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IL MITO DI PENTEO

TRA FONTI CLASSICHE E ICONOGRAFICHE

I. La tradizione euripidea del mito


Le Baccanti è una tragedia scritta da Euripide intorno al 406 A.C., morendo poco dopo averla
completata e messa in scena postuma durante le Grandi Dionisie del 403 A.C., insieme
all’Alcmeone di Corinto (perduta) e Ifigenia in Aulide, ottenendo così il primo premio. Queste
due tragedie rappresentano i lavori più innovativi per Euripide per aver adottato forme più
tradizionali della tragedia e per essersi adattato ad un nuovo pubblico, quello macedone.
Secondo gli studiosi la tragedia rappresenta un testo di eccezionale potenza drammatica e
antropologica, in particolare per la scelta dell’autore di portare in scena un soggetto e
argomento religioso pur essendo egli stesso un “laico”: alcuni hanno ritenuto questa scelta
come il frutto della riscoperta del mondo divino, ormai in prossimità della morte; altri
l’estrema polemica contro la religione tradizionale, ritenendo Dioniso un dio vendicatore,
crudele, spietato, privo di pietà verso gli uomini. Un Euripide “convertito” non avrebbe messo
in scena gli effetti più sconcertanti del dionisismo a Tebe, quali ad esempio l’annientamento
di una famiglia e la madre che uccide il proprio figlio inconsapevolmente. Rivale di Dioniso
è l’indiscusso Penteo, re di Tebe al tempo dell’epifania del dio nella città, figlio di Echione,
uno degli Sparti seminati da Cadmo dopo aver ucciso il drago per la costruzione di Tebe, e di
Agave, figlia di Cadmo e Armonia. La tradizione più comune ne fa l’erede diretto di Cadmo
(Euripide), mentre una variante del mito vede a regnare tra Cadmo e Penteo il giovane
Polidoro, che Penteo spodestò, e secondo un’altra tradizione Penteo non regnò mai a Tebe1.
La sua vicenda è legata all’aspra lotta con cui tentò di opporsi alla diffusione del culto di
Dioniso nella città, che riteneva privo di razionalità e troppo sfrenato. Non viene considerato
un personaggio positivo, ma autoritario, ostinato e violento, che vuole razionalizzare
manifestando la crisi della ragione per essere un acuto conservatore2. e. È il sovrano che
esprime la crisi e l’insufficienza del potere politico dinanzi alla autorità divina: Penteo è il
centro di una polemica che mira non a rievocare i vecchi valori della πόλις ma a mostrare

1
Grande Enciclopedia tematica Garzanti, sub voce “Penteo”.
2
Guidorizzi 2004, pp. 252-3.
1
aspetti nascosti del dionisismo3. La figura di Penteo muta nei diversi momenti della tragedia,
divenendo così da “tiranno” orgoglioso e ostinato preda delle sue stesse azioni. A partire dal
primo discorso (vv. 215-262) Penteo afferma di trovarsi fuori dalla città, non essendo tenuto
a dare motivazioni, e per sentito dire rientra in quanto Tebe è vittima del furore di uno
straniero venuto dalla Lidia, un γόης che ha attirato sul monte le donne con riti bacchici, un
dio νεωστί, che Penteo non ritiene sia realmente una divinità, perché forse nato da Zeus. Da
queste parole traspare un Penteo soggetto all’impetuosità, alla violenza verbale, all’instabilità
emotiva, all’arroganza, tutti tratti che erano attributi dalla tradizione alla figura del tiranno. In
questo primo monologo, la ὕβρις è ben evidente, sin dal principio quando Penteo fa
riferimento ai monti “ombrosi”, dove immagina si compiano i riti 4. Queste novità vengono
opposte da Penteo per ristabilire l’ordine precedente, nonostante perseguire questa punizione
contro gli adepti gli costerà la vita. Penteo è perciò il rappresentante dell’ordine, della cultura
cittadina, è espressione della mentalità tradizionale, perciò un rituale del genere indebolirebbe
le fondamenta sociali, urtando la propria mentalità bigotta e moralità convenzionale5. Ma
questo doppio atteggiamento graverà su Penteo, reo di non aver accolto questi culti nella
propria casa, causando tutt’intorno dolori e lutto (πένθος). Si potrebbe definire un Nomen-
Omen, come nota lo stesso Tiresia (v. 366), stando al gioco semantico tra il termine Πενθεύς
(Penteo) e πένθος (lutto), già attestato nel miceneo pe-te-u (sofferenza), etimologia proposta
già al v. 508, dunque "uomo del dolore". Secondo Chantraine (DELG) e Perpillou (Les
substantifs grecs en –ευς ) si tratterrebbe probabilmente della riduzione di un nome più lungo,
quale l’ipocoristico Πένθιλος6. Nel secondo episodio, il discorso tra Penteo e Dioniso-
straniero (vv. 451-518) ha una tonalità più sobria: Penteo dimostra la maturità regale che gli
appartiene, chiedendo allo straniero notizie sulla provenienza e sui riti di Dioniso compiuti
nella sua terra. Man mano che il dramma procede, si accende in Penteo una morbosa curiosità
di apprendere informazioni su quei riti che ha finora contestato e maledetto, di conoscere
l’aspetto di quel dio, collegandosi alla problematica protagorea degli dei 7 e sul modo di
apparire degli stessi. La punizione esemplare che Penteo propone alla fine del discorso per lo
straniero era inizialmente lo sgozzamento, scegliendo poi l’impiccagione, fino alla recisione

