalla lingua dei moderni (Ariosto), ma nello stesso tempo discostarsi che
non significa aderire in toto alle leggi di Aristotele. Fondamentale resta per lui il diletto. Come si
ottiene questo diletto? Con gli episodi, episodi laterali che non inficiano la trama principale; con lo
spogliarsi della persona di poeta e con gli agnizioni e le peripezie, secondo i costumi.
Tasso tocca il problema dell’unità: dice che si è affaticato affinché la favola fosse una, ma una
largamente considerata, che sono delle parti che possono addirittura sembrare in più, ma parti che
tolto via il tutto si distruggesse, cioè mentre se noi togliamo una parte al corpo umano quello
diviene imperfetto, queste parti se se ne toglie una non nuociono all’insieme. Similitudine: è come
se noi in un corpo umano consideriamo i capelli, la barba, che se noi ne leviamo uno nessuno si
accorge che questo manca, se li leviamo tutti l’individuo diventa difforme. Questa è la prima delle
similitudini che serve a rendere l’immagine di come si concilia l’unità della favola e gli episodi
laterali. Le parti oziose del Rinaldo non sono necessarie, che se se ne leva una il poema non sta in
piedi, però se si levassero tutte farebbe un effetto di tipo disastroso. Nella Liberata si arriverà ad un
principio diverso che è l’unità: l’unità è tale che se si leva un elemento solo, il poema non sta più in
piedi; le parti devono essere tutte necessarie.
Il giovane Tasso tiene da un lato i severi seguaci di Aristotele, ma non vuole nemmeno essere
ripreso da quelli che amano troppo l’Ariosto.
Tasso passa a toccare altri punti: fa allusione ai suoi studi in Padova, che insegnano il poeta è
migliore quanto più imita, e tanto imita più tanto parla meno come poeta.
Attacco diretto all’Ariosto, che ha insegnato ad introdurre i canti con moralità e sentenze.
Tasso dice che non vede perchè avrebbe dovuto mettere tutti quei proemi, il mio poema è di una
sola azione, e addirittura le sue vicende sono ristrette ad una sola azione.
La figura del padre, come abbiamo visto, è centrale a questa prefazione.
Il poema è dedicato a Luigi D’Este: l’età in cui ha composto gli ardori e gli affanni di Rinaldo
quando non aveva ancora compiuto 20 anni. Luigi D’Este, fratello di Alfonso, e promette un’opera
successiva e celebrativa anch’essa.
Il congedo al volume, che dovrebbe rendere il poeta dopo la morte degno di fama. Il volume è
dedicato anche al padre; l’ultimo dedicatario è il padre al quale è chiesto di ripulire l’opera. Questo
libro nasce all’ombra del padre; ma c’è un secondo padre all’interno del poema che è Ariosto.
Citazione dal’Ariosto: Rinaldo si sente come era Ruggero, prigioniero. Rapporto di emulazione ed
invidia.
Luigi d’Este era tutto tranne una figura esemplare: Tasso confida nel fatto che il cardinale possa
salire al papato e scacciata l’eresia protestante, sconfiggere gli ottomani.
Aristotelismo edonistico—> posizione di compromesso tra l’epica e il romanzo, che più di un
autore tenta, è una sperimentazione che si colloca in questa fase che poi Tasso abbandonerà per
scelte più epiche.
Eco dell’Ariosto nella metrica del Rinaldo.

Durante il soggiorno veneziano (1559-60) ha luogo anche la stesura di quello che poi rimarrà un
abbozzo, il Gerusalemme, rappresenta l’epica. Resta un abbozzo perchè sono solo 116 ottave. Il
Gerusalemme è aperto da una specie di argomento, un riassunto in prosa di quello che sarà il
contenuto del poemetto. Dall’approssimarsi a Gerusalemme deve forze cristiane, parte il poema.
Questo frammento sarà poi riassorbito negli anni a seguire dalla Gerusalemme Liberata. Il poema si
divide in 3 nuclei principali:
• proemio: parecchio sviluppato.
• Marcia dei crociati partiti da Gerusalemme e guidati da Goffredo di Buglione
• Ambasceria: Alete ed Argante che propongono un patto a Goffredo di non belligeranza.
• Rassegna dei crociati.
Abbozzo giovanile che poi riutilizzerà. Ha le idee molto precise sul suo ruolo di scrittore.
Il poema è dedicato a Guidobaldo II della rovere di Urbino, Tasso era stato alla corte di Urbino tra i
suoi vari pellegrinaggi.
La dedica è anche un incitamento all’impresa, è un invito al signore a cimentarsi in un’analoga
impresa.
A differenza del romanzo, questa è una tela fondata sulla storia, sulla verità storica e verace e il
poeta solo in parte la rende più gradevole introducendo anche degli elementi di invenzione
romanzesca. E’ lo stesso concetto ma più elaborato nella Liberata.
Costante dei poemi di Tasso è il chiedere protezione ai signori; si presenterà nella Liberata come
pellegrini errante e la richiesta di protezione. Interessante anche come presenta se stesso, insiste
come Rinaldo sulla giovinezza dell’autore, che quindi è alle prime armi e si mette alla prova sempre
cantando le lodi al signore.

OPERE TASSIANE SUL CONCETTO DI EPICA


- Discorsi dell’arte poetica/Discorsi del poema eroico (1587)
- Lettere poetiche (1587): accompagnano la trasformazione della Liberata
- Apologia in difesa della Gerusalemme Liberata (1585)
- Giudizio sopra la Gerusalemme Conquistata (1593-5)
Tutte opere che accompagnano la carriera poetica di Tasso, che procedono sia sul piano pratico che
teorico.

DISCORSI DELL’ARTE POETICA: discorso primo


Si tratta di un’opera giovanile, Tasso ci aveva lavorato negli anni ’62-’64 e sono divisi in 3 libri,
dedicato all’amico Scipione Gonzaga. Colpisce sopratutto l’attacco, che da l’idea della funzione
pratica che questi discorsi devono avere. Consigli pratici che Tasso da a se stesso sulla stesura del
proprio poema e che toccano tre temi fondamentali: la materia del poema eroico che corrisponde a
quello che nella retorica è l’invetio; la forma del poema eroico, cioè la dispositio; l’ornato, cioè
l’elocutio. Il discorso si appunta prima di tutto sulla materia. Tra le mani il poeta si trova una
materia nuda, come il fabbro si trova fra le mani il ferro o il falegname il legno; però precisa Tasso
questa materia non è sempre uguale, ci sono materie più atte alla forma che gli si vuole dare e
materie che invece sono meno atte a queste; quindi il poeta deve conoscere bene la materia che ha
fra le proprie mani. Come spiega Tasso la materia è molto meglio estrarla dalla storia. La scelta
della materia storica è collegata prima di tutto ad un principio di verosimiglianza, che deve esser
rispettato perchè origina il diletto. Per ricevere diletto da quello che si legge bisogna credere che
questo sia vero. La novità non consiste nella materia in sé, vera o finta, ma nel modo in cui questa
materia viene elaborata dal singolo autore. La verosimiglianza è indispensabile al diletto, a suscitare
quelle sensazione di pietà, di allegrezza.. che si provano solo immedesimandosi nella verità.
Conciliare il meraviglioso con la verosimiglianza.
IL MERAVIGLIOSO PER TASSO:
Il meraviglioso non è poi così distante da quello ariostesco, perchè pur sempre meraviglioso
romanzesco. Il suo compito è quello di conciliarlo con il verosimile e soprattutto sempre in funzione
del diletto. Il meraviglioso cristiano secondo Tasso è l’unico plausibile alla sensibilità dei moderni
perchè il miracolo è qualcosa che è sentito reale da un cristiano se ad operarlo è dio. Da qui trae una
fondamentale conseguenza, che la storia deve essere anche cristiana.
E’ il primo esempio di accordo degli opposti, tipico della poesia tassiana—> ossimoro: due termini
opposti tra loro incompatibili che vengono invece uniti tra loro. Es. disgustoso piacere, silenzio
assordante.
Tasso è molto critico nel riguardo di quei poemi che avevano tentato una soluzione per la
verosomiglianza, come per es. “L’Ercole” o L’Italia liberata dai Gothi”. Trissino nell’Italia liberata
dai Gothi aveva introdotto la religione cristiana, come avevano fatto Boiardo o Ariosto.
La verità della storia si connetta con la licenza di fingere: il poeta differisce dallo storico perchè
racconta le cose come potevano essere e non come sono state.
Tasso sceglie i tempi che avevano scelto Boiardo e l’Ariosto: storie dell’età di mezzo, di Carlo
Magno e Re Artù.
L’opposizione fra epos e tragedia: il narrare, che è proprio tipico dell’epica, è dove appare la
persona del poeta; il rappresentare occulta quella del poeta e vi appare quella degli istrioni.
DISCORSI DELL’ARTE POETICA: discorso secondo
Come va costruita la storia? Innanzitutto la favola che si vuole formare deve essere intera o tutta:
principio aristotelico per cui deve avere un principio, un mezzo e un fine; grandezza: secondo Tasso
la grandezza non deve eccedere il convenevole; come l’occhio è giudice della grandezza del corpo,
alla stessa maniera è la memoria degli uomini che sa valutare la grandezza del poema.
Concetto fondamentale, quello dell’unità —> su questo tema si è molto discusso e molte sono state
le soluzioni tentate. Argomento spinoso per Tasso.
Unità della favola: i difensori dell’unità sono quelli che si fanno forti dell’autorità di Aristotele e
della tradizione degli antichi; Tasso vuole dimostrare che l’unità è meglio della molteplicità.
Dall’altra parte i difensori della molteplicità che hanno dalla loro parte il consenso universale delle
donne, cavalieri e delle corti.
Il concetto che si lega alla molteplicità, oltre quello di confusione, è quello della mostruosità:
secondo lui, la favola che non è unitaria è una favola come un essere mostruoso.
Il problema fondamentale per Tasso è più complesso: il principio fondamentale che regola la
poetica tassiana è la concordia discors, cioè dell’abilità di combinare fra loro due opposti.
Il romanzo per Tasso: non si può creare una categoria (romanzo) distinguendola dall’epico; che
sfuggirebbe a quelle regole universali che sono fissate per l’epico. Tasso vuole dimostrare che tra
romanzo ed epopea non esiste una differenza di elementi essenziali della poesia. Se la proporzione
delle membra è bella in natura, il pittore la imiterà e la dovrà imitare anche il poeta epico. Il diletto
è il fine della poesia.
Bisogna pensare ad un poema fondato sull’unità variata, che lascia spazio anche la varietà.
Tasso passa a definire che cos’è per lui il principio dell’unità: il discorso è impostato su una
similitudine, nella prima parte si tratta del mondo, nella seconda parte così un poema. Dio è
l’artefice del poema. Le due parti sono strutturate in maniera identica; il “come” che finisce con
“necessario” è un unico respiro sintattico. Tasso gioca sull’unità e molteplicità, che si esprime
attraverso la figura delle numerazioni; una volta detto che il mondo è uno, si comincia a distinguere
le varietà delle sue componenti: a partire dal cielo pieno di stelle, discendendo il mare, l’aria, la
terra piena di animali, frutti fiori, abitazioni e culture, solitudini e orrori—> elementi nominanti
secondo un ordine preciso. La terra che nel suo grembo racchiude tutta questa varietà di cose. C’è la
precisazione che questa unità del mondo è costituita dalla necessità delle varie parti.
Il secondo movimento: il poeta è l’artefice del suo mondo. Mondo fatto a imitazione del mondo
vero. Si elenca anche qui le varie componenti del piccolo mondo e ci si accorge che sono tutti
ingredienti presenti nella liberata: battaglie navali, descrizioni di fame e di sete, tempeste, incendi,
concilii celesti ed infernali, discordie, errori, venture, incanti…
Elencati queste componenti, in quanto sottoposta al principio dell’unità; questa varietà è governata
da un’unica favola e non deve mancare nulla ne esserci qualcosa in più.
Il ruolo del poeta è fondamentale perchè è lui che deve mantenere l’ordine e far dipendere da un
principio unitario la molteplicità. A Tasso non interessa una molteplicità confusa, ma
gerarchicamente strutturata, con legami di dipendenza.
Problema dell’unità: sia psicologico, culturale, sia artistico—> Tasso vincolando l’unità alla natura
crea una specie di dogma; se le leggi della natura sono eterne, sono eterne anche quelle dell’arte,
quindi non soggette ai cambiamenti, all’uso.
Per Tasso i principi aristotelici diventano i principi naturali e della ragione, poiché parte imita la
natura, c’è nell’arte una natura eterna e immutabile come le leggi naturali. Quello che è giudicato
bello, applicando la ragione naturale, deve essere giudicato sempre bello, poiché natura e ragione
non sono mutabili. Seguendo la natura e ragione, la poesie assume anche il ruolo di verità.
Esiste anche, in base a ragione e natura, una forma perfetta di poesia e un bello oggettivo.
Tasso ha dimostrato che non esistono differenze sostanziali tra poema epico e romanzo; le
differenze sono solo accidentali, quindi il Furioso e la Liberata appartengono allo stesso genere.
L’obiettivo è quello di assimilare la ricchezza e la varietà del romanzo all’interno del poema epico e
di dimostrare che esiste un poema epico che ha in se anche il diletto proveniente dalla varietà del
romanzo.

