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Machiavelli
the Old Nick
Niccolò Machiavelli, segretario della repubblica fiorentina, è l’autore del Principe,
opera scabrosa e maledetta, al centro dell’attenzione dei lettori per secoli. Tanto
scabrosa da fargli guadagnare, in pieno cinquecento, gli epiteti di anticristiano o di
“atheist”. “Old Nick”, sarà definito il Niccolò dagli inglesi, il vecchio “Nick”, nomignolo
in uso per il diavolo.
Espressione di quella lettura esasperata e moralista che il francese Gentillet nel suo Contre Nicolas Machiavel
(1576) aveva trasformato in stereotipo di politico cinico, amorale, anticristiano e che ad esempio il teatro
inglese dell’epoca – tra tutti Ben Johnson e Philip Marlowe – rappresenterà in toni foschi e drammatici sulle
scene. La politica delle corti italiane, fatte di raggiri, di veleni e coltelli, di segrete, cospirazioni, assassinii.
Ed è questa la radice di quello stereotipo che ancora oggi è così in uso: un politico
machiavellico è un politico astuto, amorale, dissimulatore e mentitore, dedito
all’esclusivo raggiungimento dei fini che si è proposti.
A dispetto del fatto che forse la sua opera più conosciuta è il Principe, Machiavelli è
anche l’autore dei Discorsi sulla Prima Deca di Tito Livio, ed è certamente l’espressione
d’una tradizione particolare, umanistica, di repubblicanesimo classico. Lezione
particolare la sua, perché su una molteplicità di punti egli innova, modifica
sostanzialmente, la tradizione del repubblicanesimo umanista a partire da un diverso
dialogo con le tradizioni classiche, particolarmente quella romana.
Machiavelli
post-moderno
• La figura “pre-moderna” del Machiavelli è tornata con forza all’attenzione degli
studiosi del pensiero politico, ma anche degli scienziati della politica e della
politologia, per l’influenza che il suo pensiero ancora esercita nella nostra “post-
modernità”.
• E questo è evidente, ad esempio, nell’utilizzo del Machiavelli nella contemporanea cultura politica
statunitense: da un lato, il recupero di una tradizione repubblicana e civica con al centro la figura del
cittadino partecipe, promotore del bene pubblico, ed istituzioni ordinate su un principio di libertà inteso
come assenza di dominio; dall’altro lato, le diverse teorie neo-cons che raccolgono l’eredità di un realismo
politico che si vuole machiavelliano e che, ad esempio, nel Machiavelli scoprono l’uso strumentale e
ordinatore della religione. In questi ultimi, le esigenze del governo della globalizzazione e i conflitti che
essa genera richiedono un nuovo principe democratico, l’articolazione nuova di un potere esecutivo che
altro non costituisce che un “principe addomesticato” – tamed – come afferma il politologo Harvey C.
Mansfield (Taming the Prince. The Ambivalence of Modern Executive Power, 1993).
Machiavelli
perché oggi
• Del resto, gli elementi di maggiore interesse della riflessione machiavelliana nella
cultura politica moderna sono sempre stati:
- le tesi forti che Machiavelli esprime in relazione al rapporto tra ethos e kratos, tra
morale e politica, la riflessione machiavelliana del “male necessitato”. E’ pure
evidente che in queste interpretazioni – che mantengono un elemento di oggettivo
rilievo – il rischio prevalente è la riduzione del kratos a violenza e potenza.
• Oggi gli elementi centrali della ripresa del Machiavelli sono invece connessi ad una
riflessione intorno al repubblicanesimo come terza via tra comunitarismo e
liberalismo, ma anche la dimensione fortemente polemologica della sua riflessione
politica, l’attenzione ad una politica intesa come permanente innovazione
istituzionale, la sua riflessione sul tema della corruzione.
Machiavelli
cenni biografici
Machiavelli nasce a Firenze il 3 maggio del 1469, suo padre Bernardo è avvocato e
appassionato studioso di discipline umanistiche. A dispetto della situazione economica
non sempre florida, egli garantirà a Niccolò una ampia cultura umanistica.
E sarà proprio grazie a questi studi e al buon nome del padre che, alla caduta del
regime del Savonarola, la repubblica fiorentina epurati tutti i membri delle proprie
cancellerie che avevano simpatizzato col frate incarica Niccolò come secondo
cancelliere della repubblica. Incarico importante, e di un certo prestigio, anche se non
tra quelli più ambiti o rilevanti.
La seconda cancelleria si occupava essenzialmente della corrispondenza relativa
all’amministrazione dello Stato, tuttavia Niccolò venne anche assegnato come
segretario del primo cancelliere venendo assegnato ai Dieci della Guerra, il comitato
responsabile per le relazioni estere e diplomatiche della Repubblica.
E il Machiavelli sarà più volte impegnato in legazioni, in ambascerie, all’estero in
particolare in Francia presso Luigi XII e Massimiliano, Sacro Romano imperatore. Ed
ovviamente presso il papato e le altre repubbliche o signorie italiane.
Machiavelli
cenni biografici
• Machiavelli non è certo una figura di primo piano nelle ambascerie fiorentine,
semmai è tra quei funzionari che sono inviati in prime missioni per preparare il
terreno ad ambascerie più qualificate e con maggiori poteri.
• Ma è comunque da questi incarichi che Machiavelli trae spunti di analisi e
osservazioni decisive sulle forme e i modi della politica moderna, e quindi sulla
crisi delle repubbliche e degli stati italiani a fronte delle nuove monarchie
territoriali europee.