3
Di Benedetto 2015, p. 102.
4
Ibid., p. 331, nt v. 215-262 (b)
5
Guidorizzi 2004, pp. 252-3.
6
Pellizzer 2013.
7
Di Benedetto 2015, p. 367, nt v. 471.
2
di un ricciolo e alla privazione del suo tirso dalle mani, frenando cosi lo straniero e privandolo
di ciò che lo avvicinava più al dio: un seguito di propositi che davano l’idea di uno stato di
passionale emotività ma anche difficoltà nel cogliere la situazione8. Ulteriore cambiamento
caratteriale di Penteo si riscontra nel dialogo con Dioniso nel III episodio, proprio quando
Penteo accetta l’inganno del dio-straniero di indossare delle vesti femminili per cogliere
nell’atto le donne sul Citerone, che sin dal primo incontro ha rappresentato un desiderio
inconscio, scoprendo la sua nascosta sensualità mascherata da arroganza e vanità. Il piano di
Dioniso per convincere Penteo a travestirsi si compone di due passaggi: prima il dio instilla
in lui il desiderio di vedere le donne sul monte Citerone (v. 811), offrendo il suo aiuto e
promettendo che lo avrebbe accompagnato fin lì (v. 819) e poi propone a Penteo di travestirsi,
spiegandogli che per vedere le baccanti avrebbe dovuto prendere le loro sembianze, evitando
così un combattimento corpo a corpo che gli sarebbe costato la vita. L’alternativa al
travestimento è compiere una strage (αἷμα θήσεις, 837); ma se la battaglia è rischiosa, il
travestirsi da donna per Penteo è motivo di estrema vergogna. La sticomitìa vede il confronto
iniziale tra due differenti opinioni, il dio-straniero da un lato che, reticente, persegue i propri
obbiettivi di persuasione a condurre il re austero verso il monte, dall’altro un re ostile ma
desideroso di raggiugere a tutti i costi le donne (v. 820 “ἄγ᾽ ὡς τάχιστα”), cercando invano
di opporsi ad una condizione indegna e vergognosa. Dioniso prepara l’abbigliamento adatto
per l’occasione, instillando in lui una “leggera follia” affinché accettasse di salire sul Citerone
addobbato da baccante, come si legge ai vv. 847-853:

“Γυναῖκες, ἁνὴρ ἐς βόλον καθίσταται, Donne, l’uomo si infila dentro la rete:


ἥξει δὲ βάκχας, οὗ θανὼν δώσει δίκην. andrà dalle baccanti e lì morirà: giusta
Διόνυσε, νῦν σὸν ἔργον· οὐ γὰρ εἶ πρόσω· punizione. Dioniso, ora tocca a te: non sei
τεισώμεθ᾽ αὐτόν. πρῶτα δ᾽ ἔκστησον φρενῶν, lontano. Facciamogliela pagare. Per prima
ἐνεὶς ἐλαφρὰν λύσσαν· ὡς φρονῶν μὲν εὖ cosa fallo uscire di senno, infondigli una
οὐ μὴ θελήσῃ θῆλυν ἐνδῦναι στολήν, leggera follia. Finché sarà in senno, non
ἔξω δ᾽ ἐλαύνων τοῦ φρονεῖν ἐνδύσεται.” vorrà indossare un addobbo femminile.

