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Il Principe di Machiavelli e uicciardini

Per molteplici ragioni, il Principe unopera rivoluzionaria e costituisce il punto di partenza di ogni
moderna riflessione sulla politica. La drastica rifondazione teorica della politica formulata in questopera
nasce innanzitutto da uno scopo pratico: Machiavelli infatti si rivolge ai Medici per fornire loro strumenti
dazione, nella convinzione che un principato moderno, retto secondo i criteri del realismo politico, sia
lunica o la migliore soluzione nelle circostanze attuali per avviare la formazione di uno stato ampio e
politicamente accentrato (sul modello della Francia), capace di trattare da pari a pari con i grandi stati
europei e di garantire quindi autonomia politica allItalia. Il Principe si propone in primo luogo come un
manifesto politico e un prontuario teorico utile per la soluzione della drammatica crisi nella quale l'Italia si
trovava in quegli anni di guerra e di invasioni straniere che culmineranno con il sacco di Roma del 1527 ad
opera dellImperatore Carlo V di Asburgo.

Se Il Principe si pone degli obiettivi politici contingenti e immediati, va per ribadito che Machiavelli non si
limita a questo. Il respiro e lorizzonte dellopera sono assai pi ampi. Machiavelli ha lambizione di
prospettare, al di l delle proposte immediate, anche norme di comportamento e strategie dazione di
validit universale: una scienza e , se si preferisce, una sapienza politica concreta e pragmatica, che dia
soluzione ai problemi non solo del proprio, ma di ogni tempo.

Quanto appena osservato sul pragmatismo del Principe ci permette di fissare il primo cardine del pensiero
politico di Machiavelli e del suo metodo di indagine. In un celebre capitolo dellopera (XV) egli afferma che
gi molti prima di lui hanno trattato dei principati non come sono in realt, ma come dovrebbero
idealmente essere e che viceversa per parte sua, volendo essere utile a chi lo legge, egli sgombrer il
campo dagli ideali e si atterr esclusivamente alla realt effettuale, perch solo cos si possono
risolvere i problemi reali del governo di uno stato. Cos facendo Machiavelli enuncia un principio basilare
teorico e prende nettamente le distanze da tutta la riflessione idealistica e moralistica che lo aveva
preceduto, mostrandosi ben consapevole della novit rivoluzionaria della propria impostazione
metodologica.

La teoria politica di Machiavelli si basa sulla realt effettuale e ha di conseguenza un fondamento


empirico, sperimentale. Per elaborare la sua dottrina egli si fonda sullesperienza: da un lato si tratta della
sua diretta esperienza in qualit di acuto osservatore della vita politica contemporanea; dallaltro si tratta
dellesperienza accumulatasi nel corso di secoli, che egli ritrova condensata nelle teorie della politica che
precedono la sua, quanto piuttosto nelle fonti storiche antiche e moderne che tramandano un patrimonio
immenso di informazioni utili per chi le sappia interpretare e ordinare con metodo. In particolare si
interessa agli storici antichi come Tito Livio. In questo senso, egli come gli altri Umanisti si rivolge al passato
per trarne una lezione sul presente.

Perch dallanalisi del comportamento degli uomini antichi si possono trarre elementi utili per il presente,
necessario credere che le diverse situazioni storiche siano comparabili e che i comportamenti che
hanno ottenuto successo in passato siano efficacemente riproducibili, anche nel presente e nel futuro: si
deve insomma credere che esistano delle costanti che regolano il comportamento umano e le vicende
politiche. Le costanti hanno un fondamento nella natura (in particolare nella natura umana), le variabili
nella contingenza storica. Machiavelli in effetti mostra chiaramente di fondare la sua teoria politica proprio
su un convincimento di questo tipo. In particolare egli elabora le sue tesi partendo da quello che si
potrebbe definire un assioma: la natura umana immutabile ed essenzialmente malvagia. Ad esempio,
a proposito del precetto che autorizza il principe in caso di necessit a non mantenere la parola data,
osserva: se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma perch sono tristi e non
la osserverebbono a te, tu etiam non lhai a osservare a loro (XVIII). Possono dunque cambiare le
circostanze superficiali e specifiche, i contesti storici, ma luomo infine malvagio per natura e non cambia
per il mutare dei luoghi e dei tempi e delle forme di governo. Solo fondandosi sullimmutabilit della natura
umana, possibile elaborare una teoria dellagire politico. Pertanto, invece di votarsi alla rovina
immaginando uomini buoni per natura, il principe deve basare la sua realistica strategia di governo su
questo dato concreto e crudo, ma ai suoi occhi certo e costante.

Questo il naturalismo di Machiavelli, suffragato del resto da una grande quantit di paragoni e
riferimenti al mondo della natura. Il naturalismo si contrappone da una parte al fideismo religioso, che
chiama in causa entit o fenomeni soprannaturali per spiegare le vicende terrene; e dallaltro a uno
storicismo radicale, che non creda allesistenza nel divenire storico di costanti naturali. Queste convinzioni
e questo metodo avvicinano Machiavelli alluomo di scienza che in questo periodo indaga la natura nel
tentativo di individuarne le leggi fisiche, chimiche, astronomiche: il paragone tra la fondazione della
scienza politica e la fondazione della scienza sperimentale moderna un topos della critica
machiavelliana e riposa su questi generali princpi.

