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DANTE: INFERNO

Canto X
LUOGO: Sesto cerchio
I PECCATORI: eretici, epicurei*. Coloro che non hanno creduto o che hanno rinnegato la vera fede
LA PENA: i dannati giacciono in sepolcri scoperchiati e infuocati; il fuoco rimanda al rogo, ossia alla
punizione con la quale ai tempi di Dante si usavano punire gli eretici.
I PERSONAGGI (oltre a Dante e a Virgilio):
• Farinata degli Uberti: uomo politico fiorentino, capo della fazione ghibellina (avversa ai
Guelfi Bianchi cui appartiene Dante), vissuto circa 50 anni prima di Dante; il personaggio di
Farinata incute timore e rispetto per la sua fierezza, pur nella sofferenza della pena. (Come
avesse l’Inferno a gran dispitto…-→ Farinata è un uomo che non abbandona il proprio orgoglio
nemmeno nell’umiliazione della dannazione) Nonostante l’inimicizia politica, traspare anche
l’identificazione di Dante in questo personaggio che ha combattuto strenuamente per il bene
della patria (Firenze), opponendosi anche alla decisione degli altri capi ghibellini di radere al
suolo Firenze in seguito alla sanguinosa battaglia di Montaperti, combattuta e vinta contro i
Guelfi.
• Cavalcante Cavalcanti: padre di Guido Cavalcanti, il poeta stilnovista e amico di Dante.
L’atteggiamento di Cavalcante, piangente e sofferente, crea un vivace contrasto con quello di
Farinata e introduce un nuovo tema: quello dell’amore paterno.
I PUNTI SALIENTI:
• La predizione dell’esilio: Farinata predice a Dante l’esilio politico. “Ma non cinquanta volte
fia raccesa / la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell’arte pesa” → Ma
non passeranno cinquanta fasi lunari (meno di quattro anni) che anche tu saprai quant'è
dolorosa quell'arte. (si riferisce all’esilio). È importante ricordare che Dante scrive la Divina
Commedia lontano dalla sua amata patria, scacciato da Firenze dai Guelfi Neri che avevano
allontanato i Guelfi Bianchi, ostili, come Dante, all’autorità del papa Bonifacio VIII. Il tema
dell’esilio, vissuto con dolore e sofferenza dal poeta, è molto importante nella Divina
Commedia. Dante non poté rivedere Firenze mai più.
• Le lacrime di Cavalcante: Cavalcante, non vedendo il figlio Guido insieme a Dante, domanda
di lui. La risposta imprudente di Dante, che si riferisce a Guido parlando al passato, suscita in
Cavalcante la paura che Guido possa essere morto, paura in realtà infondata, perché Guido è
ancora vivo. Nel rispondere a Cavalcante, Dante pronuncia queste parole: “Da me stesso non
vegno: / colui ch’attende là, per qui mi mena /forse cui Guido vostro ebbe a disdegno” → Non
sono qui per mio solo merito: colui che attende là (Virgilio) mi conduce attraverso l'Inferno
verso colei (Beatrice) che vostro figlio Guido, forse, ebbe a disdegno (disprezzò). Qui Dante
vuole sottolineare la propria presa di distanza da Guido Cavalcanti e in generale da coloro che
sostengono un razionalismo eccessivo che misconosce la verità della rivelazione e della fede.
Beatrice, simbolo della fede, è l’incarnazione di questo affidarsi a forze soprannaturali che
sono al di là della logica e del pensiero e che realmente possono condurre l’uomo alla salvezza,
la dove invece naufraga la ragione. Proprio ciò in cui eretici ed epicurei non hanno creduto e
che li porta ora a rivoltarsi nelle tombe infuocate.
• La rivelazione di Farinata sulla preveggenza dei dannati: Farinata rivela a Dante che i dannati
sono in grado di prevedere il futuro (così come egli stesso ha previsto poco prima l’esilio di
Dante), ma non possono vedere il presente. Infatti, per contrappasso*, i dannati, che in vita
hanno pensato solo al presente e non al futuro, e cioè alla vita ultraterrena, ora sono
condannati, al contrario, a vedere unicamente il futuro e non il presente. Questo fino al giorno
dell’Apocalisse e dell’avvento del Regno di Dio, quando il tempo sarà soppresso e i dannati,
non potendo più conoscere nemmeno il futuro, sprofonderanno definitivamente nell’oscurità
dell’intelletto.
• Altri dannati illustri: Farinata confida a Dante che con lui si trovano anche le anime
dell’imperatore Federico II di Svevia, figura storica importante quanto controversa e
portatrice di una visione profondamente razionalistica ed eretica rispetto al tema della fede,
e del cardinale Ottaviano degli Ubaldini, vescovo di Bologna con fama di eretico e ghibellino
acceso.
• *EPICUREISMO: dal nome del filosofo greco Epicuro, che sosteneva l’assoluta indifferenza
degli Dei alle vicende umane, oltre ad una concezione sostanzialmente materialistica del
cosmo.
• *CONTRAPPASSO: la regola per cui la pena dei dannati rispecchia, per somiglianza o al
contrario per contrasto, il motivo per cui essi hanno meritato la dannazione eterna.
Figure retoriche
• 4, «O virtù somma»: metonimia
• 22, «città del foco»: perifrasi per indicare la città di Dite
• 26, «nobil patria»: perifrasi per indicare Firenze
• 47, «a me e a miei primi e a mia parte»: climax ascendente
• 58-59, «cieco / carcere»: enjambement e allitterazione
• 67-69, «Come? / dicesti "elli ebbe"? non viv’elli ancora? / non fiere li occhi suoi lo dolce
lume?»: climax ascendente
• 69, «dolce lume»: metafora per indicare la luce del sole
• 75, «né mosse collo, né piegò sua costa»: doppia sineddoche
• 77, «S’elli han quell’arte», disse, «male appresa»: iperbato
• 80, «la donna che qui regge», perifrasi per indicare Prosperina
• 131, «tutto vede»: anastrofe

