Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Niccolò Machiavelli nasce a Firenze il 3 maggio 1469 da una famiglia di cultura ma non
ricca. Durante il periodo della repubblica teocratica di Savonarola, Machiavelli si oppone al
frate domenicano e, dopo la sua caduta nel 1498, entra ufficialmente in politica. Oltre alla
sua attività diplomatica, Machiavelli si dedica alla scrittura di opere politiche e letterarie.
Machiavelli, che aveva avuto un ruolo di rilievo nell'amministrazione repubblicana, viene
allontanato dagli incarichi e nel 1513 viene accusato di congiura contro i Medici.
Machiavelli spera di riconquistare un ruolo politico attivo grazie ai nuovi signori di Firenze,
ma i Medici rimangono diffidenti nei suoi confronti. Nonostante le sue sofferenze personali
durante l'esilio, Machiavelli lascia un'eredità intellettuale significativa con le sue opere
politiche e letterarie che ancora oggi suscitano dibattiti e riflessioni. Nel 1514, Machiavelli
tornò a Firenze e frequentò i giovani aristocratici negli «Orti Oricellari», dove intrattenne
lunghe conversazioni e approfondì i suoi studi sulla storia romana. Machiavelli continuò a
dedicarsi alla letteratura e nel 1515-1518 scrisse «L'Asino», un poemetto allegorico
ispirato all'opera dell'autore latino Apuleio. Durante questo periodo, Machiavelli compose
la sua opera più ambiziosa e rappresentativa, la commedia «Mandragola». Continuando a
immergersi nel mondo letterario, Machiavelli scrisse anche «Dell'arte della guerra», un
dialogo che poteva essere interpretato come un manuale di strategia militare. Durante una
breve missione a Lucca per conto dei Medici, Machiavelli si interessò alle vicende storiche
e politiche della città e scrisse la «Vita di Castruccio Castracani», un ghibellino di Lucca
che fu rivale di Firenze nel XIV secolo. Nonostante le difficoltà personali e l'assenza di un
ruolo politico attivo, Machiavelli produsse un corpus di opere letterarie significative che
testimoniano la sua profonda riflessione sulla politica, la storia e la società del suo tempo.
Machiavelli partecipò al dibattito presentando il suo «Discorso per rassettare le cose di
Firenze dopo la morte del duca Lorenzo», il suo ultimo progetto politico. Nel 1520, il
cardinale Giulio de' Medici propose a Machiavelli di diventare lo storico ufficiale di Firenze.
Come risultato di questo incarico, Machiavelli consegnò le «Istorie Fiorentine» nel 1525 a
Roma, al cardinale Giulio de' Medici, che nel frattempo era diventato papa con il nome di
Clemente VII. Nel «Dialogo intorno alla nostra lingua», probabilmente scritto nel 1524,
Machiavelli sostenne l'idea di una lingua come organismo vivente e in continua
evoluzione, collegata allo sviluppo economico e sociale. Nell'agosto del 1525, Machiavelli
si trovò coinvolto in missioni militari e diplomatiche in Emilia e Romagna. Machiavelli riuscì
a vedere il ripristino dell'ultima Repubblica fiorentina il 23 maggio 1527, in un periodo
politicamente turbolento segnato dal Sacco di Roma ad opera delle truppe imperiali.
Questa delusione fu amara per Machiavelli.
il peso del contesto storico
La riflessione di Machiavelli si sviluppa all'interno del contesto politico della crisi degli Stati
regionali italiani tra il Quattrocento e il Cinquecento. Le guerre d'Italia a partire dal 1494
portano alla fine dell'autonomia degli Stati regionali italiani. Machiavelli comprende che le
alleanze si sgretolano di fronte alla potenza del regno di Francia e dell'Impero, che
superano in risorse economiche e militari gli Stati italiani. La sua riflessione si concentra
sulla natura del potere, lo studio della storia, la fortuna, le armi e l'importanza di un
principe forte e coraggioso. Machiavelli adotta una concezione materialista della realtà,
opposta allo spiritualismo predicato dai seguaci di Savonarola. Machiavelli si ispira alla
tradizione scientifica aristotelica, che attribuisce agli esseri umani caratteristiche biologiche
che influenzano il loro comportamento. Le caratteristiche umane «naturali» possono
essere osservate, comprese attraverso l'esperienza e, nel lungo termine, possono essere
prevedibili. Allo stesso modo, Machiavelli concepisce lo Stato come un organismo vivente,
il cui sviluppo può essere studiato attraverso cicli. Nel metodo di lettura politica di
Machiavelli, il principio umanistico della «storia come maestra di vita» è centrale. Il
passato viene considerato come un vasto repertorio di azioni umane, fallimenti e successi
politici che possono essere studiati per trarne insegnamenti utili per l'azione presente.
