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STORIA DEL TEATRO

LEZIONE 6 18/10/2023

POETICA DI ARISTOTELE:

320 a.C. un secolo dopo la grande stagione.

La corrente di studi è detta Annale, studiosi francesi che scrivono su questa rivista che s’intitola
“Anal” grazie a questa corrente il metodo di studio di storia cambia radicalmente. Per fare storia
bisogna studiare i modi di vivere della vita dell’uomo. L’invenzione dell’aratro è un'invenzione storica
molto più importante delle battaglie di Napoleone perché ci permette di fare un progresso. Il
documento non è solo un elemento che ci documenta su un evento del passato o sulle dinamiche
della vita materiale, ma si tratta di un monumento, cioè un'opera. Bisogna fare quindi una critica del
monumento... cioè porsi delle questioni fondamentali: a chi è rivolto questo documento? con che
finalità è scritto questo documento? Aristotele per chi scrive?

La poetica è finalizzata a fornire uno strumento di studio e dibattito per le scuole e per i suoi allievi.
La dialettica è con Platone. Platone non considerava la tragedia come una forma di conoscenza, era
critico rispetto alla funzione conoscitiva dell’immagine anzi pensava che la tragedia facesse parte
della Doxa.

Aristotele considera la tragedia come uno strumento di conoscenza che ha valore quanto il pensiero
razionale, in un contesto di scuola in cui c’è una matrice Platonica, un testo come la poetica che
afferma un'idea esattamente contraria a quella Platonica non può essere un testo attuale nel
dibattito filosofico dell’epoca. Solo Aristotele può mettere in discussione il pensiero di Platone.

La poetica di fondo è poco documento, ci dice poco rispetto a quello che vorremmo sapere, i suoi
obiettivi sono interni al dibattito filosofico. I suoi obiettivi sono di affermazione della poetica tragica
e di autonomia della poetica e della scrittura pratica (?).

Nel 1 libro della poetica si parla dell’epoca e della tragedia, Aristotele stesso dentro la poetica fa un
accenno ad un 2 libro in cui parlerà della commedia, questo libro a noi non è giunto,

“Il nome della rosa” di Umberto Eco è il secondo libro della poetica di Aristotele.

“Due cause appaiono in generale aver dato vita all'arte poetica, entrambe naturali: da una parte il
fatto che l’imitare è connaturato agli uomini fin dalla puerizia (e in s ciò l'uomo si differenzia dagli
altri animali, nell'essere il più portato ad imitare e nel procurarsi per mezzo dell'imitazione le nozioni
fondamentali), dall'altra il fatto che tutti traggono piacere dalle imitazioni.”

La poetica è un fatto fondamentale, perché è fondata sull'imitazione, ed è connaturata agli uomini,


sin da bambino, l’uomo prende per imitazione tutto. La cosa più importante che il bambino
apprende per imitazione è il parlato della madre. Quindi l’apprendimento avviene per imitazione,
l’imitazione è uno strumento di conoscenza. Ne è segno quel che avviene nei fatti: le immagini
particolarmente esatte di quello che in sé ci dà fastidio vedere, come per esempio le figure degli
animali più spregevoli e dei cadaveri, ci procurano piacere allo sguardo. Il motivo di ciò è che
l'imparare è molto piacevole non solo ai filosofi ma anche ugualmente a tutti gli altri (..) soltanto che
questi ne partecipano per breve tempo. Perciò vedendo le immagini si prova piacere, perché accade
che guardando si agi-pari e si consideri che cosa sia ogni cosa, come per esempio che questo è
quello. Qualora poi capiti di non averi. già visto prima, non procurerà piacere in quanto imitazione,
ma per la sua fattura, il colore o un'altra ragione simile.
Dall’altro lato tiene una componente che tiene a che fare con il piacere. Quando c’è piacere ce lo
dimostra il fatto che le immagini di ciò che in sé non ci farebbe piacere vedere, per esempio i
cadaveri. Quando vediamo le immagini, le imitazioni di questi proviamo una sorta di piacere obliquo,
che è un particolare tipo di piacere che ci porta a soffermarsi anche sulle situazioni più tragiche. Ci
soffermiamo sui dettagli, ci fa piacere anche vedere com’è stata prodotta quella imitazione. Siamo al
sicuro perché la nostra osservazione è ridotta all’osservazione.