DISCORSI DELL’ARTE POETICA: discorso terzo


Dedicata all’elocutio ed è diviso in due sezioni; nella seconda più ampia sezione, Tasso, riprende e
sviluppa molte delle nozioni anticipate nella prima parte.
Struttura della prima parte è così composta: Tasso enuncia innanzitutto una distinzione
fondamentale tra cose, concetti e parole; e distingue lo stile dalla locuzione. Poi teorizza i tre stili: il
sublime, il medio e l’umile, assegnando all’epica il sublime.
Teorizza che ogni stile si riconosce perchè all’interno di un testo uno stile prevale sempre sugli altri
due. Poi allude alla teoria degli stili viziosi, poi distingue in relazione al genere letterario,
concentrandosi sulle varietà degli stili all’interno del genere epico.
Alla fine conclude che tutte queste distinzioni sono necessarie per far si che lo stile sublime si possa
aprire, tanto al medio quanto all’umile, senza però che la varietà stilistica intacchi la magnificenza
complessiva e conforme al genere epico.
Tasso esordisce precisando il rapporto tra stile ed elocuzione: secondo lui ci sarebbero tre
componenti fondamentali —> le cose, i concetti e le parole. Le immagini non sono cose ma concetti
delle cose e perciò sono imperfette perchè poste fuori dall’intelletto.
Lo stile magnifico è quello usato dall’epica, ma non è esclusivo: principio della varietà ordinata
vale anche in questo ambito. Tasso fa notare una differenza importante rispetto al Furioso; a suo
parere quello di Ariosto è uno stile mediocre, nel quale non appare il magnifico.
Lo stile lirico, che non ha in se la magnificenza, deve rivestirsi retoricamente. Il tragico può essere
nudo.
Figure retoriche di magnificenza: iperbole, figura di magnificenza perchè ingrandisce le cose o le
rimpicciolisce; la reticenza, che è il dire o non dire, ed è di magnificenza perchè lascia qualcosa in
sospeso; la prosopopea, è il parlare in prima persona. Tutte figure che servono a creare la
meraviglia, ovvero la grandezza della dizione. A questo si unisce anche la ricerca del peregrino, di
ciò che non è comune e lontano dall’uso popolare, come i latinismi, parole straniere.
Nasce però il problema dell’oscurità, ovvero dell’interpretazione, è da schivare, ma è adatta a creare
la magnificenza.
La magnificenza nasce anche dall’uso della metafora, per Tasso è analoga alla similitudine, solo con
l’aggiunta di particelle. Anche la metafora, può recare in se un po di oscurità, cioè il lettore può non
capire subito il rapporto che c’è tra significante e significato, ma non al punto da risultare oscuro.
Esempio tipico è la similitudine ariostesca della rosa, quella già citata da Tasso prima, la verginella
è simile alla rosa.
Lo stile epico si colloca quasi a metà tra la gravità disadorna della tragedia e la piacevolezza ornata
della lirica. Il criterio di distinzione per Tasso consiste negli ornamenti retorici (come abbiamo
accennato). La gravità tragica rifugge dall’espressione figurata, cioè adopera termini propri. La
mediocrità della lirica si ottiene da sovrabbondanza retorica.
La gravità epica, che è quella che Tasso ricerca, tiene da un lato più ornamenti di quella tragica, ma
non cade nella fioritura retorica del lirico.
Concetto di energia: virtù retorica fondamentale a rendere il racconto evidente. Concetto antico, di
tradizione greca, ripreso dai poeti cinquecenteschi.
IL POEMA FINO ALLA CONQUISTATA (1565-1592)
1565: anno in cui Tasso entrava a servizio del cardinale Luigi D’Este, al quale aveva già dedicato il
Rinaldo; gli propone degli argomenti dei due poemi epici. Gli argomenti che propone al cardinale
sono una Espedizione di Goffredo e degli altri principi contra’ gli infedeli e ritorno; un secondo
argomento è la Espedizione di Bellisario contra’ Goti; una terza Espedizion di Carlo Magno contra’
Sassoni o contro i Longobardi.
I tre argomenti sono la crociata e il ritorno, la spedizione di Bellisario e Carlo Magno. Argomenti
tutti in voga.
Il tema del ritorno doveva essergli particolarmente caro; una specie di moderna odissea.
La scelta cadde sull’argomento della crociata—> nel ’66 il poema era arrivato a 6 canti; sappiamo
che nei primi 3 canti rifonde la materia che era stata del Gerusalemme; sappiamo che per lui il
poema si chiamava il Gottifredo, a quei tempi.
Luigi Poma, studioso, individua tre fasi del poema:
- alfa 1563-1575
- beta vere 1575-luglio 1576: revisione romana. Tasso pensava che questa revisione fosse veloce e
semplice e invece fu molto lunga e faticosa.
- gamma da luglio a ottobre 1576: Tasso interrompe definitivamente i lavori.

EDIZIONI EFFETTIVE DEL POEMA


La Liberata vide la luce nel 1581, parecchi anni dopo la sua conclusione. Prima edizione di Angelo
Ingegneri, veneziano, amico del Tasso; ne fa due edizioni e presenta l’opera in maniera dignitosa. Si
deve ad Ingegneri il titolo, La Gerusalemme Liberata, che piacque molto agli altri editori, al posto
di Gottifredo.
Nel 1581 uscirono altre due edizioni curate da Febo Bonnà; questa volta Tasso fu informato della
cosa ma non collaborò all’edizione. L’edizione è realizzata nel giro di pochi giorni a Venezia, con
una dedica ad Alfonso II d’Este, il Bonnà insisteva sulla superiorità della sua edizione alle
precedenti e ribadiva che essa rispecchiava le volontà dell’autore.
Nel 1584, Francesco Osanna di Mantova. Curata da Scipione Gonzaga, sembrò soppiantare, in un
primo momento, le altre edizioni.
Fine ‘800, Severino Ferrari, ridava autorità alla stampa di Bonnà, nella sua edizione del 1890 e lo
stesso Solerti, autore della vita del Tasso, approvava la scelta fatta da Ferrari.
Nessuna di queste edizioni può considerarsi effettiva perchè non è mai stata approvata da Tasso;
diverso il caso, per esempio, di un poema come l’Orlando Furioso, che ha 3 edizioni, tutte
pubblicate, che hanno avuto l’autorizzazione dall’autore.
Tasso riteneva l’edizione Bonnà la vulgata.

LETTERE POETICHE (1575-76, ED. ’87)


Le lettere poetiche composte fra il 1575-76, riflettono su alcuni cardini già stabiliti nei discorsi
come l’unità d’azione, il concetto di episodio della verosimiglianza, del meraviglioso, dello stile in
rapporto al poema già composto. Pensate come integrazione dei discorsi e furono pubblicate nel
1587 all’insaputa del poeta.
Il 6 aprile del 1575, Tasso scrive al cardinale Albano di aver completato il poema dopo lunghe
vigilie e dice ho condotto finalmente al fine il poema di Goffredo, spero entro il mese di settembre
di vederlo pubblicato.
Le lettere mostrano nella prima parte Tasso fiducioso di pubblicare presto il suo poema; poi ad un
certo punto pare determinato ad interventi più radicali; fino ad arrivare solo alla pubblicazione della
Gerusalemme Conquistata.
Chi erano i revisori?
Scipione Gonzaga, che Tasso elogia già nel Rinaldo, è la figura cardine del suo dialogo con i
revisori. I revisori eletti sono 4, tutti personaggi di rilievo: Silvio Antoniano, personaggio influente
a Roma, letterato e poeta, ma soprattutto studioso di teologia sotto la guida dei gesuiti del collegio
romano. Personaggio importante nella pubblicazione delle opere e anche molto severo; Tasso teme
che confonda la poetica con la politica e la morale; lo chiama il “poetino”, e vorrebbe che il poema
fosse indirizzato a preti e a monache, cosa che non è assolutamente nelle intenzioni del Tasso.
Il secondo è Flaminio de’ Nobili, lucchese, che aveva avuto contatti con Ferrara e aveva scritto
trattati sull’onore e la felicità. Il terzo è Pietro degli Angeli, da Barga, che era professore di latino e
di greco, viveva a Roma come precettore del cardinal Ferdinando de’ Medici, insegnava anche a
Pisa; autore di una traduzione, attendeva la composizione di un poema di argomento affine alla
liberata che è la “sirias”.
Il quarto è Sperone Speroni, che era a Roma per il periodo della revisione; ma Tasso lo conosceva
già e lo aveva frequentato. Le sue idee in base all’unità sono diverse da quelle del Tasso.
In questo periodo Tasso riflette e studia, cercando di conciliare la teoria con quello che è il suo
poema, legge e rilegge Aristotele e Demetrio.
Il concetto di unità è uno di quelli più importanti su cui riflette anche nelle lettere poetiche, in
particolare una lettera dell’aprile 1575 nella quale riflette sul problema dell’unità e se in un poema
epico, l’unità di molti personaggi è più perfetta quella di uno. La Liberata mette in campo molti
personaggi che devono condurre l’azione, quindi in questo caso, il suo ideale di unità è quello che
sia di molti personaggi. L’unità è un problema fondamentale se collegato all’altro concetto che è
quello di episodio: concetto difficile da delineare, che è qualcosa al di fuori della cosa di cui si
tratta, ma Tasso aggiunge che l’episodio è perfetto quando nasce dalla cosa stessa e quindi come al
fine della favola che non sia necessario. E’ qualcosa che deve essere correlato alla favola, da
diventare anche necessario ad essa. Per Tasso l’episodio diventa il momento in cui si insiste sulle
vicende individuali.
Saranno considerati episodi Olindo e Soffronia, nel secondo canto; il viaggio di Ubaldo tra il canto
14 e 16.
Concetto del meraviglioso: per Tasso è il motore dell’azione stessa. Rinunciare al meraviglioso
appare qualcosa di impossibile. Scrive a Scipione Gonzaga nel 1575: questa meraviglia l’attingo già
da altri poeti e afferma di essere sicuro che il poema è tanto migliore quanto fa meno uso delle,
meraviglie, anche se poi vedremo che saranno un ingrediente fondamentale.
Questo meraviglioso si connette all’allegoria, chiamata in causa proprio per difendere il
meraviglioso.
L’allegoria non è necessaria al poema, anzi Tasso non fa come Dante che dice al lettore di aguzzare
gli occhi perchè qui c’è una verità nascosta sotto il velo; Tasso ce la introduce in seconda battuta, e
non come se il poema fosse stato concepito in tema allegorico, ma vedere se si può interpretarlo
allegoricamente e questo l’ha fatto non per ragioni d’arte, ma per prudenza.
Un ultimo ingrediente importantissimo è l’amore. La poesia epica ammette gli amori. La difesa che
Tasso muove all’amore è che per lui, l’amore è una passione nobile come l’ira e come tale può
essere rappresentata in un poema epico.