Machiavelli considera lo studio della storia antica, in particolare dell'antica Roma, come
una riflessione ragionata sulle azioni umane e i loro effetti. Crede che le lezioni della storia
possano fornire regole universali per il funzionamento della politica, considerando le
motivazioni umane come fondamentali per l'azione politica. Attraverso lo studio della storia
e l'esperienza sul campo, Machiavelli sviluppa una visione agonistica della vita, in cui il
conflitto diventa la relazione fondamentale che ogni individuo intrattiene con gli altri nella
società. Machiavelli estende il concetto di conflitto agonistico non solo ai suoi scritti politici,
ma anche alle sue commedie, in cui i personaggi affrontano da soli le sfide della vita,
mostrandosi concentrati e astuti nel perseguire i propri obiettivi. Nell'analisi della religione
e della Chiesa, Machiavelli adotta un approccio realistico. Machiavelli accoglie questa
interpretazione e sostiene che la religione sia indispensabile quando l'autorità di un
principe non è sufficiente, a meno che non ci siano personalità eccezionali. Machiavelli
affronta la natura conflittuale dell'umanità nel mondo, evidenziando la sfida contro l'arbitrio
della fortuna, che genera incertezza e può capovolgere le situazioni. Tuttavia, l'uomo è
chiamato a confrontarsi con la fortuna per cogliere le opportunità che essa può offrire a
coloro che sanno sfruttarle. Machiavelli sostiene che la virtù umana, anche se
eccezionale, non può manifestarsi in modo astratto, ma solo in relazione all'occasione
orchestrata dalla fortuna. Oltre alle tematiche fondamentali presenti in tutta la sua opera,
come la concezione naturalistica dell'uomo e dello Stato, l'importanza della storia e
dell'esperienza al servizio della politica e il ruolo dell'individuo di fronte alla fortuna, gli
scritti di Machiavelli sono riconoscibili anche per il suo stile inconfondibile. Il vocabolario di
Machiavelli è vivace e attinge a diverse risorse lessicali. Machiavelli utilizza una
costruzione sintattica che riflette la realtà del mondo in cui l'individuo si trova
costantemente a prendere decisioni e le situazioni sono rappresentate come alternative
chiare. Machiavelli è una figura emblematica e controversa del Rinascimento, noto per il
suo pensiero ricco e complesso. In particolare, il suo libro «Il Principe» è stato oggetto di
condanna e censura, ma è stato anche apprezzato da intellettuali e potenti italiani ed
europei per la forza delle sue idee e per l'audacia nel mettere in discussione il senso
comune e nel proporre una concezione politica che pone al centro la fiducia nelle capacità
umane. Il contributo di Machiavelli è stato così significativo che ha lasciato un'impronta nel
linguaggio, anche se con un aggettivo dispregiativo, «machiavellico». In sintesi,
Machiavelli considera la politica come una scienza separata dalla filosofia morale.
IL PRINCIPE
la composizione
L'opuscolo intitolato «De principatibus» o «Il Principe» comincia a circolare tra gli amici di
Machiavelli nel dicembre 1513, come testimonia una celebre lettera inviata a Francesco
Vettori. In un secondo momento non precisato, Machiavelli aggiunge la dedica a Lorenzo
II de' Medici e la conclusiva esortazione a liberare l'Italia dagli invasori. «Il Principe» è
un'opera breve e densa, composta con rapidità e quasi d'istinto per quanto riguarda il suo
nucleo essenziale. Per Machiavelli, la scrittura del libro risponde a una doppia esigenza,
sia teorica che pratica. Dall'altro, desiderava trovare un modo per uscire dall'isolamento e
rientrare nella vita politica attiva, dimostrando così le sue competenze collaudate e
evidenziando la sua potenziale utilità come funzionario della Signoria. Quando Machiavelli
scrive il trattato, ciò è possibile grazie al nuovo papa dei Medici, Leone X, o al suo giovane
nipote, Lorenzino de' Medici, a Firenze, che rappresenta l'autorità medicea restaurata.