L'imitazione è un sapere connaturato dell’uomo: imparare una lingua significa anche applicare
competenze di imitazione di livello musicale. Tutti sanno imitare, gli imitatori danno vita a delle arti.
“Poiesis” in greco significa “atto di plasmare la materia”.

Quando parliamo di Arte e Arti, parliamo di un fatto manuale. Qualsiasi arte si fonda sull’ imitazione.
Ci sono delle arti che si fondano attraverso la produzione di immagini, queste arti sono più alte di
altre perché per Aristotele hanno una funzione conoscitiva, per Aristotele sì, ma per Platone no.

Poiché dunque noi siamo naturalmente in possesso della capacità di imitare, della musica e del ritmo
(i versi, è chiaro, fanno parte del ritmo), dapprincipio coloro che per natura erano più portati a
questo genere di cose, con un processo graduale dalle improvvisazioni dettero vita alla poesia. La
poesia poi si distinse secondo la proprietà dei caratteri: i più severi imitarono le azioni apprezzabili e
di gente apprezzabile, quelli di gusti più facili quelle della gente dappoco, dapprincipio componendo
motteggi come gli altri inni ed encomi.? Di nessuno di quelli che precedettero Omero possiamo
menzionare alcun componimento poetico del genere, ma è probabile che ce ne fossero molti;' ci è
invece possibile incominciando da Omero, come per esempio il suo Margit ecc. In essi, secondo
convenienza, intervenne anche il verso giambico, anche perciò si chiama oggi giambo, perché in
questo verso ci si scherniva reciprocamente.

E i poeti antichi gli uni divennero autori di poesie eroiche, eli altri di giambi. Come, dunque, Omero
fu il massimo poeta ne cerio (fu unico non solo per la bravura, ma anche perché 3s produsse
imitazioni di tipo drammatico), così per prima pece intravvedere anche la forma della commedia,
drammatizzando non il motteggio, ma ciò che è ridicolo. Come l'Iliade e! 'Odissea sono il
corrispondente della tragedia, così il Margit lo è della commedia. Apparse dunque la tragedia e la
commedia, di coloro che parse dunque la tragedia e la commedia, di coloro che per la propria natura
erano portati all'una o agli altri atti.

Vita poetica, gli uni, anziché di giambi divennero compositori di commedie, gli altri, anziché di canti
epici, trages di, perché queste forme erano più potenti e più stimate di quelle. Indagare se la
tragedia in rapporto ai suoi elementi sia già compiuta o no, e giudicare questo sia in sé sia in
rapporto al pubblico, è un altro discorso." Sorta, dunque, da un principio di improvvisazione - sia
essa sia la commedia, l'una da coloro che guidavano il ditirambo, l'altra da coloro che guidavano i
cortei fallici che ancora oggi rimangono in uso in molte città - a poco a poco crebbe perché i poeti
sviluppavano quanto in essa veniva manifestandosi, ed essendo passata per molti mutamenti la
tragedia smise di mutare quando ebbe conseguito la propria natura."

Già trattava delle origini della tragedia e della commedia, parlava di Omero che I aveva fatto nei suoi
testi. La tragedia nasce quando viene introdotto un elemento dialogico, in particolare quando uno
dei coreuti si stacca e comunica con il coro. Aristotele sta trattando le origini della tragedia, la
tragedia sorge da un principio di improvvisazione, la tragedia smise di mutare quando raggiunse la
sua natura. Eschilo fu il primo a portare il numero degli attori da uno a due, a ridurre la parte del
coro e a conferire un ruolo rilevante alla parola; di Sofocle sono i tre attori e la pittura degli scenari.
Per quanto poi riguarda la grandezza: da racconti piccoli e un linguaggio scherzoso, poiché il suo
processo di trasformazione muoveva dal satiresco assunse tardi toni solenni, e il verso di tetrametro
si fece giambo. All'inizio si adoperava il tetrametro perché la poesia era satiresca e piuttosto
ballabile, ma, affermatosi il parlato, fu la stessa natura a trovare il verso appropriato; il giambico è in
effetti il verso più colloquiale e un segno di ciò è che nella nostra conversazione ci capita di dire
spesso giambi, mentre è raro che si dicano esametri, e solo quando ci si allontana dal tono
discorsivo. Per quanto riguarda poi il numero degli episodi e il resto, come si dice che ciascun
elemento abbia trovato la propria sistemazione, fermiamoci a quel che si è detto. Considerare ogni
particolare sarebbe probabilmente lavoro eccessivo.