STRUTTURA DELLA GERUSALEMME LIBERATA


Strutturata in 20 libri, il numero dei canti è fatto su un modello classico. La scelta dell’invetio
rispecchia in pieno le dichiarazioni teoriche. E’ una materia storica, si narra della prima crociata e
dunque trae la verosimiglianza dalla storia. E’ di ampiezza media, tale da consentire la
memorizzazione ed è adeguata al meraviglioso cristiano, che deriva dalla vera religione.
In rapporto all’Iliade, la Liberata mostra analogia nella riconquista di un bene usurpato; la
riconquista del santo sepolcro. Gli dei stanno dalla parte dei vincitori, come dio sta contro le forze
del male in favore dei crociati. Storia patetica, che contiene anche la discesa agli inferi e la parte
amorosa come l’Eneide.
Tema della crociata è il più attuale che Tasso potesse scegliere, non a caso ci stava lavorando anche
uno dei suoi revisori Angelo da Barga, detto il Bargeo. Dalla caduta di Costantinopoli nel 1453,
l’idea della necessità di una crociata era diventata un’idea pressante nella politica pontificia,
alimentato dall’avanzata dei Turchi in Europa e dai danni prodotti dalla pirateria.
Alfonso II aveva cercato di innalzare il prestigio dello stato estense che era in profonda crisi,
alleandosi con l’imperatore Massimiliano II, allenatori nella guerra contro i turchi in Ungheria nel
1556. Nel 1571, c’è la famosa battaglia di Lepanto, uno scontro navale fra le forze musulmane
dell’impero ottomano e quelle cristiane della lega santa.
In quel periodo c’era un grande conflitto ideologico che è quello dello scisma religioso: è del 1572
la tragica notte di San Bartolomeo, con la strage degli ugonotti da parte dei cattolici e la pressione
ideologica è forte. La lotta contro i turchi può diventare il simbolo della lotta contro l’eresia.
Nel Rinaldo, Tasso, auspica che Luigi si faccia promotore di una doppia crociata, quella contro
l’Egitto e contro l’empia eresia.
Nel Gerusalemme, c’è un’immagine che è quella della tela che adorna e finge che è una pittura
verace; in questa storia che io narro ci sono prefigurate imprese future di cui tu dedicatario sarai
protagonista.
Anche nel Gerusalemme, il dedicatario Guido Baldo II, è indicato come potenziale promotore della
moderna crociata.
Goffredo di Buglione nato nella bassa Lorena nel 1060, partecipò alla guerra del re Enrico IV
contro il papa Gregorio VII; poi forse per ammenda di aver impugnato le armi contro la chiesa, partì
per la guerra santa. Eletto capo dell’esercito cristiano ed espugnò e conquistò la città santa nel 1099.
Goffredo presentato come uomo vir religiosus pius, bello di statura alta e rosso di capelli; Goffredo
è totalmente diverso nella storia e qui, come sarà descritto nella Liberata.
Nel Gerusalemme, la descrizione di Goffredo è abbastanza dettagliata e ce lo presenta come un bel
giovane, con caratteristiche che poi saranno trasferite sul Rinaldo. Mentre nella Liberata, proprio
perché Goffredo è saggio, verrà descritto come più anziano.
C’è un personaggio con le stesse caratteristiche che verrà presentato nella Liberata ed è Tancredi.
Tasso lega il tema della crociata al motivo encomiastico. Uno dei capisaldi dell’imitazione è per
Tasso non solo la scelta della verosimiglianza fondata su una materia vera, storica, ma quello che
consente di modificarla. Tasso si sente subito autorizzato di modificare la storia, in una lettera del
1576 all’Antoniano, scrive che prende a pretesto alcune indicazioni che vengono dalla storia però
poi sparse nel campo della poesia queste producono degli alberi. E’ importante che questa licenza di
fingere riguardi gli amori, le cronache parlano degli amori dei crociati e della debolezza di alcuni
personaggi. Il fatto è che una volta che si è ricavato dalla storia il pretesto poi si può ampiamente
colorire la storia con la licenza di fingere concessa al poeta.

L’argomento del poema è esposto in una lettera del 1576 indirizzata a Monsignor Orazio Capponi: il
Tasso già concentra tutta la trama dell’opera nella prima ottava. Goffredo vuole ricondurre sotto i
santi segni i compagni erranti e liberare il santo sepolcro, ma l’inferno gli si oppone armando i
popoli d’Asia e di Libia contro i cristiani; il cielo gli darà finalmente favore e otterrà lo scopo.
Se ci rifacciamo ai tre precetti aristotelici, interezza, grandezza e unità; possiamo ritrovarli uniti già
in questa prima ottava. La favola con inizio in medias res: deve contenere tutto comprensibile e non
possono mancare elementi. Per la completezza della favola non si può partire in medias res, ma poi
progressivamente bisogna ridare al lettore tutti quegli elementi che sono necessari senza bisogno di
dover ricorrere a qualcosa che è al di fuori del testo.
Per la prima volta Tasso mostra in pochi versi la capacità di abbracciare con un solo sguardo l’intero
sviluppo della storia, che non è aperta a cose nuove e dilettose del romanzo, ma delimitata dalla
storia. Tasso annuncia una serie di impedimenti e di ritardi ai quali è affidata non solo lo sviluppo
della favola ma anche la varietà della storia. Il mistero su cui si regge il difficile equilibrio è
spiegato proprio come arte di assegnare lungo la porzione di racconto, una funzione precisa, in vista
di un fine unico. Una funzione che può essere di opposizione o di aiuto.
All’interno del poema si individuano poi dei nodi che il Tasso indica lui stesso nel suo riassunto: nel
canto IV il concilio infernale dice è l’inizio degli impedimenti. Nel canto XIII in cui dio in persona
torna a parlare indica che da questo momento inizia un novello ordine di cose; cioè dall’andamento
negativo che ha contraddistinto tutta questa parte del poema inizia il momento del riscatto. Un
secondo nodo è quello del canto XIII, opposizione e scioglimento.
L’altro punto fondamentale sarà il ritorno di Rinaldo nel XVII canto e il fine felice dell’impresa.
Il proemio della Liberata è strutturato su 5 ottave e contiene la proposizione, l’invocazione e la
dedica. Il poeta cristiano, ci ha spiegato Tasso, segue il modello virgiliano, porre e poi invocare, può
invocare le muse pagane ma non si può rivolgere a dei pagani. Tasso cita l’esordio di Virgilio come
accoppiamento di alto stile illustre.

ESORDIO GERUSALEMME LIBERATA I, 1


Le forze in lotta sono di vario tipo: storico, politico e spirituale. Tasso, a differenza dei poemi
cavallereschi a noi noti, pone tutta l’attenzione sull’eroe protagonista, il capitano Goffredo di
Buglione, sulla sua impresa e sugli ostacoli che dovrà affrontare. Balza agli occhi una differenza
sostanziale con l’Ariosto, ossia l’assenza della materia amorosa. L’amore esiste solo come ostacolo
all’alta impresa.
Interessante che sia un capitano il protagonista e non un cavaliere, anche da questo ci si stacca dalla
tradizione cavalleresca.
Interessante notare che questo verso è frutto di progressive modificazioni: canto l’arme pietose e ‘l
capitano che ‘l gran sepolcro liberò di Cristo—> stacco dalla tradizione con la sostituzione di
capitano al posto di cavaliere. Il capitano non rinvia più alle battaglie cavalleresche, ma piuttosto
alle guerre d’Italia. Arme pietose è un ossimoro, che compariva già nel Gerusalemme e sparirà poi
nella Conquistata, in cui sarà “io canto l’arme e il cavalier sovrano”.
L’arme pietose è stato ripreso da Machiavelli, nelle Istorie fiorentine.
E’ un ottava poco complessa, 2+2+4: 4 distici tra loro separati.
Seconda ottava di invocazione alla musa. L’invocazione è molto estesa e occupa un’intera ottava:
colpisce il fatto che Tasso si riferisce a lei in modo negativo, questa musa ha una corona di stelle
mortali tra i beati cori degli angeli nel cielo. Come se Tasso evocasse la tradizione per poi
contraddirla. Chi è questa musa? Per noi risulta la Vergine. I “celesti ardori” sarebbero lo spirito
santo.
Questa vocazione ha una lunga storia: il poeta chiede perdono. Il discorso ruota tutto intorno al
vero. Il poeta chiede scusa perchè ha mescolato alla verità storica degli ornamenti falsi; ha messo in
atto quella licenza di fingere che tanto aveva invocato nei discorsi dell’arte poetica. Chiede perdono
anche per aver introdotto diletti mondani di tipo amoroso.
L’operazione che Tasso condurrà dalla Liberata alla Conquistata sarà proprio quello di disambiguare
il testo, nel senso anche di abolire questi diletti mondani. Il vero diventerà l’elemento dominante.
Tasso sente di dover spiegare questi diletti mondani e lo fa nell’ottava successiva (I,3): il lessico è
moralmente connotato. “Molle” in senso negtivo. “Allettare” considerato una sorta di danno.
Similitudine che il mondo è debole al quale per dare la medicina bisogna condirla con un sapore
dolce. Per trasmettere la medicina (il vero) bisogna renderlo più piacevole attraverso le lusinghe che
derivano dal falso.
GERUSALEMME LIBERATA I,4 E FURIOSO I,3
Dedica al signore, Alfonso II d’Este con il quale Tasso ebbe un rapporto contrastato di amore ed
odio. E’ un breve brano in cui Tasso parla di se. In questa dedicazione Tasso imita l’Ariosto. Le
analogie stanno nel topos ma anche nella dedica. L’immagine che qui Tasso fornisce del peregrino
errante, che rischia di essere sommerso e che giunge finalmente sotto la protezione del signore,
sottraendosi al furore della fortuna, richiama in particolare la chiusura dell’Orlando Furioso; nel
46esimo canto, Ariosto, immagina di giungere con la nave in porto e di essere atteso da una serie di
personaggi illustri e amici che applaudono la fine della sua difficile missione. Un viaggio testuale
durante il quale più volte ha rischiato di perdere la rotta e di naufragare.
Carte e porto sono due parole che si ritrovano in entrambi i poemi.
Tasso e Ariosto ammettono a questo topos della navigatio, di lunga tradizione (per es. Dante), essa è
collegata all’opera stessa: portare a termine un’opera è come portare una nave in porto; il viaggio
corrisponde al viaggio testuale.
Non può passare inosservato l’uso di quella parola forte che è errare: topos del poema cavalleresco;
i cavalieri sono erranti perchè vagando da un luogo all’altro e errano perchè sbagliano.
Tutto il linguaggio tassiano è ambiguo e polisemico. Chiappelli parlava di una vis abdita del
linguaggio tassiano, di una forza nascosta che traspare ma non può manifestarsi apertamente. La
parola ha un significato letterale e tradizionale che Tasso le attribuisce, ma è portatrice anche di
significati repressi che sfuggono al controllo del poeta stesso.
Tasso qui si definisce peregrino errante, alludendo in particolare alla sua instabilità fisica, nello
stesso tempo paragona Alfonso a Goffredo, lasciando intendere che la storia dell’individuo è anche
storia universale. Questo parallelo lo abbiamo già incontrato e qui viene riproposto: un giorno potrò
raccontare cose di te che adesso sono solo accennate attraverso di te e di Goffredo; quindi la storia
dell’individuo Goffredo è la storia universale della cristianità che analogamente dovrebbe valere per
Alfonso.
Zatti nella lettura del primo canto alcune di queste polarità presenti nella prima ottava: il capitano
che si oppone ai compagni erranti; di tenerli strettamente legati all’impresa, resa difficile dalle
tendenze centrifughe che hanno i singoli individui. La missione deve essere collettiva, ma nello
stesso l’individuo si pone prepotentemente come tale. L’altra polarità è quella del fanciullo malato e
del medico: il fanciullo malato è il lettore e il medico è il poeta; il poeta deve far giungere al lettore
un messaggio moralmente corretto ma lo può fare solo attraverso lusinghe e adescamenti;
propinandogli la medicina sotto però l’apparenza di qualcosa di gradevole.
La terza è quella del signore Alfonso che si oppone al poeta naufrago, che cerca protezione dal
signore.
Nella Liberata I, 5-6: destinazione ultima della narrazione—> far si che Ippolito si ponga come un
emulo di Goffredo e ascoltando il canto del poeta ubbidisca a questo invito e si prepari alla nuova
impresa.
Si conclude così la parte proemiale e inizia la narrazione.
Questo proemio è qualcosa che il poeta ha riservato a se stesso.