EMPIRISMO: dallesperienza politica e diplomatica personale unita allesperienza degli antichi


condensata nella storia E POSSIBILE desumere leggi generali del comportamento umano. La LEGGE
FONDAMENTALE E CHE LUOMO E MALVAGIO perch la natura immutabile, marginali sono le variabili
storiche. NATURALISMO

La dichiarazione di volersi attenere alla realt effettuale illumina un altro principio cardine del pensiero di
Machiavelli, quello che appare il pi rivoluzionario. Lo si pu cos formulare: quella della politica una
sfera autonoma rispetto alla morale, o meglio rispetto alla morale convenzionale (classica o cristiana che
sia). Il principe o lo statista che voglia avere successo nel suo agire politico non deve farsi scrupolo, se
necessario, di violare le normali regole della morale. Il concetto sintetizzato dallautore in un precetto che
suona cos: non partirsi dal bene potendo, ma sapere entrare nel male, necessitato. (XVIII). Pur essendo
consapevole che sarebbe meglio comportarsi secondo i dettami della morale, egli deve essere pure
consapevole che adeguandovisi, quando la realt lo consiglia diversamente, si condanna al fallimento (la
ruina). E altrettanto spesso il fallimento dellazione politica non solo determina la rovina del principe, ma ha
anche conseguenze gravi per lo stato e per i concittadini. Machiavelli dice che talvolta unazione che violi i
princpi della morale, ma che sia limitata e compiuta al momento opportuno, pu evitare a distanza di
tempo conseguenze peggiori, mali pi gravi e pi estesi (disordini, conflitti, morti) che danneggiano
unintera comunit.

Il problema assai complesso e dibattuto, ma Machiavelli sembra volerci dire ha una sua moralit specifica,
diversa da quella comune, perch il principe necessitato, costretto dagli eventi a violare la morale
corrente: uno principe, e massime uno principe nuovo, non pu osservare tutte quelle cose per le quali li
uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro
alla carit, contro alla umanit, contro alla religione.(XVIII) Il concetto di necessit quello che ricorre pi
spesso in questi capitoli. Lautore sa bene che deve giustificarsi, perch sa , che agli occhi degli ingenui, sta
demolendo convinzioni millenarie e che, agli occhi dei cinici, dicendo ci che tutti sanno e fanno, ma
nessuno si mai azzardato a teorizzare, sta rivoluzionando lipocrita galateo della politica. La necessit
,dunque, impone le sue regole per un fine costruttivo. Il fine giustifica i mezzi, si soliti sintetizzare
(lespressione desunta dal Principe stata coniata in et controriformistica). Lefficacia dellazione dello
statista in vista del bene dello stato insomma quella che potremo definire la morale di secondo grado
della politica. Cos soprattutto nel Principe, Machiavelli mostra come i comportamenti derivanti dai
principali cardini della morale classica e cristiana in molti casi possono essere nocivi o addirittura disastrosi
per lo stato: bont, religiosit, lealt, liberalit, mitezza vengono messe in discussione, come valori assoluti.
Sono valori da perseguire solo quando possibile farlo senza danni. Per governare lo stato, il principe deve
saper usare la golpe e il lione, essere astuto, sleale, violento, non curarsi di compiere azioni malvagie se
queste sono necessarie. Viceversa per il principe importante, pi che esserlo davvero, apparire buono,
generoso, leale, liberale ecc. anche quando viola questi precetti. Deve in altri termini essere buon
simulatore e buon dissimulatore. (XVIII) Machiavelli, si dimostra attentissimo a quella che oggi
chiameremmo la costruzione dellimmagine pubblica, ma anche in questo caso in forme complesse e
articolate. Infatti, pi dettagliatamente, egli dice che il principe non si deve curare del giudizio di quella che
poi sar chiamata lopinione pubblica, a meno che ci non gli procuri un vantaggio. Anche la fama
personale sottoposta alla regola dellefficacia sul piano pragmatico, ai criteri della convenienza e della
necessit. Talora pu convenirgli apparire anche malvagio, crudele, sleale ecc. piuttosto che rischiare la
sicurezza dello stato per apparire buono e leale. E in ogni caso, di fronte al dilemma secco se sia meglio
essere temuto o essere amato, Machiavelli non esita a scegliere lessere temuto. (XVII).