• Sia il Principe che i Discorsi hanno sullo sfondo questo quadro: i drammi della
repubblica fiorentina, i fallimenti degli stessi Medici, gli eserciti e il ruolo ormai
preponderante delle grandi monarchie, Francia e Spagna su tutte. E il papato, stato
tra stati, sebbene di natura particolare. Elemento di corruzione e debolezza politica
e civile nel quadro già polverizzato della penisola italiana.
• Proprio Papa Giulio II alleatosi con la Spagna si farà promotore di una campagna
militare in Italia per riaffermare il proprio controllo sulla penisola. Sconfitti i
francesi, provoca la caduta del Gonfaloniere Soderini e il ritorno dei Medici a
Firenze nel 1511. Nel 1513 Machiavelli è accusato di congiura e venne imprigionato
per essere rilasciato solo grazie ad una amnistia dovuta alla proclamazione di
Giovanni de’ Medici come papa col nome di Leone X.
Machiavelli
cenni biografici
• Per un lungo tempo Machiavelli sarà costretto a ritirarsi a vita privata sebbene tenti
attraverso il suo amico Francesco Vettori di acquisire nuovo credito presso i Medici. E dalle
lunghe lettere che i due si scrivevano abbiamo un documento di assoluta importanza, la
lettera datata 10 dicembre 1513, che testimonia di una fase della biografia politica del
Machiavelli, di studio, di riflessione teorica, di lettura ma anche del tentativo di trovare un
impiego, un impegno presso i Medici:
• “Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste
cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle
antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum
è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro
azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia,
sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. […]
Io ho ragionato con Filippo di questo mio opuscolo, se gli era ben darlo o non lo dare; e, sendo ben darlo,
se gli era bene che io lo portassi, o che io ve lo mandassi. Il non lo dare mi faceva dubitare che da Giuliano
e' non fussi, non che altro, letto; e che questo Ardinghelli si facessi onore di questa ultima mia fatica. El
darlo mi faceva la necessità che mi caccia, perché io mi logoro, e lungo tempo non posso stare cosí che io
non diventi per povertà contennendo. Appresso al desiderio harei che questi signori Medici mi
cominciassino adoperare, se dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso; perché, se poi io non me gli
guadagnassi, io mi dorrei di me; e per questa cosa, quando la fussi letta, si vedrebbe che quindici anni, che
io sono stato a studio all'arte dello stato, non gli ho né dormiti né giuocati; e doverrebbe ciascheduno
haver caro servirsi di uno che alle spese di altri fussi pieno di esperienza”.
Machiavelli
escogitare et esaminare
• Machiavelli in assenza di incarichi e incapacitato ad accedere a nuovi uffici si
impegna in un opera di riflessione politica, che getta le sue radici negli studia
humanitatis fatti da giovane, nelle moltissime letture di testi classici, ma che si
confronta con un quotidiano fatto di azione politica, osservazione diretta, per certi
versi di sperimentazione.
• E non è un caso che nella lettera dedicatoria del Principe a Giuliano de’ Medici
(quindi Lorenzo, dopo la morte del primo nel 1516), testo col quale egli spera di
accreditarsi presso la nuova signoria medicea, egli scriva che tutto quanto ha di
maggior pregio da offrire sono “la cognizione delle azioni delli uomini grandi,
imparata con una lunga esperienzia delle cose moderne et una continua lezione
delle antique: le quali avendo io con gran diligenzia lungamente escogitate et
esaminate”.
• Il passaggio è di grande interesse perché esprime bene il metodo machiavelliano.
L’oggetto della riflessione politica sono le azioni “grandi”, ossia virtuose. Le azioni
grandi egli le ha apprese tanto attraverso l’esperienza diretta delle cose moderne –
egli è consapevole di vivere in un’epoca nuova – quanto dalle lezioni delle antique;
le lezioni degli antichi trasmesse attraverso le opere storiche innanzitutto, ma
anche attraverso la lettura di testi di filosofia, di etica.
Machiavelli
escogitare et esaminare
• Machiavelli è un acuto lettore di Lucrezio, capace di leggere e scrivere in Latino,
con molta probabilità non conosceva invece il greco. Tuttavia, queste lezioni
antiche e moderne non bastano, la storia non è mera riproposizione di esempi e
vedremo che nella concezione machiavelliana del tempo l’influenza lucreziana è
importante. Ci sono sempre punti, eventi, che scombinano la ciclicità naturale dei
fatti storici, quella ciclicità che regge la possibilità di rendere attuali esempi,
accadimenti del passato.
• Il tema della necessità politica è in tal senso centrale, i capitoli 15° e 18° del
Principe sono quelli decisivi, sono quelli nei quali Machiavelli in maniera più cruda
e decise argomenta la necessità per il governante di saper “entrare nel male
necessitato”.
Machiavelli
la virtù e le buone armi
• L’obiettivo primo dell’uomo politico, del politico virtuoso, è quello di mantenere lo
Stato, ossia conservarne il governo, conservare il potere. E per farlo egli deve
dotarsi essenzialmente di buon leggi e buone armi.
• Nel Principe Machiavelli distingue le armi, gli eserciti, in due modelli essenziali, le
armi proprie e le armi mercenarie. Le prime sono gli eserciti popolari, composte da
cittadini in armi, da abitanti di un determinato territorio; le seconde sono invece le
truppe professioniste di mercenari, soldati a pagamento.
• Come fu possibile costituirla, farla durare così a lungo, e perché cadde? Queste sono le
riflessione che reggono i Discorsi di Machiavelli, il quale, evidentemente pensava alla
situazione italiana del tempo.
• Del resto Machiavelli è convinto che “chi consideri le cose presenti e le antiche,
conosce facilmente come in tutte le città e in tutti i popoli sono quei medesimi desideri
e quei medesimi umori” (D. II,4).; il che significa che “e’ facil cosa per chi esamina con
diligenza le cose passate prevedere le future”, o almeno “pensare dei nuovi (rimedi)
per la similitudine degli accidenti”
Machiavelli
la virtù come partecipazione alla cosa pubblica
• E quindi una libertà costruita sulla partecipazione del popolo alla cosa pubblica.
