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Storia delle Dottrine Politiche

alessandro.arienzo@unina.it
Machiavelli
the Old Nick
Niccolò Machiavelli, segretario della repubblica fiorentina, è l’autore del Principe,
opera scabrosa e maledetta, al centro dell’attenzione dei lettori per secoli. Tanto
scabrosa da fargli guadagnare, in pieno cinquecento, gli epiteti di anticristiano o di
“atheist”. “Old Nick”, sarà definito il Niccolò dagli inglesi, il vecchio “Nick”, nomignolo
in uso per il diavolo.
Espressione di quella lettura esasperata e moralista che il francese Gentillet nel suo Contre Nicolas Machiavel
(1576) aveva trasformato in stereotipo di politico cinico, amorale, anticristiano e che ad esempio il teatro
inglese dell’epoca – tra tutti Ben Johnson e Philip Marlowe – rappresenterà in toni foschi e drammatici sulle
scene. La politica delle corti italiane, fatte di raggiri, di veleni e coltelli, di segrete, cospirazioni, assassinii.

Ed è questa la radice di quello stereotipo che ancora oggi è così in uso: un politico
machiavellico è un politico astuto, amorale, dissimulatore e mentitore, dedito
all’esclusivo raggiungimento dei fini che si è proposti.
A dispetto del fatto che forse la sua opera più conosciuta è il Principe, Machiavelli è
anche l’autore dei Discorsi sulla Prima Deca di Tito Livio, ed è certamente l’espressione
d’una tradizione particolare, umanistica, di repubblicanesimo classico. Lezione
particolare la sua, perché su una molteplicità di punti egli innova, modifica
sostanzialmente, la tradizione del repubblicanesimo umanista a partire da un diverso
dialogo con le tradizioni classiche, particolarmente quella romana.
Machiavelli
post-moderno
• La figura “pre-moderna” del Machiavelli è tornata con forza all’attenzione degli
studiosi del pensiero politico, ma anche degli scienziati della politica e della
politologia, per l’influenza che il suo pensiero ancora esercita nella nostra “post-
modernità”.

• Fautore di una politica di stampo popolare – secondo qualcuno, addirittura


moltitudinaria quando non plebea – capace di tradurre i conflitti, i tumulti, che
attraversano il corpo politico in innovazione politica e istituzionale; di fare
dell’elemento conflittuale della politica, della sua componente evenemenziale,
soggettiva, la risposta alla politica rigida della sovranità statuale.

• E questo è evidente, ad esempio, nell’utilizzo del Machiavelli nella contemporanea cultura politica
statunitense: da un lato, il recupero di una tradizione repubblicana e civica con al centro la figura del
cittadino partecipe, promotore del bene pubblico, ed istituzioni ordinate su un principio di libertà inteso
come assenza di dominio; dall’altro lato, le diverse teorie neo-cons che raccolgono l’eredità di un realismo
politico che si vuole machiavelliano e che, ad esempio, nel Machiavelli scoprono l’uso strumentale e
ordinatore della religione. In questi ultimi, le esigenze del governo della globalizzazione e i conflitti che
essa genera richiedono un nuovo principe democratico, l’articolazione nuova di un potere esecutivo che
altro non costituisce che un “principe addomesticato” – tamed – come afferma il politologo Harvey C.
Mansfield (Taming the Prince. The Ambivalence of Modern Executive Power, 1993).
Machiavelli
perché oggi

• Del resto, gli elementi di maggiore interesse della riflessione machiavelliana nella
cultura politica moderna sono sempre stati:

- l’assunzione di una dimensione pienamente autonoma del sapere politico pratico

- le tesi forti che Machiavelli esprime in relazione al rapporto tra ethos e kratos, tra
morale e politica, la riflessione machiavelliana del “male necessitato”. E’ pure
evidente che in queste interpretazioni – che mantengono un elemento di oggettivo
rilievo – il rischio prevalente è la riduzione del kratos a violenza e potenza.

• Oggi gli elementi centrali della ripresa del Machiavelli sono invece connessi ad una
riflessione intorno al repubblicanesimo come terza via tra comunitarismo e
liberalismo, ma anche la dimensione fortemente polemologica della sua riflessione
politica, l’attenzione ad una politica intesa come permanente innovazione
istituzionale, la sua riflessione sul tema della corruzione.
Machiavelli
cenni biografici

Machiavelli nasce a Firenze il 3 maggio del 1469, suo padre Bernardo è avvocato e
appassionato studioso di discipline umanistiche. A dispetto della situazione economica
non sempre florida, egli garantirà a Niccolò una ampia cultura umanistica.
E sarà proprio grazie a questi studi e al buon nome del padre che, alla caduta del
regime del Savonarola, la repubblica fiorentina epurati tutti i membri delle proprie
cancellerie che avevano simpatizzato col frate incarica Niccolò come secondo
cancelliere della repubblica. Incarico importante, e di un certo prestigio, anche se non
tra quelli più ambiti o rilevanti.
La seconda cancelleria si occupava essenzialmente della corrispondenza relativa
all’amministrazione dello Stato, tuttavia Niccolò venne anche assegnato come
segretario del primo cancelliere venendo assegnato ai Dieci della Guerra, il comitato
responsabile per le relazioni estere e diplomatiche della Repubblica.
E il Machiavelli sarà più volte impegnato in legazioni, in ambascerie, all’estero in
particolare in Francia presso Luigi XII e Massimiliano, Sacro Romano imperatore. Ed
ovviamente presso il papato e le altre repubbliche o signorie italiane.
Machiavelli
cenni biografici
• Machiavelli non è certo una figura di primo piano nelle ambascerie fiorentine,
semmai è tra quei funzionari che sono inviati in prime missioni per preparare il
terreno ad ambascerie più qualificate e con maggiori poteri.
• Ma è comunque da questi incarichi che Machiavelli trae spunti di analisi e
osservazioni decisive sulle forme e i modi della politica moderna, e quindi sulla
crisi delle repubbliche e degli stati italiani a fronte delle nuove monarchie
territoriali europee.
• Sia il Principe che i Discorsi hanno sullo sfondo questo quadro: i drammi della
repubblica fiorentina, i fallimenti degli stessi Medici, gli eserciti e il ruolo ormai
preponderante delle grandi monarchie, Francia e Spagna su tutte. E il papato, stato
tra stati, sebbene di natura particolare. Elemento di corruzione e debolezza politica
e civile nel quadro già polverizzato della penisola italiana.
• Proprio Papa Giulio II alleatosi con la Spagna si farà promotore di una campagna
militare in Italia per riaffermare il proprio controllo sulla penisola. Sconfitti i
francesi, provoca la caduta del Gonfaloniere Soderini e il ritorno dei Medici a
Firenze nel 1511. Nel 1513 Machiavelli è accusato di congiura e venne imprigionato
per essere rilasciato solo grazie ad una amnistia dovuta alla proclamazione di
Giovanni de’ Medici come papa col nome di Leone X.
Machiavelli
cenni biografici
• Per un lungo tempo Machiavelli sarà costretto a ritirarsi a vita privata sebbene tenti
attraverso il suo amico Francesco Vettori di acquisire nuovo credito presso i Medici. E dalle
lunghe lettere che i due si scrivevano abbiamo un documento di assoluta importanza, la
lettera datata 10 dicembre 1513, che testimonia di una fase della biografia politica del
Machiavelli, di studio, di riflessione teorica, di lettura ma anche del tentativo di trovare un
impiego, un impegno presso i Medici:

• “Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste
cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle
antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum
è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro
azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia,
sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. […]
Io ho ragionato con Filippo di questo mio opuscolo, se gli era ben darlo o non lo dare; e, sendo ben darlo,
se gli era bene che io lo portassi, o che io ve lo mandassi. Il non lo dare mi faceva dubitare che da Giuliano
e' non fussi, non che altro, letto; e che questo Ardinghelli si facessi onore di questa ultima mia fatica. El
darlo mi faceva la necessità che mi caccia, perché io mi logoro, e lungo tempo non posso stare cosí che io
non diventi per povertà contennendo. Appresso al desiderio harei che questi signori Medici mi
cominciassino adoperare, se dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso; perché, se poi io non me gli
guadagnassi, io mi dorrei di me; e per questa cosa, quando la fussi letta, si vedrebbe che quindici anni, che
io sono stato a studio all'arte dello stato, non gli ho né dormiti né giuocati; e doverrebbe ciascheduno
haver caro servirsi di uno che alle spese di altri fussi pieno di esperienza”.
Machiavelli
escogitare et esaminare
• Machiavelli in assenza di incarichi e incapacitato ad accedere a nuovi uffici si
impegna in un opera di riflessione politica, che getta le sue radici negli studia
humanitatis fatti da giovane, nelle moltissime letture di testi classici, ma che si
confronta con un quotidiano fatto di azione politica, osservazione diretta, per certi
versi di sperimentazione.
• E non è un caso che nella lettera dedicatoria del Principe a Giuliano de’ Medici
(quindi Lorenzo, dopo la morte del primo nel 1516), testo col quale egli spera di
accreditarsi presso la nuova signoria medicea, egli scriva che tutto quanto ha di
maggior pregio da offrire sono “la cognizione delle azioni delli uomini grandi,
imparata con una lunga esperienzia delle cose moderne et una continua lezione
delle antique: le quali avendo io con gran diligenzia lungamente escogitate et
esaminate”.
• Il passaggio è di grande interesse perché esprime bene il metodo machiavelliano.
L’oggetto della riflessione politica sono le azioni “grandi”, ossia virtuose. Le azioni
grandi egli le ha apprese tanto attraverso l’esperienza diretta delle cose moderne –
egli è consapevole di vivere in un’epoca nuova – quanto dalle lezioni delle antique;
le lezioni degli antichi trasmesse attraverso le opere storiche innanzitutto, ma
anche attraverso la lettura di testi di filosofia, di etica.
Machiavelli
escogitare et esaminare
• Machiavelli è un acuto lettore di Lucrezio, capace di leggere e scrivere in Latino,
con molta probabilità non conosceva invece il greco. Tuttavia, queste lezioni
antiche e moderne non bastano, la storia non è mera riproposizione di esempi e
vedremo che nella concezione machiavelliana del tempo l’influenza lucreziana è
importante. Ci sono sempre punti, eventi, che scombinano la ciclicità naturale dei
fatti storici, quella ciclicità che regge la possibilità di rendere attuali esempi,
accadimenti del passato.

