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è stato il principale scrittore politico del Cinquecento. Machiavelli, grazie alla sua opera “Il
Principe”, è stato il fondatore della politica come scienza e il primo autore a separare
nettamente la sfera dell'agire pubblico da quella della morale e della religione, in modo
talmente esplicito da attirare su di sé varie critiche e la condanna postuma della Chiesa.
Importanti anche le sue opere storiche, i suoi trattati militari e gli scritti letterari in senso
stretto, tra cui spiccano la commedia Mandragola e la Novella di Belfagor arcidiavolo.
Immensa è stata la sua influenza sul pensiero politico occidentale
VITA
Niccolò Machiavelli nacque a Firenze il 1469 ed ebbe modo di assistere e partecipare agli
eventi di quegli anni.
1492 muore Lorenzo il Magnifico
1494 Discesa in Italia di Carlo 8° Re di Francia. I Medici sono cacciati da Firenze. E’ creata
La Repubblica del Savonarola
1498 Savonarola è condannato al rogo. Machivelli comincia a far politica
1502 Pier Soderini eletto Gonfaloniere a vita di Firenze. Machiavelli eletto Segretario del
Soderini
1510 Cade il governo Soderini. Tornano i Medici
1512 Machiavelli rimosso dall’incarico e fatto arrestare. Anno dopo scrive Il Principe men-
Tre si trova all’Albergaccio. Nomina di Leone X, Papa Mediceo
1522 Nomina di Clemente VII Papa Mediceo
1525 Machiavelli consegna Historie Fiorentine
1527 Muore Machiavelli Sacco di Roma Lanzichenecchi di Carlo V (re spagnolo)
Nel 1498, dopo che il Savonarola venne giustiziato, entrò nella vita politica
della Repubblica fiorentina e ricoprì vari incarichi diplomatici, svolgendo missioni
in Francia, in Germania e presso Cesare Borgia, il famoso duca Valentino (figlio del Papa
Alessandro VI e fratello di Lucrezia Borgia); l'osservazione diretta del governo di questi
stati avrebbe in seguito stimolato la sua riflessione specie nel caso del Valentino
protagonista di alcune famose pagine del Principe e presentato quale modello, in positivo e
in negativo, di uomo politico capace di costruirsi la propria fortuna. Nel 1501 aveva
sposato Marietta Corsini, dalla quale ebbe 7 figli. Dopo il 1502 divenne il principale
collaboratore e segretario personale di Pier Soderini, eletto gonfaloniere della Repubblica.
Tra il 1505 e il 1506 lavorò al progetto di creazione di un esercito cittadino da sostituire alle
soldatesche mercenarie, da lui ritenute non affidabili.
Nel settembre 1512 i Medici rientrarono a Firenze in seguito all'intervento delle armi
spagnole e Machiavelli venne allontanato dalla vita pubblica in quanto troppo
compromesso con l'attività della Repubblica: la sua situazione divenne critica nel 1513,
quando venne sospettato di aver preso parte a una congiura anti-medicea e fu arrestato,
venendo anche sottoposto al supplizio della corda (non ci sono conferme di un suo
effettivo coinvolgimento nella cospirazione). Fatto sta che venne rilasciato poco dopo e
confinato in una sua proprietà presso S. Casciano, l'Albergaccio, dove fu costretto a una
sorta di ritiro forzato durante il quale si diede agli studi e scrisse IL PRINCIPE,
A partire dal 1516-1517 iniziò a frequentare gli Orti Oricellari, una sorta di circolo politico-
culturale che si raccoglieva intorno alla figura di Cosimo Rucellai ed era tollerato dai
Medici, benché fosse di simpatie vagamente filo-repubblicane. Fu in questo contesto che
scrisse i DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO, l'altra grande opera politica
dedicata proprio alle repubbliche ; nello stesso periodo scrisse anche il dialogo DELL'ARTE
DELLA GUERRA (1519) e forse la commedia LA MANDRAGOLA, che riflette un interesse
per il teatro non marginale in Machiavelli (una seconda commedia, intitolata CLIZIA, verrà
composta nel 1525).
ULTIMI ANNI
La diffidenza della famiglia Medici nei confronti di Machiavelli si attenuò e poté riavvicinarsi
a loro ottenendo i primi incarichi diplomatici, che comunque erano di scarsa importanza (in
questo periodo scrisse, tra l'altro, la Vita di Castruccio Castracani). In seguito gli fu
commissionata la composizione delle ISTORIE FIORENTINE, un'opera storiografica il cui
fine era nobilitare le origini della città e celebrare la famiglia Medici, che lo scrittore
completò nel 1525 presentandola ufficialmente a papa Clemente VII (il cardinale Giulio de'
Medici). Nel 1526 ottenne un incarico militare di una certa importanza nell'ambito della
guerra ormai imminente tra la Lega di Cognac, cui Firenze aveva aderito, e l'imperatore
Carlo V; in questa occasione collaborò con l'amico Francesco Guicciardini per organizzare
le forze della Lega, tuttavia i lanzichenecchi scesero in Italia portandosi a Roma, che venne
orribilmente saccheggiata il 6 maggio 1527. L'avvenimento fu traumatico ed ebbe
ripercussioni politiche immediate, tra cui il rovesciamento dei Medici a Firenze (17 maggio)
e il ritorno della Repubblica. Machiavelli, per la recente collaborazione con la Signoria,
venne osteggiato dai nuovi governanti di simpatie savonaroliane e rimase nuovamente ai
margini della vita pubblica. Le sue condizioni di salute peggiorarono rapidamente ed egli
morì il 21 giugno a Firenze, venendo sepolto in S. Croce (dove tuttora riposa).
