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Machiavelli lo possiamo collocare dal punto di vista stilistico nel rinascimento mail suo stile si ricollega
molto all’umanesimo perché si basava molto sui classici latini perché non studiò il greco.
Nel rinascimento era popolare la trattatistica in prosa, infatti, Machiavelli scrisse opere di trattativa politica
poiché il governo di Lorenzo il Magnifico era in crisi, infatti, dopo la sua morte si spezzarono tutti gli
equilibri che lui aveva creato.
AL centro della sua trattazione mette l’uomo assieme a una tematica che si era sviluppata anche
nell’umanesimo ovvero il rapporto tra l’uomo e la fortuna (come fece in precedenza Boccaccio); è
importante il fatto che l’uomo può controllare la fortuna, Machiavelli vive a pieno il contesto storico
culturale in cui si trovava.
All’inizio era rappresentato sotto una cattiva luce a causa dell’aforismo “il fine giustifica i mezzi” e anche a
causa di alcune sue posizioni politiche viene messo tra l’indice dei libri proibiti.
Machiavelli si concentra molto sulla realtà.
Era considerato un intellettuale comunale infatti partecipava alla vita politica ed esprimeva apertamente le
sue opinioni.
La vita
L’attività politica
Veniva da una famiglia borghese di modesta agiatezza, ebbe un’educazione umanistica basata sui classici
latini ma non imparò il greco e quindi non era in grado di leggere alcuni testi originali.
La sua presenza venne notata per la prima volta tra gli oppositori di Savonarola (che salì al potere dopo la
morte di Lorenzo e criticò la chiesa per questo venne bruciato in piazza a Firenze e fu così che gli oppositori
politici andarono al potere ->) concorse alla segreteria della seconda cancelleria del Comune, questa
posizione implicava missioni diplomatiche verso altri stati.
I 14 anni che passo in questa posizione furono molto preziosi perché gli fecero accumulare un’esperienza
diretta della realtà politica e militare del tempo da cui poi trasse le sue riflessioni, teorie e analisi che poi
troviamo nelle sue opere.
Andò alla corte del re Luigi XII dove scoprì il funzionamento dello stato francese e ne rimase così tanto
ammaliato che lo considerava come modello per uno stato italiano.
Andò alla corte di Cesare Borgia che era figlio del papa Alessandro VI, rimase molto colpito dalla sua figura
di politico audace e spregiudicato infatti assistette allo sterminio dei partecipanti di una congiura; quando
morì suo padre la sua sfortuna iniziò a scemare e lui mori due mesi dopo.
L’epistolario
Le lettere “familiari” scritte da Machiavelli ad amici e conoscenti, ci sono arrivate parzialmente. Non sono
lettere composte in vista della pubblicazione, quindi sono stese con grande immediatezza e intessono un
colloquio autentico e libero con i destinatari.
Tra queste lettere spicca il blocco di quelle scritte a Francesco Vettori posteriormente alla perdita degli
incarichi politici. Quella famosissima è del 10 dicembre 1513, in cui Machiavelli descrive la sua giornata
nell’esilio, le futili occupazioni del mattino e il pomeriggio, a cui si contrappone lo studio dei classici, che è
un riscatto dalla degradazione e dell’avvilimento di una vita vuota. La lettera è importante anche perché
fornisce l’indicazione dell’avvenuta composizione del principe.
Il Principe
La genesi e la composizione dell’opera
Gli studiosi collocano la composizione tra luglio e dicembre 1513, in una stesura di getto, mentre si ritiene
scritta a posteriori la dedica a Lorenzo de’Medici e anche il capitolo finale, che esorta a liberare l’Italia dai
“barbari”, sembra di staccarsi dal tono argomentativo del trattato.
Per i discorsi invece la stesura è iniziata nel 1513 ma interrotta per far spazio alla stesura del principe che,
secondo Machiavelli, aveva più urgenza. Il principe non fu dato alle stampe e circolò come manoscritto in
una cerchia ristretta a Firenze; fu pubblicato postumo nel 1532, suscitando subito scalpore.
La struttura e i contenuti
Il principe è un’opera molto breve, scritta concisamente. Si articola in 26 capitoli, che hanno titoli in latino.
È divisa in:
I – XI: esaminano i vari tipi di principato e individuano i mezzi che consentono di conquistarlo e
mantenerlo.