Indicazione cronologica (6 anno), che da avvio alla narrazione. Tasso affida un’osservazione al
giudizio sulla Gerusalemme Liberata da lui medesimo riformata: Tasso camicia trasformando il
vero. La scena di inizio della narrazione è all’I, 7—> fortissimo enjambement (una vista), figura
tipica della narrazione tassiana; è chiaro che il sintagma una vista è proprio quello che è messo in
maggior rilievo. Il modello per questa scena è il I libro dell’Eneide. Si tratta di un primo esempio
della molteplice dell’uno. Il topos di dio che guarda dall’alto è un topos della poesia epica, da Zeus
che dall’alto dell’Olimpo guarda i fatti degli uomini, una sorta di prospettiva aerea che domina
unitariamente molteplici vicende; ma mentre Zeus è spesso distratto dalle vicende degli altri popoli,
il dio cristiano è un dio attentissimo; la realizzazione del principio dell’unità.
Il piccolo mondo diventa il riflesso del macrocosmo, cioè di ciò che accade al di sopra.
Lo spazio narrativo è chiuso.
Siamo al motivo centrale della dialettica molteplice.
Mentre il narratore del piccolo mondo sarà garante del processo narrativo, dio sarà garante della
storia.
Nella concezione gerarchica tassiana, Goffredo ha un ruolo e un posto del tutto particolare, è vicario
di dio, l’elemento unificante.
Tasso esalta la monarchia come forma di governo e lo dice esplicitamente a Pietro l’Eremita che è
l’ispiratore della crociata già proprio nel I canto alle 8ave 30-31. L’immagine della necessità di
riunirsi tutti e di superare i pareri discordi, che fanno parte dell’essere in tanti, nell’autorità di uno
solo, che quindi riesca ad imporsi sugli altri. Quando non si ha uno solo al governo, il governo è
errante; da notare il ricorrere di questa parola. Segue una similitudine interessante, che è cara a
Tasso, ed è quella del corpo umano: il corpo umano è uno anche se fatto di molte membra. E’
un’immagine che pone in continuazione, anche nelle lettere.
Quest’immagine del corpo torna anche nel canto XIV, 13 e I, 12: sovrano indiscutibile e tu invece in
questo contesto sei la mano, l’esecutore.
Il problema dell’unità non riguarda solo il piano retorico-strutturale, ma ha un significato di tipo
esistenziale. Nella Liberata, Goffredo appare come un eroe rigoroso, impermeabile alle insidie e
alieno alle tentazioni, avrà anche lui una caduta con la perdita di potere; momenti in cui le cose
vanno male e l’autorità viene messa in discussione; ma la sua missione è quella di unificare perchè
Goffredo è stato investito direttamente da dio. Questo accade già nel primo canto quando dio
direttamente ordina all’ angelo Gabriele di trovare Goffredo.
Chiami a consiglio e mova ad alta impresa: questo sintagma era presente nel proemio del
Gerusalemme e viene recuperata.
Il discorso a Pietro l’eremita sulla necessità di una monarchia è preceduto dal discorso di Goffredo
ai suoi uomini che parte dall’8ava, 15. Indicazione temporale che si rileva più idonea all’inizio di
un’azione: l’angelo appare con l’apparire del sole. L’angelo porge il suo invito a Goffredo, il suo
compito è quello di radunare i suoi uomini e di infondere volontà all’azione, l’incarico viene
direttamente da dio ed essi si sottoporranno volontariamente a te. Goffredo parla alle sue truppe e
anticipa quello che sarà il finale del poema: il vostro compito è quello di far si che ogni pellegrino
devoto possa appunto sciogliere i propri voti al santo sepolcro. Il poema si conclude esattamente
con queste parole: richiami estremamente interessanti che danno il senso della circolarità di questo
testo, che è uno dei principi fondamentali per Tasso.
L’idea è proprio quella che fin dall’inizio sappiamo come si chiuderà il ciclo. Questi richiami
lessicali, hanno la funzione di sottolineare questa completezza e chiusura.
L’azione dei crociati, che sarà secondo la volontà divina corrispondente nel filo e nel fine ai suoi
inizi.
Nella lettura che Zatti da di questo inizio, osserva che il primo atto ufficiale di Goffredo dopo
rivestitura è quello di passare in rassegna le truppe, secondo un topos omerico e serviva proprio
come presentazione delle forze in campo, cioè degli attori del poema.
Come vedremo Tasso ci ha già presentato dei personaggi nella visione iniziale, attraverso cioè lo
sguardo di dio che è in grado di leggere nell’animo dei personaggi.
Topos della rassegna delle forze lo incontriamo, per es., nell’Iliade, nel II libro, aperto da
un’invocazione alle muse; analogamente Tasso inizia questa rassegna, ma a differenza di Omero che
offre una doppia rassegna dio eserciti, presentando prima i greci e poi i troiani; in Tasso sono
dislocate all’interno del testo, la rassegna delle truppe cristiane è all’inizio mentre quelle pagane
saranno molto più avanti nel testo. L’interpretazione del topos è abbastanza libera ma nello stesso
tempo è l’esemplificazione del manicheismo: cioè la netta distinzione tra buoni e cattivi, nella
quale si contrappongono sulla terra nella presentazione degli eserciti come in cielo dio si
contrappone a satana. Si capisce ancora meglio il senso di questo manicheismo se noi ci
rapportiamo ancora una volta all’Orlando Furioso, una delle caratteristiche più interessanti
dell’Ariosto è proprio quella della demolizione di un concetto, di un bene, di un male assoluto.
Tasso contrappone l’unità dell’esercito pagano, per es., 1-4, 44 1-2, 53 … una serie di valori,
indicazioni descrittive che contengono in se un giudizio, una valutazione. Il fatto che sono
indifferenti, cioè sono tutti compagni uguali, concordi a sottoporsi ad uno solo.
Se infatti, come fa notare Zatti, saltiamo al 17esimo canto, ci troviamo di fronte ad una nuova
rassegna, nella quale i termini negativi caratterizzano i pagani con una moltitudine confusa, una
turba, nella quale regna un ordine confuso. Dal punto di vista linguistico non riescono ad intendersi
fra loro perchè parlano lingue differenti. Tutta quella rassegna insieme al canto 20esimo, è fatta
quasi in contrapposizione al primo canto; quelli che erano i valori dell’esercito cristiano sono
contraddetti dai caratteri dell’esercito pagano.
L’orientamento ideologico deve essere sempre chiaro per il lettore.
L’ideologia tassiana è pienamente controriformista: riaffermare l’unità della chiesa contro le
differenze costituite dalle correnti luterane e calviniste.
Zatti esamina in quest’ottica anche l’inzio del 4 canto e in particolare la scena del concilio infernale:
i demoni, come i pagani, sono caratterizzati dalla varietà di forme della loro mostruosità.
Per Tasso, il Furioso è un animale senza capo, perchè non ha continuazione, ma con molte membra,
per questo mostruoso da questo punto di vista.
Liberata I, 8;9 1-4; 10,3-6
L’obiettivo si specifica, lo sguardo si focalizza in un luogo preciso. Lo sguardo di dio si appunta sul
primo personaggio, Goffredo, e vede che è animato dai migliori intenti perchè vuole scacciare i
pagani dalla città santa e soprattutto perchè la sua fede e il suo zelo fanno si che tutti i beni terreni e
la gloria e la ricchezza sono per lui insignificanti. Lui combatte per la fede e non per i beni terreni e
materiali. Ma già il fratello di Goffredo, Baldovin, inizia a registrare delle pecche. Baldovino, che
ebbe poi il regno di Gerusalemme alla morte di Goffredo, è mosso da un ingegno cupido perché
aspira alla gloria, ricchezza, è cupido di beni terreni.
Tancredi sdegna la vita, non considera abbastanza importante la vita perchè è continuamente
martoriato da un amore vano. Fin dall’inizio appare innamorato della pagana Clorinda, un amore
che si concluderà in maniera drammatica, perchè lui stesso la ucciderà in duello senza saperlo.
Rinaldo rispetto a Goffredo, anche lui non ha desiderio di tesori e di ricchezze e neanche di
comandare, ma ha bisogno di gloria e questo bisogno supera i limiti e lo acceca. Rinaldo sarà il
tipico eroe cavalleresco, quello che combatte per la fama e non per la ricchezza.
L’occhio di dio, come quello del narratore onnisciente, si interna nel segreto dell’animo. La
narrazione si fa soggettiva-psicologica. A una prima visione teatrale di scena, segue una narrazione
di altro genere.
I personaggi sono presentati secondo le loro caratteristiche fondamentali che sono vizi più di virtù e
sono quelle dalle quali prenderà il via la loro azione. Del personaggio Tasso parla nei discorsi, tratta
del costume e delle sue condizioni, può essere buono, conveniente, simile o uguale.
Secondo Tasso, il costume si rileva attraverso le parole e le azioni e anche attraverso l’aspetto. Per
es., a Tancredi si potrebbe leggere nel volto: I,49 lo stesso aspetto riflette il suo carattere.
Nel 60, 7-8 Rinaldo presenta questa barba intempestiva, come poi sarà lui.
La prospettiva di Tasso è cinematografica, una ripresa dall’alto, dal basso e di lato. Alla descrizione
dei personaggi per primo appare Goffredo e poi tutti i suoi collaboratori. La figura di Goffredo è di
capitano, ma anche di principe solitario in questo suo ruolo così importante e qualche volta toccato
perfino dal dubbio. Nel canto V, le azioni delle forze del male sono iniziate da dopo il concilio;
Armidia si è presentata tra i crociati e il suo fascino li ha distolti dal loro compito principale;
Goffredo resiste al fascino di Armidia, ma non gli altri compagni; è scoppiato già il dissidio tra
Gernando, istigato dal demonio che con le sue insinuazione perfide ha scaturito l’ira di Rinaldo.
Questo è il contesto in cui Goffredo presenta questo suo aspetto di principe melanconico, capro
supremo che però è affetto pure lui da incertezze e timori.
Rinaldo, Baldovino e Boemondo sono tre personaggi sorretti da ambizioni di tipo sociale.
Baldovino è roso dal desiderio di ricchezza, è un cupido ingegno. Rinaldo ha un grande desiderio di
gloria. Sono personaggi che sono soggetti ad ambizioni sociali che li distraggono dal loro intento.
Tancredi non presenta questo tipo di debolezze ma è malato di malinconia, è il personaggio astratto
dalla realtà perchè tutto proiettato nel suo amore.
Tutti questi personaggi soffrono per cause diverse, ma hanno tutti il medesimo vizio che è la
distrazione dell’animo: la varietà intesa come guardare ad altro rende meno funzionali a ciò che è il
loro compito principali.
Si possono distinguere in due gruppi: quelli epico-religiosi che incarnano proprio l’epica come
Goffredo, che sono mirati ad un unico fine e l’opera deve rispondere al fine. E quelli epici ma
mondani che rispettano più l’ideale romanzesco come nel caso di Rinaldo. Diverso ancora è
l’individualista-malinconico rappresentato da Tancredi. Tancredi appartiene al codice romanzesco.
Tasso in ogni caso difende la materia amorosa e questa sua inclinazione è visibile già nella rassegna
iniziale.
Nella seconda visione il registro dominante è quello epico-eroico, infatti Goffredo vede (che diventa
l’osservatore al posto di dio) passare i vari cavalieri che saranno poi i protagonisti dell’azione.
Presentazione che inizia all’8ava, 35-6: di nuovo l’alba, il sole esce luminoso, giornata eccezionale
lo dice anche il sole stesso; l’esercito esce insieme ai raggi del sole; Goffredo è fermo e vede
passare dinanzi a se i cavalieri e i fanti; appello alla memoria più che alla musa—> l’appello alla
memoria è anche dantesco. La memoria deve recare alla mente del poeta i vari personaggi in modo
che li possa riferire precisamente.
I, 45-6: Tancredi ha tutte le caratteristiche del personaggio eroico, se si esclude Rinaldo, è
abilissimo nel combattere, nello stesso tempo è bello nelle maniere e nell’aspetto. Se c’è qualcosa di
non perfetto in lui è proprio la follia d’amore. Un amore spiega con un breve flashback: nato sul
campo di battaglia, vista brevemente ma già lui si nutre dei propri affanno e l’amore acquista forza.
Il lettore esperto si accorge che al campo di battaglia, dal quale Tancredi vittorioso si allontana apre
invece poi una visione di tipo romanzesca, una specie di locus amenus nel quale il personaggio può
ritirarsi a bere e a rinfrescarsi, com’è accaduto a Ruggero.
Prima apparizione di Clorinda: breve squarcio in cui si vede la fronte, si è tolta l’elmo per
rinfrescarsi, Tancredi la guarda e subito si innamora.
A differenza di Ariosto, Tasso non si può dilungare in commenti affidati alla persona del narratore
perchè romperebbe l’oggettività epica.
Ecco che Clorinda si ricopre velocemente con l’elmo, elmo che giocherà un ruolo importante.
Liberata I, 58-9: presentazione di Rinaldo. Descrizione fisica estremamente interessante: fronte
regale, quindi nato per comandare e anche l’autorità che lui emana; doppia sembianza, di Marte.
Personaggio di invenzione ma Tasso fornisce una serie di elementi legati alla realtà storica per