Ecco perché nella Repubblica la virtù non è più solo quella dell’uomo eminente, ma
è la virtù del cittadino romano, anche disposto a prendere le armi per difendere la
propria libertà o la gloria di Roma. Qui è la virtù repubblicana, in quanto civismo,
dedizione al bene comune, che emerge. Le buone leggi sono fondate sul
riconoscimento delle parti che compongono la repubblica – massimamente grandi
e popolo – e della religione.
Machiavelli
la religione come religione civile
• La religione in Machiavelli non è semplicemente il problema posto dalla fede, o dal
Cristianesimo– è invece il problema di quei costumi, di quelle credenze che
rendono l’uomo ben disposto all’esercizio della virtù civile.
• Essa è un sentimento religioso, che i culti pagani riuscivano a infondere e che
attribuiva alla grandezza della repubblica, al bene comune, alla gloria, alla virtù, un
ruolo decisivo. Il Cristianesimo ha indebolito l’uomo, ha rotto quel legame
essenziale tra gli uomini e la cosa pubblica.
• Ecco che la questione religione diviene complessa. Numa finge, e tuttavia la sua
finzione è necessaria a dare ordine ad uno stato. Ed è tanto necessaria perché la
religione, come elemento ordinatore, è uno strumento di contenimento di quella
tristitia (malvagità) che è propria dell’uomo. L’adesione di Machiavelli ad una religione
civile non è allora contraddittoria né con la critica alla morale cristiana che pure emerge
dalle sue opere, né con la critica al ruolo svolto dal papato in Italia. E tuttavia, è difficile
sciogliere il punto della “religiosità” del Machiavelli. Certo la religione ha una funzione
strumentale, e tuttavia è una strumentalità che getta le radici in una dimensione
profonda dell’umano, non nella semplice simulazione o credulità dell’uomo. Ed allora,
proprio a questa dimensione profonda, dobbiamo cominciare a prestare attenzione.
Machiavelli
i presupposti “antropologici”
• Soffermiamoci ora sugli elementi fondanti il discorso politico machiavelliano, ossia
sui suoi “presupposti antropologici”. Abbiamo evidenziato il fondamento
naturalistico del suo pensiero, dobbiamo però ribadire il fatto che non si può
parlare in Machiavelli di una vera e propria filosofia naturalistica. Certamente, vi
sono nella sua opera importanti richiami al pensiero classico; particolarmente ad
Aristotele ed alla riflessione aristotelica sullo Stato - la città - intesa come organo
naturale; come corpo politico soggetto a generazione, sviluppo e corruzione.
• Allo stesso tempo, in Machiavelli è decisiva la presenza di una teoria degli umori,
che si differenzia da quella medica di origine ippocratica e galenica. Se in essa gli
umori dell’uomo sono quattro (flemmatico, iracondo, malinconico, collerico), in
Machiavelli ne troviamo invece essenzialmente due, quello rispettivo o prudente e
quello impetuoso.
• Nel volume The Machiavellian Cosmos, Anthony J. Parel mostra come Machiavelli
attribuisca al termine umori differenti significati:
- gli umori si riferiscono innanzitutto ai desideri ed agli appetiti costitutivi, naturalisticamente
determinati di ciascuna parte della città;
-i l concetto di umori è utilizzato inoltre per designare una situazione storico-politica
determinata; riferendosi alla repubblica romana Machiavelli individua i due umori
contrapposti dei patrizi e dei plebei, mentre a proposito di Firenze egli riconosce tre umori: i
grandi, il popolo ed il popolo minuto;
- gli umori sono usati per descrivere le attività prodotte dall’interazione tra i gruppi politici;
- la nozione di umori è ancora adoperata per indicare conflitti tra gli stati.
Machiavelli
la teoria degli umori
• Rispetto alla molteplicità dei significati con cui Machiavelli utilizza il termine umori
occorre puntualizzare che questi non sono riducibili al piano sociale; gli umori non
possono essere interpretati esclusivamente come il frutto del contrasto
antagonistico delle classi, secondo l’applicazione della lettura marxista al discorso
machiavelliano. In effetti gli umori sono qualcosa di più complicato che investe più
elementi: cumuli di saperi diversi, differenti complessioni individuali ecc.
- divisioni, disunioni, inimicizie intrinseche per designare i conflitti che attraversano le parti
della città;
- guerre civili e discordie civili per indicare antagonismi irrimediabili tra le fazioni;
- contenzioni (Discorsi I, 37) in riferimento ai conflitti che riducono le divisioni dal piano alto
politico-istituzionale al piano delle ambizioni private, degli interessi tra le parti;
- odi per definire i conflitti irriducibili tra le città come quello che aveva opposto Firenze a
Pisa.
Machiavelli
il conflitto politico e l’anatomia della città
• Se nel primo caso, l'analisi si dispone verso la costituzione virtuosa, nel secondo il
problema è quello della costituzione migliore relativamente alle condizioni date.
Machiavelli
il conflitto politico e l’anatomia della città
• Machiavelli è vicino al criterio aristotelico dell’anatomia della città; tuttavia, egli
non solo accoglie la realtà dell’esistenza dei conflitti (come Aristotele) ma tenta
anche di riportarli positivamente sul piano politico.
• Nei Discorsi, in I,5 (Dove più sicuramente si ponga la guardia della libertà, o nel
popolo o né grandi; e quali hanno maggiore cagione di tumultuare, o chi vuole
acquistare o chi vuole mantenere) Machiavelli propone un criterio binario e
conflittuale di interpretazione della realtà politica: i grandi che tendono al dominio,
il popolo che tenta di non essere dominato.