• E allora è necessario esercitare una capacità di analisi, discernimento, discrezione


nella lettura, nella comprensione e quindi nella messa in opera di precetti che
giungono dal passato o anche che sono il frutto dell’osservazione del presente.
Ecco perché “escogitare et esaminare”.

• Ora il Principe è certamente un testo eccezionale, dalla portata innovativa eppure


si poggia e riprende una tradizione di lungo periodo, quella degli avvisi ai principi,
pur trasfigurandone alcuni dei temi centrali: in particolare quelli di virtù e di
fortuna.
Machiavelli
la fortuna
• La fortuna. La tradizione latina classica ne aveva l’immagine come di un elemento
imponderabile, infido, tuttavia potente che attraverso la virtù poteva in qualche modo
essere trattenuto e fatto proprio. L’immagine della Dea fortuna è appunto
un’immagine femminile e la virtù che può farla propria è vis virilis: quella forza che
emerge dal coraggio, dall’audacia, da quella forza che è propria del maschio (Cicerone,
Tusculanae). La virtù è una disposizione d’animo, proprie dell’uomo, del guerriero e
dello statista.
• Col trionfo del Cristianesimo questa presentazione classica della Fortuna viene
abbandonata. La visione cristiana, espressa ad esempio da Boezio nel suo Consolazione
della Filosofia, è fondata sul rifiuto del principio cruciale che la Fortuna può lasciarsi
influenzare. La fortuna è un potere cieco, una forza spietata, descrivibile come una
ruota inesorabile che svela la natura effimera dei beni terreni e che richiama, semmai,
ai percorsi insondabili della volontà divina e alla necessità della fede come schermo alla
sofferenza e unico strumento di salvazione e di gioia (eterna ovviamente).
• Col recupero dei valori classici nel Rinascimento quest’interpretazione della fortuna
quale ancilla dei fu a sua volta minacciata da un ritorno alla convinzione precedente,
che di dovesse distinguere tra fortuna e fato. Con gli umanisti, dopo il Petrarca, il tema
della dignità dell’uomo, della sua eccellenza, si associa al tema del libero arbitrio, della
libertà dell’uomo. Ed allora l’immagine classica della fortuna ritorna in trattati in autori
come l’Alberti, del Pontano, di Piccolomini.
Machiavelli
fortuna, virtù e necessità
• In Machiavelli ritorna l’immagine della fortuna-donna, peraltro con una carica
erotica estremamente marcata, nella quale viene confermata una sua irriducibililità
per cui, anche se battuta a dovere, la fortuna può sempre sfuggirci. Machiavelli
pone un limite antropologico alla capacità degli uomini, di giocare la fortuna.
Questo limite è nella loro complessione essenzialmente stabile, incapace di mutare
al mutare dei tempi, di adattarsi alle circostanze, il loro smacco.

• Certamente è questa la declinazione più originale nella riflessione del Machiavelli


sul tema della virtù politica: la virtù è la capacità dell’uomo politico di adattare le
proprie scelte, di conformarsi, plasticamente, agli eventi. Le virtù tipiche della
tradizione politica classica e umanistica, prudenza, giustezza, fortezza e
temperanza, vengono riviste completamente da Machiavelli.

• Il tema della necessità politica è in tal senso centrale, i capitoli 15° e 18° del
Principe sono quelli decisivi, sono quelli nei quali Machiavelli in maniera più cruda
e decise argomenta la necessità per il governante di saper “entrare nel male
necessitato”.
Machiavelli
la virtù e le buone armi
• L’obiettivo primo dell’uomo politico, del politico virtuoso, è quello di mantenere lo
Stato, ossia conservarne il governo, conservare il potere. E per farlo egli deve
dotarsi essenzialmente di buon leggi e buone armi.

• Nel Principe Machiavelli distingue le armi, gli eserciti, in due modelli essenziali, le
armi proprie e le armi mercenarie. Le prime sono gli eserciti popolari, composte da
cittadini in armi, da abitanti di un determinato territorio; le seconde sono invece le
truppe professioniste di mercenari, soldati a pagamento.

• Machiavelli favorisce le prime e avrà anche un incarico per costituire un armata di


cittadini in armi che, alla prova dei fatti, non darà grandi risultati; a suo parere le
armate mercenarie sono pericolose, incostanti, non hanno né padrone, né vincolo.

• Nell’Arte della Guerra, un manuale di vera e propria arte militare, Machiavelli si


confronta con le tecniche, gli strumenti, le tecnologie dell’epoca non senza una
qualche osservazione amara sul crollo del valore militare dovuto all’uso dei
cannoni, delle armi da fuoco.
Machiavelli
la virtù e le buone leggi
• La virtù è anche capacità di darsi buone leggi. La legge è importante in un principato, e
particolarmente nei principati civili, quelli nei quali il Principe gode del supporto del
popolo contro i nobili, e che quindi vive di uno scambio reciproco tra queste due parti.

• La legge è essenziale nelle Repubbliche poiché esse si conservano se la virtù non è di


pochi cittadini eminenti, ma è di tutti i cittadini. E la virtù la si costruisce, la si può far
emergere attraverso le leggi, e attraverso le leggi si possono comporre buoni ordini.
• Ma qual è la repubblica che nella storia, almeno fino all’epoca di Machiavelli, ha
mostrato tutta la sua gloria e si è mostrata capace di durare nel tempo? Evidentemente
la Repubblica romana.

• Come fu possibile costituirla, farla durare così a lungo, e perché cadde? Queste sono le
riflessione che reggono i Discorsi di Machiavelli, il quale, evidentemente pensava alla
situazione italiana del tempo.

• Del resto Machiavelli è convinto che “chi consideri le cose presenti e le antiche,
conosce facilmente come in tutte le città e in tutti i popoli sono quei medesimi desideri
e quei medesimi umori” (D. II,4).; il che significa che “e’ facil cosa per chi esamina con
diligenza le cose passate prevedere le future”, o almeno “pensare dei nuovi (rimedi)
per la similitudine degli accidenti”
Machiavelli
la virtù come partecipazione alla cosa pubblica

• Dall’analisi dell’esperienza romana Machiavelli trae come elemento di fondo la


convinzione che la capacità di farsi grande – anche in termini espansivi e militari –
della repubblica romana aveva le sue radici nell’autogoverno, nella libertà. Una
libertà garantita da un sistema di leggi che rispondevano positivamente alle spinte
provenienti dai due umori fondamentali, i grandi e il popolo. E da un sistema
istituzionale che doveva realizzare quella commistione di elementi capaci di
temperare – sulla scia di quanto affermato da Polibio – la naturale tendenza a
corrompersi delle cose umane.

• E quindi una libertà costruita sulla partecipazione del popolo alla cosa pubblica.
Ecco perché nella Repubblica la virtù non è più solo quella dell’uomo eminente, ma
è la virtù del cittadino romano, anche disposto a prendere le armi per difendere la
propria libertà o la gloria di Roma. Qui è la virtù repubblicana, in quanto civismo,
dedizione al bene comune, che emerge. Le buone leggi sono fondate sul
riconoscimento delle parti che compongono la repubblica – massimamente grandi
e popolo – e della religione.
Machiavelli
la religione come religione civile
• La religione in Machiavelli non è semplicemente il problema posto dalla fede, o dal
Cristianesimo– è invece il problema di quei costumi, di quelle credenze che
rendono l’uomo ben disposto all’esercizio della virtù civile.
• Essa è un sentimento religioso, che i culti pagani riuscivano a infondere e che
attribuiva alla grandezza della repubblica, al bene comune, alla gloria, alla virtù, un
ruolo decisivo. Il Cristianesimo ha indebolito l’uomo, ha rotto quel legame
essenziale tra gli uomini e la cosa pubblica.

• Esemplificativo, nella storia di Roma, è il caso di Numa Pompilio, dovendo dare


ordine a un popolo indisciplinato e riottoso ma facilmente suggestionabile:
• “simulò di avere domestichezza con una Ninfa, la quale lo consigliava di quello ch'egli avesse a consigliare il
popolo: e tutto nasceva perché voleva mettere ordini nuovi ed inusitati in quella città, e dubitava che la sua
autorità non bastasse. E veramente, mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non
ricorresse a Dio; perché altrimente non sarebbero accettate: perché sono molti i beni conosciuti da uno
prudente, i quali non hanno in sé ragioni evidenti da poterli persuadere a altrui. Però gli uomini savi, che
vogliono tôrre questa difficultà, ricorrono a Dio. Così fece Licurgo, così Solone, così molti altri che hanno
avuto il medesimo fine di loro. Maravigliando, adunque, il Popolo romano la bontà e la prudenza sua,
cedeva ad ogni sua diliberazione.
Machiavelli
la religione come religione civile
• Ben è vero che l'essere quelli tempi pieni di religione, e quegli uomini, con i quali egli aveva a travagliare, grossi, gli dettono
facilità grande a conseguire i disegni suoi, potendo imprimere in loro facilmente qualunque nuova forma. E sanza dubbio,
chi volesse ne' presenti tempi fare una republica più facilità troverrebbe negli uomini montanari, dove non è alcuna civilità,
che in quelli che sono usi a vivere nelle cittadi, dove la civilità è corrotta: ed uno scultore trarrà più facilmente una bella
statua d'un marmo rozzo, che d'uno male abbozzato da altrui. Considerato adunque tutto, conchiudo che la religione
introdotta da Numa fu intra le prime cagioni della felicità di quella città: perché quella causò buoni ordini; i buoni ordini
fanno buona fortuna; e dalla buona fortuna nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza del culto divino è
cagione della grandezza delle republiche, così il dispregio di quello è cagione della rovina d'esse. Perché, dove manca il
timore di Dio, conviene o che quel regno rovini, o che sia sostenuto dal timore d'uno principe che sopperisca a' difetti della
religione. E perché i principi sono di corta vita, conviene che quel regno manchi presto, secondo che manca la virtù d'esso.
Donde nasce che gli regni i quali dipendono solo dalla virtù d'uno uomo, sono poco durabili, perché quella virtù manca con
la vita di quello e rade volte accade che la sia rinfrescata con la successione”.