IL PENSIERO DI MACHIAVELLI
IL REALISMO POLITICO "il fine giustifica i mezzi",.
Machiavelli è considerato il fondatore del pensiero politico moderno basato sul cosiddetto
REALISMO POLITICO. Egli è stato il primo scrittore in Europa a separare le regole della
politica da quelle della morale e della religione e ad affermare che il fine del Capo di uno
stato, sia esso una repubblica o una monarchia, è di conservare il proprio dominio a
qualunque prezzo, anche quello di compiere azioni giudicate delittuose secondo i normali
parametri etici, per cui anche il ricorso alla violenza da parte di chi governa è perfettamente
giustificato (secondo la massima "il fine giustifica i mezzi", mai scritta da Machiavelli ma
che condensa in modo efficace la sua visione del potere;un atteggiamento definito presto
come "machiavellismo", in senso per lo più negativo e di condanna).
LA VERITA’ EFFETTUALE
Per Machiavelli non serve a niente avere delle immagini ideali del Principe e dello Stato che
non corrispondono alla realtà; se ci si allontana dal mondo reale si va solo in rovina. E’
molto meglio attenersi alla realtà concreta, effettiva (la Verità Effettuale di cui si parla nel
cap. 15°). Or la verità è che il Principe può non rispettare la morale quando è in ballo la
conservazione del potere. Si tenga presente che, fino ad allora, tutti i trattati sul Principe lo
avevano sempre dipinto come un perfetto modello di virtù cristiane.
PESSIMISMO MACHIAVELLIANO
Alla base del ragionamento vi è una concezione pessimistica della natura umana che ha il
Male in sé connaturato (Pessimismo antropologico cap. 17 e 18). Il Principe non deve mai
dimenticare che gli uomini sono per lo più egoisti, rapaci, interessati solo al proprio utile,
codardi per natura. Ti rispettano solo se ti temono. Fare solo il bene significa votarsi alla
autodistruzione perché gli uomini sono sempre pronti a tradire; quindi non ha senso farsi
scrupoli o mantenere la parola data. Bisogna sapersi avvalere della Forza e dell’Astuzia che
sono in noi, saper usare la Volpe e il Leone che sono in noi. Il Principe deve anche saper
“simulare” comportarsi cioè come se avesse tutte le virtù del mondo (pietoso, onesto
religioso) ma essere subito pronto a diventare l’opposto quando ce n’è bisogno.
L’alternativa è essere vinto da un principe più forte oppure l'anarchia , il disordine sociale ,
il dominio confuso della massa, da evitarsi assolutamente. Da qui la concezione della storia
come perenne conflitto, sia tra gruppi sociali dagli interessi contrastanti (patrizi e plebei
nell'antica Roma, classi signorili e popolani nella Firenze del Quattrocento sec.), sia tra
stati in lotta tra loro per il potere, per cui l'arte politica diventa guerra per la sopravvivenza
che impone al sovrano di agire in modo cinico e spietato per sopraffare i suoi nemici, dai
quali non può aspettarsi gesti di pietà o cortesia.
IL TEMA DELLA FORTUNA e DELLA VIRTU’ (vedi cap. XXV del Principe)
Per Machiavelli sono due le forze fondamentali che agiscono nella vita dell’uomo. La
Fortuna governa per il 50% e l’altra metà spetta alla volontà umana. La Fortuna è un fiume
impetuoso che invade e allaga la campagna ma l’uomo. Con la sua azione, può prevenire i
danni costruendo a tempo degli argini.
Regola generale è che il Principe non deve fare affidamento sulla Fortuna perché troppo
incostante e imprevedibile. Il Principe deve invece essere sempre pronto ad adeguarsi ai
tempi, ad adattarsi ad essi, deve saper seguire il Vento.
Come si vede Machiavelli (in modo simile a quanto già espresso da Boccaccio), rielabora la
concezione della "Fortuna", che non viene più vista come in Dante quale espressione della
volontà divina ma come il capriccio del caso non tale però da dominare tutte le vicende
umane e contro la quale è possibile opporre la "VIRTÙ", virtù intesa come l'insieme delle
qualità che i governanti e gli uomini tutti devono possedere per raggiungere i propri scopi.
