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Machiavelli

Machiavelli lo possiamo collocare dal punto di vista stilistico nel rinascimento mail suo stile si ricollega
molto all’umanesimo perché si basava molto sui classici latini perché non studiò il greco.
Nel rinascimento era popolare la trattatistica in prosa, infatti, Machiavelli scrisse opere di trattativa politica
poiché il governo di Lorenzo il Magnifico era in crisi, infatti, dopo la sua morte si spezzarono tutti gli
equilibri che lui aveva creato.
AL centro della sua trattazione mette l’uomo assieme a una tematica che si era sviluppata anche
nell’umanesimo ovvero il rapporto tra l’uomo e la fortuna (come fece in precedenza Boccaccio); è
importante il fatto che l’uomo può controllare la fortuna, Machiavelli vive a pieno il contesto storico
culturale in cui si trovava.
All’inizio era rappresentato sotto una cattiva luce a causa dell’aforismo “il fine giustifica i mezzi” e anche a
causa di alcune sue posizioni politiche viene messo tra l’indice dei libri proibiti.
Machiavelli si concentra molto sulla realtà.
Era considerato un intellettuale comunale infatti partecipava alla vita politica ed esprimeva apertamente le
sue opinioni.

La vita
L’attività politica
Veniva da una famiglia borghese di modesta agiatezza, ebbe un’educazione umanistica basata sui classici
latini ma non imparò il greco e quindi non era in grado di leggere alcuni testi originali.
La sua presenza venne notata per la prima volta tra gli oppositori di Savonarola (che salì al potere dopo la
morte di Lorenzo e criticò la chiesa per questo venne bruciato in piazza a Firenze e fu così che gli oppositori
politici andarono al potere ->) concorse alla segreteria della seconda cancelleria del Comune, questa
posizione implicava missioni diplomatiche verso altri stati.
I 14 anni che passo in questa posizione furono molto preziosi perché gli fecero accumulare un’esperienza
diretta della realtà politica e militare del tempo da cui poi trasse le sue riflessioni, teorie e analisi che poi
troviamo nelle sue opere.
Andò alla corte del re Luigi XII dove scoprì il funzionamento dello stato francese e ne rimase così tanto
ammaliato che lo considerava come modello per uno stato italiano.
Andò alla corte di Cesare Borgia che era figlio del papa Alessandro VI, rimase molto colpito dalla sua figura
di politico audace e spregiudicato infatti assistette allo sterminio dei partecipanti di una congiura; quando
morì suo padre la sua sfortuna iniziò a scemare e lui mori due mesi dopo.

La riflessione politica e le missioni diplomatiche


Machiavelli credeva nella necessarietà di eliminare le milizie mercenarie e di creare un esercito permanente
che dipendeva direttamente dallo stato composto da cittadini in armi; si adoperò per convincere i maggiorenti
della città a creare questa milizia comunale che venne creata ma non riuscì ad avere la meglio su Spagna e
Francia.
Quando andò in Svizzera e Germania restò ammaliato dalla compattezza delle comunità e delle loro forti
tradizioni civili e guerriere che gli ricordavano quelle dei primi tempi della Roma repubblicana.
Nel settembre del 1511 scoppiò il conflitto tra la Francia con cui Firenze era alleata contro la lega Santa
capeggiata dal papa; con la battaglia di Ravenna i francesi ebbero la meglio sugli spagnoli ma furono poi
battuti dagli svizzeri -> la repubblica cade, i medici rientrano a Firenze e Machiavelli viene licenziato da tutti
i suoi incarichi

L’esclusione dalla vita politica


L’Esclusione dalla vita politica fu un colpo durissimo. A ciò si aggiunse il fatto che era sospettato di aver
preso parte a una congiura antimedica. Venne liberato dall’ascesa di Leone X ma si ritirò in un esilio forzato,
in un suo podere. Lì si concentrò sugli studi, tenendo un contatto con la vita politica.
In questo periodo scrive il principe (1513), i Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio e la mandragola. La
lontananza dalla vita politica per lui stava diventando intollerabile e quindi cercò un riavvicinamento ai
medici, per ottenere un incarico -> il principe venne dedicato a Lorenzo de’ Medici, però i medici
continueranno a guardarlo con diffidenza.
Morto Lorenzo il governo fu assunto da giulio de’Medici che era più favorevole a Machiavelli, che vide
rinascere la speranza di un rientro nella vita politica -> il cardinale lo incaricò di scrivere una storia di
Firenze che verrà intitolata Istorie Fiorentine. Riottenne quindi, vari incarichi sia militari che diplomatici.
Nel 1527 i medici vennero nuovamente scacciati e si riformò una repubblica che non permise a Machiavelli
di ritornare alle sue precedenti mansioni, perché era guardato con sospetto per il suo riavvicinamento con i
medici. Si ammalò all’improvviso e morì 21/06/1527.

L’epistolario
Le lettere “familiari” scritte da Machiavelli ad amici e conoscenti, ci sono arrivate parzialmente. Non sono
lettere composte in vista della pubblicazione, quindi sono stese con grande immediatezza e intessono un
colloquio autentico e libero con i destinatari.
Tra queste lettere spicca il blocco di quelle scritte a Francesco Vettori posteriormente alla perdita degli
incarichi politici. Quella famosissima è del 10 dicembre 1513, in cui Machiavelli descrive la sua giornata
nell’esilio, le futili occupazioni del mattino e il pomeriggio, a cui si contrappone lo studio dei classici, che è
un riscatto dalla degradazione e dell’avvilimento di una vita vuota. La lettera è importante anche perché
fornisce l’indicazione dell’avvenuta composizione del principe.