• Ecco che la questione religione diviene complessa. Numa finge, e tuttavia la sua
finzione è necessaria a dare ordine ad uno stato. Ed è tanto necessaria perché la
religione, come elemento ordinatore, è uno strumento di contenimento di quella
tristitia (malvagità) che è propria dell’uomo. L’adesione di Machiavelli ad una religione
civile non è allora contraddittoria né con la critica alla morale cristiana che pure emerge
dalle sue opere, né con la critica al ruolo svolto dal papato in Italia. E tuttavia, è difficile
sciogliere il punto della “religiosità” del Machiavelli. Certo la religione ha una funzione
strumentale, e tuttavia è una strumentalità che getta le radici in una dimensione
profonda dell’umano, non nella semplice simulazione o credulità dell’uomo. Ed allora,
proprio a questa dimensione profonda, dobbiamo cominciare a prestare attenzione.
Machiavelli
i presupposti “antropologici”
• Soffermiamoci ora sugli elementi fondanti il discorso politico machiavelliano, ossia
sui suoi “presupposti antropologici”. Abbiamo evidenziato il fondamento
naturalistico del suo pensiero, dobbiamo però ribadire il fatto che non si può
parlare in Machiavelli di una vera e propria filosofia naturalistica. Certamente, vi
sono nella sua opera importanti richiami al pensiero classico; particolarmente ad
Aristotele ed alla riflessione aristotelica sullo Stato - la città - intesa come organo
naturale; come corpo politico soggetto a generazione, sviluppo e corruzione.

• Allo stesso tempo, in Machiavelli è decisiva la presenza di una teoria degli umori,
che si differenzia da quella medica di origine ippocratica e galenica. Se in essa gli
umori dell’uomo sono quattro (flemmatico, iracondo, malinconico, collerico), in
Machiavelli ne troviamo invece essenzialmente due, quello rispettivo o prudente e
quello impetuoso.

• Queste sono come vedremo due disposizioni, due modalità temperamentali


essenziali che caratterizzano tutti gli uomini. E tuttavia è necessario sottolineare
come proprio i Discorsi abbiamo come loro tema centrale il disporsi politico di altri
due grandi umori, così per come essi si svolgono nella città repubblicana per
eccellenza: Roma.
Machiavelli
la teoria degli umori
• Nel fiorentino si danno due livelli diversi sui quali incide una determinata teoria
umorale, un piano individuale e un piano pubblico-politico.
• Il contrasto tra i caratteri del respettivo e dell'impetuoso costituisce uno dei
conflitti fondamentali che attraversano il corpo individuale; i due umori, le due
disposizioni decisive della politica – quella di coloro che non vogliono esser
dominati, il popolo, e quella di coloro i quali intendono invece dominare, i grandi –
rappresentano la trama principale dei conflitti che attraversano la repubblica.

• Nel volume The Machiavellian Cosmos, Anthony J. Parel mostra come Machiavelli
attribuisca al termine umori differenti significati:
- gli umori si riferiscono innanzitutto ai desideri ed agli appetiti costitutivi, naturalisticamente
determinati di ciascuna parte della città;
-i l concetto di umori è utilizzato inoltre per designare una situazione storico-politica
determinata; riferendosi alla repubblica romana Machiavelli individua i due umori
contrapposti dei patrizi e dei plebei, mentre a proposito di Firenze egli riconosce tre umori: i
grandi, il popolo ed il popolo minuto;
- gli umori sono usati per descrivere le attività prodotte dall’interazione tra i gruppi politici;
- la nozione di umori è ancora adoperata per indicare conflitti tra gli stati.
Machiavelli
la teoria degli umori
• Rispetto alla molteplicità dei significati con cui Machiavelli utilizza il termine umori
occorre puntualizzare che questi non sono riducibili al piano sociale; gli umori non
possono essere interpretati esclusivamente come il frutto del contrasto
antagonistico delle classi, secondo l’applicazione della lettura marxista al discorso
machiavelliano. In effetti gli umori sono qualcosa di più complicato che investe più
elementi: cumuli di saperi diversi, differenti complessioni individuali ecc.

• Ancora, c’è ancora da chiedersi se l’applicazione di tale teoria tenda


all’instaurazione di un equilibrio nel contesto del corpo politico o piuttosto allo
scorrimento dei termini oppositivi in movimento nella città.

• Secondo Parel, Machiavelli intende trovare la soluzione migliore per la corruzione


di una repubblica commerciale; questa deve creare le opportunità per dare a
ciscun gruppo un’occasione di partecipazione al potere. Per Parel una repubblica
commerciale può essere libera e potente solo se riconosce la pluralità dei suoi
umori e, in ogni caso, gli interessi dei suoi gruppi costitutivi non sono antagonistici
al punto da indebolire o uccidere l’organismo politico.
Machiavelli
dagli umori ai conflitti
• Altri interpreti hanno evidenziato come il fiorentino, pur affermando dei saperi
naturalistici, riferisca tutto al suo criterio politico. Machiavelli ricorre alla teoria
degli umori in funzione di una riflessione istituzionale sul conflitto e sul carattere
irrisolvibile delle dinamiche oppositive. In tal senso non c’è nella teoria
machiavelliana il riferimento alla concordia. Semmai Machiavelli riflette in base alla
distinzione tra contentezza e mala-contentezza.
• E questo criterio mostra che sebbene una parte dell’uomo rimanga impegnata
nella contentezza, permane sempre una zona d’ombra, la mala contentezza che si
acuisce qualora il governo non garantisca il positivo scorrimento degli umori.
• Questo tema ci riporta a quello del conflitto. Bisogna in primo luogo ricordare che
Machiavelli utilizza il termine per diverse funzioni di significati:

- divisioni, disunioni, inimicizie intrinseche per designare i conflitti che attraversano le parti
della città;
- guerre civili e discordie civili per indicare antagonismi irrimediabili tra le fazioni;
- contenzioni (Discorsi I, 37) in riferimento ai conflitti che riducono le divisioni dal piano alto
politico-istituzionale al piano delle ambizioni private, degli interessi tra le parti;
- odi per definire i conflitti irriducibili tra le città come quello che aveva opposto Firenze a
Pisa.
Machiavelli
il conflitto politico e l’anatomia della città

• Machiavelli ritiene necessaria la riconversione politica del conflitto, attraverso una


codifica istituzionale, legislativa delle relazioni tra le parti. La politica ha uno
svolgimento autonomo e può avere una forza risolutiva rispetto ai conflitti.

• Così come in Aristotele anche in Machiavelli la città come un complesso organico


naturale, composto da parti confliggenti delle quali almeno una tende
all’affermazione.

• In Aristotele abbiamo incontrato due diversi modelli di porre in analisi le forme


della costituzione e il governo della città:
a) la città è impegnata all’esercizio della virtù;
b) le parti della città sono da analizzare per la sfera dei poteri e delle forze che
la compongono. Partizione, questa, non esclusivamente di tipo economico, ma da
essere intesa in senso più ampio.

• Se nel primo caso, l'analisi si dispone verso la costituzione virtuosa, nel secondo il
problema è quello della costituzione migliore relativamente alle condizioni date.
Machiavelli
il conflitto politico e l’anatomia della città
• Machiavelli è vicino al criterio aristotelico dell’anatomia della città; tuttavia, egli
non solo accoglie la realtà dell’esistenza dei conflitti (come Aristotele) ma tenta
anche di riportarli positivamente sul piano politico.

• Nei Discorsi, in I,5 (Dove più sicuramente si ponga la guardia della libertà, o nel
popolo o né grandi; e quali hanno maggiore cagione di tumultuare, o chi vuole
acquistare o chi vuole mantenere) Machiavelli propone un criterio binario e
conflittuale di interpretazione della realtà politica: i grandi che tendono al dominio,
il popolo che tenta di non essere dominato.

• E’ questo un punto di partenza per attestare l’esistenza delle parti sociali, nella
città si svolge sempre uno scontro “privato” tra individui e gruppi. Le forme del
governo, dice ancora Machiavelli, sono due: principato o repubblica. Il principio
dell’anatomia della città vale per entrambi i modelli a partire dal confronto tra gli
umori cui è necessario dare uno sbocco politico. Esito impossibile solo nel caso
della licentia (“anarchia”) dove non vi è possibilità di mediazione.

• Su questi temi c’è senz’altro una relazione diretta tra Machiavelli e Aristotele.
Machiavelli
la corruzione
• Il tema che interessa Machiavelli è allora questo: a fronte dei conflitti, quale forma
politica è meglio utilizzare?

• Il termine chiave è quello della corruzione, i corpi sono soggetti a corruzione e


corrompimento; peraltro, per via politica risulta anche necessario offrire percorsi
che valgano a garantire la contentezza dando una qualche soddisfazione alle parti
in conflitto: libro I,XVI “Perché un popolo dove in tutto è entrata la corruzione non
può non che piccol tempo ma punto vivere libero, come di sotto si discorrerà: e
però i ragionamenti nostri sono di quelli popoli dove la corruzione non sia ampliata
assai, e dove sia più del buono che del guasto”.
• In fondo, particolarmente nei Discorsi, Machiavelli intende proprio favorire un percorso repubblicano.
Come in natura, anche le forme di governo vedono un ciclo di corruzione: teoria che proviene dalla
rilettura polibiana di Aristotele.

• Machiavelli ci dice che la corruzione non consente la libertà e che la corruzione è


propria dei diversi elementi del dispositivo costituzionale, egli tuttavia intende
trattare: “più del buono che del guasto”. In tal senso, egli riflette intorno ad una
situazione che faccia riferimento ad una possibile equalità (intesa
sociologicamente come eguaglianza); una condizione dove ricchezze e risorse siano
mediamente distribuite.
Machiavelli
equalità e repubblica
• Nei Discorsi, in I,55, Machiavelli fa riferimento alla Germania e scrive:

• “Vedesi bene nella provincia della Magna questa bontà e questa religione ancora in quelli
popoli essere grande, la quale fa che molte repubbliche vi vivono libere, ed in modo
osservono le loro leggi che nessuno di fuori né di dentro ardisce occuparle…. Il che nasce da
due cose: l’una non avere avute conversazioni grandi con i vicini, perché né quelli sono iti a
casa loro né essi sono iti a casa altrui, perché sono stati contenti di quelli beni, vivere di quelli
cibi, vestire di quelle lane che dà il paese, d’onde è stata tolta via la cagione ché non hanno
possuto pigliare i costumi né franciosi né spagnuoli né italiani, le quali nazioni tutte insieme
sono la corruttela del mondo. L’altra cagione è che quelle repubbliche dove si è mantenuto il
vivere politico ed incorrotto, non sopportono che alcuno di loro cittadino né sia né viva a uso
di gentiluomo, anzi mantengono intra loro una pari equalità, ed a quelli signori e gentiluomini
che sono in quella provincia sono inimicissimi, e se per caso alcuni provengono nelle loro
mani, come principii di corruttele e cagione d’ogni scandolo, gli ammazzano”.