• E’ questo un punto di partenza per attestare l’esistenza delle parti sociali, nella
città si svolge sempre uno scontro “privato” tra individui e gruppi. Le forme del
governo, dice ancora Machiavelli, sono due: principato o repubblica. Il principio
dell’anatomia della città vale per entrambi i modelli a partire dal confronto tra gli
umori cui è necessario dare uno sbocco politico. Esito impossibile solo nel caso
della licentia (“anarchia”) dove non vi è possibilità di mediazione.
• Su questi temi c’è senz’altro una relazione diretta tra Machiavelli e Aristotele.
Machiavelli
la corruzione
• Il tema che interessa Machiavelli è allora questo: a fronte dei conflitti, quale forma
politica è meglio utilizzare?
• “Vedesi bene nella provincia della Magna questa bontà e questa religione ancora in quelli
popoli essere grande, la quale fa che molte repubbliche vi vivono libere, ed in modo
osservono le loro leggi che nessuno di fuori né di dentro ardisce occuparle…. Il che nasce da
due cose: l’una non avere avute conversazioni grandi con i vicini, perché né quelli sono iti a
casa loro né essi sono iti a casa altrui, perché sono stati contenti di quelli beni, vivere di quelli
cibi, vestire di quelle lane che dà il paese, d’onde è stata tolta via la cagione ché non hanno
possuto pigliare i costumi né franciosi né spagnuoli né italiani, le quali nazioni tutte insieme
sono la corruttela del mondo. L’altra cagione è che quelle repubbliche dove si è mantenuto il
vivere politico ed incorrotto, non sopportono che alcuno di loro cittadino né sia né viva a uso
di gentiluomo, anzi mantengono intra loro una pari equalità, ed a quelli signori e gentiluomini
che sono in quella provincia sono inimicissimi, e se per caso alcuni provengono nelle loro
mani, come principii di corruttele e cagione d’ogni scandolo, gli ammazzano”.
• Dove regna una sostanziale equalità è difficile reggere un regno, così come dove vi
siano molti “grandi” solo con la “mano regia” sarà possibile imporre un vivere
civile.
• A dispetto dei tratti più cupi del Principe, in questo passaggio sembra proporsi una
nuova forma di principato – il principato civile appunto - che vive del legame
stretto e diretto tra il principe e il popolo: nel principato civile il principe si regge
grazie al popolo che gli offre consenso e ne sorregge attivamente il governo
temperando le spinte che provengono dai nobili. E ciò avviene, certamente,
quando vi siano diseguaglianza troppo ampie che possono trovare composizione
solo nel raccordo tra le parti più estreme della città.
Machiavelli
dal modello binario alle tre parti della città
• Tutto ciò diviene più chiaro in un progetto di riforma presentato ai Medici finalizzato
alla edificazione di un regime repubblicano, il solo che avrebbe permesso a Firenze di
mantenere stabilità e benessere: il Discursus Florentinarum Rerum scritto tra il 1520 e
1521. Scrive Machiavelli che:
• “Coloro che ordinano una repubblica debbono dare luogo a tre diverse qualità di uomini, che sono in tutte
le città; cioè, primi, mezzani e ultimi. E benché in Firenze sia quella equalità che di sopra si dice;
nondimeno sono in quella alcuni che sono di animo elevato, e pare loro meritare di precedere agli altri; a’
quali è necessario nell’ordinare la repubblica satisfare: né per altra cagione rovinò lo stato passato che per
non si essere a tale umore satisfatto”.
• Gli ordini sono quei dispositivi complessi e strutturati che gli uomini si danno per
reggere questa lotta in tempi decisamente lunghi. Gli ordini sono quei dispositivi
istituzionali che per Aristotele era la politeìa.
Machiavelli
innovazione e principi primi
• Machiavelli esprime il principio secondo cui un percorso di riforma e di
innovazione di un corpo politico deve avere come obiettivo quello di riportarlo ai
principi primi sui quali esso si è originariamente istituito.
• “Egli è cosa verissima come tutte le cose del mondo hanno il temine della vita loro. Ma quelle
vanno tutto il corso che è loro ordinato dal cielo generalmente, che non disordinano il corpo
loro ma tengonlo in modo ordinato, o che non altera o s’egli altera è a salute e non a danno
suo. E perché io parlo dei corpi misti, come sono le repubbliche e le sètte, dico che quelle
alterazioni sono a salute che le riducano inverso i principii loro. E però quelle sono meglio
ordinate, ed hanno più lunga vita, che mediante gli ordini suoi si possono spesso rinnovare,
ovvero che per qualche accidente, fuori di detto ordine, vengono a detta rinnovazione. Ed è
cosa più chiara che la luce non si rinnovando questi corpi non durano. Il modo del
rimmovargli è, come detto, ridurgli verso e principii suoi; perché tutti e principii delle sètte e
delle repubbliche e de’ regni conviene che abbino in sé qualche bontà, mediante la quale
ripiglino la prima riputazione ed il primo augumento loro”.
•
Machiavelli
i corpi politici come corpi misti
• Se la natura opera verso la salute, nondimeno gli uomini devono essere in grado di
innovare se vogliono garantire la buona durata delle loro opere: innovazioni
proficue sono - in tal senso - quelle che valgono a salvaguardare quegli elementi
fondativi della organizzazione politica. Quelli che Machiavelli chiama i principii
primi.
• Ciò è storicamente reso possibile sia a partire da spinte interne (rivolte), sia da
spinte esterne (guerre): “Questa riduzione verso il principio, parlando delle
repubbliche, si fa o per accidente estrinseco o per prudenza estrinseca”.