Machiavelli descrive i vari tipi di principato, ma anziché partire da principi astratti, sviluppa
una teoria politica basata sulla sua esperienza. Machiavelli elogia il coraggioso condottiero
che ha creato uno Stato potente in pochi mesi, attribuendo grande importanza alla sua
«virtù» politica, anche se accompagnata da atti di violenza. La terza parte, la più famosa
dell'opera, si concentra sulla virtù e sul comportamento del principe. Machiavelli
abbandona le costruzioni astratte di un ideale inesistente e adotta una prospettiva
realistica. Egli sostiene che il principe non deve perseguire una bontà assoluta, come
prescritto dalla tradizione, ma deve adattarsi alla natura umana «animale». Il principe deve
utilizzare la forza del leone e l'astuzia della volpe, tenendo conto del mondo come è e non
come dovrebbe essere. Il trattato si conclude con una breve sezione composta da tre
capitoli che collegano il testo alla situazione politica italiana contemporanea. Machiavelli
mette in evidenza l'efficacia del potere assoluto per determinati fini e situazioni, anche se
ciò va contro le sue personali convinzioni politiche da ex segretario della Repubblica
fiorentina. Machiavelli, che non è un cortigiano, non considera il potere assoluto del
principe come intrinsecamente buono e legittimo, ma si limita a mostrare in modo
spregiudicato come funziona.
I TEMI
Gli obiettivi principali affrontati nel Principe riguardano la conquista e il mantenimento del
potere. Machiavelli valuta l'azione politica non in base a criteri etici, ma in relazione al
raggiungimento di tali obiettivi. Tuttavia, ciò non significa che Machiavelli sia privo di
considerazioni e valutazioni morali. Egli sostiene il diritto di sottoporre la politica solo alle
leggi della ragione, riconoscendo che essa ha un ambito d'azione specifico con valori
alternativi rispetto ai principi morali, che non possono sovrapporsi ad essi. Per dimostrare
praticamente che i principi politici non coincidono necessariamente con quelli morali,
Machiavelli introduce nuovi criteri di giudizio. In questo modo, Machiavelli mette in luce
come le categorie che supportano il giudizio politico non debbano essere ricondotte tanto
all'opposizione morale tra bene e male, quanto piuttosto alla dicotomia tra ciò che è utile
allo Stato e ciò che non lo è, ovvero tra ciò che porta lo Stato al successo e ciò che lo
porta al fallimento. Pertanto, il pensiero di Machiavelli rappresenta il culmine del processo
di secolarizzazione nella concezione del mondo e dell'attività politica. Secondo
Machiavelli, le istituzioni politiche sono considerate organismi viventi all'interno di una
visione ciclica della storia. Machiavelli attribuisce grande importanza alla realtà concreta
delle cose e alla considerazione delle circostanze in cui si agisce. Queste qualità
combinate costituiscono, secondo Machiavelli, la «virtù» politica necessaria per un
principe o qualsiasi altro soggetto politico che desideri sfidare la fortuna. Rispetto ad altre
opere trattatistiche dell'epoca, il lavoro principale di Machiavelli, «Il Principe», si distingue
per la fiducia nella virtù umana e per la necessità di credere nella possibilità di opporsi al
dominio dell'irrazionale attraverso l'intelligenza e il coraggio. In altre parole, Machiavelli
sostiene che un governante dovrebbe essere guidato dalla virtù politica anziché da
motivazioni egoistiche o irrazionali, al fine di governare in modo efficace e raggiungere il
bene comune. Nella tradizione medievale e umanistica, i trattati di politica miravano a
definire il governante ideale, un modello da seguire per un buon sovrano. Machiavelli,
invece, si propone di offrire analisi e consigli concreti per aiutare un principe a essere
efficace nella realtà politica dell'Italia del suo tempo. Questa prospettiva si concentra sulla
«verità effettuale» anziché sull'idea astratta di Stato, sovrano o giustizia, separando così la
scienza politica dalla tradizione filosofica e morale religiosa e conferendole un ambito
autonomo di azione con regole e principi specifici. L'unico obiettivo che preoccupa
veramente Machiavelli e che giustifica il suo discorso è la conservazione dello Stato.