La commedia è, come si è detto, imitazione di persone che valgono meno, non però per un vizio
qualsiasi, ma del brutto è parte il ridicolo. Il ridicolo è infatti un errore e una bruttezza indolore e che
non reca danno, proprio come la maschera comica è qualcosa di brutto e di stravolto senza
sofferenza.' Mentre dunque le trasformazioni della tragedia e le circostanze che le hanno permesse
non ci sono ignote, la commedia ci sfugge, perché non ha avuto dal principio un adeguato
riconoscimento. L'arconte concesse soltanto tardi 496 il coro dei comici, essi erano dunque
volontari.? Quelli poi che sono chiamati suoi poeti sono ricordati quando essa dispone già di forme
definite; resta perciò ignoto chi definì maschere, prologhi, numero degli attori ecc. Quanto alla
composizione dei racconti,' essa venne in principio dalla Sicilia; tra quelli in Atene Cratete fu il primo
che, lasciando perdere la forma del giambo, cominciò a comporre racconti e storie di valore
generale.

L'epica, dunque, si conforma alla tragedia fino ad essere imitazione con parole in versi di caratteri
seri; in ciò invece differisce: nell'usare un verso solo e nell'essere una narrazione. E ancora per la
durata:' l'una cerca quanto più può di essere compresa in una sola giornata o di eccederne poco,
l'epica è invece indefinita per il tempo, e in questo si distingue; dapprincipio, tuttavia, sotto questo
aspetto nelle tragedie si faceva lo stesso che nei canti epici. Quanto alle parti poi, alcune sono uguali,
altre proprie della tragedia. Perciò chi sa distinguere la tragedia che vale da quella che non vale, sa
distinguere anche i canti epici, perché ciò che è proprio dell'epica appartiene alla tragedia, mentre
non tutto ciò che è proprio di questa è compreso nell'epica. La tragedia cerca di essere compressa in
una sola giornata, il tempo rappresentato nella tragedia i tragediografi cercano di ridurlo ad una sola
giornata.

DEFINIDIZONE DI TRAGEDIA (ARISTOTELE)

Dell'arte imitativa in esametri e della commedia parleremo in seguito, parliamo ora della tragedia,
ricavando da ciò che si è detto quella che risulta la sua definizione d'essenza.' Tragedia è dunque
imitazione di un'azione seria e compiuta, avente una propria grandezza, con parola ornata,
distintamente per ciascun elemento nelle sue parti, di persone che agiscono e non tramite una
narrazione, la quale per mezzo di pietà e paura porta a compimento la depurazione di siffatte
emozioni. Tragedia è imitazione di un'azione seria e compiuta di persone che agiscono e non tramite
la narrazione, la quale per mezzo di due passioni particolari, pietà o paura, porta a compimento
l’azione o purificazione (catarsi) di queste/delle passioni, pietà (elios) paura (phobos) questo è il fine
della tragedia. Quelle passioni stanno dentro di me ma devono essere espulse e io ne vengo
purificato.

(Imparare a memoria)

“Di persone che agiscono”: le persone che agiscono sono oggetto dell’imitazione. Imitazione di
azioni fatte da persone che agiscono (cioè gli attori = colui che agisce)
GLI ELEMENTI DELLA POETICA