CANTO XIII
Dante e Virgilio si trovano all'interno di una selva piena di alberi contorti da cui provengono suoni
inquietanti. Spezzando un ramo da una pianta, Dante scopre che gli alberi in realtà sono le anime dei
suicidi. La loro pena consiste nella trasformazione in piante perché in vita hanno rifiutato la vita.
Questo è un atto disumano: gli uomini amano la vita. Per questo sono diventati dei vegetali, perdendo
il loro aspetto di esseri umani. Dal ramo spezzato esce la voce di Pier delle Vigne, consigliere* di
Federico II. Pier delle Vigne era molto invidiato dagli altri cortigiani* per l’amicizia che aveva con
l'imperatore. Le maldicenze dei cortigiani rovinarono il rapporto tra Federico II e Pier delle Vigne, che
si suicidò per la disperazione. Dante è molto colpito perché capisce che anche a lui potrebbe
succedere la stessa cosa: anche lui è stato esiliato a causa della malevolenza e dell’invidia dei suoi
concittadini. Il dannato racconta anche la sorte che aspetta i suicidi dopo il Giudizio universale: essi
dovranno recuperare i loro corpi e appenderli ai rami del proprio albero. Non potranno, come gli altri
dannati, riunire la loro anima con il loro corpo perché hanno scelto di rinunciare ad esso quando si
sono tolti la vita. Dante nel canto condanna il suicidio perché, nella visione medievale, l'uomo non è
padrone del proprio destino e quindi non può togliersi la vita, che è dono di Dio. Una volta che Dante
e Pier delle Vigne hanno finito di parlare, compaiono due nuovi personaggi inseguiti da un branco di
cani. Gli uomini sono gli scialacquatori*, che vengono fatti a pezzi dai cani come loro avevano
distrutto i loro beni e il loro denaro in vita. Questa scena è una caccia infernale.
Glossario
• consigliere: collaboratore importante, degno di fiducia
• cortigiani: uomini che lavorano e vivono in una corte
• scialacquatori: chi spende denaro senza curarsi della fatica per guadagnarlo

FIGURE RETORICHE
vv. 4-6, «Non fronda verde, ma di color fosco; / non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti; / non pomi
v’eran, ma stecchi con tòsco»: anafora
v. 4, «fronda»: sineddoche (singolare per il plurale)
v. 25, «Cred’io ch’ei credette ch’io credesse»: poliptoto
v. 37, «Uomini fummo, e or siam fatti sterpi»: chiasmo
v. 48, «rima»: sineddoche per indicare l’Eneide
v. 63, «sonni»: metonimia per indicare la tranquillità
v. 63, «polsi»: metonimia per indicare la vita
v. 64, «meretrice»: metafora per indicare l’invidia
vv. 67-68, «infiammò contra me li animi tutti; / e li ’nfiammati infiammar sì Augusto»: poliptoto
v. 72, «ingiusto fece»: anastrofe
v. 113, «caccia»: metonimia per indicare i cani da caccia
v. 136, «fu sovr’esso fermo»: iperbato