Con la sua visione naturalmente negativa delluomo, e con la sua spregiudicata dottrina che separa la
politica dalla morale e contrappone come incompatibile il reale con lideale, lautore capovolge
drasticamente limmagine umanistica delluomo, che era fondata sul modello del saggio che mira a unire
etica e politica, azione e conoscenza, nella fiducia profonda che luomo grazie alle sue virt sia in grado di
avvicinare il reale allideale. Non rinuncia per ad affermare il valore della virt individuale, e anzi nel
Principe addirittura esaspera lindividualismo: ma il suo orizzonte quello di uno spregiudicato
pragmatismo. La questione della virt dellindividuo (la capacit di risolvere i problemi) e dunque
dellefficacia dellazione umana non era un problema eludibile per Machiavelli. Per un verso tutta la sua
costruzione intellettuale riposa sul concetto che, seguendo correttamente le leggi e le regole della politica,
un uomo dotato di adeguata virt possa realizzare il fine di un efficace governo dello stato. Se non avesse
avuto questa convinzione Machiavelli non si sarebbe cimentato nella sua opera di rigorosa razionalizzazione
della politica. Si vedr che poi Guicciardini, che non aveva tale fiducia, criticher machiavelli per questo
motivo.

Machiavelli, non pu nemmeno far finta di dimenticare il rapporto esistente tra la virt e la fortuna. E si
trova in questo caso di fronte ad una difficolt intrinseca del proprio pensiero. Da un lato nel Principe egli
teorizza la necessit per il governante di armonizzare il proprio comportamento alle necessit dei tempi,
ipotizza cio in lui doti di duttilit di comportamento in ragione del divenire storico e dellanalisi della
situazione obiettiva in cui si trova ad operare. Dallaltro, per il suo convinto naturalismo gli suggerisce
lidea che gli uomini abbiano tratti di carattere che non possono agevolmente mutare: chi cauto per
lindole tender a comportarsi sempre cautamente, e chi invece impetuoso tender a comportarsi cos
in ogni circostanza. Ma le condizioni storiche, le situazioni concrete dellagire umano, che Machiavelli
chiama fortuna, mutano rapidamente: cos egli asserisce che di solito quando le condizioni storiche
richiedono un comportamento naturale in un individuo, costui ottiene successo; quando invece le
condizioni richiedono un comportamento opposto costui, perseverando nelle proprie naturali inclinazioni,
si condanna allinsuccesso, alla ruina. (XXV).

La difficolt risolta in questo caso non razionalmente, ma con uno scarto brusco e improvviso: tra il
respettivo e limpetuoso, Machiavelli mostra di preferire limpetuoso, colui che affronta di petto le
situazioni. La motivazione del tutto metaforica la fortuna donna, ed necessario, volendola tenere
sotto, batterla e urtarla e sempre come donna, amica dei giovani, perch sono meno respettivi, pi feroci
e con pi audacia la comandano. Il discorso si fonda tutto sullefficacia di unimmagine e di una
similitudine, ma non risolve razionalmente il problema teorico. Anzi Machiavelli introduce ora un opzione
irrazionale: di fronte al problema insolubile, finisce col rivelare un tratto di agonismo e di vitalismo (meglio
agire e combattere impetuosamente che lasciarsi trascinare e travolgere), che forse un residuo
dellottimismo umanistico, di chi in fondo non vuole ammettere che la virt possa essere sconfitta. In
questa stessa chiave pu essere letta anche la conclusione del Principe (XXVI), nella quale egli esorta i
Medici a farsi promotori di un riscatto dellItalia dalla propria sudditanza nei confronti delle potenze
straniere: un motivo ideale che inaspettatamente fa la sua comparsa al termine di una trattazione
disincantata e realistica.

Con Il Principe ha inizio la storia della moderna scienza politica, fondata sulla verit effettuale (realismo), su
conoscenze sperimentali (empirismo) e sul tentativo di individuare le costanti e le leggi del comportamento
sottostanti alla fenomenologia storica (naturalismo). Certo che nessuno dopo Machiavelli potr fare a
meno di prendere in esame la sua dottrina, nessuno potr pi tornare a fonti e formulazioni storiche
precedenti. Indipendentemente da ogni giudizio di valore, un dato acquisito che Machiavelli rigetta letica
cristiana come metro di giudizio per la politica e propone unetica interamente laica, fondata sullutile
(sullefficacia delle azioni commisurata al bene dello stato). Analogamente tutta laica la sua
considerazione della storia e dellagire umano, che attribuisce alluomo una responsabilit terribile, ma
comparata solo con il successo o meno della sua azione su questa vita. Luomo al centro del suo interesse,
ma in forme radicalmente diverse da quelle del recente Umanesimo: Machiavelli si dimostra incline a non
rinunciare alla valorizzazione dellindividuo, come aveva fatto la cultura del suo tempo, anche a costo di
introdurre qualche elemento irrazionale nella sua trattazione (vedi il rapporto tra virt e fortuna), e per
qualche verso esaspera anche una dimensione individualistica: ma luomo di Machiavelli ha perso ogni
tratto di idealit astratta, tutto crudelmente impegnato a districarsi con ogni mezzo in un mondo
dallaspetto per nulla amichevole. Il Principe segna uno spartiacque decisivo e ineludibile. Lautore
profondamente legato al proprio tempo, appare capace di cogliere quanto si stava lentamente elaborando
nel mondo della cultura e della scienza, ma guarda anche avanti e fornisce modelli concettuali alla riflessine
e al giudizio delle generazioni future.