8
Di Benedetto 2015, p. 367, nt v. 493.
3
Nel IV episodio si legge di Penteo e dello straniero che sono di comune accordo: un accordo
unilaterale, che stipula solo Penteo, perché in realtà lo straniero desidera per il re solo la morte.
Essere stato addobbato non fa altro che accentuare la sottomissione di Penteo al volere del
Dio, che lo ha in pugno, lo ha talmente accecato da non rendersi conto che ormai lo attendono
pena e morte certa, di cui lo spettatore ne ha già sentore9. È interessante la diplopia che si
riscontra ai vv. 918-22, che era ritenuta in un trattato ippocratico come vera e propria malattia:
qui Penteo è impressionato dal fenomeno e cerca di mantenersi lucido. Inoltre Penteo vede
un secondo straniero che appare ai suoi occhi come un toro nella sua totalità: perciò è si
potrebbe affermare che, prendendo sul serio ciò che aveva visto, ed essendoci già un nesso
Dioniso-toro, Penteo era informato della trasformazione dello straniero in toro, nonostante
non fosse già un adepto10. Euripide dà l’idea che la forza che lo ha colto, tale da voler sradicare
il monte, scuoterlo e portare con sé le baccanti, sia frutto del potenziamento dello spirito
dionisiaco proprio dei suoi riti. Forse Euripide stesso voleva capovolgere il ruolo di Penteo
da austero e inflessibile a soggiogato dalle iniziative e dai trucchi dello straniero.11 Giunti sul
monte, Penteo subisce l’amara sorte toccatagli, narrata dal messaggero nel V episodio,
fornendo dettagli cruenti sullo smembramento del suo corpo da parte della madre stessa e
della altre menadi. Il personaggio di Penteo acquisisce così valenza tragica, perché umiliato
e piegato al proprio destino, governato però dalle azioni di Dioniso cui è stato sottoposto
perché accecato dalla curiosità. Manifestandosi come il modello della fragilità umana, tra
macabro e grottesco, ha luogo la fine di Penteo, che di eroico e regale ha ben poco, perché la
sua morte è avvenuta nel disonore. In linea con i canoni aristotelici della tragedia, il fine è
“pietà e terrore”, proprio come avvenne la fine tragica del personaggio: assediato da una
schiera di donne in preda al furor, che lo accerchiano e lo uccidono, tra i pianti e le suppliche
che rivolge alla madre12. Una forte tensione narrativa avvolge l’intero racconto del possente
re, promotore dei buoni costumi e dei valori tradizionali, che si trova ad essere vittima di un
cruento destino ritortogli contro, ma che non ha portato ad alcun riscatto o risoluzione di
problemi, quanto un’efferata e travagliata vendetta.

9
Di Benedetto 2015, pp. 149-51.
10
Ibid., p. 435, nt v. 918-22.
11
Ibid., pp. 152s.
12
Guidorizzi 2004, p. 341
4
II. Altre fonti classiche del mito di Penteo
La tradizione euripidea non è un unicum nel resoconto delle vicende del re di Tebe Penteo,
ma si individuano in altri autori della letteratura latina e greca riferimenti più o meno ampi al
mito del re e alla sua evoluzione in rapporto al ritorno di Dioniso in Grecia.