Intendo per parola ornata quella fornita di ritmo e di musica; distintamente per gli elementi il
comporre alcuni solo con versi, altri invece col canto. Poiché è agendo che si realizza l'imitazione,
anzitutto di necessità una parte della tragedia sarà l'ordine di ciò che si vede, un'altra la
composizione dei canti, e quindi il linguaggio. È con questi mezzi che si realizza l'imitazione. Intendo
per linguaggio la stessa composizione dei versi e per composizione dei canti ciò la cui funzione è
perfettamente chiara. Poiché è imitazione di un'azione, ed è agita da alcuni che agiscono, i quali
necessariamente sono di una certa qualità per il carattere e il pensiero (grazie a questi noi diciamo
che le azioni sono dotate di una certa qualità, 'ed è in seguito ad esse che tutti hanno successo o
falliscono), imitazione dell'azione è il racconto. Per racconto qui intendo la composizione dei fatti,
per caratteri ciò secondo s cui diciamo che chi agisce ha una propria qualità, e per pensiero tutto ciò
con cui, parlando, si dimostra qualcosa o si esprime un giudizio.' È dunque necessario che di tutta
quanta la tragedia ci siano sei parti, grazie a cui la tragedia ha una propria qualità; esse sono
racconto, caratteri, linguaggio, pensiero, vista e musica.

Il con cui si imita sono infatti due parti, il come si imita una, il che cosa si imita tre, e oltre a queste
non ve ne sono altre." Non pochi di loro in generale hanno adoperato questi elementi, la vista infatti
domina su ogni cosa: sul personaggio, sul racconto, sul linguaggio, sul canto e sul pensiero allo stesso
modo; tuttavia, il più importante di questi elementi è la composizione dei fatti." La tragedia è infatti
imitazione non di uomini ma di azioni e di modo di vita;" non si agisce dunque per imitare i caratteri,
ma si assumono i caratteri a motivo delle azioni; pertanto, i fatti, cioè il racconto, sono il fine della
tragedia, e il fine è la cosa più importante di tutte.

PAROLA ORNATA: fornita di ritmo e musica, componente musicale della parola (1 elemento)

VISTA: è la componente visiva. (2 elemento)

Coloro che agiscono compiono l’imitazione allora l’ordinamento della componente visiva
LINGUAGGIO: (3 elemento)

RACCONTO: ( 4 elemento)

CARATTERI: (5 elemento) chi agisce ha una propria qualità, nel teatro greco non si parla di
personaggi ma di caratteri. L’idea di personaggio che non si sviluppa fino all’800 è un portato della
regia novecentesca.

L’imitazione dell’azione è il racconto, per racconto intendiamo la composizione dei fatti, o meglio
Aristotele lo definisce composizione delle azioni.

PENSIERO: ( 6 elemento) tutto ciò con cui parlando si esprime un giudizio.

ORDINE DEGLI ELEMENTI:

1 Racconto 2 Caratteri 3 Linguaggio 4 Pensiero 5 Vista 6 Musica

Inoltre, senza azione non può esserci tragedia, senza caratteri può esserci; le tragedie della maggior
parte dei moderni sono in effetti prive di caratteri, e in generale sono molti i poeti di questo genere,
come anche tra i pittori Zeuli si trova così in rapporto a Polignoto: Polignoto è un buon pittore di
caratteri, mentre la pittura di Zeuli non ne presenta alcuno. Inoltre, se si dispongono di seguito
discorsi morali ben costruiti per linguaggio e pensiero, non si realizzerà quello che è l'effetto della
tragedia, mentre lo realizzerà molto di più la tragedia che ne adoperi di più scadenti ma sia fornita di
racconto, cioè di composizione di fatti. Oltre a ciò, quello con cui la tragedia seduce maggiormente
sono parti del racconto: i rovesciamenti e i riconoscimenti. Inoltre, un segno è che chi comincia a
fare sa mettere a punto linguaggio e caratteri prima che comporre i fatti, come anche quasi tutti i
più antichi poeti. La vista torna su ogni cosa, la vista domina su ogni cosa sul racconto, sul linguaggio
ecc

Il più importante di questi elementi è la composizione dei fatti (pragmaton sintesis) o composizione
delle azioni come dice Aristotele. In tragedia imitazione non di uomini infatti ma di azioni e di modi
di vita. Non si agisce per imitazioni dei caratteri, sono i caratteri a motivo delle azioni. Per tanto i
fatti, quindi il racconto o per Aristotele le azioni, ne sottende anche esplicitando un fatto visivo, un
concatenarsi di azioni prodotto da coloro che agiscono. Il fine è la cosa più importante di tutti, non è
un fatto metaforico. La tragedia è una forma di vita, senza azione non può esserci tragedia, senza
caratteri può esserci. L’effetto della tragedia scaturisce dalla composizione delle azioni. La finalità è
la captassi, la purificazione delle 2 passioni.