Machiavelli e la Religione
Tra i mezzi per dominare le masse Machiavelli individua anche la religione, da lui vista
classicamente come instrumentum regni, strumento cioè del potere politico. (il riferimento è
ovviamente al paganesimo dell'antica Roma, religione di stato) e a proposito fa notare
come il Cristianesimo delle origini avrebbe contribuito a dissolvere la compattezza
dell'Impero Romano proprio mettendo in crisi la religione pagana che sosteneva lo Stato
Imperiale.. Quest'ultimo aspetto delle sue teorie contribuì non poco alla condanna morale
dello scrittore da parte della Chiesa e spiega il vivace dibattito critico che dopo la sua
morte si aprì sul valore della sua opera, che vide ammiratori e detrattori portando anche a
interpretazioni distorte del suo pensiero. Visioni distorte che si spinsero a vedere in
Machiavelli un ateo, cosa di sicuro non vera.
LA CRISI ITALIANA
Machiavelli attribuiva la crisi del nostro paese soprattutto a cause militari come il ricorso
alle milizie mercenarie giudicate insufficienti a contrastare la potenza degli eserciti stranieri,
Lo scrittore ha anche chiaro che la frammentazione politica dell'Italia costituiva il primo
ostacolo a una seria opposizione alle ingerenze straniere e auspica un movimento di
ribellione guidato prima dal Valentino e poi dalla casa dei Medici in grado di restituire alla
Penisola il suo antico prestigio.
Gli scritti politici minori
Machiavelli accompagnò subito la sua azione politica al servizio della Repubblica con la
composizione di alcuni trattatelli in cui descriveva fatti politici dell'Italia del tempo. Tra
queste operette giovanili spicca anzitutto la Descrizione del modo tenuto dal Duca
Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il duca
di Gravina Orsini (1503), in cui l'autore analizza in modo lucido la strategia usata da Cesare
Borgia per eliminare i suoi nemici che aveva attirato in un mortale agguato a Senigallia,
mostrando già quella concezione del potere come lotta per la sopravvivenza poi elaborata
nel Principe (in cui il Valentino ha grande spazio quale modello di "principe nuovo", in
positivo e negativo Nel periodo della forzata inattività politica scrisse invece la Vita di
Castruccio Castracani da Lucca, una sorta di biografia di dedicata a un condottiero
ghibellino del Trecento
L'epistolario
Dell'autore ci sono giunte circa una settantina di lettere private. L'epistolario in generale ci
mostra un personaggio poco amante della vita ritirata e smanioso di mettersi in gioco. Tra
le epistole più interessanti vi sono quelle con l'amico Guicciardini e soprattutto quelle
indirizzate a Francesco Vettori, l'ambasciatore fiorentino dei Medici presso la sede
pontificia a Roma cui Machiavelli si rivolge nella speranza di un riavvicinamento ai Medici
dopo il suo allontanamento della vita pubblica a seguito della congiura antimedicea del
1513 di cui fu ritenuto partecipe. Particolarmente importante la famosa lettera al Vettori del
10 dic. 1513, dal suo forzato ritiro all'Albergaccio un podere di famiglia in cui Machiavelli
descrive all'amico la noia della sua vita ritirata . Nella missiva l'autore dà notizia
dell'avvenuta composizione del Principe, da lui presentato come un "opuscolo" indirizzato
ai Medici e finalizzato ad accreditarlo come esperto di cose politiche, nella speranza di
ricevere un incarico significativo da parte loro (era stato prima al servizio della Repubblica,
ora si offre a quello dei Medici).
Lettura: Lettera a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513, dalle Lettere p.772
“Mi sveglio la mattina e vado in un bosco di mia proprietà a controllare il taglio della legna.
Si fanno mille liti, uno non mi ha pagato perché dice di avere dei crediti e io mi sono
infuriato; un’altra volta hanno pressato la legna che avevo venduto in un carro in modo da
farla sembrare la metà e per questo non ho dato più legna a nessuno. Dopoil bosco vado a
una sorgente dove mi metto a leggere poesie d’amore che i miei passati amori mi ricordino.
Sulla via del ritorno parlo con chi incontro e poi vado all’Osteria. Lì trovo l’Oste, un
macellaio, due operai e un mugnaio e ci mettiamo a giocare a carte e a far lite così forte che
ci sentono fino al paese. Mi involgarisco lo so ma almeno tengo sveglio il cervello.
A sera torno a casa. Entro nel mio studio, mi tolgo gli abiti sporchi di fango e indosso “abiti
reali e curiali” e così vestito entro nelle Antiche Corti e parlo con gli Antichi Uomini, li
interrogo e loro rispondono e per 4 ore non so cosa sia più la Noia, la paura della Povertà o
la Morte. Grazie a questi miei colloqui serali ho scritto un libricino che penso di dedicare a
Giuliano de Medici figlio di Lorenzo il Magnifico affinchè io venga riabilitato e possa tornare
a servire i Medici a Firenze. Il libro si chiama “Il Principato” e tratta dell’arte del governo. I
Medici potranno così vedere che in 15 anni di attività politica non sono stato a dormire o a
giocare.”
Abbiamo due ritratti di Machiavelli: di giorno e di sera. Il giorno sembra essere una persona
qualunque, preoccupato dei suoi guadagni e pronto a difenderli fino ad arrivare alla zuffa.