• In queste realtà germaniche non vi è una condizione di corruzione, i cittadini sono


più attenti al governo del sé, alla libertà. Dove i gentiluomini sono forti non è
possibile una repubblica.
Machiavelli
equalità e il principato civile
• Scrive ancora Machiavelli che“in tutte le città dov’è grande equalità di cittadini, non
vi si può ordinare principato se non con massima difficultà, e in quelle città dove è
grande inequalità di cittadini, bisognerebbe spegnere tutta quella nobiltà, e ridurla
a una equalità con gli altri; perché tra di loro sono tanto estraordinari, che le leggi
non bastano a reprimerli, ma vi bisogna una voce viva, et una potestà regia che li
reprima. … ”.

• Dove regna una sostanziale equalità è difficile reggere un regno, così come dove vi
siano molti “grandi” solo con la “mano regia” sarà possibile imporre un vivere
civile.

• A dispetto dei tratti più cupi del Principe, in questo passaggio sembra proporsi una
nuova forma di principato – il principato civile appunto - che vive del legame
stretto e diretto tra il principe e il popolo: nel principato civile il principe si regge
grazie al popolo che gli offre consenso e ne sorregge attivamente il governo
temperando le spinte che provengono dai nobili. E ciò avviene, certamente,
quando vi siano diseguaglianza troppo ampie che possono trovare composizione
solo nel raccordo tra le parti più estreme della città.
Machiavelli
dal modello binario alle tre parti della città
• Tutto ciò diviene più chiaro in un progetto di riforma presentato ai Medici finalizzato
alla edificazione di un regime repubblicano, il solo che avrebbe permesso a Firenze di
mantenere stabilità e benessere: il Discursus Florentinarum Rerum scritto tra il 1520 e
1521. Scrive Machiavelli che:
• “Coloro che ordinano una repubblica debbono dare luogo a tre diverse qualità di uomini, che sono in tutte
le città; cioè, primi, mezzani e ultimi. E benché in Firenze sia quella equalità che di sopra si dice;
nondimeno sono in quella alcuni che sono di animo elevato, e pare loro meritare di precedere agli altri; a’
quali è necessario nell’ordinare la repubblica satisfare: né per altra cagione rovinò lo stato passato che per
non si essere a tale umore satisfatto”.

• In questo passa, Machiavelli si riferisce certamente ai nobili e ai grandi. E’ evidente


però anche il richiamo al tema aristotelico dell’anatomia della città secondo cui la
repubblica si configura quasi come la politeía aristotelica, intesa quindi come unione di
aristocrazia e democrazia. Machiavelli, tuttavia, non si ferma qui e nel corso della sua
opera si confronta con la concreta organizzazione delle istituzioni fiorentine.
Certamente, è solo a partire da determinate condizioni che è possibile un ordine simile;
ordine, peraltro, che per Aristotele permetteva di definire il governo dei migliori intesi
in parte come i più “competenti” oltre che virtuosi. Vi è, in sostanza, una accentuazione
delle competenze, magari attraverso le cariche elettive.
Machiavelli
la corruzione
• Discorsi I, 18 : “ In che modo nelle città corrottesi potesse mantenere uno stato
libero, essendovi; o, non vi essendo, ordinarvelo”.

• La corruzione è importantissima nel discorso machiavelliano. A fronte di essa,


diventa difficile governare in modo libero. In uno stato libero, nelle città corrotte, il
governo si può conservare e mantenere o lo si deve costruire? Ogni configurazione
di governo ha costumi e ordini che cambiano, positivamente o negativamente.

• Le leggi intervengono per arginare le trasformazioni, per intervenire e produrre


quegli adattamenti istituzionali dei costumi e degli ordini, per offrire un sostegno di
governo alla loro trasformazione.

• Gli ordini sono quei dispositivi complessi e strutturati che gli uomini si danno per
reggere questa lotta in tempi decisamente lunghi. Gli ordini sono quei dispositivi
istituzionali che per Aristotele era la politeìa.
Machiavelli
innovazione e principi primi
• Machiavelli esprime il principio secondo cui un percorso di riforma e di
innovazione di un corpo politico deve avere come obiettivo quello di riportarlo ai
principi primi sui quali esso si è originariamente istituito.

• L’innovazione in Machiavelli si lega quindi alla necessità del riferimento all’origine,


al principio; quasi a costituire genealogicamente la fondazione di una repubblica:

• “Egli è cosa verissima come tutte le cose del mondo hanno il temine della vita loro. Ma quelle
vanno tutto il corso che è loro ordinato dal cielo generalmente, che non disordinano il corpo
loro ma tengonlo in modo ordinato, o che non altera o s’egli altera è a salute e non a danno
suo. E perché io parlo dei corpi misti, come sono le repubbliche e le sètte, dico che quelle
alterazioni sono a salute che le riducano inverso i principii loro. E però quelle sono meglio
ordinate, ed hanno più lunga vita, che mediante gli ordini suoi si possono spesso rinnovare,
ovvero che per qualche accidente, fuori di detto ordine, vengono a detta rinnovazione. Ed è
cosa più chiara che la luce non si rinnovando questi corpi non durano. Il modo del
rimmovargli è, come detto, ridurgli verso e principii suoi; perché tutti e principii delle sètte e
delle repubbliche e de’ regni conviene che abbino in sé qualche bontà, mediante la quale
ripiglino la prima riputazione ed il primo augumento loro”.
•  
Machiavelli
i corpi politici come corpi misti

• Machiavelli ci parla di corpi misti: ed ancora una volta è chiaro il riferimento ad


Aristotele. I corpi politici in quanto corpi misti sono certamente corpi naturali ma in
essi è presente un di più frutto dell’uomo, artificiale, fatto di istituzioni, tecniche. I
corpi misti tendono all’alterazione che sia essa positiva (salute) o negativa (danno).

• Se la natura opera verso la salute, nondimeno gli uomini devono essere in grado di
innovare se vogliono garantire la buona durata delle loro opere: innovazioni
proficue sono - in tal senso - quelle che valgono a salvaguardare quegli elementi
fondativi della organizzazione politica. Quelli che Machiavelli chiama i principii
primi.

• Ciò è storicamente reso possibile sia a partire da spinte interne (rivolte), sia da
spinte esterne (guerre): “Questa riduzione verso il principio, parlando delle
repubbliche, si fa o per accidente estrinseco o per prudenza estrinseca”.
Machiavelli
il cambiamento
• Machiavelli descrive le modalità del cambiamento politico, che può essere
repentino o può avvenire a poco a poco. Le due cose sono difficilissime da attuare,
nell’uno o nell’altro caso. Bisogna, tuttavia, per rinnovare gli ordini, badare ai
tempi, stare all’erta, cogliere il tempo giusto e le giuste relazioni tra le parti della
città.

• Egli pone alcuni esempi, tra cui quello di Roma repubblicana che riuscì a garantire
la virtù civile attraverso cambiamenti istituzionali che frenavano le ambizioni dei
soggetti, anche con modi violenti (ad es. l’uso della paura o delle uccisioni). Anche
per la Chiesa, con S. Francesco e S. Domenico, è accaduto qualcosa di analogo.

• Certamente, non si può più trattare il tempo nella maniera teleologica o


escatologica, una modalità nella quale l'articolazione dei tempi vive inquadrata in
un flusso che ha un termine. E nella quale, pertanto, il valore è nell'esito del
processo, un esito inevitabile, necessario, e tuttavia imponderabile. Ed invece la
politica vive di tempi diversi e di tecniche diversificate che lasciano emergere il
tema decisivo della durata delle forme di governo.
Machiavelli
la qualità dei tempi
• Il rapporto tra durata e tempi naturali è allora importate. Particolarmente se si
tiene conto che le forme di governo sono comunque destinate al degrado essendo
il frutto dell’uomo.

• Questi, peraltro, non possono che vivere del riscontro dei tempi e per tale ragione
l’innovazione degli ordini esistenti è necessaria. Positiva, tuttavia, si rivela solo
quell’innovazione che rispetti i principi originari e fondativi dell’ordine politico.

• Decisiva allora nell’argomentazione del Machiavelli è la “qualità dei tempi”. La


fortuna, in breve, ha uno scorrimento suo proprio e può essere intesa come
l’insieme degli eventi interni ed esterni all’uomo che ne condizionano l’operato.

• A fronte di ciò, l’uomo può solo valersi della virtù grazie alla quale tentare di
incidere positivamente negli interstizi prodotti dalla qualità dei tempi. In questo
incrocio tra virtù e fortuna risulta importante la relazione che si stabilisce tra i
caratteri dell’uomo (prudente o rispettivo) e i tempi.
Machiavelli
prudente e impetuoso

• Machiavelli individua due modalità essenziali attraverso cui gli uomini fronteggiano
le avversità e gli eventi:
a.) il carattere prudente, o respettivo, che si sottrae, prende tempo, si muove nelle
pieghe degli eventi agendo secondo astuzia, circospezione, prudenza.
b.) il carattere impetuoso è invece quello che investe gli eventi con la propria forza,
con una virtù tutta guerriera e pro-attiva.

Quale dei due caratteri è proprio, o dovrebbe essere proprio, del buon politico?
Dell'ottimo principe? Certamente, secondo Machiavelli, è necessario saper
rispecchiare attraverso l'azione e le scelte la qualità dei tempi. In breve, avrà
successo chi in un dato momento sarà capace di adattare il proprio carattere ai
tempi.

Tuttavia, è esemplare quanto la storia ci mostra nel caso delle guerre dei romani
contro Annibale. S’incrociano nella guerra contro Annibale tempi e caratteri
diversi: quello della difesa - il carattere prudente e rispettivo di Fabio - e quello
impetuoso, tutto teso all’attacco diretto del nemico di Scipione.
Machiavelli
la repubblica prudente e impetuosa

• La repubblica romana seppe giocare entrambi gli uomini, impegnarli entrambi e ciò
fu reso possibile proprio dal fatto che Roma era una repubblica; essa rispettava nei
suoi scorrimenti le diverse parti che la componevano:

• “Quinci nasce che una repubblica ha maggiore vita ed ha più lungamente buona
fortuna che uno principato, perché la può meglio accomodarsi alla diversità de’
temporali, per la diversità de’ cittadini che sono in quella, che non può uno
principe. Perché un uomo che sia consueto a procedere in uno modo, non si muta
mai, come è detto, e conviene di necessità che quando e’ si mutano i tempi
disformi a quel suo modo che rovini”.

