Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Niccolò Machiavelli (Firenze, 1469 - ivi, 1527) è stato il principale prosatore e scrittore politico del Cinquecento, nonché uomo politico
e funzionario di Stato prima al servizio della Repubblica di Firenze e poi dei Medici, nel tentativo (non sempre riuscito) di trasformare
l'esperienza accumulata sul campo in opere letterarie di pubblica utilità, a cominciare dal Principe che è il trattato politico più
importante del Rinascimento e della letteratura italiana in genere. Machiavelli è stato il fondatore della politica come scienza e il primo
autore a separare nettamente la sfera dell'agire pubblico da quella della morale e della religione, in modo talmente esplicito da attirare
su di sé varie critiche e la condanna postuma della Chiesa. Importanti anche le sue opere storiche, i suoi trattati militari e gli scritti
letterari in senso stretto, tra cui spiccano la commedia Mandragola e la Novella di Belfagor arcidiavolo, in cui riprende la tradizione
comica della letteratura volgare. Immensa è stata la sua influenza sul pensiero politico occidentale e la sua opera (primo caso di uno
scrittore del XVI sec.) ha avuto una risonanza europea, venendo in seguito rielaborata e talvolta distorta da più di un pensatore nel
periodo della Controriforma.
Biografia
Niccolò Machiavelli nacque a Firenze il 3 maggio 1469, figlio di un Bernardo di Niccolò di Buoninsegna,
dottore in legge di modesta condizione economica, e di Bartolomea de' Nelli. Della sua prima formazione
siamo poco informati, ma sembra che studiasse grammatica e latino allo Studio della città (non è certo che
imparasse anche il greco) e di certo studiò autori classici del calibro di Tito Livio e Lucrezio, destinati a
influenzare profondamente il suo pensiero filosofico e politico. Nel 1498, dopo che Savonarola venne
giustiziato, entrò nella vita politica della Repubblica fiorentina (i Medici erano stati rovesciati nel 1494) e
ricoprì vari incarichi diplomatici, svolgendo missioni in Francia nel 1501-1502 e presso Cesare Borgia, il
famoso duca Valentino, nel biennio successivo; l'osservazione diretta del governo di questi stati avrebbe in
seguito stimolato la sua riflessione sull'agire politico dei sovrani, specie nel caso del Valentino protagonista di
alcune famose pagine del Principe e presentato quale modello, in positivo e in negativo, di uomo politico
capace di costruirsi la propria fortuna. Nel 1501 aveva sposato Marietta Corsini, dalla quale ebbe numerosi
Pier Soderini (ritr. XVI sec.) figli.
Dopo il 1502 divenne il principale collaboratore di Pier Soderini, eletto gonfaloniere perpetuo della
Repubblica il 20 settembre di quell'anno e col quale Machiavelli ebbe un rapporto di solida amicizia, pur non
lesinandogli critiche; fu in seguito soprannominato "segretario fiorentino", proprio per la sua vicinanza al Soderini e la sua influenza
sulla politica della Repubblica. Tra il 1505 e il 1506 lavorò al progetto di creazione di un esercito cittadino da sostituire alle
soldatesche mercenarie, da lui ritenute non affidabili, e vennero arruolati 5000 uomini nelle campagne di Firenze, al cui comando venne
chiamato (non senza polemiche) il capitano di ventura Miguel Corella, il famigerato "Micheletto" già al soldo del Valentino e suo
implacabile carnefice. Svolse altre importanti missioni diplomatiche e scrisse alcune relazioni politiche sui suoi viaggi all'esterno, specie i
due Ritratti sulla Francia e sulla Germania (1510-1512).