All’osteria dove si reca per scordare la malignità della sorte ,tocca il fondo mettendosi a
litigare con gli avventori e diventando uguale a tutti loro. Ma la sera c’è la trasmutazione, il
“cambio di abito”, lascia i vecchi e mette vesti pulite, “abiti reali e curiali” e astraendosi
dalla realtà provinciale in cui vive si proietta nelle Antiche Corti” dove dialoga con gli
Antichi scrittori.. attività nella quale si sprofonda per ore senza sentire la minima noia e
scordando le miserie del presente . L'atteggiamento di Machiavelli è quello dell'uomo di
Stato che è ansioso di dimostrare la propria capacità al mondo e che agogna la vita
pubblica più di qualunque altra, dunque in modo diametralmente opposto ad Ariosto che
nelle Satire e in altri scritti diceva di preferire una vita tranquilla e modesta, nell'intimità
della propria casa
IL PRINCIPE (1513)
Considerato di gran lunga il capolavoro di Machiavelli e di tutta la trattatistica del
Cinquecento, il Principe è un'opera concepita come un modesto "opuscolo" durante il
soggiorno forzato all'Albergaccio per dimostrare la propria competenza politica ai Medici,
dai quali sperava di ottenere un incarico pubblico. Machiavelli scrisse il trattato nel giro di
pochi mesi durante il 1513 . L'opera circolò nei primi anni in forma manoscritta e venne
stampata postuma nel 1532. Il Principe ebbe un'enorme diffusione anche fuori dall'Italia e
suscitò "scandalo" per il ritratto cinico e spietato del potere politico che tratteggia. La
Chiesa pose quasi subito l'opera all'Indice (nel 1559) considerando Machiavelli come una
specie di genio malefico, ispiratore di cattivi insegnamenti ai sovrani assoluti. Dal punto di
vista stilistico la lingua usata è il fiorentino del tempo dell'autore, secondo la proposta da
lui stesso avanzata nel Discorso intorno alla nostra lingua(opera d molti non considerata
autentica) e risultata poi perdente contro quella di Bembo .
Distinzioni Preliminari
Nei primi capitoli Machiavelli distingue tra Repubblica e Principato. Esistono 3 tipi di
Principato:
Lettura: I Principati nuovi che si acquistano con le armi altrui e con la fortuna, da Il
Principe, cap. VII, p.800 Imitazione antichi, Valentino
Nel cap. VI viene analizzato il Principato Nuovo in cui il Principe ha acquistato il potere con
armi proprie o con la sua capacità politica. Il Moderno Principe deve rifarsi alla IMITAZIONE
DEGLI ANTICHI cioè dei grandi uomini del passato. Ciro fondò l’Impero Persiano, Romolo
fondò Roma. Teseo fondò Atene e poi Mosè che seppe far fuggire via gli Ebrei dall’Egitto.
Tutti loro seppero cogliere le circostanze favorevoli offerte dalla Fortuna (le Occasioni della
Fortuna) e vinsero.
Machiavelli continua mettendo in guardia il Principe Nuovo. Il Principe Nuovo avrà come
Nemici giurati tutti coloro che traevano vantaggio dal vecchio sistema. La Storia insegna
che solo i Principi armati che dispongono di milizie fedeli e non mercenarie trionfano, gli
altri falliscono. Infatti il popolo è volubile e solo se si ha la forza dalla propria parte lo si può
tenere sotto controllo.. Un esempio è fornito dal Savonarola, il profeta disarmato che cercò
di trasformare Firenze in una democrazia religiosa e puntualmente finì sul rogo.
Capitolo VII: IL VALENTINO
Nel cap VII viene analizzato il Principato Nuovo in cui il Principe ha acquistato il potere con
armi altrui e con la fortuna.Di norma questi principi non durano a lungo. Lo dimostrano i
Principi creati da Ciro in Asia Minore: venuto meno lui tutti i regni si sfaldarono. Tuttavia
possono esserci eccezioni. Questo è il caso di CESARE BORGIA (1475-1507) figlio del Papa
spagnolo Alessandro VI (altro esempio ammirato per la sua spregiudicatezza da
Machiavelli). Cesare ricevette dal re di Francia il ducato di Valentinuà e per questo era
chiamato il Valentino. Con l’appoggio del padre creò uno Stato in Romagna comportandosi
in modo eccellente al punto da essere indicato da Machiavelli come il prototipo perfetto del
Principe Nuovo.. Se i piani di Valentino dallirono ciò non fu per colpa sua ma per l’estrema
malvagità della Fortuna.. Lo scittore passa aparlare di Valentino. Le prime mosse sono
quelle del Papa Padre. Alessandro 6° sapeva che non era facile creare uno Stato per il figlio:
Venezia e Milano si opponevano e lo stesso facevano le potenti famiglie romane degi
Colonna e degli Orsini. Alessandro VI consentì al re di Francia di sciogliere il suo
matrimonio ottenendo in cambio un esercitop mercenario che subito Valentino usò per
conquistare la Romagna.Poi fingendo di volersi rappacificare con i Colonna e gli Orsini li
sterminò a tradimento (atto non condannato ma quasi lodato da Machiavelli). In politica
interna Valentino non è da meno: ha bisogno di riportare l’ordine in Romagna, nomina così
al governo un uomo spietato e feroce Rimirro De Orco che riporta col terrore l’ordine
dacendosi odiare da tutti. A questo punto Valentino, dopo esserne servito, lo fa decapitare
raccogliendo applausi da tutti. Il Valentino continua i suoi piani di espansione e col padre
tessi accordi con gli spagnoli a discapito dei francesi.. Tutto andava per il meglio quando il
Papa improvvisamente morì di malaria, per una puntura di zanzara (1503) e
contemporaneamente si ammalo il Valentino. La Fortuna cominciava a ruotare e a venir
meno. Il problema era ora quello di impedire l’elezione di un Papa ostile., quindi era
necessario corrompere i Cardinali. L’operazione riesce, il nuovo Papa favorevole a
Valentino è eletto ma muore dopo un mese, Il problema si ripresenta. Intanto Valentino
continuava a far strage dei membri delle famiglie rivali. E veniamo a quello che per
Machiavelli fu l’errore fatale del Valentino. Illudendosi di placare l’odio dei suoi nemici
appoggia la nomina di Giulio II esponente di una famiglia nemica. In realtà Giulio II lo aveva
ingannato e una volta eletto mosse contro di lui.Per Machiavelli Valentino non avrebbe
dovuto fidarsi di un ex nemico pechè le vecchie offese non si dimenticano mai. Come si
vede il buon governo voluto da Machiavelli richiede astuzia e crudeltà.