Machiavelli
il cambiamento
• Machiavelli descrive le modalità del cambiamento politico, che può essere
repentino o può avvenire a poco a poco. Le due cose sono difficilissime da attuare,
nell’uno o nell’altro caso. Bisogna, tuttavia, per rinnovare gli ordini, badare ai
tempi, stare all’erta, cogliere il tempo giusto e le giuste relazioni tra le parti della
città.
• Egli pone alcuni esempi, tra cui quello di Roma repubblicana che riuscì a garantire
la virtù civile attraverso cambiamenti istituzionali che frenavano le ambizioni dei
soggetti, anche con modi violenti (ad es. l’uso della paura o delle uccisioni). Anche
per la Chiesa, con S. Francesco e S. Domenico, è accaduto qualcosa di analogo.
• Questi, peraltro, non possono che vivere del riscontro dei tempi e per tale ragione
l’innovazione degli ordini esistenti è necessaria. Positiva, tuttavia, si rivela solo
quell’innovazione che rispetti i principi originari e fondativi dell’ordine politico.
• A fronte di ciò, l’uomo può solo valersi della virtù grazie alla quale tentare di
incidere positivamente negli interstizi prodotti dalla qualità dei tempi. In questo
incrocio tra virtù e fortuna risulta importante la relazione che si stabilisce tra i
caratteri dell’uomo (prudente o rispettivo) e i tempi.
Machiavelli
prudente e impetuoso
• Machiavelli individua due modalità essenziali attraverso cui gli uomini fronteggiano
le avversità e gli eventi:
a.) il carattere prudente, o respettivo, che si sottrae, prende tempo, si muove nelle
pieghe degli eventi agendo secondo astuzia, circospezione, prudenza.
b.) il carattere impetuoso è invece quello che investe gli eventi con la propria forza,
con una virtù tutta guerriera e pro-attiva.
Quale dei due caratteri è proprio, o dovrebbe essere proprio, del buon politico?
Dell'ottimo principe? Certamente, secondo Machiavelli, è necessario saper
rispecchiare attraverso l'azione e le scelte la qualità dei tempi. In breve, avrà
successo chi in un dato momento sarà capace di adattare il proprio carattere ai
tempi.
Tuttavia, è esemplare quanto la storia ci mostra nel caso delle guerre dei romani
contro Annibale. S’incrociano nella guerra contro Annibale tempi e caratteri
diversi: quello della difesa - il carattere prudente e rispettivo di Fabio - e quello
impetuoso, tutto teso all’attacco diretto del nemico di Scipione.
Machiavelli
la repubblica prudente e impetuosa
• La repubblica romana seppe giocare entrambi gli uomini, impegnarli entrambi e ciò
fu reso possibile proprio dal fatto che Roma era una repubblica; essa rispettava nei
suoi scorrimenti le diverse parti che la componevano:
• “Quinci nasce che una repubblica ha maggiore vita ed ha più lungamente buona
fortuna che uno principato, perché la può meglio accomodarsi alla diversità de’
temporali, per la diversità de’ cittadini che sono in quella, che non può uno
principe. Perché un uomo che sia consueto a procedere in uno modo, non si muta
mai, come è detto, e conviene di necessità che quando e’ si mutano i tempi
disformi a quel suo modo che rovini”.
• Questo è un tema che mostra quanto e per quali ragioni Machiavelli inclini verso la
repubblica piuttosto che verso il principato. Il tempo del tiranno è un tempo unico
all’interno del quale si vogliono conculcare tutte le altre temporalità, tutti gli altri
percorsi differenti dei soggetti, anzi dei sudditi. Anche per la repubblica c’è un
discorso particolarissimo sui tempi, su come si debba innovare e conservare. Il
primo libro dei Discorsi è esemplificativo.
Machiavelli
concordia e conflitto
• A partire da questi temi, e particolarmente da quello dei conflitti, appare allora chiaro
come in Machiavelli si assiste ad una particolare ripresa del repubblicanesimo antico,
che si presenta come un vero e proprio “contro-discorso” a fronte di quel
repubblicanesimo fiorentino (ad es. quello di Matteo Palmieri) che a parere del
segretario proponeva in maniera “serena” e neutrale il modello classico.
• Un modello che si articolava intorno ai temi della pace e della concordia interna, del
buon governo come spazio armonico nel quale in una repubblica non si danno non
solamente fazioni, ma non si danno “parti” tra loro in contrasto. Un modello nel quale
era forte un processo di neutralizzazione dei conflitti, o comunque di loro rimozione, a
favore di una concordia civile che – secondo Machiavelli – nascondeva il tacito accordo
ideologico con i Medici. Il tema del conflitto politico si lega in modo significativo nella
riflessione machiavelliana all'analisi degli eventi che portarono al crollo della repubblica
Romana, e in particolare in relazione ai contrasti intorno alla Legge Agraria.
• Nel capitolo I,37 (Quali scandoli partorì in Roma la legge agraria e come fare una legge
in una repubblica che riguardi assai indietro e sia contro a una consuetudine antica
della città, è scandolosissimo) al centro vi è il passaggio di Roma da un ordine
repubblicano ad un ordine di natura diversa.
Machiavelli
la roba e le cariche
• Perché avviene il tracollo della repubblica? Perché sorge e si accresce quel malcontento
che farà crollare l'esperienza repubblicana?
• Ancora, in 24,III dei Discorsi, Machiavelli individua le cause della decadenza della
Repubblica romana in due fattori; da una parte le contenzioni che nacquero dalla legge
agraria, ossia la degenerazione dei conflitti dal piano politico-istituzionale al piano
dell’acquisizione della roba e, dall’altra, «la prolungazione degli imperii», ossia
l’eccessiva durata delle cariche. La prolungazione delle cariche nelle repubbliche
provoca l’accumulazione di poteri diffusi che rimangono fissi ed impedisce alle parti
diverse da quelle che sono al potere di esercitarsi nel governo politico.