Il Principe unopera argomentativa, che sostiene delle tesi con il corredo di argomenti logici e di esempi
concreti attinti dalla realt storica e contemporanea. Lesposizione orinata e la struttura argomentativa e
razionale appaiono sin dalle prime battute del trattato. Machiavelli distingue e classifica con linguaggio
sobrio e chiaro i vari principato e, pi avanti, i possibili comportamenti del principe nelle diverse situazioni,
esaminandone le conseguenze positive e negative. Machiavelli appare sintetico nel definire i dati
fondamentali su cui fonda il suo ragionamento e nel formulare le possibilit, le tesi e i precetti di
comportamento; assai pi analitico, talora, nel formulare gli argomenti logici e nellesporre gli esempi
logici. Tipico il ricorso a enunciati apodittici (o assiomi), cio a verit che egli d per condivise, evidenti,
irrefutabili, e che quindi ritiene di non dover provare. E tipica la perentoriet con cui, a conclusione del
ragionamento, riassume le sue tesi dando loro il valore di massime di validit universale.

Ma accanto a queste e altre forme espositive che ci riportano alla razionalit della sua costruzione
intellettuale, la critica ha rinvenuto torsioni e tensioni linguistiche e stilistiche, cortocircuiti sintattici (spesso
compare lanacoluto: un periodo che comincia con un soggetto e finisce con un predicato che non concorda
con quel soggetto), scarti metaforici e simbolici. Tutte questi stilemi rientrano nelle strategie del discorso
argomentativo in quanto costituiscono delle formule retoriche che mirano a rendere pi efficace il discorso:
dopo un ragionamento analitico o sottile, una massima o una metafora possono assolvere la funzione di
colpire il lettore imprimendosi nella sua memoria. Ma esse rivelano anche un tratto profondo della
personalit dello scrittore, il suo agonismo, la sua volont di affermare potentemente la sua verit. Sta di
fatto che il linguaggio del Prinicpe si caratterizza proprio per questa commistione, spesso indissolubile di
razionalit e di metaforicit, di rigore argomentativo e di agonismo espressivo, che anche il tratto che
rende affascinante la prosa di Machiavelli.

Il metodo induttivo. In apparenza anche il pensiero di Machiavelli deduttivo, perch poggia su definizioni
che vogliono avere valore generale, come quella che apre il primo capitolo: Tutti gli stati, tutti e dominii
che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono o repubbliche o principati(). In realt
questa definizione universale non un punto di partenza, ma il punto darrivo di unesplorazione del reale
compiuta in precedenza e sottintesa. Machiavelli afferma che tutti gli stati sono o repubbliche o principati
non in nome di un principio metafisico, ma dopo aver raccolto i dati oggettivi in base allesperienza. Quindi
quella che pu sembrare laffermazione universale di un procedere deduttivo in realt il risultato di un
percorso induttivo, che raccoglie i dati della realt empirica. Cio un procedimento che parte
dallosservazione empirica dei dati particolari per risalire da questi ai principi generali.

Il metodo dilemmatico. Lallinearsi delle varie osservazioni luna dopo laltra si organizza in un modo che
caratteristico del pensiero e del metodo espositivo di Machiavelli, quello dilemmatico. La realt si scinde
sempre in due possibilit nettamente contrapposte, e a sua volta il secondo corno di ogni dilemma di
norma si scinde in due altre alternative. E un procedere che si definisce propagginato.

I DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO.

Se Il Principe riguardava la forma monarchica di governo, i Discorsi sono principalmente dedicati allesame
di quella repubblicana (si tratta del secondo corno del ragionamento argomentativo incominciato con la
prima opera). I Discorsi per qualche aspetto si distanziano dal Principe sul piano ideologico, ma pi
corretto considerarli unopera complementare piuttosto che antitetica rispetto alla precedente. Infatti la
generale impostazione metodologica non viene meno neppure nei Discorsi. Anche qui comanda la realt
effettuale. Ritroviamo come capisaldi ancora la visione pessimistica della natura umana e il rimando
allesempio fornitoci dagli antichi. La novit dei Discorsi riguarda il giudizio sulle due forme istituzionali: qui
si palesa una predilezione per le repubbliche, l si arriva alla necessita del principato. Tale differenza si
spiega in questo modo: se nel Principe Machiavelli aveva esaminato soprattutto il momento della
formazione dello Stato e si era proposto di dare risposta ad un problema di attualit, tenendo conto di
esigenze particolari e contingenti, nei Discorsi privilegia la prospettiva del mantenimento dello stato, che
richiede caratteristiche e strategie diverse, e si distanzia dallattualit per adottare una prospettiva storica
pi ampia e in qualche caso assoluta.