La morte di Lorenzo de' Medici nel 1519 attenuò la diffidenza della famiglia nei confronti
di Machiavelli e l'anno seguente poté riavvicinarsi a loro ottenendo i primi incarichi
diplomatici, che comunque erano di scarsa importanza rispetto al servizio prestato alla
Repubblica (in questo periodo scrisse, tra l'altro, la Vita di Castruccio Castracani). In seguito
gli fu commissionata la composizione delle Istorie fiorentine, un'opera storiografica il cui
fine era nobilitare le origini della città e celebrare la famiglia Medici, che lo scrittore
completò nel 1525 presentandola ufficialmente a papa Clemente VII (il cardinale Giulio de'
Medici). Nel 1526 diventò provveditore dei Procuratori alle mura nell'ambito della guerra
ormai imminente tra la Lega di Cognac, cui Firenze aveva aderito, e l'imperatore Carlo V,
incarico militare di una certa importanza conferitogli anche per la sua precedente esperienza
con la Repubblica: collaborò con l'amico Francesco Guicciardini per organizzare le forze
della Lega, tuttavia i lanzichenecchi scesero in Italia in novembre scontrandosi con Giovanni
dalle Bande Nere, che rimase ferito a morte, e giocarono d'anticipo portandosi a Roma, che
venne orribilmente saccheggiata il 6 maggio 1527. L'avvenimento fu traumatico ed ebbe
ripercussioni politiche immediate, tra cui il rovesciamento dei Medici a Firenze (17 maggio) e
il ritorno della Repubblica: Machiavelli, per la recente collaborazione con la Signoria e la
sua fama di ateo, venne osteggiato dai nuovi governanti di simpatie savonaroliane e rimase
nuovamente ai margini della vita pubblica. Le sue condizioni di salute peggiorarono
Il cenotafio di Machiavelli a S. Croce (Firenze) rapidamente ed egli morì il 21 giugno a Firenze, circondato da pochi amici tra cui Zanobi
Buondelmonti e Luigi Alamanni, venendo sepolto in S. Croce (dove tuttora riposa) il giorno
seguente; alla tomba di Machiavelli dedicherà versi famosissimi Ugo Foscolo nei Sepolcri, celebrando proprio i "grandi" italiani tumulati
nella chiesa monumentale fiorentina.
L'epistolario
Dell'autore ci sono giunte circa una settantina di lettere private, indirizzate per lo più a
conoscenti e amici e non concepite come testi letterari da destinare alla pubblicazione, perciò
prive di elaborazione retorica e scritte con un linguaggio immediato e ricco di espressioni popolari.
L'epistolario è un documento spesso prezioso per apprendere elementi relativi alla vita di
Machiavelli e ai suoi rapporti con altri esponenti del potere di quegli anni, nonché per approfondire
parti essenziali del suo pensiero politico ulteriormente espresse nelle opere del periodo maturo
(associabili alle lettere sono i già citati Ghiribizzi al Soderino, sorta di epistola in risposta a Giovan
Battista Soderini per cui si veda sopra). Tra le epistole più interessanti vi sono quelle di
corrispondenza con l'amico e collaboratore politico Guicciardini, anche lui scrittore e spesso in
polemica con le idee di Machiavelli su vari argomenti (► AUTORE: Francesco Guicciardini), e
soprattutto quelle indirizzate a Francesco Vettori, l'ambasciatore fiorentino dei Medici presso la
sede pontificia a Roma cui Machiavelli si rivolge spesso nella speranza di un riavvicinamento alla
famiglia signorile dopo il suo allontanamento della vita pubblica. Particolarmente importante la
famosa lettera al Vettori del 10 dic. 1513, in cui Machiavelli descrive all'amico la noia della sua
vita ritirata all'Albergaccio (dove è costretto a occuparsi dell'amministrazione del podere) e la
consolazione che prova la sera quando si chiude nel suo studio a leggere le opere dei grandi autori
del passato, che gli consentono virtualmente di essere accolto nelle corti "delli antiqui huomini"; N. Machiavelli (ritr. tardo XVI sec.)
nella missiva l'autore dà notizia dell'avvenuta composizione del Principe, da lui presentato come
un "opuscolo" indirizzato ai Medici e finalizzato ad accreditarlo come esperto di cose politiche, nella speranza di ricevere un incarico
significativo da parte loro (► VAI AL TESTO). La lettera è interessante soprattutto in quanto mostra l'ansia di Machiavelli di tornare alla
vita politica attiva dopo l'allontanamento forzato in seguito ai fatti del 1513, nonché il suo particolare rapporto con i detentori del potere
rispetto ai quali egli non fa molte distinzioni (era stato al servizio della Repubblica, ora si offre a quello dei Medici) e il suo
temperamento di uomo dedito principalmente all'azione, sempre affiancata alla speculazione teorica contenuta negli scritti letterari.