I. Publio Ovidio Nasone13, Metamorfosi, III, vv. 532-6; vv. 701-33


Pentheus ait; 'aerane tantum Tanto potere ha dunque il bronzo percosso col bronzo, il
aere repulsa valent et adunco tibia cornu flauto dalla canna ricurva, e i trucchi magici, che gente a cui
et magicae fraudes, ut, quos non bellicus ensis, mai hanno fatto paura le spade di guerra, le trombe, le
non tuba terruerit, non strictis agmina telis, schiere con le lance in pugno, si lascia vincere da voci
femineae voces et mota insania vino femminili, da una frenesia provocata col vino, da un’oscena
obscenique greges et inania tympana vincant? masnada e vuoti tamburelli?
Perstat Echionides, nec iam iubet ire, sed ipse Il figlio di Echíone insiste, e questa volta non manda altri,
vadit, ubi electus facienda ad sacra Cithaeron ma va di persona nel luogo eletto dalle Baccanti per
cantibus et clara bacchantum voce sonabat. celebrare i sacri riti, sul Citerone che tutto risuona di canti
ut fremit acer equus, cum bellicus aere canoro e di voci squillanti. Come un cavallo focoso, quando il
signa dedit tubicen pugnaeque adsumit amorem, trombettiere dà il segnale dell'attacco con la tromba
Penthea sic ictus longis ululatibus aether sonora, freme e comincia a smaniare pregustando la
movit, et audito clamore recanduit ira. mischia, così Penteo si sente sconvolgere dentro udendo i
Monte fere medio est, cingentibus ultima silvis, lunghi ululati che fanno rintronare il cielo, e a quel
purus ab arboribus, spectabilis undique, campus: clamore riavvampa d'ira. Quasi a metà del monte c'è una
hic oculis illum cernentem sacra profanis radura, ricinta torno torno dal bosco, perfettamente
prima videt, prima est insano concita cursu, sgombra d'alberi, dove la vista spazia indisturbata. Qui,
prima suum misso violavit Penthea thyrso mentre con occhi profanatori egli osserva la festa, la prima
mater et 'o geminae' clamavit 'adeste sorores! a scorgerlo, la prima ad avventarglisi contro a corsa folle,
ille aper, in nostris errat qui maximus agris, la prima a sfregiare il suo Penteo scagliandogli il tirso, è
ille mihi feriendus aper.' ruit omnis in unum la madre. “Iuh, sorelle, - urla, - correte qui tutte e due!
turba furens; cunctae coeunt trepidumque sequuntur, Quel cinghiale grossissimo che gira per i nostri campi,
iam trepidum, iam verba minus violenta loquentem, quel cinghiale io lo devo ammazzare!”. Tutta contro lui
solo si lancia la torma inferocita: tutte si accalcano e lo
iam se damnantem, iam se peccasse fatentem.
inseguono, e lui trepida, sí, ormai trepida, ormai usa un
saucius ille tamen 'fer opem, matertera' dixit
linguaggio meno violento, ormai condanna se stesso, or-
'Autonoe! moveant animos Actaeonis umbrae!' mai riconosce di avere peccato. Colpito ugualmente,
illa, quis Actaeon, nescit dextramque precanti grida: “Aiuto, zia Autònoe! Pietà, pietà, per l'ombra di tuo
abstulit, Inoo lacerata est altera raptu. figlio Atteone!”. Quella non lo sa più, chi sia Atteone, e
non habet infelix quae matri bracchia tendat, mentre lui la scongiura, gli strappa il braccio destro; il
trunca sed ostendens dereptis vulnera membris sinistro è asportato di furia da Ino. Non ha più, lo
'adspice, mater!' ait. visis ululavit Agaue sventurato, delle braccia da tendere alla madre, e
collaque iactavit movitque per aera crinem mostrando invece lo strazio delle sue membra, “Guarda,
avulsumque caput digitis conplexa cruentis madre!”, dice. A quella vista Agave emette un ululato,
clamat: 'io comites, opus hoc victoria nostra est!' squassa la testa agitando per l'aria i capelli, gli svelle il
non citius frondes autumni frigore tactas capo e stringendolo tra le dita insanguinate esclama: “Iuh,
iamque male haerentes alta rapit arbore ventus, compagne, opera nostra è questa gran vittoria!”. Non fa
quam sunt membra viri manibus direpta nefandis. più presto il vento a portar via di cima all’albero le foglie
talibus exemplis monitae nova sacra frequentant toccate dal freddo d’autunno e ormai a malapena attaccate:
turaque dant sanctasque colunt Ismenides aras. in un attimo il corpo di Penteo è fatto a pezzi da quelle
mani sciagurate. Ammonite da un simile esempio, le
donne della Beozia seguono il nuovo culto, e offrono
incenso e vanno sempre ai santi altari.