Il Principe
La genesi e la composizione dell’opera
Gli studiosi collocano la composizione tra luglio e dicembre 1513, in una stesura di getto, mentre si ritiene
scritta a posteriori la dedica a Lorenzo de’Medici e anche il capitolo finale, che esorta a liberare l’Italia dai
“barbari”, sembra di staccarsi dal tono argomentativo del trattato.
Per i discorsi invece la stesura è iniziata nel 1513 ma interrotta per far spazio alla stesura del principe che,
secondo Machiavelli, aveva più urgenza. Il principe non fu dato alle stampe e circolò come manoscritto in
una cerchia ristretta a Firenze; fu pubblicato postumo nel 1532, suscitando subito scalpore.

Il genere e i precedenti dell’opera


Il Principe si può collegare ad una precedente tradizione di trattatistica politica. Già nel medioevo erano
diffusi trattati intesi a tracciare il modello del principe and indicare le virtù. Venivano chiamati specula
principis, secondo la mentalità dell’epoca dovevano fornire al principe lo specchio in cui riflettersi per
apprendere i suoi comportamenti ideali. Nel 400 poi il genere ebbe una nuova fortuna nell’ambito della
cultura umanistica.
Da un lato il principe si riallaccia alla tradizione, dall’altro la rovescia radicalmente: Machiavelli proclama di
voler guardare alla verità effettuale della cosa; quindi, non propone al principe le virtù morali ma mezzi che
possono consentirgli la conquista e il mantenimento dello Stato. L’opera di Machiavelli ha radici in un’altra
tradizione, quelli dei promemoria che cittadini solevano inviare al principe per suggerire gli indirizzi politici:
il genere era vivo a Firenze, e aveva ricevuto un nuovo stimolo con il ritorno dei medici.

La struttura e i contenuti
Il principe è un’opera molto breve, scritta concisamente. Si articola in 26 capitoli, che hanno titoli in latino.
È divisa in:
 I – XI: esaminano i vari tipi di principato e individuano i mezzi che consentono di conquistarlo e
mantenerlo.
 XII – XIV: sono dedicati al problema delle milizie; Machiavelli giudica negativamente l’uso dei
mercenari perché combattono solo per denaro e costituiscono una delle principali cause della
debolezza e delle pesanti sconfitte italiane.
 XV – XXIII: trattano dei modi di comportarsi del principe con i sudditi e con gli amici. Sono i
capitoli che hanno immediatamente suscitato più scalpore e hanno attirato per secoli su Machiavelli
la condanna.
 XXIV: esamina le cause per cui i principi italiani hanno perso i loro Stati; la causa per lui è l’ignavia
dei principi.
 XXV: parla del rapporto tra virtù e fortuna e della capacità, che deve essere propria del politico, di
porre argini alle variazioni della fortuna (paragonata un fiume in piena).
 XXVI: un’esortazione ad un principe nuovo che sappia porsi a capo del popolo italiano e liberare
l’Italia dai barbari.

I discorsi
I contenuti e il genere
Il nucleo originario dell’opera era costituito dalle carte “Liviana”, ovvero punti a cui Machiavelli affidava le
riflessioni politiche dalla lettura dei primi 10 libri dalla storia di Livio, in cui si tratta la Roma repubblicana.
Ne risultano i discorsi, dedicati a due amici.
L’opera fu diviso in tre libri:
- Primo: si tratta delle iniziative di politica interna di Roma
- Secondo: si tratta dell’iniziative di politica estera e dell’espansione dell’impero.
- Terzo: tratta delle azioni dei singoli cittadini.
Machiavelli ritiene che dalla storia passata si possano ricavare esempi validi per ogni tempo, offre
continuamente lo spunto per riflessioni su problemi politici generali e sulla situazione del presente. Anche i
discorsi non furono stampati dell’autore e circolarono manoscritti, furono poi pubblicati postumi.
I discorsi non rientrano in un genere individuabile: il libro non ha la struttura del trattato organico ma è una
serie di riflessioni su singoli temi. È un’opera diversa dal principe, infatti, i discorsi si abbandonano alla
riflessione.

Il rapporto tra Discorsi e Principe e l’ideologia politica


Nel principe Machiavelli affronta la forma di governo monarchica ed assoluta, e celebra la virtù del principe;
nei discorsi lascia trasparire forti simpatie repubblicane e indica la Repubblica come la forma più alta è
preferibile del lo Stato.
L’orientamento di fondo di Machiavelli è certamente repubblicano ma il principe è scritto sotto l’urgenza
immediata di una situazione gravissima, a cui era indispensabile porre rimedio, la crisi italiana: allo scrittore
sembrava necessaria la costruzione di uno Stato abbastanza forte da opporsi all’espansione delle grandi
potenze europee. Machiavelli riteneva che nel momento della creazione di uno Stato nuovo fosse
indispensabile la virtù politica di un singolo, mentre stava convinto che la Repubblica fosse la forma di
governo che garantiva maggiore stabilità e durata alle istituzioni.
Il principe ha il carattere dell’opera militante, destinata ad incidere direttamente nello scenario politico,
fornire strumenti concreti e immediatamente applicabili; i discorsi hanno più il carattere di riflessione teorica
generale

Il pensiero politico
Teoria e prassi
Le sue concezioni nascono dal rapporto diretto con la realtà storica, in cui egli è impegnato grazie gli
incarichi che ricopre. Il suo pensiero si presenta come una stretta fusione di teoria e prassi.
Alla base della sua riflessione vi è la coscienza lucida e sofferta da: una crisi politica in quanto l’Italia non
presenta solidi organismi unitari come le potenze europee; crisi militare, perché si fonda su milizie
mercenarie e compagnie di ventura; crisi morale, perché sono scomparsi i valori che danno fondamento a un
vivere civile e sono stati sostituiti da un atteggiamento scettico, che induce ad abbandonarsi al capriccio della
fortuna senza reagire.
Per Machiavelli l’unica via di uscita è un principe dalla straordinaria virtù, capace di organizzare le energie e
di costruire una compagnia statale abbastanza forte da contrastare gli Stati vicini.
Machiavelli elabora una teoria che aspira ad avere una portata universale, a fondarsi su leggi valide in tutti i
tempi e in tutti luoghi. Questo conferisce alle sue opere uno straordinario valore letterario, ma la sua
speculazione assume la fisionomia di una vera teoria scientifica.