• Questo è un tema che mostra quanto e per quali ragioni Machiavelli inclini verso la
repubblica piuttosto che verso il principato. Il tempo del tiranno è un tempo unico
all’interno del quale si vogliono conculcare tutte le altre temporalità, tutti gli altri
percorsi differenti dei soggetti, anzi dei sudditi. Anche per la repubblica c’è un
discorso particolarissimo sui tempi, su come si debba innovare e conservare. Il
primo libro dei Discorsi è esemplificativo.
Machiavelli
concordia e conflitto
• A partire da questi temi, e particolarmente da quello dei conflitti, appare allora chiaro
come in Machiavelli si assiste ad una particolare ripresa del repubblicanesimo antico,
che si presenta come un vero e proprio “contro-discorso” a fronte di quel
repubblicanesimo fiorentino (ad es. quello di Matteo Palmieri) che a parere del
segretario proponeva in maniera “serena” e neutrale il modello classico.

• Un modello che si articolava intorno ai temi della pace e della concordia interna, del
buon governo come spazio armonico nel quale in una repubblica non si danno non
solamente fazioni, ma non si danno “parti” tra loro in contrasto. Un modello nel quale
era forte un processo di neutralizzazione dei conflitti, o comunque di loro rimozione, a
favore di una concordia civile che – secondo Machiavelli – nascondeva il tacito accordo
ideologico con i Medici. Il tema del conflitto politico si lega in modo significativo nella
riflessione machiavelliana all'analisi degli eventi che portarono al crollo della repubblica
Romana, e in particolare in relazione ai contrasti intorno alla Legge Agraria.

• Nel capitolo I,37 (Quali scandoli partorì in Roma la legge agraria e come fare una legge
in una repubblica che riguardi assai indietro e sia contro a una consuetudine antica
della città, è scandolosissimo) al centro vi è il passaggio di Roma da un ordine
repubblicano ad un ordine di natura diversa.
Machiavelli
la roba e le cariche
• Perché avviene il tracollo della repubblica? Perché sorge e si accresce quel malcontento
che farà crollare l'esperienza repubblicana?

• Machiavelli sostiene che la plebe romana, desiderando e perseguendo una maggiore


eguaglianza, non ha più operato nel senso di riportare i conflitti sul piano politico-
pubblico, così come aveva fatto ad esempio con l’istituzione dei Tribuni della Plebe nel
caso delle guerre galliche. Essa ha invece cercato, l’eguaglianza sociale e lo scontro è
diventato quindi inconciliabile, non mediabile e l'irrisolvibilità del conflitto ha avuto
come esito l'imporsi di una parte sull'altra e il passaggio all'impero.

• Ancora, in 24,III dei Discorsi, Machiavelli individua le cause della decadenza della
Repubblica romana in due fattori; da una parte le contenzioni che nacquero dalla legge
agraria, ossia la degenerazione dei conflitti dal piano politico-istituzionale al piano
dell’acquisizione della roba e, dall’altra, «la prolungazione degli imperii», ossia
l’eccessiva durata delle cariche. La prolungazione delle cariche nelle repubbliche
provoca l’accumulazione di poteri diffusi che rimangono fissi ed impedisce alle parti
diverse da quelle che sono al potere di esercitarsi nel governo politico.

• Si può dunque affermare che per Machiavelli la repubblica deve offrire equilibrio nelle
funzioni di deliberazione, di esecuzione e nell’attribuzione delle magistrature.
Machiavelli
il conflitto come criterio storiografico
Il discorso sui conflitti è il criterio di interpretazione dei fatti politici. Egli offre
sistematicità a questo tema rispondendo alle domande su come sorgono, si sviluppano,
quali siano le caratteristiche principali e la loro conversione in una dimensione politica.
Ed esso diventa anche un criterio storiografico per il segretario fiorentino che costruisce
le Istorie fiorentine seguendo questo criterio. Nel Proemio egli dice:
«Lo animo mio era, quando al principio deliberai scrivere le cose fatte dentro e fuora dal popolo fiorentino,
cominciare la narrazione mia dagli anni della cristiana religione 1434, nel quale tempo la famiglia de' Medici, per i
meriti di Cosimo e di Giovanni suo padre, prese più autorità che alcuna altra in Firenze; perchè io mi pensava che
messer Lionardo d'Arezzo e messer Poggio, duoi eccellentissimi istorici, avessero narrate particularmente tutte le
cose che da quel tempo indrieto erano seguite. Ma, avendo io di poi diligentemente letto gli scritti loro, per
vedere con quali ordini e modi nello scrivere procedevano, acciò che, imitando quelli, la istoria nostra fusse
meglio dai leggenti approvata, ho trovato come nella descrizione delle guerre fatte dai Fiorentini con i principi e
popoli forestieri sono stati diligentissimi, ma delle civili discordie e delle intrinseche inimicizie, e dagli effetti che
da quelle sono nati, averne una parte al tutto taciuta e quell'altra in modo brevemente descritta, che ai leggenti
non puote arrecare utile o piacere alcuno. Il che credo facessero, o perchè parvono loro quelle azioni sì deboli
che le giudicorono indegne di essere mandate alla memoria delle lettere, o perchè temessero di non offendere i
discesi di coloro i quali, per quelle narrazioni, si avessero a calunniare. Le quali due cagioni (sia detto con loro
pace) mi paiono al tutto indegne di uomini grandi; perchè se niuna cosa diletta o insegna, nella istoria, è quella
che particularmente si descrive; se niuna lezione è utile a cittadini che governono le repubbliche, è quella che
dimostra le cagioni degli odi e delle divisioni delle città, acciò che possino, con il pericolo d'altri diventati savi
mantenersi uniti».
Machiavelli
le divisioni intra Firenze
Quindi la storia serve per svelare le cause delle divisioni che attraversano le città,
quindi è utile all'unione dei cittadini e Firenze è stata scosse da molteplici fratture a
differenze di altri grandi città come Roma e Atene che sono riuscite a portare i propri
conflitti sull'unico punto della divisione tra i ricchi e i poveri. Se Firenze fosse riuscita a
contenere le divisioni su un unico piano sarebbe stata una grande e potente città:

«la maggior parte delle altre repubbliche delle quali si ha qualche notizia sono state contente d'una divisione,
con la quale, secondo gli accidenti, hanno ora accresciuta, ora rovinata la città loro; ma Firenze, non contenta
d'una, ne ha fatte molte. In Roma, come ciscuno sa, poi che i re ne furono cacciati, nacque la disunione intra i
nobili e la plebe, e con quella infino alla rovina sua si mantenne; così fece Atene; così tutte le altre repubbliche
che in quelli tempi fiorirono. Ma di Firenze in prima si divisono infra i loro nobili, dipoi i nobili e il popolo, e in
ultimo il popolo e la plebe; e molte volte occorse che una di queste parti, rimasa superiore, si divise in due:
dalle quali divisioni ne nacquero tante morti, tanti esili, tante destruzioni di famiglie, quante mai ne nascessero
in alcuna città della quale si abbia memoria. E veramente, secondo il giudicio mio, mi pare che niuno altro
esemplo tanto la potenza della nostra città dimostri, quanto quello che da queste divisioni depende, le quali
arieno avuto forza di annullare ogni grande e potetissima città. Nondimeno la nostra pareva che sempre ne
diventasse maggiore: tanta era la virtù di quelli cittadini e la potenza dello ingegno e animo loro a fare sé e la
loro patria grande, che quelli tanti che rimanevono loberi da tanti mali potevano più con la virtù loro esaltarla,
che non aveva potuto la malignità di quelli accidenti che gli avieno diminuiti opprimerla. E senza dubio, se
Firenze avesse avuto tanta felicità che, poi che la si liberò dallo Imperio, ella avesse preso forma di governo che
l'avesse mantenuta unita, io non so quale republica, o moderna o antica, le fusse stata superiore: di tanta virtù
d'arme e di industria sarebbe stata ripiena»
Machiavelli
sette e fazioni
• Ora passiamo ad un altro punto delle Istorie che pone al centro della riflessione la
questione dei conflitti. Egli distingue quelli positivi e produttivi da quelli negativi
che nuocono alle repubbliche. Nel libro VII emerge che i conflitti da evitare sono
quelli accompagnati dalla presenza delle sette e dai partigiani (le fazioni), mentre
sono utili quelli che si presentano senza l'accompagnamento di quei fattori
suddetti:
• «Vera cosa è che alcune divisioni nuocono alle republiche, e alcune giovano: quelle nuocono che sono
dalle sette e da partigiani accompagnate; quelle giovano che senza sette e senza partigiani si mantengono.
Non potendo adunque provedere uno fondatore di una republica che non sieno inimicizie in quella, ha a
provedere almeno che non vi sieno sette».

• Ma come si formano le sette? Risponde Machiavelli:


• «in due modi acquistono riputazione i cittadini nelle città: o per vie publiche oper modi privati.
Publicamente si acquista, vincendo una giornata, acquistando una terra, faccendo una legazione con
sollecitudine e con prudenza, consigliando la republica saviamente e felicemente; per modi privati si
acquista, beneficando questo e quell'altro cittadino, defendendolo da' magistrati, suvvenendolo di danari,
tirandolo immeritatamente agli onori e con giochi e doni publici gratificandosi la plebe. Da questo modo di
procedere nascono le sette e i partigiani; e quanto questa reputazione così guadagnata offende, tanto
quella giova quando ella non è con le sette mescolata, perchè la è fondata sopra un bene comune, non
sopra un bene privato»
Machiavelli
sette e fazioni
• Sette e fazioni non sono classi sociali contrapposte. Esso sono dei corpi degenerati,
dei grumi di potere che non fanno incanalare le discordie verso il piano pubblico
politico che è l'unico dove si apre l'orizzonte del bene comune. Il soggetto di
comando deve evitare che si incrementi il processo degenerativo, deve riconoscere
la pluralità dei conflitti e riferirli per una loro risoluzione sul piano pubblico politico.
 
• Interessante a tal proposito è il saggio di Alessandro Pizzorno, Pensare il conflitto,
dove attraverso un lavoro comparativo su vari autori, lo studioso sostiene che in
Machiavelli è presente una vera e propria teoria dei conflitti: «La teoria è questa. I
conflitti giovano alla cosa pubblica quando sono volti a conquistare in favore di una
parte, fino allora esclusa, il diritto di essere presente nel governo della città; e non
invece quando mirano ad annientare la parte avversa [...] Tre vantaggi conseguono
a questo tipo di conflitto. Anzitutto esso tende a generare innovazioni istituzionali
che allargano l'accesso alla cosa pubblica. Secondo, garantisce la libertà dei
cittadini [...] Infine, il conflitto fomenta la partecipazione alla vita pubblica, mobilita
quindi [...] le energie della collettività, che possono poi rivolgersi verso conquiste
esterne».
Machiavelli
vivere civile e vivere libero (politico)
• Ecco allora che il nodo del rapporto tra politica-morale-economia è importante: se
per alcuni (Leo Strauss) in Machiavelli vi è una rottura definitiva del modello
tradizionale che stringeva insieme i tre termini; nelle più recenti e accreditate
interpretazioni, invece, si tende a mostrare quanto quella di Machiavelli
rappresenti una rielaborazione nuova del modello tradizionale.

