Erodoto è il padre della storia greca. La storia greca comincia come genere letterario
nel V secolo a.C. Prima del V secolo il panorama letterario greco vede la diffusione
solo della poesia.
I primi scrittori in prosa, che sono considerati precursori degli storici, furono i
logografi (da "logos", parola in prosa). I logografi scrissero opere di carattere
geografico ed etnografico, facendo spesso ricorso al mito. La storia si differenzia da
questi precedenti perché pone al centro della vicenda le azioni umane e si basa
unicamente su fonti scritte o orali che le conferiscono veridicità. La parola greca
"historia" deriva dalla radice "ιδ" del verbo "οράω", che indica quello che si è visto,
cioè una narrazione condotta sulla base di una visione autoptica. Erodoto proveniva
da Alicarnasso (in Asia Minore). Nella sua vita compì molti viaggi che gli fornirono
materiale per i suoi racconti. Erodoto si trovò anche ad Atene, dove conobbe Pericle
e apprezzo il suo sistema politico; scrisse nove libri di storie, che i grammatici
alessandrini nominarono col nome delle 9 Muse. Le Storie di Erodoto sono
incentrate sul conflitto greco-persiano, del quale parla solo a partire dal quinto libro.
I libri precedenti contengono una serie di "lógoi", cioè racconti indipendenti sui
popoli che vennero a contatto con i persiani. A questo proposito è nata una
"questione erodotea": si pensa, cioè, che Erodoto volesse scrivere questi racconti
indipendenti, dei quali sappiamo che dava pubbliche letture ad Atene, in cambio di
compenso. Solo quando conobbe Pericle maturò in lui l'idea di parlare del conflitto
greco-persiano. Secondo altri, invece, l'autore, fin dall'inizio, intendeva parlare della
guerra persiana e avrebbe introdotto i racconti precedenti per dimostrare l'ipertrofia
Dell'impero persiano, che finì con lo sfociare nella ύβρις e quindi generare il
conflitto.
LA TRAGEDIA GRECA
La tragedia greca nasce e si sviluppa nell'Atene del V secolo. La tragedia greca
aveva finalità e caratteristiche sconosciute al teatro moderno, infatti era, nello stesso
tempo, rito, gara ed assemblea. Era un rito per la sua valenza religiosa perché veniva
rappresentata durante le feste Dionisiache. Al centro dell'edificio teatrale era posto
un altare del Dio e la tragedia stessa si ispirava al mito, che per i greci era una sorta di
storia sacra. Era poi assemblea per la sua valenza politica in quanto prevedeva la
partecipazione di tutti i cittadini allo spettacolo; questi cittadini avevano
l'impressione di partecipare a un'assemblea politica e di assistere alla comunicazione
di messaggi importanti per tutta la comunità. Era anche una gara perché gli autori
tragici svolgevano una competizione fra di loro dalla quale usciva un vincitore; la
gara dava sfogo alla competitività che è insita nel popolo greco e stimolava gli autori
a scegliere i temi più coinvolgenti.
ESCHILO
Eschilo assiste alle guerre persiane, infatti partecipa alla battaglia di Maratona e a
quella di Salamina e scrive la maggior parte delle sue tragedie durante il periodo di
affermazione della democrazia. Eschilo fu l'autore più apprezzato dai suoi
contemporanei per il suo nazionalismo e lo spinse a scrivere un autoepitafio in cui,
anziché celebrarsi come poeta, volle essere ricordato come combattente a Maratona.
Eschilo fu considerato un grande educatore dal suo popolo, sperimentò la caduta della
tirannide e la democrazia di Clistene, che aveva posto fine alla suddivisione in classi
sociali su base del censo (riforma timocratica) e aveva introdotto una suddivisione su
base territoriale. Questa riforma di Clistene, che poi fu perfezionata da Pericle, aveva
avviato il processo di decadenza dei γήνη aristocratici. Dal punto di vista di Eschilo
le guerre persiane rappresentavano l'affermazione della democrazia contro il
dispotismo orientale. Dopo le guerre persiane ad Atene si afferma la democrazia nel
senso più pieno del termine e Atene diventa la "scuola della Grecia". Nelle sue
tragedie Eschilo canta il trionfo di Dike contro ogni forma di ingiustizia e di
prevaricazione. La Dike, nelle tragedie di Eschilo, soprattutto nelle ultime, è
incarnata nella pólis, che rappresenta il trionfo dello Stato nel suo complesso.
Eschilo aveva scritto più di cento tragedie, ma annoi ne sono pervenute solamente
sette. Alcune di queste facevano parte di trilogie concatenate, cioè trilogie che
avevano come argomento le vicende di un'unica stirpe. L'unica trilogia che ci è
giunta è l'Orestea, che comprende "Agamennone", "Coefore" ("portatrici di
libagioni") ed "Eumenidi" (le benevole). Le altre quattro tragedie che ci sono giunte
sono i "Persiani", i "Sette contro Tebe", il "Prometeo incatenato" e "Le Supplici".