La politica come scienza autonoma


Machiavelli è stato indicato come il fondatore della moderna scienza politica perché determina nettamente il
campo di tale scienza. Rivendica l’autonomia del campo dell’azione politica: essa possiede delle leggi
specifiche, e l’agire degli uomini di Stato va studiato e valutato in base a tali leggi: occorre, nell’analisi
dell’operato di un principe, valutare se esso ha saputo raggiungere i propri fini ovvero rafforzare e mantenere
lo Stato e garantire il bene dei cittadini.
È una teoria molto nuova; Machiavelli ha il coraggio di mettere in luce ciò che avviene realmente nella
politica, infatti, scrive un’opera utile a chi la intenda. Il rigore scientifico nasce direttamente il carattere
pratico del pensiero di Machiavelli.

Il metodo
Machiavelli delinea il metodo della nuova scienza. Perché vuole agire sulla realtà, ne deve tener conto,
quindi per ogni costruzione teorica parte sempre dall’indagine sulla realtà concreta. Colpisce che nel principe
avviene il continuo ricorrere di massime universali, pronunciate con sicurezza come se fossero indiscutibili.
Dietro ognuna di quelle massime è accumulata una massa enorme di dati ricavati dall’esperienza. Il partire
dall’osservazione diretta della realtà è l’aspetto caratterizzante il mito scientifico moderno.
L’esperienza per Machiavelli può essere di due tipi quella diretta (esperienza delle cose moderne) ricavata
dalla partecipazione personale alle vicende, e quella ricavata dalla lettura degli autori antichi (lezione delle
Antique); cambia solo il veicolo della trasmissione dei dati.

La concezione naturalistica del mondo e il principio di imitazione


Alla base c’è una concezione tipicamente naturalistica. Machiavelli è convinto che l’uomo sia un fenomeno
di natura al pari di altri e quindi i suoi comportamenti non varino nel tempo. Per questo ha fiducia nel fatto
che, studiando il comportamento umano, si possa arrivare a formulare vere proprie leggi di validità
universale. Per questo la sua trattazione è sempre costellata di esempi tratti dalla storia antica: sono la prova
il comportamento umano non varia -> principio rinascimentale dell’imitazione.
Auspica quindi che gli uomini di oggi guardino a questi esempi e li prendano a modello e si sforzino di
riprodurli.

Il giudizio pessimistico sulla natura umana


Il punto di partenza per la formulazione delle leggi è una visione pessimistica dell’uomo. Per Machiavelli gli
uomini sono malvagi e la molla che li spinge è l’interesse materiale ed egoistico, non i valori e sentimentali e
nobili.
L’uomo politico deve agire su questo terreno: le leggi della convivenza umana sono dure e spietate, perciò, il
principe non può seguire sempre l’ideale della virtù. Deve sapere anche essere non buono, dove lo
richiedono le esigenze dello Stato, deve essere umano oppure feroce come una bestia ma secondo le
circostanze: per questo Machiavelli propone per il politico l’immagine del centauro che appunto mezzo
uomo e mezzo bestia.

Lo stato e il bene comune


Solo lo Stato può costituire un rimedio alla malvagità dell’uomo e al suo egoismo. La durezza e la violenza
del principe devono sempre avere per fine un bene comune, cioè la salvaguardia della convivenza civile. Per
mantenere lo Stato sono indispensabili certe virtù civili che costituiscono il cemento del vivere collettivo; per
radicare tali virtù sono necessarie precise istituzioni:
- La religione vista come strumento di governo; la religione, in quanto fede di certi principi, obbliga i
cittadini a rispettarsi tra di loro e a mantenere la parola data (questa era la funzione della religione
per i romani).in un capitolo dei discorsi rimprovera la religione cristiana che avuto un’influenza
negativa inducendo gli uomini alla rassegnazione e a svalutare le cose al mondo per guardare solo al
cielo.
- Le buone leggi: il fondamento del vivere civile perché disciplinano il comportamento dei cittadini e
inibiscono i loro istinti bestiali e li indirizzano a fini superiori
- Le milizie: fondamento delle forze dello Stato, devono essere composte da cittadini perché così si
hanno truppe fedeli e valorose ma anche perché assumere le armi rinsalda i legami del cittadino con
la sua patria e quindi contribuisce a stimolare in lui le virtù civili.
Governo migliore è quello repubblicano; il principato è una forma di eccezione e transitoria indispensabile
solo in alcuni casi. La forma repubblicana è quello che meglio può garantire la continuità perché non si fonda
sulle doti di uno solo ma su istituzioni stabili, svincolate dalle singole personalità.

