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TEATRO GRECO

ORIGINI
Secondo la tradizione, il primo uomo di teatro sarebbe stato Tespi, un personaggio
semileggendario che sarebbe giunto ad Atene dall'Icaria, verso il VI secolo a.C., portando sul
suo carro i primi attrezzi di scena, arredi scenografici, costumi e maschere teatrali. Tuttavia,
storicamente, il nucleo attorno al quale si svilupparono la tragedia e la commedia fu il coro.
Quest'ultimo trae la sua origine, da canti corali che venivano eseguiti precedentemente alla
nascita del teatro. Scrive Aristotele nella Poetica che la tragedia nacque dall'improvvisazione,
e precisamente "da coloro che intonano il ditirambo" un canto corale (accompagnato da
danze) in onore di Dioniso.
Gli studiosi hanno formulato una serie di ipotesi riguardo al modo in cui si sia compiuta, nel
VI secolo a.C., l'evoluzione dal ditirambo alla tragedia. In generale si ritiene che
gradualmente il corifeo abbia cominciato a differenziarsi dal resto del coro, distaccandosene
e cominciando a dialogare con esso, diventando così un vero e proprio personaggio. Questo
dialogo tra il coro e il personaggio sarebbe dunque alla base della nascita del teatro.
ETIMOLOGIA DEL TERMINE
Dal greco tragodia canto (ode) del capro (tragos). Le interpretazioni che vengono date sono
tre:
 Canto del capro
 Canto per il capro
 Canto dei coreuti vestiti da capro
In realtà nessuna delle tre è valida. Questo perché il coro non è mai formato da simboli
dionisiaci, nonostante le tragedie venivano rappresentate durante le dionisie.
Canto del capro perché quest’ultimo era l’animale sacro a Dioniso, ma nelle tragedie questo
elemento non sussiste.
Canto per il capro che poteva essere il premio vinto dal tragediografo che meritava la
vittoria.
Canto dei coreuti vestiti da capro il dramma satiresco dovrebbe inserire un coro di coreuti
vestiti da capro, ma dalle testimonianze questi erano vestiti da sileni. La differenza risiede nel
fatto che, il satiro è per metà uomo e per metà capro. Il sileno, invece, ha le orecchie, la coda
e gli zoccoli da capro.
Ancora oggi non si comprende quale sia il nesso fra le dionisiache e le tragedie. Forse tale
elemento all’inizio c’era ma poi è scomparso.
Per Aristotele sostiene che la tragedia non nasce ad Atene attraverso il termine drama dal
greco attico prassein “agire”. Quindi l’origine della tragedia non è rintracciabile ad Atene
ma in area dorica.

QUANDO SI TENEVANO LE COMPETIZIONI TEATRALI?


Queste si svolgevano in due mesi o nel mese di Gamelione alle Lenee (che corrisponde al
nostro gennaio e febbraio). Queste erano esclusivamente per gli ateniesi e le rappresentazioni
maggiori erano rappresentate dalle commedie, mentre la tragedia aveva un ruolo più
marginale.
Quelle più importanti erano quelle che si tenevano durante le Grandi Dionisie nel periodo di
Elafebolione (che corrisponde al nostro marzo e aprile). In primavera ovviamente la città
veniva visitata da stranieri che potevano partecipare alla visione di spettacoli teatrali. Qui la
tragedia aveva un maggior rilievo rispetto alla commedia.
Poi vi erano le Dionisie rurali di minore importanza, rappresentate durante l’inverno ed
erano soltanto commedie.
Quanti erano i tragediografi selezionati?
Erano 3 ed era l’arconte eponimo, colui che dava il nome all’anno, a nominare i tre
competitori. Questi dovevano portare in scena una tetralogia, ossia 4 drammi. In origine le
prime tre dovevano avere un legame logico, successivamente potevano pure avere temi
diversi. La quarta era detto dramma satiresco, una rappresentazione di tipo comico, che
aveva il compito di far scendere la tensione della tragedia.

STRUTTURE DEL TEATRO


Per costruire un teatro vi era la necessità di trovare la posizione adatta. Questo perché a
differenza dei teatri odierni, quelli greci erano all’aperto. Inoltre, non avendo la presenza di
microfoni vi era la necessità di una buona acustica che potesse raggiungere anche la parte più
alta delle gradinate.