Machiavelli sottolinea l'importanza del consenso popolare per mantenere il potere. Il
nuovo principe deve quindi eliminare queste fazioni e prevenire che causino danni,
fondando saldamente il proprio potere sul consenso della popolazione. Nel suo trattato,
Machiavelli riflette anche sul rapporto tra leggi e forza. Questi esempi dimostrano come un
potere politico e militare solido possa essere fondato su un esercito composto da cittadini.
Al contrario, gli eserciti mercenari e le compagnie di ventura portano solo debolezza e
sconfitte, come dimostrato dalle disfatte subite dai principi italiani nelle recenti guerre.
Machiavelli sostiene quindi l'importanza di un esercito nazionale ben addestrato e
motivato come mezzo per garantire la sicurezza e la stabilità dello Stato.
I DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVO
Nel capitolo II de «Il Principe», Machiavelli afferma di aver già discusso a lungo sulle
repubbliche, cosa che effettivamente avviene nei primi capitoli dei «Discorsi sopra la prima
Deca di Tito Livio». In seguito, alcuni anni dopo, Machiavelli avrebbe ripreso la
composizione dei «Discorsi», ma avendone consolidato la natura come un commento ai
primi dieci libri dell'opera di Tito Livio. L'ipotesi che Machiavelli abbia scritto il commento a
Livio intorno al 1516 si basa sul fatto che, deluso dal risultato ottenuto con la scrittura de
«Il Principe» e la sua dedica a Lorenzino de' Medici che non gli ha permesso di ritornare
attivamente alla politica, si sia ritrovato a Firenze frequentando gli Orti Oricellari, i giardini
della famiglia Rucellai, tra il 1512 e il 1522. Durante quel periodo, il giovane Cosimo
Rucellai ha creato una sorta di accademia, un luogo di discussione aperto in cui politica e
storia si intrecciano, e Machiavelli ha un ruolo autorevole e stimolante. In questo contesto,
Machiavelli avrebbe potuto condividere le sue conoscenze e la sua esperienza politica,
offrendo spunti di riflessione sulle dinamiche del potere e sulla storia romana. Qui,
Machiavelli analizza questa relazione all'interno della storia di Roma per evidenziare le
miserie e i limiti del suo tempo e per criticare la Firenze contemporanea rispetto all'alto
esempio di virtù e eroismo offerto dagli antichi romani. L'idea di Machiavelli di scrivere un
commento all'opera di Livio è molto originale. Nel proemio dei «Discorsi», Machiavelli si
mostra consapevole di intraprendere una strada nuova. Nel commentare l'opera di Tito
Livio, Machiavelli ha intenzionalmente scelto di studiare la storia della Repubblica romana,
permettendo così una riflessione sul governo di molti anziché su quello di un solo
individuo, come aveva fatto ne «Il Principe».
LA MANDRAGOLA
Durante gli anni in cui Machiavelli scrive la «Mandragola», si registra un'intensa attività
letteraria da parte dell'autore. Machiavelli si interessa al registro comico e si avvicina al
teatro, in un periodo in cui si sta vivendo una rinascita delle rappresentazioni teatrali della
tradizione classica in lingua volgare. Machiavelli rifà commedie classiche, come quelle di
Plauto e Aristofane, e traduce l'«Andria» di Terenzio. «La Mandragola» è la più famosa
opera teatrale di Machiavelli e uno dei lavori più significativi del Cinquecento. La
commedia fu scritta per essere rappresentata in occasione del matrimonio di Lorenzo,
figlio di Piero de' Medici, a Firenze. Callimaco si finge un medico e convince Nicia che
l'efficacia della mandragola, una pianta medicinale, può risolvere l'infertilità di Lucrezia. La
donna che assume una pozione a base di mandragola rimane incinta, ma il primo uomo
che ha rapporti sessuali con lei morirà avvelenato. Quindi, è necessario trovare qualcuno
disposto a giacere con Lucrezia, e Callimaco, travestito, si offre volontario per il compito.