renderlo più credibile, capostipite della dinastia d’Este; così lo fa figlio di Bertoldo e di Sofia,
allevato presso Matilde di Canossa.
Liberata I, 60: molle piuma degli adolescenti è quello che era già venuta fuori nella prima
presentazione, che è questa barba, che diventa un elemento simbolico del personaggio.
Una terza visione ancora più soggettiva rispetto alla precedenti, cioè quella di Erminia dall’alto
della torre nel canto III. Erminia è uno dei personaggi femminili più importanti, anch’essa
personaggio immaginario, finta figlia di re di Antiochia; fatta prigioniera, si innamora del suo
carceriere perchè ne ha ammirato la magnaminità e la cortesia. Erminia non è un personaggio
tradizionale del poema cavalleresco; se prendiamo Clorinda incarna il topos della vergine guerriera.
Il nome stesso è invenzione, coniato su ermo, un aggettivo caro a Petrarca e poi a Leopardi, che
significa solitario, lontano. Nella conquistata cambierà il suo nome in Nicea.
Il finale del personaggio resta misterioso, noi sappiamo al canto XIX, 112 che Erminia potrà curare
le piaghe di Tancredi ma non si sa altro che il fatto che essa si rifugia in un luogo segreto. Nella
conquistata riacquista il suo posto nel campo pagano e piange la morte di Argante, il loro capo.
Erminia e Elena (Iliade) sono due donne infelici, due donne straniere nella loro patria e viceversa,
Erminia si sentirà straniera quando tornerà al suo luogo di provenienza e Elena analogamente si
sente straniera in Troia e nella sua patria.
Liberata III, 58, 5-8; 59: Goffredo che appare a volte in un mantello rosso, mostra già nel suo
aspetto fisico un aspetto regale e autorevole. Questa prima descrizione appare già come descrizione
di Agamennone.
Il linguaggio di Erminia è sempre doppio: usa le immagini belliche, sfruttando la loro valenza
metaforica, nel settore lirico amoroso.
Scena: descrizione di Tancredi anche da punto di vista dello spazio che prende nel poema è
superiore a quello di altri.
Liberata III,19:
Il discorso di Erminia è tutto basato sui doppi sensi: finge perchè mostrando odio nei. Riguardi del
nemico è piena di amore. Comparazione con l’Orlando Furioso del canto 35esimo; ad un certo
punto Bradamante vorrebbe poter combattere con Ruggero, sfida a duello i guerrieri pagani nella
speranza di trovarsi a combattere proprio con Ruggero. Bramante non vorrebbe incontrare Ruggero
nello scontro bellico ma bensì nella giostra amorosa (doppio senso).
Il discorso di Erminia serve ad introdurre un nuovo punto di vista che è soggettivo insieme
passionale, per cui i personaggi nominati vengono descritti da una spettatrice appassionata che ci
mostra la scena attraverso i suoi occhi.
Liberata III, 18-20: descrizione che Clorinda da di Tancredi, la ferita che lui le ha inferto è amorosa.
Distico interessante perchè si tratta di un’espressione che rimanda in origine a Petrarca ma che
soprattutto rimanda ad Ariosto. Ariosto parla di un’altra piaga, inferta dalla gelosia.
Erminia ama Tancredi, ma Tancredi ama Clorinda: quindi la condizione di Erminia è quella di
amante non amata; quella di Clorinda quella dell’amata non amante. Le due sono già in stretta
relazione tra loro unite da una stretta amicizia, quasi amorosa. Non appena Erminia si appresta a
descrivere ad Aladino i guerrieri cristiani, ecco che si interpone Clorinda.
Clorinda perde l’elmo nel suo scontro con Tancredi, riproducendo un topos di antica tradizione, qui
si collega ad un discorso più ampio perchè Clorinda si presenta a Tancredi in brevi squarci,
apparizioni, che sempre sono collegate alla perdita dell’elmo. Le procura una ferita, che ha un
risvolto quasi erotico, segnata da questa apparizione sul collo di Clorinda. Queste apparizioni si
ripeteranno nel canto VI, 26: una nuova apparizione di Clorinda a Tancredi.
Questa seconda messa a fuoco comprende anche un primo lieve ferimento di Clorinda che è una
prefigurazione di quello che sarà il dramma finale.
Il colpo non va del tutto a vuoto e la ferisce tra capo e collo e questa piaga fa uscire del sangue
rosso che fa contrasto con i capelli biondi.
A questo punto Erminia si mette a descrivere Rinaldo che entra nella sua ottica; l’occhio di Erminia
ha una sorta di prefigurazione, lo descrive con entusiasmo: Rinaldo si presenta come il più glorioso
fanciullo (dettaglio dell’esser molto giovane e impetuoso viene sottolineato più volte), bisogno di
istituire costantemente una gerarchia. L’enfasi che pone in questa descrizione ci fa capire che si
tratta del solito eroe cavalleresco che eccede di bravura. Tasso stesso lo conferma nelle lettere,
cercando di evitare il trionfo di un solo individuo, ma ha fatto eccezione per Rinaldo che è superiore
a tutti gli altri. Il lettore capisce la doppia lettura al messaggio di Erminia, mentre Aladino coglie
solo quella cavalleresca, il lettore coglie anche quella amorosa. La passionalità è celata ma si
manifesta in maniere traverse, come con la metafora. Ermini da questo punto di vista è una delle
prime interpreti di quel linguaggio della dissimulazione che pervade tutto il poema.
II canto: Tasso ha molti dubbi su questo canto. L’insieme dei tre canti costituisce un vero e proprio
prologo. Il II è episodio: considerato un può deviante dallo stesso Tasso, dichiara di averlo
condannato per due motivi fondamentali: uno perchè troppo lirico, fiorito e lo dice lui stesso a
Scipione Gonzaga; viene criticato anche il finale: il personaggio di Clorinda ad un certo punto
appare e libera i due condannati al rogo. Due, la soluzione per macchina.
Episodio che ha una fonte pseudo storica che deriva da Guglielmo di Tiro, ma è colorito dal punto
di vista romanzesco con altri riferimenti letterari. Tasso racconta che i cristiani di Gerusalemme a
causa di macchinazioni del mago Ismeno e per certi eventi vengono accusati di aver fatto sparire
immagini della madonna; il re Aladino, adirato per questa sparizione vuole fare una strage di
cristiani; a questo punto una vergine guerriera, Sofronia, si offre come capo espiatorio, si
sacrificherà per gli altri cristiani. Olindo, un giovane cristiano, innamorato di lei, si offre al suo
posto. A questo punto i due vengono condannati al rogo e quando sono legati schiena schiena
interviene Clorinda e li salva. In realtà Tasso cerca di radicare quest’episodio al contesto per via
intertestuale, facendo riferimento ad altri modelli oltre che alla fonte di Guglielmo di Tiro, anche
all’episodio omerico il furto della statua di Pallade da parte di Diomede da Troia; poi viene
collegato al fatto della guerra di religione da un motivo più interessante: secondo i protestanti il
culto delle immagini è idolatria, mentre i teologi della controriforma insistevano sul valore delle
immagini che rendono visibile al credente ciò che egli non può vedere, quindi salutare. Il mago
Ismeno che ha trafugato l’immagine della versione, cerca di usarla in suo favore. In sostanza
Ismeno crede nel potere di queste immagini se pensa che questa rapita e riposta in una meschita
operava per i cristiani. Loro praticano una specie di esorcismi su questa immagine della madonna.
L’immagine viene ripresa poi dai cristiani.
L’episodio parla in favore della rappresentazione delle immagini. Il tema centrale è quella della
coppia, si trova anche in Boccaccio. Olindo e Sofronia legati schiena a schiena a sottolineare quello
che era la loro inconciliabilità perchè anche in questo caso ci troviamo davanti ad un’amata ma non
amante, Olindo ama Sofronia ma non il contrario. Sofronia è la tipica vergine guerriera dedita solo
alla causa comune, non si concede a rapporti individuali come sono quelli amorosi. Il dialogo tra i
due è tutto giocato sul doppio senso, parlano un linguaggio insieme letterale e figurato. Sofronia
anticipa la figura di Clorinda, che non a caso è quella che sopraggiunge per salvarla. E’ la prima
presentazione più estesa del personaggio di Clorinda: apparenza di un uomo e sembra che venga da
lontano. Ha un elmo con sopra l’insegna di una tigre, famosa, che consente a tutti di riconoscerla.
Sofronia: descrizione topica e reinterpretata da Tasso; insistenza sulla parola “vergine”, una vergine
non più giovanissima, di una bellezza da lei non curata, accompagnata da onestà, fa in Goni
maniera di non essere vista e desiderata, infatti si sottrae ai vagheggiatori e ai loro sguardi.
L’opposto di Armidia che invece si vuol mostrare; anche se fa finta di non saperlo. Quello che in
Sofronia è natura, in Armidia è artificio.
L’arte che mescola il vero con il falso conduce ad un punto che non sai se è vero o se è falso.
Sofronia non si nasconde e non si espone, è naturale, sta composta nel suo velo ed ha maniere
schive e generose. Collegamenti dei due opposti nella figura dell’ossimoro. Invito al pudore e alla
castità finisce per coincidere con il suo opposto, con il massimo della seduttività, questo vale per
Sofronia e Armidia. Questa ottava fu molto criticata da Galileo, in particolare in questo verso degli
occhi. Ama la limpidezza ariostecsa ma detesta la doppiezza del linguaggio tassiano.
Muta con Tasso l’ideale della bellezza e della seduzione, a differenza di Ariosto, Tasso preferisce il
celato, il nascosto e quello che traspare.
Liberata II, 15 e 16: Sofronia non riesce a sottrarsi ai cupidi desiri di Olindo, cioè la connotazione
forte quasi negativa di desideri, che si contrappone ai casti virginei alberghi (enjambement), che
sono due sinonimi.
Il cambiamento di Sofronia è dapprima lacerata per due forze che tra loro si contrappongono: la
forza da un lato, la vergogna e il decoro viriginali; ma poi la forza vince e trova una specie di
compromesso contraddittorio, perchè la forza diventa vergognosa e nello stesso la vergogna si fa
audace, questa è una delle tante fioriture presenti in questo canto. Dove si delinea un tipo di donna,
che Tasso definisce la virtù donnesca. Sofronia nel Furioso rappresenta una delle virtù cardinali.
Olindo è un personaggio presente nell’Amadigi paterno.
L’autodenuncia di Sofronia viene definita come una magnanima menzogna, cioè una menzogna
generosa e ne trae, Tasso, una conclusione che ha a che fare con la poetica vera e propria, cioè
quando mai la verità si può preporre a te? La menzogna supera il vero.
Dietro Sofronia c’è anche la figura della santa martire (26 e 28): richiamo petrarchismo del trionfo
della morte, non è il colore pallido della morte, ma è un colore candido. La punta erotica compare
nel velo e il casto manto le sono strappati, come alla vergine.
Olindo che si prepara al sacrificio è un personaggio vittima di un amore non corrisposto, anche lui
si proclama colpevole. Sotteso anche un ricordo virgiliano, ma è più interessante l’esclamativo
patetico finale, che fa parte della fioritura di questo canto: quando parla di eroismo amoroso, Tasso,
fa sentire la sua voce attraverso questi brevi esclamativi, anche questi di sapore virgiliano.
E’ una situazione topica quella dell’amante non amato: dato di fatto che esprime pessimismo nel
fatto amoroso. Tutti amori lacerati all’interno della liberata.
Il personaggio di Olindo non si concilia con il personaggio epico di Sofronia; Olindo è romanzesco,
individualista, lui si sacrifica per Sofronia, non per la cristianità.
Questi due personaggi rappresentano una tenzone di genere: sono antitetici, proprio per questo
Tasso rovescia la tradizione che li vuole viso a viso e li lega schiena a schiena, in modo che i due
siano impossibilitati a vedersi. Sono una coppia disunita, che persegue fini diversi ed inconciliabili.
Sofronia è personaggio monolitico che raccoglie in sé la virtù; Olindo è come Tancredi. Non a caso
questa coppia prefigura quella di Tancredi e Clorinda: Clorinda infatti si impietosisce alla visione
dei due, cosa che non è tipica di lei; viene fuori questo animo sensibile, che non è tipico della donna
belva. Prefigurazione del lieto fine, perchè i due convoleranno dal rogo alle nozze, mentre nell’altro
caso si chiuderà in tragedia.
Liberata II, 33-34: il rapporto tra i due irrealizzabile e irrealizzato tra i due si realizza in punto di
morte. Gioco continuo tra amore e morte, un altro dei topoi tassiani. Erotismo serpeggiante: Olindo
imagina questa morte come rapporto mancano, il rogo è il letto e quindi la morte congiunta è lo
spirare nella bocca dell’altro. La risposta di Sofronia è interessante perchè usa termini che vedremo
riapparire nei dialoghi tra Tancredi e Clorinda.
In fondo questa morte è una morte fortunata perchè prefigura la salvezza celeste. Tutti piangono
intorno a loro e la scena assume un vertice patetico. Si veda poi quel morire baciando che è quel
desiderio di fusione che percorre per vie sotterranee tutto il poema, quel desiderio amoroso.