Virtù e fortuna
Machiavelli sa che l’uomo nel suo agire a precisi limiti, e deve fare i conti con una serie di fattori all’esterni.
Questi limiti assumono il volto capriccioso in costante la fortuna che il frutto di una concezione laica che
porta in primo piano il combinarsi di forze puramente casuali, accidentali, e svincolate da ogni finalità
trascendente.
Dalla tradizione umanistica Machiavelli eredita la convinzione che l’uomo può fronteggiare vittoriosamente
la fortuna. Ritiene che essa sia arbitra solo della metà delle cose umani e lasci regolare l’altra metà agli
uomini. Ci sono per Machiavelli vari modi in cui l’uomo può contrapporsi con felice esito alla fortuna
1) Con l’occasione: il politico restava puramente pose potenziali segni non trovo l’occasione adatta per
affermarle e viceversa l’occasione resta pura potenzialità se un politico non sa approfittarne.
L’occasione può essere anche una condizione negativa (il principe dice che occorreva che gli ebrei
fossero schiavi in Egitto).
2) La capacità di previsione: l’abile politico deve prevedere i futuri rovesci e predisporre necessari
ripari; si fronteggiano così due forze la virtù e la fortuna.
3) Il riscontrarsi con i tempi: ovvero la duttilità nell’adattare il proprio comportamento alle varie
esigenze oggettive che si presentano nelle varie situazioni e contesti. In certe occasioni occorre agire
con cautela in altre con impeto. Qui compare una nota pessimistica: questa dote quasi mai si ritrova
negli uomini perché non sanno variare il loro comportamento secondo le circostanze, perché, se
hanno sempre avuto un buon esito nell’operare in certo modo e difficile che cambieranno quello.

La lingua e lo stile
Machiavelli si discosta dallo stile dei trattati dell’umanesimo (alto aulico e con costruzioni sul latino di
Cicerone) infatti usa una prosa che facile e leggibile che assomiglia a un elenco con un ritmo incalzante e un
lessico variegato. Usa un linguaggio colto con molti latinismi ma ci sono dei termini bassi e non usa molte
figure retoriche, dicendolo, poiché il suo intento di utilizzare figure retoriche semplici che prendono esempio
dalla realtà.
Quando si parla dello stile di Machiavelli si parla di uno stile dilemmatico propagginato: dilemmatico perché
divide fra due possibilità e propagginato perché divide in tanti sotto dilemmi; questo si può notare soprattutto
nel primo capitolo del principe.

Guicciardini
La Vita
La formazione e la carriera pubblica
Guicciardini nacque a Firenze, si sposò contro il volere paterno con Maria Salviati, appartenente a una
famiglia che si opponeva a Pier Soderini (gonfaloniere a vita della città). Ma Guicciardini, che aveva come
obiettivo un futuro ruolo politico, infatti considerava il prestigio goduto a Firenze dai parenti della moglie,
che avrebbe potuto avere nella sua vita un ruolo importante.
La sua carriera pubblica ebbe il suo inizio con il coronamento nell’incarico di ambasciatore per il re di
Spagna Ferdinando il cattolico, che portò Guicciardini ad uscire dalla ristretta cerchia dell’ambiente
giuridico fiorentino per entrare nell’ambito della grande diplomazia internazionale. Fu grazie a questo
incarico che fece un’analisi lucida e nitida delle condizioni sociali e politiche della penisola iberica.
Nel 1513 torno a Firenze, dove erano rientrati i medici. Il suo appoggio a questa famiglia sfociò nell’elezione
a governatore di Modena quando al pontificio sale Giovanni de’ medici (Leone X). Il suo ruolo si consolidò
con l’elezione a governatore di Reggio e di Parma e come commissario generale dell’esercito pontificio.
Per contrastare lo strapotere di Carlo V, propugnò un’alleanza tra gli Stati italiani e la Francia. La lega fu ben
presto sconfitta infatti nel 1527 le truppe imperiali saccheggiavano Roma mentre a Firenze veniva instaurata
la terza e ultima Repubblica.

L’allontanamento dalla politica e gli ultimi incarichi diplomatici


Coinvolto in queste vicende, e guardato con sospetto dai nuovi governanti per i suoi trascorsi medicei,
preferì rifugiarsi nella sua villa di Finocchieto. Durante questo ozio forzato diede sfogo al suo pessimismo.
Con il ritorno dei medici, rientrò nella sua città, dove fu scelto come consigliere del granduca Alessandro; il
suo successore non gli riconfermo la fiducia lasciandolo in disparte. Guicciardini si ritirò allora nella villa di
Arcetri dove trascorse i suoi ultimi anni dedicandosi all’attività letteraria: riordina i ricordi politici e civili.

I Ricordi
La visione della realtà
Nei ricordi si può vedere come Guicciardini respinge qualunque visione utopica della realtà. Non si fa storia
con immagini ideali e sognanti. Guicciardini non disconosce la nobiltà di tali ideali ma la loro inattuabilità
pratica lo porta a considerarli cose non ragionevoli.
Guicciardini è portato a giudicare positivamente la fede perché fa ostinazione e spesso il tempo, determina la
fortuna degli ostinati. Sotto gli altri aspetti la fede è considerata con tono freddo, distaccato e quasi ironico.
Parole molto dure sono rivolte anche all’istituzione ecclesiastica e agli uomini di chiesa; contro di loro si può
trovare un richiamo all’essenza e alla semplicità del messaggio evangelico. In generale l’atteggiamento è di
sostanziale indifferenza o scetticismo nei confronti del trascendente. La mancanza di una visione
provvidenziale della storia porta Guicciardini a sottolineare la varietà infinita di casi ed accidenti.
Per riuscire a comprendere la realtà e interpretarla è necessaria la discrezione ossia la capacità di distinguere
e decidere volta per volta, caso per caso, senza appellarsi a principi immutabili che non hanno alcun valore,
ma sfruttando la saggezza che viene dall’esperienza.