13
Bernardini Marzolla, 2015.
5
Nel discorso di Ovidio si può notare che Penteo è rappresentato con maggiore solennità
rispetto ad Euripide, dando indizi di un re guerriero, che combatterebbe contro le baccanti,
incurante delle loro possibili azioni, alludendo forse al perduto Penteo di Eschilo. Nel secondo
testo è interessante notare come da un lato Ovidio varia la tradizione presentando Penteo non
come vittima di allucinazioni, visioni o accenni di follia, ma mosso dall’ira e dall’empietà;
dall’altro Ovidio rimane fedele al testo euripideo, descrivendo i dettagli di una sorte cruenta
crollata nella regressione14.

II. Eschilo, Πενθεύς, (TrGF fr. 183 R.)15 (V. A.C.)

“Μηδ’ αἳματος πέμφιγα πρός πέδωι βάληις”


“Non gettare a terra nemmeno una goccia di sangue”

Nei manoscritti è riportata la υπόθεσις di Aristofane di Bisanzio, grammatico alessandrino,


che accenna ad una tragedia scritta da Eschilo e contenuta in un trilogia che probabilmente
recava come titoli Semele, Xanthriai e Pentheus16. È interessante come qui si faccia
riferimento ad un particolare espressivo, ovvero “non gettare a terra il sangue” che si riscontra
anche in un'altra tragedia eschilea, le “Eumenidi”, dove ai vv. 25-26 la Pizia racconta che
Penteo morì “a guisa di Lepre”. Confrontando questo passo con il frammento del Pentheus di
Eschilo, è probabile che nell’omonima tragedia la sorte di Penteo non fu mediante
sgozzamento, bensì “accoppandolo”, ovvero colpito alla nuca e ucciso, senza spargimento di
sangue. Inoltre nel passo delle “Eumenidi” Dioniso non accenna ad organizzare la morte di
Penteo guidando un esercito, quindi non alludendo a quello sparagmòs che descrive Euripide
nel V episodio delle “Baccanti”. Da questo passo si comprende come Euripide probabilmente
volesse indirizzare il discorso e narrare la storia del re di Tebe in tutt’altra direzione17.

14
Barchiesi 2007, cfr. nota v. 701-33.
15
Nauck 1889, fr. 183.
16
Cfr. nota vv. 25-26, “Eumenidi” a cura di Battezzato-Pattoni, BUR, 2012.
17
Di Benedetto 2015, pp. 16-19.
6
III. Apollodoro, Biblioteca18, III, 5, 2 (II. D.C.)

Dioniso attraversò la Tracia e tutta l’India, dove innalzò delle colonne, e giunse a Tebe
dove costrinse le donne ad abbandonare le loro case per celebrare i riti bacchici sul
Citerone. Penteo, il figlio che Agave aveva generato a Echione e che da Cadmo aveva
ereditato il regno, cercava di impedire che ciò avvenisse: si recò sul Citerone per spiare
le Baccanti e fu fatto a pezzi da sua madre, Agave, che, in preda alla follia, lo aveva
scambiato per una belva feroce. Dopo aver dimostrato ai Tebani la sua natura divina,
Dioniso si recò ad Argo e, poichè anche qui non volevano onorarlo, fece impazzire le
donne: esse andavano sui monti con i loro figli lattanti e ne divoravano le carni.

Guida fondamentale per la conoscenza della mitologia greca dalle origini dell’universo alla
guerra di Troia, la Biblioteca consta di una sezione del III libro dedicata ai discendenti di
Cadmo, soffermandosi, nel passo qui riportato, sulla vicenda di Penteo. Il mito descritto si
rifà alla tradizione euripidea, mettendo in risalto quell’acuta curiosità di Penteo nell’osservare
più da vicino le menadi sul Citerone ignaro della propria sorte. Dopo lo smembramento del
suo corpo per mano della madre, Apollodoro aggiunge che il viaggio di Dioniso prosegue
sino al cuore della Grecia, Argo, dove colpirà con la follia le donne punendo così coloro che
non accettano i riti misterici nella città.