• In essa viene accentuata la relativa autonomia della politica ma che conserva un


quadro teorico e valoriale nel quale la morale, sotto forma di una determinata
morale politica, conserva un suo ruolo importante. Una relativa autonomia, quindi,
della politica che è alla base di quelle tecniche, saperi e dispositivi che il segretario
compendia, ad esempio, nel Principe allo scopo di mostrare come chiunque e in
qualsiasi contesto si possa produrre un “vivere civile”.
• Il tema del vivere civile ci permette di evidenziare proprio la ripresa machiavelliana del repubblicanesimo
classico attraverso la diversa categorizzazione del vivere politico. Cosa, peraltro, che è di estremo interesse
anche per il dibattito politico contemporaneo che a partire dagli studi di J.G.A. Pocock prima, e delle
differenti proposte di Quentin Skinner e Philip Pettit, ha cominciato ad interrogarsi sul valore del
repubblicanesimo oggi. Si tenga presente, che a voler individuare delle costanti nei modelli repubblicani
possiamo indicare i temi del primato della legge e dell’innovazione istituzionale. In un simile modello i
conflitti sono considerati potenzialmente positivi proprio per il riordino ed il riequilibrio istituzionale.
Machiavelli
il vivere politico
• Soffermiamoci allora sulla distinzione tra vivere civile e politico. In I,55 (Quanto
facilmente si conduchino le cose in quella città dove la moltitudine non è corrotta; e
che dove è equalità non si può fare principato, e dove la non è non si può fare
repubblica) Machiavelli mostra come repubbliche e principati possano stabilirsi
solo a partire da condizioni peculiari.

• Il vivere politico è proprio delle repubbliche ed è quella condizione nella quale la


“guardia della libertà” è affidata ai cittadini stessi. Una condizione resa possibile
dall’assenza di eccessive disuguaglianze tra le parti, pur nello scorrere inevitabile di
umori diversi: “… quelle repubbliche dove si è mantenuto il vivere politico ed
incorrotto, non sopportono che alcuno loro cittadino né sia né viva a uso di
gentiluomo, anzi mantengono intra loro una pari equalità…”.

• Un punto concentrato di potere è invece necessario dove le disuguaglianze siano


molte (ad esempio a Napoli e Milano) e dove la corruzione sia il dato di partenza e
non l'esito di un processo politico. Il tema machiavelliano della mano regia.
Machiavelli
il vivere civile
• La molteplicità di interessi e conflitti tra le parti che compongono uno Stato richiede un
potere capace di operare come snodo e come centro di mediazione e composizione a fronte
delle pretese dei gentiluomini:

• “E per chiarire questo nome di gentiluomini quale e’ sia, dico che gentiluomini sono chiamati quelli che
oziosi vivono delle rendite delle loro possessioni abbondantemente, senza avere cura alcuna o di
coltivazione o di altra necessaria fatica a vivere. Questi tali sono perniziosi in ogni republica ed in ogni
provincia; ma più perniziosi sono quelli che oltre alle predette fortune comandano a castella, ed hanno
sudditi che ubbidiscono a loro. Di queste due spezie di uomini ne sono pieni il regno di Napoli, Terra di
Roma, la Romagna e la Lombardia. Di qui nasce che in quelle provincie non è mai surta alcuna republica né
alcuno vivere politico; perché tali generazioni di uomini sono al tutto inimici di ogni civiltà. Ed a volere in
provincie fatte in simil modo introdurre una repubblica non sarebbe possibile. Ma a volerle riordinare, se
alcuno ne fusse arbitro, non arebbe altra via che farvi uno regno: la cagione è questa, che dove è tanto la
materia corrotta che le leggi non bastano a frenarla, vi bisogna ordinare insieme con quelle maggior forza,
la quale è una mano regia che con la potenza assoluta ed eccessiva ponga freno alla eccessiva ambizione e
corruttela de’potenti”.

• E’ quindi possibile, quando vi siano condizioni diverse, che qualcuno attraverso tecniche
proprie stabilisca un vivere civile (e non un principato tirannico) nel quale vi sia una qualche
corrispondenza tra comando e obbedienza. In casi simili è comunque possibile realizzare un
vivere civile inteso come quella condizione nella quale via sia un sostanziale consenso verso
colui che comanda.
Machiavelli
il vivere libero e il principe
• Machiavelli s’impegna per la costruzione di un servizio di leva autonomo ed autoctono
per Firenze che possa garantire e difendere quel vivere libero della repubblica che le
truppe mercenarie non potrebbero con certezza garantire. La guardia repubblicana è il
vivere politico preposto a difendere il vivere libero. Vi è una piena corrispondenza tra
repubblica e libertà civile così da chiamare immediatamente in gioco la partecipazione
del cittadino che si educa alla politica ed esercita la gestione sempre vigile a garantire la
propria sicurezza dalle mire assolutistiche dei grandi. Il cittadino ha il dovere di
resistenza contro la minaccia esercitata dai grandi. L'obiettivo è quello di raggiungere
una diffusa equalità (Discorsi, I, 37).

• Per ciò che riguarda il principato ci troviamo in un contesto diverso, opposto a quello
repubblicano dove il principe interviene nel conflitto tra i grandi e il popolo, siamo in un
contesto di disequalità. La forma del principato civile è assolutamente originale nella
formazione machiavelliana. La figura del principe si configura come una novità assoluta:
chiunque può ascendere alla carica se possiede la virtù, per dirla con Machiavelli
«un'astuzia fortunata» che coniughi la moltiplicazione delle tecniche per la qualità dei
tempi, e l'appoggio popolare. Il Principe è «causato o dal popolo o dai grandi...». Nel
caso in cui l'autorità politica trovi appoggio nei grandi, deve porre maggiore attenzione
di quando si sostenga con il favore popolare, perché i primi sono più difficili da
soddisfare e quindi da governare.
Machiavelli
il principato civile

• Concludendo, e per meglio chiarire questo punto, torniamo ai Discorsi, ancora in


I,XVI Machiavelli mostra come in Francia vi sia un Regno (un principato) in cui è
presente il vivere civile.

• Lo stato francese rappresenta un principato civile nel quale il re offre sicurezza e


rispetta le leggi: “Perché in tutte le repubbliche, in qualunque modo ordinate, ai
gradi del comandare non aggiungono mai quaranta o cinquanta cittadini… Quelli
altri ai quali basta vivere sicuri, si soddisfanno facilmente faccendo ordini e leggi
dove insieme con la potenza sua [i.e. del principe] si comprenda sicurtà universale.
E quando uno principe faccia questo, e che il popolo vegga che per accidente
nessuno ei rompa tali leggi, comincierà in breve tempo a vivere sicuro e contento.
In esempio ci è il regno di Francia, il quale non vive sicuro per altro che per essersi
quelli re obbligati a infinite leggi, nelle quali si comprende la sicurtà di tutti i suoi
populi”.
Machiavelli
la guardia della libertà
• Il discorso sugli umori svolto in precedenza, così come quello sul vivere politico e
civile, ci permette, di comprendere l’impianto delle forze in gioco a parere del
Machiavelli; forze che sono da intendersi in senso stretto. E la cui definizione è
centrale per far fronte alla naturale spinta alla libertà del popolo

• Il discorso sulle parti della città ha una connotazione particolarissima. Torniamo al


I,5 (Dove più sicuramente si ponga la guardia della libertà, o nel popolo o ne’ grandi; e quali
hanno maggiore cagione di tumultuare, o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere).

• Scrive il Machiavelli: “Quelli che prudentemente hanno costituita una repubblica,


intra le più necessarie cose ordinate da loro è stato costituire una guardia alla
libertà, e secondo che questa è bene collocata, dura più o meno quel vivere libero.
E perché in ogni repubblica sono uomini grandi e popolari, si è dubitato nelle mani
di quali sia meglio collocata detta guardia”.

• La repubblica è essenzialmente libertà, la preoccupazione di coloro che hanno


messo mano al vivere politico e libero è stata quella di stabilire una solida guardia
della libertà. A chi la si affida? ai pochi e migliori (aristocrazia)? oppure al popolo?
Machiavelli
la guardia della libertà
• “E appresso a’ Lacedemoni, e ne’ nostri tempi appresso de’ Viniziani, la è stata messa nelle
mani de’ Nobili; ma appresso de’ Romani fu messa nella Plebe. Pertanto è necessario
esaminare quale di queste repubbliche avesse migliore elezione. E se si andasse dietro alle
ragioni, ci è che dire da ogni parte; ma se si esaminasse il fine loro, si piglierebbe la parte de’
Nobili, per avere avuta la libertà di Sparta e di Vinegia più lunga vita che quella di Roma. E
venendo alle ragioni dico, pigliando prima la parte de’ Romani, come e’ si debbe mettere in
guardia coloro d’una cosa che hanno meno appettito di usurparla. E sanza dubbio, se si
considerrà il fine de’ nobili e degli ignobili, si vedrà in quelli desiderio grande di dominare ed
in questi solo desiderio di non essere dominati, e per conseguente maggiore volontà di vivere
liberi, potendo meno sperare di usurparla che non possono i grandi; talché essendo i popolari
preposti a guardia d’una libertà, è ragionevole ne abbino più cura, e non la potendo occupare
loro, non permettino che altri la occupi”.
 
• Machiavelli sembrerebbe propendere evidentemente per l’attribuzione alla plebe
della guardia della libertà opponendosi per Firenze ad un modello come quello di
Venezia e Sparta che poneva nei nobili il controllo. Nel corso del paragrafo egli
comunque chiarisce come un modello romano si adatti meglio a quelle
repubbliche che intendano “fare uno imperio” mentre quello spartano e veneziano
sia più adatto per quelle repubbliche cui “basti mantenersi”.
Machiavelli
il popolo

• Quello che più ci interessa, allora, è che in un simile contesto è centrale il tema dei
conflitti tra le parti della città e dei soggetti che le compongono: si tratta, infatti, di
capire chi più facilmente può tradire il mandato: i grandi, in tal senso, tendono
sempre al dominio e sono restii all’obbedienza, la plebe tenta invece di sottrarsi al
dominio operando quindi secondo una forza di resistenza.