Ma quale forma di governo Machiavelli predilige in senso assoluto? Non si pu dare una risposta compiuta.
E probabile che lautore in astratto mostrasse una certa inclinazione per la forma repubblicana, modellata
sullesempio dei romani e magari sullesperienza della repubblica fiorentina nella quale si era formato e
aveva operato, ma che in concreto, vista la situazione drammatica dellItalia, egli ritenesse che la soluzione
migliore in quel momento storico fosse la forma monarchica e in particolare uno stato assoluto. Ad optare
per questultimo, come soluzione migliore ai problemi del proprio tempo, sembravano realisticamente
indurlo le esperienze contrapposte della Francia e della Germania, che aveva attentamente esaminato
pochi anni prima nel Ritratto di cose di Francia e nel Rapporto di cose della Magna: il modello francese di
uno stato territoriale ampio e accentrato, in cui la monarchia aveva imbrigliato le resistenze feudali, gli
pareva chiaramente la formula vincente nel presente e nellimmediato futuro ( e bisogna dire che non
aveva torto: la storia moderna sar la storia delle monarchie assolute). Machiavelli sa bene che ogni epoca
e ogni situazione concreta pone dei problemi particolari e impone strategie diverse per risolverli.

Quindi formazione di uno stato nel Principe e mantenimento dello stato nei Discorsi. Per formare unno
stato preferibile la forza e la virt di un singolo individuo, di un principe abile e spregiudicato: questa
lottica privilegiata dal Principe, ma un concetto riproposto in alcune parti dei Discorsi, quando viene
elogiato Romolo per essersi sbarazzato degli ipotetici rivali allatto della fondazione della citt. Viceversa,
per mantenere lo stato a lungo, risulta pi funzionale la distribuzione e la condivisione del potere,
quantomeno nella forma di una monarchia moderata dalle leggi. Sulla base di queste considerazioni
lordinamento repubblicano e quello dellantica repubblica romana, in cui il potere era formalmente
condiviso e distribuito, pu apparire in linea di massima pi adatto di un principato assoluto a conservare
uno stato. Machiavelli con ci fa sua la celebre tesi di Polibio che giudicava la costituzione della repubblica
romana (che univa le prerogative del potere monarchico, di quello aristocratico e di quello popolare) come
la migliore possibile. Non del tutto escluso, anche nellottica attuale del Principe, che, una volta fondato il
suo stato, il principe possa optare per una certa condivisione del potere, delegandone una parte a
magistrature repubblicane.

In ogni caso occorre ricordare che il criterio della solidit e della stabilit dello stato in Machiavelli prevale
sempre sulla scelta di una forma di governo piuttosto che di unaltra. Il realismo politico, da lui stesso
teorizzato, vince sempre sullideologia; lobiettivo lefficienza e la solidit dello stato: le strategie possono
variare tranquillamente.

Comunque sia, Machiavelli nei Discorsi esamina che nel garantire stabilit alla repubblica romana hanno
avuto tanto le singole individualit deccezione quanto i buoni ordini, cio il buon ordinamento dello
stato. Questultimo gli appare fondamentale nelle sue varie articolazioni (le milizie, la religione , le leggi).
Notevole appare sin da subito lattenzione rivolta al concetto di buona legge. Si tratta di un aspetto molto
pi centrale rispetto alle argomentazioni affidate al Principe, dove la legge spesso coincideva con la volont
arbitraria del sovrano. Le buone leggi spesso nascono dai conflitti sociali: in una delle affermazioni pi
sorprendenti per chi abbia letto il Principe, Machiavelli afferma che il conflitto tra patrizi e plebei, pi che
un elemento di debolezza, fu per lantica Roma un punto di forza in quanto determin la formazione del
Tribunato della plebe, il che per, a ben vedere, unaltra applicazione del precetto che un male
immediato pu produrre un bene futuro. Le buone leggi poi devono temperare la vita normale, ma anche
prevedere soluzioni a situazioni eccezionali: se ad esempio un cittadino attenta alla libert dello stato deve
essere possibile accusarlo di fronte ad un magistrato; si devono insomma prevedere dei meccanismi per cui
il malcontento popolare si possa in questi casi sfogare senza ricorso ad atti straordinari che potrebbero
rovinare lo stato.

Proprio considerando la funzione delle buone leggi, Machiavelli elabora alcune delle idee pi innovative dei
Discorsi: le leggi devono limitare le possibili intemperanze tanto del principe in uno stato monarchico,
quanto del popolo in uno stato repubblicano; un governo popolare per d maggiori garanzie di rispetto
delle leggi di quanto non faccia un principe. Pertanto, per il mantenimento dello stato, il governo
repubblicano appare superiore a quello monarchico.