L'epistolario in generale ci mostra un personaggio poco amante della vita ritirata e smanioso di mettersi in gioco operando per il
vantaggio della propria città, mostrandosi un uomo del Rinascimento in parte diverso dall'Ariosto quale emerge soprattutto dalle
Satire, in cui agogna una vita semplice fatta di piaceri modesti (posizione comunque molto manierata e da non prendere alla lettera; ►
AUTORE: Ludovico Ariosto; ► TESTO: La felicità delle piccole cose).
Le Istorie fiorentine
Il riavvicinamento ai Medici avvenuto a partire dal 1519-20 vide Machiavelli ottenere
alcuni incarichi pubblici di scarsa importanza e il suo impegno nella composizione delle
Istorie fiorentine commissionate dalla famiglia signorile, allo scopo di nobilitare le origini
della città e accrescere il prestigio della casata: l'autore si dedicò all'opera tra il 1520 e il
1525, presentando ufficialmente il lavoro a Roma a papa Clemente VII, l'ex-cardinale
Giulio de' Medici (non c'è dubbio che lo scritto rientri nella letteratura di carattere
encomiastico del Rinascimento, anche se Machiavelli non era uno stipendiato della corte
medicea). Il trattato è diviso in 8 libri, di cui i primi quattro ricostruiscono la storia di
Firenze dal 476, anno della caduta dell'Impero Romano d'Occidente, sino al 1434, quando
Cosimo il Vecchio prese il potere in città, mentre i successivi quattro coprono il periodo che
va sino al 1492, anno della morte di Lorenzo il Magnifico (la trattazione dei libri V-VIII è
assai più dettagliata in quanto ha per oggetto il periodo storico più vicino all'autore, assai
più ricco di fonti rispetto a quello medievale e in parte conosciuto dallo stesso Machiavelli).
L'opera è un trattato storiografico che tuttavia non si pone come scopo principale la
ricostruzione del passato su basi "scientifiche" secondo i criteri moderni, ma piuttosto la
celebrazione della famiglia dei Medici e del suo successo nel porre fine alle lotte intestine
che avevano dilaniato Firenze nel XIII-XIV sec., all'epoca delle lotte tra Guelfi e Ghibellini e
poi tra Bianchi e Neri; l'autore opera un raffronto tra la storia di Firenze e quella dell'antica
Roma repubblicana, in cui il conflitto patrizi-plebei trovò una soluzione "istituzionale" che fu Clemente VII (ritr. di S. Del Piombo, 1531)
ragione di stabilità e progresso per la città (tesi sostenuta anche nei Discorsi), mentre nella
Firenze del XV sec. questo ruolo pacificatore sarebbe stato svolto proprio dai Medici. È ovvio che in questa personale rilettura della
storia fiorentina l'autore non si ponga troppi problemi di aderenza alla verità dei fatti, che vengono taciuti o distorti in maniera
disinvolta per arrivare a sostenere le proprie tesi, mentre scarsissimo è il ricorso alle fonti documentarie o di altro tipo a sostegno delle
affermazioni fatte, in ciò allineandosi alla tradizione storiografica del XIV-XV sec. che concepiva l'opera come narrazione di eventi e
personaggi del passato in forme letterarie, secondo il modello della letteratura classica (in parte diverso sarà l'atteggiamento di
Guicciardini nella Storia d'Italia; ► AUTORE: Francesco Guicciardini). Le Istorie vennero stampate postume nel 1532, come gran parte
delle opere di Machiavelli.