• Ma cos’è il popolo in Machiavelli? Non certo il popolo tout court, piuttosto


l’insieme di coloro che hanno interessi e ricchezze, attività produttive, le
corporazioni delle arti.

• Esso quindi non è una entità omogenea, si divide per parti. Il popolo crasso e il
popolo minuto, e tra esso il popolo e la plebe. Esso è peraltro moltitudine, può
però tradursi in popolo o plebe in armi (quella massimamente pericolosa).
Sebbene esso tenda alla calma e sia naturalmente meno disposto alle spinte
dell’ambizione che prendono invece i grandi.
Machiavelli
i Grandi
• L'attenzione ai grandi, secondo il modo di procedere del ragionamento
machiavelliano, si diversifica in due modi opposti. Ci sono i grandi che si
sottopongono all'obbligazione politica che vanno onorati e amati, poi ci sono quelli
che non si sottopongono a tale obbligazione.

• Questi ultimi sono di due tipi:


a) i pusillanimi e i paurosi che devono essere fronteggiati con l'uso del buon
consiglio, cioè i saperi e le tecniche prudenziali;
b) gli ambiziosi che invece vanno eliminati dalla città. L'attenzione da porgere al
popolo deve essere rivolta alla conservazione e alla cura della sua amicizia e del
suo favore.

• Un ulteriore punto di estrema importanza nella condizione del principato civile


riguarda la dinamica del passaggio di questo ad un ordine assoluto. I mezzi che
possono essere usati in tale traiettoria vedono coinvolte principalmente le
magistrature o la stessa figura del principe. Se fa uso della magistrature, il principe
deve fare particolare attenzione a non trovarsele contro nel momento in cui esse
sono state favorite e ingrandite.
Machiavelli
i Grandi
• In conclusione, per Machiavelli il principe savio è colui che il popolo deve sentire e
volere come necessario evitando in ogni caso di assumere su di sé l'autorità
assoluta.

• Infatti, i pericoli di una tirannide possono provenire anche da parte popolare che,
per timore degli aristocratici, va a spingere verso una soluzione tirannica
trasformandosi da soggetto garante della libertà a promotore di oppressione.

• Anche gli aristocratici possono spingere verso una soluzione tirannica. Partendo
prima con mezzi leciti attraverso le carriere di singole figure politiche, poi con l'uso
del denaro e con la strutturazione di relazioni clientelari, si possono stabilire dei
punti di non ritorno di alta concentrazione di potere politico.

• Invece nella forma repubblicana come governo misto il conflitto tra i grandi e i
poveri è affrontato evitando che l'autorità (magistrature e principe) diventi potere
assoluto.
Machiavelli
la contentezza
• Da questo intreccio sorge anche il problema dell’innovazione, particolarmente nel
suo rapporto con il carattere impetuoso. Il tema della mala-contentezza da intendersi
come quella prostrazione che prende gli uomini a causa dello scarto che essi vivono
tra un desiderio che li spinge a voler realizzare tante cose e la possibilità concreta di
poter realizzare poco o nulla.

• Se la contentezza - che si dà nella presenza - è quell’appagamento che proviene ad


ognuno dall’essere contento di ciò che si ha nelle proprie parti interne e al di fuori di
sé, il malcontento vive invece di uno scarto nel presente tra ciò che è e ciò che vuole.
Su un piano politico, questa prostrazione aumenta con l’accrescersi dell’incertezza e
del rischio nella vita politica.

• Su questo tema sono importanti :


• a) il rapporto di Machiavelli con un altro grande autore classico: Lucrezio e la sua
contenta mens, che intende significare in particolare attenzione e concentrazione
dell’intelletto umano impegnato a fare proprio il mondo circostante.
• b) Livio nella cui opera le contenzioni indicano esplicitamente i conflitti. La mala-
contentezza e le contenzioni sono espressione di quei conflitti che sorsero, ad
esempio, intorno alla legge Agraria.
Machiavelli
la contentezza
• Ritorniamo, comunque, al piano antropologico della riflessione del Machiavelli ed in
particolare a quanto egli scrive nel proemio al secondo libro dei Discorsi:

• “Sendo, oltra di questo, gli appettiti umani insaziabili, perché avendo dalla natura di
potere e volere desiderare ogni cosa, e dalla fortuna di potere conseguitarne poche,
ne risulta continuamente una mala contentezza delle menti umane, ed uno fastidio
delle cose che si posseggono: il che fa biasimare i presenti tempi, laudare i passati e
desiderare i futuri, ancora che a fare questo non fussono mossi da alcuna
ragionevole cagione”.

• La mala-contentezza è immediatamente ricondotta agli svolgimenti degli appetiti


umani che quasi ripropongono quella tripartizione che Tiziano aveva reso per via
figurativa nella sua opera Le Tre Età dell’Uomo.

• Questo tema si lega in modo peculiare e interessante ai percorsi dell’innovazione


politica ed esemplare in tal senso sono le figure di Scipione e Annibale - in modi
diversi, entrambi espressione di una naturale disposizione verso un carattere
impetuoso.
Machiavelli
la contentezza
• Nel capitolo III,21 (Donde nacque che Annibale con diverso modo di procede da
Scipione fece quelli medesimi in Italia che quello in Ispagna) compare ancora il tema
dell’innovazione politica legato agli umori degli uomini per spiegare le ragioni per le
quali gli uomini decidono di cambiare la propria condizione. Importante è la figura di
Annibale al cui passaggio molte delle popolazioni italiche prima fedeli ai romani si
sollevano:
• “E pensando donde questa cosa possa nascere, ci si vede dentro più ragioni. La prima è che gli uomini sono
desiderosi di cose nuove, in tanto che così disiderano il più delle volte novità quegli che stanno bene, come
quegli che stanno male: perché come altra volta si disse ed è il vero, gli uomini si stuccono nel bene, e nel
male si affliggano. Fa adunque questo desiderio aprire le porte a ciascuno che in una provincia si fa capo ad
innovazione: e s’egli è forestiero, gli corrono dietro; s’egli è provinciale gli sono intorno, augumentanlo e
favorisconlo, talmente in qualunque modo egli proceda, gli riesce il fare progressi grandi in quegli luoghi.
Oltre a questo, gli uomini sono spinti da due cose principali, o dallo amore o dal timore, talché così gli
comanda chi si fa amare, come colui che si fa temere; anzi il più delle volte è più seguito e più ubbidito chi si
fa temere, che chi si fa amare”.

• La mala-contentezza, allora, è anche il frutto dell’ambizione e la figura degli ambiziosi


è per eccellenza rappresentata dai grandi.
Machiavelli
la contentezza
• Nei grandi, tesi a dominare a ogni costo, essa diviene furore. L’altro carattere, quello
espresso dal popolo, tenta invece di difendersi dal tentativo di dominio dei nobili.
L’innovazione, quindi, è sia il frutto dell’ambizione, sia il portato del desiderio della
plebe di migliorare la propria condizione. Per Machiavelli la politica deve essere in
grado di produrre innovazione così da riequilibrare quegli scarti che si producono nel
tempo tra gli ordini (istituzioni e leggi) ed i costumi.

• In tal senso, il buon politico deve essere capace di individuare nelle pieghe della
realtà fattuale gli spazi di una possibile innovazione, del riequilibrio e del ri-ordine
istituzionale della città: e si veda in tal senso il Discursus Rerum Florentinarum nel
quale il fiorentino tenta di delineare un’articolazione istituzionale nuova alla Firenze
dell’epoca.

• E tuttavia, in Machiavelli questo tema dell’innovazione politica non è slegato da


quello degli umori e dei temperamenti che attraversano la politica. L’innovazione
politica è ciò a cui tende in maniera determinata l’impetuoso che nella visione di tipo
naturalistico del segretario fiorentino si contrappone al prudente, più interessato alla
conservazione politica.
Machiavelli
la mala-contentezza
• Prudente ed impetuoso sono dunque caratteri naturali che definiscono le
caratterizzazioni immutabili degli uomini come emerge nel capitolo 25 del Principe.
Peraltro, sulla base di questa concezione naturalistica e intorno alla relazione virtù-
fortuna, Machiavelli articola il discorso antropologico della mala contentezza:

• «Egli è sentenzia degli antichi scrittori, come gli uomini sogliono affliggersi nel male e stuccarsi
nel bene; e come dall’una e dall’altra di queste due passioni nascano i medesimi effetti. Perché,
qualunque volta è tolto agli uomini il combattere per necessità, combattono per ambizione; la
quale è tanto potente ne’ petti umani, che mai, a qualunque grado si salgano, gli abbandona. La
cagione è, perché la natura ha creati gli uomini in modo, che possono desiderare ogni cosa, e
non possono conseguire ogni cosa: talché, essendo sempre maggiore il desiderio che la potenza
dello acquistare, ne risulta la mala contentezza di quello che si possiede, e la poca sodisfazione
d’esso. Da questo nasce il variare della fortuna loro: perché, disiderando gli uomini, parte di
avere di più, parte temendo di non perdere lo acquistato, si viene alle inimicizie ed alla guerra;
dalla quale nasce la rovina di quella provincia e la esaltazione di quell’altra» (Discorsi, I, 37).

• Per Machiavelli contento è colui che vive della piena soddisfazione del presente, colui
che si dispone ad un presente tranquillo e riesce a contenere se stesso.
Machiavelli
la mala-contentezza
• Esiste però uno scarto che rende l’uomo perennemente infelice; esso nasce dalla
limite della natura umana per il quale gli individui non possono realizzare tutto ciò
che desiderano.

• La mala contentezza è dunque l’infelicità dell’uomo; una condizione che aumenta


pericolosamente quando peggiora la qualità dell’esistenza e della situazione politica.
Nelle situazioni di mala contentezza i conflitti aumentano e divengono distruttivi per
la città perché essi non sono più riferiti al piano alto, politico-pubblico ma al piano
delle ambizioni private; pertanto questi conflitti scadono da rappresentazione delle
istanze politiche presenti nella comunità a scontro per l’acquisizione della roba, della
ricchezza.

• Come abbiamo visto, a giudizio di Machiavelli proprio questa degenerazione dei


conflitti provocò il crollo della libertà repubblicana nell’antica Roma.
Machiavelli
corruzione, vivere politico e civile, malacontentezza
• Ma come si qualifica il vivere politico e il vivere civile? Il vivere politico, che si
caratterizza in quanto vivere in una condizione di libertà di repubblica, è reso
possibile da una caratteristica propria del corpo politico della città in quanto corpo
organico: la mancanza di corruzione.