Fra gli altri aspetti del buon ordinamento dello stato Machiavelli prevede anche la religione. Lautore non
certo un pensatore politico di ispirazione cristiana e anzi i suoi giudizi sul ruolo della Chiesa nella vita
politica moderna sono perlopi negativi e sprezzanti, tanto nel Principe quanto nei Discorsi: secondo lui, ad
esempio, il papato ha contribuito in modo rilevante alla rovina dellItalia per svariate ragioni morali e
politiche, ma addirittura la religione cristiana che, esaltando lumilt e la vita contemplativa invece delle
virt civili, ha politicamente snervato i popoli, rendendoli deboli, poco amanti della libert e abituati
allobbedienza cieca e alla sottomissione. Diversamente si comportavano gli antichi, la cui religione era tesa
a celebrare i valori terreni, esaltava gli uomini attivi e forti. Lo stato poi si preoccupava di controllare e
ordinare le pratiche religiose in modo che esse costituissero uno strumento di governo. La religione in
questo senso come un instrumentum regni, un mezzo per governare lo stato. Ma come hanno notato
molti critici, oltre ad assolvere questa funzione strumentale la religione costituisce un fattore di coesione
sociale e di concordia civile. La religione, nel senso latino del termine religio, non lega soltanto gli uomini a
un Dio o a pi di , ma essenzialmente lega gli uomini tra loro.

FRANCESCO GUICCIARDINI.

Lesperienza biografica e intellettuale di Francesco Guicciardini ha molti punti di contatto con quella di
Machiavelli: fiorentino, anchegli si trov a vivere nei convulsi anni delle guerre dItalia e dei rapidi
rivolgimenti politici della citt natale; anchegli si dedic con indipendenza di giudizio alla riflessione sulla
storia e sulla politica e intraprese la carriera politica tentando di accreditarsi come funzionario dello stato,
pi come tecnico che come uomo di parte; anchegli dopo il successo (pi rimarchevole e duraturo e pi
legato alle fortune dei Medici), speriment la sconfitta e lemarginazione e soprattutto non vide realizzati i
suoi progetti costituzionali. Ma ci che distingue i due grandi intellettuali sono alcuni convincimenti
teorici e metodologici di fondo sul senso della storia, sulla possibilit delluomo di governarla, sui modi e
sui mezzi per tentare di farlo e in particolare sulla possibilit di desumere dalla storia teorie, regole,
modelli di comportamento applicabili al presente. Machiavelli essenzialmente un politologo senza
eguali, via via un fine costituzionalista, un grande moralista, uno storico di razza. Empiristi e pessimisti
entrambi, lempirismo di Guicciardini appare un po pi tattico e meno razionale, il suo pessimismo sulla
possibilit di governare la storia pi acre e pi profondo.

Francesco Guicciardini nasce nel marzo del 1843 a Firenze. Il padre Piero era un ricco mercante con attivit
in tutta Europa, amico e discepolo di Marsilio Ficino. La famiglia apparteneva alla grande aristocrazia
fiorentina e si era garantito importanti cariche pubbliche allombra dei Medici. Gli anni centrali della
formazione del giovane Francesco cadono, per, nel periodo di governo repubblicano della citt (1494-
1512). Egli compie i suoi studi di diritto in varie facolt ottenendo la laurea nel 1505. Sposa nel 1508 Maria
Salviati e per il momento si tiene lontano dalla politica: scrive le Storie fiorentine dal 1378 al 1509, nel 1508.
Ma limpegno attivo nella vita pubblica dietro langolo: allinizio del 1512 lo troviamo in Spagna
impegnato, ancora giovanissimo nel prestigioso incarico di ambasciatore della Repubblica Fiorentina
presso Ferdinando il Cattolico. Sul piano professionale, la svolta della sua vita: dora in avanti egli si
dedicher esclusivamente alla carriera politica attiva. Durante questo periodo scriver il Discorso di
Logrogno, una riflessione sullordinamento costituzionale fiorentino, in cui presuppone un modello di una
repubblica dotata di un sistema costituzionale fondato sullequa distribuzione dei poteri. Mentre
Guicciardini in Spagna, a Firenze tornano i Medici. A differenza di quanto accaduto a Machiavelli, tuttavia,
questo evento non segna la fine della sua carriera politica. Il suo accostamento alla parte medicea rapido
e porta al successo: rientrato a Firenze alla fine del 1513 diventa membro della Signoria nel 1515. Nel 1516
lascia Firenze per entrare a servizio della Curia Pontificia, ma sono due Medici, papa Leone X e papa
Clemente VII, che lo chiamano ad assolvere incarichi di prestigio. Sul piano letterario a questi anni
appartengono le riflessioni e gli aforismi che compongono i Ricordi, lopera sua pi memorabile, e il
Dialogo del reggimento di Firenze in cui ribadisce i presupposti dellopera scritta in Spagna.
Ma la vita politica italiana di questi anni densa di svolte velocissime, che ora incidono anche sulla carriera
di Guicciardini. Caduto il governo mediceo nel 1527, egli viene processato a Firenze per una falsa accusa di
appropriazione indebita e per lattivit svolta al servizio dei papi medicei. Nel 1529, essendo ancora vicino a
Clemente VII, la sua posizione si fa pi grave: accusato di tramare contro la Repubblica: viene condannato
a Firenze e gli vengono confiscati tutti i beni in patria. La libert dagli impegni politici e diplomatici gli lascia
il tempo di scrivere le Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli e di portare a termine la redazione
definitiva dei Ricordi (1530).