La trama
Il dottore in legge Nicia, uomo molto ricco e altrettanto ingenuo, è sposato con la bellissima Lucrezia, donna più giovane di lui e dalla
quale lui vorrebbe figli che però non arrivano. Il giovane Callimaco, ricco borghese appena rientrato da Parigi, è perdutamente
innamorato di Lucrezia (► TESTO: L'amore di Callimaco) e pur di farla sua ricorre a un elaborato inganno: con l'aiuto dell'amico e
parassita Ligurio fa credere a Nicia che il solo rimedio alla presunta sterilità della moglie è farle bere una pozione ricavata dalla
mandragola, pianta dalle proprietà medicinali, per cui chi andrà a letto con lei subito dopo la renderà incinta ma assorbirà il veleno
dell'intruglio e morirà entro una settimana. Nicia viene dunque convinto a far bere la pozione a Lucrezia e a far sì che uno sconosciuto
abbia un rapporto con la donna, in modo che sia lui e non il marito a morire: ovviamente a infilarsi nel letto della moglie di Nicia sarà lo
stesso Callimaco, che in tal modo potrà soddisfare i suoi desideri amorosi. Bisogna tuttavia superare le resistenze di Lucrezia, donna
molto religiosa che non vuol tradire il marito, e si incaricano di questo fra Timoteo, il confessore della ragazza che esercita su di lei
pressioni e le fa credere che questo atto non sarà peccato, e la stessa madre di lei, Sostrata, ben contenta che la figlia possa avere un
figlio in seguito a questa tresca (► TESTO: Fra Timoteo e Lucrezia). Alla fine Lucrezia accetta a malincuore e Nicia, Ligurio e Timoteo
(travestito da Callimaco) rapiscono un giovane per strada che, in realtà, è Callimaco a sua volta camuffato e che viene poi portato nella
camera della donna. Qui Callimaco sente il bisogno di svelare il proprio amore a Lucrezia e le spiega tutto l'inganno, al che la donna non
solo approva pienamente quanto è accaduto, ma farà in modo che la relazione possa proseguire anche in futuro all'insaputa del marito,
che al termine della commedia risulta cornificato, beffato e derubato dei danari che ha dovuto pagare a fra Timoteo per indurlo a fare
da mezzano (► TESTO: Il finale della Mandragola).
I personaggi
Le figure che animano la vicenda sono in gran parte negative e riflettono vari aspetti critici della società del tempo di Machiavelli, che lo
scrittore mette alla berlina in modo abbastanza impietoso: il giovane Callimaco è il classico innamorato della commedia antica, tuttavia
la passione che egli nutre per Lucrezia finisce per consumarlo e lo spinge ad architettare un complicato inganno pur di farla sua, anche
se alla fine sente il bisogno di confessare alla giovane il suo amore anziché approfittare della situazione favorevole. Interessante il fatto
che egli si sia innamorato di Lucrezia al solo sentirne elogiare la bellezza, quand'era a Parigi, dunque la sua passione ha un'origine che
ricorda vagamente alcuni precedenti letterari, come l'amor de lonh del trovatore provenzale Jaufré Rudel (► PERCORSO: Le Origini; ►
TESTO: L'amore di Callimaco), mentre il nome grecizzante significa non a caso "colui che combatte per la bellezza". Callimaco è aiutato
da Ligurio, suo amico e parassita, che agisce in modo apparentemente disinteressato per il solo gusto di beffare lo sciocco Nicia, il
dottore in legge marito di Lucrezia: l'uomo è presentato come un ingenuo che crede a qualsiasi fandonia, modellato sul personaggio di
Calandrino delle novelle del Decameron e tuttavia pieno di boria per la sua scienza giuridica, che non lo preserva dall'essere ingannato
da Callimaco che si finge un medico e lo induce a credere al rimedio miracoloso della mandragola. Non meno negativa la figura di fra
Timoteo, il confessore di Lucrezia che appare ben poco religioso e molto attento al suo profitto personale, poiché accetta di fare
pressioni sulla ragazza in cambio di denaro e poi ricorre a pretesti cavillosi per convincere la moglie di Nicia del fatto che l'adulterio non
costituirebbe un peccato (► TEATRO: La Mandragola). Il frate è forse la figura più odiosa della commedia e quella in cui l'autore esercita
una critica corrosiva alla Chiesa, mostrando tra l'altro Timoteo come assai astuto e abile a capire i raggiri di Ligurio ai suoi danni (anche
il suo nome è "parlante" e significa "devoto a Dio", con ovvi risvolti ironici). Completa il quadro Sostrata, la madre di Lucrezia che
spinge a sua volta la figlia a compiere l'adulterio per il desiderio che lei abbia figli, più per motivi di decoro familiare e opportunità che
non per amore (il nome è quello della protagonista dell'Hecyra, la commedia latina di Terenzio). Fa eccezione a questo squallore la sola
Lucrezia, che si presenta come fanciulla timorata di Dio e fedele al marito, che a malincuore accetta di compiacerne i voleri e, quando
Callimaco le svela la verità, lo sceglie come proprio amante e decide di proseguire la relazione anche in seguito, mostrando una certa
iniziativa e capacità di sfruttare la situazione (alcuni studiosi l'hanno paragonata al principe delineato da Machiavelli nell'opera
principale, in quanto abile a cogliere la propria "fortuna").