 Koilon o featron (dal verbo feaomai “assistere, osservare, guardare) parte alta
delle gradinate dove sedevano gli spettatori. Ovviamente nei posti privilegiati in
prima fila vi sedevano: i sacerdoti di Dioniso, gli arconti, gli strateghi, figure di
particolare prestigio sociale, gli ambasciatori ecc. Una zona precisa era riservata ai
mercanti, un’altra agli efebi e poi ai membri della boulè.
Quindi i ceti sociali più rilevanti sedevano ai primi posti, man mano che si saliva
sedevano persone appartenenti a un ceto sociale più basso.
 Orchestra era la zona del teatro dove si andava a posizionare il coro. Forse, in un
primo momento, anche gli attori si esibivano sull’orchestra. In seguito venne costruito
il
 Proskenion era una piattaforma su ruote che si poteva spostare e rappresentava uno
spazio che finì per determinare una netta separazione tra attori e coro
 Skenè inizialmente una tenda, posta in fondo all’orchestra, che fungeva da camerino
per gli attori e da deposito per gli strumenti. Questa ha anche delle porte dalle quali o
uscivano gli attori o delle macchine per gli effetti speciali. (tipo un braccio mobile
azionato da funi e carrucole che permetteva di sollevare l’attore e farlo giungere sulla
skenè dall’alto).
 Paradoi ossia le entrare disposte ai lati del proskenion da cui arrivava il coro che
andava a posizionarsi sull’orchestra.
ATTORI E CORO
Stando ad Aristotele furono rispettivamente Eschilo ad introdurre il secondo attore tragico e
Sofocle il terzo. Vi erano così il protagonistes, il deuteragonistes e il tritagonistes. Tutti di
sesso maschile tra i quali dovevano essere suddivisi i ruoli da interpretare. Lo stesso attore,
spesso, finiva anche per interpretare più personaggi legati nella trama da legami (affettivi o
parentali). La necessità di non poter usare più di tre attori comportava una certa attenzione al
bilanciamento delle parti e ai giochi di entra in scena e di uscita. Accanto agli attori vi erano
pure personaggi muti e le comparse, talvolta anche bambini ai quali erano affidati brevissimi
interventi.
Le maschere
Dovendo sempre far fronte al problema dell’acustica e non esistendo i microfoni, per far
arrivare la propria voce a tutti si usavano delle maschere di lino che amplificavano la voce. In
realtà, tali maschere avevano anche un’altra funzione pratica; ossia quella di permettere allo
stesso attore di ricoprire più ruoli e al pubblico di riconoscere i personaggi.
Convenzionalmente le maschere dei personaggi femminili erano bianche, quelle dei
personaggi maschili erano più scure.
CORO
Nella tragedia il coro, in origine, era composto da 12 attori, successivamente con Sofocle il
numero salirà a 15. Nella commedia, invece, è fisso il numero 24. A farsi portavoce del coro
era il corifeo ed era colui che interagiva con gli attori sulla scena.
Di solito il coro cantava e danzava, e chi si occupava dell’allestimento, della preparazione del
canto e del ballo era il maestro del coro o corego che era lo stesso autore della tragedia
avvolte.
Sulla musica non sappiamo quasi niente, mentre sulla danza sappiamo qualcosa in più perché
sono stati ritrovati rappresentazioni vascolari che ci mostrano i passi di danza.
Funzione del coro
La funzione del coro nell’azione drammatica della tragedia può rivelarsi centrale- al punto da
diventare il protagonista stesso, come nelle Supplici di Eschilo. Il coro può pregare gli dei,
esprimere paura, presentire il funesto esito dell’azione, oppure ingannarsi e gioire per un
fraintendimento di parole, come avviene in Sofocle, quando il coro esulta non comprendendo
che l’azione sta precipitando verso la catastrofe. Talvolta il coro sembra esprimere il pensiero
del poeta. Un’altra funzione rilevante è quella di rievocare il passato mitico al quale sono
connessi gli avvenimenti portati in scena.