Lettura: In che modo i Principi debbano mantenere la parola data, da il Principe, cap
18° p.811
Già in un capitolo precedente (il 15°) parlando della Verità Effettuale Machiavelli
aveva chiaramente affermato che il Principe non è tenuto a rispettare la morale
quando è in ballo la conservazione del potere. Più che avere le classiche virtù
cristiane è molto meglio avere a disposizione due vizi per ben governare : l’Astuzia
e la Violenza.
Il cap 18° è forse il capitolo più famoso del Principe. Machiavelli giunge ad affermare
che il Principe deve saper “entrare nel Male” per salvare lo Stato.
Lettura: Quanto possa la Fortuna nelle cose umane e in che modo occorra
resisterle, da Il Principe, cap. XXV, p.816
Nell’ultimo capitolo Machiavelli si rivolge a Lorenzo de Medici duca di Urbino (il nipote del
Magnifico) e lo invita a mettersi a capo di tutti gli Stati Italiani per porre fine alla
dominazione straniera francese e spagnola dell’Italia.. Secondo Machiavelli nel 1513 ci
sarebbero tutte le condizioni favorevoli per assumere il potere e il controllo della
situazione.. Nessun altro momento storico è stato più favorevole di questo.Un Principe era
venuto (Il Valentino) ma purtroppo la Fortuna lo ha sconfitto e così oggi l’Italia aspetta che
venga un Principe Nuovo.. E da dove potrà venire se non dalla Casata dei Medici? Non
bisogna tentennare, l’occasione è troppo favorevole. Del resto si vedono oggi prodigi come
quelli che vide Mosè (cioè uno dei Medici è stato eletto Papa, cioè Lene X), questo vuol
direche tutto mira alla grandezza dei Medici, quindi bisogna agire. Nell’Esoratzione a
liberare l’Italia vi è un tono profetico. Dopo non essersi mai curato di Dio, ora Machiavelli lo
tira in ballo e paragona la liberazione dell’Italia all’evento biblico della Fuga dall’Egitto
giungendo addirittura ad invitare Lorenzo a farsi Redentore dell’Italia. Segue in chiusura del
capitolo un brano del Petrarca tratto dalla canzone “All’Italia”. Naturalmente questo brano
del Principe fu una vera e propria bandiera in età risorgimentale.
La Religione,
Nel I Libro sono affrontati problemi di politica interna e l’importanza della Religione
nel governo dello Stato. Machiavelli ritiene che la religione romana, intrisa di
profondo senso civico, rafforzava lo Stato, al contrario la Chiesa Cattolica, sin dai
suoi primordi, non ha fatto altro che destabilizzare il potere statale entrando in
continuo conflitto con esso.
La Guerra
Nel 2° libro si parla di politica estera e di guerra. Riguardo alla politica estera la sua
attenzione va alle conquiste degli antichi Romani e in particolare all'organizzazione
del loro esercito, che in età repubblicana era formato da cittadini-soldati : è evidente
che tale modello militare viene esaltato contro quello delle
soldatesche mercenarie del mondo moderno, che lui critica in quanto le considera
inaffidabili e causa prima del declino politico dell'Italia
Nel 3° Libro si riflette sui grandi personaggi dell’antica Roma. Come fu infatti detto
nel capitolo settimo del Principe per Machiavelli si deve seguire il Principio di
Imitazione degli Antichi, rifarsi cioè a modelli storici del passato (Furio Camillo, i
Fabi, Attilio Regolo...) per assumerli come guida In questa concezione Machiavelli si
rifà a un altro storico romano POLIBIO ( 205 a.C☺ che aveva teorizzato l’andamento
ciclico della storia (la Storia come eterno ripetersi). Quindi studiando il passato è
possibile analizzare il presente e prevedere il futuro.