Questo sito usa i cookie per personalizzare l'esperienza utente, analizzare l'utilizzo del sito e offrire promozioni su misura. Politica sui cookie Ricordami più tardi
Ricordami più tardi
Machiavelli si rifà ovviamente ai modelli della commedia antica, specie nel delineare una vicenda al cui centro vi è un amore
contrastato (quello di Callimaco per Lucrezia, senza speranza per la fedeltà della donna) e una beffa ai danni di un uomo ricco e
sciocco, per di più anziano e dunque inadatto all'amore secondo l'intreccio tipico delle opere di Plauto, anche se l'autore moderno
reinterpreta liberamente lo schema della commedia plautina e costruisce una trama più complessa che va al di là della contrapposizione
tra giovane innamorato, vecchio sciocco e servo astuto, in questo caso rappresentato
dal parassita Ligurio. I personaggi presentano una profondità sconosciuta ai tipi fissi
della commedia classica e riflettono varie sfaccettature della società fiorentina del
Cinquecento, con un certo pessimismo di fondo dato dal fatto che essi agiscono spinti
da un certo cinismo e dalla volontà di giungere ai propri scopi a qualunque costo,
inclusa la bella Lucrezia che alla fine ottiene il suo profitto di tipo sessuale (Callimaco
è preferito come amante al vecchio marito, evidentemente incapace di soddisfare
pienamente la donna). Alquanto complessa anche la figura di Nicia, presentato come
lo sciocco che è bersaglio di una beffa e modellato sul Calandrino del Decameron di
Boccaccio, nonché sul protagonista della Calandria del Bibbiena, ma dotato anch'egli
di una certa caparbietà e convinto da Ligurio a ricorrere al rimedio della mandragola
perché spinto dalla volontà di avere figli, per cui accetta anche la conseguenza di
provocare indirettamente la morte di un uomo e si irrita degli scrupoli di Lucrezia nel
sottomettersi ai suoi voleri. In questo Nicia appare assai più perfido di Calandrino,
Mosaico romano con attori comici (I sec. a.C.)
tutt'altro che onesto ma presentato da Boccaccio in una luce più positiva, anche se le
beffe ordite ai suoi danni erano la giusta punizione per i suoi difetti tra cui l'avarizia
(► TESTO: Calandrino e l'elitropia). Boccaccio è senz'altro fonte diretta per Machiavelli soprattutto nella critica feroce alla corruzione
della Chiesa, attraverso la figura di fra Timoteo che ricorda a sua volta celebri personaggi dei Decameron (specie frate Rinaldo che nella
novella VII, 3 seduce Agnese ricorrendo ad argomenti teologici capziosi) e che tuttavia presenta maggior cinismo e mancanza di
scrupoli, in accordo con l'atmosfera cupa e pessimistica che domina l'intera commedia. Significativo inoltre che la vicenda si concluda
con un convegno di tutti i personaggi proprio in chiesa, dove tra l'altro viene sancito il rapporto di "comparaggio" tra Nicia e Callimaco
e dove i protagonisti sono soddisfatti di quanto hanno ottenuto, violando in vario modo le regole morali (anzi, Nicia accoglie in casa il
suo rivale in amore gettando le basi della futura relazione adultera tra Callimaco e Lucrezia, che avverrà sotto il suo naso e con gli
auspici di fra Timoteo che è stato il vero deus ex machina dell'intero raggiro). L'opera di Machiavelli presenta dunque una maggiore
modernità e indipendenza dai modelli teatrali rispetto alle altre commedie del periodo, specie quelle di Ariosto (la Cassaria, i
Suppositi che risalgono al decennio precedente) che erano più aderenti allo schema plautino, e anticipando in parte la novità del teatro
comico di Pietro Aretino, le cui opere hanno ambientazione moderna e contengono numerosi riferimenti polemici alla società del XVI
sec., specie al corrotto ambiente della Curia romana.