Un altro aspetto importante è che il teatro essendo all’aperto, il tempo della performance era
condizionato dal tempo atmosferico, per cui il tempo della scena era scandito dalle ore del
giorno. Non a caso, le rappresentazioni andavano dalla mattina fino al tramonto durando tutta
la giornata. Tuttavia, quando è necessario sono gli attori stessi a dire quando tempo è passato
dalla scena precedente.
IL TEATRO E LA POLIS
Il teatro aveva per i greci una certa rilevanza politica e sociale, considerato uno strumento
educativo negli interessi della comunità. Data la regolarità delle rappresentazioni e la grande
partecipazione del pubblico, il teatro assunse una funzione di rilevanza delle idee, dei
problemi e della vita politica e sociale dell’Atene democratica: questo vale soprattutto per la
commedia, che poteva trattare direttamente i problemi dell'attualità, ma anche per la tragedia,
che pur parlando di un passato mitico poteva farsi metafora dei problemi profondi della
società ateniese.
Le rappresentazioni teatrali erano aperte al pubblico. Ciò però non significava che tutti
potessero assistere al dramma: in particolare non è ancora chiaro se le donne avessero o meno
il diritto di partecipare allo spettacolo. È indubbio che la maggior parte del pubblico fosse di
sesso maschile. Tuttavia, alcune testimonianze sembrano suggerire una possibile apertura del
teatro anche a donne e a bambini.
Andare a teatro aveva un costo, ma la polis metteva a disposizione un fondo per i cittadini più
poveri. Dal punto di vista politico si può trattare di un’operazione per ottenere il favore dei
ceti meno abbienti.
Inoltre mentre oggi il teatro è frontale, quello greco era tridimensionale perché doveva
coinvolgere tutta la cittadinanza sempre per motivi politici, religiosi e agonistici.
La tragedia si basa fondamentalmente sul mito, in realtà non è sempre così perché per
esempio Eschilo scrive I Persiani che tratta di un fatto storico.
Ma perché il mito?
Perché il mito rimanda alla storia sacra dei greci. Ovviamente, come abbiamo detto, le
tragedie si tenevano durante le feste religiose, per cui occorreva un elemento religioso e il
mito era considerato storia sacra. Quindi il mito diventa esempio della realtà che si vive,
ovviamente non racconta la storia di tutti i giorni ma cose che possono avvenire. Quindi
l’uomo si rende conto, attraverso la tragedia, che la vita è un dolore inestimabile.
Aristotele sosteneva anche che il teatro avesse un’altra funzione sociale, ossia quella della
catarsi. Il compito principale del dramma sarebbe quello di offrire al pubblico una
purificazione dalle passioni. Attraverso il senso di pietà che suscitano i destini dei personaggi
e tramite lo spavento che le loro storie generano, la tragedia produrrebbe nell’animo una
condizione di equilibrio.
I PRIMI POETI TRAGICI
Il primo a rappresentare un prototipo di tragedia è Tespi nel 534 a.C.
Tre sono gli autori principali di tragedie:
 Eschilo scrive 7 tragedie
 Sofocle scrive 7 tragedie
 Euripide scrive 21 tragedie
Nel caso di Eschilo e Sofocle abbiamo solo 7 tragedie ciascuno perché vi fu una selezione
delle tragedie più rilevanti per gli antichi.
Nel caso di Euripide sono stati ritrovati alcuni manoscritti dove c’erano tutte le tragedie di
Euripide in ordine alfabetico.
Eschilo rappresenta l’unica tragedia di stampo storico ossia I Persiani. Abbiamo di Eschilo
pure l’unica trilogia che ci è pervenuta ossia l’orestea
Sofocle abbiamo il famoso ciclo di Edipo costituito dall’Antigone, Edipo re, Edipo a
Colono
Euripide è il più moderno dei tre e a lui si deve Alcesti, Le Troiane, Medea. Alcesti
rappresenta anche l’unico dramma satiresco che ci è pervenuto.
TRAGEDIOGRAFI PRECEDENTI AD ESCHILO
 Tespi tra 536-532 si dice sia stato inventore della tragedia, contrapposizione coro e
attore e uso delle maschere.
 Cherilo tra 524-520 questo scrisse 160 drammi.