XII – XIV: sono dedicati al problema delle milizie; Machiavelli giudica negativamente l’uso dei
mercenari perché combattono solo per denaro e costituiscono una delle principali cause della
debolezza e delle pesanti sconfitte italiane.
XV – XXIII: trattano dei modi di comportarsi del principe con i sudditi e con gli amici. Sono i
capitoli che hanno immediatamente suscitato più scalpore e hanno attirato per secoli su Machiavelli
la condanna.
XXIV: esamina le cause per cui i principi italiani hanno perso i loro Stati; la causa per lui è l’ignavia
dei principi.
XXV: parla del rapporto tra virtù e fortuna e della capacità, che deve essere propria del politico, di
porre argini alle variazioni della fortuna (paragonata un fiume in piena).
XXVI: un’esortazione ad un principe nuovo che sappia porsi a capo del popolo italiano e liberare
l’Italia dai barbari.
I discorsi
I contenuti e il genere
Il nucleo originario dell’opera era costituito dalle carte “Liviana”, ovvero punti a cui Machiavelli affidava le
riflessioni politiche dalla lettura dei primi 10 libri dalla storia di Livio, in cui si tratta la Roma repubblicana.
Ne risultano i discorsi, dedicati a due amici.
L’opera fu diviso in tre libri:
- Primo: si tratta delle iniziative di politica interna di Roma
- Secondo: si tratta dell’iniziative di politica estera e dell’espansione dell’impero.
- Terzo: tratta delle azioni dei singoli cittadini.
Machiavelli ritiene che dalla storia passata si possano ricavare esempi validi per ogni tempo, offre
continuamente lo spunto per riflessioni su problemi politici generali e sulla situazione del presente. Anche i
discorsi non furono stampati dell’autore e circolarono manoscritti, furono poi pubblicati postumi.
I discorsi non rientrano in un genere individuabile: il libro non ha la struttura del trattato organico ma è una
serie di riflessioni su singoli temi. È un’opera diversa dal principe, infatti, i discorsi si abbandonano alla
riflessione.
Il pensiero politico
Teoria e prassi
Le sue concezioni nascono dal rapporto diretto con la realtà storica, in cui egli è impegnato grazie gli
incarichi che ricopre. Il suo pensiero si presenta come una stretta fusione di teoria e prassi.
Alla base della sua riflessione vi è la coscienza lucida e sofferta da: una crisi politica in quanto l’Italia non
presenta solidi organismi unitari come le potenze europee; crisi militare, perché si fonda su milizie
mercenarie e compagnie di ventura; crisi morale, perché sono scomparsi i valori che danno fondamento a un
vivere civile e sono stati sostituiti da un atteggiamento scettico, che induce ad abbandonarsi al capriccio della
fortuna senza reagire.
Per Machiavelli l’unica via di uscita è un principe dalla straordinaria virtù, capace di organizzare le energie e
di costruire una compagnia statale abbastanza forte da contrastare gli Stati vicini.
Machiavelli elabora una teoria che aspira ad avere una portata universale, a fondarsi su leggi valide in tutti i
tempi e in tutti luoghi. Questo conferisce alle sue opere uno straordinario valore letterario, ma la sua
speculazione assume la fisionomia di una vera teoria scientifica.
Il metodo
Machiavelli delinea il metodo della nuova scienza. Perché vuole agire sulla realtà, ne deve tener conto,
quindi per ogni costruzione teorica parte sempre dall’indagine sulla realtà concreta. Colpisce che nel principe
avviene il continuo ricorrere di massime universali, pronunciate con sicurezza come se fossero indiscutibili.
Dietro ognuna di quelle massime è accumulata una massa enorme di dati ricavati dall’esperienza. Il partire
dall’osservazione diretta della realtà è l’aspetto caratterizzante il mito scientifico moderno.
L’esperienza per Machiavelli può essere di due tipi quella diretta (esperienza delle cose moderne) ricavata
dalla partecipazione personale alle vicende, e quella ricavata dalla lettura degli autori antichi (lezione delle
Antique); cambia solo il veicolo della trasmissione dei dati.
Virtù e fortuna
Machiavelli sa che l’uomo nel suo agire a precisi limiti, e deve fare i conti con una serie di fattori all’esterni.
Questi limiti assumono il volto capriccioso in costante la fortuna che il frutto di una concezione laica che
porta in primo piano il combinarsi di forze puramente casuali, accidentali, e svincolate da ogni finalità
trascendente.