Rappresentata una prima volta alla corte dei Medici nel 1518, l'anno in cui
probabilmente fu composta, la Mandragola fu più volte replicata con successo
e stampata nel 1518 da un tipografo anonimo col titolo Comedia di Callimaco
et di Lucretia, non riconosciuto dall'autore (solo nella terza edizione romana
del 1526 il titolo divenne quello originale). La commedia riscosse enorme
apprezzamento per tutto il Rinascimento e divenne il testo teatrale più
famoso in assoluto, destinato a fare da modello al teatro comico per la sua
vivacità e modernità e ad esercitare un notevole influsso soprattutto sulle
opere di Pietro Aretino, che mostrano una visione altrettanto sconsolata
della realtà sociale del tempo (sul punto si veda sopra; ► PERCORSO: Il
Rinascimento). La fortuna dell'opera di Machiavelli andò declinando nel tardo
Cinquecento e in età barocca parallelamente al tramonto della commedia
classica, quando nel teatro si impose la commedia dell'arte che presentava
intrecci stereotipati e si affidava all'improvvisazione degli attori. La riforma di
Goldoni riporterà in auge il genere comico, tuttavia i testi dell'autore
P. Leroy e R. Schiaffino in una scena del film di A. Lattuada veneziano rifletteranno i gusti e i problemi tipici della società borghese e
nobiliare del Settecento, per cui il modello di riferimento non potrà più essere
la commedia del XVI sec. e di Machiavelli, le cui opere, nel frattempo,
verranno sottoposte a un vaglio critico molto spesso fuorviante (sul punto si veda oltre).
In età moderna la Mandragola ha conosciuto moltissime rappresentazioni teatrali ed è stata oggetto anche di riduzioni
cinematografiche, tra le quali val la pena citare il film di Alberto Lattuada del 1965 che ne costituisce una rielaborazione in parte
libera e presenta nel cast attori di grande notorietà all'epoca, quali Philippe Leroy nel ruolo di Callimaco, Rosanna Schiaffino in quello di
Lucrezia, Totò nei panni di frate Timoteo (la pellicola ottenne un buon successo al botteghino, anche perché strizzava l'occhio al grande
pubblico con allusioni alla commedia popolare). Totalmente diversa la trasposizione televisiva proposta dalla RAI nel 1978 e affidata alla
regia di Roberto Guicciardini, assai più aderente al testo originale di cui riproduce fedelmente i dialoghi modernizzando la lingua in
minima parte, anche se l'azione scenica appare sacrificata e la rappresentazione è assai meno vivace di quanto l'autore aveva
probabilmente immaginato (il cast vede la partecipazione di attori quali Giuseppe Pambieri, Alfredo Bianchini, Duilio Del Prete; ►
TEATRO: La Mandragola).
Le opere letterarie minori
L'interesse di Machiavelli per il teatro trovò espressione anche nella traduzione dell'Andria di Terenzio
e nella stesura di una seconda commedia, la Clizia, scritta nel 1525 e rappresentata nello stesso
anno alla corte dei Medici dove fu apprezzata: la vicenda è modellata sulla Casina dell'autore latino
Plauto e narra dell'amore del vecchio Nicomaco per la giovane schiava Clizia, finito male a causa
della beffa ordita ai suoi danni dalla moglie Sofronia e da altri familiari (sembra che la trama sia in
parte autobiografica e alluda alla passione senile dell'autore per la cantante Barbara Raffacani
Salutati). La comicità della commedia è venata di malinconia e l'opera è senz'altro meno riuscita
della Mandragola, il capolavoro del teatro italiano del Cinquecento, anche per una maggiore aderenza
agli schemi della commedia classica e una conseguente minore vivacità rappresentativa.