CANTO XVI
Si svolge nell'ottava bolgia dell'ottavo cerchio, dove si trovano i consiglieri di frode, le cui anime
sono avvolte da una fiamma perpetua. Tra questi Dante e Virgilio incontrano Ulisse, reo di aver
trascinato nel suo "folle volo" (aver attraversato le colonne d'Ercole, limite invalicabile dell'uomo)
anche i suoi compagni di viaggio. Ulisse racconta così la sua ultima avventura, che non è
tramandata dalla tradizione classica dell'Odissea (che Dante non conosceva direttamente), ma da
una tradizione secondaria medievale.
Cortellessa pone un parallelismo tra il viaggio di Ulisse, che con i suoi compagni si dirige sulla
"picciola nave" verso la montagna del Purgatorio e il viaggio di Dante, che si sta recando proprio al
Purgatorio. Ulisse è avvolto nelle fiamme insieme a Diomede, come Virgilio spiega a Dante, perché
insieme avevano ordito l'inganno del Cavallo di Troia. Dante è desideroso di parlare con i due
antichi eroi, e prega per cinque volte Virgilio, che gli promette di rivolgere alle due anime delle
domande, purché Dante taccia. Virgilio si pone, quindi, da interprete tra Dante e le due figure
epiche. La fiamma più grande si muove e dal fuoco cominciano a uscire delle parole. Qui inizia il
racconto dell'ultimo viaggio di Ulisse.
La lussuria e la superbia sono due peccati che Dante evidentemente ben conosce e non è un caso
che i canti dell’Inferno dedicati a questi due peccati siano tra i più celebri; in particolare, sono legati
alla parola e alla capacità di parlare, all’elocuzione, alla capacità degli essere umani di ascoltare:
leggere le parole, come nel caso di Francesca, o parlare in pubblico, con le orazioni di Ulisse.
Siamo nel XXVI canto, nell’ottava bolgia, nell’ottavo cerchio dell’Inferno che è dedicato ai consiglieri
di frode; il peccato di Ulisse punito in questo canto, infatti, consiste nell’aver trascinato la
“compagnia picciola” dei suoi compagni di viaggio nel suo folle volo. Il tema del viaggio è
naturalmente la cornice narrativa dell’intera Commedia. Come si dice in retorica, c’è una mise en
abîme, c’è un viaggio dentro il viaggio, che è appunto il viaggio di Ulisse. Il viaggio di Ulisse è lo
specchio del viaggio di Dante, infatti in questo canto Ulisse ci viene narrato in un’avventura che
non è tra quelle tramandate dall’Odissea omerica (Dante non poteva conoscere il testo
direttamente perché non poteva essere giunto a lui e non poteva leggerlo in greco), ma è una
tradizione secondaria di un viaggio ulteriore che Ulisse avrebbe affrontato dopo il ritorno a Itaca,
quindi in tarda età, coinvolgendo i suoi antichi compagni in una nuova avventura oltre le colonne
d’Ercole, quindi nell’Oceano Atlantico.
Dante segue questa tradizione medievale: l’immaginazione che inserisce e sovrappone la figura di
Ulisse su quella di Dante è che quest’ultimo viaggio di Ulisse, quello in cui incontra il suo destino
mortale, è indirizzato verso la montagna del Purgatorio. Lo stesso Dante si sta recando su quella
montagna perché siamo negli ultimi canti dell’Inferno; presto, con un capovolgimento di fronte,
quel moto che va verso il basso tipico dell’Inferno, si capovolgerà in un moto ascensionale, quello
sulle balze del Purgatorio, della montagna del Purgatorio che appare negli ultimi versi del canto di
Ulisse. In questo caso Virgilio è una guida ancora più opportuna e salda che nel resto della
narrazione infernale. In particolare spiega che le anime dei condannati, in questo caso, sono
avvolte all’interno di una fiamma e che questa fiamma interrogata da Virgilio, in realtà, ha due
anime, due corpi che simboleggiano i corpi di Ulisse e Diomede: nella tradizione seguita da Dante
sono i colpevoli del grande inganno risolutivo nella vicenda dell’Iliade, ovvero l’artificio del cavallo
di Troia. Dante si rivolge a Virgilio affinché faccia non solo da tramite, ma anche da interprete
poiché Dante non conosce di prima mano i personaggi dell’antica Grecia, i personaggi provenienti
dall’immaginario greco. Dante utilizza Virgilio come mediatore, esattamente come in effetti sono i
poeti latini quelli da cui derivano le tradizioni che interpreta in questo canto: non solo Virgilio, ma
anche, e soprattutto, Stazio come fonti del XXVI canto dell’Inferno.

FIGURE RETORICHE
vv. 25-32, «Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, / nel tempo che colui che ’l mondo schiara / la faccia
sua a noi tien meno ascosa, // come la mosca cede alla zanzara, / vede lucciole giù per la vallea, /
forse colà dov’e’ vendemmia e ara: // di tante fiamme tutta risplendea / l’ottava bolgia»: similitudine
v. 28, «mosca»: sineddoche (singolare per il plurale)
v. 28, «zanzara»: sineddoche (singolare per il plurale)
vv. 34-41, «E qual colui che si vengiò con li orsi / vide ’l carro d’Elia al dipartire, / quando i cavalli al
cielo erti levorsi, // che nol potea sì con li occhi seguire, / ch’el vedesse altro che la fiamma sola, / sì
come nuvoletta, in sù salire: // tal si move ciascuna per la gola / del fosso»: similitudine
v. 34, «colui che si vengiò con li orsi»: perifrasi per indicare Eliseo
vv. 80-81, «s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, / s’io meritai di voi assai o poco»: anafora
v. 101, «legno»: sineddoche per indicare la nave
v. 106, «vecchi e tardi»: endiadi
vv. 114-115, «a questa tanto picciola vigilia / d’i nostri sensi ch’è del rimanente»: perifrasi per indicare
la poca vita rimasta
v. 125, «de’ remi facemmo ali al folle volo»: metafora per esprimere la temerarietà del viaggio di
Ulisse
v. 138, «legno»: sineddoche per indicare la nave

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