Principio dunque e quasi anima della tragedia è il racconto, al secondo posto i caratteri (e all'incirca
è lo stesso nella pittura: se si buttano giù i più bei colori alla rinfusa non si ottiene lo stesso effetto
che se si disegna in bianco e nero un'immagine), ed è imitazione di un'azione e soprattutto a motivo
di questa di quelli che agiscono. Terzo poi è il pensiero, e questo è il saper dire le cose pertinenti e
convenienti, che è il compito dei discorsi della politica e della retorica. Gli antichi rappresentavano
infatti personaggi che parlavano alla maniera dei politici, i moderni alla maniera dei retori.

Carattere è ciò che può rivelare quale sia il proponimento (perciò non hanno carattere quei discorsi
nei quali manca ciò che si propone o vuol evitare colui che parla), pensiero ciò con cui si dimostra
che una cosa è o non è, oppure si esprime un'idea universale. Quarto il linguaggio, e, come prima si è
detto, chiamo linguaggio l'espressione che si realizza con l'uso delle parole, e ha le stesse
potenzialità nel verso e nella prosa. Dei rimanenti la musica è l'ornamento maggiore, la vista è sì di
grande seduzione, ma la più estranea all'arte e la meno propria della poetica; l'efficacia della
tragedia sussiste infatti anche senza rappresentazione e senza attori; inoltre, per la realizzazione
degli elementi visivi è più importante l'arte dell'arredatore scenico che dei poeti.

Il carattere rileva ciò che è l'obiettivo

La musica è l’ornamento maggiore cioè qualcosa di non necessario. La vista è estranea all’arte, non è
parte della poetica. La tragedia può raggiungere il proprio fine cioè la catassi, sussiste anche senza la
rappresentazione e senza attori. La tragedia può raggiungere la sua efficacia anche solo grazie alla
lettura. Il fatto che pensiamo che il testo teatrale sia letteratura deriva da questo.

Definiti questi punti diciamo quale debba essere la composizione dei fatti, dal momento che si tratta
del primo e più importante elemento della tragedia. Abbiamo stabilito che la tragedia è l'imitazione
di un'azione compiuta e intera, dotata di una certa grandezza; è possibile in effetti un intero privo di
grandezza. Intero è poi ciò che ha un principio, un mezzo e una fine. Principio è ciò che esiste senza
venire necessariamente dopo qualcosa d'altro, ma dopo cui qualcosa d'altro necessariamente o per
lo più c'è o si produce. Fine, al contrario, ciò che esiste necessariamente o per lo più dopo qualcosa
d'altro, e dopo cui non c'è null'altro. Mezzo è ciò che viene dopo altro ed è seguito da altro.

Occorre dunque che i racconti ben composti non incomincino a caso né finiscano a caso, ma usino
delle forme dette. Inoltre, ciò che è bello, sia animale sia ogni cosa composta di alcune parti, non
soltanto deve averle ordinate, ma anche essere di grandezza non casuale, ciò che è bello lo è infatti
in grandezza e in disposizione, perciò un bell' animale non può essere estremamente piccolo, perché
la visione si confonde avvicinandosi a tempi impercettibili, né estremamente grande, come se per
esempio fosse un animale di diecimila stadi, perché non si può averne una visione simultanea, ma
chi guarda perde di sia vista l'unità e l'interezza. Pertanto, come per i corpi e gli animali ci deve
essere una grandezza e questa deve essere facilmente abbracciabile con uno sguardo, così anche per
i racconti ci deve essere una durata e questa deve consentire una facile memorizzazione. Non è però
proprio dell'arte il limite della durata dipendente dalle rappresentazioni e dalla ricezione: se si
dovessero rappresentare cento tragedie sarebbero rappresentate con la clessidra.'

Il limite conforme alla natura del fatto è che è sempre più bello per quel che riguarda la grandezza,
ciò che è più grande finché si mantiene perspicuo nel suo insieme, O, per dare una definizione
generale, una grandezza tale che in un seguito continuo di avvenimenti secondo verisimiglianza o
necessità, possa aversi il passaggio alla buona dalla cattiva sorte o dalla buona alla cattiva. questa è
una definizione soddisfacente ella grandezza.