La Repubblica dura pochi anni, e con la restaurazione dei Medici (1530) per Guicciardini tornano importanti
incarichi: non finiscono per le difficolt: il papa gli affida il compito di riorganizzare il governo mediceo in
Firenze. Il suo tentativo per quello di organizzare un ordinamento costituzionale equilibrato, ispirato
alle opere teoriche precedenti. Vorrebbe un governo in cui i Medici godano dellappoggio sia della parte
popolare che di quella oligarchica. Si tratta di un progetto di Signoria moderata, ma non trova
lappoggio del Papa. Per questo motivo Guicciardini viene allontanato da Firenze e spedito a Bologna
come governatore: uno stratagemma per liberarsi di lui. Guicciardini torna per a Firenze nel 1534 e figura
ancora tra i pi stretti collaboratori della famiglia dei Medici (Alessandro e Cosimo). Nessuno dei due per
accetta alcun tentativo di moderazione del proprio potere personale. Guicciardini a questo punto si ritira a
vita privata (1538). Gli ultimi anni non sono per infruttuosi sul piano letterario: si dedica con impegno alla
redazione della Storia dItalia fino alla morte che lo coglie nel 1540, impedendogli di portare a termine
questa grande impresa.

LE OPERE

Abbiamo detto che Machiavelli fu un politologo senza pari, mentre Guicciardini fu un grande
costituzionalista, un grande moralista, uno storico valido. Pur nella variet delle sue opere, indubbio
infatti che la grandezza di Machiavelli stia tutta nella definizione di una dottrina politica rivoluzionaria.
Guicciardini non ha un profilo cos omogeneo e d il segno di s nei Ricordi, unopera moralistica (nel senso
moderno di riflessione sui costumi e i comportamenti delluomo), e nella Storia dItalia, un poderoso
affresco delle vicende dellItalia dalla morte di Lorenzo il Magnifico al 1534. Ai Ricordi, lopera pi famosa
tra le sue, Guicciardini lavor a pi riprese per quasi ventanni, pur trattandosi di uno scritto di poche
decine di pagine, il che dimostra limportanza che lautore le attribuiva. In effetti qui che Guicciardini
condensa la sua sapienza umana e politica, accumulata in molti anni di attivit pubblica e di private
riflessioni sulla natura e i comportamenti umani, sulla societ, la politica e la storia.

Il pessimismo di Guicciardini appare per molti versi pi radicale di quello di Machiavelli. In realt egli non
cos drastico come talora Machiavelli nel giudizio negativo sulla natura umana: ad esempio asserisce che
gli uomini tutti per natura sono inclinati pi al bene che al male, ma tanto fragile la natura degli uomini e
s spesse nel mondo le occasione che invitano al male, che gli uomini si lasciano facilmente deviare dal
bene. Non dunque la malvagit un fattore congenito nelluomo; lo bens la sua fragilit che, di fronte
alle infinite occasioni di rivolgersi al male, non sa opporre resistenza. Di fatto per anche per Guicciardini ci
si deve confrontare con uomini inclini al male, sia pure per debolezza che per malignit. Il quadro della
societ con cui un uomo e non solo un principe deve confrontarsi sconfortante. Tutti o quasi appaiono
interessati ad affermare i propri meschini interessi, a discapito di ogni altra considerazione; i governanti
si disinteressano dei governati; i preti sono ambiziosi, avidi e corrotti; il popolo uno animale pazzo,
pieno di mille errori, di mille confusione, sanza gusto, sanza deletto, sanza stabilit; slealt, violenza,
simulazione, dissimulazione e tutti gli altri peggiori vizi sono la norma. La societ insomma, ci dice con
realismo e spregiudicatezza degni di Machiavelli, obbedisce a leggi crudelmente economiche,
cinicamente particolaristici.

Guicciardini poi assai pi scettico di Machiavelli circa la possibilit di governare la storia e, ancor pi, di
individuare le leggi, le regole, i precetti di comportamento che siano universalmente validi. Troppo varia e
mutevole la realt (e la Fortuna) perch la ragione possa interpretarla e ridurla a costanti su cui fondare
delle teorie positive. Esemplare lo sconsolato stupore con cui egli in uno dei suoi ricordi pi belli constata
la quantit di circostanze favorevoli che debbono inanellarsi perch un raccolto giunga a maturazione e un
uomo arrivi alla vecchiaia. Come ridurre a regole una complessit cos imprevedibile e sfuggente? Nessuna
verit a portata di mano, n possibile in alcun modo prevedere gli eventi futuri. Anche nel divenire
storico si applica lo stesso scetticismo: le variabili sono infinitamente superiori alle costanti, tanto che non
ha senso guardare al passato per individuare dei modelli esemplari di comportamento da riproporre nel
presente: Quanto si ingannano che a ogni parola allegano e romani, scrive pensando a Machiavelli.
Bisognerebbe avere una citt condizionata come era la loro, e poi governarsi secondo quello essemplo; el
quale a chi ha le qualit disproporzionate tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino
facessi el corso di un cavallo. Tra la conoscenza teorica e la prassi c dunque una distanza enorme,
perch, anche ammesso che la teoria dia indicazioni esatte, non si fanno mai abbastanza i conti con la
fragilit umana, che spesso non sa metterle in pratica con la dovuta perizia e prontezza. Cos egli pu
concludere: Quanto diversa la pratica dalla teoria.