"I PERSIANI"
Sono la prima tragedia eschilea che ci è giunta, scritta otto anni dopo la battaglia di
Salamina (480 a.C.). "I Persiani" esemplificano il contrasto fra ύβρις e δίκη. Il
persiano Serse incarna la ύβρις perché pretende di infrangere un κόσμος, un
equilibrio, profanando la natura con la perforazione del monte Athos e la costruzione
di un ponte di barche sull'Ellesponto. La sconfitta di Serse da parte dei greci nella
visione eschilea rappresenta il trionfo della δίκη. Eschilo introduce in questa tragedia
il concetto di άτη, accecamento. L'uomo, pur consapevole che un suo gesto potrebbe
essere punito, è indotto comunque sbagliare da una forza misteriosa, άτη, che si
presenta con un atteggiamento seduttivo e ingannevole e confonde i concetti di male
e bene e inganna l'uomo, portandolo inevitabilmente all'errore. Questa stessa forza
contiene in sé il richiamo alla punizione, che inevitabilmente scatta per l'uomo che ha
sbagliato. Nella parte finale della tragedia, quando Serse appare in scena come un
mendico, Eschilo porge un monito ai greci; li invita a guardarsi dalla fortuna
eccessiva perché anche un sovrano magnifico come Serse e non sfugge ai colpi della
sorte.
"AGAMENNONE"
Clitemnestra nella tragedia è una donna coraggiosa e artefice di piani malvagi così
come potrebbe esserlo un uomo (dal senno virile). Lei sceglie Egisto per uno scopo
ben preciso; il padre di Agamennone aveva punito suo fratello, Tieste, cioè il padre
di Egisto, facendogli mangiare le carni dei figli, però Egisto si era salvato. Da quel
momento Tieste cova un odio smisurato verso Atreo. Clitemnestra sceglie Egisto per
quest'odio atavico fra i due cugini. Agamennone incarna il concetto di ereditarietà
della colpa; dall'altra è incarnazione della ύβρις che è da lui attuata sia con il
sacrificio di Ifigenia, sia quando cammina sui tappeti di porpora, segno di regalità e
l'atto di oltrepassarli rende pari ad un Dio chi lo compie. Al contrario di
Clitemnestra, Eschilo attribuisce ad Agamennone l'esitazione per la consapevolezza
delle possibili conseguenze. Nell'Agamennone è contenuto il contatto di παθειμαθος:
Eschilo dice che il dolore è un importante strumento di conoscenza di se stessi e degli
altri; attraverso il dolore si acquista consapevolezza. Il παθει μαθος non è concesso
ad Agamennone, ma sarà concesso ad Oreste.
"COEFORE"
Clitemnestra, leggendo questo sogno come presagio di sventura, invia le coefore
presso la tomba di Agamennone. Intanto, in casa di Clitemnestra e Egisto è rimasta
la sola Elettra che, legatissima al padre, medita la vendetta contro la madre. Lei si
augura che questa vendetta venga compiuta dal fratello Oreste, che lei stessa ha
allontanato dalla casa, temendo che la madre, per sterminare la stirpe degli Atridi,
uccidesse anche lui. Elettra non può compiere la vendetta perché, essendo donna,
non può punire un assassino, perché la punizione dell'assassino spetta solo ai maschi
del γήνος. Oreste ritorna ad Argo in compagnia dell'amico storico Pilade, visita la
tomba del padre e lascia su di essa una ciocca di capelli; la sorella Elettra riconosce
questa ciocca e fra i due avviene un incontro, dal quale Capisce che la vendetta
auspicata sta per avverarsi. Oreste e Pilade decidono di presentarsi a casa di
Clitemnestra con l'aspetto di mendichi e vengono accolti da Egisto; dietro le quinte si
compie l'assassinio di Egisto e, attraverso le grida dell'amante, Clitemnestra
comprende che la vendetta ha cominciato il suo corso, perciò afferma che "i morti
uccidono il vivo". Oreste, quindi, si presenta alla madre e lei, per farlo desistere dal
suo proposito, gli mostra il seno che lo ha allattato. Oreste, allora, si trova in una
situazione di αμηχανία, "incertezza", "imbarazzo", "titubanza" e chiede a se stesso τι
δρασω ("che cosa devo fare"?). Egli non vorrebbe uccidere la madre, ma è incalzato
da Apollo che gli ricorda l'obbligo di vendicare il padre, perché si deduce che la
figura paterna è più importante di quella materna. Dunque uccide la madre ma sente
su di sé la minaccia delle Erinni, dee antichissime antecedenti agli dei olimpici che
puniscono chi ha ucciso un consanguineo e sostengono che l'assassinio di
Clitemnestra è meno grave di quello di Oreste e, soprattutto, difendono il principio
matrilineare, cioè che la figura materna sia superiore a quella paterna.