La Mandragola di Machiavelli presenta personaggi abilmente delineati, che combinano
elementi della commedia classica con la realtà contemporanea. Fra' Timoteo accetta di
convincere la virtuosa Lucrezia in cambio di denaro, superando lo stereotipo tradizionale
del religioso corrotto e diventando l'incarnazione del male. I personaggi riflettono un
realismo amaro, combinando elementi della commedia classica con una rappresentazione
della società contemporanea. Machiavelli, con abilità narrativa, dipinge i personaggi de La
Mandragola offrendo un'analisi realistica e pungente della società del suo tempo. Lucrezia
emerge come un personaggio particolarmente interessante, suscitando simpatia da parte
dell'autore. Nonostante sia sposata con un vecchio sciocco e sia oggetto delle
macchinazioni degli altri personaggi, Lucrezia si ribella con determinazione sia al suo
confessore disonesto, fra' Timoteo, che alla madre, Sostrata, che la spingono a compiere
un atto immorale per ingannare il marito. Nonostante le argomentazioni persuasive di fra'
Timoteo, Lucrezia rimane salda nelle sue convinzioni. Machiavelli presenta Lucrezia come
una donna astuta e capace di prendere le redini del proprio destino, rompendo gli schemi
tradizionali e svelando la sua intelligenza e determinazione. Così, Lucrezia costruisce la
propria vita sfruttando una «virtù» intesa in senso squisitamente machiavelliano, che le
permette di cogliere le «occasioni» che la fortuna le offre. Machiavelli, nel suo Dialogo
intorno alla nostra lingua, sostiene che il toscano sia particolarmente adatto alla
commedia. Machiavelli opta per la commedia in prosa di tradizione classica anziché il
teatro farsesco in rima vernacolare fiorentino. Machiavelli crea effetti comici utilizzando
termini specialistici della legge e della medicina, proverbi e linguaggio colloquiale,
delineando un piccolo mondo chiuso su se stesso. Solo a Lucrezia, la protagonista
femminile, Machiavelli attribuisce un linguaggio privo di elementi comici, sottolineando così
la serietà di una donna capace di determinare il proprio destino. La Mandragola di
Machiavelli ottenne un grande successo grazie alla sua modernità, come attestato dai
commenti dei contemporanei. Nonostante seguisse la struttura classica con cinque atti e
rispettasse le tre unità aristoteliche, la commedia presentava elementi innovativi. Questi
elementi contribuirono al successo e all'apprezzamento della commedia de La
Mandragola.
C’è un riferimento alla finalità di un’opera letteraria, ovvero rivelare una verità, deve avere
un fine morale, educativo; ma per fare questo è necessario rendere l’opera piacevole che
sono funzionali a fare in modo che il lettore sia persuaso. Per spiegare questo concetto c’è
un paragone con i bambini che bevono un liquido amaro, ingannati a un sapore dolce sul
bicchiere, che si rivela medicina
La dedica ad Alfonso, colui che sottrae Tasso, pellegrino errante, dal furore della sorte,
accoglie alla mente la mia opera e forse avverrà che scriverò di te ciò che oggi accenno.
Tasso si augura che un giorno il popolo di Cristo possa conquistare di nuovo i terreni della
guerra santa→ parallelismo tra il tema storico e l’attualità del presente.