MACHIAVELLI COMMEDIOGRAFO
(Andria, Mandragola,Clizia,BELFAGOR)
L’interesse di Machiavelli per il Teatro rimonta agli anni della giovinezza. Le opere a
noi pervenute appartengono tutte al periodo 1517-1520, anni di inattività politica.
Il vecchio Nicia non riesce ad avere un figlio dalla giovane, bella e onesta moglie
Lucrezia. Di lei si innamora il giovane Callimaco che, con l’aiuto del suo servo
Licurgo, tramano una beffa. Callimaco si farà passare per Dottore che consiglia a
Nicia di far bere a Lucrezia una pozione di Mandragora, pianta dalle proprietà
medicinali; avrà sicuramente un figlio ma l’uomo che si congiungerà con lei morirà.
Nicia cerca allora uno sconosciuto, che altro non sarà che Callimaco travestito che
potrà così avere la donna. Bisogna tuttavia superare le resistenze di Lucrezia,
donna molto religiosa che non vuol tradire il marito, e si incaricano di questo fra
Timoteo, il confessore della ragazza che esercita su di lei pressioni e le fa credere
che questo atto non sarà peccato, e la stessa madre di lei, Sostrata, ben contenta
che la figlia possa avere un figlio in seguito a questa tresca. Alla fine Lucrezia
accetta a malincuore e finirà con l’accettare con entusiasmo il nuovo amante.
CLIZIA (1525)
BELFAGOR ARCIDIAVOLO
La fama di Machiavelli fu immensa già negli ultimi anni della sua vita soprattutto
grazie al Principe e presto i suoi scritti furono oggetto di critica ad opera dell'amico
F. Guicciardini, che polemizzò con lui rimproverandogli il paragone forzato tra la
realtà sociale e politica dell'antica Roma con quella della Firenze moderna operata
nei Discorsi sulla Prima Deca; . In seguito fu soprattutto il Principe a suscitare
grave scandalo così l'opera fu messa all'Indice dalla Chiesa già nel 1559 e per tutto
il periodo della Controriforma ( fino alla fine del Cinquecento.) si diffuse un
atteggiamento culturale definito "antimachiavellismo", proprio di intellettuali
cattolici che criticavano le teorie di Machiavelli in quanto immorali e tendenti
all'anti-clericalismo). Il termine "machiavellico" è tuttora usato in senso spregiativo
per caratterizzare l'opera di politici contemporanei, cui si rimprovera la mancanza di
senso morale o l'attenzione all'immagine
I RICORDI
Sono una raccolta di massime e di brevi considerazioni con cui praticamente Guicciardini
da vita al genere dall’AFORISMA, cioè brevi ma intense massime. Il testo ebbe molto
seguito soprattutto fra i Moralisti francesi, primo fra tutti il Montaigne (Mon te gn). L’opera
fu messa all’Indice dalla Chiesa a causa del suo aperto laicismo.
LA STORIA DI ITALIA
L’opera abbraccia il periodo che va dal 1492 (morte di Lorenzo il Magnifico) al 1534.
Guicciardini prende le distanze dalla storiografia umanista che cerca nella storia del
passato esempi e modelli che servano a interpretare il presente
Guicciardini e Machiavelli
Tra i due ci sono analogie e anche profonde differenze. Tutti e due hanno una visione laica
e spregiudicata del mondo.. entrambi sono decisamente pessimisti sulla natura umana.
Veniamo alle differenze.
1) Per Machiavelli la Fortuna agisce al 50% nella vita dell’uomo, per Guicciardini invece
il dominio della Fortuna è talmente forte da costringere l’uomo ad adattarsi ad essa e
a non sfidarla in alcun modo.
2) Machiavelli crede nella Storia, negli insegnamenti che dalla Storia, soprattutto
romana ,possono essere ricavati e di qui raccomanda l’IMITAZIONE degli Antichi;
Guicciardini invece non crede si possa ricavre granchè dalle lezioni della Storia
umana perché tutto cambia e ciò che era valido ieri non lo è più oggi; ogni evento è
unico e irripetibile frutto di cause e concause infinite, sottoposto alle mille variabili
del Caso quindi è pura illusione cercare leggi generali, principi universale o costanti
fisse (come invece cerca di fare Machiavelli riciclando l’antica teoria del ritorno
ciclico degli eventi di Polibio)
3) Per Machiavelli e Guicciardini l’uomo agisce mosso dal proprio interesse, dal proprio
personale “PARTICULARE”. Ma per Guicciardini questo particolare interesse non va
inteso in senso bassamente materialistico come fa Machiavelli; per proprio interesse
è da intendere non solo ricchezza e potere ma anche Onore e Dignità collegati al
Bene Comune e al rispetto degli altri. Insomma è meno cinico del Machiavelli.
La tesi fondamentale è che il Mondo è retto dalla Fortuna e la sola Virtù che l’uomo può
opporgli è la DISCREZIONE, cioè la capacità di agire adattandosi ad ogni singolo evento
facendo tesoro della propria esperienza.