DISCORSO DELLA VIRTÙ FEMMINILE E DONNESCA - CONCETTO DI VIRTÙ


DONNESCA
Tasso scrive il discorso sulla virtù femminile e donnesca nella prigione di Sant’Anna nel 1580.
Come nei dialoghi si pone come filosofo e traccia una distinzione fra alcune virtù morali, proprie
del sesso maschile (la forza, liberalità e eloquenza) ed altre del sesso femminile (la pudicità, il
silenzio e la parsimonia). Secondo Tasso la distinzione si fonda proprio sull’ordine dettato dalla
natura. La pudicizia è tipicamente femminile, poiché le donne, secondo Tasso, sono escluse dalle
virtù intellettuali e reagiscono solo a quelle che fanno riferimento all’appetito della concupiscenza,
risultato che la temperanza è una virtù fondamentale insieme alla pudicizia.
Con questa visione maschilista e aristotelica, Tasso fa un’eccezione con la virtù donnesca, tipica
delle donne eroiche: le debolezze delle donne non intaccano la loro virtù eroica.
Secondo Tasso la distinzione tra virtù maschili e femminili si fonda proprio sulla natura; la virtù
fondamentale della donna sarebbe proprio quella della pudicizia. Essendo la donna concupiscenze è
necessaria per lei la temperanza e la pudicizia; è chiaro che una simile descrizione sembra
contrastare con questi personaggi femminili in primo piano. Tasso affianca a questa virtù, la virtù
donnesca che trascende i limiti della virtù femminile e si manifesta in alcune donne che sono
superiori e spiccano sugli altri.

Personaggi femminili:
Sofronia: da prima ci viene presentata come modello di virtù femminile, conservatrice della propria
pudicizia; ad un certo punto questa virtù femminile viene a confronto con quella donnesca, che è
volta alla causa sociale. La trasformazione di questa virtù è quando Clorinda facendo forza a se
stessa diventa audace. Affinità spirituale con Clorinda. Clorinda fugge le vesti femminili ma anche i
luoghi chiusi, come Sofronia è associata ad un amante di tipo petrarchesco: Olindo e suoi desideri,
così Tancredi riesce ad avere una visione di Clorinda oltre l’armatura.
Clorinda: il racconto della nascita e sorta di Clorinda viene fatta da Arsete e le viene fatto
direttamente a Clorinda per fermarla nella spedizione notturna per bruciare le torri nemiche.
All’origine della virtù donnesca di Clorinda c’è la madre, regina di Etiopia, succube della gelosia
del marito è destinata a rimanere nascosta nelle sue stanza. Il destino di Clorinda è segnata
dall’immagine devozione della madre, la quale era solita pregare. La madre appartiene a degli
eretici cristiani che non sottostanno all’autorità papale e pratica il culto di San Giorgio.
Clorinda nasce miracolosamente bianca anche se i due genitori sono neri e questo suo essere bianca
dipende dal fatto che la madre venerava questa immagine di San Giorgio che raffigurava la vergine
dalla pelle bianca. Questa nascita miracolosa provoca un problema fondamentale, la gelosia del
marito, e sua madre sa che non sarà possibile giustificare la nascita di una figlia bianca da due
genitori neri e per questo trova la maniera di farla sparire riconsacrandola prima a dio e poi a San
Giorgio. Quello a cui l’affida, Arsete, è pagano, per cui Clorinda non sa di questa sua origine
cristiana. E’ stata per destino consacrata a San Giorgio e sarà così una donna guerriera.
Personaggio in tutto contraddittorio: bianca ma nata da genitori neri; pagana ma consacrata a dio.
Lo stesso che si crea per la sua natura femminile che è repressa ma esistente e l’abito e
l’atteggiamento che è interamente maschile.
Gildippe: un’altra donna dalla virtù donnesca, che farà parte degli amanti-sposi, Gildippe e
Odoardo, che condividono ogni loro destino; l’unica coppia regolare di amanti felici, i quali
moriranno congiuntamente alla fine del poema, pur non avendo grande rilevanza all’interno della
narrazione.