La tematica encomiastica rimane implicita, e avverrà attraverso il personaggio di Rinaldo
• LA PARENTESI IDILLICA DI ERMINIA
Dopo aver assistito al duello fra Tancredi e Argante dalle mura di Gerusalemme, la
principessa pagana Erminia, segretamente e infelicemente innamorata del guerriero
cristiano, esce dalla città con indosso l'armatura di Clorinda nel tentativo di recarsi al
campo crociato per curare il suo amato. La donna viene però avvistata da delle sentinelle
e messa in fuga, mentre Tancredi la insegue credendo che si tratti della donna da lui
amata. Erminia vaga senza meta nella selva sino a quando si imbatte in un vecchio seduto
all’ombra in mezzo al suo gregge di pecore, che accetta la richiesta di ospitalità della
donna, cominciando a condurre una vita umile passando il tempo ad incidere sui tronchi
degli alberi il nome di Tancredi.
La permanenza di Erminia tra i pastori non nasconde però le sue origini nobili, che
traspaiono anche sotto i rozzi vestiti che la ragazza indossa mentre porta le bestie al
pascolo e munge le capre. Ciò permette all'autore di esprimere la sua polemica contro la
vita delle corti in cui la principessa, e lui stesso, sono imprigionati
Analisi
Erminia si ritrova in un paesaggio agreste, popolato da pastori che conducono una vita
semplice, presso i quali ella trova rifugio lontano dagli orrori della guerra.
L’episodio si articola in 3 sequenze:
1. La fuga di Erminia: questa prima sequenza rivela il parallelismo con la fuga di Angelica,
Erminia però a differenza di Angelica appare debole, inerme e smarrita incarnando
un’immagine femminile di inerme debolezza e dolcezza introducendo una nota patetica
che suscita l’identificazione soggettiva ed emotiva del poeta
2. L'incontro con i pastori
3. La descrizione della sua vita nell’ambiente pastorale. Qui cambia il ritmo narrativo: il
tempo del discorso è più breve rispetto a quello della storia e non è scandito dalle ore, è
indeterminato, evidenziando ciò che succede nella sua anima piuttosto che le azioni. La
narrazione diventa quindi interattiva, dando il ritmo di una vita quieta e caratterizzata da
gesti umili e quotidiani.
In questo canto vi è una netta variazione tonale tra idillio e una materia bellica ed eroica,
che porta però ad un equilibrio armonico dove trova luogo la tensione, alla base della
quale si trova la conflittualità interiore del poeta. C’è la volontà di celebrare le imprese ma
la tensione produce nel poeta una stanchezza a causa degli scontri e le morti
La parentesi idillica di Erminia viene presentata positivamente, è un elogio esplicito al
mondo pastorale in cui la donna soggiorna→ immagine di un mondo portatore di valori
positivi. Ciò si ricava dalla descrizione, infatti lo stile è fortemente patetico e rivela la
compartecipazione emotiva del poeta a questo mondo ideale.
L'episodio determina un movimento centrifugo che allontana l’azione dallo scenario
centrale dell’assedio. I movimenti centrifughi nell’opera sono funzionali alla struttura
narrativa;
• IL GIARDINO DI ARMIDA
Il cavaliere Rinaldo viene condotto in un giardino nei pressi di un lussuoso palazzo,
raggiungibile attraverso strade intricate e fallaci dalla maga Armida, la quale ha il compito
di sottrarre le migliori forze ai nemici. In questo luogo la natura produce suoni soavi tra cui
il garrito di un pappagallo, che sembra parlare. Questo uccello osserva sbocciare una rosa
e la paragona ad una fanciulla che più è ammirata, più si nasconde, i suoi petali vengono
invece paragonati al petto di una donna.
Nel frattempo due cavalieri, Carlo e Ubaldo, si accorgono dei due e li osservano: Rinaldo è
sdraiato sul grembo di Armida che indossa un velo con una profonda scollatura e porta i
capelli sciolti ma disordinati e mossi dal vento. Il cavaliere pende dalle sue labbra e,
mentre Armida si specchia attraverso uno specchio, Rinaldo guarda sé stesso tramite gli
occhi dell’amata. Rinaldo si specchia anche nello scudo dei cavalieri, e osserva la sua
trasformazione in un essere femmineo. Questo specchio è di altro tipo rispetto al
precedente, è motivo di vergogna. Al termine del canto, Rinaldo esce dal giardino-labirinto
in cui si trovava.