Nel capitolo 7 Aristotele inizia a lavorare sul racconto e ci spiega come dovrebbe essere la
composizione dei fatti, su come possa essere efficace anche solo la lettura. Tutte le questioni devono
essere poste all’interno della drammaturgia, Susseguirsi di azioni, assoluto, nel senso che deve
essere autonomo. Attribuisce all’immagine delle caratteristiche che Platone attribuiva al discorso. Il
passaggio dalla buona alla cattiva sorte. In questo pretesto avviene un'astrazione del racconto delle
componenti visive e in fondo fa un movimento che implica anche la separazione di due movimenti
separati della composizione. Lo spettacolo non è necessario perché il fine si raggiunge attraverso la
composizione della scrittura.

Il racconto è unitario, non come alcuni pensano, quando ha per argomento una sola persona, perché
a uno solo accadono molti, innumerevoli fatti, da alcuni dei quali non scaturisce alcuna unità. Così
anche vi sono molte azioni di una sola persona dalle quali non si produce alcuna azione unitaria.
Perciò hanno evidentemente sbagliato tutti quei poeti che hanno fatto una Eraclide, una Teseide o
altri componimenti di questo genere.

Pensano che, poiché Eracle era uno solo, ne segua che anche il racconto sia unitario. Omero invece,
come si distingue in tutto il resto, anche in questo appare aver visto bene, vuoi per arte vuoi per
natura: facendo l'Odissea non ha rappresentato tutto quel che accadde ad Ulisse, come per esempio
che fu ferito sul Parnaso o che si finse pazzo al tempo dell'adunata, perché non era necessario o
verisimile che accadesse alcuno di questi due fatti; compose invece l'Odissea intorno ad un'azione
unica nel senso che si è detto, e in modo simile costruì anche l'Iliade. Come, dunque, nelle altre
pratiche imitative l'imitazione unitaria è quella di un unico oggetto, così anche è necessario che il
racconto, poiché è imitazione di un'azione, lo sia di un'unica e insieme intera, e che le parti dei fatti
siano così connesse che, trasposta o sottratta una parte, l'intero ne risulti mutato e alterato, perché
quel che, aggiunto o non aggiunto, non produce nulla di evidente, non è parte dell'intero.

Nel 8 capitolo esclude gli elementi visivi e uditivi, se togliendo non cambia nulla parliamo di un
elemento superfluo. La tragedia è strumento di conoscenza di ciò che è l’Universale. Aristotele dice
che la fine della tragedia avviene attraverso la scrittura.

LA CATARSI: Mette in mezzo queste 2 passioni, pietà e paura.

Perché pietà e paura?

Perché se scateni il meccanismo della catarsi è necessario che per tramite della composizione delle
azioni, lo spettatore o il lettore come direbbe Aristotele, si identifichi con l’eroe tragico, il
protagonista. L’eroe tragico, il carattere principale è necessario che abbia determinate
caratteristiche purché sia possibile l’identificazione. Dice Aristotele ciò che conta è l’aspetto etico
perché l’etica ha a che fare con l’azione, l’etica è l’aspetto esteriore della morale. Lo spettatore dal
punto di vista tragico deve essere simile allo spettatore medio deve avere uno status mediano, cioè
non troppo buono né troppo cattivo, perché se troppo cattivo capitano cose brutte, la reazione dello
spettatore non sarà certo di identificazione, se uno invece è troppo buono ingiustamente tribolato
non è il caso dell’identificazione, come identificarsi in Gesù Cristo. Se invece il mio protagonista
assomiglia dal punto di vista etico alla maggioranza degli spettatori, mi posso identificare, posso
provare quindi una delle due passioni. Se gli capita qualcosa di brutto capita che possa provare
paura. Attraverso pietà e paura si arriva alla purificazione delle passioni, o dalle passioni.

La catarsi indica gli elementi di purificazione del corpo, tutto ciò che il corpo espelle, la catarsi è quel
processo biologico secondo cui il corpo espelle tutte le impurità. Rapimento estetico.

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