• Si può dunque affermare che per Machiavelli la repubblica deve offrire equilibrio nelle
funzioni di deliberazione, di esecuzione e nell’attribuzione delle magistrature.
Machiavelli
il conflitto come criterio storiografico
Il discorso sui conflitti è il criterio di interpretazione dei fatti politici. Egli offre
sistematicità a questo tema rispondendo alle domande su come sorgono, si sviluppano,
quali siano le caratteristiche principali e la loro conversione in una dimensione politica.
Ed esso diventa anche un criterio storiografico per il segretario fiorentino che costruisce
le Istorie fiorentine seguendo questo criterio. Nel Proemio egli dice:
«Lo animo mio era, quando al principio deliberai scrivere le cose fatte dentro e fuora dal popolo fiorentino,
cominciare la narrazione mia dagli anni della cristiana religione 1434, nel quale tempo la famiglia de' Medici, per i
meriti di Cosimo e di Giovanni suo padre, prese più autorità che alcuna altra in Firenze; perchè io mi pensava che
messer Lionardo d'Arezzo e messer Poggio, duoi eccellentissimi istorici, avessero narrate particularmente tutte le
cose che da quel tempo indrieto erano seguite. Ma, avendo io di poi diligentemente letto gli scritti loro, per
vedere con quali ordini e modi nello scrivere procedevano, acciò che, imitando quelli, la istoria nostra fusse
meglio dai leggenti approvata, ho trovato come nella descrizione delle guerre fatte dai Fiorentini con i principi e
popoli forestieri sono stati diligentissimi, ma delle civili discordie e delle intrinseche inimicizie, e dagli effetti che
da quelle sono nati, averne una parte al tutto taciuta e quell'altra in modo brevemente descritta, che ai leggenti
non puote arrecare utile o piacere alcuno. Il che credo facessero, o perchè parvono loro quelle azioni sì deboli
che le giudicorono indegne di essere mandate alla memoria delle lettere, o perchè temessero di non offendere i
discesi di coloro i quali, per quelle narrazioni, si avessero a calunniare. Le quali due cagioni (sia detto con loro
pace) mi paiono al tutto indegne di uomini grandi; perchè se niuna cosa diletta o insegna, nella istoria, è quella
che particularmente si descrive; se niuna lezione è utile a cittadini che governono le repubbliche, è quella che
dimostra le cagioni degli odi e delle divisioni delle città, acciò che possino, con il pericolo d'altri diventati savi
mantenersi uniti».
Machiavelli
le divisioni intra Firenze
Quindi la storia serve per svelare le cause delle divisioni che attraversano le città,
quindi è utile all'unione dei cittadini e Firenze è stata scosse da molteplici fratture a
differenze di altri grandi città come Roma e Atene che sono riuscite a portare i propri
conflitti sull'unico punto della divisione tra i ricchi e i poveri. Se Firenze fosse riuscita a
contenere le divisioni su un unico piano sarebbe stata una grande e potente città:
«la maggior parte delle altre repubbliche delle quali si ha qualche notizia sono state contente d'una divisione,
con la quale, secondo gli accidenti, hanno ora accresciuta, ora rovinata la città loro; ma Firenze, non contenta
d'una, ne ha fatte molte. In Roma, come ciscuno sa, poi che i re ne furono cacciati, nacque la disunione intra i
nobili e la plebe, e con quella infino alla rovina sua si mantenne; così fece Atene; così tutte le altre repubbliche
che in quelli tempi fiorirono. Ma di Firenze in prima si divisono infra i loro nobili, dipoi i nobili e il popolo, e in
ultimo il popolo e la plebe; e molte volte occorse che una di queste parti, rimasa superiore, si divise in due:
dalle quali divisioni ne nacquero tante morti, tanti esili, tante destruzioni di famiglie, quante mai ne nascessero
in alcuna città della quale si abbia memoria. E veramente, secondo il giudicio mio, mi pare che niuno altro
esemplo tanto la potenza della nostra città dimostri, quanto quello che da queste divisioni depende, le quali
arieno avuto forza di annullare ogni grande e potetissima città. Nondimeno la nostra pareva che sempre ne
diventasse maggiore: tanta era la virtù di quelli cittadini e la potenza dello ingegno e animo loro a fare sé e la
loro patria grande, che quelli tanti che rimanevono loberi da tanti mali potevano più con la virtù loro esaltarla,
che non aveva potuto la malignità di quelli accidenti che gli avieno diminuiti opprimerla. E senza dubio, se
Firenze avesse avuto tanta felicità che, poi che la si liberò dallo Imperio, ella avesse preso forma di governo che
l'avesse mantenuta unita, io non so quale republica, o moderna o antica, le fusse stata superiore: di tanta virtù
d'arme e di industria sarebbe stata ripiena»
Machiavelli
sette e fazioni
• Ora passiamo ad un altro punto delle Istorie che pone al centro della riflessione la
questione dei conflitti. Egli distingue quelli positivi e produttivi da quelli negativi
che nuocono alle repubbliche. Nel libro VII emerge che i conflitti da evitare sono
quelli accompagnati dalla presenza delle sette e dai partigiani (le fazioni), mentre
sono utili quelli che si presentano senza l'accompagnamento di quei fattori
suddetti:
• «Vera cosa è che alcune divisioni nuocono alle republiche, e alcune giovano: quelle nuocono che sono
dalle sette e da partigiani accompagnate; quelle giovano che senza sette e senza partigiani si mantengono.
Non potendo adunque provedere uno fondatore di una republica che non sieno inimicizie in quella, ha a
provedere almeno che non vi sieno sette».