Per mettere alla prova la propria ortodossia nell'aprile 1577 Tasso si autoaccusa
presso l'Inquisizione ferrarese, attaccando inoltre influenti personaggi di corte.
Alfonso mette il poeta sotto sorveglianza, ma Tasso, ritenendosi spiato da un
servo, gli scaglia contro un coltello. E’ rinchiuso nella prigione del Castello. Alla
fine decide di optare per la fuga: si traveste da contadino e fugge nei campi.
Raggiunge la sorella a Sorrento, annunciandole dapprima la propria morte per poi
svelarle la sua vera identità, solo dopo aver osservato la reazione realmente
addolorata della donna. In seguito a nuovi pentimenti e nuove nostalgie, Tasso si
adopera per il rientro a Ferrara. I fatti precipitano: le stravaganze del Tasso
diventano continue finchè non giunge, durante un matrimonio ad inveire
direttamente contro le dame di corte e lo stesso Alfonso. Finisce con l’essere
internato nell’ospedale di Sant’Anna per malati mentali dove resta sette anni.
I primi anni di reclusione non gli impediscono di scrivere; Le condizioni mutano con
gli anni: a partire dal 1580 gli è permesso di uscire qualche volta e di ricevere visite,
mentre dal 1583 può lasciare Sant'Anna più volte alla settimana. Sempre durante la
prigionia sono pubblicate, senza il suo consenso, due edizioni del poema. Il titolo
di Gerusalemme liberata è scelto dal curatore senza l'avallo dell'autore. L'opera ha
grande successo. Così, seppur riluttante, Tasso dà il proprio consenso e pubblica
la Gerusalemme liberata il 1581 a Ferrara. Il 1586 finisce la prigionia: affidato a
Vincenzo Gonzaga, non tornerà più a Ferrara. A Mantova Tasso ritrova qualche
barlume di tranquillità; ma il 1587, preoccupato di una possibile venuta di Alfonso,
Tasso fugge via. Si sposta a Roma, e poi a Napoli fortemente intenzionato a
risolvere a proprio favore le cause contro i parenti per il recupero della dote paterna
e quella materna. Gli ultimi anni di Tasso non conoscono pace: le sofferenze
psichiche si acuiscono nuovamente, e il poeta è costretto a farsi ricoverare
nell'Ospedale dei Pazzarelli a Napoli.
Esistono chiare testimonianze del fatto che ci fosse l'intenzione di incoronare Tasso
in Campidoglio. La salute tuttavia si aggrava nuovamente. Alloggia nei monasteri
sempre più votato alla vita monastica e attratto dalla letteratura agiografica. Alla fine
torna a Roma. Il 1º aprile entra al monastero di Sant'Onofrio, sul Gianicolo. Il 25
aprile del 1595, all'«undecima ora», Torquato Tasso muore all'età di 51 anni.
LE RIME
Tasso considerò la lirica come un genere minore che però sin da giovane praticò
moltissimo senza però mai preoccuparsi di giungere a qualche pubblicazione. Dopo
il successo della Gerusalemme Liberata cominciarono a circolare abusivamente
molte poesie del Tasso, il che spinse l’Autore a dare una sistemazione alla sua
produzione suddivendola in tre parti: Rime Amorose, Rime Encomiastiche e Rime
Religiose. Netta èl’influenza de petrarchismo bembiano.
AMINTA (1573)
. Si tratta di un Dramma pastorale destinata ad essere recitata dinanzi alla Corte
Estensa; i personaggi di Corte sono quasi invitati a identificarsi coi protagonisti
della favola pastorale. Aminta fu un successo clamoroso al punto che alla fine di
ogni atto furono aggiunti i Cori secondo il modello del Teatro Classico.
Il pastore Aminta ama una Ninfa di Diana, Silvia. Ma questa non lo ricambia. Anche
dopo che Aminta la salva dal tentato stupro da parte di un Satiro Silvia continua a
respingere il pastore.. Viene ritrovato un velo della fanciulla e ciò fa credere che
essa sia stata sbranata dai lupi. Aminta decide così di buttarsi da una rupe ma la
sua caduta è attutita da un cespuglio e quindi salva la vita. Anche Silvia non è morta
e quando apprende che aminta si è ucciso per lei corre a cercarlo e si getta
piangendo sul suo corpo. Il giovane al pianto di Silvia riprende i sensi mentre Il
Coro annuncia che ora i due si amano e convoleranno a nozze.
LETTURA: S’ei piace ei lice” (coro atto I) vv682-723, da Aminta p.946
Alla fine del I° Atto prende la parola il Coro dei Pastori che leva un malinconico
rimpianto per la passata Età dell’Oro quando l’Onore non esisteva e l’Amore
Naturale trionfava libero:
O bella età dell’oro quando esisteva solo la legge aurea e felice che fu dettata dalla
natura: S’ei piace ei lice"Se una cosa piace, allora è lecita".
gli Amorini intrecciavano allora dolci danze senza arco e torce, tra i fiori e i fiumi; i pastori e le
ninfe sedevano mescolando alle parole vezzi e sussurri, e ai sussurri i baci che non si staccavano
mai; la giovane vergine scopriva le sue fresche rose [le sue labbra] che ora tiene nascoste dal velo,
e le rotondità acerbe e immature del seno; e spesso in una fonte o in un lago si vide l'amata che
scherzava col suo amante.