 Frinico tra 511-508 lui introduce i personaggi femminili ed è stato il primo ad aprire
la tragedia a temi di tipo storico, scrive infatti “La conquista di Mileto” che gli valse
una multa perché il pubblico pianse fino alla disperazione. Scrisse pure Le Fenicie che
raccontava le guerre contro i persiani.
 Pratina tra VI e V secolo non ateniese. Si dice sia stato lui ad introdurre il dramma
satiresco ma qualcosa non torna. Perché lui scrisse 50 opere di cui 32 erano drammi
satireschi, però i drammi satireschi appartengono ad una tetralogia, essendo le opere
50 avremmo solo 18 tragedie e il resto?
STRUTTURA TRAGEDIA GRECA
 Il prologo pro e logos discorso preliminare in cui uno o più personaggi introducono il
dramma e spiegano l’antefatto.
 La parado consiste in un canto del coro effettuato mentre esso entra in scena
attraverso i corridoi laterali i parodoi.
 L’epiparado Avvolte accade che durante la rappresentazione il coro lasci l’orchestra
per rientrarvi successivamente in quella che è chiamata epiparado.
 Gli episodi che variano da 3 a 7, e che corrispondono più o meno ai nostri atti e sono
intervallati dagli
 Stasimi intermezzi in cui il coro danza e canta
 L’esodo si tratta della parte conclusiva della tragedia e, a detta di Aristotele, è pure
quella più importante perché è dove troviamo l’essenza della tragedia.

 Monodia l’attore che canta da solo sulla scena


 Amedeo quando coro e attori si scambiano le battute
 Stigomitia quando attore e coro si alternano e fanno un verso ciascuno
 Epirrema la parte in cui c’è il lamento dell’attore sempre con l’aiuto del coro
 Il commo un altro lamento in cui però c’era solo l’attore.
IDEA DEL TRAGICO
Parliamo di conflitto tra volontà e necessità. La volontà è quella dell’uomo di voler agire, di
decidere, di fare ma queste azioni sono limitate dalla necessità, ossia la volontà del fato.
Dunque, questi due elementi entrano in conflitto perché l’uomo vorrebbe il libero arbitrio, ma
poi la divinità, il fato interviene. La volontà dell’uomo, allore, è solo un’illusione perché
l’uomo è convinto di decidere della sua vita ma in realtà fa tutto parte di un grande disegno
divino.
La conflittualità della realtà viene confluita pure nel teatro perché l’uomo greco non si
arrende dinanzi al fato, alla divinità ma cerca sempre di affermare sé stesso e la propria
volontà, di superare gli ostacoli che il fato gli mette davanti anche se non ci riusciranno mai,
come si evince dalle tragedie, che non terminano mai con una soluzione felice. Inoltre gli
uomini risultano particolarmente soli, perché seppur vero che combattono tutti contro il fato,
ognuno lo fa in modo proprio.
ESCHILO
Tragedie
Scrisse una novantina di opere ma noi sono giunte soltanto 7
 Persiani unica di stampo storico risalente al 472 a.C. (un decennio dopo la battaglia
di Salamina)
 Sette contro Tebe
 Supplici
 Prometeo incatenato
 Orestea (Agamennone – Coefore – Eumenidi) unica trilogia che ci è pervenuta.

Biografia
Nato ad Eleusi (cittadina non troppo lontana da Atene) verosimilmente intorno al 525 a.C.
Città nota per i riti Eleusini, a noi sconosciuti perché gli adepti dei misteri eleusini non
potevano riferire ciò che accadeva durante questi. Nel 508 a.C. molto giovane vede la fine
della tirannia dei Pisistradi e l’istaurazione della democrazia ateniese. Combatté in prima
persona contro i persiani nella battaglia a Maratona (490 a.C.) e nella battaglia a Salamina
(480 a.C.). Nel 472 dopo il debutto dei Persiani, Eschilo venne invitato a Siracusa presso la
corte del tiranno Ierone, già meta di altri illustri lirici greci come Pindaro e Simonide. In
seguito tornò ad Atene, dove rappresentò la sua ultima opera ossia Orestea. Poi se ne andò da
Atene per divergenze con il pubblico non si sa di quale natura, e si sposterà in Sicilia a Gela
dove morirà nel 456 a.C.