Più interessante la Novella di Belfagor arcidiavolo, narrazione in prosa che risale forse al 1518 e
che faceva parte di un gruppo di racconti più ampio, purtroppo perduti: vi si racconta la storia di
Belfagor, un diavolo mandato sulla Terra da Plutone per verificare se le mogli siano insopportabili
come raccontano gli uomini, per cui il protagonista assume sembianze umane e si sposa con monna
Onesta, di cui si innamora realmente. La donna gli rende la vita impossibile, specie per le continue e
assillanti richieste di denaro, e la conclusione ironica è che Belfagor preferisce tornare all'Inferno e
sottoporsi al dominio di Plutone piuttosto che vivere sotto il giogo della moglie, a causa della quale si
era pesantemente indebitato (► TESTO: Belfagor arcidiavolo). La novella, ambientata nella Firenze
del XIII sec., si rifà al motivo della poesia comica del Due-Trecento e presenta una notevole
misoginia, che in parte deriva dalla precedente tradizione letteraria e in parte riflette forse un H. Memling, "L'inferno" (1485)
orientamento dello stesso autore, visibile qua e là anche nelle altre opere.
Nel 1525-26 Machiavelli progettò anche un ambizioso poema in terza rima intitolato L'asino, in cui intendeva esporre la propria visione
della vita: l'autore narra in prima persona di essersi trovato nel regno di Circe, dove un gruppo di animali incarnano metaforicamente
varie tipologie di uomo e in cui lui stesso si dovrebbe tramutare in asino, anche se il poemetto rimane interrotto prima che la
metamorfosi avvenga (abbastanza evidenti i richiami all'Odissea e almeno in parte al Corbaccio di Boccaccio, in cui l'autore del Trecento
diceva di essersi smarrito in un "porcile di Venere").
La rivalutazione del pensiero di Machiavelli e la sua giusta collocazione nel suo contesto storico iniziò nel
XIX sec, specie in età romantica e risorgimentale in cui, ancora con qualche distorsione, l'opera del
grande scrittore si prestava ad essere letta come auspicio del riscatto politico dei popoli italiani oppressi
dallo straniero, specie (ovviamente) alla luce del profetico cap. conclusivo del Principe. A questo
proposito è significativo il contributo di F. De Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana (1869-
71), in cui Machiavelli veniva esaltato in quanto scrittore capace di descrivere la "realtà effettuale" in
modo crudo e immediato, con passione civile e senza l'egoismo di cui invece darebbe prova il
Guicciardini, per cui se l’Accademia della Crusca con il suo regolismo fu "il Concilio di Trento della
nostra lingua", Machiavelli fu invece per l’Italia "il suo Lutero", in grado di offrire "un punto di partenza
nella storia, destinato a svilupparsi". Una lettura meno viziata dall'entusiasmo risorgimentale è poi quella
del filosofo Benedetto Croce, che in vari articoli dei suoi Quaderni della critica (1945-51) riconosceva in
Machiavelli il fondatore della scienza politica moderna e l'assertore dell'autonomia di questa dalla sfera
morale, nell'ottica di uno Stato laico e improntato al più rigoroso liberalismo. Notevole anche il contributo
di Antonio Gramsci all'analisi dell'opera di Machiavelli, in cui l'intellettuale comunista (specie nel
A. Gramsci Principe) vedeva un utile prontuario politico per l'azione del Partito nella realtà sociale dell'inizio del
secolo, quasi identificandolo con una sorta di moderno "sovrano" (l'idea di fondo era ancora una volta quella della separazione tra
politica e morale, la concezione dello Stato come organismo laico, la storia come espressione della volontà dei popoli). Gli studi critici e
i saggi su Machiavelli scrittore, non solo di politica e storia ma a tutto campo, non si contano nella seconda metà del XX sec. e fra i
principali commentatori che si sono occupati di lui è sufficiente citare nomi del calibro di A. Momigliano, R. De Mattei, L. Russo, C.
Dionisotti, senza contare i numerosi contributi ad opera di studiosi stranieri, specie del mondo anglosassone.