La genesi e i caratteri dell’opera


L’opera era destinata solo ai propri familiari e discendenti, parte dalla realtà per affrontare i problemi più
generali. Si tratta di esempi che possono offrire un utile insegnamento ma che non hanno una validità
assoluta, in quanto la realtà non obbedisce a leggi universali.
In questo senso la forma della conoscenza non può essere che limitata e relativa. Da qui deriva anche la
struttura del libro in cui i ricordi si susseguono indipendentemente l’uno dall’altro, senza fondersi in un
quadro complessivo e unitario.
La composizione dell’opera inizia nel 1512; questo è attestato dal primo gruppo di ricordi che ha come
interesse la vicenda di Firenze. Si giunge alla stesura definitiva nel 1530 con cui i ricordi diventano 221. In
questo senso l’ultima redazione rappresenta l’approdo e la conclusione degli interventi correttivi di
Guicciardini.

I ricordi come “anti-trattato” e l’elogio al particulare


I ricordi sono un anti-trattato, in quanto rinuncia una compiutezza sistematica e totalizzante del discorso. Il
pessimismo scettico che li pervade comporta un tono spesso amaro, disilluso, ironico e sdegnoso.
Guicciardini si confronta con la storia e la politica, obbedendo a un imperativo morale che la precarietà degli
eventi e il carattere relativo della verità rendono più rischioso.
Questa drammatica scommessa sulle residue possibilità della ragione deriva l’impianto fortemente logico dei
singoli ricordi: si basano su definizioni rigorose e su rapporti deduttivi, resi essenziali da uno stile asciutto e
privo di dispersioni.
Questa visione disincantata della realtà porta lo scrittore all’elogio del particolare, dell’interesse personale
come scopo ragionevolmente perseguibile dal savio. Il particulare deve essere quindi inteso come un
elemento essenziale, una forma o categoria della conoscenza, necessario per stabilire o meno l’opportunità
dell’azione.

L’età della contro riforma


Dalla riforma alla controriforma
Lutero e la riforma protestante
Lo scandalo della vendita delle indulgenze, l’insofferenza nei confronti del dogmatismo e l’esigenza di
autonomia da parte dei signori locali nei confronti del potere assoluto portano a una crisi religiosa. Il 13
ottobre 1517 Martin Lutero affisse sul portale della cattedrale di Wittenberg 95 tesi, con le quali condannava
la pratica di vendere le indulgenze. In seguito il suo gesto di stracciare in pubblico la scomunica del Papa
Leone X rappresentò l’inizio di della frattura che avrebbe diviso l’Europa cattolica.
Il punto fondamentale della riforma di Lutero è:
- Parola di Dio è interamente affidata alle sacre scritture e il fedele può accostarsi a queste attraverso
una lettura personale
Questo mostra un’avversione contro il dogmatismo perché solo l’autorità ecclesiastica quel tempo poteva
interpretare i testi.
Nato come rivolta contro il dogmatismo e a favore dell’iniziativa individuale, il protestantesimo darà luogo a
diversi orientamenti, caratterizzati in maniera autonoma. Tra questi e noto il calvinismo, che da Ginevra si
diffuse in Francia, Olanda, Polonia e Ungheria. Da questo venne ispirato anche l’Inghilterra che con lo
scisma della chiesa anglicana pose come suo capo religioso il re.

Il concilio di Trento e la repressione degli eretici


Per trovare una soluzione alla crisi religiosa, la chiesa convocò il concilio di Trento dal 1545 al 1563:
- La chiesa ribadì rigorosamente le sue posizioni: essa era la sola depositaria della verità in materia di
fede e l’autorità del Papa restava indiscutibile; la chiesa rafforzò i suoi poteri e riorganizzò le sue
istituzioni dando inizio all’età della controriforma
- Intensificò l’opera di controllo, di prevenzione e di repressione contro ogni forma di dissenso.
- L’inquisizione diventò il principale strumento di lotta all’eresia, oltre che di controllo sulle
manifestazioni del pensiero cattolico, mentre al tribunale del Santo Uffizio erano affidati i processi
contro gli eretici. Di fronte a questo si poteva abiurare o morire.

Le istituzioni culturali
La compagnia di Gesù e l’indice dei libri proibiti
Il principale strumento di organizzazione politico-culturale fu l’ordine dei gesuiti fondato da Sant’Ignazio di
Loyola e caratterizzato al voto di assoluta obbedienza al pontefice. La compagnia si dedicò soprattutto
all’attività missionaria di evangelizzazione in Europa nel nuovo mondo e all’insegnamento. Fondò numerosi
collegi, frequentati sia dei religiosi sia da laici, mettendo a punto un programma di insegnamento omogeneo
e compatto, volto a formare i quadri della futura classe dirigente. Effettuava un controllo sulla cultura e di
conseguenza anche sugli intellettuali praticavano inoltre conversioni anche in maniera brutale.
Il tribunale ecclesiastico del Santo Uffizio cominciò a pubblicare l’indice dei libri proibiti un elenco ufficiale
delle pubblicazioni ritenute contrarie ai rigidi principi della morale cattolica, tra queste possiamo trovare il
principe di Machiavelli.

La censura e la decadenza della filologia


Per comprendere meglio come agiva la censura ecclesiastica prendiamo l’esempio del Decameron: ormai
diffusissimo e questo capolavoro non poteva essere cancellato, ma non sembrava neppure lecito consentirne
la circolazione, a causa dei suoi contenuti ritenuti immorali e contrari ai principi religiosi. L’opera viene
perciò sottoposta a diverse revisioni dette rassettatura finché si afferma quella preparata da un filologo. La
sua edizione è corredata da frequenti annotazioni sul margine che mettono in guardia il lettore e lo
richiamano all’interpretazione voluta dal revisore. A volte vengono anche stravolti e rovesciati i significati
originali dell’opera.
La filologia aveva profondamente rinnovato il metodo dello studio storico, risultando nell’espressione dello
spirito critico dell’indipendenza di giudizio dagli intellettuali umanisti. Nella seconda metà del 500 questo
spirito risultava completamente tradito e la filologia si trasforma in anti-filologia, negando i fondamenti su
cui si era affermata come scienza autonoma indipendente.