• “E per chiarire questo nome di gentiluomini quale e’ sia, dico che gentiluomini sono chiamati quelli che
oziosi vivono delle rendite delle loro possessioni abbondantemente, senza avere cura alcuna o di
coltivazione o di altra necessaria fatica a vivere. Questi tali sono perniziosi in ogni republica ed in ogni
provincia; ma più perniziosi sono quelli che oltre alle predette fortune comandano a castella, ed hanno
sudditi che ubbidiscono a loro. Di queste due spezie di uomini ne sono pieni il regno di Napoli, Terra di
Roma, la Romagna e la Lombardia. Di qui nasce che in quelle provincie non è mai surta alcuna republica né
alcuno vivere politico; perché tali generazioni di uomini sono al tutto inimici di ogni civiltà. Ed a volere in
provincie fatte in simil modo introdurre una repubblica non sarebbe possibile. Ma a volerle riordinare, se
alcuno ne fusse arbitro, non arebbe altra via che farvi uno regno: la cagione è questa, che dove è tanto la
materia corrotta che le leggi non bastano a frenarla, vi bisogna ordinare insieme con quelle maggior forza,
la quale è una mano regia che con la potenza assoluta ed eccessiva ponga freno alla eccessiva ambizione e
corruttela de’potenti”.
• E’ quindi possibile, quando vi siano condizioni diverse, che qualcuno attraverso tecniche
proprie stabilisca un vivere civile (e non un principato tirannico) nel quale vi sia una qualche
corrispondenza tra comando e obbedienza. In casi simili è comunque possibile realizzare un
vivere civile inteso come quella condizione nella quale via sia un sostanziale consenso verso
colui che comanda.
Machiavelli
il vivere libero e il principe
• Machiavelli s’impegna per la costruzione di un servizio di leva autonomo ed autoctono
per Firenze che possa garantire e difendere quel vivere libero della repubblica che le
truppe mercenarie non potrebbero con certezza garantire. La guardia repubblicana è il
vivere politico preposto a difendere il vivere libero. Vi è una piena corrispondenza tra
repubblica e libertà civile così da chiamare immediatamente in gioco la partecipazione
del cittadino che si educa alla politica ed esercita la gestione sempre vigile a garantire la
propria sicurezza dalle mire assolutistiche dei grandi. Il cittadino ha il dovere di
resistenza contro la minaccia esercitata dai grandi. L'obiettivo è quello di raggiungere
una diffusa equalità (Discorsi, I, 37).
• Per ciò che riguarda il principato ci troviamo in un contesto diverso, opposto a quello
repubblicano dove il principe interviene nel conflitto tra i grandi e il popolo, siamo in un
contesto di disequalità. La forma del principato civile è assolutamente originale nella
formazione machiavelliana. La figura del principe si configura come una novità assoluta:
chiunque può ascendere alla carica se possiede la virtù, per dirla con Machiavelli
«un'astuzia fortunata» che coniughi la moltiplicazione delle tecniche per la qualità dei
tempi, e l'appoggio popolare. Il Principe è «causato o dal popolo o dai grandi...». Nel
caso in cui l'autorità politica trovi appoggio nei grandi, deve porre maggiore attenzione
di quando si sostenga con il favore popolare, perché i primi sono più difficili da
soddisfare e quindi da governare.
Machiavelli
il principato civile
• Quello che più ci interessa, allora, è che in un simile contesto è centrale il tema dei
conflitti tra le parti della città e dei soggetti che le compongono: si tratta, infatti, di
capire chi più facilmente può tradire il mandato: i grandi, in tal senso, tendono
sempre al dominio e sono restii all’obbedienza, la plebe tenta invece di sottrarsi al
dominio operando quindi secondo una forza di resistenza.
• Esso quindi non è una entità omogenea, si divide per parti. Il popolo crasso e il
popolo minuto, e tra esso il popolo e la plebe. Esso è peraltro moltitudine, può
però tradursi in popolo o plebe in armi (quella massimamente pericolosa).
Sebbene esso tenda alla calma e sia naturalmente meno disposto alle spinte
dell’ambizione che prendono invece i grandi.
Machiavelli
i Grandi
• L'attenzione ai grandi, secondo il modo di procedere del ragionamento
machiavelliano, si diversifica in due modi opposti. Ci sono i grandi che si
sottopongono all'obbligazione politica che vanno onorati e amati, poi ci sono quelli
che non si sottopongono a tale obbligazione.
• Infatti, i pericoli di una tirannide possono provenire anche da parte popolare che,
per timore degli aristocratici, va a spingere verso una soluzione tirannica
trasformandosi da soggetto garante della libertà a promotore di oppressione.
• Anche gli aristocratici possono spingere verso una soluzione tirannica. Partendo
prima con mezzi leciti attraverso le carriere di singole figure politiche, poi con l'uso
del denaro e con la strutturazione di relazioni clientelari, si possono stabilire dei
punti di non ritorno di alta concentrazione di potere politico.
• Invece nella forma repubblicana come governo misto il conflitto tra i grandi e i
poveri è affrontato evitando che l'autorità (magistrature e principe) diventi potere
assoluto.
Machiavelli
la contentezza
• Da questo intreccio sorge anche il problema dell’innovazione, particolarmente nel
suo rapporto con il carattere impetuoso. Il tema della mala-contentezza da intendersi
come quella prostrazione che prende gli uomini a causa dello scarto che essi vivono
tra un desiderio che li spinge a voler realizzare tante cose e la possibilità concreta di
poter realizzare poco o nulla.