IV. Igino, Fabulae19, CLVVVIV ( I a.C.)

Pentheus Echionis et Agaues filius Liberum negauit deum esse nec mysteria eius accipere
uoluit. Ob hoc eum Agaue mater cum sororibus Ino et Autonoe per insaniam a Libero
obiectam membratim laniauit. Agaue ut suae mentis compos facta est et uidit se Liberi
impulsu tantum scelus admississe, profugit ab Thebis; quae errabunda in Illyriae fines
deuenit ad Lycothersen regem, quam Lycotherses excepit.

18
Scarpi 1996.
19
Marshall 1993.
7
Penteo, figlio di Echione e Agave, negò che Libero fosse un dio e non volle accogliere i
suoi misteri; per questo, sua madre Agave e le sue sorelle Ino e Autonoe, rese folli da
Libero, lo fecero a pezzi. Quando Agave rientrò in sé e vide l’immane delitto che aveva
commesso, spinta da Libero, fuggì da Tebe e giunse, errando senza meta, nelle terre
dell’Illiria presso il re Licoterse, che la accolse20.

Nella raccolta di brevi storie scritte da Igino, il mito di Penteo è presentato secondo la fonte
euripidea: la madre e le sue sorelle, rese folli da Libero-Dioniso, dilaniarono il corpo di Penteo
salito al monte. Il prosieguo vede la fuga di Agave che, affranta per l’atto cruento verso il
figlio, si dirige vero l’Illiria. Igino perciò è in linea con la tradizione più attestata del mito che
vede il re di Tebe torturato e ucciso per aver ostacolato la diffusione dei riti bacchici.

V. Nonno di Panopoli, Dionysiaca (IV d.C.)

Canto LXIV: 1-140 / 258-281


Canto XLV: 1-8
Canto XLVI: 106-220 / 265-282 / 353-355

Le Dionisiache esprimono con vigore l’ultimo modello della tradizione epica di età imperiale
in Grecia. Un’opera dotta, che risponde alle esigenze dello stile tardo, per l’utilizzo esotico
del mito. La materia è relativa al mito di Dioniso e nasce in seguito all’interesse sorto per la
spedizione di Alessandro Magno in India e per le sue conquiste21. I canti 44-46 riferiscono
nel dettaglio la versione nonniana del mito di Penteo, nei quali si riscontrano delle notevoli
differenze sia per i personaggi che per la trama rispetto alla tradizione Euripidea. Mutato
atteggiamento di Dioniso in dio giusto e implacabile verso gli empi, anche in Penteo si
riscontrano notevoli cambiamenti: da Nonno viene dipinto non come un re giusto, che difende
la morale cittadina, che evita ad ogni costo di perdere l’ordine sociale della propria città, bensì
come un empio, un usurpatore malvagio che ha esiliato il giovane Polidoro, che ha cura
soltanto di preservare il posto sul trono datogli dall’anziano Cadmo, che per combattere il dio

20
Guidorizzi 2000.
21
Guidorizzi 2004, p. 820.
8
sfrutta qualsiasi mezzo a sua disposizione. Salire al monte non è stato per Penteo il bisogno
nato da ossessiva curiosità per i riti misterici che venivano compiuti, quanto più una tattica
per rinsavire le donne tebane fuggite dalle proprie case. Personaggio ormai privo della carica
tragica di Euripide che conserva, presumibilmente, nell’ultimo parte del canto XLVI, quando
supplice e indifeso regredisce come un bambino destinato a essere pianto. I connotati del re
austero e intrepido sono qui sostituiti da connotati meramente negativi, vicini ad altri tiranni
o teomachi narrati dalla tradizione pagana e cristiana22.

22
Tissoni 1998, pp. 68-71.
9
LE FONTI ICONOGRAFICHE

Il mito di Penteo è trasmesso mediante la presenza di raffigurazioni vascolari su ceramiche,


in particolare su di un cratere rinvenuto nei pressi della Necropoli di Centuripe in Sicilia.
Guido Libertini23 (1939) lo ritiene legato alla produzione della Magna Grecia dei primi
decenni del IV sec, mentre Beazley (1954) propone un ambito italiota con forti influenze
attiche e una datazione intorno al 425 a. C. L’incertezza sulla datazione è strettamente
connessa con il rapporto con la tragedia di Euripide (rappresentata per la prima volta nel 406
a.C).