Il rapporto tra intellettuali e potere: la corte, l’accademia e l’editoria


Il problema della censura riguarda il rapporto degli intellettuali con il potere politico religioso. Per
conservare un’immagine di indipendenza tasso lo fa in maniera drammatica e conflittuale, con ripercussioni
profonde sul piano psicologico letterario.
Crescono le difficoltà di conciliare le esigenze individuali con le strutture delle istituzioni culturali; il
discorso si riferisce soprattutto alle accademie, che si trasformi in organismi sempre più burocratici e
formali.

Le tendenze culturali e la visione del mondo


Il manierismo: reazione al classicismo e il ritorno dell’irrazionale.
Nella prima metà del XVI secolo la poetica dominante è quella del classicismo che ha come i principi
l’ordine, la misura, l’equilibrio psicologico e il decoro formale. Nei confronti di questo modello si determina
ben presto una reazione, che rifiuta i presupposti ideologici e critica i metodi della letteratura ufficiale.
Per indicare questa tendenza che recupera gli aspetti irrazionali si usa il termine anti-rinascimento che
determina lo sprigionarsi di forze opposte e contrastanti. In questo si può cogliere la genesi del manierismo
che si manifesta più apertamente nell’ultima metà del 500. Con questo termine si intende una disposizione
artistico-culturale che rappresenta un ritorno all’irrazionale e la rottura degli equilibri, è una sperimentazione
formale in cui avviene una forte contaminazione degli stili. Il manierismo da il via a nuovi argomenti
letterari.

Le tematiche ricorrenti
Delle tematiche che si sviluppano sono la follia e la malinconia. La pazzia diviene oggetto di una diretta
rappresentazione, come caso clinico e patologico strettamente legato al disordine del mondo. Accanto alla
follia si può ricordare il motivo della malinconia, che risulta una delle componenti essenziali della poesia
tassiane.
Gli scrittori frequentavano anche altre tematiche come quelle magico-demoniache presenti, ad esempio, nella
Gerusalemme liberata di tasso. Inoltre, gli scrittori sono spinti ad insistere sul tema dell’orrore.
Il difficile rapporto tra l’individuo e la realtà storico-sociale trova infine un’espressione nella ricerca di
soluzioni utopiche. Questi scritti si possono ricondurre all’utopia del grande Tommaso moro nella quale
viene descritta una Repubblica ideale, regolata alla perfezione delle sue istituzioni politico sociali. (In
preparazione al barocco)

La concezione del mondo e dell’individuo


Il rapporto privilegiato uomo-mondo viene modificato da Nicolò Copernico, il quale rifiutando la vecchia
concezione tolemaica formula l’ipotesi eliocentrica; avviene una crisi delle certezze che porta il ritorno del
dogmatismo.
Idea di una nuova relatività si trova nell’opera di giordano Bruno. Per lui l’uomo non cessa di essere al
centro dell’universo ma il centro può essere un mago perfetto (giordano Bruno insegnava magia e pensava
che la filosofia fosse meglio della religione; viene chiamato un veneziano per insegnare la magia, questo era
invidioso del fatto che Bruno si sarebbe trasferito in Germania, di conseguenza, chiama l’inquisizione per
catturarlo). Si apre anche la ricerca di nuove esperienze e soluzioni espressive questo porta a un’indagine del
mondo in modo diverso.

Generi e forme della letteratura


Le forme della prosa
Il rifiuto di Machiavelli, accusato di immoralità e di irreligiosità, induce a cercare altri modelli. Nasce così il
fenomeno del tacitismo, ispirato allo storico latino tacito che aveva raffigurato la corruzione del potere e
aveva espresso una condanna morale assente nello spregiudicato realismo di Machiavelli. Questo porta alla
formazione del trattato di argomento politico in cui si parla di morale in politica.
Importante è l’inaugurazione di un nuovo genere ovvero l’autobiografia fatto da benvenuto Cellini. Condotta
in prima persona la narrazione mette risalto la personalità dell’artista ed esprime una visione del reale
minacciosa sottoposta a trame oscure e irrazionali tipiche della mentalità medievale e delle sue credenze
superstiziose. Spicca anche una scrittura vivace e sbrigliata.

Le forme della poesia


Restano immutate le caratteristiche registrate nel primo 500. Il petrarchismo meridionale registra
un’inquietudine e un allentamento delle formule, ad esempio, nei versi di Luigi tansillo. La narrativa in versi
subisce una netta inversione di tendenza in cui alla libertà inventiva del romanzo ariostesco, viene
contrapposta la gravità di intenti del poema epico, che trae nuovo slancio delle condizioni storiche del tempo.
Contenuti austeri solenni caratterizzano anche l’opera più importante il secondo 500 ovvero la Gerusalemme
liberata. Ma l’accettazione dei principi imposti crea un profondo conflitto intellettuale.

La letteratura drammatica
Nel campo della commedia si raggiunge una soluzione del compromesso tra il gusto del pubblico le direttive
degli intellettuali con quella di Terenzio che rappresenta sentimenti più elevati e drammi psicologici. Si apre
anche la strada la cosiddetta commedia d’arte.
Le vicende iniziano ad avere come protagonisti ninfe e pastori, immensi in una realtà artificiale idealizzata
divisione di sogno

Torquato tasso
La vita
Gli anni sereni
Suo padre era gentiluomo di corte e poeta, autore di un poema cavalleresco. Nasce a Sorrento nel 1560 passò
da Padova per frequentare una prestigiosa università dove studiò il diritto, la filosofia e la letteratura. Nel
1565 fu assunto al servizio del cardinale Luigi d’Este e si trasferì a Ferrara (una corte di perse prestigio) il
poeta trascorse gli anni più sereni più fecondi dal punto di vista creativo.
La corte ferrarese era stata particolarmente amante della letteratura cavalleresca: per questo tasso fu
stimolato a lavorare al poema epico sulla crociata che aveva già ripreso nel 1565.

