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IL FATO

GRECO

Dalle origini della civiltà greca a Tucidide si era esplorata, cosa riscontrabile nella tragedia, in profondità la
dipendenza dell'uomo dal destino,identificato col volere divino.
In Tucidide invece la realtà umana e naturale è laicizzata, diventa cioè immune da interventi e contatti col
soprannaturale. Si parla della come di ciò che non si può prevedere razionalmente.Significativa è la
descrizione nelle "Storie" della peste che nel 430 colpi' Atene durante la g. del Peloponneso.Questa non è
mandata dagli dei; è un evento naturale, ma imprevedibile.Tucidide ne descrive lo scoppio e l'evoluzione per
insegnare ai posteri in che modo comportarsi in caso in cui si ripresenti un avvenimento simile.
Si riparla di  nell' orazione di Demostene "Sulla corona", pronunciata nel 330. Era la difesa dell'autore
dall'accusa di illegalità mossagli da Eschine. (Dopo la battaglia di Cheronea a cui Atene giunse e perse e di
cui fu accanito sostenitore Demostene, l'oratore venne incaricato di ricostruire le mura e per questo versò
nelle casse dello stato un contributo personale. In seguito Ctesifonte amico dell'oratore, propose di dargli
una corona d'oro per ringraziarlo. Eschine lo accusò di illegalità in quanto non si poteva premiare un
magistrato ancora in carica). Nell'orazione Demostene espone con lucidità le circostanze in cui si trovava
Atene e sostiene che la sua politica era l'unica da seguire.La vittoria o la sconfitta, poi, non dipendono
dall'uomo,ma dalla, un'entità al di sopra degli uomini non ben definita. E' un quid non umano che
agisce nella storia. Ma, continua inoltre, anche se l'esito fosse stato prevedibile si sarebbe dovuto decidere
per la guerra in nome del passato e del presente di Atene,in cui era sempre stata libera e doveva combattere a
meno di negare se stessa in una sorta di suicidio morale.
Per tornare ad identificare la  con la divinità, bisogna analizzare la commedia di Menandro. In essa la
 è divinità capricciosa che non ha scopi e che può rovesciare la condizione dell'uomo sia in positivo sia
in negativo quando vuole.E' il caso dell'  in cui è stessa a pronunciare il prologo e a presentare
l'antefatto come il risultato del suo volere. Gli uomini sono fragili davanti alla ,ma possono cercare
stabilità e sicurezza nei rapporti interpersonali (soprattutto nell'amore in tutte le sue accezioni). L'azione
della sembra dispiegarsi in presenza di un'azione umana convergente; è il caso del in cui è
Cnemone a decidere di cambiare carattere. In età ellenistica (un epoca di grandi trasformazioni in cui
successi si alternano a insuccessi,buone vicissitudini innalzano alle stelle personaggi che poi le sventure
provvedono ad abbattere ed in cui non si crede più alla religione tradizionale con i suoi dei antropomorfi)
 diventa una figura dominante nella letteratura,ma specialmente nella storiografia. Polibio -vissuto a
cavallo del e II secolo- scrisse le "Storie", opera storiografica in 40 libri che trattavano gli avvenimenti
mondiali dal 264 ( 1 g. punica) al 144 a.C. L'oggetto era il racconto dei" mezzi di cui si servi' la " nel
suo progetto di dominio universale di Roma (1,4). L'autore narra le vicende razionalmente,basandosi sui
, poiché la storia -dice- deve essere magistra vitae, ricercandone la causa vera (, apparente
( e l'inizio concreto (. Tuttavia nonostante l'indagine precisa di cause razionali assume un
ruolo dominante la figura della , che ha una connotazione ambigua : ora è l'imprevedibile -come in
Tucidide- ora è entità provvidenziale, ora elemento capriccioso, il caso cieco oppure un semplice modo di
dire. Questo perché non sempre è facile cogliere l' degli eventi e solo in questo caso Polibio parla di
 un'entità metaumana. Cosi' concede all'uomo la piena responsabilità delle proprie azioni e la facoltà di
determinarle in un senso piuttosto che un altro, intervenendo con la ratio( ma ricompare il ,
l'occasione favorevole determinata dalla  un uomo con virtus deve saper cogliere). VEDI PASSI A
PARTE. Si ritorna a parlare di  con Luciano,autore della II sofistica.Per Luciano la è la padrona
della vita umana, quest'ultima raffigurata come un corteo di maschere guidato da quella dea capricciosa, che
prima attribuisce a caso ai partecipanti certi ruoli e i relativi abbigliamenti,poi si diverte a scambiare di tanto
in tanto e senza ragione il costume che ha loro dato, trasformando chi è re in schiavo o viceversa in un batter
d'occhio. Solo la morte potrà annullare le disuguaglianze sociali, distribuendo la parità che sulla terra manca.