Analisi
Tasso concepisce il labirinto in modo negativo perché a causa di quest’ultimo l'uomo si
perde: il poeta vorrebbe stare nel giardino per sempre, che però simboleggia i piaceri
terreni e l’amore. Il labirinto viene presentato anche in Ariosto; anche nella sua opera i
cavalieri errano ma coincide con il luogo di infinite opportunità oltre che rappresentare la
complessità della vita dell’uomo
Nell’episodio c’è anche un rimando al sonetto proemiale di Petrarca in cui l'amore e i
piaceri sono ornamenti inadatti a un cavaliere. Vi è anche un rimando al II canto
dell'Inferno dantesco: in Dante tutti andavano a dormire mentre lui compiva il faticoso
viaggio; qui è il contrario, mentre tutti si affaticano per sconfiggere gli infedeli, Rinaldo si
sottrae a questo compito.
Il conflitto fra i due codici culturali, pagani e rinascimentali contro quelli cristiani, diviene
conflitto interno per Rinaldo, designato come eroe cristiano ma sopraffatto dagli impulsi
edonistici. In un primo momento prevarrà quest’ultimo codice in Rinaldo, ma
successivamente, dopo la liberazione dell’eroe si affermerà definitivamente quello
cristiano con la purificazione di Rinaldo.
Da un lato Tasso condanna l’edonismo, ma dall’altro lato emerge l'attrazione implicita che
Tasso prova nei confronti dell’edonismo: forte contraddizione.
L’episodio si può suddividere in 3 sequenze:
1. Descrizione del giardino → il proliferare lussureggiante della vegetazione rappresenta
gli
istinti peccaminosi pagani.
La descrizione del giardino rimanda alla descrizione dei giardini di Boiardo e Ariosto,
vegetazione ricca, acque limpide, canto di uccelli
Descrizione di Tasso→ accentuata sensualità data da significati simbolici, luogo dello
svenimento dell’eroe
Il garrito del pappagallo esplicita il significato del giardino sotto una prospettiva pagana, è
un invito a cogliere la rosa prima che questa sfiorisca
Il poeta vuole presentare l’edonismo paganeggiante, rivelato nel giardino, sotto una luce
negativa.
Il contesto rovescia il significato dell’intero messaggio, infatti viene rivelata la profonda
complicità del poeta con i valori pagani
2. La scena romantica tra Rinaldo e Armida
3. Scena in cui i cavalieri riportano Rinaldo al suo dovere
Il palazzo e il giardino sono spazi circolari e chiusi alla realtà esterna. Il giardino di Armida
allude alla segregazione dell'eroe fuori dal mondo e lo spazio circolare obbliga Rinaldo
all’eterna ripetizione degli stessi gesti. Questa ripetizione è interrotta dall’ingresso in scena
di Ubaldo e Carlo: questi due crociati vengono dallo spazio esterno e per questo
rappresentano la storia e i suoi obblighi.
Il castello è simile a quello di Atlante, tuttavia nella Gerusalemme Liberata ciò che è
magico è ordito dalla malvagità del demonio. Pur essendo un locus amoenus, depista i
cavalieri rispetto al cammino retto. In questo poema ciò che è labirintico è fallace,
corrisponde al male.
Rappresenta i codici di valori pagani, ma anche rinascimentali, quello di una civiltà che
aveva espresso valori molti differenti rispetto all’età controriformistica.
Per quanto riguarda il ritmo narrativo, le prime due sequenze sono statiche e prive di
azioni. L’ingresso in scena di Carlo ed Ubaldo dà origine ad un intenso dinamismo e ad
una veloce successione di gesti e movimenti.
La rosa quando sfiorisce non sembra più quella di un tempo, ciò sta a significare che in
un'instante la vita e la giovinezza passano. Vi è una contrapposizione fra il tempo ciclico
della natura che ogni primavera fiorisce e la vita dell'uomo, che una volta sfiorito non
fiorisce più. Vi è un chiaro invito edonistico, a cogliere la rosa al mattino, nel pieno della
sua fioritura; in particolare invita a cedere all'amore e vi è la stessa idea dell'amore. Oltre
all'invito edonistico vi è un sotteso velo di malinconia e di tristezza a causa della brevità
della vita.