Gli anni tormentati


Con la conclusione del poema si spezzò anche l’equilibrio della sua esistenza. Alla sua opera egli guardava
con inquietudine e insoddisfazione, ed era tormentato da renderla perfetta e aderente ai canoni letterari.
Recatosi a Roma sottopose il poema al giudizio di un gruppo di autorevoli letterati. Costoro fecero le critiche
più meschine: tasso la difendeva appassionatamente, ma lo stesso tempo le critiche lo rendevano sempre più
incerto perché egli condivideva gli scrupoli e si sentiva obbligato a intervenire sul suo poema con tagli e
modifiche per renderlo conforme alle regole.
Fu assalito da dubbi anche sulla propria ortodossia nella fede cattolica e si sottopose spontaneamente
all’inquisizione; naturalmente fu assolto. A questi sintomi inquietanti si univano manie di persecuzione: un
giorno sentendosi spiato da un servo in scagliò contro il coltello. Il duca lo fece rinchiudere nel convento di
San Francesco ma egli fuggì. Giunto a Sorrento si presentò alla sorella mascherato annunciando la propria
morte per mettere alla prova il suo amore: anche questo è un comportamento che indica turbe psichiche, che
rivela un insieme una profonda insicurezza e un bisogno di essere amato. Davanti al dolore della sorella il
poeta svela la propria identità. Passo anche a Torino e si fermò presso Emanuele Filiberto di Savoia.

La reclusione a Sant’Anna e l’ultimo periodo


Tornò a Ferrara mentre si celebravano le terze nozze del duca, non trovando l’accoglienza calorosa che si
aspettava diede in escandescenze tanto che il duca lo fece rinchiudere come pazzo nell’ospedale di
Sant’Anna, dove rimase sette anni. Questo gli consentì di ricevere visite e scrisse numerose rime. Tuttavia,
dovette subire gravi sofferenze fisiche e psichiche: era turbato da incubi continui e allucinazioni, era
convinto che un folletto gli mettesse in disordine le carte e che un mago lo perseguitasse con incantesimi
maligni. Aveva tendenze anche autopunitive.
Il duca teneva prigioniero il poeta perché: Alfonso che pretendeva che la sua morte Ferrara tornasse la
chiesa, volendo evitare che si proiettasse sulla sua corte qualsiasi sospetto di eresia, che poteva essere
pericoloso. Gli scrupoli del poeta potevano offrire il pretesto per accusare il genere; inoltre la madre del duca
era incline ai protestanti.
La prigionia ebbe termine quando il duca di Mantova ottenne che il poeta fosse affidato alla sua custodia. Ma
l’irrequietezza non consentiva a tasso di restare a lungo a Mantova e nei suoi ultimi anni alternò soggiorni a
Roma e a Napoli. Gli venne proposta l’incoronazione poetica a Roma ma tasso si era ammalato gravemente e
morì nell’aprile del 1595.
La corte per tasso
Tasso è un poeta lacerato da profonde contraddizioni: se celebrava la corte e si protende verso di essa,
dall’altro lato prova anche una segreta avversione che si esprime nei suoi atteggiamenti di rivolta violenta,
nelle sue fughe continue, nel suo irrequieto vagabondare da un centro all’altro senza mai trovare un luogo in
cui sedere stabilmente.

La Gerusalemme liberata
Genesi, composizione e prime edizioni
Nel 1559 aveva composto le 116 ottave del Gierusalemme. L’ispirazione era però venuta a mancare e il
giovanissimo poeta aveva abbandonato l’impresa. Tasso tornò al progetto nel 1565. Il poema uscì a Ferrara
nel 1581 con il titolo Gerusalemme liberata; più tardi, nel 1584, uscirà una nuova edizione diversa per alcuni
interventi di censura fatti dall’autore stesso. Il poema riscosse subito grande successo (lezioni di oggi
riproducono il testo non censurato).
Il poeta si spira alle fine lettere che avevano come obiettivo di dare un insegnamento morale con storie
verosimili.

La poetica: il verosimile, il giovamento, il diletto


La poesia tratta del verosimile e di ciò che sarebbe potuto avvenire. Il poema epico per ottenere l’effetto del
verosimile deve trattare della materia della storia ma deve riservarsi un margine di finzione. Perciò non deve
assumere una materia troppo vicina e neppure una materia troppo remota.
Tasso respinge il meraviglioso fiabesco e fantastico del romanzo cavalleresco, poiché comprometterebbe il
verosimile mentre il meraviglioso del poema eroico col verisimile deve potersi conciliare perfettamente. La
soluzione proposta al poeta il meraviglioso cristiano.

Lo stile sublime
Lo stile deve avere lo splendore di una meravigliosa maestà. I concetti devono riguardare le cose più grandi,
Dio, gli eroi e le gesta straordinarie. Le parole devono essere lontane dall’uso comune senza cadere
nell’oscurità. La sintassi deve avere del magnifico e lunghi periodi. Fonte di magnificenza dello stile è anche
l’asprezza ottenuta con spezzature e pause all’interno del verso, enjambements, scontri di consonanti e
vocali.