Dopo il prologo, si passa dallo spazio epico a quello infernale; descrivendo il suo piccolo mondo
Tasso comprende anche i concilii celesti infernali. Lo spazio del poema appare così costruito su due
piani che si intersecano: quello orizzontale, in cui troviamo il conflitto tra cristiani e pagani e quello
verticale, teatro del conflitto fra il cielo e l’inferno.
Tasso dice nella lettera prefattoria ad Orazio Capponi che nel IV canto come da una fonte derivano
tutti gli episodi.
L’introduzione del canto infernale è chiara e l’inizio del canto IV suona così: l’inizio dei canti nella
Liberata sono segnati da brevi indizi cronologici di contemporaneità negli episodi; in questo caso
mentre i cristiani sono impegnati nelle opere guerresche, Satana pensa a perturbare questi loro
progetti che li rendono lieti e contenti.
Non si tratta solo di un rivolgimento strutturale, ma anche di un approfondimento ideologico, in
quanto la lotta per la conquista di Gerusalemme non è soltanto una lotta terrena, ma anche un
percorso dell’anima che deve superare le forze del male, l’erranza e conquistarsi la salvezza.
L’opposizione fra inferno e cielo era già stata preannunciata nell’esordio. Come nel I canto
avevamo avuto uno sguardo di dio sugli uomini, adesso abbiamo un secondo sguardo che è quello
di Satana, gran nemico dell’umane genti che torce gli occhi contro i cristiani.
Nella prima parte del canto Iv, cioè la descrizione del canto infernale, è densa di riferimenti
danteschi. Ad es. “ambo le labra per furor si morse” rimanda a inferno XXXIII; ma anche la
similitudine virgiliana del toro rimanda nello stesso clima di tipo infernale.
Nel romanzo cavalleresco il grande motore delle avventure è in genere la fortuna; in Tasso dio si
contrappone a Satana.
Da qui iniziano una serie di eventi di carattere romanzesco: Tasso così mette in campo il
personaggio di Armida, che ha il compito di sviare i crociati dalla loro impresa; la stessa funzione
che ha Angelica nell’Orlando Innamorato e nel Furioso, ma in una concezione diversa.
Armida sarà quella che provocherà l’allontanamento di Rinaldo dallo spazio epico e anche questo
dell’allontanamento del paladino è un topos del romanzo. Questi motivi sono riproposti entro una
diversa finalità provvidenziale, come emanazione della volontà divina e demoniaca.
L’episodio che inizia con il canto serve a dare futuri sviluppi del poema; infatti il peggioramento o
perturbazione avverrà all’8ava 17 da Lucifero.
Il concilio infernale viene esaminato da Zatti nel suo libro, il quale mette in luce il potere esplosivo
contenuto nelle parti di satana e nella sua inquisitoria antimperialista. Secondo Satana, dio vuole
tutti al suo culto richiamar le genti: da notare il sintagma “alta impresa” che è lo stesso usato per
l’impresa dei crociati, usato questa volta sul piano opposto. Siccome dio ha vinto e ci ha precipitato
nell’inferno, noi siamo considerati dei ribelli. Dio ha trionfato e non solo ha mandato Cristo, il
quale ha tratto anime dall’inferno che erano dovute a noi ed erano ricche prede (sempre dal punto di
vista dei morti), e ha spiegato qui le sue insegne.
Quindi è una visione del conflitto dalla parte delle forze del male, però con le proprie ragioni, che
sono analoghe a quelle espresse dalle parti.
Fa una politica di tipo imperialistico, che è un pò quella che facevano i gesuiti quando andavano a
convertire tutti quanti forzandoli alla religioni.
Noi sopporteremo tutta questa gloria; “neghittosi” è un aggettivo che era stato impiegato per i
crociati per incitarli all’azione. Siamo stati sconfitti ma ora possiamo tornare all’azione e poi c’è
l’anticipo di quello che si scatenerà per le forze del male.
Si riferisce agli amori di Rinaldo che il dimentico della sua ammissione sceglierà come suo mito il
volto di Armida.
Avvio di una azione epica che è l’epos delle forze del male. La raffigurazione delle forze infernali è
per tradizione appartenuta al comico, per Tasso è mantenuta sul registro alto. Si parla appunto
dell’alta impresa e c’è l’esortazione di una vera e propria crociata.
A completare il quadro epico c’è una nuova invocazione alla musa “ma di tu musa”: una musa
anche per cantare le azioni delle forze del male.
Tasso era consapevole della forte presenza del personaggio di Armida, e temeva che questa potesse
infastidire i revisori, soprattuto è incerto sul finale, che rimane ambiguo nella Liberata, la sua
riconciliazione con Rinaldo, incertezza se poi i due diventino i progenitori degli estensi.
Nella conquistata Armida perde spazio e non solo sparisce dal poema dopo il salvataggio di
Rinaldo.
Armida: un personaggio a cui Tasso tiene molto, ma sul quale ha molti dubbi, come scrive a
Scipione Gonzaga nel 1575. Per la soverchia vaghezza, cioè l’eccesso di piacevolezza, poi teme
anche dal punto di vista strutturale di un trapasso che richiama troppo quello dei romanzi.
L’apparizione di Armida è molto interessante, fa parte del progetto infernale fissato da Plutone;
Armida viene messa in gioco e appare come d’altra parte tutte le donne tassiane.
Dopo l’invocazione alla musa ecco l’apparizione di Armida: Idraote, mago della parte nera, è lo zio
di Armida. Tasso ha una visione manichea, cioè vuole che sia chiaro al suo lettore dove sta il male e
il bene, anticipa che è inutile, che le sue arti magiche valgono a poco, perchè il suo giudizio può
sbagliare, poiché il cielo procurerà alle forze cristiane rovina e morte e il mago vuole essere parte
dell’impresa per ricavare anche lui la sua parte di gloria. Idraote vuole essere anche lui parte di
questa crociata delle forze del male, ma nello stesso tempo teme il valore dell’esercito franco,
cristiano e proprio per questo cerca uno stratagemma per indebolire le forze cristiane ed evitare uno
scontro troppo sanguinoso.
Anche Armida è espressione di una virtù donnesca perchè votata alla causa di satana, non a caso
quando lo zio Idraote la spedisce al campo cristiano per sedurre i crociati, le riconosce un eroismo
di tipo maschile: espressione petrarchesca, serve a evidenziare questa prerogativa maschile nel
carattere di Armida e la funzione virile che è chiamata ad assolvere.
Sofronia che è pudica, dissimula la vergogna; Armida simula la vergogna per sedurre.
Armadi usa anche il linguaggio vero e proprio perchè racconta la tristissima storia di violenze subite
e chiede il soccorso di 10 cavalieri per poter riprendere possesso del proprio regno. Come Sofronia
si propone, vincendo la propria vergogna, di salvare i cristiani; Armida si finge pudica per sedurre i
cristiani con un’arte di coprire il vero con la menzogna.
Liberata IV, 27, 28: anche l’espressione in trecce e in gonna è petrarchesca; il linguaggio è sempre
allusivo. L’apparizione di Armida al campo cristiano viene descritta in termini che molti hanno
accostato a quelli usati da Boiardo per descrivere l’apparizione di Angelica nella reggia di Riccardo.
Tasso registra a partire da questo momento la reazione degli astanti alla visione di simile bellezza.
La bellezza di Alcina nell’Orlando Furioso è una bellezza simulata, mentre quella di Armida è
proprio una bella donna.
Al poeta interessa la fascinazione esercitata sotto il suo desiderio e l’invito a fantasticare sulle
bellezze nascoste.
Armida è sfornata e non pudica e falsa, ma deve coprirsi di vergogna e di falsa verità.
Tasso ama anche l’ambiguo tra maschile e femminile, il gioco di Armida si basa sul velo, che è
proprio l’immagine efficace dell’inganno.
Le cupide turbe, richiamano i cupidi desiri di Olindo nei riguardi di Sofronia; passa e vede che gli
altri la guardano con desiderio; al contrario Sofronia.
Subentra la dinamica dell’immaginazione che animata dal desiderio penetra nel più chiuso manto
per contemplare il vero di tante meraviglie. Il primo che risponde alla seduzione di Armida è
Eustazio.
Liberata IV, 29,30: Argo qui è proprio la città. Chioma d’oro e velo bianco, gioco di vedere non
vedere. Similitudine rincara sul vedere-non vedere. Gli elementi sono ridotti, lo sguardo che finge
pudicizia e la bocca e il colorito del volto. Al seno è dedicata un’intera ottava: solito gioco di vedere
e non vedere, si scopre solo in parte, ma il pensiero può penetrare nelle parti interne.
Tutta la descrizione di come avviene il processo seduttivo che avviene tramite il pensiero. Armadi
se ne rende conto e ne gode ma non lo da a vedere. Eustazio, è il tipo che si presta a soccorrerla per
condurla al capitano; è giovane e viene subito adescato come la farfalla alla luce, Tasso ama
adoperare questi linguaggi di tipo religioso per le bellezze umane ma anche ingannevoli e
demoniache—> beltà divina. Il modo in cui Eustazio si rivolge a Armida spinto: tu non sembri
donna ma una divinità. Accostamento Armida-vergine. Violazione tra sacro e profano.
Il discorso di Armida mette alla prova i diversi crociati; la reazione di Goffredo è diversa dagli altri
personaggi; Armida conclude il suo discorso pietoso. Il dubbio di Goffredo, personaggio spesso
monolitico ma ha anche lui dei dubbi, ha paura degli inganni dei pagani ma in lui c’è anche la pietà.
Il volvere ritorna a spiegare la tortuosità del pensiero. Goffredo dice che se non loro non fossero
votati alla causa del servigio di dio, sicuramente Armida potrebbe ottenere il loro soccorso; ma in
realtà la mia sarebbe una falsa pietà, perchè quella vera è dovuta a dio, se stravolgessi l’ordine delle
necessità non sarei realmente pio. Interviene un altro elemento fondamentale nella seduttività di
Armida che è quello delle lacrime: descrive il pianto di belladonna.
Il giovane Eustazio: dettaglio importante, meno riflessivo e più reattivo. Contrapposizione di
genere: il ricorso di Goffredo è mosso da un principio etico, cioè nella gerarchia dei nostri impegni
il primo è quello di servire dio e la vera pietà è quella messa a servizio di dio. Per Eustazio questi
valori sono stravolti, dice che non siamo principi che devono pensare ai propri soggetti e quindi non
possono venire meno al loro dovere, ma noi siamo avventurieri, guerrieri di ventura e qui interviene
l’aspetto individualistico del cavaliere errante, che agisce per se stesso prima di tutto; noi non siamo
costretti dalle stesse leggi, non togliamo niente al servizio di dio se ci impegnano a soccorrere
un’innocente vergine ed è nostro dovere dare alle donzelle aiuto.
Ecco che interviene quel linguaggio cavalleresco e cortese che rappresenta il mondo ariostesco, che
Tasso considera sempre in subordine rispetto a quello epico; è il linguaggio del romanzo, dove il
pregio è cortesia, valori cortesi del mondo cavalleresco. Il termine cavaliere non è usato da Tasso
per i crociati, quelli sono i compagni, quindi il cavaliere è un termine da solo che rinvia all’universo
cavalleresco. La considerazione finale: Tasso dichiara il proprio stupore di fronte al pianto che può
avere una bella donna e il suo discorso pietoso. Verrano poi fuori i nomi di Circe, Medea e della
sirena e le reti con cui Armida vuole catturare i guerrieri cristiani.
Per usare le proprie reti, Armida è astuta e non si comporta uguale con tutti, ma ad ognuno fa
credere che sta pensando a lui. Con alcuni bisogna fingersi più modesta, con altri osare di più.
L’amore usa l’amaro e il dolce ma uccide sia con l’amaro che con il dolce e qui Tasso si inchina alla
potenza di amore, sempre però registrandone gli effetti negativi.
Il messaggio deve essere sempre chiaro e così viene sintetizzata la situazione: la donna è donna
ingannatrice e si diverte a tenere i suoi spasimanti in forse. La conclusione del canto è una
dichiarazione della potenza di amore: come ci si può stupire se perfino Achille, Ercole e Teseo
furono prigionieri d’amore, se anche i crociati sono caduti vittime della rete amorosa?.
Canto V: diviso in 3 parti
- 1-59, dedicata all’Errore di Rinaldo
- Armida che si allontana dal campo cristiano con 10 cavalieri che Goffredo le concede
- Peggioramento della situazione per la notizia del furto delle vettovaglie
La lite tra Gernando e Rinaldo segna proprio la fase funesta per il campo cristiano. Questa parte ha
subito parecchi rimaneggiamenti perchè Tasso non era soddisfatto del trapasso dalle arti di Armida
alla lite tra Gernando e Rinaldo e considerava questo trapasso più da romanzo che da poema eroico;
infatti nelle prime forme questo passaggio era repentino. I trapassi nel romanzo cavalleresco sono
del tutto arbitrari, cioè è il narratore che ad un certo punto decide di passare da una storia all’altra e
molto spesso sono violenti perchè la storia che si sta narrando viene interrotta; in questo caso il tipo
di trapasso non soddisfaceva Tasso, proprio perchè era Goffredo che prendeva la decisione di
aiutare Armida per risolvere più rapidamente.
Eustazio diventa importante e sarà lui la causa del conflitto da Gernando e Rinaldo. Richiamo delle
parole dell’ottava iniziale, così la virtù della lungimiranza, delle decisioni non precipitose; noi che
siamo più giovani e non capitani, dobbiamo agire piuttosto con il vigore del cuore e della mano.
Questo cuore e mano richiama quello che era stato attribuito all’inizio a Goffredo; qui però sono il
coraggio e l’audacia.
Il tardare, in un capitano, è previdenza e provvidenza; mentre in noi è semplicemente viltà. Loro
sceglieranno i 10, ma quello di Eustazio è un altro modo di ricoprire la menzogna con il manto del
vero: in realtà cerca di fingere un gesto d’onore quello che in realtà è semplicemente dovuto alla
passione amorosa.
Comincia il tentativo di Eustazio di levarsi di torno Rinaldo; Rinaldo è virtuoso, bello e più audace
di lui.
Goffredo resta l’unico difensore della causa epica, ma è costretto a cedere, cioè diventa un primus
interpares e non il capitano supremo, e lo divento nel momento in si rimette alla decisione della
collettività. In questo caso avendo accettato le decisioni degli altri, avendo espresso il proprio
dissenso, Goffredo cede la propria autorità.
Il successivo scontro sarà proprio il prodotto consistente del demonio: Rinaldo e Gernando, che
sono i due cuori giovani peccano in alterigia; il Rinaldo di questo canto è molto cavalleresco per
carattere oltre che per nome.
Gernando è un uomo superbo e lo rende vizioso.
Il duello che si creerà tra i due sarà poi determinate per le sorti del poema, perchè Rinaldo non
volendo sottostare al giudizio di Goffredo si allontanerà dal campo. Rinaldo sarà quello da cui
discenderà la stirpe degli Este.
Eustazio, geloso di Rinaldo, per levarselo di torno come concorrente propone che sia Rinaldo il
sostituto dell’eroico Dudone, che sia concesso di scortare Armida. Eustazio mente, propone
semplicemente questo a Rinaldo perchè vuole lui essere il campione e quindi nell’atto stesso in cui
mente arrossisce e Rinaldo stesso se ne accorge. A Rinaldo non interessa di essere il campione di
Armida.
Subentra Gernando che si oppone a queste scelte; Tasso passa alla descrizione psicologica e della
sua stirpe: l’ottava 16 contrappone equamente il carattere di Gernando a quello di Rinaldo.
Gernando si è fatto altero dai gran possedimenti dei suoi avi e dalla sua stirpe illustre; mentre
Rinaldo è altero dei suoi proprio pregi, non ha bisogno di invocare la stirpe illustre, ma il proprio
valore personale, tipico di un eroe cavalleresco.
Gernando non ha la mente lucida, anzi è spinto dallo spirito d’averno, macchinazioni dopo il
concilio infernale.
Questa voce gli dice che Rinaldo non ha il diritto di giostrare, paragonarsi, competere con lui;
soprattutto perché è un signor di degno stato. Questi pensieri che gli si affollano nella mente; inizia
la diffamazione da parte di Gernardo nei confronti di Rinaldo presso gli altri; e dice che il suo non è
eroismo e coraggio ma temerità pazza e furore, perchè smosso da un’ira cieca smossa da averno. Di
fronte alle diffamazioni Rinaldo reagisce, accecato dall’ira, arriva a colpirlo. Goffredo assiste allo
spettacolo, silenzioso e preoccupato. Interverrà Tancredi a sostenere la causa di Rinaldo, in una
lunga serie di ottave in cui sostiene che la punizione non deve essere uguale per tutti; nel caso di
Rinaldo, tenuto conto della sua posizione ed importanza, dovrebbe essere più clemente, ma
Goffredo non accetta questo tipo di argomentazione e a questo punto Rinaldo si ribella e decide di
dapprima cerca di fomentare una rivolta civile; e poi decide di allontanarsi dal campo cristiano.
Il discorso di Tancredi fa appello ad un concetto errato di onore da parte di Rinaldo.
Comincia l’avventura cavalleresca di Rinaldo.
Questa apertura a qualunque tipo di impresa, fino ad arrivare alle fonti del Nilo, fino ad allora
conosciute è tipica del romanzo cavalleresco; in genere l’eroe cavalleresco è mosso da due moventi:
la ricerca di un oggetto o di una precisa persona, ma anche l’avventura, che è quella di muoversi
senza sapere bene dove. Questo è il momento di massima apertura cavalleresca di Rinaldo. Parte e
continua ad essere difeso da Tancredi.
Richiama Achille e la sua tenzone con Agamennone. Ricompare Armida. Lei mette di nuovo alla
prova i diversi cavalieri; cerca con tutte le sue arti di adescamento. Goffredo non può essere errante,
torcer dall’orme deriva dal Furioso. Sintagma tipico per designare l’erranza. Goffredo non è
sensibile al fascino di Armida e nemmeno Tancredi. Il disastro procurato da Armida supera le
previsioni, altri cercano di seguirla ugualmente. L’indagine psicologica di Tasso che conosce le
debolezze dell’animo umano. Quello di Armida è un vero e proprio trionfo: trionfo d’amore,
Petrarca è molto presente nel sottofondo di questo canto. La notte che conduce i sogni ingannatori,
erranti che si connette a tutto. Goffredo ritorna alla fine del canto, simbolo dell’autorità regale,
conferito da dio il suo potere, ma risulta minato e abbacchiato dall’ultima catastrofe, un messaggero
lo avvisa che ci sono problemi di avvettovagliamento, rubato da predoni.
Canto di crisi.
Liberata V, 91, 1-4 e XX, 144, 5-8
Goffredo tiene presente il modello di Enea nel I libro dell’Eneide per il suo discorso ai compagni.
Esito della vicenda che chiude la storia.
Tasso si avvale di questi momenti, di questi calchi dall’Eneide, l’allusione si trasforma in una vera e
propria traduzione per tracciare un’affinità contestuale, parallelo tra Goffredo e Enea.