Stile
Se è vero che la tragedia nasca da un coro ditirambico, che interagisce progressivamente con
una voce recitante, secondo alcuni studiosi fu proprio Eschilo a trasformare la tragedia
primitiva in dramma dotato di azione.
A detta di Aristotele fu il primo ad introdurre il secondo attore tragico, che soltanto
nell’Orestea incarna un personaggio autonomo in gradi di contrapporsi al primo: nelle
tragedie precedenti ricopre la funzione di Messaggero.
Inoltre leggendo le opere di Eschilo ci accorgiamo che le scene sono abbastanza statiche e
particolarmente ridotte. Le scene sono narrate dagli attori e il coro attraverso ampie parti
corali commenta ciò che gli attori raccontano, Di conseguenza il dialogo tra personaggi e
coro è molto frequente. Tutto questo sembra comportare la riduzione dell’importanza del
coro, che prima risultava preponderante.
Infatti il coro fungeva da collante fra le varie scene, era il coro a completare il puzzle di tutto
quello che accadeva prima e dopo gli eventi messi in scena.
I personaggi di Eschilo dimostrano i loro sentimenti nel momento in cui compiono l’azione,
quindi azioni e sentimenti sono momentanei. Inoltre siamo all’origine della tragedia quindi
non abbiamo un’introspezione psicologica lineare e coerente, e i sentimenti sono distribuiti
all’interno della tragedia anche se in maniera disomogenea.
Eschilo poi è noto per la grandiosità delle scenografie e per i testi (addirittura si dice che
recitasse anche lui nelle tragedie).
Per Eschilo la parola ha un valore immenso, per lui non esprime solo un concetto, non è
messa lì solo per chiudere un verso, ma ha un valore talmente elevato che da un senso anche
alle parole intorno.
Questo suo modo di scrivere le tragedie gli attirerà le ironie dei comici che lo prenderanno in
giro per la sua grandiosità verbale.
Vinse 28 volte in tutta la sua vita, 13 in vita e 15 dopo la morte (unico dei tre che ebbe
l’onore di avere rappresentato le sue opere pure dopo la morte).
L’uomo, la colpa e la punizione
Al centro del teatro di Eschilo vi è il problema dell’azione e della colpa, delle responsabilità e
del castigo.
Eschilo si chiede da dove provenga la sofferenza degli uomini.
Viene solo dalla loro condizione di essere mortali, come sostenevano i poeti arcaici, o da un
peccato originario scontato da tutta quanta l’umanità?
O nella condizione umana vi è anche la responsabilità del singolo individuo?
Nella mentalità arcaica la sofferenza traeva la sua origine dalla hybris la condizione nella
quale l’uomo non è in grado di riconoscere i propri limiti e di commisurare la sua forza. Per
cui chi ha ambizioni troppo alte finisce per peccare di hybris scatenando l’invidia degli dei.
Per Eschilo, invece, sostiene che le azioni delle divinità sugli uomini non sono frutto della
semplice invidia, ma sono conseguenze di una colpa umana, dato che dei sono gli assoluti
garanti della giustizia e dell’ordine, e dunque alla hybris corrisponde sempre
l’ammaestramento divini attraverso la punizione.
ORESTEA
Questa trilogia tratta della saga degli atridi. Partendo da Agamennone si porta dietro due
colpe: una diretta e l’altra indiretta.
La colpa indiretta è quella del padre di Agamennone Atreo che aveva ucciso i figli del
fratello Tieste glieli aveva cucinati e glieli aveva serviti. L’unico a salvarsi fu Egisto amante
di Clitennestra.
La colpa diretta è il sacrificio della figlia Efigenia. Per partire alla volta di Troia, l’oracolo gli
dice che deve sacrificare la figlia, lui attira la moglie e la figlia con l’inganno dicendo che
Efigenia avrebbe dovuto sposare Achille. Lei va dal padre e questo l’ammazza.