Pi che alla teoria, bisogna dunque affidarsi alla DISCREZIONE, cio a una capacit di discernimento che
non si pu insegnare per regola, ma che il frutto dellesperienza concreta, della pratica del mondo, che
capacit sia razionale che intuitiva di districarsi negli infiniti meandri del reale, di adattarsi allinfinita variet
e mutevolezza delle situazioni concrete. Questa della discrezione, in definitiva, pu essere considerata la
sola regola, il solo generalissimo precetto che Guicciardini si senta di formulare positivamente. Ed lunica
possibile, limitata e fragile ancora di salvezza di fronte a una fortuna che imperversa. Il pessimismo e
lempirismo di Guicciardini conducono quindi molto vicino a un fatalismo senza rimedio, che segna la fine di
ogni sogno umanistico di poter con la virt governare la fortuna.

Di fronte a questa sconsolata visione del reale che resta dunque da fare alluomo politico, oltre che
esercitare larte della discrezione? Dove e a cosa deve tendere? Se nelle opere pi tecniche egli elabora una
teoria positiva, individuando meccanismi costituzionali che possano portare equilibrio tra le parti e nel
governo dello stato, nei Ricordi questa prospettiva perlomeno in ombra. Guicciardini non sembra credere,
come Machiavelli, nella possibilit che lo stato porti un qualche ordine nel mondo. Alluomo politico non
resta dunque che seguire il proprio PARTICULARE, i propri interessi personali e quelli della parte che
rappresenta. Ma Guicciardini nel particulare non individua cinicamente gli interessi di parte pi materiali
e meschini: con questa espressione intende un complesso di interessi che comprendono anche la tutela
della propria personale dignit, la buona reputazione personale e lonore che derivano da una dirittura
morale socialmente riconosciuta. Se dunque Machiavelli riconosce che il bene dello stato giustifica i mezzi
iniqui adottati a tal fine, Guicciardini, non credendo in fondo nello stato come soluzione positiva delle
contraddizioni umane ( e i vizi per lui rimangono dei vizi), accentua il suo individualismo, ma mostra di
ancorarlo comunque a una moralit dai contorni sfumati, ma riconoscibile nella reputazione che la societ
e forse la storia finiscono col riconoscere agli individui.

Guicciardini conclude la sua esperienza intellettuale con la Storia dItalia, laltro capolavoro e lunica opera
scritta per la pubblicazione. Questopera non introduce elementi di sostanziali novit che modifichino le
acquisizioni ideologiche formulate nei Ricordi, anzi ne confermano limpostazione e il metodo. Lautore
dopo aver affermato che grazie al Magnifico ci fu un sostanziale momento di pace e di benessere, molto
pi pessimista sul recente passato: i principi italiano hanno commesso una quantit infinita di errori; hanno
creduto di poter governare con laiuto delle potenze straniere. Insomma nella storia recente egli vede
unulteriore prova della difficolt di poter governare la storia e della necessit di dover esaminare di volta
in volta tutte le variabili che possono alterare il corso previsto degli eventi.

I Ricordi sono una raccolta di 221 aforismi, cio di brevi massime, a cui lautore cominci a lavorare sin
dalla giovinezza (1512) e port a compimento nel 1530 attraverso tre redazioni distinte. Lopera ha subito
molte correzioni, molti spostamenti e limature. Venne pubblicata dopo la sua morte. (1576). I ricordi si
inseriscono nella cospicua tradizione (specie fiorentina) delle scritture memorialistiche mercantili,
destinate a tramandare ai figli e ai nipoti ricordi familiari e personali e la sapienza pratica acquisita
dallestensore. Ma pur richiamandosi a questa tradizione, lorizzonte su cui spazia le riflessione di
Guicciardini non pi quello familiare e consortile, bens quello pi ampio della politica e della storia,
non pi solo quello della citt, ma quello dellItalia e delle relazioni internazionali. Come nella tradizione,
gli aforismi di Guicciardini non sono ordinati per argomento, ma presentano una disposizione
apparentemente casuale, che fa s che il lettore dellopera passi da un argomento ad un altro e a pi
riprese si trovi ricondotto su un tema gi affrontato e ora riproposto dopo solo qualche pagina con
modifiche prospettiche. La struttura stessa dellopera rivela la predilezione per una riflessione non
sistematica e non organica ed anche unimplicita dichiarazione della fiducia di poter elaborare opere e
teorie sistematiche su quel soggetto.

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