Annotazioni di tipo temporale: traduzione da Ovidio nei versi 79 e 80. La notte è indicazione dello
stato d’animo, dei sogni erranti, che superano e hanno sempre un connotato di tipo morale.
Questi notturni tassiani devono molto a Bernando. Nel II canto troviamo il primo notturno tassiano,
ampiezza e memoria virgiliana che evoca.
Riproduzione del notturno virgiliano.
Perifrasi ad indicare la notte e il notturno da contrapporre all’insonnia di Goffredo. Riferimento
principale all’Eneide. Alta tensione patetica nell’Eneide.
In questo caso ci troviamo in presenza di una stratificazione intertestuale, all’archetipo dell’eneide
si assomma il ricordo del passo ariostesco e di quello di Dante e di Petrarca. Molto spesso i poeti
volgari riprendono gli archetipi latini usando parole che già hanno tradotto gli archetipi latini, cioè
già riconfrontandosi con chi ha già tradotto quel topos.
Il passaggio dal II al III canto si trapassa dalla notte all’alba.

Canto VI ripresa della situazione di Erminia che guarda dall’alto della torre. Erminia è un
personaggio solitario e coperto, si isola spesso nella torre di Gerusalemme. L’amore per la
solitudine è un altro dato che Tasso ha messo in evidenza per Sofronia. Al contrario Clorinda
rifugge i luoghi chiusi.
Amore per Tancredi vs desiderio di fama. Tasso riprende la situazione descritta nella canzone 264 di
Petrarca.
A differenza della sua natura femminile, Erminia è avvezza a vedere le stragi come curatrice. Il
termine peregrina come la prima presentazione di Clorinda: è qualcuno che viene di lontano, e
lontani anche dalla propria vera natura, nel senso che tutti questi personaggi hanno una doppia
natura, Erminia cederà all’impulso d’amore.
Mentre pensa sola con se stessa i due pensieri contrastanti, sono in loro in continua tensione.
Il pensiero dell’onore che gli dice che rischia di farsi errante, perché stima poco il titolo di essere
vergine. Dall’altra parte amore prosegue; più efficace di quella della fama. Riprende la canzone 264
del Canzoniere di Petrarca.
Amore e onore riescono a trovare un compromesso.
Episodio molto contrastato: ricostruisce i rapporti tra Erminia e Clorinda. Tasso ama un pò
l’ambiguità dei rapporti, quello tra Erminia e Clorinda è quasi un rapporto amoroso. Caratteristica
di Clorinda è di rifuggire i luoghi chiusi, ma non ha il problema di salvaguardare il proprio onore.
Liberata VI, 79 e 87, 5-8: lamenti di Eriminia per l’amore non ricambiato di Tancredi. Amore come
nobilissimo sentimento che si addice anche al poema epico. La situazione di Erminia e Clorinda
nello stesso letto richiama la stessa situazione dell’Orlando Furioso, dell’ambiguo amore creatosi
tra Fiordispina e Bradamante. Ariosto risolverà questa situazione sostituendo Bradamante dal
fratello gemello Ricciardetto, che sarà abilissimo a interpretare la parte di compagno di Fiordispina.
Liberata VI, 92: Tasso descrive il travestimento di Erminia in Clorinda. Per Eriminia la corazza è
una violenza. La prima parte dell’ottava crea contrasto tra la delicatezza delle membra femminili e
la durezza dell’armatura. Poi cambiamento di punto di vista. Citazione da Petrarca, dai Trionfi,
parla della moglie di Mitridate, la quale si tagliò i capelli corti e indossò abiti maschili per stare
vicino al marito. La situazione è la stessa che vede coinvolta Erminia, questa citazione serve a dare
autorevolezza di ciò che lui sta raccontando. La citazione ha anche funzione di rendere verosimile
in quanto è già stato raccontato.
Liberata VI, 102 la situazione si fa romanzesca: descrizione dell’impazienza con cui Erminia
attende di poter entrare nel campo nemico. Questa situazione richiama l’attesa impaziente di
Ruggero invaghito di Alcide nel Furioso. Non è per rendere autorevole il contesto.
Ariosto è sempre presente alla mente tassiana, Cabani la chiama come l’ariostismo mediato della
Liberata, cioè un’alludere e coprire insieme quello che fa nei riguardi dell’Ariosto, ad es, citandolo
in forma ariostesca, alludere ai classici per Ariosto.
Liberata VI, 109: descrizione della fuga di Erminia, viene accostata al Furioso, contestualmente,
Erminia che fugge è la cerva assetata dai cani e Angelica che fugge è la capriola dal parto che ha
ferito la madre. La fuga di Erminia richiama palesemente quella di Angelica nel primo canto.
La situazione della sortita notturna rimanda ad uhm altro episodio ariostesco di Cloridano e Medoro
nel canto 18esimo che è un remake di virgiliano. I ricordi virgiliani del 9 libro dell’Eneide sono
numerosi.
Liberata VII,1: romanzesco il rapporto tra fine e inizio canto: situazione sospesa con la fuga di
Erminia. Rimanda all’orlando furioso, sempre fuga di Angelica che non riesce nemmeno a guidare
il cavallo e all’episodio virgiliano.
Liberata VI, 106: Erminia viene avvistata perché il bagliore della luna riflette sull’elmo e la rende
visibile.
Liberata VII, XX: Erminia, nel canto VII si allontana dal mondo epico e entra in quello pastorale.
Erminia personaggio petrarchesco che si esplica in un dialogo tra amore e fama, con riprese
intertestuali di due canzoni 264 (di pentimento) e la 360 (impostata su una specie di dialogo). Onore
e onestà sono temi che accompagnano ossessivamente il personaggio.
Situazione della donna che torna e rivolge gli occhi a dove è sepolto è tipicamente petrarchesca. In
questa fuga e svegliarsi in un luogo diverso ripete molto quello che accade ad Angelica, che trova
Medoro ferito e si impiaga a sua volta, e poi finisce nella casa di un pastore e consuma il suo amore
con Medoro. Analogie si colgono nella descrizione della fanciulla.
Liberata IV canto della rivolta e bipartito: da una parte abbiamo la morte del giovane Sveno e
dall’altra la rivolta di Argillano. Il tutto è raccontato da un supestite dell’imboscata notturna.
Liberata VIII: abbiamo in primo piano due corpi morti e offesi nella loro interezza: il primo è quello
di Sveno, bel corpo morto.
Carlo è indirizzato a trovare il corpo di Sveno, un raggio guida e illumina la ricerca di questo corpo.
Carlo nomina Rinaldo, che dovrà indicargli il morto. Carlo sta covando la sommossa, Goffredo
risponde che rinaldo è vagabondo. Ritrovamento di un corpo che pensano che sia quello di Rinaldo,
il corpo è ferito, busto grande ma manca il capo (separazione simbolica). Profonda coerenza del
racconto: presentazione di rinaldo con la barba, mentre tutti hanno la certezza che il corpo di rinaldo
sia quello ritrovato, goffredo resta grave e pensoso. Presenza di un ricordo ariostesco, riutilizzo
decontestualizzato in maniera drastica: ricorda il sonno inquieto di Orlando, in cui gli apparirà
angelica che gli chiederà aiuto. Sonno - ponno. Sonno demoniaco, sobbilla argillano per farsi
promotore di una rivolta per interrompere la missione dei crociati.
Topos dell’insonnia del personaggio e del sonno agitato. Siamo in un sogno di carattere lirico-
amorosa: orlando partirà per una ricerca di angelica che lo porterà alla follia, quello di argillano è
un sogno, indotto dalle furie, che lo porterà a fomentare una rivolta. Uso strumentale delle parole
create da un altro che la si stravolge completamente.
Liberata XII: episodio melodrammatico, vicenda bellico-amorosa. Esordio epico: sortita notturna,
condotta da due giovani eroi. Traduce l’attacco del discorso di Niso ad Eurialo.
La prima volta che una donna accompagna nella sortita notturna. Tasso promuove Clorinda a
promotrice della sortita. Tasso scinde il tema amoroso da quello bellico. Clorinda appartiene alla
folta schiera delle donne guerriere. Le donne guerriere del poema sono donne ambigue,
generalmente se coprono una forma vera con l’ armatura. Nell’episodio clorinda-argante e tancredi-
clorinda. Fin dall’inizio Clorinda lamenta il suo essere donna e non poter ricoprire luoghi maschili.
Il canto ha il racconto di Arsete, che serve a dare notizie al lettore. E’ colui che si è preso cura di
clorinda e il racconto viene fatto quando la guerriera esce fuori da gerusalemme e vengono fuori le
contraddizioni di questo personaggio.
Spedizione notturna: vengono lodati dal re e la coppia si accinge all’impresa. Flashback nel quale
veniamo a conoscenza di antefatti a noi ancora ignoti. Clorinda depone l’armatura e veste delle armi
rugginose e nere, che la vedranno combattere nella notte. Introduce poi il personaggio di Arsete,
memorie ripetute di Petrarca, viene equiparato al vecchio che va a vedere la Veronica. Arsete ha
tenuto nascosto a clorinda che la madre gli aveva ordinato di battezzarla. Arsete decide di
raccontare a clorinda la propria storia.
La madre pregava di fronte a questa immagine di san Giorgio in atto di salvare una vergine bianca,
serve a motivare la nascita bianca di clorinda. Si accorge però che questo mostro non ha
propriamente il termine che diamo noi, cioè qui è qualcosa fuori dal comune. Clorinda è una
cristiana mancata, ma non lo ha saputo mai. Ossimoro figura fondamentale, figura che unisce in se i
contrari, in questo canto viene messo spesso. Clorinda è un ossimoro: bianca ma figlia di madre
nera, guerriera ma in se anche donna, cristiana ma crede di essere pagana e la conquista della verità
coincide con lo scioglimento dell’ossimoro, al momento della morte clorinda si rivelerà bianca,
cristiana e donna. Le armi rugginose e nere che indossa sono simboliche.
Il doppio linguaggio caratteristico di tutta la poesia tassiana ma fondamentale per questo canto: da
un lato quella di clorinda e Tancredi è una tragedia e lo è anche il narratore sul modello virgiliano.
Fato avverso domina tutto il canto. L’elmo è una metonimia di clorinda simbolo della sua chiusura
al mondo e della sua durezza. Una clorinda che oscilla tra un’amazzone e Laura petrarchesca. Tasso
costruisce tutto il duello tra Tancredi e clorinda come una simulazione di un rapporto sessuale fatto
di progressivi abbracciamenti, di nodi e di quei termini che vengono impiegati nel linguaggio lirico
pur appartenendo al linguaggio bellico.

17,08 13-3

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