AGAMENNONE
Nella prima parte Agamennone è di ritorno da Troia. Infatti la Vedetta, appostata sul tetto del
palazzo, scorge i segnali di fuoco che annunciano la caduta di Troia e il ritorno di
Agamennone. Qui Eschilo fa pure un’altra operazione perché di solito Agamennone nel mito
è sempre stato re di Micene, qui è il re di Argo. Questo perché alla fine della trilogia quando
Oreste verrà liberato dalla pena di parricidio giurerà alleanza e fedeltà con Argo.
Agamennone arriva ad Argo e porta con sé Cassandra, principessa troiana portata in Grecia
come schiava, profetessa mai creduta, infatti, lei sa che a lei e ad Agamennone spetta la
morte.
Il personaggio di Clitennestra è esagitato perché aspetta da 10 anni di vendicarsi per la morte
della figlia e la stessa cosa Egisto. Clitennestra e Egisto erano diventati amanti. Quando
giunge Agamennone, Clitennestra sembra che attende con ansia questo ritorno stendendo
perfino un tappeto rosso, gli fa preparare il bagno e mentre Agamennone si rilassa nella vasca
viene assassinato.
COEFORE
Entrano in scena Elettra con le coefore, prigioniere troiane, che cantano delle violenze che
subiscono e dell’orrore che attanaglia Argo da quando Agamennone è stato ucciso. Queste
offrivano libagioni perché all’inizio della tragedia Clitennestra fa un incubo. Sogna di
partorire un serpente che succhia dal suo seno latte e sangue. La donna ha paura che il sogno
fosse un segno della collera degli dei nei suoi confronti, e pensa che le libagioni potessero
calmarla. Manda queste donne a fare libagioni sulla tomba del marito. Oreste fu mandato
lontano per evitare che Egisto potesse ucciderlo e sono passati forse 10 anni dalla morte di
Agamennone. Oreste ritorna ad Argo, in compagnia di Pilade, suo migliore amico. Oreste si
presenta come uno straniero e racconta a Clitennestra che il figlio è morto. Qui osserviamo
una Clitennestra che si dispera per la morte del figlio. Alla fine vi è il riconoscimento tra
Oreste ed Elettra che sono fratello e sorella. I due si accordano per farla pagare ad Egisto e a
Clitennestra. Li attirano in una trappola, la madre tira fuori il seno e dice “sono io che ti ho
allattato, io ti ho dato la vita”, per un po' Oreste esita ma poi la uccide e assieme pure ad
Egisto. A questo punto giungono le Errini, dee vendicatrici dei delitti, che vogliono la morte
di Oreste.
EUMENIDI (BENIGNE)
Oreste giunge nel tempio di Apollo, dove chiede aiuto al dio. Quest’ultimo lo manda ad
Atene, presso il tempio della dea Atena. Le Errini intanto cercano Oreste e lo raggiungono
quando egli è ormai nel tempio di Atena e ne sta invocando l’aiuto, lì le Errini lo minacciano
di punirlo. Appare Atena, la quale, si offre come giudice in un regolare processo. Il caso
verrà sottoposto ad una giuria ateniese di dodici membri. Le Erinni saranno l'accusa, Apollo
la difesa. Inizia dunque il processo. Le Erinni interrogano Oreste sul modo in cui ha ucciso
sua madre. Oreste si difende spiegando di aver agito per una vendetta legittima, e su ordine di
Apollo. Quest'ultimo poi interviene spiegando che Clitennestra per prima aveva compiuto un
omicidio, uccidendo il marito, e che questo è un crimine peggiore, poiché quando si genera
un figlio, è il marito a dare il germe. Il figlio insomma ha lo stesso sangue del padre e quindi
ha il diritto di vendicarlo. La giuria infine vota. L'ultima a votare è Atena, la quale dichiara il
proprio voto favorevole ad Oreste, perché la dea, non avendo una madre, considera più
importante la figura paterna. Alla fine il conteggio dei voti è pari: sei per la condanna e sei
per l'assoluzione. Oreste viene dunque assolto, poiché il presidente della giuria, Atena, è a lui
favorevole. Le Erinni reagiscono con rabbia alla sentenza, minacciando morte e distruzione.
Atena tuttavia riesce a calmarle e le convince a diventare Eumenidi, ovvero divinità della
giustizia anziché della vendetta.

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