L’argomento e il genere
Si rivolge a una materia storica, la sola che possa garantire la verosimiglianza richiesta. L’argomento della
prima crociata consente anche di introdurre un poema meraviglioso che sia verosimile e incredibile.
La necessità di una nuova crociata era un motivo che si era affacciato nella cultura occidentale sin dalla
conquista di Costantinopoli ed era diventato di estrema attualità con l’avanzata dei turchi nel Mediterraneo e
con la battaglia di Lepanto. Quindi parla dei problemi di grande urgenza.
Tasso guarda il modello dei poemi epici classici: l’Iliade e l’Eneide; infatti parla solo degli ultimi mesi della
crociata come succede nell’Iliade.
Oltre all’intento celebrativo delle idealità religiose il poeta mira ad un fine pedagogico. Le bellezze poetiche
servono solo ad allettare chi legge e a disporlo ad assimilare agevolmente la lezione morale.

Il bifrontismo tassesco
L’attrazione per il magico
Alla religione fondata su verità definite dalla teologia e sui riti consacrati si contrappone un’attrazione per un
sovrannaturale magico e demoniaco, come si coglie nei numerosi episodi in cui intervengono le potenze
infernali.

La contrapposizione tra la visione rinascimentale e quella della controriforma


Si nota il conflitto tra due codici all’interno della stessa cultura, quella occidentale e cristiana. I pagani,
infatti, sono i portatori di una visione laica che si rifà ai valori rinascimentali: con temi come il pluralismo,
delle concezioni di tolleranza, edonismo e ricerca del piacere.
Al contrario i cristiani sono portatori del codice culturale tipico dell’età della controriforma: un’istanza
autoritaria che non accetta il pluralismo, non tollera il diverso e vuole ricondurre tutto il mondo all’unità
della fede.
Però alcuni eroi sviano dal loro compito e invece di subordinare ogni loro impulso al fine religioso
perseguono fini di gloria mondana puramente individuali. Queste spinte dispersive sono sentite come errori.

Il diverso
Tasso è attratto dalla devianza che si manifesta nelle forme della molteplicità: trova il fascino dei valori
rinascimentali, il pluralismo, tolleranza, l’edonismo e l’individualismo. Si è rivelato un evidente simpatia per
i devianti, per i nemici, per gli sconfitti: l’identificazione emotiva profonda del poeta con loro e ciò che fa sì
che i personaggi devianti siano anche quelli artisticamente più felici, mentre quelli che incarnano l’autorità
sono più convenzionali sbiaditi quindi meno vivi poeticamente.

La struttura narrativa
Continua ad essere presente una perenne tensione tra molteplicità e unità. Tasso costruisce un’azione
rigorosamente unitaria; ma in realtà dalla linea centrale divergono molti altri fili narrativi sotto la spinta del
desiderio di gloria e d’amore, di azioni fortemente individualizzate, che assumono una grande autonomia
narrativa. Sente inoltre il fascino della molteplicità e della dispersione romanzesca. Tuttavia, la struttura
unitaria è sempre messa in pericolo dalle spinte centrifughe.

Il punto di vista
Il bifrontismo si può cogliere anche nell’organizzazione del punto di vista. La narrazione continuamente
mobile si colloca sia nel campo cristiano che in quello pagano. Questo scambio di prospettive si verifica
costantemente nel poema.
La focalizzazione interna ai personaggi pagani si traduce con la simpatia per i nemici e gli sconfitti: il fatto
che l’altro possa fermare nella narrazione il suo punto di vista è il segno della dignità che il poeta gli
conferisce. Il codice culturale laico-rinascimentale assume un ruolo paritetico rispetto al codice cristiano e
contro riformistico.

L’organizzazione dello spazio


Nella Gerusalemme liberata si interseca uno spazio orizzontale e uno spazio verticale. Si ripropone quindi la
dimensione trascendente. Nell’Orlando furioso invece si trovava solo lo spazio orizzontale in cui erano
contemplati anche luoghi di fantasia, ma era uno spazio del tutto laico, infatti, in questo poema la luna è il
posto dove si ritrovano tutte le cose perse ma non è uno spazio trascendente.
Lo spazio verticale per tasso è fortemente polarizzato secondo una opposizione di valore: cielo e inferno
rappresentano il bene il male, si trasferisce nella verticalità spaziale l’opposizione tra il cielo e l’inferno.
Lo spazio orizzontale è ugualmente polarizzato tra Gerusalemme e il campo dei crociati in cui il secondo è
visto come uno spazio centrifugo che fa deviare i personaggi e di conseguenza è il polo negativo. Al
contrario per Ariosto tutti gli spazi della terra erano uguali e quindi nessuno era un polo positivo o negativo.

Il tempo
Nella Gerusalemme liberata si vede una linearità temporale, di conseguenza, non sia più il tempo sinuoso del
poema ariostesco, determinato dalla pluralità delle azioni che costringeva il narratore a continui salti nel
tempo per tornare indietro a riprendere vicende che si svolgevano contemporaneamente. All’interno dello
sviluppo temporale della Gerusalemme liberata ci sono solo brevi flashback.

Lo stile
La tensione verso il grande, il magnifico il sublime è ottenuta con i calchi classici: con gran frequenza ritorna
nel discorso immagini, formule, stilemi e versi di altri poeti. Contribuisce poi il fitto uso di figure retoriche.
Il poeta predilige parole inconsuete lontano dall’uso comune o impiegate con accezione particolare, oppure
usate in senso traslato lontano dal significato proprio. Si vedono frequenti enjambement. Si vede anche la
ricerca di cadenze musicali o di intense notazioni coloristiche e visive, questo viene chiamato concettismo
barocco, infatti, l’obiettivo di tasso era suscitare meraviglia.

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