Questo cratere a campana ritrovato in più pezzi e sottoposto a notevole restauro recava sul
lato anteriore una figura maschile, che non poteva non essere che Penteo, tenuto fermo alle
estremità dalle menadi che levano in alto i loro tirsi e tengono per un ciuffo il giovane re che
tende in alto il braccio destro chiedendo aiuto e difesa. Nel lato posteriore del cratere è
rappresentata una scena generica con un gruppo femminile, di cui una è stante e acefala. Lo
schema seguito non ha corrispettivi con altro vasellame bensì con un’anfora in particolare,
rinvenuta a Talos, per la somiglianza con la figura maschile del gigante che per le figure
femminili, con chitone e panneggi, e il portamento di grazia che le contraddistingue. Secondo

23
Libertini G. 1939, pp-139-145
10
gli studi, i legami con la pittura italiota o siceliota, indicherebbero che questo cratere sia frutto
di un’officina magno-greca, dove le rappresentazioni di figure maschili colpite da baccanti
risultavano frequenti. Confrontando quest’opera con le tragedie antiche che descrivono il
mito, si ritiene che i dipinti dello smembramento di Penteo fossero sia antecedenti che postumi
ai drammi di Eschilo ed Euripide, ed agli inizi del IV sec., se non in rarissimi casi, episodi di
sparagmòs sono del tutto assenti. Nelle pitture si rivedono scene di Penteo armato che tende
l’imboscata alle menadi, mentre sta per essere dilaniato o assalito con le armi. All’età romana
risalgono sempre pitture che rappresentano Penteo in armi o quasi dilaniato dalle baccanti.
Una possibile relazione col racconto di Pausania24 la si riscontra accostando quelle tavolette
che ammira nel santuario di Dioniso e questo cratere: l’autore racconta di un dipinto, perduto,
raffigurante Penteo e Licurgo che pagano il prezzo dell’oltraggio nel santuario di Dioniso.
Libertini non ritiene fosse certa, ma quasi, che questa raffigurazione fosse più in linea con la
tradizione euripidea che eschilea, sia per la scarsità dei contenuti dell’opera di Eschilo, sia
perché il cratere non presentò scene di battaglia che erano presenti in Eschilo ma assenti in
Euripide. Sempre secondo Libertini, in qualche modo il cratere ha abuto notevole rilevanza
in relazione alle scene pittoriche del santuario di Dioniso ad Atene.

24
Periegesi, I, XX, 3; II, 2, 6-7.
11
BIBLIOGRAFIA

 Barchiesi 2007: Barchiesi A., Ovidio, Metamorfosi, fondaz. Lorenzo Valla, Mondadori

editore, Milano.

 Bernardini-Marzolla 2015: Bernardini Marzolla P., Ovidio, Metamorfosi, Centauria,

Milano.

 Di Benedetto 2015: Di Benedetto V., Euripide, Le Baccanti, BUR.

 Guidorizzi 2000: Guidorizzi G., Igino, Miti, Adelphi, Milano.

 Guidorizzi 2004: Guidorizzi G., Il mondo letterario greco, Vol. 1-3, Einaudi.

 Libertini 1939: Libertini G., Una nuova rappresentazione del mito di Penteo, in

“Annuario della Scuola Archeologica di Atene”, XXII, 1939, pp. 139-145.

 Marshall 1993: Marshall P., Hyginus, Fabulae, Bibliotheca scriptorum Graecorum et

Romanorum Teubneriana, Lipsiae.

 Nauck 1889: Nauck A., Tragicorum et graecorum fragmenta, editio secunda, Lipsiae

in aedibus B. G. Teubneri, 1889.

 Pellizzer 2013: Pellizzer E., Dizionario Etimologico della mitologia greca, 2013.

 Scarpi 1996: Scarpi P., Apollodoro, I miti greci, ed. Lorenzo Valla, Mondadori editore,

Milano.

 Tissoni 1998: Tissoni P., Nonno di Panopoli, I canti di Penteo, in Pubblicazioni della

facoltà di lettere e filosofia di Milano, 177, La nuova Italia, Firenze, pp. 68-71.

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