Dalla tradizione umanistica Machiavelli eredita la convinzione che l’uomo può fronteggiare vittoriosamente
la fortuna. Ritiene che essa sia arbitra solo della metà delle cose umani e lasci regolare l’altra metà agli
uomini. Ci sono per Machiavelli vari modi in cui l’uomo può contrapporsi con felice esito alla fortuna
1) Con l’occasione: il politico restava puramente pose potenziali segni non trovo l’occasione adatta per
affermarle e viceversa l’occasione resta pura potenzialità se un politico non sa approfittarne.
L’occasione può essere anche una condizione negativa (il principe dice che occorreva che gli ebrei
fossero schiavi in Egitto).
2) La capacità di previsione: l’abile politico deve prevedere i futuri rovesci e predisporre necessari
ripari; si fronteggiano così due forze la virtù e la fortuna.
3) Il riscontrarsi con i tempi: ovvero la duttilità nell’adattare il proprio comportamento alle varie
esigenze oggettive che si presentano nelle varie situazioni e contesti. In certe occasioni occorre agire
con cautela in altre con impeto. Qui compare una nota pessimistica: questa dote quasi mai si ritrova
negli uomini perché non sanno variare il loro comportamento secondo le circostanze, perché, se
hanno sempre avuto un buon esito nell’operare in certo modo e difficile che cambieranno quello.
La lingua e lo stile
Machiavelli si discosta dallo stile dei trattati dell’umanesimo (alto aulico e con costruzioni sul latino di
Cicerone) infatti usa una prosa che facile e leggibile che assomiglia a un elenco con un ritmo incalzante e un
lessico variegato. Usa un linguaggio colto con molti latinismi ma ci sono dei termini bassi e non usa molte
figure retoriche, dicendolo, poiché il suo intento di utilizzare figure retoriche semplici che prendono esempio
dalla realtà.
Quando si parla dello stile di Machiavelli si parla di uno stile dilemmatico propagginato: dilemmatico perché
divide fra due possibilità e propagginato perché divide in tanti sotto dilemmi; questo si può notare soprattutto
nel primo capitolo del principe.
Guicciardini
La Vita
La formazione e la carriera pubblica
Guicciardini nacque a Firenze, si sposò contro il volere paterno con Maria Salviati, appartenente a una
famiglia che si opponeva a Pier Soderini (gonfaloniere a vita della città). Ma Guicciardini, che aveva come
obiettivo un futuro ruolo politico, infatti considerava il prestigio goduto a Firenze dai parenti della moglie,
che avrebbe potuto avere nella sua vita un ruolo importante.
La sua carriera pubblica ebbe il suo inizio con il coronamento nell’incarico di ambasciatore per il re di
Spagna Ferdinando il cattolico, che portò Guicciardini ad uscire dalla ristretta cerchia dell’ambiente
giuridico fiorentino per entrare nell’ambito della grande diplomazia internazionale. Fu grazie a questo
incarico che fece un’analisi lucida e nitida delle condizioni sociali e politiche della penisola iberica.
Nel 1513 torno a Firenze, dove erano rientrati i medici. Il suo appoggio a questa famiglia sfociò nell’elezione
a governatore di Modena quando al pontificio sale Giovanni de’ medici (Leone X). Il suo ruolo si consolidò
con l’elezione a governatore di Reggio e di Parma e come commissario generale dell’esercito pontificio.
Per contrastare lo strapotere di Carlo V, propugnò un’alleanza tra gli Stati italiani e la Francia. La lega fu ben
presto sconfitta infatti nel 1527 le truppe imperiali saccheggiavano Roma mentre a Firenze veniva instaurata
la terza e ultima Repubblica.
I Ricordi
La visione della realtà
Nei ricordi si può vedere come Guicciardini respinge qualunque visione utopica della realtà. Non si fa storia
con immagini ideali e sognanti. Guicciardini non disconosce la nobiltà di tali ideali ma la loro inattuabilità
pratica lo porta a considerarli cose non ragionevoli.
Guicciardini è portato a giudicare positivamente la fede perché fa ostinazione e spesso il tempo, determina la
fortuna degli ostinati. Sotto gli altri aspetti la fede è considerata con tono freddo, distaccato e quasi ironico.