ITALIANO

I Malavoglia è romanzo antifrastico fin dal titolo. Questo è riscontrabile anche e soprattutto nel nome della
loro barca, la Provvidenza.Il romanzo è invece l'assenza di provvidenza.In realtà c'è un fato che si oppone a
qualunque tentativo dei personaggi di uscire dalla loro condizione. E i Malavoglia che, nonostante il nome
sono i migliori del paese (si rovinano per la loro onestà) , si trovano a lottare contro il fato. Tutto ciò è il
mito dell'ostrica, teorizzato nella novela "Fantasticheria" e poi applicato al romanzo. Infatti tale novella
risulta essere il preludio ai Malavoglia . Vi si trovano sia i personaggi della famiglia Malavoglia sia alcune
immagini fondamentali: a parte l'ideale dell'ostrica attaccata allo scoglio, la religione della famiglia e una
dinamica narrativa che sposterà l'attenzione da padron 'Ntoni a 'Ntoni il giovane,colui che ha la
responsabilità di staccarsi dal gruppo. Verga risponde a questo fatalismo con un pessimismo cupo, come se
di fronte al destino che incombe sulla vita umana non si potesse far nulla se non accettarlo.Ciò è riscontrabile
nei comportamenti dei personaggi del romanzo, ad esempio quando Alfio e Mena decidono non sposarsi più
oppure quando 'Ntoni alla fine va via, consapevole che non c'è più posto per lui n'è a casa sua n'è in paese.

I Promessi Sposi vengono anche definiti "Romanzo della Provvidenza". La storia è pervasa di pessimismo
che emerge nella constatazione della presenza del male, dell'irrazionalità dell'agire umano e della forza
dirompente degli egoismi in contrasto. Ma la Grazia di Dio non abbandona mai gli uomini che lo cercano e
confidano in Lui. Per chi ha fede nella Provvidenza il succedersi dei fatti acquista un senso, una logica.
Naturalmente Dio non è quello che punisce i malvagi e premia i buoni, come un giustiziere. Il suo agire e la
sua opera riescono per la maggior parte delle volte insondabili agli uomini, che devono accettare i fatti con
umiltà e fiducia. Sbaglia Don Abbondio quando, esultante, definisce la Provvidenza come una scopa CAP.
XXXVIII che finalmente ha fatto piazza pulita di Don Rodrigo. E' più corretta la riflessione di fra'
Cristoforo che, di fronte a Don Rodrigo agonizzante e sofferente al lazzaretto, afferma: "Può esser castigo,
può esser misericordia" CAP XXXV.
La peste, poi, non deve essere ridotta a punizione dei malvagi e la morte di Don Rodrigo può essere intesa
come l'ultima possibilità offertagli dalla misericordia divina perché si ravveda e salvi la sua anima. In questo
senso, anche se il romanzo termina con la celebrazione delle nozze, non presenta l'"idilliaco lieto fine"
tradizionale. Infatti la conclusione della storia si pone al CAP XXXVI quando fra' Cristoforo scioglie Lucia
dal voto che fece nel castello dell'innominato. In tal modo Lucia può seguire il cuore e anche Renzo vede
rimosso l'ultimo ostacolo. I due si congedano da fra' Cristoforo, commossi dalle sue parole che sembrano un
testamento spirituale e che invitano a perdonare "sempre, sempre! Tutto, tutto!".
La conclusione dei due sposi è che di fronte alle tribolazioni bisogna confidare in Dio e sperare che le
sofferenze migliorino la vita. Insomma, la Provvidenza si rivela non nel susseguirsi dei fatti, ma all'interno
dei cuori.

PARADISO, I,130/141

In questi versi Dante espone la sua idea dell'universo, che,secondo lui, è ordinato da Dio in modo che tutto
abbia un fine verso cui dirigersi, come la nave va al porto.
Ogni creatura ha un fine diverso a seconda del suo grado d'essere, ad es. la forza di gravità tiene unita la terra
oppure il fuoco è portato a salire verso la luna. Per gli esseri dotati d'intelligenza, angeli e uomini, questo fine
è Dio stesso VV.107-108 e quando gli uomini si liberano dei vizi e delle colpe volano verso l'Empireo, la
sede di Dio. Dante si trova proprio nel moto universale della Provvidenza e del finalismo.

FILOSOFIA
La storia, per Hegel, è il dispiegarsi di un assoluto immanente. I fatti non si spiegano in se stessi, ma nella
loro totalità.E' come se fossero un disegno provvidenziale, ma Hegel non la vede in questo senso, per lui
sono l'imperscrutabile per l'uomo. La filosofia della storia ha il compito di dire come lo Spirito del Mondo si
dispieghi negli avvenimenti singoli. Lo Spirito del Mondo si incarna negli spiriti dei popoli, che si succedono
a turno. E gli individui sono solo un mezzo dell'Assoluto. Nessuno può sottrarsi al compito che gli è stato
affidato. Questo riguarda soprattutto i grandi, gli eroi, i geni ( Alessandro Magno, Cesare, Napoleone), che in
pochissimo tempo e per mezzo delle proprie capacità superiori arrivano al potere. Loro credono di seguire il
proprio genio, ma in realtà questa è un'astuzia dello Spirito del Mondo. Essi sono i depositari di un progetto.
Infatti, appena hanno assolto il loro compito, cadono repentinamente, in quanto non servono più al realizzarsi
del disegno della storia.

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