• “Sendo, oltra di questo, gli appettiti umani insaziabili, perché avendo dalla natura di
potere e volere desiderare ogni cosa, e dalla fortuna di potere conseguitarne poche,
ne risulta continuamente una mala contentezza delle menti umane, ed uno fastidio
delle cose che si posseggono: il che fa biasimare i presenti tempi, laudare i passati e
desiderare i futuri, ancora che a fare questo non fussono mossi da alcuna
ragionevole cagione”.
• In tal senso, il buon politico deve essere capace di individuare nelle pieghe della
realtà fattuale gli spazi di una possibile innovazione, del riequilibrio e del ri-ordine
istituzionale della città: e si veda in tal senso il Discursus Rerum Florentinarum nel
quale il fiorentino tenta di delineare un’articolazione istituzionale nuova alla Firenze
dell’epoca.
• «Egli è sentenzia degli antichi scrittori, come gli uomini sogliono affliggersi nel male e stuccarsi
nel bene; e come dall’una e dall’altra di queste due passioni nascano i medesimi effetti. Perché,
qualunque volta è tolto agli uomini il combattere per necessità, combattono per ambizione; la
quale è tanto potente ne’ petti umani, che mai, a qualunque grado si salgano, gli abbandona. La
cagione è, perché la natura ha creati gli uomini in modo, che possono desiderare ogni cosa, e
non possono conseguire ogni cosa: talché, essendo sempre maggiore il desiderio che la potenza
dello acquistare, ne risulta la mala contentezza di quello che si possiede, e la poca sodisfazione
d’esso. Da questo nasce il variare della fortuna loro: perché, disiderando gli uomini, parte di
avere di più, parte temendo di non perdere lo acquistato, si viene alle inimicizie ed alla guerra;
dalla quale nasce la rovina di quella provincia e la esaltazione di quell’altra» (Discorsi, I, 37).
• Per Machiavelli contento è colui che vive della piena soddisfazione del presente, colui
che si dispone ad un presente tranquillo e riesce a contenere se stesso.
Machiavelli
la mala-contentezza
• Esiste però uno scarto che rende l’uomo perennemente infelice; esso nasce dalla
limite della natura umana per il quale gli individui non possono realizzare tutto ciò
che desiderano.
• Il principe, anche se vuole affermare il potere per vie straordinarie, non può lasciare il
popolo, la moltitudine, gli sia nemico. E’ conveniente al principe seguire alcuni principi
di civiltà “antica” che occorra rispettare per introdurre innovazione.
• Il principe garantirà il vivere civile ma non certo quello politico e libero, in quanto
questo, per realizzarsi, deve essere nelle mani delle parti diverse della città che
possono liberamente provvedere all’autogoverno: riconoscere i conflitti, attestarne il
significato politico alto, a fronte del cambiamento dei costumi provvedere a ordini
adeguati.
• Dapprima c’è il principe, o per successione o per elezione; ma poi, via via, il
principe, o comunque i suoi successori, cominciano ad essere odiati, l’odio e il
timore, le passioni che sconvolgono le relazioni, e di qui la tirannide, la quale non
può reggere la moltitudine, che si ribella, fino a che alcuni potenti, gli ottimati, non
riescono ad esprimere un’esigenza particolare di ricostruzione e costituiscono un
governo di pochi, l’oligarchia. La degenerazione dell’oligarchia conduce, ancora,
allo stato popolare, il popolo, che riesce a restaurare i valori fino poi a perderli, di
generazione in generazione: è la licenza, arbitrio sicuro, l’uso di modalità perverse
e violente. E si ricomincia daccapo.
Machiavelli
le forme di governo
• Questa non è l’unica concezione sulle forme di governo che troviamo in
Machiavelli. Nei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio Roma è in relazione alla
gloria, ad una serie di discorsi e di valori che le avevano permesso di esprimere
elementi di civilizzazione eccezionali e a durare moltissimo che Machiavelli riflette
sulle forme storiche del governo.
• Sembrerebbe che siano allora tre le forme di governo. Ma la licenza non è una
forma di governo: è l’anarchia, la forma in cui può precipitare la crisi degli elementi
patogeni estremi, non c’è comando non c’è obbedienza. Da qui l’individuazione di
due sole forme di governo: la repubblica ed il principato. La repubblica è
identificata con la libertà.
Machiavelli
le forme di governo
• Machiavelli riprende sì il sistema ternario di Polibio e si dispone ad accogliere il
problema fondamentale della πoλιτεία aristotelica ossia il problema della composizione
delle parti sociali; i grandi e il popolo sono parti che con i loro poteri diversamente
strutturati devono essere opportunamente rappresentate.
• Si può allora affermare che per Machiavelli la repubblica deve offrire equilibrio nelle
funzioni di deliberazione, di esecuzione e nell’attribuzione delle magistrature. Il
governo repubblicano deve introdurre innovazione politica funzionale alla risoluzione
dei conflitti; il segretario fiorentino riferisce al politico la conflittualità delle parti sociali
ed il suo modello di repubblica è vicino alla πoλιτεία aristotelica.
Machiavelli
le forme di governo
• Nell’ottica machiavelliana la repubblica può affermarsi a condizione che non ci sia
un’estrema disuguaglianza tra le parti che costituiscono la comunità politica; a
fronte di eccessive contrapposizioni la soluzione da adottare è quella del principato
civile.
• Del resto il principato è civile ma non politico. E’ principato civile perché costruisce
la sua forza sul consenso del popolo poiché «il maggior rimedio che ci abbia, è
cercare di farsi il popolo amico» (Discorsi, I, 16). Quest’ultimo aspetto del pensiero
machiavelliano è recuperato dai teorici della Ragion di Stato per i quali la forza
dello Stato deve essere affiancata da un rapporto proficuo tra comando ed
obbedienza ed il principe deve far riferimento alle dinamiche sociali per poi
ritradurle sul piano politico.