Parole molto dure sono rivolte anche all’istituzione ecclesiastica e agli uomini di chiesa; contro di loro si può
trovare un richiamo all’essenza e alla semplicità del messaggio evangelico. In generale l’atteggiamento è di
sostanziale indifferenza o scetticismo nei confronti del trascendente. La mancanza di una visione
provvidenziale della storia porta Guicciardini a sottolineare la varietà infinita di casi ed accidenti.
Per riuscire a comprendere la realtà e interpretarla è necessaria la discrezione ossia la capacità di distinguere
e decidere volta per volta, caso per caso, senza appellarsi a principi immutabili che non hanno alcun valore,
ma sfruttando la saggezza che viene dall’esperienza.
Le istituzioni culturali
La compagnia di Gesù e l’indice dei libri proibiti
Il principale strumento di organizzazione politico-culturale fu l’ordine dei gesuiti fondato da Sant’Ignazio di
Loyola e caratterizzato al voto di assoluta obbedienza al pontefice. La compagnia si dedicò soprattutto
all’attività missionaria di evangelizzazione in Europa nel nuovo mondo e all’insegnamento. Fondò numerosi
collegi, frequentati sia dei religiosi sia da laici, mettendo a punto un programma di insegnamento omogeneo
e compatto, volto a formare i quadri della futura classe dirigente. Effettuava un controllo sulla cultura e di
conseguenza anche sugli intellettuali praticavano inoltre conversioni anche in maniera brutale.
Il tribunale ecclesiastico del Santo Uffizio cominciò a pubblicare l’indice dei libri proibiti un elenco ufficiale
delle pubblicazioni ritenute contrarie ai rigidi principi della morale cattolica, tra queste possiamo trovare il
principe di Machiavelli.
Le tematiche ricorrenti
Delle tematiche che si sviluppano sono la follia e la malinconia. La pazzia diviene oggetto di una diretta
rappresentazione, come caso clinico e patologico strettamente legato al disordine del mondo. Accanto alla
follia si può ricordare il motivo della malinconia, che risulta una delle componenti essenziali della poesia
tassiane.
Gli scrittori frequentavano anche altre tematiche come quelle magico-demoniache presenti, ad esempio, nella
Gerusalemme liberata di tasso. Inoltre, gli scrittori sono spinti ad insistere sul tema dell’orrore.
Il difficile rapporto tra l’individuo e la realtà storico-sociale trova infine un’espressione nella ricerca di
soluzioni utopiche. Questi scritti si possono ricondurre all’utopia del grande Tommaso moro nella quale
viene descritta una Repubblica ideale, regolata alla perfezione delle sue istituzioni politico sociali. (In
preparazione al barocco)
La letteratura drammatica
Nel campo della commedia si raggiunge una soluzione del compromesso tra il gusto del pubblico le direttive
degli intellettuali con quella di Terenzio che rappresenta sentimenti più elevati e drammi psicologici. Si apre
anche la strada la cosiddetta commedia d’arte.
Le vicende iniziano ad avere come protagonisti ninfe e pastori, immensi in una realtà artificiale idealizzata
divisione di sogno
Torquato tasso
La vita
Gli anni sereni
Suo padre era gentiluomo di corte e poeta, autore di un poema cavalleresco. Nasce a Sorrento nel 1560 passò
da Padova per frequentare una prestigiosa università dove studiò il diritto, la filosofia e la letteratura. Nel
1565 fu assunto al servizio del cardinale Luigi d’Este e si trasferì a Ferrara (una corte di perse prestigio) il
poeta trascorse gli anni più sereni più fecondi dal punto di vista creativo.
La corte ferrarese era stata particolarmente amante della letteratura cavalleresca: per questo tasso fu
stimolato a lavorare al poema epico sulla crociata che aveva già ripreso nel 1565.
La Gerusalemme liberata
Genesi, composizione e prime edizioni
Nel 1559 aveva composto le 116 ottave del Gierusalemme. L’ispirazione era però venuta a mancare e il
giovanissimo poeta aveva abbandonato l’impresa. Tasso tornò al progetto nel 1565. Il poema uscì a Ferrara
nel 1581 con il titolo Gerusalemme liberata; più tardi, nel 1584, uscirà una nuova edizione diversa per alcuni
interventi di censura fatti dall’autore stesso. Il poema riscosse subito grande successo (lezioni di oggi
riproducono il testo non censurato).
Il poeta si spira alle fine lettere che avevano come obiettivo di dare un insegnamento morale con storie
verosimili.