Tu, Onore, per primo copristi la fonte dei piaceri, negando l'acqua alla sete amorosa; tu insegnasti
ai begli occhi di stare chiusi in sé e di celare le loro bellezze agli altri; tu raccogliesti i capelli sparsi
al vento in una rete; tu rendesti ritrosi e schivi i dolci atti sensuali; mettesti il freno alle parole, la
misura ai passi; è solo per opera tua, Onore, se oggi è un furto quello che fu un dono d'Amore.
E le nostre pene e i nostri pianti sono le tue grandi imprese. Ma tu, signore dell'Amore e della
Natura, tu dominatore dei re, cosa fai in questi luoghi isolati che non possono ospitare la tua
grandezza? Vattene e turba il sonno agli uomini illustri e potenti: lascia che noi, folla disprezzabile
e bassa, possiamo vivere qui senza di te, all'uso delle genti antiche. Amiamo, poiché la vita umana
non si ferma con gli anni e si dilegua.
Amiamo, poiché il sole muore e rinasce: la sua breve luce si nasconde a noi e il sonno ci porta una
notte eterna.
Inseguita da Tancredi che non l’ha riconosciuta perché la ragazza indossa una
armatura diversa dalla solita viene da questi sfidata a duello. La lotta è senza
quartiere e dura fino alle prime luci dell’alba quando estenuati i due si arrestano.
Tancredi chiede alla rivale il suo nome ma Clorinda rifiuta. Infuriato Tancredi
riprende il combattimento che prosegue feroce nonostante le ferite che entrambi
riportano. Non è mancato chi ha visto nel combattimento fra i due quasi la
descrizione di un amplesso fra amanti.
In realtà dopo la rivelazione fattagli dal servo Clorinda non è più la stessa, inizia in
lei un conflitto interiore che per quanto represso opera in modo inesorabile. E’ vero
Clorinda brucia la Torre cristiana, ma è lei a restare fuori delle Mura della città quasi
a non voler rientrare. Il turbamento la rende più feroce nel combattimento e villana
con Tancredi. Quana Tancredi , egli ama Clorinda ma è un Paladino, amarla le è
vietato; Tancredi “erra” amando una pericolosa nemica della fede e deve riscattarsi
uccidendola.
Alla fine Clorinda è ferita a morte. La punta della spada di Tancredi penetra nel “bel
sen” e riempie di sangue la veste trapunta di oro. E’ proprio il colpo mortale a
trasformare la guerriera in una delicata fanciulla. Fino ad allora Clorinda aveva
infatti rifiutato la sua femminilità, chiusa sempre nella sua armatura aveva represso
ogni desiderio, ogni dolcezza, ora riacquista la sua identità e contemporaneamente
scopre la verità della religione cristiana il che la spinge a chiedere a Tancredi di
battezzarla. Tancredi che non l’ha ancora riconosciuta corre al ruscello, prende
dell’acqua, torna, le toglie l’elmo e resta impietrito nello scoprire d’aver ferito a
morte la donna che ama. Mentre la battezza il viso di Clorinda si trasfigura di
gioia,.porge la mano a Tancredi e muore. Emozione religiosa e sensualità intensa,
vagamente morbosa, si mescolano insieme. Il morire pare accrescere il fascino e la
bellezza della donna ( “D’un bel pallor ha il bianco volto asperso/ come a gigli sarian
miste viole”) generando una ambiguità che stordisce e che costituisce la cifra più
originale del poema.
.Il pappagallo esprime il Carpe Diem degli Umanisti contrari alla morale cristiana
ma che pure era stata esaltata dal Tasso nell’Aminta nel brano rerlativo all’Età
dell’Oro. Anche se dichiara di aderire alla Controriforma Tasso non può proprio fare
a meno di sentire l’attrazione dei beni terreni; è un altro esempio del suo
Bifrontismo spirituale incerto tra Rinascimento e Controriforma.
I due crociati avanzano impavidi finchè non vedono Rinaldo e Armida persi in teneri
atteggiamenti d’amore. . Si mirano estasiati in uno specchio e Rinaldo pare
totalmente schiavo della Maga a cui dice che solo il Cielo è uno specchio degno di
lei.. Armida sorride senza smettere di guardarsi e d’intrecciarsi i capelli. Ma ciò che
di splendido indossa è la sua cintura magica che non lascia mai. A un tratto si
allontana. Rinaldo resta solo, i due crociati si fanno avanti.
Rinaldo appare inebetito e sottomesso; nella scena dello Specchio, simbolo di
Vanità, è proprio lui a reggerlo mentre Armida vi si specchia godendo della propria
bellezza e del dominio che esercita su Rinaldo. Rinaldo invece si specchia negli
occhi di Armida godendo della propria sottomissione.