• A questo punto abbiamo ulteriori elementi per comprendere in Machiavelli questo


tema della corruzione. Se il corpo politico è un organismo naturale e se è contenitore
degli umori che scorrono (patrizi-plebei, governanti/governati, i contenti/i
malcontenti, i prudenti/ gli impetuosi), il corpo della città deve rimanere libero e in
pieno sviluppo; ma se vi sono elementi patogeni, se esiste corruzione, è la fine della
città, non è possibile il vivere politico, non è possibile la mediazione.

• Discorsi, I, LV : Quanto facilmente si conduchino le cose in quella città dove la


moltitudine non è corrotta; e che, dove è equalità, non si può fare principato e, dove
la non è, non si può fare republica. Machiavelli vuol dire che dove non c’è corruzione,
gli uomini vivono bene, il commercio (la conversazione) è florido, vi è ricchezza di
espressioni artistiche e intelletuali.
Machiavelli
corruzione, vivere politico e civile, i malcontenti
• La politica è possibile laddove non c’è corruzione perché non c’è nessun elemento che
blocchi lo scorrimento degli umori della comunità.
• Discorsi, I, LV, 17-19 “L’altra cagione è che quelle republiche, dove si è mantenuto il vivere politico
e incorrotto, non sopportono che alcuno loro cittadino né sia né viva a uso di gentiluomo: anzi
mantengono intra loro una pari equalità, e a quelli signori e gentiluomini che sono in quella
provincia sono inimicissimi; e se per caso alcuni pervengono loro nelle mani come principii di
corruttele e cagione d'ogni scandalo, li ammazzono. E per chiarire questo nome di gentiluomini
quale e' che gentiluomini sono chiamati quelli che oziosi vivono delle rendite delle loro possessioni
abbondante­mente, sanza avere cura alcuna o di coltìvazione o di altra necessaria fatica a vivere.
Questi tali sono perniziosi in ogni republica e in ogni provincia; ma più perniziosi sono quelliche
oltre alle predette fortune comandano a castel­la e hanno sudditi che ubbidiscono a loro. Di queste
due spezie di uomini ne sono piene il regno di Napoli,Terra di Roma, la Romagna e la Lombardia. Di
qui nasce che in quelle provincie non è mai surta alcuna republica né alcuno vivere politico, perché
tali generazio­ni di uomini sono al tutto inimici d’ogni civiltà. E a volere in provincie fatte in simil
modo introdurre una republica non sarebbe possibile; ma a volerle riordinare, se alcuno ne fusse
arbitro, non arebbe altra via che farvi uno regno. La ragione è questa, che dove è tanto la materia
corrotta che le leggi non bastano a frenarla, vi bisogna ordinare, insieme con quelle, maggior forza,
la quale è una mano regia che con la potenza assoluta ed eccessiva ponga freno alla eccessiva
ambizione e corruttela de’ potenti.”
Machiavelli
corruzione, vivere politico e civile, i malcontenti
• Coloro che detengono poteri, e sono malcontenti, sono anche ambiziosi e impediscono
il vivere politico perché producono una potenza per i loro interessi privati. Sono la
corruzione del corpo organico della città.
• Discorsi, I, LV,24- 26: “Verificasi questa ragione con lo esemplo di Toscana­, dove si vede in poco
spazio di terreno state lungamente tre republiche Firenze, Siena e Lucca e le altre città e le altre
città di quella provincia essere in modo che serve, che con lo animo e con l'ordine si vede o che le
mantengono o che le vorrebbono mantenere la loro libertà.Tutto è nato per non essere in quella
provicia signore di castella e nessuno o pochissimi ma esservi tanta equalità che facilmente da
prudente, e che delle antiche civilità avesse cognizione s'introdurrebbe uno vivere civile. Ma lo
infortunio è stato tanto grande che infino a questi tempi non si è abattuta ad alcuno uomo che lo
abbia possuto o saputo fare.”

• Questo passo si collega all’altro nodo fondamentale:


• Discorsi, I, XVI, 13: “che io gudico infelici quelli principi che per assicurare lo stato loro hanno a
tenere vie straordinarie, avendo per nimici la moltitudine; perché quello che ha per nimici i pochi,
facilmente e sanza molti scandoli si assicura, ma chi ha per nimico l’universale non si assicura mai,
e quanta più crudeltà usa, tanto più debole diventa il suo principato talché il maggiore rimedio che
ci abbia è cercare di farsi il popolo amico”.
Machiavelli
il principe e il popolo

• Il principe, anche se vuole affermare il potere per vie straordinarie, non può lasciare il
popolo, la moltitudine, gli sia nemico. E’ conveniente al principe seguire alcuni principi
di civiltà “antica” che occorra rispettare per introdurre innovazione.

• Il principe garantirà il vivere civile ma non certo quello politico e libero, in quanto
questo, per realizzarsi, deve essere nelle mani delle parti diverse della città che
possono liberamente provvedere all’autogoverno: riconoscere i conflitti, attestarne il
significato politico alto, a fronte del cambiamento dei costumi provvedere a ordini
adeguati.

• In quest’ultima forma la politica è mediazione. In una situazione di corruzione della


città, è necessario il ricorso a mezzi straordinari per realizzare il vivere politico. Il
Principe può essere considerato per una buona metà come una precettistica di artifici
tecnici per la conquista del potere ma dal IX capitolo in poi il principe può tentare di
avviare anche un discorso sul vivere civile senza mettersi mai contro il consenso del
popolo, poiché i soggetti devono essere positivamente coinvolti nel governo della città.
Machiavelli
le forme di governo
• Un primo punto di analisi è che Machiavelli non conosce il punto della democrazia,
perché la realtà storica è diversa. I valori che riconosciamo nell’antichità classica e
che lo stesso Aristotele attribuiva alla democrazia, appartengono ora alle
repubbliche. Nello svolgimento dell’aristotelismo, Aristotele è conservato in
maniera differenziata e addirittura viene rielaborato.

• Quali sono per Machiavelli le forme di governo? Per Machiavelli, queste si


strutturano alla maniera polibiana, secondo l’anacyclosis.

• Dapprima c’è il principe, o per successione o per elezione; ma poi, via via, il
principe, o comunque i suoi successori, cominciano ad essere odiati, l’odio e il
timore, le passioni che sconvolgono le relazioni, e di qui la tirannide, la quale non
può reggere la moltitudine, che si ribella, fino a che alcuni potenti, gli ottimati, non
riescono ad esprimere un’esigenza particolare di ricostruzione e costituiscono un
governo di pochi, l’oligarchia. La degenerazione dell’oligarchia conduce, ancora,
allo stato popolare, il popolo, che riesce a restaurare i valori fino poi a perderli, di
generazione in generazione: è la licenza, arbitrio sicuro, l’uso di modalità perverse
e violente. E si ricomincia daccapo.
Machiavelli
le forme di governo
• Questa non è l’unica concezione sulle forme di governo che troviamo in
Machiavelli. Nei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio Roma è in relazione alla
gloria, ad una serie di discorsi e di valori che le avevano permesso di esprimere
elementi di civilizzazione eccezionali e a durare moltissimo che Machiavelli riflette
sulle forme storiche del governo.

• L’esperienza storica romana resta un punto di riferimento necessario fino a tutto il


Seicento: Principe, Cap. IX :“Perché in ogni città si trovano questi dua umori diversi;
e nasce da questo, che il populo desidera non essere comandato né oppresso da’
grandi, e li grandi desiderano comandare e opprimere il populo; e da questi dua
appetiti diversi nasce nelle città uno de’ tre effetti, o principato o libertà o licenzia.”

• Sembrerebbe che siano allora tre le forme di governo. Ma la licenza non è una
forma di governo: è l’anarchia, la forma in cui può precipitare la crisi degli elementi
patogeni estremi, non c’è comando non c’è obbedienza. Da qui l’individuazione di
due sole forme di governo: la repubblica ed il principato. La repubblica è
identificata con la libertà.
Machiavelli
le forme di governo
• Machiavelli riprende sì il sistema ternario di Polibio e si dispone ad accogliere il
problema fondamentale della πoλιτεία aristotelica ossia il problema della composizione
delle parti sociali; i grandi e il popolo sono parti che con i loro poteri diversamente
strutturati devono essere opportunamente rappresentate.

• Ma Machiavelli è interessato a presentare la repubblica come forma autonoma del


politico; per l’autore fiorentino il senso complesso del governo misto è quello di
consentire uno scorrimento della conflittualità sia realizzando innovazione e sia
offrendo cariche complesse e differenziate in grado di fornire la giusta risposta alle
diverse parti della città. Peraltro nel capitolo 24 del libro III dei Discorsi, Machiavelli
individua le cause della decadenza della Repubblica romana in due fattori; da una parte
le contenzioni che nacquero dalla legge agraria ossia la degenerazione dei conflitti dal
piano politico-istituzionale al piano dell’acquisizione della roba e, dall’altra, «la
prolungazione degli imperii», ossia l’eccessiva durata delle cariche.

• Si può allora affermare che per Machiavelli la repubblica deve offrire equilibrio nelle
funzioni di deliberazione, di esecuzione e nell’attribuzione delle magistrature. Il
governo repubblicano deve introdurre innovazione politica funzionale alla risoluzione
dei conflitti; il segretario fiorentino riferisce al politico la conflittualità delle parti sociali
ed il suo modello di repubblica è vicino alla πoλιτεία aristotelica.
Machiavelli
le forme di governo
• Nell’ottica machiavelliana la repubblica può affermarsi a condizione che non ci sia
un’estrema disuguaglianza tra le parti che costituiscono la comunità politica; a
fronte di eccessive contrapposizioni la soluzione da adottare è quella del principato
civile.

• Qualora non sussistano le condizioni per formare una repubblica il principato,


fondato sulla forza regia, è chiamato a svolgere le funzioni di un governo misto; il
principato, seppure attraverso il ricorso alla mano regia deve tentare di realizzare il
bilanciamento dei poteri e lo scorrimento dei conflitti.

• Del resto il principato è civile ma non politico. E’ principato civile perché costruisce
la sua forza sul consenso del popolo poiché «il maggior rimedio che ci abbia, è
cercare di farsi il popolo amico» (Discorsi, I, 16). Quest’ultimo aspetto del pensiero
machiavelliano è recuperato dai teorici della Ragion di Stato per i quali la forza
dello Stato deve essere affiancata da un rapporto proficuo tra comando ed
obbedienza ed il principe deve far riferimento alle dinamiche sociali per poi
ritradurle sul piano politico.

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