Lo stile sublime
Lo stile deve avere lo splendore di una meravigliosa maestà. I concetti devono riguardare le cose più grandi,
Dio, gli eroi e le gesta straordinarie. Le parole devono essere lontane dall’uso comune senza cadere
nell’oscurità. La sintassi deve avere del magnifico e lunghi periodi. Fonte di magnificenza dello stile è anche
l’asprezza ottenuta con spezzature e pause all’interno del verso, enjambements, scontri di consonanti e
vocali.
L’argomento e il genere
Si rivolge a una materia storica, la sola che possa garantire la verosimiglianza richiesta. L’argomento della
prima crociata consente anche di introdurre un poema meraviglioso che sia verosimile e incredibile.
La necessità di una nuova crociata era un motivo che si era affacciato nella cultura occidentale sin dalla
conquista di Costantinopoli ed era diventato di estrema attualità con l’avanzata dei turchi nel Mediterraneo e
con la battaglia di Lepanto. Quindi parla dei problemi di grande urgenza.
Tasso guarda il modello dei poemi epici classici: l’Iliade e l’Eneide; infatti parla solo degli ultimi mesi della
crociata come succede nell’Iliade.
Oltre all’intento celebrativo delle idealità religiose il poeta mira ad un fine pedagogico. Le bellezze poetiche
servono solo ad allettare chi legge e a disporlo ad assimilare agevolmente la lezione morale.
Il bifrontismo tassesco
L’attrazione per il magico
Alla religione fondata su verità definite dalla teologia e sui riti consacrati si contrappone un’attrazione per un
sovrannaturale magico e demoniaco, come si coglie nei numerosi episodi in cui intervengono le potenze
infernali.
Il diverso
Tasso è attratto dalla devianza che si manifesta nelle forme della molteplicità: trova il fascino dei valori
rinascimentali, il pluralismo, tolleranza, l’edonismo e l’individualismo. Si è rivelato un evidente simpatia per
i devianti, per i nemici, per gli sconfitti: l’identificazione emotiva profonda del poeta con loro e ciò che fa sì
che i personaggi devianti siano anche quelli artisticamente più felici, mentre quelli che incarnano l’autorità
sono più convenzionali sbiaditi quindi meno vivi poeticamente.
La struttura narrativa
Continua ad essere presente una perenne tensione tra molteplicità e unità. Tasso costruisce un’azione
rigorosamente unitaria; ma in realtà dalla linea centrale divergono molti altri fili narrativi sotto la spinta del
desiderio di gloria e d’amore, di azioni fortemente individualizzate, che assumono una grande autonomia
narrativa. Sente inoltre il fascino della molteplicità e della dispersione romanzesca. Tuttavia, la struttura
unitaria è sempre messa in pericolo dalle spinte centrifughe.
Il punto di vista
Il bifrontismo si può cogliere anche nell’organizzazione del punto di vista. La narrazione continuamente
mobile si colloca sia nel campo cristiano che in quello pagano. Questo scambio di prospettive si verifica
costantemente nel poema.
La focalizzazione interna ai personaggi pagani si traduce con la simpatia per i nemici e gli sconfitti: il fatto
che l’altro possa fermare nella narrazione il suo punto di vista è il segno della dignità che il poeta gli
conferisce. Il codice culturale laico-rinascimentale assume un ruolo paritetico rispetto al codice cristiano e
contro riformistico.
Il tempo
Nella Gerusalemme liberata si vede una linearità temporale, di conseguenza, non sia più il tempo sinuoso del
poema ariostesco, determinato dalla pluralità delle azioni che costringeva il narratore a continui salti nel
tempo per tornare indietro a riprendere vicende che si svolgevano contemporaneamente. All’interno dello
sviluppo temporale della Gerusalemme liberata ci sono solo brevi flashback.
Lo stile
La tensione verso il grande, il magnifico il sublime è ottenuta con i calchi classici: con gran frequenza ritorna
nel discorso immagini, formule, stilemi e versi di altri poeti. Contribuisce poi il fitto uso di figure retoriche.
Il poeta predilige parole inconsuete lontano dall’uso comune o impiegate con accezione particolare, oppure
usate in senso traslato lontano dal significato proprio. Si vedono frequenti enjambement. Si vede anche la
ricerca di cadenze musicali o di intense notazioni coloristiche e visive, questo viene chiamato concettismo
barocco, infatti, l’obiettivo di tasso era suscitare meraviglia.